Dispense per il corso di Algebra Commutativa Marco Vergura 10 gennaio 2017 2 Indice 1 Anelli ed Ideali 1.1 Generalità . . . . . . . . . . . . 1.2 Operazioni tra ideali . . . . . . 1.3 Ideali Primi e Ideali Massimali 1.4 Nilradicale ed Ideali Radicali . 1.5 Anelli Locali . . . . . . . . . . . . . . . 5 5 9 14 18 21 2 Moduli 2.1 Concetti di Base . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.2 Costruzione di Moduli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.3 Successioni Esatte e Complessi di Moduli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25 25 29 33 3 Noetherianità 3.1 Anelli e Moduli Noetheriani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.2 Teorema della Base di Hilbert . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37 37 40 4 Anelli di Frazioni e Localizzazione 4.1 Definizione e proprietà universale . . . . . . . . . . . . . . 4.2 Ideali in A e in S −1 A. Localizzazione . . . . . . . . . . . 4.3 Moduli di Frazioni ed Esattezza di S −1 . . . . . . . . . . 4.4 Fattorialità di A[x]. Irriducibilità in A[x] e in Frac(A)[x]. . . . . 43 43 48 51 54 5 Algebre Intere 5.1 A-algebre finite ed intere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 61 61 6 Decomposizione primaria 65 7 DVR 71 8 Complementi ai capitoli 4 e 5 del Miles Reid 73 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 INDICE Capitolo 1 Anelli ed Ideali AAAAAAAAAAAAAAAAA: Nelle note per la lettura, inserire che I / A significa I sottogruppo di A, la convenzione su k per k ∈ N{0} e quella A∗ per A \ {0}. 1.1 Generalità Definizione 1.1.1. Un anello commutativo con unità 1 è una 5-upla ordinata (A, +, 0, ·, 1) dove (A, +, 0) è un gruppo abeliano, 1 ∈ A e · : A × A −→ A è una funzione (a, b) 7→ ab (detta prodotto) tale che ∀a, b, c ∈ A: A1) (associatività) (ab)c = a(bc); A2) (distributività) a(b + c) = ab + ac e (a + b)c = ac + bc; A3) (commutatività) ab = ba; A4) (unità) 1a = a1 = a. Osservazione 1.1.1. Dalla distributività del prodotto in un anello commutativo con unità A discendono subito le due proprietà seguenti: • ∀a ∈ A, a0 = 0. Infatti a0 = a(0 + 0) = a0 + a0 ⇒ 0 = a0; • ∀a, b ∈ A, a(−b) = −ab. Vale infatti: 0 = a(b + (−b)) = ab + a(−b) ⇒ a(−b) = −ab. D’ora in avanti, dove non diversamente specificato, con la parola “anello” si intenderà sempre un anello commutativo con unità. Inoltre, se A è un anello e J ⊆ A conveniamo che J / A significhi J / (A, +, 0). Osservazione 1.1.2. In un anello A, 0 = 1 ⇔ A = {0}, ovvero A è, come si dice, l’anello banale. Ciò è evidente perché se 0 = 1, allora ∀a ∈ A, a = a1 = a0 = 0. Il viceversa è ovvio. Definizione 1.1.2. Sia A un anello. S ⊆ A è detto sottoanello di A se 1 ∈ S, S è un sottogruppo di (A, +, 0) e ∀s, t ∈ S, st ∈ S. Definizione 1.1.3. Siano A, B anelli. Una mappa f : A −→ B si dice omomorfismo (di anelli) se ∀a, b ∈ A: M1) f è un omomorfismo di gruppi abeliani, i.e f (a + b) = f (a) + f (b). (Da questa proprietà discende subito che f (0) = 0 e f (−a) = −f (a)); 5 6 CAPITOLO 1. ANELLI ED IDEALI M2) f (ab) = f (a)f (b); M3) f (1) = 1. Se f : A −→ B è un omomorfismo, l’insieme ker(f ) := f −1 ({0}) è detto nucleo di f. Notiamo che {0} −→ A è un omomorfismo di anelli se e solo se A = {0}. Osservazione 1.1.3. Un omomorfismo di anelli f : A −→ B è iniettivo se e soltanto se ker(f ) = {0}. Infatti, ker(f ) = {0} ⇔ (∀a, b ∈ A, ϕ(a) = ϕ(b) ⇒ b − a = 0). Inoltre, la composizione di due omomorfismi è ancora un omomorfismo. Proposizione 1.1.1. Se A, B sono anelli e S ⊆ A è un sottoanello di A, allora per ogni omomorfismo f : A −→ B, f (S) =: Im(f ) è un sottoanello di B. Dimostrazione. 1 ∈ f (S) per M3). Se a, b ∈ A sono tali che f (a), f (b) ∈ S, allora f (a) + f (b) = f (a + b) ∈ f (S) e f (a)f (b) = f (ab) ∈ f (S) perché S, in quanto sottoanello, è chiuso per somme e prodotti di suoi elementi. Definizione 1.1.4. Siano A, B anelli. Un omomorfismo f : A −→ B si dice isomorfismo (di anelli) se esiste un omomorfismo g : B −→ A tale che g ◦ f = idA e f ◦ g = idb . In tal caso, si dice che A e B sono isomorfi e si scrive A ' B. Evidentemente, un omomorfismo f : A −→ B è un isomorfismo se e soltanto se è un omomorfismo biettivo. Definizione 1.1.5. Sia A un anello. I ⊆ A è detto ideale di A se è un sottogruppo di (A, +, 0) e ∀a ∈ A, ∀j ∈ I, aj ∈ I. Osserviamo che I := {0} è un ideale di A e così anche I := A, il quale è detto ideale improprio. Nella prossima proposizione raccogliamo alcuni semplici risultati iniziali sugli ideali. Proposizione 1.1.2. Siano A, B anelli con I ⊆ A qualunque e J ⊆ B ideale. Sia inoltre f : A −→ B un omomorfismo di anelli. a) Se 1 ∈ I, allora I è un ideale ⇔ I = A. In particolare, f è suriettiva ⇔ f (A) è un ideale. b) ker(f ) è un ideale di A. c) f −1 (J) è un ideale di A. Dimostrazione. a) Se I è un ideale, sia a ∈ A. Allora a = a1 da cui, poiché I è un ideale e 1 ∈ I, a ∈ I. L’implicazione opposta è evidente. b) 0 ∈ ker(f ) perché f (0) = 0. Inoltre, ∀a, b ∈ A, a, b ∈ ker(f ) ⇔ f (a) = 0 = f (b) ⇒ f (a + b) = f (a) + f (b) = 0 + 0 = 0 ⇔ a + b ∈ ker(f ). Infine, ∀a ∈ A, ∀z ∈ ker(f ), f (za) = f (z)f (a) = 0f (a) = 0 ⇔ za ∈ ker(f ). c) 0 ∈ f −1 (J) perché f (0) = 0. Se a, b ∈ A sono tali che f (a), f (b) ∈ J, allora f (a + b) = f (a) + f (b) ∈ J perché J è un ideale di B. Dunque, a + b ∈ f −1 (J). ∀x ∈ f −1 (J), ∀a ∈ A, f (ax) = f (a)f (x) ∈ J ⇔ ax ∈ f −1 (J). Il nostro prossimo obiettivo è dimostrare la seguente 1.1. GENERALITÀ 7 Proposizione 1.1.3. Sia A un anello e sia I ⊆ A un ideale. Allora esistono un anello B e un omomorfismo di anelli f : A −→ B tali che f sia suriettiva e ker(f ) = I. L’idea è di costruire B come l’insieme quoziente di A rispetto ad una particolare relazione di equivalenza, equipaggiandolo con opportune operazioni, e di considerare come f la proiezione di A su questo quoziente. Cominciamo osservando che, se su un anello A troviamo definita una relazione di equivalenza ∼ compatibile con le operazioni, ossia tale che ∀a, b, c, d ∈ A, a ∼ b e c ∼ d =⇒ a + c ∼ b + d e ac ∼ bd, allora abbiamo anche un ideale di A, dato dalla classe di equivalenza di 0 (la verifica di ciò è immediata). Quello che ci interessa particolarmente è che vale anche il viceversa: dato un ideale di A, è possibile definire su A una relazione di equivalenza che sia compatibile con le operazioni di A. Vediamo come fare. Definiamo su A la relazione: ∀a, b ∈ A, a ∼ b ⇔ a − b ∈ I, detta anche congruenza modulo I e scritta come a ≡ b mod I. Si tratta di una relazione di equivalenza. Infatti: • è riflessiva: a ∼ a perché a − a = 0 ∈ I; • è simmetrica: a ∼ b ⇔ b − a = −(a − b) ∈ I ⇔ b ∼ a; • è transitiva: a ∼ b, b ∼ c ⇔ a − b ∈ I e b − c ∈ I. Ne segue che (a − b) + (b − c) = a − c ∈ I, cioè a ∼ c. La congruenza modulo I è inoltre compatibile con le operazioni di A. Infatti, se a ≡ b mod I e c ≡ d mod I, allora a − b ∈ I e c − d ∈ I. Dunque: a + c − (b + d) = (a − b) + (c − d) ∈ I, perché I / A. Analogamente, ac − bc = (a − b)c ∈ I e bc − bd = b(c − d) ∈ I perché I è un ideale. Ne segue che ac − bd = (ac − bc) + (bc − bd) ∈ I. Pertanto, sia a + c ≡ b + d mod I che ac ≡ bd mod I. A questo punto, formiamo il quoziente insiemistico di A rispetto alla congruenza modulo I, che denotiamo con A/I. Un elemento α ∈ A/I è una classe di equivalenza [a] con a ∈ A e tale che: [a] = {b ∈ A : a − b ∈ I} = {b ∈ A : ∃i ∈ I per cui b = a + i} =: a + I ovvero gli elementi di A/I sono i laterali di A (inteso come gruppo abeliano) rispetto alla congruenza mod I. Su A/I definiamo delle operazioni di somma e di prodotto ponendo: (a + I) + (b + I) := (a + b) + I (a + I)(b + I) := (ab) + I Queste operazioni sono ben definite: diamo la dimostrazione nel caso della somma, essendo quella del prodotto del tutto analoga. Siano dunque a, b, c, d ∈ A tali che a + I = b + I e c + I = d + I. Esistono pertanto λ, µ ∈ I tali che b = a + λ e d = c + µ. Perciò: (a + I) + (c + I) = ((b − λ) + I) + ((d − µ) + I) = ((b − λ) + (d − µ)) + I = ((b + d) + (−λ − µ)) + I = (b + d) + I = (b + I) + (d + I). Osservando che 0A/I = 0A + I = I e 1A/I = 1A + I, si vede subito che (A/I, +, ·, 0A/I , 1A/I ) è un anello, detto anello quoziente di A rispetto all’ideale I. Poniamo in effetti B := A/I. A questo punto, la mappa ϕ : A −→ A/I, A 3 a 7→ ϕ(a) := [a] ∈ A/I, evidentemente suriettiva, è anche un omomorfismo di anelli, detto omomorfismo quoziente. Si ha ovviamente ker(ϕ) = I. Ciò conclude la dimostrazione della proposizione. 