Dispense per il corso di Algebra Commutativa

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Dispense per il corso di Algebra Commutativa
Marco Vergura
10 gennaio 2017
2
Indice
1 Anelli ed Ideali
1.1 Generalità . . . . . . . . . . . .
1.2 Operazioni tra ideali . . . . . .
1.3 Ideali Primi e Ideali Massimali
1.4 Nilradicale ed Ideali Radicali .
1.5 Anelli Locali . . . . . . . . . .
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5
5
9
14
18
21
2 Moduli
2.1 Concetti di Base . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.2 Costruzione di Moduli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.3 Successioni Esatte e Complessi di Moduli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
25
25
29
33
3 Noetherianità
3.1 Anelli e Moduli Noetheriani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.2 Teorema della Base di Hilbert . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
37
37
40
4 Anelli di Frazioni e Localizzazione
4.1 Definizione e proprietà universale . . . . . . . . . . . . . .
4.2 Ideali in A e in S −1 A. Localizzazione . . . . . . . . . . .
4.3 Moduli di Frazioni ed Esattezza di S −1 . . . . . . . . . .
4.4 Fattorialità di A[x]. Irriducibilità in A[x] e in Frac(A)[x].
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43
43
48
51
54
5 Algebre Intere
5.1 A-algebre finite ed intere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
61
61
6 Decomposizione primaria
65
7 DVR
71
8 Complementi ai capitoli 4 e 5 del Miles Reid
73
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INDICE
Capitolo 1
Anelli ed Ideali
AAAAAAAAAAAAAAAAA: Nelle note per la lettura, inserire che I / A significa I sottogruppo di A, la convenzione su k per k ∈ N{0} e quella A∗ per A \ {0}.
1.1
Generalità
Definizione 1.1.1. Un anello commutativo con unità 1 è una 5-upla ordinata (A, +, 0, ·, 1)
dove (A, +, 0) è un gruppo abeliano, 1 ∈ A e · : A × A −→ A è una funzione (a, b) 7→ ab (detta
prodotto) tale che ∀a, b, c ∈ A:
A1) (associatività) (ab)c = a(bc);
A2) (distributività) a(b + c) = ab + ac e (a + b)c = ac + bc;
A3) (commutatività) ab = ba;
A4) (unità) 1a = a1 = a.
Osservazione 1.1.1. Dalla distributività del prodotto in un anello commutativo con unità A
discendono subito le due proprietà seguenti:
• ∀a ∈ A, a0 = 0. Infatti a0 = a(0 + 0) = a0 + a0 ⇒ 0 = a0;
• ∀a, b ∈ A, a(−b) = −ab. Vale infatti: 0 = a(b + (−b)) = ab + a(−b) ⇒ a(−b) = −ab.
D’ora in avanti, dove non diversamente specificato, con la parola “anello” si intenderà sempre
un anello commutativo con unità. Inoltre, se A è un anello e J ⊆ A conveniamo che J / A
significhi J / (A, +, 0).
Osservazione 1.1.2. In un anello A, 0 = 1 ⇔ A = {0}, ovvero A è, come si dice, l’anello
banale. Ciò è evidente perché se 0 = 1, allora ∀a ∈ A, a = a1 = a0 = 0. Il viceversa è ovvio.
Definizione 1.1.2. Sia A un anello. S ⊆ A è detto sottoanello di A se 1 ∈ S, S è un sottogruppo
di (A, +, 0) e ∀s, t ∈ S, st ∈ S.
Definizione 1.1.3. Siano A, B anelli. Una mappa f : A −→ B si dice omomorfismo (di anelli)
se ∀a, b ∈ A:
M1) f è un omomorfismo di gruppi abeliani, i.e f (a + b) = f (a) + f (b). (Da questa proprietà
discende subito che f (0) = 0 e f (−a) = −f (a));
5
6
CAPITOLO 1. ANELLI ED IDEALI
M2) f (ab) = f (a)f (b);
M3) f (1) = 1.
Se f : A −→ B è un omomorfismo, l’insieme ker(f ) := f −1 ({0}) è detto nucleo di f.
Notiamo che {0} −→ A è un omomorfismo di anelli se e solo se A = {0}.
Osservazione 1.1.3. Un omomorfismo di anelli f : A −→ B è iniettivo se e soltanto se ker(f ) =
{0}. Infatti, ker(f ) = {0} ⇔ (∀a, b ∈ A, ϕ(a) = ϕ(b) ⇒ b − a = 0). Inoltre, la composizione di
due omomorfismi è ancora un omomorfismo.
Proposizione 1.1.1. Se A, B sono anelli e S ⊆ A è un sottoanello di A, allora per ogni
omomorfismo f : A −→ B, f (S) =: Im(f ) è un sottoanello di B.
Dimostrazione. 1 ∈ f (S) per M3). Se a, b ∈ A sono tali che f (a), f (b) ∈ S, allora f (a) + f (b) =
f (a + b) ∈ f (S) e f (a)f (b) = f (ab) ∈ f (S) perché S, in quanto sottoanello, è chiuso per somme
e prodotti di suoi elementi.
Definizione 1.1.4. Siano A, B anelli. Un omomorfismo f : A −→ B si dice isomorfismo (di
anelli) se esiste un omomorfismo g : B −→ A tale che g ◦ f = idA e f ◦ g = idb . In tal caso, si
dice che A e B sono isomorfi e si scrive A ' B.
Evidentemente, un omomorfismo f : A −→ B è un isomorfismo se e soltanto se è un omomorfismo
biettivo.
Definizione 1.1.5. Sia A un anello. I ⊆ A è detto ideale di A se è un sottogruppo di (A, +, 0)
e ∀a ∈ A, ∀j ∈ I, aj ∈ I.
Osserviamo che I := {0} è un ideale di A e così anche I := A, il quale è detto ideale improprio.
Nella prossima proposizione raccogliamo alcuni semplici risultati iniziali sugli ideali.
Proposizione 1.1.2. Siano A, B anelli con I ⊆ A qualunque e J ⊆ B ideale. Sia inoltre
f : A −→ B un omomorfismo di anelli.
a) Se 1 ∈ I, allora I è un ideale ⇔ I = A. In particolare, f è suriettiva ⇔ f (A) è un ideale.
b) ker(f ) è un ideale di A.
c) f −1 (J) è un ideale di A.
Dimostrazione.
a) Se I è un ideale, sia a ∈ A. Allora a = a1 da cui, poiché I è un ideale e
1 ∈ I, a ∈ I. L’implicazione opposta è evidente.
b) 0 ∈ ker(f ) perché f (0) = 0. Inoltre, ∀a, b ∈ A, a, b ∈ ker(f ) ⇔ f (a) = 0 = f (b) ⇒
f (a + b) = f (a) + f (b) = 0 + 0 = 0 ⇔ a + b ∈ ker(f ). Infine, ∀a ∈ A, ∀z ∈ ker(f ), f (za) =
f (z)f (a) = 0f (a) = 0 ⇔ za ∈ ker(f ).
c) 0 ∈ f −1 (J) perché f (0) = 0. Se a, b ∈ A sono tali che f (a), f (b) ∈ J, allora f (a + b) =
f (a) + f (b) ∈ J perché J è un ideale di B. Dunque, a + b ∈ f −1 (J). ∀x ∈ f −1 (J), ∀a ∈
A, f (ax) = f (a)f (x) ∈ J ⇔ ax ∈ f −1 (J).
Il nostro prossimo obiettivo è dimostrare la seguente
1.1. GENERALITÀ
7
Proposizione 1.1.3. Sia A un anello e sia I ⊆ A un ideale. Allora esistono un anello B e un
omomorfismo di anelli f : A −→ B tali che f sia suriettiva e ker(f ) = I.
L’idea è di costruire B come l’insieme quoziente di A rispetto ad una particolare relazione di
equivalenza, equipaggiandolo con opportune operazioni, e di considerare come f la proiezione di
A su questo quoziente.
Cominciamo osservando che, se su un anello A troviamo definita una relazione di equivalenza
∼ compatibile con le operazioni, ossia tale che ∀a, b, c, d ∈ A, a ∼ b e c ∼ d =⇒ a + c ∼ b + d
e ac ∼ bd, allora abbiamo anche un ideale di A, dato dalla classe di equivalenza di 0 (la verifica
di ciò è immediata). Quello che ci interessa particolarmente è che vale anche il viceversa: dato
un ideale di A, è possibile definire su A una relazione di equivalenza che sia compatibile con le
operazioni di A. Vediamo come fare.
Definiamo su A la relazione:
∀a, b ∈ A, a ∼ b ⇔ a − b ∈ I,
detta anche congruenza modulo I e scritta come a ≡ b mod I. Si tratta di una relazione di
equivalenza. Infatti:
• è riflessiva: a ∼ a perché a − a = 0 ∈ I;
• è simmetrica: a ∼ b ⇔ b − a = −(a − b) ∈ I ⇔ b ∼ a;
• è transitiva: a ∼ b, b ∼ c ⇔ a − b ∈ I e b − c ∈ I. Ne segue che (a − b) + (b − c) = a − c ∈ I,
cioè a ∼ c.
La congruenza modulo I è inoltre compatibile con le operazioni di A. Infatti, se a ≡ b mod I
e c ≡ d mod I, allora a − b ∈ I e c − d ∈ I. Dunque: a + c − (b + d) = (a − b) + (c − d) ∈ I,
perché I / A. Analogamente, ac − bc = (a − b)c ∈ I e bc − bd = b(c − d) ∈ I perché I è un ideale.
Ne segue che ac − bd = (ac − bc) + (bc − bd) ∈ I. Pertanto, sia a + c ≡ b + d mod I che ac ≡ bd
mod I.
A questo punto, formiamo il quoziente insiemistico di A rispetto alla congruenza modulo I, che
denotiamo con A/I. Un elemento α ∈ A/I è una classe di equivalenza [a] con a ∈ A e tale che:
[a] = {b ∈ A : a − b ∈ I} = {b ∈ A : ∃i ∈ I per cui b = a + i} =: a + I
ovvero gli elementi di A/I sono i laterali di A (inteso come gruppo abeliano) rispetto alla
congruenza mod I. Su A/I definiamo delle operazioni di somma e di prodotto ponendo:
(a + I) + (b + I) := (a + b) + I
(a + I)(b + I) := (ab) + I
Queste operazioni sono ben definite: diamo la dimostrazione nel caso della somma, essendo
quella del prodotto del tutto analoga. Siano dunque a, b, c, d ∈ A tali che a + I = b + I
e c + I = d + I. Esistono pertanto λ, µ ∈ I tali che b = a + λ e d = c + µ. Perciò:
(a + I) + (c + I) = ((b − λ) + I) + ((d − µ) + I) = ((b − λ) + (d − µ)) + I = ((b + d) + (−λ − µ)) + I =
(b + d) + I = (b + I) + (d + I).
Osservando che 0A/I = 0A + I = I e 1A/I = 1A + I, si vede subito che (A/I, +, ·, 0A/I , 1A/I )
è un anello, detto anello quoziente di A rispetto all’ideale I. Poniamo in effetti B := A/I.
A questo punto, la mappa ϕ : A −→ A/I, A 3 a 7→ ϕ(a) := [a] ∈ A/I, evidentemente suriettiva,
è anche un omomorfismo di anelli, detto omomorfismo quoziente. Si ha ovviamente ker(ϕ) = I.
Ciò conclude la dimostrazione della proposizione.
8
CAPITOLO 1. ANELLI ED IDEALI
Osservazione 1.1.4. Un semplice e ben conosciuto esempio di congruenza modulo un ideale si
ottiene considerando l’anello degli interi Z. In tal caso, infatti, è noto che gli ideali di Z sono tutti
e soli i suoi sottogruppi (considerando Z come il gruppo abeliano (Z, +, 0)), ossia gli nZ ⊆ Z per
n ∈ Z qualunque. Pertanto, comunque preso I = nZ ideale di Z, la congruenza modulo nZ non è
nient’altro che la nota relazione di congruenza modulo n sugli interi: per ogni m, n ∈ Z, m ≡ n
mod nZ ⇔ a − b ∈ nZ ⇔ ∃k ∈ Z tale che a − b = nk ⇔ n | a − b (n divide a − b), ossia, per
definizione, se e soltanto se a ≡ b (mod n).
Osserviamo che, fissato un ideale I di un anello A, ideali distinti di A possono dare la stessa
immagine via l’omomorfismo quoziente ϕ in A/I; ad esempio, ϕ({0}) = {0} = ϕ(I). Abbiamo
però la seguente:
Proposizione 1.1.4. Vi è una corrispondenza biunivoca tra gli ideali di A contenenti I e l’insieme degli ideali di A/I. Se ϕ : A −→ A/I è l’omomorfismo quoziente, tale biezione è data
associando ad un ideale J di A l’ideale ϕ(J) di A/I.
Dimostrazione. Cominciamo osservando che, essendo ϕ suriettiva, essa manda ideali di A in
ideali di A/I. Infatti, se K ⊆ A è un ideale, consideriamo ϕ(K) e siano α ∈ A/I e ϕ(a) ∈ ϕ(K).
Per suriettività di ϕ, ∃b ∈ A tale che ϕ(b) = α. Ne segue che αϕ(a) = ϕ(b)ϕ(a) = ϕ(ba) ∈ ϕ(K)
perché a ∈ K e K è un ideale per ipotesi. Poiché K / A e ϕ(K) / A/I abbiamo che ϕ(K) è un
ideale di A/I.
Mostriamo ora che la mappa A ⊇ I1 7→ ϕ(I1 ) ⊆ A/I, con I1 ideale di A contenente I, è davvero
biettiva.
• Suriettività: sia J ⊆ A/I ideale. Grazie alla proposizione 1.1.2, ϕ−1 (J) è un ideale di A e
contiene I perché 0A/I ∈ J. Inoltre ϕ(ϕ−1 (J)) = J per suriettività di ϕ.
• Iniettività: siano I1 , I2 ⊆ A ideali con I1 ⊇ I ⊆ I2 e tali che ϕ(I1 ) = ϕ(I2 ). Mostriamo che,
allora, I1 ⊆ I2 , essendo la verifica dell’inclusione opposta identica, a meno di scambiare
tra di loro i pedici 1 e 2. Sia a ∈ I1 : ϕ(a) ∈ ϕ(I1 ) = ϕ(I2 ) ⇒ ∃b ∈ I2 tale che
ϕ(b) = ϕ(a) ⇔ ϕ(b − a) = 0 ⇔ b − a =: γ ∈ ker(ϕ) = I. Pertanto, a = b − γ ∈ I2 perché
b ∈ I2 , γ ∈ I ⊆ I2 e I / A.
Il prossimo risultato fornisce uno degli strumenti più utili nella pratica per mostrare che anelli
distinti sono isomorfi e costituisce l’analogo di quanto valido per i gruppi.
Teorema 1.1.1 (Teorema Fondamentale di Isomorfismo tra Anelli.). Siano A, B anelli e sia
f : A −→ B un omomorfismo suriettivo. Allora A/ ker(f ) ' B, via f : A/ ker(f ) −→ B tale che
f = f ◦ ϕ, dove ϕ : A −→ A/ ker(f ) è l’omomorfismo quoziente. Tale isomorfismo f è unico ed
è detto isomorfismo indotto da f.
Dimostrazione. Osserviamo che ∀a ∈ A, ∀c ∈ ker(f ), f (a + c) = f (a) + f (c) = f (a). Pertanto, è
lecito definire f : A/ ker(f ) −→ B ponendo: ∀ a+ker(f ) ∈ A/ ker(f ), f (a+ker(f )) := f (a). Tale
mappa, certamente iniettiva, è, per definizione, tale che f = f ◦ ϕ e dunque è anche suriettiva,
in quanto f lo è. Evidentemente f è un omomorfismo di anelli e, quindi, è un isomorfismo
come voluto. Infine, se g : A/ ker(f ) −→ B è tale che f = g ◦ ϕ allora, per ogni a ∈ A,
f (a + N ) = f (a) = g(a + N ) ⇒ f = g.
Corollario 1.1.1. Siano A, B anelli e sia ϕ : A −→ B un omomorfismo qualsiasi. Allora
A/ ker(ϕ) ' Im(ϕ).
1.2. OPERAZIONI TRA IDEALI
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Proposizione 1.1.5. Si consideri il diagramma seguente:
h
A
γ
/B
g
C
dove A, B, C sono anelli, mentre γ è un omomorfismo qualunque e h è un omomorfismo suriettivo, entrambi dati.
Allora esiste un omomorfismo g : B −→ C che faccia commutare il diagramma se e soltanto se
∀a, a1 ∈ A, h(a) = h(a1 ) ⇒ γ(a) = γ(a1 ).
(1.1)
Inoltre, tale omomorfismo g, se esiste, è unico.
Dimostrazione. L’unicità di un omomorfismo con le proprietà richieste, ammesso che esista, è
evidente. Infatti, siano f, g : B −→ C tali da far commutare il diagramma. Per ogni b ∈ B,
grazie alla suriettività di h, ∃a ∈ A tale che h(a) = b. Ne segue che g(b) = g(h(a)) = γ(a) =
f (h(a)) = f (b).
Supponiamo ora che esista un omomorfismo g : B −→ C che faccia commutare il diagramma. Se
a, a1 ∈ A sono tali che h(a) = h(a1 ), allora γ(a) = g(h(a)) = g(h(a1 )) = γ(a1 ).
Viceversa, se ∀a, a1 ∈ A, h(a) = h(a1 ) ⇒ γ(a) = γ(a1 ), possiamo definire g : B −→ C come
segue: ∀b ∈ B sia a ∈ A tale che h(a) = b e poniamo g(b) := γ(a). Grazie alle ipotesi compiute, g
è ben definita. Inoltre, per la sua stessa definizione, g rende commutativo il diagramma. Infine,
essa è chiaramente un omomorfismo di anelli, essenzialmente perché γ e h lo sono.
Osservazione 1.1.5. Rifacendosi alla situazione descritta dalla proposizione precedente e usando le stesse notazioni, la condizione (1.1) è equivalente al fatto che ker(h) ⊆ ker(γ).
Infatti, se vale (1.1), sia c ∈ A tale che h(c) = 0 = h(0). Allora γ(c) = γ(0) = 0, ossia c ∈ ker(γ).
Viceversa, se ker(h) ⊆ ker(γ), siano a, a1 ∈ A tali che h(a) = h(a1 ) ⇔ h(a) − h(a1 ) = 0 =
h(a − a1 ) ⇔ a − a1 ∈ ker(h) ⊆ ker(γ). Dunque, 0 = γ(a − a1 ) = γ(a) − γ(a1 ) ⇒ γ(a) = γ(a1 ).
1.2
Operazioni tra ideali
Proposizione 1.2.1.
Sia {Ik }k∈K una famiglia arbitraria di ideali di un anello A indiciata su
T
∅=
6 K. Allora
Ik è un ideale.
k∈K
Dimostrazione. Si tratta di pura insiemistica. Ad ogni modo:
T
M1) ∀k ∈ K, 0 ∈ Ik ⇒ 0 ∈
Ik ;
k∈K
T
M2) ∀a, b ∈ A, a, b ∈
Ik ⇔ a, b ∈ Ik per ogni k ∈ K ⇒ a + b ∈ Ik per ogni k ∈ K ⇔ a + b ∈
k∈K
T
Ik ;
k∈K
M3) ∀γ ∈ A e ∀a ∈
T
k∈K
Ik , γa ∈ Ik per ogni k ∈ K ⇔ γa ∈
T
k∈K
Ik .
10
CAPITOLO 1. ANELLI ED IDEALI
Definizione 1.2.1. Sia A un anello e sia S ⊆ A qualunque. L’intersezione di tutti gli ideali
di A contenenti S (che è un ideale grazie alla proposizione precedente) è detto ideale generato
da S e indicato con (S). Osserviamo che ∀S ⊆ A, esiste sempre l’ideale generato da S perché
A ∈ {I ⊆ A : tali che I è un ideale con S ⊆ I}.
Vale, banalmente, I ⊆ A è un ideale ⇔ I = (I).
Osservazione 1.2.1. (S) è il più piccolo ideale di A contenente S. Infatti, (S) è un ideale e,
d’altra parte, se S ⊆ J con J ideale di A allora (S) ⊆ J per definizione di (S).
Se S è un insieme finito di elementi di A con cardinalità k ∈ N, cioè S = {a1 , . . . , ak } ⊆ A,
si scrive anche (a1 , . . . , an ) al posto di ({a1 , . . . , an }). Inoltre, in questo caso,
)
( k
X
(1.2)
(S) =
ci ai ∈ A : ci ∈ A ∀i ∈ k
i=1
o
∈ A : ci ∈ A ∀i ∈ A . Certamente ai ∈ J per ogni i ∈ k. Inoltre,
Pk
Pk
J è un ideale, in quanto, se
i=1 di ai ∈ J, λ ∈ A, grazie alle proprietà di
i=1 ci ai ∈ J,
associatività e di distributività di somma e di prodotto in A, si ha immediatamente che:
!
!
!
k
k
k
k
k
X
X
X
X
X
ci ai +
di a i =
(ci + di )ai ∈ J
e
λ
ci ai =
(λci )ai ∈ J.
Infatti, sia J :=
nP
k
i=1
i=1 ci ai
i=1
i=1
i=1
i=1
D’altra parte, J è il più piccolo ideale contenente gli ai perché ogni altro ideale di A con questa
proprietà deve contenere almeno anche le combinazioni lineari a coefficienti in A degli ai . Dunque
J = (S).
Più in generale, sia S ⊆ A un sottoinsieme qualunque di A e consideriamo la famiglia F :=
{Q ⊆ S : ∃k ∈ N \ {0} tale che |Q| = k}, ossia la famiglia dei sottoinsiemi finiti non vuoti di S.
Allora:


|Q|
X

[
(S) =
(Q) =
ci qi : Q ∈ F, ci ∈ A, qi ∈ Q per ogni i = 1, . . . , |Q| .
(1.3)