8 CAPITOLO 1. ANELLI ED IDEALI Osservazione 1.1.4. Un semplice e ben conosciuto esempio di congruenza modulo un ideale si ottiene considerando l’anello degli interi Z. In tal caso, infatti, è noto che gli ideali di Z sono tutti e soli i suoi sottogruppi (considerando Z come il gruppo abeliano (Z, +, 0)), ossia gli nZ ⊆ Z per n ∈ Z qualunque. Pertanto, comunque preso I = nZ ideale di Z, la congruenza modulo nZ non è nient’altro che la nota relazione di congruenza modulo n sugli interi: per ogni m, n ∈ Z, m ≡ n mod nZ ⇔ a − b ∈ nZ ⇔ ∃k ∈ Z tale che a − b = nk ⇔ n | a − b (n divide a − b), ossia, per definizione, se e soltanto se a ≡ b (mod n). Osserviamo che, fissato un ideale I di un anello A, ideali distinti di A possono dare la stessa immagine via l’omomorfismo quoziente ϕ in A/I; ad esempio, ϕ({0}) = {0} = ϕ(I). Abbiamo però la seguente: Proposizione 1.1.4. Vi è una corrispondenza biunivoca tra gli ideali di A contenenti I e l’insieme degli ideali di A/I. Se ϕ : A −→ A/I è l’omomorfismo quoziente, tale biezione è data associando ad un ideale J di A l’ideale ϕ(J) di A/I. Dimostrazione. Cominciamo osservando che, essendo ϕ suriettiva, essa manda ideali di A in ideali di A/I. Infatti, se K ⊆ A è un ideale, consideriamo ϕ(K) e siano α ∈ A/I e ϕ(a) ∈ ϕ(K). Per suriettività di ϕ, ∃b ∈ A tale che ϕ(b) = α. Ne segue che αϕ(a) = ϕ(b)ϕ(a) = ϕ(ba) ∈ ϕ(K) perché a ∈ K e K è un ideale per ipotesi. Poiché K / A e ϕ(K) / A/I abbiamo che ϕ(K) è un ideale di A/I. Mostriamo ora che la mappa A ⊇ I1 7→ ϕ(I1 ) ⊆ A/I, con I1 ideale di A contenente I, è davvero biettiva. • Suriettività: sia J ⊆ A/I ideale. Grazie alla proposizione 1.1.2, ϕ−1 (J) è un ideale di A e contiene I perché 0A/I ∈ J. Inoltre ϕ(ϕ−1 (J)) = J per suriettività di ϕ. • Iniettività: siano I1 , I2 ⊆ A ideali con I1 ⊇ I ⊆ I2 e tali che ϕ(I1 ) = ϕ(I2 ). Mostriamo che, allora, I1 ⊆ I2 , essendo la verifica dell’inclusione opposta identica, a meno di scambiare tra di loro i pedici 1 e 2. Sia a ∈ I1 : ϕ(a) ∈ ϕ(I1 ) = ϕ(I2 ) ⇒ ∃b ∈ I2 tale che ϕ(b) = ϕ(a) ⇔ ϕ(b − a) = 0 ⇔ b − a =: γ ∈ ker(ϕ) = I. Pertanto, a = b − γ ∈ I2 perché b ∈ I2 , γ ∈ I ⊆ I2 e I / A. Il prossimo risultato fornisce uno degli strumenti più utili nella pratica per mostrare che anelli distinti sono isomorfi e costituisce l’analogo di quanto valido per i gruppi. Teorema 1.1.1 (Teorema Fondamentale di Isomorfismo tra Anelli.). Siano A, B anelli e sia f : A −→ B un omomorfismo suriettivo. Allora A/ ker(f ) ' B, via f : A/ ker(f ) −→ B tale che f = f ◦ ϕ, dove ϕ : A −→ A/ ker(f ) è l’omomorfismo quoziente. Tale isomorfismo f è unico ed è detto isomorfismo indotto da f. Dimostrazione. Osserviamo che ∀a ∈ A, ∀c ∈ ker(f ), f (a + c) = f (a) + f (c) = f (a). Pertanto, è lecito definire f : A/ ker(f ) −→ B ponendo: ∀ a+ker(f ) ∈ A/ ker(f ), f (a+ker(f )) := f (a). Tale mappa, certamente iniettiva, è, per definizione, tale che f = f ◦ ϕ e dunque è anche suriettiva, in quanto f lo è. Evidentemente f è un omomorfismo di anelli e, quindi, è un isomorfismo come voluto. Infine, se g : A/ ker(f ) −→ B è tale che f = g ◦ ϕ allora, per ogni a ∈ A, f (a + N ) = f (a) = g(a + N ) ⇒ f = g. Corollario 1.1.1. Siano A, B anelli e sia ϕ : A −→ B un omomorfismo qualsiasi. Allora A/ ker(ϕ) ' Im(ϕ). 1.2. OPERAZIONI TRA IDEALI 9 Proposizione 1.1.5. Si consideri il diagramma seguente: h A γ /B g C dove A, B, C sono anelli, mentre γ è un omomorfismo qualunque e h è un omomorfismo suriettivo, entrambi dati. Allora esiste un omomorfismo g : B −→ C che faccia commutare il diagramma se e soltanto se ∀a, a1 ∈ A, h(a) = h(a1 ) ⇒ γ(a) = γ(a1 ). (1.1) Inoltre, tale omomorfismo g, se esiste, è unico. Dimostrazione. L’unicità di un omomorfismo con le proprietà richieste, ammesso che esista, è evidente. Infatti, siano f, g : B −→ C tali da far commutare il diagramma. Per ogni b ∈ B, grazie alla suriettività di h, ∃a ∈ A tale che h(a) = b. Ne segue che g(b) = g(h(a)) = γ(a) = f (h(a)) = f (b). Supponiamo ora che esista un omomorfismo g : B −→ C che faccia commutare il diagramma. Se a, a1 ∈ A sono tali che h(a) = h(a1 ), allora γ(a) = g(h(a)) = g(h(a1 )) = γ(a1 ). Viceversa, se ∀a, a1 ∈ A, h(a) = h(a1 ) ⇒ γ(a) = γ(a1 ), possiamo definire g : B −→ C come segue: ∀b ∈ B sia a ∈ A tale che h(a) = b e poniamo g(b) := γ(a). Grazie alle ipotesi compiute, g è ben definita. Inoltre, per la sua stessa definizione, g rende commutativo il diagramma. Infine, essa è chiaramente un omomorfismo di anelli, essenzialmente perché γ e h lo sono. Osservazione 1.1.5. Rifacendosi alla situazione descritta dalla proposizione precedente e usando le stesse notazioni, la condizione (1.1) è equivalente al fatto che ker(h) ⊆ ker(γ). Infatti, se vale (1.1), sia c ∈ A tale che h(c) = 0 = h(0). Allora γ(c) = γ(0) = 0, ossia c ∈ ker(γ). Viceversa, se ker(h) ⊆ ker(γ), siano a, a1 ∈ A tali che h(a) = h(a1 ) ⇔ h(a) − h(a1 ) = 0 = h(a − a1 ) ⇔ a − a1 ∈ ker(h) ⊆ ker(γ). Dunque, 0 = γ(a − a1 ) = γ(a) − γ(a1 ) ⇒ γ(a) = γ(a1 ). 1.2 Operazioni tra ideali Proposizione 1.2.1. Sia {Ik }k∈K una famiglia arbitraria di ideali di un anello A indiciata su T ∅= 6 K. Allora Ik è un ideale. k∈K Dimostrazione. Si tratta di pura insiemistica. Ad ogni modo: T M1) ∀k ∈ K, 0 ∈ Ik ⇒ 0 ∈ Ik ; k∈K T M2) ∀a, b ∈ A, a, b ∈ Ik ⇔ a, b ∈ Ik per ogni k ∈ K ⇒ a + b ∈ Ik per ogni k ∈ K ⇔ a + b ∈ k∈K T Ik ; k∈K M3) ∀γ ∈ A e ∀a ∈ T k∈K Ik , γa ∈ Ik per ogni k ∈ K ⇔ γa ∈ T k∈K Ik . 10 CAPITOLO 1. ANELLI ED IDEALI Definizione 1.2.1. Sia A un anello e sia S ⊆ A qualunque. L’intersezione di tutti gli ideali di A contenenti S (che è un ideale grazie alla proposizione precedente) è detto ideale generato da S e indicato con (S). Osserviamo che ∀S ⊆ A, esiste sempre l’ideale generato da S perché A ∈ {I ⊆ A : tali che I è un ideale con S ⊆ I}. Vale, banalmente, I ⊆ A è un ideale ⇔ I = (I). Osservazione 1.2.1. (S) è il più piccolo ideale di A contenente S. Infatti, (S) è un ideale e, d’altra parte, se S ⊆ J con J ideale di A allora (S) ⊆ J per definizione di (S). Se S è un insieme finito di elementi di A con cardinalità k ∈ N, cioè S = {a1 , . . . , ak } ⊆ A, si scrive anche (a1 , . . . , an ) al posto di ({a1 , . . . , an }). Inoltre, in questo caso, ) ( k X (1.2) (S) = ci ai ∈ A : ci ∈ A ∀i ∈ k i=1 o ∈ A : ci ∈ A ∀i ∈ A . Certamente ai ∈ J per ogni i ∈ k. Inoltre, Pk Pk J è un ideale, in quanto, se i=1 di ai ∈ J, λ ∈ A, grazie alle proprietà di i=1 ci ai ∈ J, associatività e di distributività di somma e di prodotto in A, si ha immediatamente che: ! ! ! k k k k k X X X X X ci ai + di a i = (ci + di )ai ∈ J e λ ci ai = (λci )ai ∈ J. Infatti, sia J := nP k i=1 i=1 ci ai i=1 i=1 i=1 i=1 D’altra parte, J è il più piccolo ideale contenente gli ai perché ogni altro ideale di A con questa proprietà deve contenere almeno anche le combinazioni lineari a coefficienti in A degli ai . Dunque J = (S). Più in generale, sia S ⊆ A un sottoinsieme qualunque di A e consideriamo la famiglia F := {Q ⊆ S : ∃k ∈ N \ {0} tale che |Q| = k}, ossia la famiglia dei sottoinsiemi finiti non vuoti di S. Allora: |Q| X [ (S) = (Q) = ci qi : Q ∈ F, ci ∈ A, qi ∈ Q per ogni i = 1, . . . , |Q| . (1.3) Q∈F i=1 S Infatti, sia I := Q∈F (Q). I è un ideale di A: mostriamo che è chiuso rispetto alla somma, essendo la verifica per il prodotto per elementi arbitrari di A del tutto analoga. Siano quindi a, b ∈ I: esistono Sa ⊆ S e Sb ⊆ S, entrambi non vuoti e finiti, tali che a ∈ (Sa ) e b ∈ (Sb ). Ne segue che a + b ∈ (Sa ∪ Sb ) perché a, b ∈ (Sa ∪ Sb ) e (Sa ∪ Sb ) è un ideale. Dunque, a + b ∈ I. Dal momento che ogni ideale di A contenente S deve necessariamente contenere anche I, otteniamo che I = (S). Definizione 1.2.2. Sia A un anello. Diciamo che un ideale I ⊆ A è finitamente generato se ∃n ∈ N∗ ed esistono g1 , . . . , gn ∈ I tali che I = (g1 , . . . , gn ). Più in generale, se Λ 6= ∅ e (gλ )λ∈Λ ⊆ I è una famiglia di elementi di I tali che I = ((gλ )λ∈Λ ) (ossia I coincide con l’ideale di A generato dai gλ ), si dice che i gλ generano I o che sono un sistema di generatori di I. Osservazione 1.2.2. Ogni ideale I ⊆ A possiede un sistema di generatori, dato da I stesso. Definizione 1.2.3. Sia A un anello. Se per ogni ideale I ⊆ A esiste m ∈ I tale che I = (m), diciamo che A è a ideali principali. 1.2. OPERAZIONI TRA IDEALI 11 Prima di procedere oltre, introduciamo un paio di definizioni che useremo spesso d’ora in avanti. Definizione 1.2.4. Sia A un anello con A 6= {0}. Un elemento a ∈ A si dice invertibile in A se ∃b ∈ A tale che ab = 1. L’insieme degli elementi invertibili di A è denotato con A× ed è sempre non vuoto perché almeno 1 ∈ A× . Osservazione 1.2.3. Si ha banalmente: (i) a ∈ A invertibile ⇒ a 6= 0; (ii) se a ∈ A è invertibile allora esiste un unico b ∈ A tale che ab = 1. Tale b è detto l’inverso di a e indicato con a−1 ; (iii) se a, b ∈ A sono invertibili, allora anche a−1 e ab lo sono. Pertanto, A× è un sottogruppo del monoide commutativo (A, ·, 1); (iv) se A 6= {0} e I ⊆ A è un ideale, I è l’ideale improprio ⇔ I contiene un elemento invertibile (I = A ⇔ I 3 1 = εε−1 per qualunque ε ∈ A invertibile); Definizione 1.2.5. Sia A un anello commutativo e unitario. Si dice che A è un campo se in A 1 6= 0 e ogni elemento non nullo di A è invertibile. Proposizione 1.2.2. Sia A un anello non banale. Allora A è un campo ⇔ i suoi unici ideali sono {0} e A. Dimostrazione. =⇒: sia {0} 6= I ⊆ A un ideale di A. Se a 6= 0 è un elemento di I allora anche aa−1 = 1 lo è perché I è un ideale. Perciò I = A. ⇐=: sia a ∈ A∗ . Allora (a) 6= {0} e, dunque, (a) = A. In particolare, quindi, 1 ∈ (a), ossia ∃x ∈ A tale che ax = 1. Pertanto ogni elemento non nullo di A è invertibile. Vediamo ora altri due modi per costruire ideali a partire da alcuni dati. Definizione 1.2.6. Sia A un anello e siano I, J ideali di A. L’insieme: I + J := {a + b : a ∈ I, b ∈ J} (1.4) è detto somma di I e J. Proposizione 1.2.3. I + J è un ideale di A e I + J = (I ∪ J). Dimostrazione. Abbiamo che I + J / A. Infatti, 0 = 0 + 0 ∈ I + J e se a1 , a2 ∈ I, b1 , b2 ∈ J allora (a1 + b1 ) + (a2 + b2 ) = (a1 + a2 ) + (b1 + b2 ) ∈ I + J (abbiamo qui usato ripetutamente e pesantemente l’associatività e la commutatività della somma in A e il fatto che I, J siano ideali di A). Inoltre, se a ∈ I, b ∈ J e c ∈ A, c(a + b) = ca + cb ∈ I + J perché I e J sono chiusi rispetto al prodotto per elementi arbitrari di A: abbiamo ottenuto che I + J è un ideale di A. D’altra parte, vale ovviamente: I ⊆ I + J, J ⊆ I + J e ogni ideale di A contenente I ∪ J deve anche contenere I + J. Pertanto, I + J = (I ∪ J). Quanto appena visto giustifica la seguente definizione per induzione: se I1 , . . . In sono ideali di A, poniamo, ∀n ∈ N∗ : ( n ) X I1 + I2 + · · · + In := (I1 + · · · + In−1 ) + In = ai : ai ∈ Ii , ∀i ∈ n . (1.5) i=1 Notiamo che la somma di due ideali propri di un anello può essere l’ideale improprio: 2Z+3Z = Z. 12 CAPITOLO 1. ANELLI ED IDEALI Osservazione 1.2.4. Se I1 , I2 , J ⊆ A sono ideali, abbiamo la seguente palese relazione: (J ∩ I1 ) + (J ∩ I2 ) ⊆ J ∩ (I1 + I2 ). (1.6) La dimostrazione di questo fatto consiste nella constatazione che (J ∩ I1 ) + (J ∩ I2 ) è l’ideale generato da (J ∩ I1 ) ∪ (J ∩ I2 ) e J ∩ Ii ⊆ J ∩ (I1 + I2 ) per i = 1, 2. Esempio 