Q∈F
i=1
S
Infatti, sia I := Q∈F (Q). I è un ideale di A: mostriamo che è chiuso rispetto alla somma, essendo la verifica per il prodotto per elementi arbitrari di A del tutto analoga. Siano quindi a, b ∈ I:
esistono Sa ⊆ S e Sb ⊆ S, entrambi non vuoti e finiti, tali che a ∈ (Sa ) e b ∈ (Sb ). Ne segue che
a + b ∈ (Sa ∪ Sb ) perché a, b ∈ (Sa ∪ Sb ) e (Sa ∪ Sb ) è un ideale. Dunque, a + b ∈ I. Dal momento
che ogni ideale di A contenente S deve necessariamente contenere anche I, otteniamo che I = (S).
Definizione 1.2.2. Sia A un anello. Diciamo che un ideale I ⊆ A è finitamente generato se
∃n ∈ N∗ ed esistono g1 , . . . , gn ∈ I tali che I = (g1 , . . . , gn ). Più in generale, se Λ 6= ∅ e
(gλ )λ∈Λ ⊆ I è una famiglia di elementi di I tali che I = ((gλ )λ∈Λ ) (ossia I coincide con l’ideale
di A generato dai gλ ), si dice che i gλ generano I o che sono un sistema di generatori di I.
Osservazione 1.2.2. Ogni ideale I ⊆ A possiede un sistema di generatori, dato da I stesso.
Definizione 1.2.3. Sia A un anello. Se per ogni ideale I ⊆ A esiste m ∈ I tale che I = (m),
diciamo che A è a ideali principali.
1.2. OPERAZIONI TRA IDEALI
11
Prima di procedere oltre, introduciamo un paio di definizioni che useremo spesso d’ora in
avanti.
Definizione 1.2.4. Sia A un anello con A 6= {0}. Un elemento a ∈ A si dice invertibile in A se
∃b ∈ A tale che ab = 1.
L’insieme degli elementi invertibili di A è denotato con A× ed è sempre non vuoto perché almeno
1 ∈ A× .
Osservazione 1.2.3. Si ha banalmente:
(i) a ∈ A invertibile ⇒ a 6= 0;
(ii) se a ∈ A è invertibile allora esiste un unico b ∈ A tale che ab = 1. Tale b è detto l’inverso
di a e indicato con a−1 ;
(iii) se a, b ∈ A sono invertibili, allora anche a−1 e ab lo sono. Pertanto, A× è un sottogruppo
del monoide commutativo (A, ·, 1);
(iv) se A 6= {0} e I ⊆ A è un ideale, I è l’ideale improprio ⇔ I contiene un elemento invertibile
(I = A ⇔ I 3 1 = εε−1 per qualunque ε ∈ A invertibile);
Definizione 1.2.5. Sia A un anello commutativo e unitario. Si dice che A è un campo se in A
1 6= 0 e ogni elemento non nullo di A è invertibile.
Proposizione 1.2.2. Sia A un anello non banale. Allora A è un campo ⇔ i suoi unici ideali
sono {0} e A.
Dimostrazione. =⇒: sia {0} 6= I ⊆ A un ideale di A. Se a 6= 0 è un elemento di I allora anche
aa−1 = 1 lo è perché I è un ideale. Perciò I = A.
⇐=: sia a ∈ A∗ . Allora (a) 6= {0} e, dunque, (a) = A. In particolare, quindi, 1 ∈ (a), ossia
∃x ∈ A tale che ax = 1. Pertanto ogni elemento non nullo di A è invertibile.
Vediamo ora altri due modi per costruire ideali a partire da alcuni dati.
Definizione 1.2.6. Sia A un anello e siano I, J ideali di A. L’insieme:
I + J := {a + b : a ∈ I, b ∈ J}
(1.4)
è detto somma di I e J.
Proposizione 1.2.3. I + J è un ideale di A e I + J = (I ∪ J).
Dimostrazione. Abbiamo che I + J / A. Infatti, 0 = 0 + 0 ∈ I + J e se a1 , a2 ∈ I, b1 , b2 ∈ J
allora (a1 + b1 ) + (a2 + b2 ) = (a1 + a2 ) + (b1 + b2 ) ∈ I + J (abbiamo qui usato ripetutamente e
pesantemente l’associatività e la commutatività della somma in A e il fatto che I, J siano ideali
di A). Inoltre, se a ∈ I, b ∈ J e c ∈ A, c(a + b) = ca + cb ∈ I + J perché I e J sono chiusi
rispetto al prodotto per elementi arbitrari di A: abbiamo ottenuto che I + J è un ideale di A.
D’altra parte, vale ovviamente: I ⊆ I + J, J ⊆ I + J e ogni ideale di A contenente I ∪ J deve
anche contenere I + J. Pertanto, I + J = (I ∪ J).
Quanto appena visto giustifica la seguente definizione per induzione: se I1 , . . . In sono ideali
di A, poniamo, ∀n ∈ N∗ :
( n
)
X
I1 + I2 + · · · + In := (I1 + · · · + In−1 ) + In =
ai : ai ∈ Ii , ∀i ∈ n .
(1.5)
i=1
Notiamo che la somma di due ideali propri di un anello può essere l’ideale improprio: 2Z+3Z = Z.
12
CAPITOLO 1. ANELLI ED IDEALI
Osservazione 1.2.4. Se I1 , I2 , J ⊆ A sono ideali, abbiamo la seguente palese relazione:
(J ∩ I1 ) + (J ∩ I2 ) ⊆ J ∩ (I1 + I2 ).
(1.6)
La dimostrazione di questo fatto consiste nella constatazione che (J ∩ I1 ) + (J ∩ I2 ) è l’ideale
generato da (J ∩ I1 ) ∪ (J ∩ I2 ) e J ∩ Ii ⊆ J ∩ (I1 + I2 ) per i = 1, 2.
Esempio 1.2.1. In generale, non vale l’inclusione opposta in (1.6). Ad esempio, sia K un
campo e sia K[x, y] l’anello dei polinomi in due variabili a coefficienti in K. Definiamo I1 := (x) e
I2 := (y). Ora, I1 + I2 = {xP1 (x, y) + yP2 (x, y) : P1 (x, y), P2 (x, y) ∈ K[x, y]}, ossia gli elementi
di I1 + I2 sono tutti e soli i polinomi di K[x, y] privi di termine noto, i.e. che si annullano
quando valutati in (0, 0) ∈ K2 : I1 + I2 = (x, y). Poniamo a questo punto J := (x + y).
Vale (I1 + I2 ) ∩ J = (x, y) ∩ (x + y) = (x + y) perché (x + y) ( (x, y). Vediamo quindi
di capire come è fatto (J ∩ I1 ) + (J ∩ I2 ). P (x, y) ∈ J ∩ I1 ⇔ ∃Q(x, y) ∈ K[x, y] tale che
P (x, y) = (x + y)Q(x + y) e x|Q(x, y) (perché P (x, y) ∈ I1 = (x)) ⇔ P (x, y) = x(x + y)Q(x, y)
per qualche Q(x, y) ∈ K(x, y). Perciò J ∩ I1 = ((x + y)x) e, analogamente, J ∩ I2 = ((x + y)y).
Dunque, (J ∩ I1 ) + (J ∩ I2 ) = ((x + y)x) + ((x + y)y) = ((x + y)x, (x + y)y). Osserviamo che
certamente vale (1.6), ma in (J ∩ I1 ) + (J ∩ I2 ) non ci sono polinomi lineari (in x e/o in y) che
sono invece presenti in J ∩ (I1 + I2 ), ossia l’inclusione in (1.6) è stretta.
Definizione 1.2.7. Siano I, J ⊆ A ideali. Il prodotto tra I e J è definito e denotato da
IJ := ({f g}f ∈I, g∈J ).
Osservazione 1.2.5. Si verifica facilmente che
IJ = {
n
X
fi gi : n ∈ N, fi ∈ I e gi ∈ J ∀i = 0, . . . , n}.
(1.7)
i=0
Abbiamo la proposizione seguente:
Proposizione 1.2.4. Sia A un anello e siano I, J, K suoi ideali. Allora:
(i) IJ ⊆ I ∩ J;
(ii) I(J + K) = IJ + IK.
Dimostrazione. (i) ovvia: se f ∈ I, g ∈ J allora f g ∈ I perché I è un ideale e f g ∈ J perché
J è un ideale.
(ii) Mostriamo le due inclusioni:
⊆ : poiché IJ + IK è un ideale, è sufficiente mostrare che ∀a ∈ I e ∀b ∈ J + K, ab ∈
IJ + IK. Siano dunque a ∈ I e b ∈ J + K qualsiasi. Allora ∃b1 ∈ J, ∃b2 ∈ K tali che
b = b1 + b2 . Pertanto, ab = ab1 + ab2 . Essendo ab1 ∈ IJ e ab2 ∈ IK, ab ∈ IJ + IK;
⊇ : siano c ∈ IJ e d ∈ IK arbitrari. Allora ∃c1 , d1 ∈ I, ∃c2 ∈ J ed ∃d2 ∈ K tali
che: c = c1 c2 e d = d1 d2 . Perciò, in particolare, c = c1 (c2 + 0) ∈ I(J + K) e
d = d1 (0 + d2 ) ∈ I(J + K). Dal momento che I(J + K) è un ideale, concludiamo che
c + d ∈ I(J + K).
Notiamo che, in generale, l’inclusione al punto (i) della proposizione precedente è stretta. Ad
esempio, se A è un campo K e in K[t] consideriamo gli ideali I := J := (tn ) con n ∈ N∗ , abbiamo
che IJ = (t2n ) ( (tn ) = I ∩ J.
C’è però una condizione particolare sugli ideali I e J che assicura l’uguaglianza tra IJ e I ∩ J:
1.2. OPERAZIONI TRA IDEALI
13
Definizione 1.2.8. Sia A anello e siano I, J ⊆ A ideali. Essi si dicono coprimi se I + J = A.
Osserviamo che I, J ⊆ A sono ideali coprimi ⇔ ∃α ∈ I ed ∃β ∈ J tali che α + β = 1.
Assumiamo ora, per evitare banalità, I, J ( A. Abbiamo il risultato seguente:
Teorema 1.2.1 (Teorema Cinese del Resto.). Siano I, J ( A ideali coprimi. Allora:
(i) IJ = I ∩ J;
(ii) A/IJ ' A/I × A/J.1
Dimostrazione. (i) c’è da mostrare soltanto che I ∩ J ⊆ IJ. Sia γ ∈ I ∩ J e siano α ∈ I, β ∈ J
tali che α + β = 1. Allora: γ = γ · 1 = γ(α + β) = γα + γβ ∈ IJ perché γα, γβ ∈ IJ e
IJ / A.
(ii) Consideriamo la funzione f : A −→ A/I × A/J definita da: ∀a ∈ A, f (a) := ([a]I , [a]J ),
dove con [a]I intendiamo la classe di equivalenza di A modulo I e analogamente per [a]J .
Si tratta evidentemente di un omomorfismo di anelli. Inoltre, a ∈ A è tale che f (a) = 0
se e solo se si ha, contemporaneamente, [a]I = 0 e [a]J = 0, ovvero se e solo se ∃i ∈ I ed
∃j ∈ J tali che j = a = i ⇔ a ∈ I ∩ J = IJ grazie a (i). Dunque ker(f ) = IJ. Mostriamo
a questo punto che f è suriettiva. A tal scopo, sia b := ([x]I , [y]J ) ∈ A/I × A/J qualunque.
Esibiremo a ∈ A tale che f (a) = b. Osserviamo anzitutto che f (a) = ([a]I , [a]J ) = b ⇐⇒
x + i = a = y + j per opportuni i ∈ I, j ∈ J. Detti α ∈ I e β ∈ J tali che α + β = 1,
definiamo a := x + y − xα − yβ. Notiamo che:
– a = x + (−xα + y(1 − β)) = x + (α(y − x)) e α(y − x) ∈ I perché α ∈ I;
– a = y + (x − xα − yβ) = y + (x(1 − α) − yβ) = y + β(x − y) e β(x − y) ∈ J perché
β ∈ J.
Quindi a è tale che f (a) = b, cioè, vista l’arbitrarietà di b ∈ A/I × A/J, f è suriettiva.
Corollario 1.2.1. Siano m, n ∈ Z tali che MCD(m, n)=1. Allora Z/mnZ ' Z/mZ × Z/nZ.
Dimostrazione. Per l’identità di Bezout, ∃a, b ∈ Z tali che am + bn = 1, ossia (m) e (n) sono
coprimi.
Definizione 1.2.9. Sia A anello, k un intero ≥ 2 e I1 , · · · , Ik ideali di A. I1 , . . . , Ik si dicono
coprimi se per ogni i, j ∈ {1, . . . , k} con i 6= j gli ideali Ii and Ij sono coprimi, i.e. Ii + Ij = A.
Teorema 1.2.2 (Teorema Cinese del Resto, forma generale.). Sia k ≥ 2 un intero, I1 , . . . , Ik (
A ideali coprimi. Allora:
(i) I1 · · · Ik = I1 ∩ · · · ∩ Ik ;
(ii) I1 e l’ideale I2 · · · Ik sono coprimi;
(iii) la mappa naturale A/I1 · · · Ik
/
Qk
i=1
A/Ii
1 Ricordiamo che, se R, S sono anelli, l’insieme R × S diventa un anello con le operazioni componente per
componente: ∀(a, b), (c, d) ∈ R × S, (a, b) + (c, d) := (a + c, b + d) e (a, b)(c, d) := (ac, bd).
14
CAPITOLO 1. ANELLI ED IDEALI
Dimostrazione. Abbiamo appena dimostrato il caso k = 2 e quindi possiamo assumere k >
2 e (per induzione su k) che il teorema sia vero per k − 1 ideali coprimi. poiché I1 ed Ih
sono Q
coprimi, per ogni h = 2, . . . , k esiste eh ∈ I1 and fh ∈ Ih con eh + fh = 1. Si ha
k
1 = h=2 (eh + fh ) = f2 · · · fh + c con c somma di termini del tipo eh ah with eh ∈ I1 ed
ah ∈ A. Quindi c ∈ A, provando che I1 e l’ideale I2 · · · Ik sono coprimi. Per l’ipotesi induttiva si
ha I2 · · · Ik = I1 ∩ · · · ∩ Ik . Quindi parte (i) del caso k = 2 implica anche (i) ed implica che la
/ A/I1 × A/I2 · · · Ik sia un isomorfismo. (ii) e parte (i) del caso
mappa naturale A/I1 ∩ I2 · · · Ik
k = 2 implica I1 ∩ I2 · · · Ik = I1 · · · Ik . L’ipotesi induttiva implica che l’omomorfismo naturale
/ A2 × · · · Ak è un isomorfismo. Componete i due isomorfismi appena ottenuti.
A/I2 · · · Ik
1.3
Ideali Primi e Ideali Massimali
Definizione 1.3.1. Sia A un anello. Un sottoinsieme S ⊆ A si dice moltiplicativo (oppure
moltiplicativamente chiuso) se
1∈S
e
∀a, b ∈ S, ab ∈ S.
(1.8)
Esempio 1.3.1. Sia A un anello.
1. S = {1} è il più piccolo insieme moltiplicativo in A.
2. Se 0 6= f ∈ A, S = {f n : n ∈ N} è un insieme moltiplicativo.
Definizione 1.3.2. Un ideale P ⊆ A si dice primo se
P 6= A
e
∀a, b ∈ A, ab ∈ P ⇒ a ∈ P o b ∈ P.
(1.9)
L’insieme di tutti gli ideali primi di A è detto spettro di A e denotato con Spec(A).
Osservazione 1.3.1. Abbiamo che P ⊆ A è primo ⇔ A \ P è moltiplicativo.
Definizione 1.3.3. Un ideale M ⊆ A si dice massimale se M 6= A e non esiste alcun M 6= J 6= A,
ideale proprio di A, contenente M . In altre parole, M è un ideale massimale di A se e soltanto
se:
M 6= A
e (M ⊆ L ⊆ A con L ideale) ⇒ L = M oppure L = A.
(1.10)
Osservazione 1.3.2. Dalla definizione appena data è immediato constatare che un ideale M ( A
è massimale se e soltanto se ∀a 6∈ M, (M, a) = A.
Notiamo che, in base alle definizioni date, l’anello banale A = {0} non ha né ideali primi né
ideali massimali.
Definizione 1.3.4. Un anello A si dice dominio (di integrità) se l’ideale (0) = {0} è primo,
ossia, equivalentemente, se A 6= {0} e ∀a, b ∈ A∗ , ab 6= 0. Se A è un dominio ed è a ideali
principali (cfr. definizione 1.2.3), diciamo e scriviamo brevemente che A è un PID.2
Osservazione 1.3.3. Un anello A è un dominio se e solo se A\{0} è moltiplicativamente chiuso.
Osservazione 1.3.4. Un campo K è un dominio: se a, b ∈ K \ {0} allora ab è invertibile perché
a e b lo sono. In particolare, dunque, ab 6= 0.
Proposizione 1.3.1. Sia A un anello e sia I ⊆ A un ideale. Allora:
2 Principal
Ideal Domain
1.3. IDEALI PRIMI E IDEALI MASSIMALI
15
1. se I è massimale, I è primo;
2. I è primo ⇔ A/I è un dominio;
3. I è massimale ⇔ A/I è un campo.
Dimostrazione. In virtù dell’osservazione 1.3.4, sarebbe sufficiente mostrare 2. e 3. per avere
automaticamente la validità di 1. Tuttavia, diamo comunque una dimostrazione diretta di tutti
gli enunciati.
1. Sia I massimale. Ciò significa, in particolare, che I 6= A. Siano ora a 6∈ I e b 6∈ I e
verifichiamo che ab 6∈ I. Essendo I massimale, abbiamo:
a 6∈ I ⇒ (I, a) = A e, allo stesso modo, b 6∈ I ⇒ (I, b) = A.
Pertanto, ∃x, y ∈ I ed ∃α, β ∈ A tali che x + αa = 1 = y + βb. Conseguentemente,
1 = 1 · 1 = (x + αa)(y + βb) = xy + αay + βbx + αβab. D’altra parte, 1 6∈ I, ma
xy, αay, βbx ∈ I perché x, y ∈ I. Quindi deve essere αβab 6∈ I e, allora, anche ab 6∈ I,
come voluto.
2. Siano α, β ∈ A/I con α 6= 0 6= β e consideriamo l’omomorfismo quoziente π : A −→ A/I.
Poiché π è suriettiva, ∃a, b ∈ A tali che π(a) = α e π(b) = β. Ora, abbiamo che, ∀x ∈ A, x ∈
I ⇔ π(x) = 0. Pertanto, otteniamo che I è primo ⇔ ∀a, b ∈
/ I, ab 6∈ I ⇔ αβ 6= 0 ⇔ A/I è
un dominio.
3. Sia I massimale e sia 0 6= α ∈ A/I. Mostriamo che ∃γ ∈ A/I tale che αγ = 1. Ciò, data
l’arbitrarietà di α 6= 0 in A/I ci permetterà di concludere che A/I è un campo (infatti in
A/I vale che 0 6= 1 perché I ( A). Sia a ∈ π −1 ({α}) : poiché α 6= 0 e π(a) = α 6= 0, a 6∈ I.
Dunque, essendo I massimale, (I, a) = A. In particolare, ∃b ∈ I, ∃x ∈ A tali che b+ax = 1.
Se poniamo γ := π(x) ed applichiamo π ad entrambi i membri dell’uguaglianza precedente,
otteniamo: 1 = π(1) = π(b) + π(a)π(x) = αγ, come voluto.
Viceversa, sia A/I un campo. Allora, in particolare, A/I 6= {0}, ossia I 6= A. Sia ora
a∈
/ I generico. La tesi si avrà, data l’arbitrarietà di a 6∈ I, se mostreremo che (I, a) = A.
Poniamo α = π(a) e sia γ ∈ A/I tale che γα = 1. Se c ∈ π −1 ({γ}), 1 = π(1) = π(ac). Ne
segue che ∃δ ∈ I tale che ac + δ = 1 ⇔ (I, a) = A.
Se I ( A è un ideale, vi è una corrispondenza biunivoca tra gli ideali primi (rispettivamente
massimali) di A/I e gli ideali primi (risp. massimali) di A contenenti I. Infatti:
Proposizione 1.3.2. Siano A un anello e I ( A un suo ideale.
(i) P è primo in A/I ⇔ π −1 (P ) è primo in A.
(ii) M è massimale in A/I ⇔ π −1 (M ) è massimale in A.
Dimostrazione. (i) Assumiamo P primo in A/I. Dunque, in particolare, P ( A/I e allora
π −1 (P ) ( A. Siano ora a, b ∈ A qualsiasi tali che ab ∈ π −1 (P ). Ne segue che π(ab) =
π(a)π(b) ∈ P , ossia, poiché P è primo, π(a) ∈ P ⇔ a ∈ π −1 (P ) oppure π(b) ∈ P ⇔ b ∈
π −1 (P ). Quindi anche π −1 (P ) è primo.
Supponiamo viceversa che π −1 (P ) sia primo in A e siano α, β ∈ A/I tali che αβ ∈ P .
Scegliamo a, b ∈ A tali che π(a) = α e π(b) = β. Ora, se αβ ∈ P , π −1 ({αβ}) ⊆ π −1 (P ) ⇒
ab ∈ π −1 (P ). Essendo π −1 (P ) primo, questo significa che a ∈ π −1 (P ) ⇔ π(a) = α ∈ P
oppure b ∈ π −1 (P ) ⇔ π(b) = β ∈ P . Pertanto, P è primo.
16
CAPITOLO 1. ANELLI ED IDEALI
(ii) Supponiamo dapprima che M ( A/I sia massimale e sia a ∈ A qualunque tale che a 6∈
π −1 (M ) ⇒ α := π(a) 6∈ M ⇒ (M, α) = A/I per massimalità di M . Dunque, ∃η ∈
M, ∃ξ ∈ A/I tali che 1A/I = η + αξ ⇒ π −1 ({1A/I }) = π −1 ({η + αξ}). Presi l ∈ π −1 (M )
e x ∈ A tali che π(l) = η e π(x) = ξ, certamente l + ax è una controimmagine di η + αξ
via π. Da π(1A ) = 1A/I = π(l + ax) segue che ∃m ∈ I ⊆ π −1 (M ) tale che 1 + m =
l + ax ⇔ l − m + ax = 1. Poiché l − m ∈ π −1 (M ) in quanto quest’ultimo è un ideale,
abbiamo appena scritto che 1 ∈ (π −1 (M ), a) ⇔ (π −1 (M ), a) = A. Dall’arbitrarietà di
a ∈ A \ π −1 (M ), ricaviamo che π −1 (M ) è massimale.
Viceversa, sia π −1 (M ) ⊆ A massimale e sia α ∈ A/I con α 6∈ M . Dunque π −1 ({α}) ∩
π −1 (M ) = ∅. Sia a ∈ A tale che π(a) = α. Per massimalità di π −1 (M ), (π −1 (M ), a) = (1)
(a ∈ π −1 ({α}) ⇒ a 6∈ π −1 (M )). Dunque, ∃l ∈ π −1 (M ), ∃x ∈ A tale che l + ax = 1. Ne
segue che π(l) + π(a)π(x) = 1A/I . Poiché π(l) ∈ M e π(a) = α, abbiamo appena ottenuto
che 1A/I ∈ (M, α), cioè (M, α) = A.
Il nostro prossimo obiettivo è mostrare che ogni anello (commutativo con unità) non banale
possiede ideali massimali e, dunque, ideali primi. Prima di fare ciò, necessitiamo di alcuni
richiami insiemistici, in particolare del celebre Lemma di Zorn.
Definizione 1.3.5. Sia Σ un insieme. Un ordinamento parziale su Σ è una relazione S su Σ
(ossia un sottoinsieme S ⊆ Σ × Σ) la quale, usando la notazione aSb per intendere che (a, b) ∈ S,
soddisfi le seguenti proprietà:
• sia riflessiva: ∀a ∈ A, aSa;
• sia antisimmetrica: ∀a, b ∈ A aSb e bSa ⇒ a = b;
• sia transitiva: ∀a, b, c ∈ A, aSb e bSc ⇒ aSc.
Un insieme parzialmente ordinato è una coppia (Σ, ≤), dove ≤ è un ordinamento parziale
sull’insieme Σ.
Definizione 1.3.6. Sia (Σ, ≤) un insieme parzialmente ordinato. Un sottoinsieme C ⊆ Σ si dice
catena (in Σ rispetto a ≤) se ∀a, b ∈ C, a ≤ b oppure b ≤ a.
Se ∃γ ∈ Σ tale che ∀a ∈ C, a ≤ γ diciamo che γ è un maggiorante per C.
Vale il seguente
Teorema 1.3.1 (Lemma di Zorn). Sia (Σ, ≤) un insieme parzialmente ordinato. Se ogni catena
C ⊆ Σ possiede un maggiorante, allora Σ ha un elemento massimale, ossia
∃a ∈ Σ tale che ∀b ∈ Σ, a ≤ b ⇒ a = b.
(1.11)
A questo punto abbiamo gli strumenti per mostrare il notevole
Teorema 1.3.2 (Lemma di Krull-Zorn). Sia A un anello commutativo con unità non banale.
Se I ( A è un ideale, allora esiste un ideale massimale M di A tale che I ⊆ M .
Dimostrazione. Definiamo
Σ := {J ∈ P(A) : J 6= A e J è un ideale di A contenente I }
(1.12)