1.2.1. In generale, non vale l’inclusione opposta in (1.6). Ad esempio, sia K un campo e sia K[x, y] l’anello dei polinomi in due variabili a coefficienti in K. Definiamo I1 := (x) e I2 := (y). Ora, I1 + I2 = {xP1 (x, y) + yP2 (x, y) : P1 (x, y), P2 (x, y) ∈ K[x, y]}, ossia gli elementi di I1 + I2 sono tutti e soli i polinomi di K[x, y] privi di termine noto, i.e. che si annullano quando valutati in (0, 0) ∈ K2 : I1 + I2 = (x, y). Poniamo a questo punto J := (x + y). Vale (I1 + I2 ) ∩ J = (x, y) ∩ (x + y) = (x + y) perché (x + y) ( (x, y). Vediamo quindi di capire come è fatto (J ∩ I1 ) + (J ∩ I2 ). P (x, y) ∈ J ∩ I1 ⇔ ∃Q(x, y) ∈ K[x, y] tale che P (x, y) = (x + y)Q(x + y) e x|Q(x, y) (perché P (x, y) ∈ I1 = (x)) ⇔ P (x, y) = x(x + y)Q(x, y) per qualche Q(x, y) ∈ K(x, y). Perciò J ∩ I1 = ((x + y)x) e, analogamente, J ∩ I2 = ((x + y)y). Dunque, (J ∩ I1 ) + (J ∩ I2 ) = ((x + y)x) + ((x + y)y) = ((x + y)x, (x + y)y). Osserviamo che certamente vale (1.6), ma in (J ∩ I1 ) + (J ∩ I2 ) non ci sono polinomi lineari (in x e/o in y) che sono invece presenti in J ∩ (I1 + I2 ), ossia l’inclusione in (1.6) è stretta. Definizione 1.2.7. Siano I, J ⊆ A ideali. Il prodotto tra I e J è definito e denotato da IJ := ({f g}f ∈I, g∈J ). Osservazione 1.2.5. Si verifica facilmente che IJ = { n X fi gi : n ∈ N, fi ∈ I e gi ∈ J ∀i = 0, . . . , n}. (1.7) i=0 Abbiamo la proposizione seguente: Proposizione 1.2.4. Sia A un anello e siano I, J, K suoi ideali. Allora: (i) IJ ⊆ I ∩ J; (ii) I(J + K) = IJ + IK. Dimostrazione. (i) ovvia: se f ∈ I, g ∈ J allora f g ∈ I perché I è un ideale e f g ∈ J perché J è un ideale. (ii) Mostriamo le due inclusioni: ⊆ : poiché IJ + IK è un ideale, è sufficiente mostrare che ∀a ∈ I e ∀b ∈ J + K, ab ∈ IJ + IK. Siano dunque a ∈ I e b ∈ J + K qualsiasi. Allora ∃b1 ∈ J, ∃b2 ∈ K tali che b = b1 + b2 . Pertanto, ab = ab1 + ab2 . Essendo ab1 ∈ IJ e ab2 ∈ IK, ab ∈ IJ + IK; ⊇ : siano c ∈ IJ e d ∈ IK arbitrari. Allora ∃c1 , d1 ∈ I, ∃c2 ∈ J ed ∃d2 ∈ K tali che: c = c1 c2 e d = d1 d2 . Perciò, in particolare, c = c1 (c2 + 0) ∈ I(J + K) e d = d1 (0 + d2 ) ∈ I(J + K). Dal momento che I(J + K) è un ideale, concludiamo che c + d ∈ I(J + K). Notiamo che, in generale, l’inclusione al punto (i) della proposizione precedente è stretta. Ad esempio, se A è un campo K e in K[t] consideriamo gli ideali I := J := (tn ) con n ∈ N∗ , abbiamo che IJ = (t2n ) ( (tn ) = I ∩ J. C’è però una condizione particolare sugli ideali I e J che assicura l’uguaglianza tra IJ e I ∩ J: 1.2. OPERAZIONI TRA IDEALI 13 Definizione 1.2.8. Sia A anello e siano I, J ⊆ A ideali. Essi si dicono coprimi se I + J = A. Osserviamo che I, J ⊆ A sono ideali coprimi ⇔ ∃α ∈ I ed ∃β ∈ J tali che α + β = 1. Assumiamo ora, per evitare banalità, I, J ( A. Abbiamo il risultato seguente: Teorema 1.2.1 (Teorema Cinese del Resto.). Siano I, J ( A ideali coprimi. Allora: (i) IJ = I ∩ J; (ii) A/IJ ' A/I × A/J.1 Dimostrazione. (i) c’è da mostrare soltanto che I ∩ J ⊆ IJ. Sia γ ∈ I ∩ J e siano α ∈ I, β ∈ J tali che α + β = 1. Allora: γ = γ · 1 = γ(α + β) = γα + γβ ∈ IJ perché γα, γβ ∈ IJ e IJ / A. (ii) Consideriamo la funzione f : A −→ A/I × A/J definita da: ∀a ∈ A, f (a) := ([a]I , [a]J ), dove con [a]I intendiamo la classe di equivalenza di A modulo I e analogamente per [a]J . Si tratta evidentemente di un omomorfismo di anelli. Inoltre, a ∈ A è tale che f (a) = 0 se e solo se si ha, contemporaneamente, [a]I = 0 e [a]J = 0, ovvero se e solo se ∃i ∈ I ed ∃j ∈ J tali che j = a = i ⇔ a ∈ I ∩ J = IJ grazie a (i). Dunque ker(f ) = IJ. Mostriamo a questo punto che f è suriettiva. A tal scopo, sia b := ([x]I , [y]J ) ∈ A/I × A/J qualunque. Esibiremo a ∈ A tale che f (a) = b. Osserviamo anzitutto che f (a) = ([a]I , [a]J ) = b ⇐⇒ x + i = a = y + j per opportuni i ∈ I, j ∈ J. Detti α ∈ I e β ∈ J tali che α + β = 1, definiamo a := x + y − xα − yβ. Notiamo che: – a = x + (−xα + y(1 − β)) = x + (α(y − x)) e α(y − x) ∈ I perché α ∈ I; – a = y + (x − xα − yβ) = y + (x(1 − α) − yβ) = y + β(x − y) e β(x − y) ∈ J perché β ∈ J. Quindi a è tale che f (a) = b, cioè, vista l’arbitrarietà di b ∈ A/I × A/J, f è suriettiva. Corollario 1.2.1. Siano m, n ∈ Z tali che MCD(m, n)=1. Allora Z/mnZ ' Z/mZ × Z/nZ. Dimostrazione. Per l’identità di Bezout, ∃a, b ∈ Z tali che am + bn = 1, ossia (m) e (n) sono coprimi. Definizione 1.2.9. Sia A anello, k un intero ≥ 2 e I1 , · · · , Ik ideali di A. I1 , . . . , Ik si dicono coprimi se per ogni i, j ∈ {1, . . . , k} con i 6= j gli ideali Ii and Ij sono coprimi, i.e. Ii + Ij = A. Teorema 1.2.2 (Teorema Cinese del Resto, forma generale.). Sia k ≥ 2 un intero, I1 , . . . , Ik ( A ideali coprimi. Allora: (i) I1 · · · Ik = I1 ∩ · · · ∩ Ik ; (ii) I1 e l’ideale I2 · · · Ik sono coprimi; (iii) la mappa naturale A/I1 · · · Ik / Qk i=1 A/Ii 1 Ricordiamo che, se R, S sono anelli, l’insieme R × S diventa un anello con le operazioni componente per componente: ∀(a, b), (c, d) ∈ R × S, (a, b) + (c, d) := (a + c, b + d) e (a, b)(c, d) := (ac, bd). 14 CAPITOLO 1. ANELLI ED IDEALI Dimostrazione. Abbiamo appena dimostrato il caso k = 2 e quindi possiamo assumere k > 2 e (per induzione su k) che il teorema sia vero per k − 1 ideali coprimi. poiché I1 ed Ih sono Q coprimi, per ogni h = 2, . . . , k esiste eh ∈ I1 and fh ∈ Ih con eh + fh = 1. Si ha k 1 = h=2 (eh + fh ) = f2 · · · fh + c con c somma di termini del tipo eh ah with eh ∈ I1 ed ah ∈ A. Quindi c ∈ A, provando che I1 e l’ideale I2 · · · Ik sono coprimi. Per l’ipotesi induttiva si ha I2 · · · Ik = I1 ∩ · · · ∩ Ik . Quindi parte (i) del caso k = 2 implica anche (i) ed implica che la / A/I1 × A/I2 · · · Ik sia un isomorfismo. (ii) e parte (i) del caso mappa naturale A/I1 ∩ I2 · · · Ik k = 2 implica I1 ∩ I2 · · · Ik = I1 · · · Ik . L’ipotesi induttiva implica che l’omomorfismo naturale / A2 × · · · Ak è un isomorfismo. Componete i due isomorfismi appena ottenuti. A/I2 · · · Ik 1.3 Ideali Primi e Ideali Massimali Definizione 1.3.1. Sia A un anello. Un sottoinsieme S ⊆ A si dice moltiplicativo (oppure moltiplicativamente chiuso) se 1∈S e ∀a, b ∈ S, ab ∈ S. (1.8) Esempio 1.3.1. Sia A un anello. 1. S = {1} è il più piccolo insieme moltiplicativo in A. 2. Se 0 6= f ∈ A, S = {f n : n ∈ N} è un insieme moltiplicativo. Definizione 1.3.2. Un ideale P ⊆ A si dice primo se P 6= A e ∀a, b ∈ A, ab ∈ P ⇒ a ∈ P o b ∈ P. (1.9) L’insieme di tutti gli ideali primi di A è detto spettro di A e denotato con Spec(A). Osservazione 1.3.1. Abbiamo che P ⊆ A è primo ⇔ A \ P è moltiplicativo. Definizione 1.3.3. Un ideale M ⊆ A si dice massimale se M 6= A e non esiste alcun M 6= J 6= A, ideale proprio di A, contenente M . In altre parole, M è un ideale massimale di A se e soltanto se: M 6= A e (M ⊆ L ⊆ A con L ideale) ⇒ L = M oppure L = A. (1.10) Osservazione 1.3.2. Dalla definizione appena data è immediato constatare che un ideale M ( A è massimale se e soltanto se ∀a 6∈ M, (M, a) = A. Notiamo che, in base alle definizioni date, l’anello banale A = {0} non ha né ideali primi né ideali massimali. Definizione 1.3.4. Un anello A si dice dominio (di integrità) se l’ideale (0) = {0} è primo, ossia, equivalentemente, se A 6= {0} e ∀a, b ∈ A∗ , ab 6= 0. Se A è un dominio ed è a ideali principali (cfr. definizione 1.2.3), diciamo e scriviamo brevemente che A è un PID.2 Osservazione 1.3.3. Un anello A è un dominio se e solo se A\{0} è moltiplicativamente chiuso. Osservazione 1.3.4. Un campo K è un dominio: se a, b ∈ K \ {0} allora ab è invertibile perché a e b lo sono. In particolare, dunque, ab 6= 0. Proposizione 1.3.1. Sia A un anello e sia I ⊆ A un ideale. Allora: 2 Principal Ideal Domain 1.3. IDEALI PRIMI E IDEALI MASSIMALI 15 1. se I è massimale, I è primo; 2. I è primo ⇔ A/I è un dominio; 3. I è massimale ⇔ A/I è un campo. Dimostrazione. In virtù dell’osservazione 1.3.4, sarebbe sufficiente mostrare 2. e 3. per avere automaticamente la validità di 1. Tuttavia, diamo comunque una dimostrazione diretta di tutti gli enunciati. 1. Sia I massimale. Ciò significa, in particolare, che I 6= A. Siano ora a 6∈ I e b 6∈ I e verifichiamo che ab 6∈ I. Essendo I massimale, abbiamo: a 6∈ I ⇒ (I, a) = A e, allo stesso modo, b 6∈ I ⇒ (I, b) = A. Pertanto, ∃x, y ∈ I ed ∃α, β ∈ A tali che x + αa = 1 = y + βb. Conseguentemente, 1 = 1 · 1 = (x + αa)(y + βb) = xy + αay + βbx + αβab. D’altra parte, 1 6∈ I, ma xy, αay, βbx ∈ I perché x, y ∈ I. Quindi deve essere αβab 6∈ I e, allora, anche ab 6∈ I, come voluto. 2. Siano α, β ∈ A/I con α 6= 0 6= β e consideriamo l’omomorfismo quoziente π : A −→ A/I. Poiché π è suriettiva, ∃a, b ∈ A tali che π(a) = α e π(b) = β. Ora, abbiamo che, ∀x ∈ A, x ∈ I ⇔ π(x) = 0. Pertanto, otteniamo che I è primo ⇔ ∀a, b ∈ / I, ab 6∈ I ⇔ αβ 6= 0 ⇔ A/I è un dominio. 3. Sia I massimale e sia 0 6= α ∈ A/I. Mostriamo che ∃γ ∈ A/I tale che αγ = 1. Ciò, data l’arbitrarietà di α 6= 0 in A/I ci permetterà di concludere che A/I è un campo (infatti in A/I vale che 0 6= 1 perché I ( A). Sia a ∈ π −1 ({α}) : poiché α 6= 0 e π(a) = α 6= 0, a 6∈ I. Dunque, essendo I massimale, (I, a) = A. In particolare, ∃b ∈ I, ∃x ∈ A tali che b+ax = 1. Se poniamo γ := π(x) ed applichiamo π ad entrambi i membri dell’uguaglianza precedente, otteniamo: 1 = π(1) = π(b) + π(a)π(x) = αγ, come voluto. Viceversa, sia A/I un campo. Allora, in particolare, A/I 6= {0}, ossia I 6= A. Sia ora a∈ / I generico. La tesi si avrà, data l’arbitrarietà di a 6∈ I, se mostreremo che (I, a) = A. Poniamo α = π(a) e sia γ ∈ A/I tale che γα = 1. Se c ∈ π −1 ({γ}), 1 = π(1) = π(ac). Ne segue che ∃δ ∈ I tale che ac + δ = 1 ⇔ (I, a) = A. Se I ( A è un ideale, vi è una corrispondenza biunivoca tra gli ideali primi (rispettivamente massimali) di A/I e gli ideali primi (risp. massimali) di A contenenti I. Infatti: Proposizione 1.3.2. Siano A un anello e I ( A un suo ideale. (i) P è primo in A/I ⇔ π −1 (P ) è primo in A. (ii) M è massimale in A/I ⇔ π −1 (M ) è massimale in A. Dimostrazione. (i) Assumiamo P primo in A/I. Dunque, in particolare, P ( A/I e allora π −1 (P ) ( A. Siano ora a, b ∈ A qualsiasi tali che ab ∈ π −1 (P ). Ne segue che π(ab) = π(a)π(b) ∈ P , ossia, poiché P è primo, π(a) ∈ P ⇔ a ∈ π −1 (P ) oppure π(b) ∈ P ⇔ b ∈ π −1 (P ). Quindi anche π −1 (P ) è primo. Supponiamo viceversa che π −1 (P ) sia primo in A e siano α, β ∈ A/I tali che αβ ∈ P . Scegliamo a, b ∈ A tali che π(a) = α e π(b) = β. Ora, se αβ ∈ P , π −1 ({αβ}) ⊆ π −1 (P ) ⇒ ab ∈ π −1 (P ). Essendo π −1 (P ) primo, questo significa che a ∈ π −1 (P ) ⇔ π(a) = α ∈ P oppure b ∈ π −1 (P ) ⇔ π(b) = β ∈ P . Pertanto, P è primo. 