Osserviamo che Σ 6= ∅ perché I ∈ Σ. Su Σ definiamo l’ordinamento parziale dato dall’inclusione
insiemistica:
∀I1 , I2 ∈ Σ, I1 ≤ I2 ⇔ I1 ⊆ I2 .
(1.13)
1.3. IDEALI PRIMI E IDEALI MASSIMALI
17
S
Sia ora ∅ =
6 C ⊆ Σ una catena e mostriamo che essa ha almeno un maggiorante. Sia J := L∈C L:
verifichiamo che si tratta del maggiorante cercato. Certamente I ⊆ J e ∀L ∈ C, L ⊆ J. Inoltre,
poiché ogni L ∈ C è contenuto propriamente in A, ∀L ∈ C, 1 6∈ C ⇒ 1 6∈ J, ossia J ( A. A
questo punto, per concludere che J è maggiorante di C basta provare che J è un ideale. In effetti:
• 0 ∈ J perché 0 ∈ L per ogni L ∈ C;
• ∀a ∈ J e ∀c ∈ A esiste L ∈ C con a ∈ L. Ciò implica che ac ∈ L perché L è un ideale,
ossia ac ∈ J;
• siano a1 , a2 ∈ J qualsiasi. Allora ∃L1 ∈ C con a1 ∈ L1 ed ∃L2 ∈ C con a2 ∈ L2 .Poiché C
è una catena in Σ rispetto all’inclusione , si dovrà avere L1 ⊆ L2 oppure L2 ⊆ L1 .A meno
di permutare gli indici, possiamo assumere WLOG3 che sia 1 ⊆ L2 . Pertanto a1 , a2 ∈ L ⇒
a1 + a2 ∈ L2 ⇒ a1 + a2 ∈ J.
Dunque J è un maggiorante di C. Per l’arbitrarietà della catena C ⊆ Σ, grazie al Lemma di
Zorn, deduciamo che esiste un elemento M ∈ Σ che sia massimale per la relazione di inclusione
in Σ. Ciò conclude la nostra dimostrazione, in quanto M è un ideale massimale: se K ⊆ A è tale
che I ⊆ M ⊆ K ( A, per massimalità di M rispetto a ≤, M ≤ K ⇒ M = K.
Corollario 1.3.1. Sia A 6= {0} un anello. Allora Spec(A) 6= ∅.
Corollario 1.3.2. Per ogni anello A, sia M := {M ( A : M è un ideale massimale}. Allora:
[
A× = A \
M.
M ∈M
Dimostrazione. Sia I := {I ( A : I è un ideale di A}, la famiglia degli ideali propri contenuti in
A. Poiché ogni ideale massimale è un ideale proprio e, viceversa, ogni ideale proprio è contenuto
in un ideale massimale, abbiamo che:
[
[
M=
I.
M ∈M
I∈I
×
Pertanto, è sufficiente mostrare che AS
= A \ I∈I I. Se a ∈ A× , a non è contenuto in nessun
ideale proprio. Viceversa, se a ∈ A \ I∈I I, allora (a) = (1), cioè a è invertibile. Ciò conclude
la dimostrazione: notiamo comunque che, poiché ogni ideale massimale è anche primo e ciascun
ideale primo è contenuto in un ideale massimale, vale ulteriormente:
[
[
[
I=
M=
P.
S
I∈I
M ∈M
P ∈Spec(A)
Osservazione 1.3.5. Il teorema di Krull-Zorn si può formulare equivalentemente dicendo che
ogni anello non banale A ammette almeno un ideale massimale. Infatti, supponiamo che quest’ultimo fatto, all’apparenza più debole del teorema 1.3.2, sia vero e sia I ( A un ideale.
Consideriamo quindi l’anello quoziente A/I: per ipotesi, esso contiene un ideale massimale M .
Da ciò segue che, detto π : A −→ A/I l’omomorfismo quoziente, π −1 (M ) è un ideale massimale
che contiene I perché 0A/I ∈ M (cfr. proposizione 1.3.2). Abbiamo quindi mostrato la validità
del lemma di Krull-Zorn.
3 Without
Loss Of Generality
18
CAPITOLO 1. ANELLI ED IDEALI
Proposizione 1.3.3. Sia A un anello sia S ⊆ A un insieme moltiplicativo. Per ogni ideale
I ⊂ A tale che I ∩ S = ∅, esiste un ideale primo P di A tale che I ⊆ P e P ∩ S = ∅.
Dimostrazione. Consideriamo l’insieme parzialmente ordinato (Σ, ⊆) dove:
Σ := {J ⊆ A : I ⊆ J, J è un ideale di A e J ∩ S = ∅}.
Si ha I ∈ Σ e quindi Σ 6= ∅. Dato che 1 ∈ S, ogni elemento di Σ è un ideale proprio. Ragionando
come nella dimostrazione del teorema 1.3.2, si ottiene che ogni catena C ⊆ Σ ammette almeno un
maggiorante (dato da ∪C). Per il lemma di Zorn, esiste un elemento P ∈ Σ massimale, il quale,
dunque, è in particolare diverso da A. La tesi seguirà perché mostreremo che ogni elemento
massimale di Σ è un ideale primo. Infatti, sia P ∈ Σ massimale e siano a 6∈ P e b 6∈ P . Ne segue
che P ( (a, P ) e P ( (b, P ). Inoltre, per massimalità di P , (a, P ) 6∈ Σ e (b, P ) 6∈ Σ.
Quindi esiste S ∩ (a, P ) 6= ∅ e S ∩ (b, P ) 6= ∅. Quindi ci sono p1 , p2 ∈ P e c1 , c2 ∈ A tali che
c1 a + p1 ∈ S e c2 b + p2 ∈ S. Poiché S é moltiplicativo, si ha (c1 a + p1 )(c2 b + p2 ) ∈ S. Si ha
c2 bp1 + c1 ap2 + p1 p2 ∈ P perché P é un ideale. Poiché P ∈ Σ si ha P ∩ S = ∅ e quindi c1 c2 ab ∈
/ P.
Quindi ab ∈
/ P.
1.4
Nilradicale ed Ideali Radicali
Definizione 1.4.1. Sia A un anello. Un elemento a ∈ A si dice divisore dello zero se ∃b 6= 0
tale che ab = 0.
Si dice che a ∈ A è nilpotente se ∃k ∈ N∗ tale che ak = 0. Se a è nilpotente, chiamiamo ordine
di nilpotenza di a il minimo intero m ∈ N∗ per cui am = 0.
Notiamo che, se a ∈ A è nilpotente con ordine di nilpotenza m, allora banalmente a è anche
un divisore dello zero e ∀n > m, an è nilpotente. Inoltre, un anello A è un dominio se e soltanto
l’unico divisore della zero in A è lo zero stesso.
Esempio 1.4.1. Se p ∈ Z è primo e k ∈ N con k ≥ 2, Z/(pk ) contiene elementi nilpotenti diversi
dallo zero (ad esempio [p]).
Definizione 1.4.2. Se A è un anello, il nilradicale di A, denotato con nil(A) è l’insieme degli
elementi nilpotenti di A.
Proposizione 1.4.1. nil(A) è un ideale.
Dimostrazione. Evidentemente 0 ∈ nil(A) e se a ∈ nil(A) con ordine di nilpotenza n, allora
∀λ ∈ A, (λa)n = λn an = 0. Sia ora b ∈ nil(A) e sia m ∈ N∗ il suo ordine di nilpotenza. Per la
formula del binomio di Newton:
m+n−1
X m + n − 1
m+n−1
(a + b)
=
ai bm+n−1−i .
i
i=0
Ora, ∀i = 0, . . . , m + n − 1 :
• se i ≥ n, ai = 0 =⇒
m+n−1
i
ai bm+n−1−i = 0;
• se i ≤ n − 1, m + n − 1 − i ≥ m =⇒ bm+n−1−i = 0 =⇒
Pertanto, a + b ∈ nil(A).
Il Lemma di Zorn assicura la validità anche della seguente
m+n−1
i
ai bm+n−1−i = 0.
1.4. NILRADICALE ED IDEALI RADICALI
19
Proposizione 1.4.2. Se A 6= {0} è un anello, allora
\
nil(A) =
P.
P ∈Spec(A)
Dimostrazione. Sia f ∈ nil(A) e sia s ∈ N∗ il suo ordine di nilpotenza. Consideriamo P ∈
Spec(A) qualunque. Se s = 1, non c’è ovviamente niente da dire. Se s ≥ 2, P 3 0 = f s = f f s−1 ,
da cui deduciamo che f ∈ P per minimalità di s e perché P è primo.
Viceversa, sia f ∈
/ nil(A) e definiamo l’insieme moltiplicativo S := {f k ∈ A : k ∈ N}. Certamente
0 ∈
/ S perché f ∈
/ nil(A). Dunque, S ∩ (0) = ∅ e allora, per la proposizione 1.3.3, esiste
P ∈ Spec(A) con (0 ∈ P e) P ∩ S = ∅. Concludiamo che f ∈
/ P (in quanto f ∈ S).
Definizione √
1.4.3. Sia A un anello e sia I ⊆ A un suo ideale. Il radicale di I, denotato con
rad(I) o con I, è l’insieme:
√
I := {f ∈ A : ∃k ∈ N con k > 0 e f k ∈ I}.
(1.14)
p
√
√
Osservazione 1.4.1. Notiamo che I ⊆ I e nil(A) = (0). Inoltre, π( I) = nil(A/I), dove
π : A → A/I è l’omomorfismo quoziente.
Come ci si può aspettare vale
√
Proposizione 1.4.3. I è un ideale.
Dimostrazione. La dimostrazione è omessa, perché è analoga a quella compiuta per il nilradicale,
osservando che I è un ideale.
√
Definizione 1.4.4. Un ideale I ( A si dice (ideale) radicale se I = I.
Nella prossima proposizione raccogliamo alcuni risultati relativi ai radicali di un ideale e agli
ideali radicali.
Proposizione 1.4.4. Sia A un anello e siano I ⊆ A e J ⊆ A ideali. Valgono i fatti seguenti.
√
1. I = A ⇐⇒ I = A;
√
√
2. I ⊆ J =⇒ I ⊆ J;
p√
√
√
3.
I = I, cioè I è radicale;
√
4. I è il più piccolo radicale contenente I;
5. se I è primo, I è radicale;
6. sia Γ unT arbitrario insieme di indici e sia {Jα }α∈Γ una famiglia di ideali radicali di A.
Allora
Jα è radicale;
α∈Γ
7. se n ∈ N∗ e {Ik }k∈n è una famiglia di ideali di A, allora:
s\
\p
Ik =
Ik .
k∈n
k∈n
√
√
Dimostrazione.
1. Evidentemente,
se I = A, A = A. D’altra parte, se, viceversa, I = A,
√
allora, in particolare, 1 ∈ I, cioè ∃k ∈ N∗ tale che 1k = 1 ∈ I. Quindi I = A.
20
CAPITOLO 1. ANELLI ED IDEALI
√
√
2. Sia f ∈ I con k ∈ N∗ tale che f k ∈ I. Allora f k ∈ J ⇐⇒ f ∈ J.
p√
√
I ⇐⇒ ∃k ∈ N∗ tale che f k ∈ I ⇐⇒ ∃m ∈ N∗ con (f k )m = f km ∈ I ⇐⇒ f ∈
3. f√ ∈
I.
√
√
4. Se J ( A è un ideale radicale tale che I ⊆ J, allora, grazie al secondo punto, I ⊆ J = J.
√
√
5. Sia I primo: dobbiamo mostrare soltanto che I ⊆ I. In effetti, se f ∈ I e m è il minimo
intero positivo per cui f m ∈ I, allora deve essere necessariamente m = 1 perché se fosse,
per assurdo, m ≥ 2 si avrebbe che I 3 f m = f f m−1 =⇒ f ∈ I oppure f m−1 ∈ I in
quanto I è primo. Ciò contraddice manifestamente la minimalità di m.
rT
T
Jα qualunque: ∃k ∈ N∗ : f k ∈
Jα =⇒ ∀α ∈ Γ, f k ∈ Jα =
6. Consideriamo f ∈
α∈Γ
α∈Γ
√
T
Jα =⇒ f ∈ Jα per ogni α ∈ Γ. Perciò, f ∈
Jα .
α∈Γ
rT √
rT
T
T √
2.
6. T √
Ik =⇒
Ik ⊆
Ik =⇒
Ik ⊆
Ik =
Ik .
k∈n
k∈n
k∈n
k∈n
k∈n
k∈n
T √
Viceversa, se f ∈
Ik , per ogni k ∈ n sia jk ∈ N∗ il minimo intero per cui f jk ∈ Ik .
7. ∀k ∈ n,
T
Ik ⊆
√
k∈n
m
Poniamo m := max({jr
∈ Ik per ciascun k = 1, . . . , n, ossia
k : k ∈ n}): ovviamente f
T
T
m
Ik ⇐⇒ f ∈
Ik .
f ∈
k∈n
k∈n
Lapparte (7) è falsa per p
intersezioni finite,
√ anche in anelli molto buoni, ad esempio in Z si ha
n) =
=T
(p), mentreT ∩n>0
(p
0 = 0. Si ha sempre anche per famiglie infinite S di
∩n>0 (pn ) p
√
ideal I − s:
Is .
s∈S Is ⊆
s∈S
Tra gli ideali radicali di un anello e di un suo quoziente rispetto ad un qualunque ideale vale
una relazione analoga a quella vista per gli ideali primi e massimali. Più precisamente:
Proposizione 1.4.5. Siano A un anello, I ⊆ A un ideale e π : A −→ A/I l’omomorfismo
quoziente. Allora
J ( A/I è un ideale radicale ⇐⇒ π −1 (J) lo è.
(1.15)
Dimostrazione. Supponiamo dapprima che J ( A/I sia un ideale radicale e prendiamo x ∈
p
π −1 (J) qualunque. Se k ∈ N∗ soddisfa xk ∈ π −1 (J) allora (π(x))k ∈ J. Poiché J è radicale,
π(x) ∈ J ⇐⇒ x ∈ π −1 (J).
Viceversa, se π −1 (J) è radicale, consideriamo un qualsiasi y ∈ A/I per il quale esista m ∈ N∗
con y m ∈ J. Preso w ∈ A tale che π(w) = y, π(wk ) = y k ∈ J =⇒ wk ∈ π −1 (J), ovvero, in
quanto π −1 (J) è radicale, w ∈ π −1 (J) ⇐⇒ y = π(w) ∈ J.
Proposizione 1.4.6. Sia A un anello. Per ogni ideale I ( A vale:
\
√
I=
P.
I⊆P ∈Spec(A)
In particolare, se I è primo, I è anche radicale.
Dimostrazione. p
Se I ( ATè un ideale qualsiasi, consideriamo l’anello quoziente A/I. Sappiamo
che nil(A/I) = {0} = Q∈Spec(A/I) Q (cfr. proposizione 1.3.2). A questo punto prendiamo
le controimmagini secondo π di entrambi i membri dell’uguaglianza appena scritta per ottenere
1.5. ANELLI LOCALI
21
(ricordando che Q ∈ Spec(A/I) ⇐⇒ π −1 (Q) ∈ Spec(A) e osservando che se J è un ideale di
A/I allora I ⊆ π −1 (J)):
\
\
\
√
I = π −1 ({0A/I }) = π −1 (
Q) =
π −1 (Q) =
P.
Q∈Spec(A/I)
1.5
Q∈Spec(A/I)
I⊆P ∈Spec(A)
Anelli Locali
Definizione 1.5.1. Un anello A si dice locale se possiede uno e un solo ideale massimale.
Ogni campo è, chiaramente, un anello locale, dal momento che il suo unico ideale massimale
è {0}.
Proposizione 1.5.1. Sia A un anello e sia I ( A un suo ideale. Sono equivalenti:
(i): A è un anello locale con I suo unico ideale massimale;
(ii): ogni elemento di A \ I è invertibile;
(iii): A \ I è l’insieme di tutti gli elementi invertibili in A, i.e. A \ I = A× .
Dimostrazione.
• (i) =⇒ (ii) : sia f ∈ A \ I. Esso è invertibile se e soltanto se (f ) = (1) = A. D’altra parte,
poiché I è l’unico ideale massimale in A, (f ) non può essere un ideale proprio perché, se
lo fosse, per il lemma di Krull-Zorn dovrebbe essere contenuto in un ideale massimale, cioè
in I, il che è assurdo perché f ∈
/ I. Dunque, (f ) = A e f è invertibile.
• (ii) =⇒ (iii) : dobbiamo solo verificare che A× ⊆ A \ I. In effetti, se a ∈ I, cioè a ∈
/ A \ I,
allora a ∈
/ A× perché se a fosse invertibile, si dovrebbe avere 1 ∈ I, ossia I = A, un assurdo.
• (iii)F =⇒
A =
S (i) : per la proposizione 1.3.2, se M
F := {M ( A : M è massimale},
S
A× (
M ). Poiché ovviamente A = (A \ I) I, ciò implica che I =
M . Essendo
M ∈M
M ∈M
I un ideale proprio di A, esiste un ideale massimale N di A con I ⊆ N . Ne segue che deve
essere I = N . Dunque, I è un ideale massimale ed è necessariamente unico.
La prossima proposizione fornisce una condizione sufficiente affinché un anello quoziente sia
locale.
√
Proposizione 1.5.2. Sia A un anello e I ⊆ A un suo ideale. Se I è massimale, A/I è
un anello locale con nil(A/I) suo ideale massimale. In particolare, ogni elemento di A/I o è
invertibile oppure è nilpotente.
√
√
Dimostrazione. Sappiamo che nil(A/I) = π( I) ed è dunque massimale perché I lo è per
ipotesi. D’altra parte, se M ( A/I è un ideale massimale allora esso è anche primo e quindi
deve contenere nil(A/I) perché quest’ultimo è l’intersezione di tutti gli ideali primi di A/I. Ne
segue, per massimalità di nil(A/I), che M = nil(A/I). L’ultima affermazione discende dalla
proposizione precedente. Osserviamo che nil(A/I) è anche l’unico ideale primo di A/I.
22
CAPITOLO 1. ANELLI ED IDEALI
Vogliamo ora costruire un esempio non banale di anello locale.
Sia t un insieme e consideriamo M := {f : {t} −→ N}, l’insieme di tutte le funzioni da {t} in N.
Se dotiamo tale insieme del prodotto naturale (∀f, g ∈ M, f g è la funzione {t} −→ N tale che
f g(t) = f (t)g(t)), M diventa chiaramente un monoide: scrivendo ogni suo elemento f come tn
dove N 3 n := f (t), ricaviamo che M = {tn : n ∈ N}. Consideriamo a questo punto un anello A
e definiamo AJtK := {g : M −→ A}. Ogni elemento di AJtK è dunque una funzione M −→ A che
assegna
tn ∈ M un an ∈ A. Denotiamo (si badi bene, non definiamo) questo elemento
P∞a ciascun
n
con n=0 an t . Con tale convenzione, possiamo perciò scrivere:
(∞
)
X
n
an t : an ∈ A, ∀n ∈ N .
AJtK :=
(1.16)
n=0
Su questoPinsieme definiamo
due operazioni di somma e di prodotto date, rispettivamente, da:
P∞
∞
per ogni n=0 an tn , n=0 bn tn ∈ AJtK
P∞
P∞
P∞
• ( n=0 an tn ) + ( n=0 an tn ) := n=0 (an + bn )tn ;
P∞ Pp+q
P∞
P∞
• ( n=0 an tn )( n=0 bn tn ) := n=0 ( p=0 ap bp+q−n )tn .
Abbiamo che (AJtK, +, ·) è un anello, detto anello delle serie formali a coefficienti in A.
Osservazione 1.5.1. Evidentemente, se x è un insieme con t 6= x, AJtK P
' AJxK: un isomorfismo
P∞
∞
tra AJtK e AJxK è quello ovvio indotto dall’unica funzione {t} −→ {x} ( i=0 ai ti 7→ i=0 ai xi ).
Siamo pertanto legittimati a parlare de l’ anello delle serie formali a coefficienti in A, poiché esso
è unico a meno di isomorfismi.4
Notiamo inoltre che l’anello dei polinomi a coefficienti in A, A[t]5 , è un sottoanello di AJtK.
Proposizione 1.5.3. Sia A un anello. Valgono i seguenti fatti:
(i): A è un dominio ⇐⇒ A[t] lo è;
(ii): A è un dominio ⇐⇒ AJtK lo è.
Dimostrazione. Mostriamo solo (i) in quanto la verifica di (ii), considerata la definizione di
prodotto in AJtK, è immediatamente riconducibile a quella
che A sia un
Pm di (i). Supponiamo
Pn
dominio e consideriamo due elementi non nulli f := j=0 aj tj e g := i=0 bi ti di A[t]. Ciò
significa che gli insiemi:
B := {j ∈ {0, . . . , m} : aj 6= 0}
C := {i ∈ {0, . . . , n} : bi 6= 0}
sono entrambi
di B e di C rispettivamente. Allora
Pp+qnon vuoti. Siano
Pp+qdunque p e q i minimi
Pq−1
(f g)p+q = k=0 ak bp+q−k = h=p ah bp+q−h = ap bq + l=0 ap+q−l bl = ap bq 6= 0 perché A è un
dominio. Dunque, se A è un dominio lo è pure A[t]; l’implicazione opposta è banale.
Il prossimo teorema costituisce il motivo per cui abbiamo introdotto qui il concetto di serie
formali.
Teorema 1.5.1. Sia A un anello. Allora:
P∞
1. a = i=0 ai ti ∈ AJtK è invertibile ⇐⇒ a0 lo è.
4 Se non fosse chiaro, la costruzione vista per AJtK con t insieme formalizza l’idea intuitiva di serie formale
come “somma infinita nella indeterminata t”.
5 Qualora non sia già nota, cfr. per una definizione di A[t].
1.5. ANELLI LOCALI
23
Se A è un campo K, vale:
2. KJtK è locale con (t) suo ideale massimale;
3. KJtK è un dominio a ideali principali. In particolare, se I ( KJtK è un ideale o I = {0}
oppure ∃k ∈ N∗ con I = (tk ) ed inoltre, in questo caso, k è univocamente determinato da
I.
Dimostrazione.
P∞
1. Se aP
è invertibile in AJtK e b = i=0 bi ti , allora, in particolare, a0 b0 =P1. Viceversa, sia
∞
∞
i
a = i=0 ai ti ∈ AJtK tale che a0 sia invertibile in A. Notiamo
Pnche b = i=0 bi t ∈ AJtK è
tale che ab = 1 in AJtK se e P
soltanto se a0 b0 = 1 e, ∀n ≥ 1, s=0 as bn−s = 0. Esibiamo a
∞
questo punto una serie b = i=0 bi ti ∈ AJtK inversa di a, costruendo i coefficienti bi , per
∗
ogni i ∈ N, come segue: poniamo b0 := a−1
0 e ∀i ∈ N definiamo per induzione
bi := −a−1
0
i
X
ar bi−r = −b0
r=1
i
X
ar bi−r .
r=1
Grazie a questa definizione abbiamo immediatamente, per ogni k ∈ N∗ :
k
X
as bk−s = a0 bk +
s=0
k
X
s=1
as bk−s = −
k
X
as bk−s +
s=1
k
X
as bk−s = 0.
s=1
P∞
2. Consideriamo la funzione f : KJtK −→ K data da: ∀a = i=0 ai ti ∈ KJtK, f (a) := a0 . Per
come sono stati definiti somma e prodotto in KJtK è evidente che f è un morfismo suriettivo
di anelli. Inoltre, ∀a ∈ KJtK, f (a) = a0 = 0 ⇐⇒ a ∈ (t) grazie a 1. ovvero ker(f ) = (t).
Pertanto, grazie al teorema fondamentale di isomorfismo tra anelli, KJtK/ ker(f ) ' K
ossia ker(f ) = (t) è massimale in KJtK (vedi proposizione 1.3.1). D’altra parte, (t) è l’unico
ideale massimale in KJtK perché, se M ( KJtK è un ideale massimale, allora M non contiene
elementi invertibili e quindi segue da 1. che M ⊆ (t) =⇒ M = (t) per massimalità di M .
3. Sia {0} ( I ( KJtK un ideale. Vogliamo trovare k ∈ N∗ tale che I = (tk ). Per ogni f ∈
I \ {0} chiamiamo ordine di f il minimo naturale i =: ord(f ) per cui fi 6= 0. Consideriamo
a questo punto l’insieme seguente:
C := {ord(f ) : f ∈ I \ {0}} ⊆ N.
Sicuramente C è non vuoto perché abbiamo preso I 6= {0}. Sia dunque k := min C e
mostriamo che I = (tk ). Per minimalità di k abbiamo certamente l’inclusione I ⊆ (tk ) =
k
{0} ∪ {f ∈ KJtK : ord(f ) ≥ k}. Per verificare il contenuto
P opposto, proviamo che t ∈ I.
Poiché k ∈ C, ∃f ∈ I \ {0} con ord(f ) = k, i.e f = i≥k fi ti con fk 6= 0. Possiamo
riscrivere:




∞
X
X
f = fk  (fi fk−1 )ti  = fk tk  (fj+k fk−1 )tj  .
i≥k
P∞
−1 j
j=0 (fj+k fk )t
k
j=0
Poiché γ :=
ha termine noto pari a 1, grazie al punto 1. precedente, γ è
invertibile in KJtK. Perciò, t = fk−1 γ −1 f ∈ I perché I è un ideale. Per concludere, è ovvio
che k è univocamente determinato da I perché se k 6= m e assumiamo WLOG k < m,
allora tk ∈
/ (tm ) =⇒ (tk ) 6= (tm ).
24
CAPITOLO 1. ANELLI ED IDEALI
Capitolo 2
Moduli
2.1
Concetti di Base
Definizione 2.1.1. Un A-modulo (sinistro) o un modulo (sinistro) su A è una quaterna ordinata
(A, M, +, ·), dove A è un anello, (M, +) è un gruppo abeliano (con elemento neutro 0) e
· : A × M −→ M,
(λ, m) 7→ ·(λm) =: λm
è una funzione, detta prodotto (in M) o struttura di A-modulo (per M), la quale soddisfa le
proprietà seguenti. Per ogni λ, µ ∈ A e ∀m, n ∈ M vale:
(i): λ(m + n) = λm + λn;
(ii): (λ + µ)m = λm + µm;
(iii): (λµ)m = λ(µm);
(iv): 1m = m.
Si può dare una analoga definizione per un A-modulo destro. Poiché d’ora in poi considereremo soltanto moduli sinistri1 , ometteremo l’aggettivo direzionale parlando semplicemente di
A-moduli senza ulteriori specificazioni.
Dalla definizione di A-modulo discendono immediatamente i seguenti fatti evidenti: se M è
un A-modulo, ∀a ∈ A e ∀m ∈ M si ha
• a0 = 0 e 0m = 0;
• a(−m) = −(am) e (−a)m = −(am).
Definizione 2.1.2. Sia M un A−modulo e sia N ⊆ M . Si dice che N è un sottomodulo di M
se è chiuso rispetto alle operazioni di M ristrette a N , i.e ∀m, n ∈ N e ∀λ ∈ A, m + n ∈ N e
λa ∈ N (in particolare quindi 0 ∈ N ).
Ovviamente, se N è un sottomodulo di (A, M, +, ·), allora (A, N, +|N ×N , ·|A×N ) è esso stesso
un A−modulo.
1 Ogni risultato che vedremo si potrà applicare identicamente anche ai moduli destri e così questa restrizione
non fa perdere di generalità.
25
26
CAPITOLO 2. MODULI
Esempio 2.1.1.
1. {0} è un A−modulo, detto modulo banale.
2. Ogni anello A è un A−modulo con somma e prodotto dati da quelli dell’anello stesso. I
sottomoduli di A sono precisamente gli ideali di A.
3. Se A è un campo, un A−modulo V è esattamente uno spazio vettoriale su A e i suoi
sottomoduli sono i sottospazi vettoriali di V .
4. Ogni gruppo abeliano G è uno Z−modulo se si definisce il prodotto in G ponendo: ∀n ∈ Z
e ∀g ∈ G, ng è l’n−esimo multiplo di g. I sottomoduli di G sono i suoi sottogruppi.
Con una dimostrazione essenzialmente identica a quella vista nel caso di una famiglia di ideali
in un anello otteniamo immediatamente la prossima
Proposizione 2.1.1. Sia M un A−modulo. Se {Nα }α∈Λ6=∅ è una famiglia arbitraria di sottomoduli di M , allora
\
Nα
α∈Λ
è un sottomodulo di M .
Se N1 , N2 sono sottomoduli di M allora la loro somma
N1 + N2 := {n1 + n2 ∈ M : n1 ∈ N1 , n2 ∈ N2 }
è un sottomodulo di M .
Definizione 2.1.3. Sia M un A−modulo e sia S ⊆ M . Il sottomodulo di M generato da S è
denotato con (S) è definito come l’intersezione di tutti i sottomoduli contenenti S.
Nuovamente in analogia al caso degli ideali, S è il più piccolo sottomodulo di M contenente
S. In particolare, se S è un sottoinsieme finito di M , cioè S = {m1 , . . . , mn } per qualche n ∈ N∗
vale:
)
( n
X
(m1 , . . . , mn ) := ({m1 , . . . , mn }) =
λi mi : λi ∈ A, ∀i ∈ n .
i=1
Definizione 2.1.4. Sia M un A−modulo e sia N ⊆ M un suo sottomodulo. Diciamo che N è
finitamente generato (o anche che è un modulo finito) se esiste un n ∈ N ed esistono elementi
g1 , . . . , gn ∈ M tali che N = (g1 , . . . , gn ). Più in generale, se Λ 6= ∅ e (gλ )λ∈Λ ⊆ N è una
famiglia di elementi di N tali che N = ((gλ )λ∈Λ ) (ossia N coincide con il sottomodulo di N
generato dai gλ ), si dice che i gλ generano N o che sono un sistema di generatori di N.
Di tutte le mappe tra moduli sullo stesso anello siamo interessati a studiare quelle che
preservano la struttura algebrica modulare:
Definizione 2.1.5. Siano M1 , M2 A−moduli. Un omomorfismo (di A-moduli), anche detto
applicazione A-lineare, è una mappa L : M1 −→ M2 tale che ∀m, n ∈ M1 e ∀λ ∈ A, L(m + n) =
L(m) + L(n) e L(λm) = λL(m).
Se L : M1 −→ M2 è un omomorfismo di A−moduli, il nucleo di L è l’insieme:
ker(L) := L−1 ({0}) = {m ∈ M1 : L(m) = 0}.
Proposizione 2.1.2. Sia L : M1 −→ M2 un omomorfismo di moduli. Allora:
(i): ker L è un sottomodulo di M1 ;
2.1. CONCETTI DI BASE
27
(ii): per ogni sottomodulo N ⊆ M1 , L(N ) è un sottomodulo di M2 . In particolare, Im(L) è
sottomodulo di M2 ;
(iii): L è iniettiva se e soltanto se ker(L) = {0}.
Dimostrazione. Omessa perché piuttosto evidente e comunque del tutto simile a quella già vista
e nota per gli spazi vettoriali e le applicazioni lineari tra essi.
Definizione 2.1.6. Un omomorfismo L : M1 −→ M2 di A−moduli si dice un isomorfismo (di
A-moduli) se è biettivo o, equivalentemente, se esiste un omomorfismo G : M2 −→ M1 che sia
l’inverso di L.
Il prossimo obiettivo consiste nell’enunciare e dimostrare alcuni cruciali teoremi di isomorfismo tra moduli sullo stesso anello, utilizzando i quozienti di moduli rispetto ad opportune
relazioni di equivalenza. Vediamo subito di essere più precisi.
Consideriamo un A−modulo M e sia N un suo sottomodulo. Possiamo definire su M una
relazione d’equivalenza ponendo:
∀x, y ∈ M, x ∼ y ⇐⇒ x − y ∈ N.
Sull’insieme quoziente M/ ∼ definiamo un’operazione interna di somma ed una esterna di
prodotto per uno scalare come segue: ∀[x], [y] ∈ M/ ∼ e ∀λ ∈ A:
[x] + [y] := [x + y]
e
λ[x] := [λx].
Queste due operazioni sono ben definite: mostriamolo per il prodotto, poiché la verifica per la
somma è analoga. Se x, y ∈ M sono tali che [x] = [y] allora ∃α ∈ N con y = x + α. Ne segue
che, per ogni λ ∈ A, [λy] = [λx + λα] = [λx].
Risulta evidente che (A, M/ ∼, +, ·) è un A−modulo, detto modulo quoziente di M rispetto a
N ed indicato con M/N .
Definizione 2.1.7. Sia A un anello e siano M1 , M1 moduli su A con f : M1 −→ M2 omomorfismo. Dato un sottomodulo N ⊆ M1 tale che N ⊆ ker(f ), l’omomorfismo
f : M1 /N −→ M2 ,
∀[x] ∈ M1 /N, f ([x]) := f (x)
è ben definito ed è detto indotto da f (su M1 /N ).
Osserviamo che f = f ◦ π (dove π : M1 −→ M1 /N è l’omomorfismo quoziente) e ker(f ) =
ker(f )/N .
Definizione 2.1.8. Sia f : M1 −→ M2 un omomorfismo di A−moduli. L’A−modulo quoziente
coker(f ) := M2 /f (M1 ) = M2 / Im(f )
è detto conucleo di f.
Possiamo a questo punto dare il fondamentale
Teorema 2.1.1 (Teoremi di Isomorfismo tra Moduli ). Valgono i risultati seguenti.
1. Se f : M −→ M1 è un omomorfismo di A−moduli, allora
M/ ker(f ) ' Im(f ).
(2.1)
28
CAPITOLO 2. MODULI
2. Dati L ⊆ M ⊆ N moduli su A,
N/M '
(N/L)
.
(M/L)
(2.2)
3. Se N è un A−modulo con L, M ⊆ N suoi sottomoduli, allora
(M + L)/L ' M/(M ∩ L).
(2.3)
Dimostrazione.
1. L’omomorfismo f : M/ ker(f ) −→ Im(f ) indotto da f è un isomorfismo,
detto isomorfismo canonico: la verifica di ciò è immediata.
2. Consideriamo la mappa ϕ : N/L −→ N/M data da ϕ(x+L) := x+M , per ogni x+L ∈ N/L.
La definizione è ben posta perché L ⊆ M (per x, y ∈ N, x + L = y + L ⇐⇒ x − y ∈ L ⊆
M =⇒ x + M = y + M ); inoltre, ϕ è chiaramente una mappa A−lineare suriettiva e si
ha che ker(ϕ) = M/L perché:
ϕ(x + L) = 0 ⇐⇒ x ∈ M ⇐⇒ x + L ∈ M/L.
Per il punto 1. concludiamo che
N/L
M/L
' N/M .
3. La composizione ϕ := π ◦ i : M −→ (M + L)/L, dove i : M ,→ M + L è l’inclusione e
π : M + L −→ (M + L)/L è l’omomorfismo quoziente, è un omomorfismo suriettivo di
A−moduli (∀m ∈ M, ∀l ∈ L, (m + l) + L = m + L) con ker(ϕ) = M ∩ L, in quanto
m ∈ ker(ϕ) ⇐⇒ ϕ(m) = m + L = 0 ⇐⇒ m ∈ L). Grazie al primo punto mostrato,
concludiamo con la tesi.
Osserviamo che il punto 3. del teorema precedente si può interpretare dicendo che, se L * M
(con L, M sottomoduli di un A−modulo N ), allora vi sono due modi possibili per dare significato
all’espressione M/L: estendendo M affinché contenga L o riducendo L affinché sia contenuto in
M . Tali scelte producono entrambe lo stesso risultato.
Vogliamo concludere questa sezione fornendo una caratterizzazione (definizione) alternativa del
concetto di A−modulo.
Ricordiamo che, dato un gruppo abeliano M , l’insieme
End(M ) := {f : M −→ M : f è un omomorfismo di moduli}
è un anello unitario e, in generale, non commutativo se dotato delle operazioni di somma e
prodotto seguenti: ∀f, g ∈ End(M ),
∀x ∈ M, (f + g)(x) := f (x) + g(x)
e
(f g)(x) := (f ◦ g)(x) = f (g(x)).
(End(M ), +, ·) è detto anello degli endomorfismi di M.
Supponiamo ora di avere un gruppo abeliano M che sia anche un A−modulo (sinistro), secondo
la definizione data. Per ogni a ∈ A abbiamo una mappa µa : M −→ M ottenuta ponendo
∀m ∈ M, µa (m) := am (a volte, per ragioni evidenti, questa funzione è detta moltiplicazione
per a). Osserviamo che, per ogni a ∈ A, µa è A−lineare e che questa proprietà segue dalla
commutatività di A. Risulta perciò definita una funzione
µ : A −→ End(M ),
a 7→ µa .
(2.4)
2.2. COSTRUZIONE DI MODULI
29
Le condizioni (i) − (iv) della definizione 2.1.1 dicono esattamente che tale mappa è un omomorfismo di anelli.
Viceversa, se M è un gruppo abeliano e ψ : A −→ End(m) è un omomorfismo di anelli, ψ induce su M una naturale struttura di A−modulo: basta semplicemente definire ∀a ∈ A, ∀m ∈
M, a · m := (ψ(a))(m). Chiaramente, considerando (A, M, +, ·) come A−modulo (quindi il
prodotto è quello appena costruito utilizzando ψ), per ogni a ∈ A la mappa di moltiplicazione
per a risulta essere precisamente ψ(a).
Abbiamo quindi mostrato quanto segue
Proposizione 2.1.3. Siano A un anello e M un gruppo abeliano. Allora ogni struttura di
A−modulo su M definisce un omomorfismo di anelli A −→ End(M ) e viceversa.
Alla luce di quanto visto, fissato un anello A, avremmo in effetti potuto definire un A−modulo
come una coppia ordinata (M, ψ) con M gruppo abeliano e ψ : A −→ End(M ) omomorfismo
di anelli. Inoltre, osserviamo che se (M, µ) e (N, %) sono A−moduli, un omomorfismo di
gruppi abeliani T : M −→ N è un omomorfismo di A−moduli se e soltanto se per ogni a ∈ A il
diagramma seguente commuta:
M
µa
/M
T
N
T
%a
/N
cioè se e soltanto se T ◦ µa = %a ◦ T per ogni a ∈ A.
Definizione 2.1.9. Sia (A, M, +, ·) un modulo su A e sia µ : A −→ End(M ) la mappa definita
come in (2.4). Se µ è iniettiva, si dice che M è un A-modulo fedele.
Osservazione 2.1.1. Se M è un A−modulo e definiamo l’annullatore di M come l’insieme
Ann(M ) := {a ∈ A : ∀m ∈ M, am = 0},
(2.5)
è evidente che
ker(µ) = Ann(M ).
In particolare quindi Ann(M ) è un ideale di A e µ è iniettiva se e solo se Ann(M ) = {0}.
2.2
Costruzione di Moduli
In questa sezione studiamo qualche strumento per costruire nuovi moduli a partire da alcuni
dati.
Definizione 2.2.1. Sia (Mα )α∈Λ una famiglia di A−moduli, con ∅ =
6 Λ insieme di indici.
1. Il (modulo) prodotto degli Mα è il prodotto insiemistico
Y
Mα
α∈Λ
dotato delle operazioni di somma e prodotto per uno scalare definite componente per
componente, i.e ∀(aα )α∈Λ , (bα )α∈Λ e ∀κ ∈ A:
(aα )α∈Λ + (bα )α∈Λ := (aα + bα )α∈Λ
e κ(aα )α∈Λ := (κaα )α∈Λ .
30
CAPITOLO 2. MODULI
Osserviamo che ∀α ∈ Λ, le proiezioni pα :
omomorfismi di A−moduli.
Q
α∈Λ
Mα −→ Mα sull’α−esimo fattore sono
2. La somma diretta degli Mα è l’A−modulo
(
)
M
Y
Mα := (mα )α∈Λ ∈
Mα : mα = 0 tranne che per un numero finito di indici
α∈Λ
α∈Λ
(2.6)
dotato delle operazioni di somma e prodotto per uno scalareL
definiti componente per componente. Anche in questo caso le proiezioni sui fattori, πα :
α∈Λ Mα −→ Mα , sono degli
omomorfismi di moduli per ogni α ∈ Λ.
Osservazione 2.2.1. Se (Mα )α∈Λ è una famiglia di A−moduli come in precedenza, per ogni
α ∈ Λ, possiamo definire delle mappe A−lineari:
Y
iα
7 →
(nβ )β∈Λ ,
iα : Mα −→
Mα ,
m−
α∈Λ
dove nβ := m se β = α, mentre nβ := 0 se β 6= α. Chiaramente vale:
!
M
[
Mα =
iα (Mα ) ,
α∈Λ
L
α∈Λ
Q
ossia
delle immagini degli iα , al
α∈Λ Mα è il sottomodulo di
α∈Λ Mα
Lgenerato dall’unione
Q
variare di α ∈ Λ. Inoltre, se Λ è finito, allora α∈Λ Mα = α∈Λ Mα .
Vediamo ora un caso particolare ed estremamente importante di somma diretta di moduli.
Sia A un anello: se Λ 6= ∅ possiamo costruire la somma diretta di |Λ| copie di A, ovvero considerare
la famiglia di moduli (Mα )α∈Λ dove Mα = A per ogni α ∈ Λ e porre
M
A⊕Λ :=
A.
(2.7)
α∈Λ
(Se Λ è un insieme finito di cardinalità n ∈ N∗ , scriviamo semplicemente An anziché A⊕Λ ). A
questo punto, per ogni λ ∈ Λ definiamo eλ = (mα )α∈Λ ∈ A⊕Λ dove mα = 0 se α 6= λ e mλ = 1.
Non v’è alcun dubbio che il sottomodulo di A⊕Λ generato dagli eλ al variare di λ ∈ Λ sia proprio
tutto A⊕Λ . Osserviamo inoltre che gli eλ soddisfano la proprietà seguente:
X
∀(aλ )λ∈Λ ∈ A⊕Λ ,
aλ eλ = 0 =⇒ aλ = 0 ∀λ ∈ Λ,
(2.8)
λ∈Λ
dove la somma è sensata perché è da intendersi compiuta sugli indici λ̂ ∈ Λ per i quali aλ̂ 6= 0
e quindi è una somma finita. Pertanto, se tutto va come ci si aspetta, la famiglia (eλ )λ∈Λ ha il
pieno diritto di essere una base (che chiameremo canonica o standard ) per l’A−modulo A⊕Λ . In
effetti diamo, più in generale, la prossima definizione.
Definizione 2.2.2. Sia M un A−modulo e sia Λ 6= ∅ un insieme. Identificando una funzione
e : Λ → M con la successione ordinata delle immagini secondo e dei λ ∈ Λ (cioè, e = (eλ )λ∈Λ ,
dove ∀λ ∈ Λ, eλ := e(λ)), diciamo che (eλ )λ∈Λ è una base (di cardinalità |Λ|) per M se gli eλ
generano M e sono linearmente indipendenti, ossia soddisfano (2.8). Se M ammette una base di
qualche cardinalità |Λ|, diciamo che esso è libero (su A).
2.2. COSTRUZIONE DI MODULI
31
Osservazione 2.2.2. Ogni anello A 6= {0} è un modulo libero su se stesso: una sua base è data
banalmente da {1} ⊆ A.
Se Λ 6= ∅ è un insieme e fissiamo (eλ )λ∈Λ , con eλ ∈ M per ogni λ ∈ Λ, possiamo definire un
omomorfismo di A−moduli:
ϕ X
(aλ )λ∈Λ 7−→
aλ eλ .
ϕ : A⊕Λ → M,
λ∈Λ
Chiaramente gli eλ sono un sistema di generatori di M se e solo se ϕ è suriettiva, mentre sono
linearmente indipendenti se e soltanto se ϕ è iniettiva. Pertanto, asserire che (eλ )λ∈Λ è una base
di cardinalità |Λ| per M equivale ad affermare che ϕ è un isomorfismo. Per questo, a volte ci si
riferisce a A⊕Λ come al modulo libero di |Λ| generatori.
Se il dominio di una mappa A−lineare è un A−modulo libero, allora essa è completamente
(ma liberamente) determinata dal suo comportamento su una base. Più precisamente:
Proposizione 2.2.1 (Estensione per Linearità). Sia M un A−modulo libero e sia (mλ )λ∈Λ una
sua base. Sia inoltre N un A−modulo qualunque e f : B := {mλ : λ ∈ Λ} −→ N una mappa
qualsiasi. Allora esiste un unico omomorfismo di A−moduli g : M → N tale che g|B = f , i.e tale
che commuti il diagramma:
B
/M
iB
∃!g
f
N
dove iB è l’inclusione.
Quindi, per dare un omomorfismo M −→ N basta dare un’applicazione B −→ N (e tendenzialmente faremo proprio così).
Dimostrazione. Se definiamo
X
∀m =
aλ mλ ∈ M,
λ∈Λ
g(
X
aλ mλ ) :=
λ∈Λ
X
aλ f (mλ ),
λ∈Λ
essa possiede le proprietà richieste (la verifica è immediata).
Osservazione 2.2.3. Dato un anello A, il primo teorema di isomorfismo tra moduli (cfr. Teorema 2.1.1) garantisce che ogni A−modulo M sia isomorfo al quoziente di un modulo libero su
A (per un suo opportuno sottomodulo). Infatti abbiamo un canonico omorfismo suriettivo di
A−moduli
n
n
X
X
ε : A⊕M → M,
ai mi 7→
ai mi ,
ai ∈ A,
i=1
dove A
⊕M
i=1
è il modulo libero generato dall’insieme M .
Siano M e N moduli su uno stesso anello A. Definiamo l’insieme
homA (M, N ) := {f : M → N : f è A-lineare}
(2.9)
32
CAPITOLO 2. MODULI
che possiamo dotare di operazioni di somma e prodotto per uno scalare date da, ∀a ∈ A e
∀f, g ∈ homA (M, N ),
af
f +g
af := x 7−→ af (x)
f + g := x 7−→ f (x) + g(x).
(A, homA (M, N ), +, ·) è un A−modulo, detto modulo degli omomorfismi (o delle trasformazioni) da M in N.
Esempio 2.2.1. Raccogliamo qui alcuni risultati in merito ai moduli di omomorfismi.
1. homA ({0}, N ) ' {0} ' homA (M, {0}).
2. Ogni A−modulo N è isomorfo ad un modulo di trasformazioni. Più precisamente, homA (A, N ) '
N ed un isomorfismo è homA (A, N ) 3 f 7→ f (1) ∈ N .
3. Se M1 , M2 e N sono A−moduli, homA (M1 ⊕ M2 , N ) ' homA (M1 , N ) ⊕ homA (M2 , N ).
Un isomorfismo è dato da
ϕ : homA (M1 , N ) ⊕ homA (M2 , N ) → homA (M1 ⊕ M2 , N ),
ϕ(f1 , f2 ) := g
dove ∀(m1 , m2 ) ∈ M1 ⊕ M2 , g(m1 , m2 ) := f1 (m1 ) + f2 (m2 ). La A−linearità della
mappa ϕ è evidente. Per verificare la suriettività, siano i1 : m1 7→ (m1 , 0) e i2 : m2 7→
(0, m2 ) le inclusioni standard rispettivamente di M1 e di M2 in M1 ⊕ M2 : per ogni
h ∈ homA (M1 ⊕ M2 , N ), la coppia (h ◦ i1 , h ◦ i2 ) è tale che ∀(m1 , m2 ) ∈ M1 ⊕ M2 , (ϕ(h ◦
i1 , h ◦ i2 ))(m1 , m2 ) = h(m1 , 0) + h(0, m2 ) = h(m1 , m2 ). Infine per mostrare l’iniettività
si osservi che ϕ(f1 , f2 ) = ϕ(h1 , h2 ) ⇐⇒ f1 (m1 ) + f2 (m2 ) = h1 (m1 ) + h2 (m2 ) per ciascun
(m1 , m2 ) ∈ M1 ⊕ M2 e dunque anche per (m1 , 0), con m1 ∈ M1 qualunque, e per (0, m2 ),
con m2 ∈ M2 qualsiasi.
4. Se M, N1 , N2 sono A−moduli, homA (M, N1 ⊕ N2 ) ' homA (M, N1 ) ⊕ homA (M, N2 ).
Per vedere ciò si può ad esempio considerare l’isomorfismo ψ : homA (M, N1 ⊕ N2 ) →
homA (M, N1 ) ⊕ homA (M, N2 ) definito come ψ(f ) := (π1 ◦ f, π2 ◦ f ), dove π1 , π2 sono le
proiezioni canoniche di N1 ⊕ N2 sui due fattori.
5. Per ogni m, n ∈ N, homA (An , Am ) ' Amn ' M(n×m, A), dove M(n×m, A) è l’insieme
delle matrici n × m a coefficienti in A. Un isomorfismo homA (Am , An ) −→ Amn è dato da
f 7−→ (f1 (e1 ), f1 (e2 ), . . . , f1 (em ), f2 (e1 ), . . . , f2 (em ), . . . , fn (e1 ), . . . , fn (em )),
dove E := (e1 , e2 , . . . , em ) è la base standard di Am e per ogni i ∈ n, fi := πi ◦ f . Infine,
la mappa homA (Am , An ) −→ M(n × m, A), f 7−→ MEÊ è un isomorfismo, se MEÊ è la
matrice di f rispetto alle basi standard di Am e di An (Ê), i.e