16 CAPITOLO 1. ANELLI ED IDEALI (ii) Supponiamo dapprima che M ( A/I sia massimale e sia a ∈ A qualunque tale che a 6∈ π −1 (M ) ⇒ α := π(a) 6∈ M ⇒ (M, α) = A/I per massimalità di M . Dunque, ∃η ∈ M, ∃ξ ∈ A/I tali che 1A/I = η + αξ ⇒ π −1 ({1A/I }) = π −1 ({η + αξ}). Presi l ∈ π −1 (M ) e x ∈ A tali che π(l) = η e π(x) = ξ, certamente l + ax è una controimmagine di η + αξ via π. Da π(1A ) = 1A/I = π(l + ax) segue che ∃m ∈ I ⊆ π −1 (M ) tale che 1 + m = l + ax ⇔ l − m + ax = 1. Poiché l − m ∈ π −1 (M ) in quanto quest’ultimo è un ideale, abbiamo appena scritto che 1 ∈ (π −1 (M ), a) ⇔ (π −1 (M ), a) = A. Dall’arbitrarietà di a ∈ A \ π −1 (M ), ricaviamo che π −1 (M ) è massimale. Viceversa, sia π −1 (M ) ⊆ A massimale e sia α ∈ A/I con α 6∈ M . Dunque π −1 ({α}) ∩ π −1 (M ) = ∅. Sia a ∈ A tale che π(a) = α. Per massimalità di π −1 (M ), (π −1 (M ), a) = (1) (a ∈ π −1 ({α}) ⇒ a 6∈ π −1 (M )). Dunque, ∃l ∈ π −1 (M ), ∃x ∈ A tale che l + ax = 1. Ne segue che π(l) + π(a)π(x) = 1A/I . Poiché π(l) ∈ M e π(a) = α, abbiamo appena ottenuto che 1A/I ∈ (M, α), cioè (M, α) = A. Il nostro prossimo obiettivo è mostrare che ogni anello (commutativo con unità) non banale possiede ideali massimali e, dunque, ideali primi. Prima di fare ciò, necessitiamo di alcuni richiami insiemistici, in particolare del celebre Lemma di Zorn. Definizione 1.3.5. Sia Σ un insieme. Un ordinamento parziale su Σ è una relazione S su Σ (ossia un sottoinsieme S ⊆ Σ × Σ) la quale, usando la notazione aSb per intendere che (a, b) ∈ S, soddisfi le seguenti proprietà: • sia riflessiva: ∀a ∈ A, aSa; • sia antisimmetrica: ∀a, b ∈ A aSb e bSa ⇒ a = b; • sia transitiva: ∀a, b, c ∈ A, aSb e bSc ⇒ aSc. Un insieme parzialmente ordinato è una coppia (Σ, ≤), dove ≤ è un ordinamento parziale sull’insieme Σ. Definizione 1.3.6. Sia (Σ, ≤) un insieme parzialmente ordinato. Un sottoinsieme C ⊆ Σ si dice catena (in Σ rispetto a ≤) se ∀a, b ∈ C, a ≤ b oppure b ≤ a. Se ∃γ ∈ Σ tale che ∀a ∈ C, a ≤ γ diciamo che γ è un maggiorante per C. Vale il seguente Teorema 1.3.1 (Lemma di Zorn). Sia (Σ, ≤) un insieme parzialmente ordinato. Se ogni catena C ⊆ Σ possiede un maggiorante, allora Σ ha un elemento massimale, ossia ∃a ∈ Σ tale che ∀b ∈ Σ, a ≤ b ⇒ a = b. (1.11) A questo punto abbiamo gli strumenti per mostrare il notevole Teorema 1.3.2 (Lemma di Krull-Zorn). Sia A un anello commutativo con unità non banale. Se I ( A è un ideale, allora esiste un ideale massimale M di A tale che I ⊆ M . Dimostrazione. Definiamo Σ := {J ∈ P(A) : J 6= A e J è un ideale di A contenente I } (1.12) Osserviamo che Σ 6= ∅ perché I ∈ Σ. Su Σ definiamo l’ordinamento parziale dato dall’inclusione insiemistica: ∀I1 , I2 ∈ Σ, I1 ≤ I2 ⇔ I1 ⊆ I2 . (1.13) 1.3. IDEALI PRIMI E IDEALI MASSIMALI 17 S Sia ora ∅ = 6 C ⊆ Σ una catena e mostriamo che essa ha almeno un maggiorante. Sia J := L∈C L: verifichiamo che si tratta del maggiorante cercato. Certamente I ⊆ J e ∀L ∈ C, L ⊆ J. Inoltre, poiché ogni L ∈ C è contenuto propriamente in A, ∀L ∈ C, 1 6∈ C ⇒ 1 6∈ J, ossia J ( A. A questo punto, per concludere che J è maggiorante di C basta provare che J è un ideale. In effetti: • 0 ∈ J perché 0 ∈ L per ogni L ∈ C; • ∀a ∈ J e ∀c ∈ A esiste L ∈ C con a ∈ L. Ciò implica che ac ∈ L perché L è un ideale, ossia ac ∈ J; • siano a1 , a2 ∈ J qualsiasi. Allora ∃L1 ∈ C con a1 ∈ L1 ed ∃L2 ∈ C con a2 ∈ L2 .Poiché C è una catena in Σ rispetto all’inclusione , si dovrà avere L1 ⊆ L2 oppure L2 ⊆ L1 .A meno di permutare gli indici, possiamo assumere WLOG3 che sia 1 ⊆ L2 . Pertanto a1 , a2 ∈ L ⇒ a1 + a2 ∈ L2 ⇒ a1 + a2 ∈ J. Dunque J è un maggiorante di C. Per l’arbitrarietà della catena C ⊆ Σ, grazie al Lemma di Zorn, deduciamo che esiste un elemento M ∈ Σ che sia massimale per la relazione di inclusione in Σ. Ciò conclude la nostra dimostrazione, in quanto M è un ideale massimale: se K ⊆ A è tale che I ⊆ M ⊆ K ( A, per massimalità di M rispetto a ≤, M ≤ K ⇒ M = K. Corollario 1.3.1. Sia A 6= {0} un anello. Allora Spec(A) 6= ∅. Corollario 1.3.2. Per ogni anello A, sia M := {M ( A : M è un ideale massimale}. Allora: [ A× = A \ M. M ∈M Dimostrazione. Sia I := {I ( A : I è un ideale di A}, la famiglia degli ideali propri contenuti in A. Poiché ogni ideale massimale è un ideale proprio e, viceversa, ogni ideale proprio è contenuto in un ideale massimale, abbiamo che: [ [ M= I. M ∈M I∈I × Pertanto, è sufficiente mostrare che AS = A \ I∈I I. Se a ∈ A× , a non è contenuto in nessun ideale proprio. Viceversa, se a ∈ A \ I∈I I, allora (a) = (1), cioè a è invertibile. Ciò conclude la dimostrazione: notiamo comunque che, poiché ogni ideale massimale è anche primo e ciascun ideale primo è contenuto in un ideale massimale, vale ulteriormente: [ [ [ I= M= P. S I∈I M ∈M P ∈Spec(A) Osservazione 1.3.5. Il teorema di Krull-Zorn si può formulare equivalentemente dicendo che ogni anello non banale A ammette almeno un ideale massimale. Infatti, supponiamo che quest’ultimo fatto, all’apparenza più debole del teorema 1.3.2, sia vero e sia I ( A un ideale. Consideriamo quindi l’anello quoziente A/I: per ipotesi, esso contiene un ideale massimale M . Da ciò segue che, detto π : A −→ A/I l’omomorfismo quoziente, π −1 (M ) è un ideale massimale che contiene I perché 0A/I ∈ M (cfr. proposizione 1.3.2). Abbiamo quindi mostrato la validità del lemma di Krull-Zorn. 3 Without Loss Of Generality 18 CAPITOLO 1. ANELLI ED IDEALI Proposizione 1.3.3. Sia A un anello sia S ⊆ A un insieme moltiplicativo. Per ogni ideale I ⊂ A tale che I ∩ S = ∅, esiste un ideale primo P di A tale che I ⊆ P e P ∩ S = ∅. Dimostrazione. Consideriamo l’insieme parzialmente ordinato (Σ, ⊆) dove: Σ := {J ⊆ A : I ⊆ J, J è un ideale di A e J ∩ S = ∅}. Si ha I ∈ Σ e quindi Σ 6= ∅. Dato che 1 ∈ S, ogni elemento di Σ è un ideale proprio. Ragionando come nella dimostrazione del teorema 1.3.2, si ottiene che ogni catena C ⊆ Σ ammette almeno un maggiorante (dato da ∪C). Per il lemma di Zorn, esiste un elemento P ∈ Σ massimale, il quale, dunque, è in particolare diverso da A. La tesi seguirà perché mostreremo che ogni elemento massimale di Σ è un ideale primo. Infatti, sia P ∈ Σ massimale e siano a 6∈ P e b 6∈ P . Ne segue che P ( (a, P ) e P ( (b, P ). Inoltre, per massimalità di P , (a, P ) 6∈ Σ e (b, P ) 6∈ Σ. Quindi esiste S ∩ (a, P ) 6= ∅ e S ∩ (b, P ) 6= ∅. Quindi ci sono p1 , p2 ∈ P e c1 , c2 ∈ A tali che c1 a + p1 ∈ S e c2 b + p2 ∈ S. Poiché S é moltiplicativo, si ha (c1 a + p1 )(c2 b + p2 ) ∈ S. Si ha c2 bp1 + c1 ap2 + p1 p2 ∈ P perché P é un ideale. Poiché P ∈ Σ si ha P ∩ S = ∅ e quindi c1 c2 ab ∈ / P. Quindi ab ∈ / P. 1.4 Nilradicale ed Ideali Radicali Definizione 1.4.1. Sia A un anello. Un elemento a ∈ A si dice divisore dello zero se ∃b 6= 0 tale che ab = 0. Si dice che a ∈ A è nilpotente se ∃k ∈ N∗ tale che ak = 0. Se a è nilpotente, chiamiamo ordine di nilpotenza di a il minimo intero m ∈ N∗ per cui am = 0. Notiamo che, se a ∈ A è nilpotente con ordine di nilpotenza m, allora banalmente a è anche un divisore dello zero e ∀n > m, an è nilpotente. Inoltre, un anello A è un dominio se e soltanto l’unico divisore della zero in A è lo zero stesso. Esempio 1.4.1. Se p ∈ Z è primo e k ∈ N con k ≥ 2, Z/(pk ) contiene elementi nilpotenti diversi dallo zero (ad esempio [p]). Definizione 1.4.2. Se A è un anello, il nilradicale di A, denotato con nil(A) è l’insieme degli elementi nilpotenti di A. Proposizione 1.4.1. nil(A) è un ideale. Dimostrazione. Evidentemente 0 ∈ nil(A) e se a ∈ nil(A) con ordine di nilpotenza n, allora ∀λ ∈ A, (λa)n = λn an = 0. Sia ora b ∈ nil(A) e sia m ∈ N∗ il suo ordine di nilpotenza. Per la formula del binomio di Newton: m+n−1 X m + n − 1 m+n−1 (a + b) = ai bm+n−1−i . i i=0 Ora, ∀i = 0, . . . , m + n − 1 : • se i ≥ n, ai = 0 =⇒ m+n−1 i ai bm+n−1−i = 0; • se i ≤ n − 1, m + n − 1 − i ≥ m =⇒ bm+n−1−i = 0 =⇒ Pertanto, a + b ∈ nil(A). Il Lemma di Zorn assicura la validità anche della seguente m+n−1 i ai bm+n−1−i = 0. 1.4. NILRADICALE ED IDEALI RADICALI 19 Proposizione 1.4.2. Se A 6= {0} è un anello, allora \ nil(A) = P. P ∈Spec(A) Dimostrazione. Sia f ∈ nil(A) e sia s ∈ N∗ il suo ordine di nilpotenza. Consideriamo P ∈ Spec(A) qualunque. Se s = 1, non c’è ovviamente niente da dire. Se s ≥ 2, P 3 0 = f s = f f s−1 , da cui deduciamo che f ∈ P per minimalità di s e perché P è primo. Viceversa, sia f ∈ / nil(A) e definiamo l’insieme moltiplicativo S := {f k ∈ A : k ∈ N}. Certamente 0 ∈ / S perché f ∈ / nil(A). Dunque, S ∩ (0) = ∅ e allora, per la proposizione 1.3.3, esiste P ∈ Spec(A) con (0 ∈ P e) P ∩ S = ∅. Concludiamo che f ∈ / P (in quanto f ∈ S). Definizione √ 1.4.3. Sia A un anello e sia I ⊆ A un suo ideale. Il radicale di I, denotato con rad(I) o con I, è l’insieme: √ I := {f ∈ A : ∃k ∈ N con k > 0 e f k ∈ I}. (1.14) p √ √ Osservazione 1.4.1. Notiamo che I ⊆ I e nil(A) = (0). Inoltre, π( I) = nil(A/I), dove π : A → A/I è l’omomorfismo quoziente. Come ci si può aspettare vale √ Proposizione 1.4.3. I è un ideale. Dimostrazione. La dimostrazione è omessa, perché è analoga a quella compiuta per il nilradicale, osservando che I è un ideale. √ Definizione 1.4.4. Un ideale I ( A si dice (ideale) radicale se I = I. Nella prossima proposizione raccogliamo alcuni risultati relativi ai radicali di un ideale e agli ideali radicali. Proposizione 1.4.4. Sia A un anello e siano I ⊆ A e J ⊆ A ideali. Valgono i fatti seguenti. √ 1. I = A ⇐⇒ I = A; √ √ 2. I ⊆ J =⇒ I ⊆ J; p√ √ √ 3. I = I, cioè I è radicale; √ 4. I è il più piccolo radicale contenente I; 5. se I è primo, I è radicale; 6. sia Γ unT arbitrario insieme di indici e sia {Jα }α∈Γ una famiglia di ideali radicali di A. Allora Jα è radicale; α∈Γ 7. se n ∈ N∗ e {Ik }k∈n è una famiglia di ideali di A, allora: s\ \p Ik = Ik . k∈n k∈n √ √ Dimostrazione. 