f1 (e1 )
 f2 (e1 )

MEÊ :=  .
 ..
f1 (e2 )
f2 (e2 )
..
.
...
...
..
.
fn (e1 ) fn (e2 ) . . .

f1 (em )
f2 (em ) 

..  .
. 
fn (em )
2.3. SUCCESSIONI ESATTE E COMPLESSI DI MODULI
2.3
33
Successioni Esatte e Complessi di Moduli
Definizione 2.3.1. Sia A un anello. Se (Mn )n∈Z e (fn : Mn −→ Mn+1 )n∈Z sono famiglie di
A−moduli e di omomorfismi di A−moduli rispettivamente, diciamo che la successione
fn−2
fn−1
fn
fn+1
... →
− Mn−2 −−−→ Mn−1 −−−→ Mn −→ Mn+1 −−−→ Mn+2 →
− ...
(2.10)
è un complesso (rispettivamente che è esatta) in Mn se Im(fn−1 ) ⊆ ker(fn ) (rispettivamente se
Im(fn−1 ) = ker(fn )). Chiamiamo inoltre la successione 2.10 esatta (risp. un complesso) se essa
è esatta (risp. un complesso) in ciascun Mn , cioè per ogni n ∈ Z.
Osservazione 2.3.1. Im(fn−1 ) ⊆ ker(fn ) ⇐⇒ fn ◦ fn−1 = 0.
Definizione 2.3.2. Una successione esatta di A−moduli2
α
β
0→
− L−
→M −
→N →
− 0
(2.11)
è detta breve.
Esempio 2.3.1.
α
1. 0 →
− L−
→ M è esatta ⇐⇒ α è iniettiva.
β
2. M −
→N →
− 0 è esatta ⇐⇒ β è suriettiva.
β
α
3. 0 →
− L−
→M −
→ N è esatta ⇐⇒ L ' ker(β).
β
α
4. L −
→M −
→N →
− 0 è esatta ⇐⇒ coker(α) = M/α(L) ' N .
α
β
5. 0 →
− L−
→M −
→N →
− 0 è esatta ⇐⇒ α è iniettiva, β è suriettiva e Im(α) = ker(β).
%1
%2
%3
6. Consideriamo una successione esatta 0 →
− M1 −→ M2 −→ M3 −→ M4 →
− 0. Allora le due
successioni:
%1
%2
%3
0→
− M1 −→ M2 −→ Im(%2 ) →
− 0 e 0→
− Im(%2 ) ,→ M3 −→ M4 →
− 0
sono esatte (Im(%2 ) ,→ M3 è l’inclusione insiemistica). Abbiamo dunque spezzato una
successione esatta lunga in due successioni esatte brevi, nel senso che:
%1
%2
%3
0→
− M1 −→ M2 −→ M3 −→ M4 →
− 0 è esatta
se e soltanto se
%1
%2
%3
0→
− M1 −→ M2 −→ Im(%2 ) →
− 0→
− Im(%2 ) ,→ M3 −→ M4 →
− 0 è esatta.
Proposizione 2.3.1. Consideriamo una successione esatta breve 2.11 di A−moduli. Sono
equivalenti:
1. esiste ϕ : M −→ L ⊕ N isomorfismo tale che ϕ ◦ α = iL e πN ◦ ϕ = β, con iL inclusione di
L in L ⊕ N e πN proiezione di L ⊕ N su N ;
2. esiste s : N −→ M omomorfismo che sia una sezione di β, ossia tale che β ◦ s = idN ;
2 Nelle
successioni di moduli scriviamo 0 per intendere il modulo banale {0}.
34
CAPITOLO 2. MODULI
3. esiste r : M −→ L omomorfismo che sia una retrazione di α, ossia tale che r ◦ α = idL .
Dimostrazione.
• 1. =⇒ 2. e 1. =⇒ 3. Siano iN l’inclusione di N in L ⊕ N e πL la proiezione di L ⊕ N su
L. Definiamo s : N −→ M e r : M −→ L ponendo
s := ϕ−1 ◦ iN
r := πL ◦ ϕ.
Ricordando che, per ipotesi, ϕ ◦ α = iL e πN ◦ ϕ = β, si ha immediatamente che che s e r
verificano 2. e 3. rispettivamente.
• 2. =⇒ 1. Definiamo
ψ : L ⊕ N → M,
ψ
(l, n) 7−
→ α(l) + s(n).
Non c’è dubbio che ψ sia un omomorfismo, poiché α e s lo sono. D’altra parte, (l, n) ∈
ker(ψ) =⇒ 0 = (0) = β(α(l) + s(m)) = (β ◦ α)(l) + (β ◦ s)(n) = n perché α(l) ∈ ker(β) e
s è una sezione di β. A questo punto, α(l) + s(n) = 0, s(n) = 0 =⇒ α(l) = 0 =⇒ l = 0
perché α è iniettiva (esattezza della successione). Abbiamo mostrato che ψ è iniettiva, Per la
suriettività, ci basta mostrare che per ogni m ∈ M, m − s(β(m)) ∈ Im(α) perché possiamo
scrivere m = m − s(β(m)) + s(β(m)). In effetti, m − s(β(m)) ∈ Im(α) ⇐⇒ m − s(β(m)) ∈
ker(β) ⇐⇒ 0 = β(m − s(β(m))) = β(m) − β(m − s(β(m))) = β(m) − β(m) = 0. Si verifica
facilmente che ψ −1 =: ϕ ha le altre proprietà richieste in 1.
• 3. =⇒ 1. Consideriamo l’applicazione
ϕ : M −→ L ⊕ N,
ϕ(m) := (r(m), β(m)).
Notiamo anzitutto che ϕ è un omomorfismo, ϕ ◦ α = (r ◦ α, β ◦ α) = (idL , 0) = iL e
πN ◦ ϕ = β. Inoltre, ϕ è suriettiva: una controimmagine di un generico (l, n) ∈ L ⊕ N
0
0
0
0
è data da m := α(l) + m + α(t) dove m è tale che β(m ) = n e t := −r(m ). Infine ϕ
è iniettiva: m ∈ ker(ϕ) ⇐⇒ r(m) = 0 = β(m). Poiché β(m) = 0, per esattezza della
successione, ∃l ∈ L con α(l) = m e allora 0 = r(m) = r(α(l)) = l =⇒ α(l) = m = 0.
Definizione 2.3.3. Se una successione esatta breve 2.11 soddisfa una delle condizioni equivalenti
della proposizione precedente, si dice che essa è spezzante oppure che splitta.
α
β
Corollario 2.3.1. Se N è libero, allora la successione esatta breve 0 →
− L−
→M −
→N →
− 0 è
spezzante.
Dimostrazione. Sia E = (eλ )λ∈Λ una base di N . Per ogni λ ∈ Λ si scelga3 un mλ ∈ β −1 ({eλ }).
A questo punto, si definisca s : N −→ M ponendo
!
X
X
s
aλ eλ :=
aλ mλ .
λ∈Λ
λ∈Λ
Si osservi infine che s soddisfa la condizione 2. della proposizione precedente.
3 Stiamo
usando l’Assioma di Scelta.
2.3. SUCCESSIONI ESATTE E COMPLESSI DI MODULI
35
Corollario 2.3.2. Dati un anello A ed un modulo M su A finitamente generato, se N ⊆ M è
un sottomodulo tale che M/N sia libero, allora M ' M/N ⊕ N .
Dimostrazione. La successione esatta breve
π
0→
− N ,→ M −
→ M/N →
− 0
è spezzante.
Corollario 2.3.3. Sia K un campo e consideriamo una successione esatta di K−spazi vettoriali
finitamente generati e di mappe K−lineari come la seguente
f1
f2
fn−1
− 0.
0→
− V1 −→ V2 −→ . . . −−−→ Vn →
Allora:
n
X
(−1)i dimK (Vi ) = 0.
i=1
Dimostrazione. Poniamo f0 : 0 −→ V1 e fn : Vn −→ 0. Inoltre, per ogni j = 0, 1, . . . , n
indichiamo con Imj il numero naturale dimK (Im(fj )). Consideriamo ora un qualsiasi i ∈ n.
f1
fn−1
f2
Poiché la successione iniziale 0 →
− V1 −→ V2 −→ . . . −−−→ Vn →
− 0 è esatta, anche la successione
fi
breve 0 →
− Im(fi−1 ) ,→ Vi −→ Im(fi ) →
− 0 è esatta ed essendo Im(fi ) libero, vale dimK (Vi ) =
Imi−1 + Imi . Spezzando la successione esatta di partenza in successioni esatte brevi
f1
f2
0→
− V1 −→ Im(f1 ) →
− 0→
− Im(f1 ) ,→ V2 −→ Im(f2 ) →
− 0→
− ...
fn−1
− 0,
... →
− Im(fn−2 ) ,→ Vn−1 −−−→ Im(fn ) ,→ Vn →
Pn
P
n
otteniamo che i=1 (−1)i dimK (Vi ) = i=1 (−1)i dimK (Imi−1 + Imi ) = 0 − Im1 + Im1 + Im2 +
− Im2 − Im3 + · · · ± Imn−1 ∓ Imn−1 +0 = 0.
36
CAPITOLO 2. MODULI
Capitolo 3
Noetherianità
3.1
Anelli e Moduli Noetheriani
Proposizione 3.1.1. Sia A un anello. Le seguenti proprietà sono equivalenti.
1. Ogni famiglia non vuota e arbitraria di ideali di A possiede un elemento massimale (rispetto
all’ordinaria relazione di inclusione insiemistica).
2. L’insieme Σ degli ideali di A verifica la condizione della catena ascendente (A.C.C.): ogni
catena ascendente numerabile di ideali di A
I1 ⊆ I2 ⊆ . . . ⊆ Ik ⊆ . . .
è stazionaria, ossia ∃k0 ∈ N∗ tale che Ik = Ik0 per ogni k > k0 .
3. Ogni ideale I ⊆ A è finitamente generato.
Dimostrazione.
• 1. ⇐⇒ 2. È ovvio che se vale 1. vale anche 2. come caso particolare, scegliendo per
famiglia non vuota di ideali di A una qualsiasi catena ascendente numerabile (In )n∈N ⊆ Σ.
D’altra parte, se B è una famiglia non vuota di ideali di A priva di un elemento massimale,
possiamo costruire una catena numerabile ascendente non stazionaria di elementi di B,
usando l’assioma della scelta dipendente: se X è un insieme non vuoto (B nel nostro caso) e
R è una relazione binaria su X (l’inclusione insiemistica stretta () tale che ∀a ∈ X, ∃b ∈ X
per il quale (a, b) ∈ R (proprietà questa che vale per ( su B nell’ipotesi in cui esso non
possieda un elemento massimale), allora esiste una successione (an )n∈N di elementi di X
tale che (an , an+1 ) ∈ R per ogni n ∈ N.
• 2. ⇐⇒ 3. Sia I un ideale di A. Se I = {0}, non c’è nulla da mostrare. Supponiamo
quindi I 6= {0} e sia 0 6= f1 ∈ I. Se I = (f1 ) =: I1 , I è finitamente generato. Altrimenti,
∃f2 ∈ I \ I1 e poniamo I2 := (f1 , f2 ) ) I1 . Nel caso non fortunato in cui I2 6= I, ∃f3 ∈
I \ I2 e possiamo considerare I3 := (f3 , I2 ) ) I2 . Reiterando la procedura, ∀k ≥ 2 se
Ik−1 6= I, preso fk ∈ I \ Ik−1 , definiamo Ik := (fk , Ik−1 ) con Ik−1 ( Ik ; se Ik−1 = I,
poniamo Ik := Ik−1 . La successione (Ij )j∈N forma una catena ascendente di ideali e allora,
se vale 2., essa deve prima o poi arrestarsi, cioè ∃k0 ∈ N tale che I = (f1 , . . . , fk0 ).
Abbiamo quindi mostrato che la terza proprietà segue dalla seconda. Verifichiamo ora il
viceversa. Consideriamo una catena ascendente numerabile di ideali di A, (Ij )j∈N . Poiché
37
38
CAPITOLO 3. NOETHERIANITÀ
S
∀i ∈ N∗ Ii ⊆ Ii+1 , J := i∈N∗ Ii è un ideale di A e dunque ∃k ∈ N∗ con J = (f1 , . . . , fk )
per opportuni f1 , . . . , fk ∈ A. D’altra parte, per definizione di J, fj ∈ Inj per qualche
nj ∈ N minimale e per ogni j ∈ k. Detto n0 := max{nj : j ∈ k}, abbiamo che tutti gli
fj appartengono a In0 , ossia J = (f1 , . . . , fk ) ⊆ In0 ⊆ J =⇒ In0 = J. Ne segue che
∀n > n0 , In0 = In , i.e. la catena (Ij )j∈N è stazionaria.
Definizione 3.1.1. Un anello A si dice noetheriano se soddisfa una delle proprietà equivalenti
della proposizione precedente.
Dalla definizione segue immediatamente che tutti i campi e tutti i PID sono anelli noetheriani.
Vediamo invece un esempio di anello che non lo è.
Esempio 3.1.1. Consideriamo l’insieme dei polinomi in infinite variabili su un campo K:
[
K[x1 , . . . , xn ].
K[xi ]i∈N :=
n∈N
In pratica, f ∈ K[xi ]i∈N se e solo se ∃nf ∈ N tale che f ∈ K[x1 , . . . , xnf ].1 In K[xi ]i∈N
abbiamo una naturale struttura di anello dove le operazioni sono ereditate da quelle definite nei
K[x1 , . . . , xn ]: se f è un polinomio in n variabili e g è un polinomio in m, supponendo m ≥ n,
f + g è il polinomio che si ottiene vedendo f come elemento di K[x1 , . . . , xm ] e compiendo
la somma in K[x1 , . . . , xm ]; analogamente per il prodotto f g. Osserviamo che K[xi ]i∈N è un
dominio di integrità (lo sono i K[x1 , . . . , xn ]) ma non è noetheriano perché la catena ascendente
di ideali:
(x1 ) ( (x1 , x2 ) ( (x1 , x2 , x3 ) ( · · · ( (x1 , x2 , . . . , xk ) ( . . .
non è stazionaria.
Possiamo generalizzare la definizione per gli anelli a moduli qualsiasi nella maniera ovvia.
Definizione 3.1.2. Sia A un anello qualunque. Un A−modulo M si dice noetheriano se ogni
catena ascendente numerabile di sottomoduli di M è stazionaria o, equivalentemente, se ogni suo
sottomodulo è finitamente generato.
Dalla prossima proposizione faremo discendere, come semplici corollari, alcune importanti
asserzioni circa la noetherianità di moduli.
α
β
Proposizione 3.1.2. Fissato un anello A, sia 0 →
− L−
→M −
→N →
− 0 una successione esatta
breve di A−moduli. Allora M è noetheriano se e solo se L e N sono noetheriani.
Dimostrazione. Supponiamo dapprima M noetheriano. Poiché α è iniettiva, L ' Im(α) e Im(α)
è un sottomodulo di M , il quale, dunque, è finitamente generato. Dal momento che i sottomoduli
di Im(α) sono sottomoduli anche di M e sono in biiezione con i sottomoduli di L, otteniamo la
noetherianità di L. D’altra parte, se U ⊆ N è un sottomodulo di N , β −1 (U ) è un sottomodulo di
M e allora ∃k ∈ N∗ ed ∃f1 , . . . , fk ∈ M tali per cui β −1 (U ) = Af1 + · · · + Afk . Per suriettività
di β, β(β −1 (U )) = U ossia U = Aβ(f1 ) + · · · + Aβ(fk ).
Viceversa, se L e N sono entrambi noetheriani, sia (Mi )i∈N una catena ascendente di sottomoduli
di M . Per ipotesi, la catena ascendente (β(Mi ))i∈N è stazionaria, ossia ∃k0 ∈ N tale che β(Mj ) =
β(Mk0 ), ∀j ≥ k0 . Analogamente, la catena ascendente (α−1 (Mi ))i∈N si arresta per qualche
k1 ∈ N. Otterremo la tesi se mostreremo che ∀s ≥ t := max{k0 , k1 }, Mt = Ms . In effetti,
1 Si
faccia in particolare attenzione al fatto che K[xi ]i∈N non è l’insieme delle serie formali KJxK.
3.1. ANELLI E MODULI NOETHERIANI
39
abbiamo Mt ⊆ Ms ⊆ M, β(Mt ) = β(Ms ) e α−1 (Mt ) = α−1 (Ms ). Sia ora γ ∈ Ms : β(γ) ∈
β(Ms ) =⇒ ∃c ∈ Mt tale che β(γ) = β(c) =⇒ β(γ − c) = 0 =⇒ γ − c ∈ ker(β) = α(L) e
γ − c ∈ Ms . Dunque, γ − c ∈ α(L) ∩ Ms =⇒ γ − c ∈ α(L) ∩ Mt , ossia γ ∈ Mt .
Corollario 3.1.1.
(i) Se (Mi )ri=1 è una famiglia finita di A−moduli noetheriani, allora
Lr
i=1
Mi è noetheriano.
(ii) Se M è un A−modulo noetheriano, allora ogni suo sottomodulo N ⊆ M è noetheriano (in
particolare, è finitamente generato) e così pure ogni quoziente M/N . In particolare, se A
è noetheriano ogni suo ideale I lo è e anche ogni quoziente A/I.
(iii) Se A è noetheriano, ogni A−modulo M è noetheriano ⇐⇒ è finitamente generato.
(iv) Se A è noetheriano e M è un A−modulo finitamente generato, allora ogni suo sottomodulo
N ⊆ M è finitamente generato.
Dimostrazione.
(i) Se r = 2, la successione
p2
0→
− M1 ,→ M1 ⊕ M2 −→ M2 →
− 0
è esatta. Il caso r > 2 si ottiene per induzione.
(ii) La successione
π
0→
− N ,→ M −
→ M/N →
− 0
π
è esatta (M −
→ M/N è l’omomorfismo quoziente).
α
(iii) Se M è finitamente generato, allora ∃r ∈ N tale che Ar −
→ M →
− 0 sia esatta (per un
opportuna suriezione α), cosicché M ' Ar /N per qualche sottomodulo N ⊆ Ar . Ora, Ar
è un modulo noetheriano per (i) e allora M è noetheriano per (ii). L’implicazione opposta
è ovvia.
(iv) Se A è noetheriano e M è finitamente generato su A, allora M è noetheriano per il terzo
punto. Ma allora anche N è noetheriano e quindi è, in particolare, finitamente generato
come A−modulo.
Il risultato seguente permette di tradurre il concetto di modulo finitamente generato su un
anello noetheriano nel linguaggio delle successioni esatte.
Proposizione 3.1.3. Sia A un anello noetheriano.
(i) Se M è un A-modulo finitamente generato, allora esiste una successione esatta
α
β
Aq −
→ Ap −
→M →
− 0
per p, q ∈ N opportuni.
α
(ii) Viceversa, dato un omomorfismo di A-moduli Aq −
→ Ap (o, equivalentemente, assegnata
una matrice p × q a coefficienti in A), esistono un modulo M finitamente generato su A ed
β
α
β
una mappa A-lineare Ap −
→ M tali che la successione Aq −
→ Ap −
→M →
− 0 sia esatta.
40
CAPITOLO 3. NOETHERIANITÀ
Dimostrazione. (i) Siano b1 , . . . , bp ∈ M dei generatori di M (possiamo, volendo, scegliere
p ∈ N come il minimo numero di elementi di M necessari a generare M come A−modulo).
Allora abbiamo una successione esatta
β
0→
− ker(β) ,→ Ap −
→M →
− 0
Pp
Pp
dove β è tale che ∀x =
i=1 λi ei , β(x) :=
i=1 λi bi con λi ∈ A e (e1 , . . . , ep ) base
p
canonica di A . Poiché A è noetheriano, anche Ap lo è come A−modulo (punto (i) del
corollario precedente). In particolare, ker(β) è finitamente generato, ossia ∃q ∈ N ed esiste
una suriezione g : Aq −→ ker(β). Posto α := i ◦ g, con i : ker(β) ,→ Ap l’inclusione, la
β
α
successione Aq −
→ Ap −
→M →
− 0 è esatta.
α
π
(ii) La successione Aq −
→ Ap −
→ Ap / Im(α) →
− 0 è esatta e Ap / Im(α) è finitamente generato.
3.2
Teorema della Base di Hilbert
Teorema 3.2.1. Un anello A è noetheriano se e soltanto se A[x] (anello dei polinomi a coefficienti in A) è noetheriano.
Dimostrazione. Eliminiamo il caso banale in cui A = {0} = A[x] e supponiamo quindi A 6= {0}.
Che la noetherianità di A[x] sia sufficiente segue subito dal corollario 3.1.1 perché A ' A[x]/(x)
(dove (x) è l’ideale generato da x).
Mostriamo quindi che se A è noetheriano lo è pure A[x].
Prima Dimostrazione (la trovate su Wikipedia): Sia I ideale di A[x]; se per assurdo I non
fosse finitamente generato, ci sarebbe una successione di polinomi pn (x) ∈ A[x], n ≥ 0, con
pn (x) ∈
/ (p0 (x), . . . , pn−1 (x)) per ogni n > 0 e con deg(pn (x)) il minimo dei gradi di tutti gli
elementi di I \ (p1 (x), . . . , pn−1 (x)). Sia Jn ⊆ A, n ≥ 0, l’ideale generato dai coefficienti direttori
di tutti i polinomi pi (x), 0 ≤ i ≤ n and J = ∪n Jn (J è l’ideale generato da tutti i coefficienti
direttori dei polinomi pi (x), i ≥ 0. Poichè A è noetheriano, esiste un intero N con JN = J.
Sia cn xrn il leading term di pn (x). pN (x). Per costruzione la successione dei gradi rn è nonPN
decrescente. Poichè cN +1 ∈ J = JN ci sono ai ∈ A, 0 ≤ i ≤ N , con cN +1 = i=0 ai ci Sia q(x) =
PN
pN +1 (x) − i=0 ai xrn+1 −ri pi (x). Ovviamente q(x) ∈ I. Poichè pN +1 (x)) ∈
/ (p0 , . . . , pN ), si ha
q∈
/ (p0 , . . . , pN ). Poichè la successione dei gradi rn è non-decrescente, si ha deg(q) ≤ deg(pN +1 )
e per vedere che vale la disequaglianza stretta (e quindi ottenere una contraddizione), basta usare
PN
che cN +1 = i=0 ai ci
Seconda Dimostrazione: . Sia {0} =
6 I ⊆ A[x] un ideale. Per ogni i ∈ N definiamo il
sottoinsieme di A
Ji := {a ∈ A : ∃f ∈ I con deg(f ) = i e f = axi +
i−1
X
aj xj } ∪ {0}.
j=0
Pi−1
Ora Ji è un ideale per ogni i, come si vede subito. Inoltre, se a ∈ Ji e f = axi + j=0 aj xj ,
Pi−1
allora af = axi+1 + j=0 aj xj+1 , cioè a ∈ Ji+1 . Perciò, la successione (Ji )i∈N è una catena
ascendente di ideali di A. Per noetherianità, ∃r ∈ N tale che ∀s ≥ r, Jr = Js ed, inoltre, tutti
i Ji sono finitamente generati. Ora, per ogni i = 0, . . . , r, sia (ai1 , . . . , aini ) un sistema di
generatori di Ji (per qualche ni ∈ N) e per ogni j ∈ ni sia fij un polinomio in I di grado i con
coefficiente direttore aij .2 Affermiamo che (fij ) è un sistema di generatori di I.
2 Se
0 6= f ∈ A[x] chiamiamo coefficiente direttore di f , il coefficiente adeg(f ) di f .
3.2. TEOREMA DELLA BASE DI HILBERT
41
Sia infatti 0 6= f ∈ I con deg(f ) = d. Mostreremo che f appartiene all’ideale generato dagli fij
per induzione (retrograda) su d. Se d > r osserviamo che i coefficienti direttori dei polinomi
xd−r fr1 , . . . , xd−r frnr
generano Jd perché generano Jr = Jd . Dunque, se a è il coefficiente direttore di f , cioè a ∈ Jd ,
esistono c1 , . . . , cnr ∈ A tali che a = c1 ar1 + · · · + cnr arnr , ossia il polinomio:
f − c1 xd−r fr1 − · · · − cnr xd−r frnr
ha grado strettamente minore di d e appartiene ancora ad I, perché I è un ideale. Se d ≤ r,
possiamo trovare c1 , . . . , cnd ∈ A (con ragionamento analogo a quello appena visto) tali che
f − c1 fd1 − · · · − cnd fdnd sia un polinomio in I di grado strettamente minore di d. Osserviamo
che il polinomio sottratto a f (sia nel caso d > r che in quello d ≤ r) appartiene all’ideale generato
dagli fij , per definizione di tale ideale. Per induzione, possiamo sottrarre a f un polinomio g
nell’ideale generato dagli fij in modo che f − g = 0, il che mostra quanto voluto.
Corollario 3.2.1. Se A è un anello noetheriano, allora A[x1 , . . . , xn ] è noetheriano.
Dimostrazione. Si compie per induzione su n ∈ N∗ , notando che, se n ≥ 2, A[x1 , . . . , xn ] =
A[x1 , . . . , xn−1 ][xn ].
Esempio 3.2.1. Nel seguente esempio mostriamo che anche in anelli noetheriani molto semplici
A di solito non esiste un limite superiore per il numero di generatori di un ideale di A. Troverete
i concetti corrispondenti utili in algebra computazionale e geometria algebrica (rispettivamente
ideale iniziale e polinomi omogenei, ideali omogenei). Sia K un campo e sia A := K[x, y].
Fissiamo un intero d > 0. Sia Id = (xd , xd−1 y, . . . , y d ) e Vd := Id /Id+1 . Vd è un K-spazio
vettoriale di dimensione d + 1 ed è il K-spazio vettoriale di tutti i polinomi omogenei di grado d.
Per costruzione Id ha un sistema di generatori formato da d + 1 elementi. Dimostriamo che se
g1 , . . . , gs genera Id , allora s ≥ d+1. Scriviamo gi = hi +mi con hi polinomio omogeneo di grado
d e mi ∈ K[x, y] contenente solo monomi di grado > d. Dal momento che g1 , . . . , gs generano Id ,
generano il modolo quoziente. Vd e quindi h1 , . . . , hs generano Vd . Ma in Vd la moltiplicazione
per x e per y sono le mappe nulle e quindi h1 , . . . , hs generano Vd come A-modulo se e solo se
lo generano come K-spazio vettoriale. Poiché h1 , . . . , hs generano Vd ha dimensione d + 1 come
K-spazio vettoriale, si ottiene s ≥ d + 1.
Introduciamo ora qualche concetto che utilizzeremo diffusamente più avanti.
Definizione 3.2.1. Sia A un anello. Una A-algebra (di anelli) è una coppia ordinata (B, ϕ)
dove B è un anello e ϕ : A −→ B è un omomorfismo di anelli. Se ϕ è iniettiva, (B, ϕ) è detta
estensione di anelli di A. (In questo caso, a meno di isomorfismi, possiamo pensare A ⊆ B).
Definizione 3.2.2. Se (B, ϕ) e (C, ψ) sono A−algebre, un omomorfismo di A-algebre è un
omomorfismo di anelli % : B −→ C tale che commuti il diagramma seguente:
ϕ
A
/B
%
ψ
C
i.e. % ◦ ϕ = ψ. Nel caso in cui % sia una biiezione diremo che è un isomorfismo di A-algebre e
che (B, ϕ) e (C, ψ) sono isomorfe, (B, ϕ) ' (C, ψ).
42
CAPITOLO 3. NOETHERIANITÀ
Se A è un anello e (B, ϕ) una A−algebra, possiamo dotare B di una naturale struttura di
modulo su A, ponendo
∀λ ∈ A, ∀m ∈ B, λm := ϕ(λ)m.
In effetti, ciò è equivalente a dire che vediamo B come un ϕ(A)−modulo, con il prodotto per
uno scalare dato dal prodotto interno in B.
Definizione 3.2.3. Sia (B, ψ) una A−algebra. Un sottoanello C ⊆ B è una sottoalgebra di B
se è un sottomodulo di B come A−modulo.
Osservazione 3.2.1. Ricordando che, per definizione, un sottoanello deve contenere l’unità, se
(B, ϕ) è una A−algebra, R ⊆ B è una A−sottoalgebra se e solo se è un sottoanello di B tale
che ϕ(A) ⊆ R.
Definizione 3.2.4. Una A−algebra (B, ϕ) si dice finita se è finita come A−modulo. Si dice invece finitamente generata (come A-algebra) se ∃k ∈ N∗ ed ∃b1 , . . . , bk ∈ A tali che l’omomorfismo
di A1 −moduli
f : A[x1 , . . . , xk ] −→ B,
∀i ∈ k f (xi ) := bi e ∀a ∈ A f (a) := ϕ(a)
sia suriettivo (A[x1 , . . . , xk ] è l’A−modulo dei polinomi in k variabili a coefficienti in A). In tal
caso, scriviamo B = A[b1 , . . . , bk ].3
Grazie al teorema di Hilbert, abbiamo la seguente
Proposizione 3.2.1. Sia A un anello noetheriano e sia (B, ϕ) una A−algebra. Allora
1. Se B è finita, allora B è un A-modulo noetheriano.
2. Se B è finitamente generata, allora B è un anello noetheriano.
Dimostrazione.
1. B è noetheriano come A−modulo per l’ultimo punto del corollario 3.1.1. Ma B è un anello
e i suoi ideali sono sottomoduli di B come ϕ(A)−modulo e perciò sono finitamente generati.
Pertanto B è un anello noetheriano.
2. B è un anello noetheriano per il teorema della base di Hilbert.
3 Si badi bene che A[b , . . . , b ] non è l’A−modulo dei polinomi in k variabili a coefficienti in A perché non
1
k
chiediamo, in generale, che f sia un isomorfismo.
Capitolo 4
Anelli di Frazioni e Localizzazione
4.1
Definizione e proprietà universale
Sia A un anello e sia S ⊆ A un suo sottoinsieme moltiplicativo (cfr. 1.8). Vogliamo costruire
una A−algebra (T, ψ) in cui tutti gli elementi di ψ(S) siano invertibili e che sia la più piccola
A−algebra (in un senso che preciseremo) con questa proprietà. Vediamo come fare.
Consideriamo l’insieme A × S e su di esso definiamo una relazione binaria ∼ ponendo:
∀(a, s), (b, t) ∈ A × S
def
(a, s) ∼ (b, t) ⇐⇒ ∃u ∈ S tale che u(at − bs) = 0.
Si tratta di una relazione di equivalenza su A × S. Infatti:
• è riflessiva. ∀(a, s) ∈ A × S, 1(as − as) = 0;
• è simmetrica. Siano (a, s), (b, t) ∈ A × S tali che (a, s) ∼ (b, t) e sia u ∈ S con
u(at − bs) = 0. Allora 0 = −u(at − bs) = u(bs − at) =⇒ (b, t) ∼ (a, s);
• è transitiva. Siano (r, d), (s, e), (t, f ) ∈ A × S tali che (r, d) ∼ (s, e) e (s, e) ∼ (t, f ).
Allora ∃x, y ∈ S tali che x(er − ds) = 0 = y(f s − et) =⇒ xf y(er − ds) = 0 = ydx(f s −
et) =⇒ 0 = xf y(er−ds)+ydx(f s−et) = xf yer−xf yds+ydxf s−ydxet = exy(f r−dt) = 0
con exy ∈ S perché S è moltiplicativo. Quindi (r, d) ∼ (t, f ).
Possiamo dunque considerare l’insieme quoziente A × S/ ∼ =: S −1 (A). Se denotiamo con as
la classe di ∼ equivalenza di (a, s), possiamo definire su S −1 A due operazioni di somma e di
prodotto come segue: ∀(a, s), (b, t) ∈ S −1 A,
a b
a b
at + bs
ab
+ :=
e
:= .
(4.1)
s
t
st
s
t
st
Verifichiamo che queste operazioni sono ben definite. Siano
e bt11 = bt . Sappiamo che ∃s2 , s3 ∈ S tali che:
a1 a b1 b
s1 , s , s1 , s
s2 (a1 s − as1 ) = 0 e s3 (b1 t − bt1 ) = 0.
∈ S −1 A tali che
a1
s1
=
a
s
(4.2)
Moltiplicando la prima relazione per s3 tt1 e la seconda per s2 ss1 ricaviamo quindi che 0 =
s2 s3 (tt1 (a1 s − as1 ) + ss1 (b1 t − bt1 )) = s2 s3 (st(a1 t1 + b1 s1 ) − s1 t1 (at + bs)) = 0. Poiché s2 s3 ∈ S,
43
44
CAPITOLO 4. ANELLI DI FRAZIONI E LOCALIZZAZIONE
−1
1 s1
= at+bs
abbiamo appena scritto che a1 ts11+b
Aè
t1
st , come voluto per mostrare che la somma in S
ben definita. Allo stesso modo, moltiplicando in (4.2) la prima uguaglianza per s3 tb1 , la seconda
per s2 s1 a e sommando, ricaviamo 0 = s3 tb1 s2 a1 s − s3 tb1 s2 as1 + s2 s1 as3 b1 t − s2 s1 as3 bt1 =
a1 b1
s2 s3 (sta1 b1 − s1 t1 ab). Concludiamo che ab
st = s1 t1 , ossia anche il prodotto è ben definito.
Osserviamo a questo punto che, date due classi as , bt ∈ S −1 A, le operazioni tra di esse si riversano
in operazioni compiute sui rappresentanti (a, s) e (b, t) delle classi stesse ed è dunque immediato
constatare che la somma e il prodotto su S −1 A appena definiti lo dotano di una struttura d’anello.
Possiamo dunque dare la seguente
1
0
è detto anello delle frazioni di
Definizione 4.1.1. S −1 A, +, 0S −1 A = , · · · , 1S −1 A =
1
1
A rispetto a S (oppure su S ).
Notiamo che in S −1 A vale, come ci si aspetta, che
∀
a
a
at
∈ S −1 A, ∀t ∈ S,
=
s
s
st
e questo semplicemente perché 0 = ast − sat = t(as − as).
Consideriamo ora la mappa
ϕ a
ϕ : A −→ S −1 A, a 7−→
1
(A volte, se necessario, scriveremo ϕS ad indicare la dipendenza dal sottoinsieme moltiplicativo
S, anziché semplicemente ϕ). Evidentemente, ϕ è un omomorfismo di anelli (a + b 7→ a+b
1 =
a
b
ab
a b
1
−1
+
,
ab
→
7
=
(
)(
)
e
1
→
7
=
1
).
Inoltre,
ogni
elemento
di
ϕ(S)
è
invertibile
perché
A
S A
1
1
1
1 1
1 −1
per ogni s ∈ S, ( 1s )( 1s ) = 11 , cioè 1s
= 1s . Osserviamo inoltre che ∀a ∈ A, ϕ(a) = a1 = 01 ⇐⇒
∃s ∈ S con as = 0, ossia
ker(ϕ) = {a ∈ A : ∃s ∈ S per cui as = 0}.
In particolare, dunque, ϕ è iniettiva se e soltanto se S non contiene divisori dello zero in A.
a 1
−1
.
Infine, notiamo che ∀ as ∈ S −1 A, as = a1
s1 = ( 1 )( s ) = ϕ(a)ϕ(s)
Abbiamo perciò dimostrato il seguente
Teorema 4.1.1. Sia A un anello e sia S un suo sottoinsieme moltiplicativo. Allora esiste una
A−algebra di anelli (T, ψ) tale che:
(i) ogni elemento di ψ(S) è invertibile (in T );
(ii) ker(ψ) = {a ∈ A : ∃s ∈ S per cui as = 0} e ogni elemento di T si scrive come ψ(a)ψ −1 (s)
per qualche a ∈ A, s ∈ S.
Osservazione 4.1.1. Notiamo che
S −1 A = {0} ⇐⇒ 0 ∈ S ⇐⇒ S contiene un elemento nilpotente.
Infatti, S −1 A = {0} ⇐⇒ 11 = 01 ⇐⇒ ∃x ∈ S con x(11 − 01) = x1 = 0 ⇐⇒ 0 ∈ S ⇐⇒ S
contiene un elemento nilpotente.
Osservazione 4.1.2. Abbiamo compiuto la costruzione dell’anello delle frazioni partendo da
un insieme moltiplicativo. Ciò non è particolarmente restrittivo. Supponiamo infatti di avere
un anello A e un sottoinsieme Σ ⊆ A qualunque. Vorremmo costruire una A−algebra (T, ψ) in
4.1. DEFINIZIONE E PROPRIETÀ UNIVERSALE
45
cui ogni elemento di ψ(Σ) sia invertibile. Per ottenere ciò possiamo considerare semplicemente
(S −1 A, ϕ), dove S è il sottoinsieme moltiplicativo minimale di A e contenente Σ. Un tale S è
evidentemente dato da
S := {1} ∪ Σ ∪ {
k
Y
si : k ∈ N, si ∈ Σ ∀i ∈ k}.
i=1
Definizione 4.1.2. Sia A un dominio e sia S := A \ {0}. Frac(A) := S −1 A è detto campo delle
frazioni di A.
Osserviamo che se A è un dominio Frac(A) è davvero un campo perché è non nullo essendo
−1
−1
A un dominio e ∀ 0 6= as ∈ S −1 A, poiché a1 e 1s sono invertibili (a ∈ S), as
= a1 · 1s
= as .
Inoltre, ∀ as , bt ∈ Frac(A), as = bt ⇐⇒ ∃x ∈ A \ {0} con x(at − bs) = 0 ⇐⇒ at − bs = 0 perché
A è un dominio.
Esempio 4.1.1.
def
1. Se A = Z, allora Q = Frac(Z). Questo stesso esempio ci dice che, se A è un anello
qualunque e S un suo sottoinsieme moltiplicativo, (S −1 A, ϕ) non è, in generale, né finita
né finitamente generata (come A−algebra) su A.
2. Sia A := K[x, y]/(xy) con K campo e sia S := {[x]n : n ∈ N}. Allora S −1 A =
K[[x], [x]−1 ] ' K[x, x−1 ]. Infatti osserviamo che



n
k
 X

X
A= 
ai xi +
bj y j  : n, k ∈ N, ai , bj ∈ K .


i=0
j=0
Un generico elemento α ∈ S −1 A sarà dunque nella forma (m ∈ N):
α=
Pn
Pk
[ i=0 ai xi + j=0 bj y j ]
[x]m
Pk
Pn
[ i=0 ai xi ] [ j=0 bj y j ]
=
+
.
[x]m
[x]m
Analizziamo separatamente i due addendi:
Pn
n
X ai
X
[ i=0 ai xi ] X [x]i
=
a
=
+
ai [x]i−m ∈ K[[x], [x]−1 ];
i
[x]m
[x]m
[x]m−i i>m
i=0
i≤m
Pk
[ j=0 bj y j ]
[x]m
=
k
X
j=0
k
bj
k
X [y]i [x]i
X [xy]i
[y]i
=
b
=
bj m = 0,
j
[x]m
[x]m+i
[x]
j=0
j=0
dove abbiamo usato ripetutamente le definizioni e le proprietà di somma e prodotto in A
e in S −1 A, assieme al fatto che [xy] = 0 in A.
Dunque S −1 A ⊆ K[[x], [x]−1 ] e l’inclusione opposta è evidente.
La prossima proposizione fornisce una forte caratterizzazione di (S −1 A, ϕ) e ci permette di
capire in che senso essa sia la più piccola A−algebra per cui valga (i) del teorema precedente.
Proposizione 4.1.1. (S −1 A, ϕ) soddisfa la seguente proprietà di universalità: per ogni A−algebra
(B, ψ) tale che ogni elemento di ψ(S) sia invertibile, esiste un unico omomorfismo di anelli
46
CAPITOLO 4. ANELLI DI FRAZIONI E LOCALIZZAZIONE
% : S −1 A −→ B con % ◦ ϕ = ψ, ossia tale che commuti il diagramma:
A
ϕ

S −1 A
ψ
∃!%
/B
Di più (S −1 A, ψ) è, a meno di isomorfismi, l’unica A−algebra con questa peculiarità, ossia se
(C, η) è una A−algebra che verifica la proprietà universale precedente, allora esiste un unico
isomorfismo di A−algebre j : S −1 A −→ C:
A
ϕ

S −1 A
η
∃! '
/C
Dimostrazione. Cominciamo col mostrare la prima parte. Definiamo
a
% : S −1 A −→ B, %
:= ψ(a)ψ(s)−1 .
s
Si tratta di una mappa ben definita perché
a
b
= ∈ S −1 A =⇒ ∃x ∈ S con x(at − bs) = 0 =⇒ ψ(x)(ψ(at) − ψ(bs)) = 0;
s
t
essendo ψ(x) ∈ B invertibile per ipotesi, ricaviamo allora che ψ(a)ψ(t) = ψ(b)ψ(s), da cui,
moltiplicando ambo i membri per ψ(s)−1 ψ(t)−1 , ψ(a)ψ(s)−1 = ψ(b)ψ(t)−1 . Per come è definito
è chiaro che % è un omomorfismo di anelli e che ∀a ∈ A, (%◦ϕ)(a) = ψ(a). D’altra parte, se anche
h : S −1 A −→ B soddisfa h ◦ ϕ = ψ, allora certamente per ogni a ∈ A, h(a/1) = ψ(a) = %(a) e
quindi ∀s ∈ S, h(1/s) = h(s/1)−1 = ψ(s)−1 . Ne segue che
a
a 1
a
a
∀ ∈ S −1 A, h
=h
h
.
= ψ(a)ψ(s)−1 = %
s
s
1
s
s
Verifichiamo ora l’essenziale unicità di (S −1 A, ϕ). Se (C, η) è come nell’enunciato, ∃! j : S −1 A −→
C tale che j ◦ ϕ = η, per universalità di (S −1 A, ϕ). Analogamente, per universalità di (C, η), ∃!
k : C −→ S −1 A con k ◦ η = ϕ. Ma allora idC ◦ η = η = j ◦ ϕ = j ◦ (k ◦ η) = (j ◦ k) ◦ η,
da cui j ◦ k = idC , per la proprietà universale di (C, η). Allo stesso modo si ottiene che
k ◦ j = idS −1 A .
Corollario 4.1.1. Se (B, ψ) è una qualunque A−algebra tale che ψ(S) ⊆ B × e ψ è iniettiva,
B contiene (una copia isomorfa di) S −1 A. In particolare
\
S −1 A '
F
dove
F := {ψ(A) ⊆ C ⊆ B : C è una sottoalgebra di B in cui ogni elemento di ψ(S) è invertibile }
4.1. DEFINIZIONE E PROPRIETÀ UNIVERSALE
47
Dimostrazione. ∃! ξ : S −1 A −→ B omomorfismo di anelli tale che ξ ◦ ϕ = ψ. Poiché ψ è iniettiva,
anche ξ lo è e allora S −1 A ' Im(ξ).
Se A è un anello qualunque e h ∈ A un elemento non nilpotente, posto S = {hn : n ∈ N},
denotiamo con Ah l’anello delle frazioni S −1 A.
Grazie alla proprietà di universalità di (S −1 A, ϕ), possiamo agilmente mostrare la seguente
Proposizione 4.1.2. Sia A un anello e sia h ∈ A un elemento non nilpotente. Allora la mappa
A[x] 3
n
X
ai xi 7−→
i=1
n
X
ai
∈ Ah
i
h
i=1
induce un isomorfismo di anelli
A[x]
' Ah .
(1 − hx)
Dimostrazione. Nell’anello A := A[x]/(1−hx), 1 = hx (dove ovviamente intendiamo [1] = [h][x]),
ossia h è invertibile. Sia ora (B, α) una A−algebra tale che α(h) sia un elemento invertibile in
B. L’omomorfismo di anelli
β : A[x] −→ B,
n
X
β
ai xi 7−→
i=1
n
X
α(ai )α(h)−1
i=1
passa al quoziente (di A[x]) rispetto a (1 − hx) perché β(1 − hx) = 1 − α(h)α(h)−1 = 0. Pertanto
la mappa
" n
#
!
n
X
X
βα
i
i
βα : A −→ B,
ai x 7−→ β
ai x
i=1
i=1
è ben definita ed è l’unico omomorfismo di anelli A −→ B tale che βα ◦ π = α, dove π : A −→ A
è data da π(a) := [a]. Abbiamo mostrato che la A−algebra (A, π) possiede la stessa proprietà
universale di (Ah , ϕ) e allora A ' Ah attraverso un unico isomorfismo di A-algebre che manda
[x] in h−1 .
Osservazione 4.1.3. Se A è un anello e S, Se ⊆ A sono sottoinsiemi moltiplicativi, può accadere
che S ( Se sebbene S −1 A = Se−1 A.
Un’evidenza di ciò si ha considerando un campo K e prendendo S := {1} e Se := K∗ .
Un altro esempio più interessante si ottiene se A = Z, S := {10k : k ∈ N} e Se è il più piccolo
e ma tutti gli
insieme moltiplicativo contenente {2k : k ∈ N} ∪ {5k : k ∈ N}. Abbiamo che S ( S,
−1
a b
e
e
elementi di S sono invertibili in S A. Infatti, se 2 5 ∈ S per qualche a, b ∈ N, allora l’inverso
a b
2b 5a
−1
di 2 15 in S −1 A è 10
A = Se−1 A.
a+b . Perciò, S
In merito a quanto appena notato, vale il seguente risultato generale (Atiyah-Macdonald Es.
7-8 pag. 44)
Proposizione 4.1.3. Sia A un anello e sia S ⊆ A un suo sottoinsieme moltiplicativo. Allora
∃T ⊆ A moltiplicativo tale che:
(i) S ⊆ T e S −1 A = T −1 A;
(ii) T è il sottoinsieme moltiplicativo di A massimale rispetto alla proprietà (i), i.e. se T1 ⊆ A
è moltiplicativo, verifica (i) e T ⊆ T1 allora T = T1 .
48
CAPITOLO 4. ANELLI DI FRAZIONI E LOCALIZZAZIONE
Più precisamente,
T = {t ∈ A : ∃a ∈ A con at ∈ S}
ed è detto (insieme) saturato di S.
Dimostrazione. È evidente che S ⊆ T . Mostriamo che T è moltiplicativamente chiuso. Poiché
1 ∈ S, 1 ∈ T . D’altra parte, se t1 , t2 ∈ T , siano α1 , α2 ∈ A tali che α1 t1 , α2 t2 ∈ S. Allora
(α1 α2 )(t1 t2 ) = (α1 t1 )(α2 t2 ) ∈ S, ossia t1 t2 ∈ T .
Definiamo ora la mappa
j : S −1 A ,→ T −1 A,
S −1 A 3
a j a
7−→ ∈ T −1 A.
s
s
Essa è ben definita (a/s = b/t in S −1 A =⇒ ∃δ ∈ S : δta = δsb; ma δ ∈ S ⊆ T =⇒ δ ∈ T ) ed
è un omomorfismo di anelli. Ora
a
∈ ker(j) ⇐⇒ ∃t ∈ T : ta = 0 e t ∈ T =⇒ ∃b ∈ A, ∃λ ∈ S con bt = λ =⇒ λa = 0 = bta
s
, cioè a/s = 0 in S −1 A. Dunque j è iniettiva. Verifichiamo ora che è anche suriettiva, il che
ci permetterà di dimostrare (i). In effetti, se b/t ∈ T −1 A, poiché t ∈ T, ∃a ∈ A : at = k con
k ∈ S =⇒ ab/k ∈ S −1 A. Ma ab/k = b/t in T −1 A perché 1 ∈ T è tale che 1(abt − bk) =
abt − bat = 0. Quindi, b/t = j(ab/k).
Mostriamo infine la massimalità di T . Sia T1 ⊆ A moltiplicativo e tale da soddisfare (i). Supponiamo per assurdo che T ( T1 ; allora ∃c ∈ T1 con c ∈
/ T . Tuttavia, poiché T1−1 A = S −1 A =
−1
−1
T A, essendo c/1 invertibile in T1 A lo sarà anche in T −1 A. Dunque:
α c
α
= 1 ⇐⇒ ∃β ∈ T con βαc = βτ ∈ T ⇐⇒ ∃σ ∈ A : σβαc ∈ S.
∃ ∈ T −1 A :
τ
τ
1
Abbiamo appena scritto che c ∈ T , una contraddizione da cui concludiamo che T = T1 .
4.2
Ideali in A e in S −1 A. Localizzazione
Definizione 4.2.1. Siano A, B anelli e sia f : A −→ B un omomorfismo di anelli. Se I ⊆ A è
un ideale, chiamiamo estensione di I (in B) l’ideale
( n
)
X
e(I) := (f (I)) =
bi f (c1 ) : bi ∈ B, ci ∈ I =: Bf (I).
(4.3)
i=1
Se J ⊆ B è un ideale, r(J) := f −1 (J) è detto contrazione di J (in A): si tratta di un ideale di A.
Osservazione 4.2.1. ∀J ⊆ B ideale, e(r(J)) = ( f (f −1 (J)) ) = ({f (α) : α ∈ f −1 (J)}) ⊆
(J) = J,
Vediamo alcuni risultati su estensioni e contrazioni nel caso in cui (B, f ) = (S −1 A, ϕ) per
qualche S ⊆ A: otterremo in questo modo anche una caratterizzazione di tutti gli ideali di S −1 A
in termini di una sottofamiglia degli ideali di A.
Proposizione 4.2.1. Sia A un anello e consideriamo (S −1 A, ϕ) per qualche sottoinsieme S ⊆ A
moltiplicativamente chiuso. Se I è un ideale qualunque di A e J è un ideale qualsiasi di S −1 A,
vale quanto segue:
i
−1
1. e(I) = S I :=
: i ∈ I, s ∈ S ;
s
4.2. IDEALI IN A E IN S −1 A. LOCALIZZAZIONE
49
2. e(r(J)) = J. In particolare, ogni ideale di S −1 A è estensione di qualche ideale di A (i.e di
r(J)) e ideali distinti si S −1 A danno luogo a contrazioni distinte in A;
3. r(e(I)) = {a ∈ A : as ∈ I per qualche s ∈ S};
4. se P ∈ Spec(A) e P ∩ S = ∅,allora e(P ) = (S −1 A)ϕ(P ) è un ideale primo in S −1 A.
Dimostrazione.
Pn
1. Non c’è dubbio che S −1 I ⊆ e(I). Sia dunque b =
i=1 bi ϕ(ci ) ∈ e(I) per opportuni
n ∈ N, bi ∈ S −1 A e ci ∈ I. Se, per ogni i ∈ n, scriviamo bi = ai /si con ai ∈ A e si ∈ S,
definendo di := ai ci ∈ I, ricaviamo che:
b=
n X
ai ci i=1
si
1
=
n
X
di
i=1
si
=
d1 s2 · · · sn + s1 d2 s3 · · · sn + · · · + s1 · · · sn−1 dn
i
Qn
=
s
s
i=1 i
con i ∈ I e s ∈ S perché I è un ideale e S è moltiplicativo.
2. Per l’osservazione precedente la proposizione, basta mostrare che J ⊆ e(r(J)). In effetti
b
s
b
b
= ∈ J =⇒ b ∈ ϕ−1 (J) =⇒ ϕ(b) ∈ e(r(J)).
∀ ∈ J,
s
s
1
1
3. Se a ∈ r(e(I)), ϕ(a) = a/1 ∈ e(I) = S −1 I per il punto 1. Dunque, ∃b ∈ I, ∃t ∈ S con
a/1 = b/t =⇒ ∃u ∈ S : uta = ub ∈ I. Pertanto s := ut ∈ S è tale che sa ∈ I, i.e.
r(e(I)) ⊆ {a ∈ A : as ∈ I per qualche s ∈ S} =: L. Viceversa, se α ∈ L allora ∃s ∈ S tale
che αs = t per qualche t ∈ I =⇒ α/1 = t/s ∈ e(I) ⇐⇒ α ∈ r(e(I)).
4. Poniamo Q := e(P ). Abbiamo:
a b ab
ab
c
a b
∀ , ∈ S −1 A,
=
∈ Q =⇒ ∃c ∈ P, ∃s ∈ S :
=
⇐⇒ ∃x ∈ S con xsab = cut ∈ P.
u t
u
t
ut
ut
s
Poiché P ∩ S = ∅, (xsab ∈ P, xs ∈ S) =⇒ ab ∈ P =⇒ a ∈ P oppure b ∈ P perché P è
primo. Concludiamo che a/u ∈ Q o b/t ∈ Q ossia Q = e(P ) è primo.
Corollario 4.2.1. Nelle ipotesi e con le notazioni della proposizione precedente:
(i) condizione necessaria e sufficiente affinché r(e(I)) = I è che si abbia
∀s ∈ S, as ∈ I =⇒ a ∈ I;
(4.4)
(ii) la contrazione r e l’estensione e sono corrispondenze biunivoche, l’una l’inversa dell’altra,
tra l’insieme degli ideali di A che soddisfano (4.4) e l’insieme di tutti gli ideali di S −1 A:
e
{Ideali di A che verificano (4.4)} o
In particolare, se A è noetheriano, S −1 A lo è;
(iii) r(e(I)) = A ⇐⇒ e(I) = S −1 A ⇐⇒ I ∩ S 6= ∅;
r
/
{Ideali di S −1 A} .
50
CAPITOLO 4. ANELLI DI FRAZIONI E LOCALIZZAZIONE
(iv) se P ∈ Spec(A) è tale che P ∩ S = ∅, allora P soddisfa (4.4) e r(e(P )) = P . Pertanto,
r : Spec(S −1 A) ,→ Spec(A) identifica Spec(S −1 A) con il sottoinsieme
{P ∈ Spec(A) : P ∩ S = ∅} ⊆ Spec(A).
Dimostrazione.
(i) Segue subito da 3. della proposizione, osservando che I ⊆ r(e(I)).
(ii) Il punto 2. della proposizione e (i) appena mostrato dicono esattamente che r e d, ristrette
agli insiemi descritti nell’enunciato, sono l’una l’inversa dell’altra.
(iii) Poiché A soddisfa banalmente (4.4) r(e(A)) = A. Per iniettività di r, essendo e(A) e e(I)
entrambi ideali di S −1 A, abbiamo che:
r(e(I)) = A = r(e(A)) ⇔ e(A) = S −1 A = e(I) = S −1 I ⇔
1
∈ e(I) ⇔ 1 ∈ I ⇔ I ∩ S 6= ∅.
1
(iv) Non c’è niente da dimostrare.
Costruiamo ora un particolare tipo di anello di frazioni. Sia A un anello e sia P ∈ Spec(A).
Sappiamo che allora S := A \ P è un insieme moltiplicativamente chiuso. Possiamo pertanto
considerare AP := (A \ P )−1 A.
Proposizione 4.2.2. ∀s ∈ S,
a
∈ AP è invertibile ⇐⇒ a ∈
/ P.
s
Dimostrazione. Se a/s ∈ AP è tale che ∃ b/t ∈ Ap con b/t = (a/s)−1 , allora ∃u ∈ A \ P tale che
u(st − ab) = 0 ⇐⇒ uab = ust ∈
/ P perché ust ∈ A \ P . Poiché P è un ideale, ciò significa che
anche a ∈
/ P.
Viceversa, se a ∈
/ P , allora ϕ(a) = a/1 è invertibile in AP e quindi per ogni s ∈ A \ P anche a/s
lo è.
Corollario 4.2.2. Ap è un anello locale ed e(P ) = S −1 P è il suo unico ideale massimale.
Dimostrazione. Quanto appena provato ci dice esattamente che e(P ) = AP \ A×
P . Ricordando la
proposizione 1.5.1, si ha la tesi.
Definizione 4.2.2. L’anello locale (Ap , e(P )) è detto localizzazione di A in P.
Esempio 4.2.1.
1. Se p ∈ Z, Z(p) = {a/b ∈ Q : b ∈
/ (p)} = {a/b ∈ Q : p - b)}.
2. Sia K un campo e consideriamo l’anello dei polinomi in n variabili A := K[x1 , . . . , xn ].
Sia p = (a1 , . . . , an ) ∈ Kn e osserviamo che f ∈ A è tale che f (p) = 0 ⇐⇒ f ∈
mp := (x1 − a1 , . . . , xn − an ) ⊆ A. Notiamo inoltre che l’ideale mp è massimale, perché
ψ
la mappa ψ : A −→ K, f 7−→ f (p) è un epimorfismo (omomorfismo suriettivo) di anelli e
mp = ker(ψ). Perciò A/ ker(ψ) ' K ⇐⇒ mp è massimale.
L’anello locale Amp è dato da:
p1
∈ Frac(A) : p2 (p) 6= 0
Am p =
p2
4.3. MODULI DI FRAZIONI ED ESATTEZZA DI S −1
51
ed è anche detto insieme delle funzioni razionali regolari in p. Poiché K è un campo, ha
ancora senso valutare p1 /p2 in p, cioè ben definire una funzione AmP −→ K ponendo
p1
p1
∈ Amp ,
(p) := (p1 (p))(p2 (p))−1 .
∀
p2
p2
Se n ≥ 2, possiamo considerare l’ideale r := (x2 , . . . , xn ) di A, generato dalla retta in Kn
passante per l’origine di equazioni x2 = x3 = . . . = xn = 0. Tale ideale è formato da tutti e
soli i polinomi di A che si annullano su tale retta ed è primo. In questo caso Ar è l’insieme
formato da tutti i p1 /ps ∈ Frac(A) regolari su r, ossia tali che p2 (q) 6= 0 per ogni punto q
sulla retta x2 = x3 = . . . = xn = 0.
4.3
Moduli di Frazioni ed Esattezza di S −1
Vogliamo generalizzare la costruzione vista degli anelli di frazioni ai moduli. Prima di fare
ciò diamo la seguente
Proposizione 4.3.1. Siano A un anello e S ⊆ A un suo sottoinsieme moltiplicativo. Allora ad
ogni S −1 A−modulo possiamo associare un A modulo N tale che le mappe di moltiplicazione per
gli elementi s ∈ S (µs : N −→ N, n 7→ sn) siano biiettive. Viceversa, da ogni A−modulo con
questa proprietà possiamo ottenere un S −1 A−modulo.
Dimostrazione. Se M è un S −1 A−modulo, si può considerare come un A−modulo definendo,
∀a ∈ A e ∀m ∈ M , am := (a/1)m. È palese che in questo caso le mappe di moltiplicazione per
gli elementi di S sono delle biiezioni.
Viceversa, se M è un A−modulo tale che µs sia biiettiva per ogni s ∈ S, possiamo dotare M di
una struttura di modulo su S −1 A ponendo:
a
a
m := aµ−1
∀ ∈ S −1 A, ∀m ∈ M,
s (m).
s
s
Tale operazione è ben definita in quanto
∀
a b
a
b
, ∈ S −1 A,
=
=⇒ ∃u ∈ S : uat = ubs =⇒ ubµs = uaµt : M −→ M =⇒ bµs = aµt
s t
s
t
dove l’ultima implicazione segue dal fatto che, per ipotesi, la moltiplicazione per u ∈ S è, in
particolare, iniettiva.
Sia ora A un anello con S ⊆ A moltiplicativo. Se M è un A−modulo, definiamo su M × S la
relazione binaria:
∀ (m, s), (n, t) ∈ M × S,
(m, s) ∼ (n, t) ⇐⇒ ∃u ∈ S tale che u(mt − ns) = 0.
Nello stesso modo visto per gli anelli, si può verificare che ∼ è una relazione di equivalenza e che
è dunque possibile formare l’insieme quoziente S −1 M := M × S/ ∼. Inoltre, le due operazioni
a m
m n
a
m n
mt + ns
am
∈ S −1 M, ∀ ∈ S −1 A,
+ :=
e
:=
∀ ,
s t
u
s
t
st
u
s
us
−1
−1
−1
sono ben definite e rendono S A, S M, +, · un S A−modulo, il quale, grazie alla proposizione precedente, può essere trattato anche come un A−modulo.
Definizione 4.3.1. S −1 A, S −1 M, +, · è detto modulo delle frazioni di M rispetto a S.
52
CAPITOLO 4. ANELLI DI FRAZIONI E LOCALIZZAZIONE
Se ϕ := ϕM : M −→ S −1 M è la mappa m 7→ m/1, la coppia (S −1 M, ϕ) possiede la seguente
proprietà universale: per ogni coppia (N, ψ) con N modulo su S −1 A e ψ : M −→ N omomorfismo
qualunque di S −1 A−moduli, esiste un unica mappa S −1 A−lineare, % : S −1 M → N , tale che
commuti il diagramma
M
ϕ
ψ
.