1. Evidentemente, se I = A, A = A. D’altra parte, se, viceversa, I = A, √ allora, in particolare, 1 ∈ I, cioè ∃k ∈ N∗ tale che 1k = 1 ∈ I. Quindi I = A. 20 CAPITOLO 1. ANELLI ED IDEALI √ √ 2. Sia f ∈ I con k ∈ N∗ tale che f k ∈ I. Allora f k ∈ J ⇐⇒ f ∈ J. p√ √ I ⇐⇒ ∃k ∈ N∗ tale che f k ∈ I ⇐⇒ ∃m ∈ N∗ con (f k )m = f km ∈ I ⇐⇒ f ∈ 3. f√ ∈ I. √ √ 4. Se J ( A è un ideale radicale tale che I ⊆ J, allora, grazie al secondo punto, I ⊆ J = J. √ √ 5. Sia I primo: dobbiamo mostrare soltanto che I ⊆ I. In effetti, se f ∈ I e m è il minimo intero positivo per cui f m ∈ I, allora deve essere necessariamente m = 1 perché se fosse, per assurdo, m ≥ 2 si avrebbe che I 3 f m = f f m−1 =⇒ f ∈ I oppure f m−1 ∈ I in quanto I è primo. Ciò contraddice manifestamente la minimalità di m. rT T Jα qualunque: ∃k ∈ N∗ : f k ∈ Jα =⇒ ∀α ∈ Γ, f k ∈ Jα = 6. Consideriamo f ∈ α∈Γ α∈Γ √ T Jα =⇒ f ∈ Jα per ogni α ∈ Γ. Perciò, f ∈ Jα . α∈Γ rT √ rT T T √ 2. 6. T √ Ik =⇒ Ik ⊆ Ik =⇒ Ik ⊆ Ik = Ik . k∈n k∈n k∈n k∈n k∈n k∈n T √ Viceversa, se f ∈ Ik , per ogni k ∈ n sia jk ∈ N∗ il minimo intero per cui f jk ∈ Ik . 7. ∀k ∈ n, T Ik ⊆ √ k∈n m Poniamo m := max({jr ∈ Ik per ciascun k = 1, . . . , n, ossia k : k ∈ n}): ovviamente f T T m Ik ⇐⇒ f ∈ Ik . f ∈ k∈n k∈n Lapparte (7) è falsa per p intersezioni finite, √ anche in anelli molto buoni, ad esempio in Z si ha n) = =T (p), mentreT ∩n>0 (p 0 = 0. Si ha sempre anche per famiglie infinite S di ∩n>0 (pn ) p √ ideal I − s: Is . s∈S Is ⊆ s∈S Tra gli ideali radicali di un anello e di un suo quoziente rispetto ad un qualunque ideale vale una relazione analoga a quella vista per gli ideali primi e massimali. Più precisamente: Proposizione 1.4.5. Siano A un anello, I ⊆ A un ideale e π : A −→ A/I l’omomorfismo quoziente. Allora J ( A/I è un ideale radicale ⇐⇒ π −1 (J) lo è. (1.15) Dimostrazione. Supponiamo dapprima che J ( A/I sia un ideale radicale e prendiamo x ∈ p π −1 (J) qualunque. Se k ∈ N∗ soddisfa xk ∈ π −1 (J) allora (π(x))k ∈ J. Poiché J è radicale, π(x) ∈ J ⇐⇒ x ∈ π −1 (J). Viceversa, se π −1 (J) è radicale, consideriamo un qualsiasi y ∈ A/I per il quale esista m ∈ N∗ con y m ∈ J. Preso w ∈ A tale che π(w) = y, π(wk ) = y k ∈ J =⇒ wk ∈ π −1 (J), ovvero, in quanto π −1 (J) è radicale, w ∈ π −1 (J) ⇐⇒ y = π(w) ∈ J. Proposizione 1.4.6. Sia A un anello. Per ogni ideale I ( A vale: \ √ I= P. I⊆P ∈Spec(A) In particolare, se I è primo, I è anche radicale. Dimostrazione. p Se I ( ATè un ideale qualsiasi, consideriamo l’anello quoziente A/I. Sappiamo che nil(A/I) = {0} = Q∈Spec(A/I) Q (cfr. proposizione 1.3.2). A questo punto prendiamo le controimmagini secondo π di entrambi i membri dell’uguaglianza appena scritta per ottenere 1.5. ANELLI LOCALI 21 (ricordando che Q ∈ Spec(A/I) ⇐⇒ π −1 (Q) ∈ Spec(A) e osservando che se J è un ideale di A/I allora I ⊆ π −1 (J)): \ \ \ √ I = π −1 ({0A/I }) = π −1 ( Q) = π −1 (Q) = P. Q∈Spec(A/I) 1.5 Q∈Spec(A/I) I⊆P ∈Spec(A) Anelli Locali Definizione 1.5.1. Un anello A si dice locale se possiede uno e un solo ideale massimale. Ogni campo è, chiaramente, un anello locale, dal momento che il suo unico ideale massimale è {0}. Proposizione 1.5.1. Sia A un anello e sia I ( A un suo ideale. Sono equivalenti: (i): A è un anello locale con I suo unico ideale massimale; (ii): ogni elemento di A \ I è invertibile; (iii): A \ I è l’insieme di tutti gli elementi invertibili in A, i.e. A \ I = A× . Dimostrazione. • (i) =⇒ (ii) : sia f ∈ A \ I. Esso è invertibile se e soltanto se (f ) = (1) = A. D’altra parte, poiché I è l’unico ideale massimale in A, (f ) non può essere un ideale proprio perché, se lo fosse, per il lemma di Krull-Zorn dovrebbe essere contenuto in un ideale massimale, cioè in I, il che è assurdo perché f ∈ / I. Dunque, (f ) = A e f è invertibile. • (ii) =⇒ (iii) : dobbiamo solo verificare che A× ⊆ A \ I. In effetti, se a ∈ I, cioè a ∈ / A \ I, allora a ∈ / A× perché se a fosse invertibile, si dovrebbe avere 1 ∈ I, ossia I = A, un assurdo. • (iii)F =⇒ A = S (i) : per la proposizione 1.3.2, se M F := {M ( A : M è massimale}, S A× ( M ). Poiché ovviamente A = (A \ I) I, ciò implica che I = M . Essendo M ∈M M ∈M I un ideale proprio di A, esiste un ideale massimale N di A con I ⊆ N . Ne segue che deve essere I = N . Dunque, I è un ideale massimale ed è necessariamente unico. La prossima proposizione fornisce una condizione sufficiente affinché un anello quoziente sia locale. √ Proposizione 1.5.2. Sia A un anello e I ⊆ A un suo ideale. Se I è massimale, A/I è un anello locale con nil(A/I) suo ideale massimale. In particolare, ogni elemento di A/I o è invertibile oppure è nilpotente. √ √ Dimostrazione. Sappiamo che nil(A/I) = π( I) ed è dunque massimale perché I lo è per ipotesi. D’altra parte, se M ( A/I è un ideale massimale allora esso è anche primo e quindi deve contenere nil(A/I) perché quest’ultimo è l’intersezione di tutti gli ideali primi di A/I. Ne segue, per massimalità di nil(A/I), che M = nil(A/I). L’ultima affermazione discende dalla proposizione precedente. Osserviamo che nil(A/I) è anche l’unico ideale primo di A/I. 22 CAPITOLO 1. ANELLI ED IDEALI Vogliamo ora costruire un esempio non banale di anello locale. Sia t un insieme e consideriamo M := {f : {t} −→ N}, l’insieme di tutte le funzioni da {t} in N. Se dotiamo tale insieme del prodotto naturale (∀f, g ∈ M, f g è la funzione {t} −→ N tale che f g(t) = f (t)g(t)), M diventa chiaramente un monoide: scrivendo ogni suo elemento f come tn dove N 3 n := f (t), ricaviamo che M = {tn : n ∈ N}. Consideriamo a questo punto un anello A e definiamo AJtK := {g : M −→ A}. Ogni elemento di AJtK è dunque una funzione M −→ A che assegna tn ∈ M un an ∈ A. Denotiamo (si badi bene, non definiamo) questo elemento P∞a ciascun n con n=0 an t . Con tale convenzione, possiamo perciò scrivere: (∞ ) X n an t : an ∈ A, ∀n ∈ N . AJtK := (1.16) n=0 Su questoPinsieme definiamo due operazioni di somma e di prodotto date, rispettivamente, da: P∞ ∞ per ogni n=0 an tn , n=0 bn tn ∈ AJtK P∞ P∞ P∞ • ( n=0 an tn ) + ( n=0 an tn ) := n=0 (an + bn )tn ; P∞ Pp+q P∞ P∞ • ( n=0 an tn )( n=0 bn tn ) := n=0 ( p=0 ap bp+q−n )tn . Abbiamo che (AJtK, +, ·) è un anello, detto anello delle serie formali a coefficienti in A. Osservazione 1.5.1. Evidentemente, se x è un insieme con t 6= x, AJtK P ' AJxK: un isomorfismo P∞ ∞ tra AJtK e AJxK è quello ovvio indotto dall’unica funzione {t} −→ {x} ( i=0 ai ti 7→ i=0 ai xi ). Siamo pertanto legittimati a parlare de l’ anello delle serie formali a coefficienti in A, poiché esso è unico a meno di isomorfismi.4 Notiamo inoltre che l’anello dei polinomi a coefficienti in A, A[t]5 , è un sottoanello di AJtK. Proposizione 1.5.3. Sia A un anello. Valgono i seguenti fatti: (i): A è un dominio ⇐⇒ A[t] lo è; (ii): A è un dominio ⇐⇒ AJtK lo è. Dimostrazione. Mostriamo solo (i) in quanto la verifica di (ii), considerata la definizione di prodotto in AJtK, è immediatamente riconducibile a quella che A sia un Pm di (i). Supponiamo Pn dominio e consideriamo due elementi non nulli f := j=0 aj tj e g := i=0 bi ti di A[t]. Ciò significa che gli insiemi: B := {j ∈ {0, . . . , m} : aj 6= 0} C := {i ∈ {0, . . . , n} : bi 6= 0} sono entrambi di B e di C rispettivamente. Allora Pp+qnon vuoti. Siano Pp+qdunque p e q i minimi Pq−1 (f g)p+q = k=0 ak bp+q−k = h=p ah bp+q−h = ap bq + l=0 ap+q−l bl = ap bq 6= 0 perché A è un dominio. Dunque, se A è un dominio lo è pure A[t]; l’implicazione opposta è banale. Il prossimo teorema costituisce il motivo per cui abbiamo introdotto qui il concetto di serie formali. Teorema 1.5.1. Sia A un anello. Allora: P∞ 1. a = i=0 ai ti ∈ AJtK è invertibile ⇐⇒ a0 lo è. 4 Se non fosse chiaro, la costruzione vista per AJtK con t insieme formalizza l’idea intuitiva di serie formale come “somma infinita nella indeterminata t”. 5 Qualora non sia già nota, cfr. per una definizione di A[t]. 1.5. ANELLI LOCALI 23 Se A è un campo K, vale: 2. KJtK è locale con (t) suo ideale massimale; 3. KJtK è un dominio a ideali principali. In particolare, se I ( KJtK è un ideale o I = {0} oppure ∃k ∈ N∗ con I = (tk ) ed inoltre, in questo caso, k è univocamente determinato da I. Dimostrazione. P∞ 1. Se aP è invertibile in AJtK e b = i=0 bi ti , allora, in particolare, a0 b0 =P1. Viceversa, sia ∞ ∞ i a = i=0 ai ti ∈ AJtK tale che a0 sia invertibile in A. Notiamo Pnche b = i=0 bi t ∈ AJtK è tale che ab = 1 in AJtK se e P soltanto se a0 b0 = 1 e, ∀n ≥ 1, s=0 as bn−s = 0. Esibiamo a ∞ questo punto una serie b = i=0 bi ti ∈ AJtK inversa di a, costruendo i coefficienti bi , per ∗ ogni i ∈ N, come segue: poniamo b0 := a−1 0 e ∀i ∈ N definiamo per induzione bi := −a−1 0 i X ar bi−r = −b0 r=1 i X ar bi−r . r=1 Grazie a questa definizione abbiamo immediatamente, per ogni k ∈ N∗ : k X as bk−s = a0 bk + s=0 k X s=1 as bk−s = − k X as bk−s + s=1 k X as bk−s = 0. s=1 P∞ 2. Consideriamo la funzione f : KJtK −→ K data da: ∀a = i=0 ai ti ∈ KJtK, f (a) := a0 . Per come sono stati definiti somma e prodotto in KJtK è evidente che f è un morfismo suriettivo di anelli. Inoltre, ∀a ∈ KJtK, f (a) = a0 = 0 ⇐⇒ a ∈ (t) grazie a 1. ovvero ker(f ) = (t). Pertanto, grazie al teorema fondamentale di isomorfismo tra anelli, KJtK/ ker(f ) ' K ossia ker(f ) = (t) è massimale in KJtK (vedi proposizione 1.3.1). D’altra parte, (t) è l’unico ideale massimale in KJtK perché, se M ( KJtK è un ideale massimale, allora M non contiene elementi invertibili e quindi segue da 1. che M ⊆ (t) =⇒ M = (t) per massimalità di M . 