S −1 M
/N
∃!%
La dimostrazione di questo fatto è analoga a quella vista nel caso degli anelli: basta porre
%(m/s) := (ψ(m))(1/s) e osservare che questa è una buona definizione in quanto, se m/s = n/t
in S −1 M ,
m
n
1 m n
∃x ∈ S : x(mt − ns) = 0 =⇒ 0 =
.
−
=
−
sx tx
x s
t
Sia ora f : M −→ N un omomorfismo di A−moduli. Allora, fissato S ⊆ A moltiplicativo, esso
induce un omomorfismo di S −1 A−moduli dato da
m
m
f (m)
S −1 f : S −1 M −→ S −1 N, ∀
∈ S −1 M, S −1 f
:=
.
s
s
s
Quindi S −1 f è l’unico omomorfismo di S −1 A−moduli che rende commutativo il diagramma
/N
f
M
ϕM
ϕN
S −1 M
S −1 f
/ S −1 N
È inoltre evidente che S −1 (idM ) = idS −1 M e che, se g : L −→ M è un (altro) omomorfismo di
A−moduli, S −1 (f ◦ g) = S −1 f ◦ S −1 g.
C’è un’altra importante proprietà di S −1 , come ci indica la prossima
Proposizione 4.3.2. Se
α
β
L−
→M −
→N
è una successione esatta di A−moduli e di mappe A−lineari, allora
S −1 α
S −1 β
S −1 L −−−→ S −1 M −−−→ S −1 N
è una successione esatta di S −1 A−moduli e di mappe S −1 A−lineari.
Dimostrazione. Comunque preso m/s ∈ S −1 M ,
m β(m)
(†)
S −1 β
=
= 0 ⇐⇒ ∃u ∈ S : uβ(m) = β(um) = 0 ⇐⇒ ∃u ∈ S, ∃l ∈ L : um = α(l) ⇐⇒
s
s
m
α(l)
l
⇐⇒ ∃u ∈ S, ∃l ∈ L :
=
= S −1 α
⇐⇒ ker(S −1 β) = Im(S −1 α),
s
us
us
α
β
dove l’equivalenza in (†) è dovuta all’esattezza di L −
→M −
→ N.
4.3. MODULI DI FRAZIONI ED ESATTEZZA DI S −1
53
Da quanto appena visto, segue in particolare che se L è un sottomodulo di M , applicando la
S −1 i
i
proposizione alla sequenza esatta 0 →
− L ,→ M , la mappa S −1 L ,→ S −1 M è iniettiva e pertanto
S −1 L può essere considerato come un sottomodulo di S −1 M . Inoltre
Corollario 4.3.1. Se N, P sono sottomoduli di un A−modulo M allora:
(i) S −1 (N + P ) = S −1 (N ) + S −1 (P );
(ii) S −1 (N ∩ P ) = S −1 (N ) ∩ S −1 (P );
(iii) S −1 (M/N ) ' (S −1 M )/(S −1 N ).
Dimostrazione.
(i) Basta osservare che ∀n ∈ N, ∀p ∈ P, ∀s ∈ S, (n + p)/s = (n/s) + (p/s).
(ii) L’inclusione S −1 (N ∩ P ) ⊆ S −1 (N ) ∩ S −1 (P ) è ovvia. Se n/s ∈ S −1 N e p/t ∈ S −1 P sono
tali che n/s = p/t allora ∃u ∈ S tale che w := utn = usp ∈ N ∩ P ossia n/s = w/stu ∈
S −1 (N ∩ P ).
i
π
(iii) È sufficiente applicare S −1 alla successione esatta 0 →
− N ,→ M −
→ M/N →
− 0.
Osservazione 4.3.1. Sia M un A−modulo libero e sia (e1 , . . . , en ) una sua base. Allora
n
M
possiamo scrivere M =
Aei e chiaramente Aei ∩ Aej = {0} per i 6= j. Pertanto, da (i) e (ii)
i=1
del corollario precedente segue che
S
−1
M =S
−1
n
M
!
Aei
=
n
M
S −1 (Aei ).
i=1
i=1
e
en .
1
1
Se M è soltanto finitamente generato su A e (m1 , . . . , mn ) è un sistema di generatori, allora
−1
anche
finitamente
generato come S −1 A-modulo ed un suo sistema di generatori è dato
mS M è m
n
1
da
, ...,
.
1
1
In particolare quindi S −1 M è libero su S −1 A e una sua base è data da
1
, ...,
Esempio 4.3.1.
1. Consideriamo la successione esatta breve di Z−moduli:
n7→2n
π
0→
− Z −−−−→ Z −
→ Z/2Z →
− 0.
Ponendo S := Z∗ osserviamo che S −1 (Z/2Z) ' S −1 Z/S −1 2Z = Q/2Q = Q/Q = {0}.
Dunque, otteniamo la successione esatta breve di Q moduli:
q7→2q
0→
− Q −−−→ Q →
− 0→
− 0.
2. Sia A un dominio e supponiamo di avere una successione esatta breve di A−moduli:
α
β
0→
− Aq −
→ Ap −
→M →
− 0.
54
CAPITOLO 4. ANELLI DI FRAZIONI E LOCALIZZAZIONE
Pertanto M è finitamente generato su A. Se poniamo S := A \ {0}, grazie all’osservazione
precedente, abbiamo S −1 Aq = Kq e S −1 Ap = Kp con K := Frac(A) campo. Otteniamo
perciò la successione esatta breve:
S −1 α
S −1 β
0→
− Kq −−−→ Kp −−−→ S −1 M →
− 0.
Ora, S −1 M è finitamente generato come K−spazio vettoriale (perché M è finitamente
generato su A) e quindi è libero su K. Ne segue che la successione è spezzante e che q ≤ p,
ossia:
dimK (Kp ) = dimK (Kq ) + dimK (S −1 M ) ⇐⇒ dimK (S −1 M ) = p − q.
3. Usiamo quanto appena visto nell’esempio precedente per studiare una situazione leggermente differente da quella ivi presentata: siano A un dominio, M un A−modulo e supponiamo
di disporre di una successione esatta (q ≤ p)
α
β
Aq −
→ Ap −
→M →
− 0.
Abbiamo già notato che ciò è sempre possibile se A è in aggiunta noetheriano (si veda
proposizione 3.1.3). Se S := A \ {0}, otteniamo quindi la successione esatta
S −1 α
S −1 β
− 0.
Kq −−−→ Kp −−−→ S −1 M →
Abbiamo che Im(S −1 α) ' Kq / ker(S −1 α) e Im(S −1 α) è finitamente generata su K perché
sottospazio vettoriale di Kp . Possiamo perciò considerare la composizione i ◦ S −1 α, dove
S −1 α : Kq / ker(S −1 α) −→ Im(S −1 α) è l’omomorfismo indotto da S −1 α e i : Im(S −1 α) ,→
Kp , ed ottenere la successione esatta breve:
i◦S −1 α
S −1 β
− 0.
0→
− Kq / ker(S −1 α) −−−−−→ Kp −−−→ S −1 M →
Grazie a quanto visto in precedenza, ponendo % := rk(S −1 α) = dimK (Im(S −1 α))) =
dimK (Kq / ker(S −1 α)), ricaviamo che:
dimK (S −1 M ) = p − %.
4.4
Fattorialità di A[x]. Irriducibilità in A[x] e in Frac(A)[x].
In tutta questa sezione, A indicherà un dominio.
Vogliamo usare il concetto di campo delle frazioni per ottenere dei risultati che leghino la fattorialità di A[x] a quella di A e l’irriducibilità dei polinomi in A[x] a quella in K[x].
Prima di procedere, compiamo una necessaria digressione nell’algebra elementare.
Definizione 4.4.1. Sia a ∈ A \ {0} un elemento non invertibile:
• a è irriducibile in A se a = bc per qualche b, c ∈ A =⇒ b ∈ A× o c ∈ A× ;
• a è primo in A se ∀b, c ∈ A, a | bc =⇒ a | b oppure a | c.
Evidentemente p ∈ A \ {0} è primo ⇐⇒ (p) è un ideale primo non nullo.
Possiamo definire su A una relazione di equivalenza ∼ ponendo:
∀a, b ∈ A,
Se a ∼ b si dice che a è associato a b.
a ∼ b ⇐⇒ ∃ε ∈ A× : a = εb.
4.4. FATTORIALITÀ DI A[X]. IRRIDUCIBILITÀ IN A[X] E IN Frac(A)[X].
55
Osservazione 4.4.1. Si hanno le seguenti immediate proprietà:
• ∀a, b ∈ A, a ∼ b ⇐⇒ a | b e b | a;
• ∀a ∈ A \ {0}, a ∼ 1 ⇐⇒ a ∈ A× ;
• ∀x, y, z, w ∈ A, se x ∼ z e y ∼ w allora (x | y ⇐⇒ z | w);
• ∀a, b ∈ A \ {0} con a ∼ b, a è irriducibile (primo) se e solo se b lo è.
Osservazione 4.4.2. Se p ∈ A è primo, allora è anche irriducibile. Infatti, sia p = ab con
a, b ∈ A. Poiché p è primo, o p | a, nel qual caso p ∼ a e b è invertibile, oppure p | b, da cui
segue che a è invertibile.
Consideriamo ora le tre proprietà seguenti:
(A1 ) ∀a ∈ A \ {0} non invertibile, ∃n ∈ N∗ ed ∃t1 , . . . , tn ∈ A irriducibili con a = t1 t2 · · · tn .
(A2 ) Comunque presi s, r ∈ N∗ e t1 , . . . , ts , a1 , . . . , an ∈ A irriducibili, se t1 · · · ts = a1 · · · an ,
allora r = s, esiste una permutazione σ : n −→ n ed esistono ε1 , . . . , εr ∈ A× tali che
ai = εi tσ(i) per ogni i ∈ r. (A volte per esprimere questa proprietà si dice che una
scomposizione in irriducibili di un elemento non Q
nullo e non invertibile di A, se esiste, è
r
essenzialmente unica.) Ovviamente si deve avere i=1 εi = 1.
(A3 ) Ogni irriducibile in A è primo.
Osservazione 4.4.3. (A3 ) =⇒ (A2 ). Infatti, assumiamo che in A ciascun irriducibile sia primo
e siano s, r ∈ N∗ e t1 , . . . , ts , a1 , . . . , an ∈ A irriducibili con t1 · · · ts = a1 · · · an . Supponiamo
WLOG r ≤ s e procediamo per induzione su r. Se r = 1 non c’è niente da dire. Se r ≥ 2 e la
tesi è valida per r − 1, poiché a1 primo e a1 (a2 · · · as ) = t1 · · · tr , abbiamo che ∃j ∈ r ed ∃a ∈ A
con tj = aa1 . Ne segue che a ∈ A× perché tj è irriducibile e
a1 (a2 · · · as ) = tj (t1 · · · tj−1 tj+1 · · · tr ) = a−1 a1 (t1 · · · tj−1 tj+1 · · · tr ) =⇒
=⇒ a2 · · · as = a−1 (t1 · · · tj−1 tj+1 · · · tr ).
I t1 , . . . , tj−1 , tj+1 , . . . , tr sono r−1 irriducibili di A che soddisfano l’ipotesi induttiva. Pertanto
r−1 = s−1 ⇐⇒ r = s ed esiste una permutazione σ : {2, . . . , r} → {1, . . . , j −1, j +1, . . . , r}
tale che ak = εk tσ(k) con εk ∈ A× per ogni k ∈ {2, . . . , r}. Tale permutazione si può chiaramente
estendere ad una r −→ r semplicemente mandando 1 in j; inoltre a1 = a−1 tj .
Proposizione 4.4.1.
1. Se in A valgono (A1 ) e (A2 ) allora A soddisfa l’A.C.C per ideali principali, i.e. per ogni
catena ascendente di ideali principali di A
(a0 ) ⊆ (a1 ) ⊆ · · · ⊆ (ak ) ⊆ . . .
∃n0 ∈ N tale che ∀n, m ≥ n0 , (an ) = (am ) o, equivalentemente, an ∼ am . Inoltre, per A
vale anche (A3 ).
2. Se invece A soddisfa l’A.C.C per ideali principali allora verifica anche (A1 ).
Dimostrazione.
56
CAPITOLO 4. ANELLI DI FRAZIONI E LOCALIZZAZIONE
1. Sia ((ai ))i∈N una catena ascendente di ideali principali di A e supponiamo per assurdo che
(ai ) ( (ai+1 ) per ogni i ∈ N. Osserviamo che se ∃i ∈ N per cui ai = 0 oppure ai ∈ A× , allora
necessariamente la catena è stazionaria. Si deve dunque avere che ai ∈ A\(A× ∪{0}) ∀i ∈ N.
Definiamo la lunghezza di ai , l(ai ), come il numero di fattori irriducibili (contati con i loro
esponenti) che compaiono nella scrittura di ai come prodotto di irriducibili: tale numero è
univocamente determinato da ai grazie alla proprietà (A2 ). Ora, (a0 ) ( (a1 ) ⇐⇒ a1 | a0
ma a0 - a1 . In particolare, ∃ k ∈ A \ A× non nullo tale che a0 = a1 k. Fattorizzando a0 e
a1 in irriducibili otteniamo p1 p2 · · · pl(a0 ) = (q1 · · · ql(a1 ) )(r1 · · · rl(k) ) e quindi, ancora grazie
ad (A2 ), l(a0 ) = l(a1 ) + l(k) con l(k) ≥ 1 perché 0 6= k ∈ A \ A× . Ne deduciamo che
l(a0 ) > l(a1 ). Possiamo a questo punto reiterare il ragionamento compiuto per la coppia
(a0 , a1 ) ed applicarlo a (ai , ai+1 ) per ogni i ∈ N, ricavando la sequenza di disuguaglianze
strette: l(a0 ) > l(a1 ) > l(a2 ) > . . . > l(ak ) > . . . Poiché l(a0 ) ∈ N, tali maggiorazioni
devono essere in numero finito, ossia ∃n0 ∈ N tale che l(an0 ) = 1 ⇐⇒ an0 è irriducibile e
ciò costituisce contraddizione con l’ipotesi (ai ) ( (ai+1 ) per ogni i ∈ N, la quale è dunque
da rifiutare (∀n ≥ n0 , (an0 ) ⊆ (an ) ⇐⇒ an | an0 ⇐⇒ an0 = εan per qualche ε ∈ A×
perché an0 è irriducibile).
Abbiamo mostrato che A soddisfa l’A.C.C per ideali principali. Mostriamo ora che verifica
anche (A3 ). Sia p | ab con a, b, p ∈ A e p irriducibile: ∃h ∈ A con ab = ph. Poiché possiamo
supporre che a, b ∈
/ A× ∪ {0}, p è uno dei fattori della scomposizione essenzialmente unica
di ab in irriducibili, ovvero p | a o p | b.
2. Sia a := a0 ∈ A un elemento non nullo e non invertibile. Se a è irriducibile, abbiamo
terminato. Supponiamo quindi che a non sia irriducibile: ∃a1 , b1 ∈ A \ (A× ∪ {0}) con
a = a1 b1 . Nel caso in cui a1 non sia irriducibile possiamo scrivere a1 = a2 b2 con a2 , b2 ∈
A \ (A× ∪ {0}). Analogamente, ∀k ∈ N∗ , se ak−1 è irriducibile, poniamo ak := ak−1 ,
altrimenti scegliamo ak ∈ A tale che ak−1 = ak bk per qualche bk ∈ A \ (A× ∪ {0}).
Ricaviamo quindi una catena ascendente ((ai ))i∈N , che deve, per ipotesi, essere stazionaria,
ovvero ∃n ∈ N tale che an sia irriducibile. Poniamo ora p1 := an e scriviamo a = p1 c1
per qualche c1 ∈ A \ {0}. Notiamo che c1 non può essere invertibile perché a non è
irriducibile. Pertanto, con lo stesso ragionamento appena compiuto, possiamo reperire un
fattore irriducibile di c1 , che denoteremo con p2 , i.e. c1 = p2 c2 con 0 6= c2 ∈ A \ A× . A
questo punto, ∀j ∈ N \ {0, 1}, se cj−1 è irriducibile, sia cj := cj−1 , altrimenti prendiamo
0 6= cj ∈ A \ A× tale che cj−1 = pj cj per qualche pj ∈ A irriducibile. Ancora una volta, la
catena ascendente ((cj ))j∈N∗ deve stoppare e troviamo quindi un s ∈ N tale per cui cs := ps
sia irriducibile. Concludiamo che a = p1 c1 = p1 p2 c2 = . . . = p1 p2 · · · ps con i pi irriducibili.
Possiamo quindi dare la prossima importante
Definizione 4.4.2. Un dominio A si dice fattoriale o a fattorizzazione unica se vale una delle
seguenti condizioni equivalenti:
• A soddisfa (A1 ) e (A2 );
• A verifica (A1 ) e (A3 );
• A soddisfa l’A.C.C per ideali principali e (A3 ).
Se A è fattoriale si dice e si scrive brevemente che è un UFD.1
1 Unique
Factorization Domain.
4.4. FATTORIALITÀ DI A[X]. IRRIDUCIBILITÀ IN A[X] E IN Frac(A)[X].
57
Osservazione 4.4.4. Se A è un dominio fattoriale allora, comunque presi a, b ∈ A, esistono
sempre MCD(a, b) e mcm(a, b). Infatti supponendo, per evitare banalità, che a, b ∈ A \ (A× ∪
{0}), possiamo sempre scrivere
a = εpe11 · · · penn
b = ξpf11 · · · pfnn ,
dove i pi sono tutti gli irriducibili che compaiono nelle fattorizzazioni sia di a che di b, ei , fi ≥ 0
e ε, ξ ∈ A sono invertibili. Se definiamo
d := pg11 · · · pgnn ,
gi := min{ei , fi } ∀i ∈ n
m := ph1 1 · · · phnn ,
hi := max{ei , fi } ∀i ∈ n
e
è chiaro che d = MCD(a, b) e m = mcm(a, b) (a meno di prodotti per elementi di A× ).
A questo punto, se ∀n ≥ 2 e per {a1 , . . . , an } ⊆ A qualunque, diciamo che un massimo comun
divisore tra gli ai è un m ∈ A tale che m | ai , ∀i ∈ n e se c ∈ A verifica c | ai ∀i ∈ n, allora c | m.
È facile vedere che un tale MCD, se esiste, è unico a meno di moltiplicazioni per invertibili di A.
Inoltre, se A è un UFD, esso esiste sempre e può essere preso ricorsivamente come
MCD(a1 , . . . , an ) = MCD(MCD(a1 , . . . , an−1 ), an ).
In maniera analoga si può definire e caratterizzare mcm(a1 , . . . , an ).
Teorema 4.4.1. Ogni PID A è un UFD.
Dimostrazione. poiché ogni PID è banalmente noetheriano, A soddisfa certamente l’A.C.C (per
ideali principali). Sia ora p ∈ A irriducibile e supponiamo che p | ab ma p - a per a, b ∈ A \ (A× ∪
{0}). Essendo p irriducibile e A un PID, (p) è massimale2 . D’altra parte, p - a ⇐⇒ a ∈
/ (p),
ossia (p) ( (p, a) e, per massimalità di (p) ciò significa che (p, a) = (1). Pertanto ∃u, v ∈ A
con up + va = 1 =⇒ upb + vab = b: nell’ipotesi in cui p | ab, abbiamo appena scritto che p | b,
ovvero p è primo e A soddisfa (A3 ).
Uno degli esempi fondamentali di dominio fattoriale è dato dalla proposizione seguente
Proposizione 4.4.2. Se K è un campo, K[x] è un PID e quindi un UFD.
Dimostrazione. Sia I ⊆ K[x] un ideale non nullo e sia g ∈ I tale da avere grado minimo tra
i polinomi in I. Per ogni f ∈ I \ {0}, grazie all’algoritmo di Euclide, ∃q, r ∈ K[x] tali che
f = qg + r con r = 0 o deg(r) < deg(g). Poiché r = f − qg ∈ I, dalla minimalità del grado di g
concludiamo che r = 0, ossia I = (g).
La proprietà di fattorialità di un dominio si conserva passando alle frazioni, ovvero più
precisamente
Proposizione 4.4.3. Sia A un UFD e sia S ⊆ A \ {0}. Allora S −1 A è un UFD.
Dimostrazione. Poiché ogni campo è fattoriale, possiamo supporre che S 6= A \ {0}. Ci è sufficiente mostrare che ogni elemento ϕ(a) = a/1 non nullo e non invertibile di S −1 A ammette
una fattorizzazione in primi. Siano dunque n, e1 , . . . , en ∈ N∗ e p1 , . . . , pn ∈ A primi tali
2 Sia p ∈ J con J ideale di A. Allora J = (d) per qualche d ∈ A e pertanto (p) ⊆ (d), ossia d | p. Dal momento
che p è irriducibile, o d è associato a p e allora J = (p), oppure d è invertibile e quindi (d) = A.
58
CAPITOLO 4. ANELLI DI FRAZIONI E LOCALIZZAZIONE
che a = pe11 · · · penn . Essendo ϕ : A −→ S −1 A un omomorfismo di anelli, possiamo certamente
scrivere:
p en
p e1
pe1 · · · penn
a
n
1
···
∈ S −1 A.
= 1
=
1
1
1
1
Ora, alcuni di questi fattori potrebbero essere invertibili in S −1 A: si tratta esattamente dei pi /1
per i quali (pi ) ∩ S 6= ∅. In questo caso infatti ∃σ ∈ S con σ = αpi per qualche α ∈ A e allora
pi /1 è invertibile perché S −1 A = T −1 A se T := {t ∈ A : ∃a ∈ A con at ∈ S}. Tuttavia, poiché
a/1 per ipotesi non è invertibile in S −1 A, ∃j ∈ n tale che (pj ) ∩ S = ∅, ossia pj /1 è primo in
S −1 A grazie al corollario 4.2.1.
D’ora in avanti assumeremo che A sia un UFD e denoteremo con K il campo delle frazioni
di A.
Se a/b ∈ K e s ∈ A \ {0} sappiamo che as/bs = a/b. Ne segue che ciascun elemento a ∈ K∗ si
può scrivere come quoziente di elementi di A, senza fattori primi in comune, i.e. a = α/β con
MCD(α, β) = 1: di qui in poi assumeremo sempre di essere in tale situazione, ogni volta che
considereremo un elemento di K. Inoltre, se p ∈ A è un primo qualunque, la fattorialità di A ci
assicura che sia sempre possibile scrivere
a = pr b
con r ∈ Z univocamente determinato da a e b = b1 /b2 ∈ K tale che p - b1 e p - b2 . Infatti se
Qr
Qs
f
a = α/β e scriviamo α, β come prodotto di irriducibili in A, α = i=1 pei i e β = j=1 qj j , allora
per ogni p ∈ A primo:
e1
ei−1 ei+1
p1 · · · pi−1
pi+1 · · · perr
ei
×
;
• se ∃i ∈ r ed ∃ε ∈ A con p = εpi , allora r = ei e a = p
εei β
!
fj
δ
α
• se ∃j ∈ s ed ∃δ ∈ A× tali che p = δqj , allora r = −fj e a = p−fj
;
ej−1 ej+1
q1f1 · · · qj−1
qj+1 · · · qses
• altrimenti, r = 0 e a = p0 a.
Chiamiamo r ∈ Z l’ordine di a in p e lo denotiamo con ordp a. Se a = 0, per ogni p ∈ A primo,
conveniamo che ordp 0 := −∞.
Evidentemente, se a, c ∈ K e ac 6= 0 allora ordp ac = ordp a + ordp c.
Pn
Consideriamo a questo punto K[x] e siano f = i=1 ai xi ∈ K[x] e p ∈ A un primo qualsiasi. Se
f = 0 poniamo ordp f = −∞; altrimenti, definiamo e denotiamo l’ordine di f in p come:
ordp f := min{ordp ai : ai 6= 0, i = 0, . . . , n}.
Osserviamo in particolare che (f 6= 0) ordp f > 0 ⇐⇒ a meno di invertibili in A, p compare
nella fattorizzazione in irriducibili in A di tutti i numeratori dei coefficienti di f (e di nessun
denumeratore). Invece ordp f < 0 ⇐⇒ p compare nella fattorizzazione in irriducibili in A di
almeno uno tra i denominatori dei coefficienti di f , a meno di elementi di A× .
Fissiamo ora un insieme Σ di rappresentanti delle classi di equivalenza di primi di A rispetto
alla relazione in A d’essere associati: se ∼ indica tale relazione ∀[q] =: α ∈ A/ ∼ (inteso come
insieme quoziente), con q ∈ A primo, ∃!p ∈ Σ tale che [p] = α.3 In particolare, ciascun elemento
0 6= a ∈ A non invertibile si scrive in modo unico (e finito) come prodotto di potenze di elementi
di Σ.
3 Più
formalmente Σ := {ch(α) : α ∈ A/ ∼}, dove ch : A/ ∼−→
S
A/ ∼ è una funzione di scelta su A/ ∼.
4.4. FATTORIALITÀ DI A[X]. IRRIDUCIBILITÀ IN A[X] E IN Frac(A)[X].
59
Pk
Definizione 4.4.3. Sia 0 6= f = i=1 ai xi ∈ K[x] e sia G := {p ∈ Σ : p è primo e ordp f 6= 0}.
Definiamo il content di f, cont(f ), ponendo:
Y
cont(f ) :=
pordp f ,
p∈G
con la convenzione che se G = ∅, cont(f ) = 1.
Pertanto, cont(f ) è ben definito solo a meno di moltiplicazioni per un elemento invertibile di A
(che rende conto della scelta compiuta di Σ).
Pk Notiamo che, se scriviamo 0 6= f = i=1 ndii xi ∈ K[x], allora, a meno di invertibili in A,
cont(f ) =
MCD(n0 , . . . , nk )
.
mcm(d0 , . . . , dk )
In particolare, cont(f ) = 1 se e soltanto se di = 1 ∀i ∈ n∪{0} (ossia ni ∈ A) e MCD(n0 , . . . , nk ) =
1, di nuovo il tutto a meno di moltiplicazioni per elementi di A× .
È chiaro d’altra parte che ∀b ∈ K∗ , cont(bf ) = b cont(f ). Ne segue che possiamo scrivere
f = cont(f )f1 ,
Pk
dove f1 ∈ A[x] ha content 1. Infatti, se cont(f ) = a/b, basta definire f1 := i=0 ri qi xi dove,
per ogni i ∈ n ∪ {0}, ri ∈ A è tale che ni = ari , mentre qi ∈ A soddisfa b = qi di . È evidente che
f = cont(f )f1 e cont(f1 ) = 1.
Definizione 4.4.4. Un polinomio f ∈ A[x] è detto primitivo se cont(f ) = 1.
Vale il risultato seguente
Lemma 4.4.1 (di Gauss). Sia A un UFD e sia K il suo campo di frazioni. Se 0 6= f, g ∈ K[x]
allora
cont(f g) = cont(f ) cont(g).
(4.5)
Dimostrazione. A meno di scrivere f = cont(f )f1 e g = cont(g)g1 con f1 , g1 primitivi, osserviamo che basta mostrare l’asserto nell’ipotesi in cui f e g abbiano entrambi content 1. A tal fine
è sufficiente provare che ∀p ∈ A primo, ordp (f g) = 0, ovvero che p non divide tutti i coefficienti
di f g. Consideriamo a questo proposito l’omomorfismo quoziente
PnA −→ A/(p) che si estende
ad unPomomorfismo A[x] −→ A/(p)[x], il quale associa a f = i=0 ai xi ∈ A[x] il polinomio
n
f := i=0 [ai ]xi ∈ A/(p)[x]. Abbiamo perciò f g = f g e, nell’ipotesi di primitività di f e di g,
f 6= 0 6= g. Poiché A/(p) è un dominio, f g 6= 0, come voluto.
Corollario 4.4.1. Sia f ∈ A[x] avente una fattorizzazione f = gh in K[x]. Se poniamo cg :=
cont(g), ch := cont(h) e scriviamo g = cg g1 , h = ch h1 con g1 , h1 primitivi, allora
f = cg ch g1 h1
e cg ch ∈ A. In particolare, se f, g ∈ A[x] hanno content 1 anche h gode della stessa proprietà.
Dimostrazione. Ovvia conseguenza del lemma di Gauss.
Possiamo finalmente enunciare e dimostrare il risultato (e motivo) principale di questa sezione
Teorema 4.4.2. Sia A un UFD e sia K il suo campo di frazioni. Allora
60
CAPITOLO 4. ANELLI DI FRAZIONI E LOCALIZZAZIONE
1. l’anello di polinomi A[x] è un UFD;
2. i primi in A[x] sono i primi in A e i polinomi in A[x] che sono irriducibili in K[x]e hanno
content 1.
Dimostrazione.
1. Se a ∈ A ⊆ A[x], una fattorizzazione essenzialmente unica in irriducibili di a come elemento
di A[x] è quella che a possiede in A: i primi in A sono banalmente primi anche in A[x]. Sia
quindi 0 6= f ∈ A[x] non costante. Poiché K[x] è un UFD, ∃n ∈ N ed ∃q1 , . . . , qn ∈ K[x]
irriducibili tali che f = q1 · · · qn . Scrivendo per ogni i ∈ n, qi = cont(qi )pi con pi irriducibile
e primitivo (quindi in particolare pi ∈ A[x]), ricaviamo perciò
f = c · p1 · · · pn ,
(4.6)
Qn
dove c := i=1 cont(qi ). Per il corollario precedente c ∈ A e quindi è scrivibile come
prodotto di primi in A. D’altra parte, ciascun pi è irriducibile anche in A[x] perché se
non lo fosse si potrebbe scrivere in A[x] come prodotto di fattori propri, pi = rs con
0 < deg(r), deg(s) < deg(f ), perché pi è a content 1. Pertanto, pi = rs sarebbe una
fattorizzazione propria di pi anche in K[x] e ciò è assurdo, per irriducibilità di pi in K[x].
Perciò 4.6 fornisce una fattorizzazione in A[x] di f in irriducibili.
Ora, se abbiamo un’altra fattorizzazione siffatta, diciamo f = d · · · r1 · · · rs (quindi d ∈ A e
gli rj sono primitivi), allora poiché K[x] è UFD, n = s e a seguito di una permutazione dei
fattori pi = ai ri con ai ∈ K ∀i ∈ n. Dal momento che sia i pi che gli ri sono primitivi, ricaviamo che gli ai sono in realtà elementi invertibili di A (A 3 cont(f ) = c = ca1 · · · as =⇒
1 = a1 · · · as ) e concludiamo.
2. Sia p ∈ A[x] un primo. Se p = a0 ∈ A, allora necessariamente a0 è un primo in A. Invece,
se p non è costante e, per assurdo, fosse riducibile in K[x], allora sarebbe possibile trovare
una fattorizzazione propria di p in K[x] nella forma p = cont(f )p1 · · · pr con cont(f ) ∈ A e
cont(pi ) = 1∀i ∈ r: poiché i pi sono primitivi, questa è anche una fattorizzazione propria
di p in A[x], il che contraddice l’irriducibilità di p in A[x]. Perciò, p è irriducibile in K[x]
e deve avere cont 1 perché possiamo sempre scrivere p = cont(p)q ∈ A[x] con q primitivo e
allora cont(p) è invertibile in A (segue dall’irriducibilità di p), cioè è a content 1.
Per concludere, ci basta mostrare che i primi in A e i polinomi irriducibili e primitivi in
K[x] sono primi in A[x]. Abbiamo già detto che la prima parte dell’asserzione è verificata.
Sia dunque p ∈ A[x] irriducibile e primitivo e supponiamo p | f g per f, g ∈ A[x]. Allora,
in particolare, p | f g in K[x] e qui p è irriducibile, ossia primo e quindi p | f o p | g in
K[x]. Assumendo WLOG che p | f in K[x], ∃qinK[x] per il quale f = pq: A 3 cont(f ) =
cont(pq) = cont(q) =⇒ cont(q) ∈ A =⇒ q ∈ A[x], ovvero p divide f anche in A[x].
Corollario 4.4.2. Se A è fattoriale, anche A[x1 , . . . , xn ] lo è.
Osserviamo che, in virtù del teorema precedente, quando lavoriamo con polinomi a coefficienti in un dominio fattoriale e primitivi, non è necessario specificare se questi polinomi siano
irriducibili su A o sul campo delle frazioni K.
Capitolo 5
Algebre Intere
5.1
A-algebre finite ed intere
Definizione 5.1.1. Sia (B, ϕ) una A−algebra. Un elemento y ∈ B si dice intero su A se esiste
un polinomio monico f (x) = xn + an−1 xn−1 + . . . + a0 ∈ A[x] tale che:
f (y) = y n + an−1 y n−1 + . . . + a0 = 0.
(5.1)
def
(Ricordiamo che ∀z ∈ B e ∀a ∈ A, az = ϕ(a)z). L’algebra B è detta intera su A se ogni y ∈ B
è intero su A.
Osservazione 5.1.1. Sottolineiamo che in 5.1 il polinomio f che viene valutato in y è richiesto
essere esplicitamente monico: in generale, se y ∈ B è intero su A, allora
Pèn anche algebrico su A,
ma il viceversa non è chiaramente verificato, perché se y ∈ B è tale che i=0 ai y i (per opportuni
a0 , . . . , an ∈ A) non è detto che sia possibile invertire in A il coefficiente direttore an e ricavare
dunque una relazione di dipendenza polinomiale come in 5.1.
Vediamo ora come si rapportano i concetti di A−algebra finita e intera.
Proposizione 5.1.1. Sia (B, ϕ) una A−algebra e sia y ∈ B. Le seguenti affermazioni sono
equivalenti:
(i) y è intero su A;
(ii) ϕ(A)[y] ⊆ B, il sottoanello di B generato da ϕ(A) e da y, è una sottoalgebra finita su A;
(iii) esiste una A−sottoalgebra C ⊆ B tale che ϕ(A)[y] ⊆ C e C sia finita su A;
(iv) esiste un ϕ(A)[y]−modulo fedele, M ⊆ B, che sia finitamente generato come ϕ(A)−modulo.
Dimostrazione.
• (i) =⇒ (ii). Precisiamo anzitutto che
)
( n
X
i
ϕ(A)[y] =
ai y : n ∈ N, ai ∈ A ∀i ∈ n .
i=0
Se y ∈ B è intero su A, esso soddisfa 5.1 per appositi an−1 , . . . , a0 ∈ ϕ(A). Dunque
∀r ∈ N, y n+r = −(an−1 y n+r−1 + · · · + a0 y r ). Ne segue che tutte le potenze positive di y
appartengono all’A-modulo generato dagli elementi 1, y, . . . , y n−1 , ovvero A[y] è generato,
come A−modulo, da 1, y, . . . , y n−1 .
61
62
CAPITOLO 5. ALGEBRE INTERE
• (ii) =⇒ (iii). Ovvio, basta prendere ϕ(A)[y] = C.
• (iii) =⇒ (iv). Definiamo M := C, il quale è un ϕ(A)[y]−modulo fedele perché z ∈ C
appartiene a Ann(M ) ⇐⇒ zc = 0 ∀c ∈ C ⇐⇒ z1 = 0 ⇐⇒ z = 0.
• (iv) =⇒ (i). Per mostrare questa implicazione useremo la formula di Cramer. Essa
afferma che, se K è un campo e (x1 , . . . , xm ) ∈ Km è una soluzione di un sistema lineare
a coefficienti e termini noti in K:
m
X
∀i ∈ m,
cij xj = di
(5.2)
j=1
allora ∀j ∈ m
xj =
det(Cj )
,
det(C)
(5.3)
dove C = (cij )i,j∈m ∈ M(m×m, K) e Cj è la matrice m×m che si ottiene da C sostituendo
la j−esima colonna di C con il vettore (d1 , . . . , dm ) ∈ Km .
Se riscriviamo 5.3 come det(C)xj = det(Cj ), tale formula diventa vera in ogni anello
R, indipendentemente dal fatto che det(C) ∈ R× . La dimostrazione di questo fatto si può
compiere per induzione sulla dimensione m della matrice C ∈ M(m×m, R) dei coefficienti
in 5.2, supponendo, chiaramente, che tale sistema sia risolubile. Il caso m = 1 è evidente.
Se la tesi è vera per sistemi (m − 1) × (m − 1) con m ≥ 2, allora siano C la matrice dei
coefficienti di 5.2 e (x1 , . . . , xm ) ∈ Rm una soluzione di tale sistema. Se denotiamo con
C p,k la sottomatrice di C che si ottiene da questa cancellando la p-esima riga e la k-esima
colonna, allora usando l’ipotesi induttiva otteniamo ∀j ∈ m:
det(Cj ) =
m
X
(−1)k−1 c1k det(Cj1,k ) =
k=1
m
X
(−1)k−1 c1k det(C 1,k )xj = det(C)xj .
k=1
Sia a questo punto M ⊆ B un A−modulo generato da elementi e1 , . . . , em in numero
finito e tale da essere fedele come ϕ(A)[y]−modulo (abbiamo yM ⊆ M perché M è un
ϕ(A)[y]−modulo). Allora per ogni i, j ∈ m esiste aij ∈ ϕ(A) con
yei =
m
X
aij ej ,
j=1
che si può riscrivere anche come


X
(y − aii )ei − 
aij ej  = 0
∀i ∈ m.
j6=i
Detta C la matrice dei coefficienti di tale sistema, essendo ovviamente (e1 , . . . , em ) lo
risolve, la formula di Cramer ci dice che det(C)ei = 0 per ciascun i. Poiché M è fedele e gli
ei generano M , ciò implica che det(C) = 0. Espandendo questo determinante, otteniamo
un equazione
y m + c1 y m−1 + . . . + cm = 0, ci ∈ ϕ(A).
5.1. A-ALGEBRE FINITE ED INTERE
63
Esercizio 1. Sia A un dominio di integrità e K il suo campo di frazioni. Sia L ⊇ K un campo,
che sia estensione finita di K, i.e., sia un K-spazio vettoriale di dimensione finita. Sia OL la
chiusura intera di A in L. Dimostrare che L è il campo di frazioni di OL e che esiste una base di
L come K-spazio vettoriale formata da elementi di OL .
Poi continua con i capitoli 4 e 5 del Miles Reid; questa parte del capitolo spiega in dettaglio
la prima parte del capitolo 4 del Miles Reid.
64
CAPITOLO 5. ALGEBRE INTERE
Capitolo 6
Decomposizione primaria
Sia A 6= {0} un anello commutativo con unità 1. Se I, J sono ideali di A ponete I : J = {x ∈
A : xJ ⊆ I} (dove xJ = {xa : a ∈ I}). Verificate che I : J è un ideale e che I : J ⊇ I (qui si usa
che I è un ideale). L’ultima inclusione a volte è stretta e a volte è un’uguglianza; ad esempio
I : (0) = A per ogni I. Testatelo nel caso A = Z. Spesso se a ∈ A si scrive I : a invece di I : (a).
Definizione 6.0.2. Un ideale I ( A si dice primario se ab ∈ I implica√che o a ∈ I oppure esiste
un intero k > 0 tale che bk ∈ I (equivalentemente, o a ∈ I oppure b ∈ I).
Notate che assumiamo che un ideale primario sia proprio: A non è primario. Ovviamente un
ideale primo è primario. Come esercizio potete verificare che gli ideali primari di Z sono (0) e gli
ideali (pk ) con p primo e k > 0, ma la verifica della parte “ solo se ” è semplificata dal seguente
lemma.
√
Lemma 6.0.1. Se I è primario, allora I è un ideale primo.
√
√
Dimostrazione. Siano ab ∈ I e supponiamo che sia a ∈
/ √I. Per definizione di radicale esiste
un intero k > 0 con (ab)k ∈ I, cioè ak bk ∈ I. Poiché a ∈
/ I, ak ∈
/ I. Per
√ definizione di ideale
primario esiste un intero m > 0 con (bk )m ∈ I, cioè bkm ∈ I e quindi b ∈ I.
√
√
Sia I primario. Per il lemma 6.0.1 I è un ideale primo; ovviamente I è univocamente
√
determinato da I. Dato un primo P ⊂ A un ideale primario I si dice P -primario se I = P e P
si dice il primo associato ad I.
Esercizio 2. Sia A un PID. Gli ideali primari di A sono {0} e (se A non è un campo) gli ideali
(pk ) con p primo e k un intero > 0. Si ha (pk ) = (q m ) se e solo se k = m e q è un primo
equivalente a p, cioè esiste c invertible con q = cp.
√
Esercizio√3. Sia I ( A un ideale primario. Sia ab ∈ I con a ∈
/I eb∈
/ I. Dimostrare che a ∈ I
e che b ∈ I. Quindi se P è un ideale primo, J è P -primario, ab ∈ J, a ∈
/J eb∈
/ J, allora a ∈ P
e b ∈ P . Trovare esempi in cui P 2 * J.
Esercizio 4. Sia I un ideale proprio di A. I è primario se e solo se (0) è un ideale primario di
A/I.
Ovviamente gli ideali primi sono primari. Altri esempi si costruiscono usando questo lemma.
√
Lemma 6.0.2. Sia I un ideale tale che m := I è massimale. Allora I è primario
65
66
CAPITOLO 6. DECOMPOSIZIONE PRIMARIA
Dimostrazione. Sia B := A/I. Per l’esercizio 3 basta dimostrare che l’ideale (0) di B è primario.
Siano ab = 0 (in B) con a 6= 0. Quindi b è un divisore di zero. Per ipotesi m/I è il radicale di
(0) in B e quindi l’unico ideale massimale di B (verificatelo). Quindi gli elementi di B \ m/I
sono invertibili. Quindi b ∈ m/I.
√
Notate che se m è un ideale massimale di A e k è un intero > 0, allora mk = m √
e quindi
possiamo applicare il lemma precedente all’ideale mk . Ma spesso ci sono altri esempi con I = m.
Definizione 6.0.3. Sia I ( A un ideale proprio. I si dice riducibile se esistono ideali J, H ⊆ A
con I = J ∩ H, J 6= I e H ∈
/ I. I si dice irriducibile se non è riducibile.
Esercizio 5. Sia I un ideale proprio di A. I è irriducibile se e solo se (0) è un ideale irriducibile
di A/I.
Lemma 6.0.3. Sia A noetheriano. Ogni ideale proprio di A è intersezione finita di ideali
irriducibili.
Dimostrazione. Supponete che il lemma sia falso e chiamate S l’insieme degli ideali propri di
A che non sono intersezioni finite di ideali irriducibili. Poiché A è noetheriano e S 6= ∅, S ha
un elemento massimale, I, per l’inclusione. Poiché I ∈ S e I = I, I non è irriducible. Quindi
esistono ideali J, H con I = J ∩ H, J 6= I e H 6= I. poiché I = J ∩ H si ha J ⊇ I e H ⊇ I.
poiché J 6= I, si ha H 6= A, cioè H è un ideale proprio. Nello stesso modo si verifica che J è
un ideale proprio. Poiché I è un elemento massimale di S e J, H contengono propriamente I,
J∈
/S eH∈
/ S. Poiché J e H sono propri, esistono ideali irriducibili J1 , . . . , Jk , H1 , . . . , Hs con
J = J1 ∩ · · · ∩ Jk e H = H1 ∩ · · · Hs . Quindi I = J1 ∩ · · · ∩ Jk ∩ H1 ∩ · · · ∩ Hs è intersezione finita
di ideali irriducibili, assurdo (poiché I ∈ S).
Teorema 6.0.1. Sia A noetheriano.
1. Ogni ideale irriducibile è primario.
2. Ogni ideale proprio è intersezione finita di ideali primari.
Dimostrazione. Prendiamo un ideale I irriducibile. Poniamo B := A/I. B è noetheriano. Per
l’esercizio 4 basta dimostrare che 0 è un ideale primario di B. Perpl’esercizio 5 (0) è un ideale
irriducibile di B. Prendiamo a, b ∈ B con a 6= 0, b 6= 0 e b ∈
/
(0). Per mostrare che (0)
è primario in B basta vedere che a è nilpotente. Scriviamo la notazione H : K tra ideali di
B per cui per ogni x ∈ B si ha (0) : x = {y ∈ B : yx = 0}. Per ogni intero k ≥ 0 ponete
Jk = (0) : ak . Notate che Jk ⊆ Jk+1 per ogni intero k > 0. Troviamo una catena ascendente di
ideali J1 ⊆ J2 ⊆ · · · e la noetherianità di B implica l’esistenza di un intero m > 0 con Jx = Jm
per ogni x > m. Anzitutto verifichiamo che (am ) ∩ (b) = (0). Sia c ∈ (am ) ∩ (b); poiché c ∈ (am )
esiste x ∈ B con c = xam poiché c ∈ (b) esiste y ∈ B con c = yb. Si ha ac = yab = 0 e quindi
xam+1 = 0, i.e. x ∈ Jm+1 . poiché Jm = Jm+1 , si ha xam = 0 e quindi c = 0, concludendo
la dimostrazione che (am ) ∩ (b) = (0). Per ipotesi (b) 6= (0) e l’irriducibilità di (0) implica
(am ) = (0), i.e. am = 0, concludendo la dimostrazione di (1).
L’affermazione (2) segue dall’affermazione (1) e dal lemma 6.0.3.
Il teorema 6.0.1 non è il teorema della decomposizione primaria per ideali di un anello noetheriano, perchè cerchiamo una decomposizione imparentata, ma differente come intersezione finita
di ideali primari non-necessariamente irriducibili, ma ciascuno associato ad un primo distinto.
Definizione 6.0.4. Sia I un ideale proprio di A. Si dice che I = I1 ∩· · ·∩Ik è una decomposizione
primaria di I se ogni Ij è primario. Si dice minimale se
67
1. gli ideali primi
p
Ij , j = 1, . . . , k, sono tutti distinti;
2. per ogni j = 1, . . . , k se omettiamo Ij nell’intersezione otteniamo un ideale strettamente
contenente I.
Lemma 6.0.4. Siano P un ideale primo di A e I, J ideali P -primari di A. Allora I ∩ J è
P -primario.
√
√
√
Dimostrazione. Si ha I ∩ J ⊆ I ∩ J = P ∩ P = P . Mostriamo ora l’altra inclusione. Sia
x ∈ P . Per ipotesi esistono interi k > 0 e√t > 0 con xk ∈ I e xs ∈ J. Quindi xt ∈ I ∩ J, con
/ P . Poiché ab ∈ I
t := max{k, s}. Abbiamo dimostrato che I ∩ J = P . Sia ab ∈ I ∩ J con b ∈
(resp. ab ∈ J) si ha a ∈ I (resp. a ∈ J) e quindi a ∈ I ∩ J.
Osservazione 6.0.2. Notate che il Lemma 6.0.4 si estende per induzione alle intersezioni finite di ideali P -primari. Usate il lemma 6.0.4 per dimostrare che se un ideale proprio ha una
decomposizione primaria, allora ha una decomposizione primaria minimale.
Come corollario del Teorema 6.0.1 e della Osservazione 6.0.2 si ha il seguente risultato.
Teorema 6.0.2. Ogni ideale proprio I di un anello noetheriano A ha una decomposizione
primaria minimale.
Dimostrazione. Sia I = I1 ∩ · · · ∩ Ik con Ij irriducibile (Lemma 6.0.3). Ogni Ij è primario
(Teorema 6.0.1) e quindi I = I1 ∩· · ·∩Ik è una decomposizione primaria di I. Usate l’osservazione
6.0.2.
Sia A noetheriano. Ci si chiede in che senso una decomposizione primaria minimale di un
ideale proprio è unica o meglio, che cosa è intrinseco ad I. Enuncio senza dimostrazione il
teorema generale e poi, se ho tempo, dimostro a lezione
alcuni
√
√ dei punti. Se I = I1 ∩ · · · ∩ Ik
è una decomposizione primaria minimale, i primi I1 , . . . , Ik si dicono i primi associati di I.
Per definizione di decomposizione minimale sono k primi distinti, ma√ci possono
√ essere inclusioni
tra loro (vedi Osservazione 6.0.3). Gli elementi minimali tra i primi I1 , . . . , Ik si dicono primi
minimali, mentre gli altri p
si dicono immersi o embedded. Ij si dice componente minimale (resp.
componente immersa) se Ij è un primo minimale.
Non dimostro il seguente teorema ([1, Theorem 4.5 and Corollary 4.11]).
Teorema 6.0.3. Sia A un anello noetheriano, I ( A un ideale proprio. Siano I1 ∩ · · · ∩ Ik e
J1 ∩ · · · ∩ Js due decomposizioni primarie minimali di I.
√
√
√
√
(a) s = k e le gli insiemi
di ideali primi { I1 , . . . , Ik } e { J1 , . . . , Jk }
√ con k elementi
√
sono uguali;
inoltre i primi { I1 , . . . , Ik } sono esattamente gli ideali primi che appiano negli
p
ideali (I : x), x ∈
/ I.
(b) Le componenti minimali di I1 ∩ · · · ∩ Ik e di J1 ∩ · · · ∩ Js sono le stesse.
Esercizio 6. Sia I un ideale proprio dell’anello
√
√ noetheriano
√ A e I = I1 ∩ · · · ∩ Ik una decomposizione
primaria
di
I.
Verificate
che
I
=
I
∩
·
·
·
∩
Ik è una decomposizione primaria di
1
√
I e che la si rende minimale prendendo solo i primi associati minimali di I. In particolare in
un anello noetheriano ogni ideale radicale proprio ha decomposizione primaria minimale unica
ed in essa compaiono solo ideali primi.
Osservazione 6.0.3. Ogni libro sull’argomento contiene semplici esempi con componenti immerse non uniche. La cosa sorprendente è che quando c’è una componente immersa, la decomposizione non è mai unica ed anzi ce ne sono sempre infinite. [1, Esercizio 1 del Capitolo 8] afferma
questo: Sia I un ideale proprio di A con una decomposizione primaria con un primo immerso P .
Ci sono infinite decomposizioni primarie di I in cui le componenti P -primarie sono tutte distinte.
68
CAPITOLO 6. DECOMPOSIZIONE PRIMARIA
Esercizio 7. Verificate che per ogni x ∈ A, √
ogni insieme
S ⊂ A e ogni ideali I, J
√ moltiplicativo
√
di A abbiamo (I ∩ J : x) = (I : x) ∩ (J : x), I ∩ J = I ∩ J e S −1 (I ∩ J) = S −1 I ∩ S −1 J.
√
Lemma 6.0.5. Sia I un ideale primario e J := I l’ideale primo corrispondente.
1. Se x ∈ I si ha (I : x) = A.
2. Se x ∈
/ J si ha (I : x) = I.
3. Se x ∈
/ I, allora (I : x) è un ideale J-primario e in particolare
p
(I : x) = J.
Dimostrazione. Parte 1) vale per un ideale I arbitrario, poiché 1 ∈ (I : x). Parte 2) segue dalla
definizione
di ideale J-primario.
/ I. La definizione di ideale primario implica
p
p Assumiamo ora x ∈
p
(I : x) ⊆ J. Poiché si ha (I : x) ⊇ J e quindi (I : x) = J. Se ab ∈ (I : x) e a ∈
/ (I : x) si
ha abx ∈ I e ax ∈
/ I e quindi bk ∈ I per qualche k > 0 e quindi bk ∈ (I : x). Quindi (I : x) è
J-primario.
Proposizione 6.0.2. Sia I un ideale che ammetta una decomposizione primaria minimale I =
I1 ∩ · · · ∩ Ik (ad esempio assumete che A sia noetheriano). Allora
p
∪ki=1 Ii = {x ∈ A | (I : x) 6= I}.
Prendendo I = (0) si ottiene in particolare che se A è noetheriano, allora l’insieme D dei divisori
di zero di A (compreso 0) è l’unione dei primi associati all’ideale (0).
Dimostrazione. Prendendo A/I invece di I ci si riduce al caso I = (0) con (0)
√ = I1 ∩· · ·∩Ik . Solo
qui chiamiamo per ogni insieme U ⊆ A (non
necessariamente
un
ideale)
U = {x ∈ A | esiste
√
√
p
k > 0 with xk ∈ U }. Si ha sempre U ⊆ U . Verificate che D = D = ∪x∈A\{0} (0 : x) =
p
∪x∈A\{0} (0 : x). Se guardate la parte (a) della dimostrazione del Teorema 6.0.3 che trovate
p
√
√
k
più in basso ottenete che per ogni x ∈ A \ {0} si ha (0 : x) = ∩x∈I
/ h Ih e quindi D ⊆ ∪i=1 Ii .
Inoltre la stessa parte (a) del p
Teorema 6.0.3 (che non usa il Lemma 6.0.2) dice che
√ ogni primo
associato di (0) è della forma (0 : x) per qualche x ∈ A \ {0} e quindi D ⊇ ∪ki=1 Ii .
Notate che in Proposizione 6.0.2 dovete prendere tutti i primi associati, non solo i primi
minimali associati.
/ S −1 A l’omomorfimo
Esercizio 8. Sia S ⊂ A un insieme moltiplicativamente chiuso e j : A
−1
−1
di localizzazione. Verificate che per ogni ideale I ⊆ A si ha j (S I) = ∪s∈S (I : s). Verificate
che se H ⊂ S −1 A è un ideale primario, allora j −1 (H) è primario.
Proposizione
un insieme moltiplicativamente chiuso, I un ideale primario.
√ 6.0.3. Sia S ⊂ A
/ S −1 A l’omorfismo di localizzazione.
Ponete J := I. Sia j : A
1. Se S ∩ J 6= ∅, allora S −1 I = S −1 A;
2. Se S ∩ J = ∅, allora S −1 I è primario e j −1 (S −1 I) = I.
Dimostrazione. Sia s ∈ S ∩ J. Quindi esiste k > 0 con sk ∈ I. S moltiplicativo implica sk ∈ S.
Quindi 1 = sk /sk ∈ S −1 A provando (1).
√
Assumiamo ora S∩J = ∅. Sappiamo che S −1 (J) è un ideale primo di S −1 A e poiché S −1 I =
S −1 J, verificate facilmente (esercizio 8) che S −1 (I) è primario. Prendete a ∈ j −1 (S −1 I), i.e.
assumete a/1 ∈ S −1 I, i.e. esiste s ∈ S con sa ∈ I. Poiché s ∈
/ J e I è primario, si ha a ∈ I.
69
Dimostrazione
la parte (a). Fissiamo x ∈
/ I. Per l’eserp 6.0.3: (a) Dimostriamo
p
pdel Teorema
(I
:
x)
=
(I
:
x)
∩
·
·
·
∩
(I
:
x).
Un
ideale
primo
è
irriducibile
e quindi se
cizio
7
si
ha
1
p
p k
(I : x) è un ideale primo, è delle
√ forma√ (Ij : x) per qualche j. Per dimostrare la parte (a)
basta provare che tutti gli ideali
I1 , .√
. . , Ik sono di questa forma (allo stesso modo si vedrebbe
√
J1 , . . . , J√s } e quindi
che lo sono tutti gli √
ideali { √
√ per definizioni di decomposizione primaria
minimale s = k e { I1 , . . . , Ik } = { J1 , . . . , Jk }). Fissiamo j ∈ {1, . . . , k} e prendiamo
x ∈ ∩h6=j Ih con x ∈
/ J (esiste
Per il Lemma 6.0.5 si ha
p poiché lapdecomposizione è minimale).
√
(Ih : x) = A se h 6= j e (Ij : x) = Ij e (esercizio 7)
e : commutano con l’intersezione
finita.
(b) Dimostriamo la parte (b). Poiché abbiamo completamente dimostrato la parte (a),
possiamo usare che k = s, che i primi associati
√ di√I non dipendono dalla decomposizione primaria
Ii = Ji per ogni i. Permutando gli indici possiamo
minimale di A che abbiamo
scelto
e
che
√
assumere che Hi := Ii , 1 ≤ i ≤ h, siano i primi minimali associati di I. Fissiamo i ∈ {1, . . . , h}
e poniamo S = A \ Hi . Poiché Hi è primo, S è un insieme moltiplicativo. Poiché Hi è un
primo minimale, si ha Hj ∩ S 6= ∅ per ogni j 6= i. Poiché la localizzazione di ideali commuta
con l’intersezione finita (Esercizio 7) S −1 (I1 ∩ · · · ∩ Ik ) = S −1 (I) = S −1 (J1 ∩ · · · ∩ Jk ) implica
S −1 (I1 ) ∩ · · · ∩ S −1 (Ih ) = S −1 (J1 ) ∩ · · · ∩ S −1 (Jh ) (per parte (a) di Proposizione 6.0.3) e poi
parte (b) di Proposizione 6.0.3 implica Ii = Ji .
Sia M un A-modulo. C’ è una definizione di decomposizione primaria anche per i sottomoduli
di M , con unicità simile al Teorema 6.0.3 e con esistenza dimostrata facilmente per moduli
finitamente generati di un anello noetheriano; su [1] trovate la definizione (e dato come esercizio
l’unicità) in [1, Ex. 4.20, 4.21, 4.22, 4.23]; l’esistenza di decomposizione primaria per moduli
finitamente generati su anello noetheriano lo trovate nell’ultimo rigo di [1, Ex. 7.19]. Il Miles
Reid fa direttamente la decomposizione primaria dei moduli (Capitolo 7); lo stesso fa D. Eisenbud,
Commutative Algebra with a View toward Algebraic Geometry, Capitolo 3.
70
CAPITOLO 6. DECOMPOSIZIONE PRIMARIA
Capitolo 7
DVR
In alcuni libri elementari di crittografia o di teoria dei codici trovate appendici matematiche
con definizioni di gruppo e di DVR. Sarebbe assurdo almeno non introdurre la definizione di
DVR (che è anche importante in Teoria dei Numeri).
/Z
Definizione 7.0.5. Sia K un campo. Una valutazione discreta su K è una mappa v : K\{0}
tale che v(ab) = v(a) + v(b) per ogni a, b ∈ K \ {0}, v(a + b) ≥ min{v(a), v(b)} se a 6= 0, b 6= 0 e
a + b 6= 0, e v(K \ {0}) 6= {0}. Im(v) è un sottogruppo non nullo di Z e quindi esiste k > 0 con
Im(v) = (k). La valutazione discreta si dice normalizzata se v è surgettiva, i.e. k = 1. Prendere
v
k invece di v permette di considerare solo le valutazioni normalizzate, senza perdere nulla. Si
pone anche v(0) = ∞ in cui ∞ è +∞, i.e. ∞ è maggiore di tutti gli elementi di Z.
Notate che se a 6= 0 e b 6= 0 v(a/b) = v(a) − v(b) e in particolare v(1) = 0.
/ Z una valutazione normalizzata. Sia t ∈ K \ {0} tale che v(t) = 1. Ponete
Sia v : K \ {0}
R := {0} ∪ v −1 (N) e m := {0} ∪ v −1 (N \ {0}).
Lemma 7.0.6. R è un anello (contenuto in K e quindi un dominio), v −1 (0) è l’insieme degli
elementi invertibili di R e K è il campo delle frazioni di R. R è un PID e per ogni ideale I ( A
con I 6= (0) c’è un unico intero k con I = (tk ).
Dimostrazione. Tutto è facile e lasciato per esercizio, eccetto l’ultima affermazione. Sia a ∈ I\{0}
con v(a) minimo e poniamo k := v(a). Si ha v(a/tk ) = 0 = v(tk /a) e quindi a/tk è invertibile in
R e quindi (a) = (tk ). Si vede allo stesso modo che se b ∈ A e v(b) > k, allora b ∈ (tk ). Quindi
I ⊆ (tk ). Poiché a ∈ I, si ha I ⊇ (a) = (tk ), i.e. I = (tk ).
R si dice l’anello della valutazione discreta.
Gli anelli R come nel lemma si chiamano DVR (Discrete Valuation Rings).
Il prossimo lemma mostra come invertire la costruzione, cioé partendo da un anello MOLTO
particolare ottenere una valutazione discreta.
Lemma 7.0.7. Sia R un dominio di integrità che sia un anello locale con ideale massimale
principale, R noetheriano, e R non un campo. Sia K il campo delle frazioni di R e R× l’insieme
degli elementi invertibili di R. Sia t un generatore dell’ideale massimale m di R. Allora per ogni
x ∈ K \ {0} esistono unici c ∈ R× e k ∈ Z con x = ctk . Ponendo v(x) = k si ottiene una
valutazione discreta normalizzata v di K con R = {0} ∪ v −1 (N).
Dimostrazione. R non un campo equivale a t 6= 0. Anzitutto verifichiamo che ∩k∈N (tk ) = {0}.
Assumiamo non lo sia e che ci sia y ∈ ∩k∈N (tk ) con y 6= 0. Per ogni k ≥ 0, si ha y/tk ∈ A. La
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CAPITOLO 7. DVR
famiglia di ideali (y/tk ) è crescente e deve essere stazionaria per la noetherianità di A. Quindi
esiste z > 0 e c ∈ A con y/tz+1 = c/tz . Siamo all’interno di K \ {0} e quindi c = t−1 e
quindi t ∈ R× , contraddicendo l’assunzione che t sia nel massimale di R. Prendiamo ora x ∈ A.
Abbiamo visto che l’insieme degli interi z ≥ 0 con x/tz ∈ A ha un massimo e lo chiamo z. Si
ha x/tz ∈ R× perchè R× = R \ (t). Possiamo prendere k = z e c = x/tz . Se x ∈ K \ A, allora
×
x−1 ∈ m e se x−1 = c1 tz basta prendere c = c−1
1 e k = z. Se x ∈ K \ {0} ed esistono c, c1 ∈ R
z
m
z−m
−1
e z, m ∈ Z con x = ct = c1 t si ha t
= c1 c e quindi z = m; ne segue che c = c1 .
Mettendo insieme i due lemmi si vede che si può sostituire noetherianità con l’assunzione a
priori molto più forte PID.
Esempio 7.0.1. Come esempio di DVR prendete un PID A non campo (ad esempio Z o K[x])
e l’anello locale S −1 A con S = A \ (p), p 6= 0 e p primo.
Capitolo 8
Complementi ai capitoli 4 e 5 del
Miles Reid
Sia K un campo qualunque. La topologia di Zariski non richiede che K sia algebricamente
chiuso. Per ogni insieme S ⊆ K n si definisce I(S) ideale di K[x1 , . . . , xn ] e per ogni ideale
I ⊆ K[x1 , . . . , xn ] con V (I(S)) = S (e in particolare V (I(S)) = S se S è chiuso per la topologia
di Zariski. Sul Miles Reid si definisce la definizione di chiuso irriducibile. Ogni chiuso V di K n
è unione finita di chiusi irriducibili Vi , V = V1 ∪ · · · Vs e le Vi sono unici a meno di permutazione
degli indici se si aggiunge che Vi ( Vj per ogni i 6= j.
Lemma 8.0.8. Un chiuso V ⊆ K n è irriducibile se e solo se I(V ) è primo.
Dimostrazione. Sia I(V ) non primo e prendiamo f, g ∈ K[x1 , . . . , xn ] con f ∈
/ I(V ), g ∈
/ I(V ) e
f g ∈ I(V ). Sia V1 = V (I ∪ {f }) e V2 = V (I ∪ {g}). Per ipotesi V1 * V , V2 * V . Verifichiamo
che V1 ∪ V2 = V . Assumiamo che esista x ∈ V \ (V1 ∪ V2 ). Per definizione di V1 (resp. V2 ) ha
f (x) 6= 0 (resp. g(x) 6= 0). Poiché f g ∈ I(V ) abbiamo (f g)(x) = 0, assurdo. Viceversa, sia
V = V1 ∪ V2 con V1 , V2 chiusi, V1 * V e V2 * V . Per definizione di chiuso di Zariski abbiamo
I(V ) * I(V1 ) e I(V ) * I(V2 ). Prendete f ∈ I(V1 )\I(V ) e g ∈ I(V2 )\I(V ). Abbiamo f g ∈ I(V ),
perché f g si annulla in tutti i punti di V1 ∪ V2 .
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CAPITOLO 8. COMPLEMENTI AI CAPITOLI 4 E 5 DEL MILES REID
Bibliografia
[1] M. Atiyah and I. Macdonald, Introduction to commutative algebra, Addison & Wesley,
Reading MA, 1969.
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