3. Sia {0} ( I ( KJtK un ideale. Vogliamo trovare k ∈ N∗ tale che I = (tk ). Per ogni f ∈ I \ {0} chiamiamo ordine di f il minimo naturale i =: ord(f ) per cui fi 6= 0. Consideriamo a questo punto l’insieme seguente: C := {ord(f ) : f ∈ I \ {0}} ⊆ N. Sicuramente C è non vuoto perché abbiamo preso I 6= {0}. Sia dunque k := min C e mostriamo che I = (tk ). Per minimalità di k abbiamo certamente l’inclusione I ⊆ (tk ) = k {0} ∪ {f ∈ KJtK : ord(f ) ≥ k}. Per verificare il contenuto P opposto, proviamo che t ∈ I. Poiché k ∈ C, ∃f ∈ I \ {0} con ord(f ) = k, i.e f = i≥k fi ti con fk 6= 0. Possiamo riscrivere: ∞ X X f = fk (fi fk−1 )ti = fk tk (fj+k fk−1 )tj . i≥k P∞ −1 j j=0 (fj+k fk )t k j=0 Poiché γ := ha termine noto pari a 1, grazie al punto 1. precedente, γ è invertibile in KJtK. Perciò, t = fk−1 γ −1 f ∈ I perché I è un ideale. Per concludere, è ovvio che k è univocamente determinato da I perché se k 6= m e assumiamo WLOG k < m, allora tk ∈ / (tm ) =⇒ (tk ) 6= (tm ). 24 CAPITOLO 1. ANELLI ED IDEALI Capitolo 2 Moduli 2.1 Concetti di Base Definizione 2.1.1. Un A-modulo (sinistro) o un modulo (sinistro) su A è una quaterna ordinata (A, M, +, ·), dove A è un anello, (M, +) è un gruppo abeliano (con elemento neutro 0) e · : A × M −→ M, (λ, m) 7→ ·(λm) =: λm è una funzione, detta prodotto (in M) o struttura di A-modulo (per M), la quale soddisfa le proprietà seguenti. Per ogni λ, µ ∈ A e ∀m, n ∈ M vale: (i): λ(m + n) = λm + λn; (ii): (λ + µ)m = λm + µm; (iii): (λµ)m = λ(µm); (iv): 1m = m. Si può dare una analoga definizione per un A-modulo destro. Poiché d’ora in poi considereremo soltanto moduli sinistri1 , ometteremo l’aggettivo direzionale parlando semplicemente di A-moduli senza ulteriori specificazioni. Dalla definizione di A-modulo discendono immediatamente i seguenti fatti evidenti: se M è un A-modulo, ∀a ∈ A e ∀m ∈ M si ha • a0 = 0 e 0m = 0; • a(−m) = −(am) e (−a)m = −(am). Definizione 2.1.2. Sia M un A−modulo e sia N ⊆ M . Si dice che N è un sottomodulo di M se è chiuso rispetto alle operazioni di M ristrette a N , i.e ∀m, n ∈ N e ∀λ ∈ A, m + n ∈ N e λa ∈ N (in particolare quindi 0 ∈ N ). Ovviamente, se N è un sottomodulo di (A, M, +, ·), allora (A, N, +|N ×N , ·|A×N ) è esso stesso un A−modulo. 1 Ogni risultato che vedremo si potrà applicare identicamente anche ai moduli destri e così questa restrizione non fa perdere di generalità. 25 26 CAPITOLO 2. MODULI Esempio 2.1.1. 1. {0} è un A−modulo, detto modulo banale. 2. Ogni anello A è un A−modulo con somma e prodotto dati da quelli dell’anello stesso. I sottomoduli di A sono precisamente gli ideali di A. 3. Se A è un campo, un A−modulo V è esattamente uno spazio vettoriale su A e i suoi sottomoduli sono i sottospazi vettoriali di V . 4. Ogni gruppo abeliano G è uno Z−modulo se si definisce il prodotto in G ponendo: ∀n ∈ Z e ∀g ∈ G, ng è l’n−esimo multiplo di g. I sottomoduli di G sono i suoi sottogruppi. Con una dimostrazione essenzialmente identica a quella vista nel caso di una famiglia di ideali in un anello otteniamo immediatamente la prossima Proposizione 2.1.1. Sia M un A−modulo. Se {Nα }α∈Λ6=∅ è una famiglia arbitraria di sottomoduli di M , allora \ Nα α∈Λ è un sottomodulo di M . Se N1 , N2 sono sottomoduli di M allora la loro somma N1 + N2 := {n1 + n2 ∈ M : n1 ∈ N1 , n2 ∈ N2 } è un sottomodulo di M . Definizione 2.1.3. Sia M un A−modulo e sia S ⊆ M . Il sottomodulo di M generato da S è denotato con (S) è definito come l’intersezione di tutti i sottomoduli contenenti S. Nuovamente in analogia al caso degli ideali, S è il più piccolo sottomodulo di M contenente S. In particolare, se S è un sottoinsieme finito di M , cioè S = {m1 , . . . , mn } per qualche n ∈ N∗ vale: ) ( n X (m1 , . . . , mn ) := ({m1 , . . . , mn }) = λi mi : λi ∈ A, ∀i ∈ n . i=1 Definizione 2.1.4. Sia M un A−modulo e sia N ⊆ M un suo sottomodulo. Diciamo che N è finitamente generato (o anche che è un modulo finito) se esiste un n ∈ N ed esistono elementi g1 , . . . , gn ∈ M tali che N = (g1 , . . . , gn ). Più in generale, se Λ 6= ∅ e (gλ )λ∈Λ ⊆ N è una famiglia di elementi di N tali che N = ((gλ )λ∈Λ ) (ossia N coincide con il sottomodulo di N generato dai gλ ), si dice che i gλ generano N o che sono un sistema di generatori di N. Di tutte le mappe tra moduli sullo stesso anello siamo interessati a studiare quelle che preservano la struttura algebrica modulare: Definizione 2.1.5. Siano M1 , M2 A−moduli. Un omomorfismo (di A-moduli), anche detto applicazione A-lineare, è una mappa L : M1 −→ M2 tale che ∀m, n ∈ M1 e ∀λ ∈ A, L(m + n) = L(m) + L(n) e L(λm) = λL(m). Se L : M1 −→ M2 è un omomorfismo di A−moduli, il nucleo di L è l’insieme: ker(L) := L−1 ({0}) = {m ∈ M1 : L(m) = 0}. Proposizione 2.1.2. Sia L : M1 −→ M2 un omomorfismo di moduli. Allora: (i): ker L è un sottomodulo di M1 ; 2.1. CONCETTI DI BASE 27 (ii): per ogni sottomodulo N ⊆ M1 , L(N ) è un sottomodulo di M2 . In particolare, Im(L) è sottomodulo di M2 ; (iii): L è iniettiva se e soltanto se ker(L) = {0}. Dimostrazione. Omessa perché piuttosto evidente e comunque del tutto simile a quella già vista e nota per gli spazi vettoriali e le applicazioni lineari tra essi. Definizione 2.1.6. Un omomorfismo L : M1 −→ M2 di A−moduli si dice un isomorfismo (di A-moduli) se è biettivo o, equivalentemente, se esiste un omomorfismo G : M2 −→ M1 che sia l’inverso di L. Il prossimo obiettivo consiste nell’enunciare e dimostrare alcuni cruciali teoremi di isomorfismo tra moduli sullo stesso anello, utilizzando i quozienti di moduli rispetto ad opportune relazioni di equivalenza. Vediamo subito di essere più precisi. Consideriamo un A−modulo M e sia N un suo sottomodulo. Possiamo definire su M una relazione d’equivalenza ponendo: ∀x, y ∈ M, x ∼ y ⇐⇒ x − y ∈ N. Sull’insieme quoziente M/ ∼ definiamo un’operazione interna di somma ed una esterna di prodotto per uno scalare come segue: ∀[x], [y] ∈ M/ ∼ e ∀λ ∈ A: [x] + [y] := [x + y] e λ[x] := [λx]. Queste due operazioni sono ben definite: mostriamolo per il prodotto, poiché la verifica per la somma è analoga. Se x, y ∈ M sono tali che [x] = [y] allora ∃α ∈ N con y = x + α. Ne segue che, per ogni λ ∈ A, [λy] = [λx + λα] = [λx]. Risulta evidente che (A, M/ ∼, +, ·) è un A−modulo, detto modulo quoziente di M rispetto a N ed indicato con M/N . Definizione 2.1.7. Sia A un anello e siano M1 , M1 moduli su A con f : M1 −→ M2 omomorfismo. Dato un sottomodulo N ⊆ M1 tale che N ⊆ ker(f ), l’omomorfismo f : M1 /N −→ M2 , ∀[x] ∈ M1 /N, f ([x]) := f (x) è ben definito ed è detto indotto da f (su M1 /N ). Osserviamo che f = f ◦ π (dove π : M1 −→ M1 /N è l’omomorfismo quoziente) e ker(f ) = ker(f )/N . Definizione 2.1.8. Sia f : M1 −→ M2 un omomorfismo di A−moduli. L’A−modulo quoziente coker(f ) := M2 /f (M1 ) = M2 / Im(f ) è detto conucleo di f. Possiamo a questo punto dare il fondamentale Teorema 2.1.1 (Teoremi di Isomorfismo tra Moduli ). Valgono i risultati seguenti. 1. Se f : M −→ M1 è un omomorfismo di A−moduli, allora M/ ker(f ) ' Im(f ). (2.1) 28 CAPITOLO 2. MODULI 2. Dati L ⊆ M ⊆ N moduli su A, N/M ' (N/L) . (M/L) (2.2) 3. Se N è un A−modulo con L, M ⊆ N suoi sottomoduli, allora (M + L)/L ' M/(M ∩ L). (2.3) Dimostrazione. 1. L’omomorfismo f : M/ ker(f ) −→ Im(f ) indotto da f è un isomorfismo, detto isomorfismo canonico: la verifica di ciò è immediata. 2. Consideriamo la mappa ϕ : N/L −→ N/M data da ϕ(x+L) := x+M , per ogni x+L ∈ N/L. La definizione è ben posta perché L ⊆ M (per x, y ∈ N, x + L = y + L ⇐⇒ x − y ∈ L ⊆ M =⇒ x + M = y + M ); inoltre, ϕ è chiaramente una mappa A−lineare suriettiva e si ha che ker(ϕ) = M/L perché: ϕ(x + L) = 0 ⇐⇒ x ∈ M ⇐⇒ x + L ∈ M/L. Per il punto 1. concludiamo che N/L M/L ' N/M . 3. La composizione ϕ := π ◦ i : M −→ (M + L)/L, dove i : M ,→ M + L è l’inclusione e π : M + L −→ (M + L)/L è l’omomorfismo quoziente, è un omomorfismo suriettivo di A−moduli (∀m ∈ M, ∀l ∈ L, (m + l) + L = m + L) con ker(ϕ) = M ∩ L, in quanto m ∈ ker(ϕ) ⇐⇒ ϕ(m) = m + L = 0 ⇐⇒ m ∈ L). Grazie al primo punto mostrato, concludiamo con la tesi. Osserviamo che il punto 3. del teorema precedente si può interpretare dicendo che, se L * M (con L, M sottomoduli di un A−modulo N ), allora vi sono due modi possibili per dare significato all’espressione M/L: estendendo M affinché contenga L o riducendo L affinché sia contenuto in M . Tali scelte producono entrambe lo stesso risultato. Vogliamo concludere questa sezione fornendo una caratterizzazione (definizione) alternativa del concetto di A−modulo. Ricordiamo che, dato un gruppo abeliano M , l’insieme End(M ) := {f : M −→ M : f è un omomorfismo di moduli} è un anello unitario e, in generale, non commutativo se dotato delle operazioni di somma e prodotto seguenti: ∀f, g ∈ End(M ), ∀x ∈ M, (f + g)(x) := f (x) + g(x) e (f g)(x) := (f ◦ g)(x) = f (g(x)). (End(M ), +, ·) è detto anello degli endomorfismi di M. Supponiamo ora di avere un gruppo abeliano M che sia anche un A−modulo (sinistro), secondo la definizione data. Per ogni a ∈ A abbiamo una mappa µa : M −→ M ottenuta ponendo ∀m ∈ M, µa (m) := am (a volte, per ragioni evidenti, questa funzione è detta moltiplicazione per a). Osserviamo che, per ogni a ∈ A, µa è A−lineare e che questa proprietà segue dalla commutatività di A. Risulta perciò definita una funzione µ : A −→ End(M ), a 7→ µa . (2.4) 2.2. COSTRUZIONE DI MODULI 29 Le condizioni (i) − (iv) della definizione 2.1.1 dicono esattamente che tale mappa è un omomorfismo di anelli. Viceversa, se M è un gruppo abeliano e ψ : A −→ End(m) è un omomorfismo di anelli, ψ induce su M una naturale struttura di A−modulo: basta semplicemente definire ∀a ∈ A, ∀m ∈ M, a · m := (ψ(a))(m). Chiaramente, considerando (A, M, +, ·) come A−modulo (quindi il prodotto è quello appena costruito utilizzando ψ), per ogni a ∈ A la mappa di moltiplicazione per a risulta essere precisamente ψ(a). Abbiamo quindi mostrato quanto segue Proposizione 2.1.3. Siano A un anello e M un gruppo abeliano. Allora ogni struttura di A−modulo su M definisce un omomorfismo di anelli A −→ End(M ) e viceversa. Alla luce di quanto visto, fissato un anello A, avremmo in effetti potuto definire un A−modulo come una coppia ordinata (M, ψ) con M gruppo abeliano e ψ : A −→ End(M ) omomorfismo di anelli. Inoltre, osserviamo che se (M, µ) e (N, %) sono A−moduli, un omomorfismo di gruppi abeliani T : M −→ N è un omomorfismo di A−moduli se e soltanto se per ogni a ∈ A il diagramma seguente commuta: M µa /M T N T %a /N cioè se e soltanto se T ◦ µa = %a ◦ T per ogni a ∈ A. Definizione 2.1.9. Sia (A, M, +, ·) un modulo su A e sia µ : A −→ End(M ) la mappa definita come in (2.4). Se µ è iniettiva, si dice che M è un A-modulo fedele. Osservazione 2.1.1. Se M è un A−modulo e definiamo l’annullatore di M come l’insieme Ann(M ) := {a ∈ A : ∀m ∈ M, am = 0}, (2.5) è evidente che ker(µ) = Ann(M ). In particolare quindi Ann(M ) è un ideale di A e µ è iniettiva se e solo se Ann(M ) = {0}. 2.2 Costruzione di Moduli In questa sezione studiamo qualche strumento per costruire nuovi moduli a partire da alcuni dati. Definizione 2.2.1. Sia (Mα )α∈Λ una famiglia di A−moduli, con ∅ = 6 Λ insieme di indici. 1. Il (modulo) prodotto degli Mα è il prodotto insiemistico Y Mα α∈Λ dotato delle operazioni di somma e prodotto per uno scalare definite componente per componente, i.e ∀(aα )α∈Λ , (bα )α∈Λ e ∀κ ∈ A: (aα )α∈Λ + (bα )α∈Λ := (aα + bα )α∈Λ e κ(aα )α∈Λ := (κaα )α∈Λ . 30 CAPITOLO 2. MODULI Osserviamo che ∀α ∈ Λ, le proiezioni pα : omomorfismi di A−moduli. Q α∈Λ Mα −→ Mα sull’α−esimo fattore sono 2. La somma diretta degli Mα è l’A−modulo ( ) M Y Mα := (mα )α∈Λ ∈ Mα : mα = 0 tranne che per un numero finito di indici α∈Λ α∈Λ (2.6) dotato delle operazioni di somma e prodotto per uno scalareL definiti componente per componente. Anche in questo caso le proiezioni sui fattori, πα : α∈Λ Mα −→ Mα , sono degli omomorfismi di moduli per ogni α ∈ Λ. Osservazione 2.2.1. Se (Mα )α∈Λ è una famiglia di A−moduli come in precedenza, per ogni α ∈ Λ, possiamo definire delle mappe A−lineari: Y iα 7 → (nβ )β∈Λ , iα : Mα −→ Mα , m− α∈Λ dove nβ := m se β = α, mentre nβ := 0 se β 6= α. Chiaramente vale: ! M [ Mα = iα (Mα ) , α∈Λ L α∈Λ Q ossia delle immagini degli iα , al α∈Λ Mα è il sottomodulo di α∈Λ Mα Lgenerato dall’unione Q variare di α ∈ Λ. Inoltre, se Λ è finito, allora α∈Λ Mα = α∈Λ Mα . Vediamo ora un caso particolare ed estremamente importante di somma diretta di moduli. Sia A un anello: se Λ 6= ∅ possiamo costruire la somma diretta di |Λ| copie di A, ovvero considerare la famiglia di moduli (Mα )α∈Λ dove Mα = A per ogni α ∈ Λ e porre M A⊕Λ := A. (2.7) α∈Λ (Se Λ è un insieme finito di cardinalità n ∈ N∗ , scriviamo semplicemente An anziché A⊕Λ ). A questo punto, per ogni λ ∈ Λ definiamo eλ = (mα )α∈Λ ∈ A⊕Λ dove mα = 0 se α 6= λ e mλ = 1. Non v’è alcun dubbio che il sottomodulo di A⊕Λ generato dagli eλ al variare di λ ∈ Λ sia proprio tutto A⊕Λ . Osserviamo inoltre che gli eλ soddisfano la proprietà seguente: X ∀(aλ )λ∈Λ ∈ A⊕Λ , aλ eλ = 0 =⇒ aλ = 0 ∀λ ∈ Λ, (2.8) λ∈Λ dove la somma è sensata perché è da intendersi compiuta sugli indici λ̂ ∈ Λ per i quali aλ̂ 6= 0 e quindi è una somma finita. Pertanto, se tutto va come ci si aspetta, la famiglia (eλ )λ∈Λ ha il pieno diritto di essere una base (che chiameremo canonica o standard ) per l’A−modulo A⊕Λ . In effetti diamo, più in generale, la prossima definizione. Definizione 2.2.2. Sia M un A−modulo e sia Λ 6= ∅ un insieme. Identificando una funzione e : Λ → M con la successione ordinata delle immagini secondo e dei λ ∈ Λ (cioè, e = (eλ )λ∈Λ , dove ∀λ ∈ Λ, eλ := e(λ)), diciamo che (eλ )λ∈Λ è una base (di cardinalità |Λ|) per M se gli eλ generano M e sono linearmente indipendenti, ossia soddisfano (2.8). Se M ammette una base di qualche cardinalità |Λ|, diciamo che esso è libero (su A). 2.2. COSTRUZIONE DI MODULI 31 Osservazione 2.2.2. Ogni anello A 6= {0} è un modulo libero su se stesso: una sua base è data banalmente da {1} ⊆ A. Se Λ 6= ∅ è un insieme e fissiamo (eλ )λ∈Λ , con eλ ∈ M per ogni λ ∈ Λ, possiamo definire un omomorfismo di A−moduli: ϕ X (aλ )λ∈Λ 7−→ aλ eλ . ϕ : A⊕Λ → M, λ∈Λ Chiaramente gli eλ sono un sistema di generatori di M se e solo se ϕ è suriettiva, mentre sono linearmente indipendenti se e soltanto se ϕ è iniettiva. Pertanto, asserire che (eλ )λ∈Λ è una base di cardinalità |Λ| per M equivale ad affermare che ϕ è un isomorfismo. Per questo, a volte ci si riferisce a A⊕Λ come al modulo libero di |Λ| generatori. Se il dominio di una mappa A−lineare è un A−modulo libero, allora essa è completamente (ma liberamente) determinata dal suo comportamento su una base. Più precisamente: Proposizione 2.2.1 (Estensione per Linearità). Sia M un A−modulo libero e sia (mλ )λ∈Λ una sua base. Sia inoltre N un A−modulo qualunque e f : B := {mλ : λ ∈ Λ} −→ N una mappa qualsiasi. Allora esiste un unico omomorfismo di A−moduli g : M → N tale che g|B = f , i.e tale che commuti il diagramma: B /M iB ∃!g f N dove iB è l’inclusione. Quindi, per dare un omomorfismo M −→ N basta dare un’applicazione B −→ N (e tendenzialmente faremo proprio così). Dimostrazione. Se definiamo X ∀m = aλ mλ ∈ M, λ∈Λ g( X aλ mλ ) := λ∈Λ X aλ f (mλ ), λ∈Λ essa possiede le proprietà richieste (la verifica è immediata). Osservazione 2.2.3. Dato un anello A, il primo teorema di isomorfismo tra moduli (cfr. Teorema 2.1.1) garantisce che ogni A−modulo M sia isomorfo al quoziente di un modulo libero su A (per un suo opportuno sottomodulo). Infatti abbiamo un canonico omorfismo suriettivo di A−moduli n n X X ε : A⊕M → M, ai mi 7→ ai mi , ai ∈ A, i=1 dove A ⊕M i=1 è il modulo libero generato dall’insieme M . Siano M e N moduli su uno stesso anello A. Definiamo l’insieme homA (M, N ) := {f : M → N : f è A-lineare} (2.9) 32 CAPITOLO 2. MODULI che possiamo dotare di operazioni di somma e prodotto per uno scalare date da, ∀a ∈ A e ∀f, g ∈ homA (M, N ), af f +g af := x 7−→ af (x) f + g := x 7−→ f (x) + g(x). (A, homA (M, N ), +, ·) è un A−modulo, detto modulo degli omomorfismi (o delle trasformazioni) da M in N. Esempio 2.2.1. Raccogliamo qui alcuni risultati in merito ai moduli di omomorfismi. 1. homA ({0}, N ) ' {0} ' homA (M, {0}). 2. Ogni A−modulo N è isomorfo ad un modulo di trasformazioni. Più precisamente, homA (A, N ) ' N ed un isomorfismo è homA (A, N ) 3 f 7→ f (1) ∈ N . 3. Se M1 , M2 e N sono A−moduli, homA (M1 ⊕ M2 , N ) ' homA (M1 , N ) ⊕ homA (M2 , N ). Un isomorfismo è dato da ϕ : homA (M1 , N ) ⊕ homA (M2 , N ) → homA (M1 ⊕ M2 , N ), ϕ(f1 , f2 ) := g dove ∀(m1 , m2 ) ∈ M1 ⊕ M2 , g(m1 , m2 ) := f1 (m1 ) + f2 (m2 ). La A−linearità della mappa ϕ è evidente. Per verificare la suriettività, siano i1 : m1 7→ (m1 , 0) e i2 : m2 7→ (0, m2 ) le inclusioni standard rispettivamente di M1 e di M2 in M1 ⊕ M2 : per ogni h ∈ homA (M1 ⊕ M2 , N ), la coppia (h ◦ i1 , h ◦ i2 ) è tale che ∀(m1 , m2 ) ∈ M1 ⊕ M2 , (ϕ(h ◦ i1 , h ◦ i2 ))(m1 , m2 ) = h(m1 , 0) + h(0, m2 ) = h(m1 , m2 ). Infine per mostrare l’iniettività si osservi che ϕ(f1 , f2 ) = ϕ(h1 , h2 ) ⇐⇒ f1 (m1 ) + f2 (m2 ) = h1 (m1 ) + h2 (m2 ) per ciascun (m1 , m2 ) ∈ M1 ⊕ M2 e dunque anche per (m1 , 0), con m1 ∈ M1 qualunque, e per (0, m2 ), con m2 ∈ M2 qualsiasi. 4. Se M, N1 , N2 sono A−moduli, homA (M, N1 ⊕ N2 ) ' homA (M, N1 ) ⊕ homA (M, N2 ). Per vedere ciò si può ad esempio considerare l’isomorfismo ψ : homA (M, N1 ⊕ N2 ) → homA (M, N1 ) ⊕ homA (M, N2 ) definito come ψ(f ) := (π1 ◦ f, π2 ◦ f ), dove π1 , π2 sono le proiezioni canoniche di N1 ⊕ N2 sui due fattori. 5. Per ogni m, n ∈ N, homA (An , Am ) ' Amn ' M(n×m, A), dove M(n×m, A) è l’insieme delle matrici n × m a coefficienti in A. Un isomorfismo homA (Am , An ) −→ Amn è dato da f 7−→ (f1 (e1 ), f1 (e2 ), . . . , f1 (em ), f2 (e1 ), . . . , f2 (em ), . . . , fn (e1 ), . . . , fn (em )), dove E := (e1 , e2 , . . . , em ) è la base standard di Am e per ogni i ∈ n, fi := πi ◦ f . Infine, la mappa homA (Am , An ) −→ M(n × m, A), f 7−→ MEÊ è un isomorfismo, se MEÊ è la matrice di f rispetto alle basi standard di Am e di An (Ê), i.e f1 (e1 ) f2 (e1 ) MEÊ := . .. f1 (e2 ) f2 (e2 ) .. . ... ... .. . fn (e1 ) fn (e2 ) . . . f1 (em ) f2 (em ) .. . . fn (em ) 2.3. SUCCESSIONI ESATTE E COMPLESSI DI MODULI 2.3 33 Successioni Esatte e Complessi di Moduli Definizione 2.3.1. Sia A un anello. Se (Mn )n∈Z e (fn : Mn −→ Mn+1 )n∈Z sono famiglie di A−moduli e di omomorfismi di A−moduli rispettivamente, diciamo che la successione fn−2 fn−1 fn fn+1 ... → − Mn−2 −−−→ Mn−1 −−−→ Mn −→ Mn+1 −−−→ Mn+2 → − ... (2.10) è un complesso (rispettivamente che è esatta) in Mn se Im(fn−1 ) ⊆ ker(fn ) (rispettivamente se Im(fn−1 ) = ker(fn )). Chiamiamo inoltre la successione 2.10 esatta (risp. un complesso) se essa è esatta (risp. un complesso) in ciascun Mn , cioè per ogni n ∈ Z. Osservazione 2.3.1. Im(fn−1 ) ⊆ ker(fn ) ⇐⇒ fn ◦ fn−1 = 0. Definizione 2.3.2. Una successione esatta di A−moduli2 α β 0→ − L− →M − →N → − 0 (2.11) è detta breve. Esempio 2.3.1. α 1. 0 → − L− → M è esatta ⇐⇒ α è iniettiva. β 2. M − →N → − 0 è esatta ⇐⇒ β è suriettiva. β α 3. 0 → − L− →M − → N è esatta ⇐⇒ L ' ker(β). β α 4. L − →M − →N → − 0 è esatta ⇐⇒ coker(α) = M/α(L) ' N . α β 5. 0 → − L− →M − →N → − 0 è esatta ⇐⇒ α è iniettiva, β è suriettiva e Im(α) = ker(β). %1 %2 %3 6. Consideriamo una successione esatta 0 → − M1 −→ M2 −→ M3 −→ M4 → − 0. Allora le due successioni: %1 %2 %3 0→ − M1 −→ M2 −→ Im(%2 ) → − 0 e 0→ − Im(%2 ) ,→ M3 −→ M4 → − 0 sono esatte (Im(%2 ) ,→ M3 è l’inclusione insiemistica). Abbiamo dunque spezzato una successione esatta lunga in due successioni esatte brevi, nel senso che: %1 %2 %3 0→ − M1 −→ M2 −→ M3 −→ M4 → − 0 è esatta se e soltanto se %1 %2 %3 0→ − M1 −→ M2 −→ Im(%2 ) → − 0→ − Im(%2 ) ,→ M3 −→ M4 → − 0 è esatta. Proposizione 2.3.1. Consideriamo una successione esatta breve 2.11 di A−moduli. Sono equivalenti: 1. esiste ϕ : M −→ L ⊕ N isomorfismo tale che ϕ ◦ α = iL e πN ◦ ϕ = β, con iL inclusione di L in L ⊕ N e πN proiezione di L ⊕ N su N ; 2. esiste s : N −→ M omomorfismo che sia una sezione di β, ossia tale che β ◦ s = idN ; 2 Nelle successioni di moduli scriviamo 0 per intendere il modulo banale {0}. 34 CAPITOLO 2. MODULI 3. esiste r : M −→ L omomorfismo che sia una retrazione di α, ossia tale che r ◦ α = idL . Dimostrazione. • 1. =⇒ 2. e 1. =⇒ 3. Siano iN l’inclusione di N in L ⊕ N e πL la proiezione di L ⊕ N su L. Definiamo s : N −→ M e r : M −→ L ponendo s := ϕ−1 ◦ iN r := πL ◦ ϕ. Ricordando che, per ipotesi, ϕ ◦ α = iL e πN ◦ ϕ = β, si ha immediatamente che che s e r verificano 2. e 3. rispettivamente. • 2. =⇒ 1. Definiamo ψ : L ⊕ N → M, ψ (l, n) 7− → α(l) + s(n). Non c’è dubbio che ψ sia un omomorfismo, poiché α e s lo sono. D’altra parte, (l, n) ∈ ker(ψ) =⇒ 0 = (0) = β(α(l) + s(m)) = (β ◦ α)(l) + (β ◦ s)(n) = n perché α(l) ∈ ker(β) e s è una sezione di β. A questo punto, α(l) + s(n) = 0, s(n) = 0 =⇒ α(l) = 0 =⇒ l = 0 perché α è iniettiva (esattezza della successione). Abbiamo mostrato che ψ è iniettiva, Per la suriettività, ci basta mostrare che per ogni m ∈ M, m − s(β(m)) ∈ Im(α) perché possiamo scrivere m = m − s(β(m)) + s(β(m)). In effetti, m − s(β(m)) ∈ Im(α) ⇐⇒ m − s(β(m)) ∈ ker(β) ⇐⇒ 0 = β(m − s(β(m))) = β(m) − β(m − s(β(m))) = β(m) − β(m) = 0. Si verifica facilmente che ψ −1 =: ϕ ha le altre proprietà richieste in 1. • 3. =⇒ 1. Consideriamo l’applicazione ϕ : M −→ L ⊕ N, ϕ(m) := (r(m), β(m)). Notiamo anzitutto che ϕ è un omomorfismo, ϕ ◦ α = (r ◦ α, β ◦ α) = (idL , 0) = iL e πN ◦ ϕ = β. Inoltre, ϕ è suriettiva: una controimmagine di un generico (l, n) ∈ L ⊕ N 0 0 0 0 è data da m := α(l) + m + α(t) dove m è tale che β(m ) = n e t := −r(m ). Infine ϕ è iniettiva: m ∈ ker(ϕ) ⇐⇒ r(m) = 0 = β(m). Poiché β(m) = 0, per esattezza della successione, ∃l ∈ L con α(l) = m e allora 0 = r(m) = r(α(l)) = l =⇒ α(l) = m = 0. Definizione 2.3.3. Se una successione esatta breve 2.11 soddisfa una delle condizioni equivalenti della proposizione precedente, si dice che essa è spezzante oppure che splitta. α β Corollario 2.3.1. Se N è libero, allora la successione esatta breve 0 → − L− →M − →N → − 0 è spezzante. Dimostrazione. Sia E = (eλ )λ∈Λ una base di N . Per ogni λ ∈ Λ si scelga3 un mλ ∈ β −1 ({eλ }). A questo punto, si definisca s : N −→ M ponendo ! X X s aλ eλ := aλ mλ . λ∈Λ λ∈Λ Si osservi infine che s soddisfa la condizione 2. della proposizione precedente. 3 Stiamo usando l’Assioma di Scelta. 2.3. SUCCESSIONI ESATTE E COMPLESSI DI MODULI 35 Corollario 2.3.2. Dati un anello A ed un modulo M su A finitamente generato, se N ⊆ M è un sottomodulo tale che M/N sia libero, allora M ' M/N ⊕ N . Dimostrazione. La successione esatta breve π 0→ − N ,→ M − → M/N → − 0 è spezzante. Corollario 2.3.3. Sia K un campo e consideriamo una successione esatta di K−spazi vettoriali finitamente generati e di mappe K−lineari come la seguente f1 f2 fn−1 − 0. 0→ − V1 −→ V2 −→ . . . −−−→ Vn → Allora: n X (−1)i dimK (Vi ) = 0. i=1 Dimostrazione. Poniamo f0 : 0 −→ V1 e fn : Vn −→ 0. Inoltre, per ogni j = 0, 1, . . . , n indichiamo con Imj il numero naturale dimK (Im(fj )). Consideriamo ora un qualsiasi i ∈ n. f1 fn−1 f2 Poiché la successione iniziale 0 → − V1 −→ V2 −→ . . . −−−→ Vn → − 0 è esatta, anche la successione fi breve 0 → − Im(fi−1 ) ,→ Vi −→ Im(fi ) → − 0 è esatta ed essendo Im(fi ) libero, vale dimK (Vi ) = Imi−1 + Imi . Spezzando la successione esatta di partenza in successioni esatte brevi f1 f2 0→ − V1 −→ Im(f1 ) → − 0→ − Im(f1 ) ,→ V2 −→ Im(f2 ) → − 0→ − ... fn−1 − 0, ... → − Im(fn−2 ) ,→ Vn−1 −−−→ Im(fn ) ,→ Vn → Pn P n otteniamo che i=1 (−1)i dimK (Vi ) = i=1 (−1)i dimK (Imi−1 + Imi ) = 0 − Im1 + Im1 + Im2 + − Im2 − Im3 + · · · ± Imn−1 ∓ Imn−1 +0 = 0. 36 CAPITOLO 2. MODULI Capitolo 3 Noetherianità 3.1 Anelli e Moduli Noetheriani Proposizione 3.1.1. Sia A un anello. Le seguenti proprietà sono equivalenti. 1. Ogni famiglia non vuota e arbitraria di ideali di A possiede un elemento massimale (rispetto all’ordinaria relazione di inclusione insiemistica). 2. L’insieme Σ degli ideali di A verifica la condizione della catena ascendente (A.C.C.): ogni catena ascendente numerabile di ideali di A I1 ⊆ I2 ⊆ . . . ⊆ Ik ⊆ . . . è stazionaria, ossia ∃k0 ∈ N∗ tale che Ik = Ik0 per ogni k > k0 . 3. Ogni ideale I ⊆ A è finitamente generato. Dimostrazione. • 1. ⇐⇒ 2. È ovvio che se vale 1. vale anche 2. come caso particolare, scegliendo per famiglia non vuota di ideali di A una qualsiasi catena ascendente numerabile (In )n∈N ⊆ Σ. D’altra parte, se B è una famiglia non vuota di ideali di A priva di un elemento massimale, possiamo costruire una catena numerabile ascendente non stazionaria di elementi di B, usando l’assioma della scelta dipendente: se X è un insieme non vuoto (B nel nostro caso) e R è una relazione binaria su X (l’inclusione insiemistica stretta () tale che ∀a ∈ X, ∃b ∈ X per il quale (a, b) ∈ R (proprietà questa che vale per ( su B nell’ipotesi in cui esso non possieda un elemento massimale), allora esiste una successione (an )n∈N di elementi di X tale che (an , an+1 ) ∈ R per ogni n ∈ N. • 2. ⇐⇒ 3. Sia I un ideale di A. Se I = {0}, non c’è nulla da mostrare. Supponiamo quindi I 6= {0} e sia 0 6= f1 ∈ I. Se I = (f1 ) =: I1 , I è finitamente generato. Altrimenti, ∃f2 ∈ I \ I1 e poniamo I2 := (f1 , f2 ) ) I1 . Nel caso non fortunato in cui I2 6= I, ∃f3 ∈ I \ I2 e possiamo considerare I3 := (f3 , I2 ) ) I2 . Reiterando la procedura, ∀k ≥ 2 se Ik−1 6= I, preso fk ∈ I \ Ik−1 , definiamo Ik := (fk , Ik−1 ) con Ik−1 ( Ik ; se Ik−1 = I, poniamo Ik := Ik−1 . La successione (Ij )j∈N forma una catena ascendente di ideali e allora, se vale 2., essa deve prima o poi arrestarsi, cioè ∃k0 ∈ N tale che I = (f1 , . . . , fk0 ). Abbiamo quindi mostrato che la terza proprietà segue dalla seconda. Verifichiamo ora il viceversa. Consideriamo una catena ascendente numerabile di ideali di A, (Ij )j∈N . Poiché 37 38 CAPITOLO 3. NOETHERIANITÀ S ∀i ∈ N∗ Ii ⊆ Ii+1 , J := i∈N∗ Ii è un ideale di A e dunque ∃k ∈ N∗ con J = (f1 , . . . , fk ) per opportuni f1 , . . . , fk ∈ A. D’altra parte, per definizione di J, fj ∈ Inj per qualche nj ∈ N minimale e per ogni j ∈ k. Detto n0 := max{nj : j ∈ k}, abbiamo che tutti gli fj appartengono a In0 , ossia J = (f1 , . . . , fk ) ⊆ In0 ⊆ J =⇒ In0 = J. Ne segue che ∀n > n0 , In0 = In , i.e. la catena (Ij )j∈N è stazionaria. Definizione 3.1.1. Un anello A si dice noetheriano se soddisfa una delle proprietà equivalenti della proposizione precedente. Dalla definizione segue immediatamente che tutti i campi e tutti i PID sono anelli noetheriani. Vediamo invece un esempio di anello che non lo è. Esempio 3.1.1. Consideriamo l’insieme dei polinomi in infinite variabili su un campo K: [ K[x1 , . . . , xn ]. K[xi ]i∈N := n∈N In pratica, f ∈ K[xi ]i∈N se e solo se ∃nf ∈ N tale che f ∈ K[x1 , . . . , xnf ].1 In K[xi ]i∈N abbiamo una naturale struttura di anello dove le operazioni sono ereditate da quelle definite nei K[x1 , . . . , xn ]: se f è un polinomio in n variabili e g è un polinomio in m, supponendo m ≥ n, f + g è il polinomio che si ottiene vedendo f come elemento di K[x1 , . . . , xm ] e compiendo la somma in K[x1 , . . . , xm ]; analogamente per il prodotto f g. Osserviamo che K[xi ]i∈N è un dominio di integrità (lo sono i K[x1 , . . . , xn ]) ma non è noetheriano perché la catena ascendente di ideali: (x1 ) ( (x1 , x2 ) ( (x1 , x2 , x3 ) ( · · · ( (x1 , x2 , . . . , xk ) ( . . . non è stazionaria. Possiamo generalizzare la definizione per gli anelli a moduli qualsiasi nella maniera ovvia. Definizione 3.1.2. Sia A un anello qualunque. Un A−modulo M si dice noetheriano se ogni catena ascendente numerabile di sottomoduli di M è stazionaria o, equivalentemente, se ogni suo sottomodulo è finitamente generato. Dalla prossima proposizione faremo discendere, come semplici corollari, alcune importanti asserzioni circa la noetherianità di moduli. α β Proposizione 3.1.2. Fissato un anello A, sia 0 → − L− →M − →N → − 0 una successione esatta breve di A−moduli. Allora M è noetheriano se e solo se L e N sono noetheriani. Dimostrazione. Supponiamo dapprima M noetheriano. Poiché α è iniettiva, L ' Im(α) e Im(α) è un sottomodulo di M , il quale, dunque, è finitamente generato. Dal momento che i sottomoduli di Im(α) sono sottomoduli anche di M e sono in biiezione con i sottomoduli di L, otteniamo la noetherianità di L. D’altra parte, se U ⊆ N è un sottomodulo di N , β −1 (U ) è un sottomodulo di M e allora ∃k ∈ N∗ ed ∃f1 , . . . , fk ∈ M tali per cui β −1 (U ) = Af1 + · · · + Afk . Per suriettività di β, β(β −1 (U )) = U ossia U = Aβ(f1 ) + · · · + Aβ(fk ). Viceversa, se L e N sono entrambi noetheriani, sia (Mi )i∈N una catena ascendente di sottomoduli di M . Per ipotesi, la catena ascendente (β(Mi ))i∈N è stazionaria, ossia ∃k0 ∈ N tale che β(Mj ) = β(Mk0 ), ∀j ≥ k0 . Analogamente, la catena ascendente (α−1 (Mi ))i∈N si arresta per qualche k1 ∈ N. Otterremo la tesi se mostreremo che ∀s ≥ t := max{k0 , k1 }, Mt = Ms . In effetti, 1 Si faccia in particolare attenzione al fatto che K[xi ]i∈N non è l’insieme delle serie formali KJxK. 3.1. ANELLI E MODULI NOETHERIANI 39 abbiamo Mt ⊆ Ms ⊆ M, β(Mt ) = β(Ms ) e α−1 (Mt ) = α−1 (Ms ). Sia ora γ ∈ Ms : β(γ) ∈ β(Ms ) =⇒ ∃c ∈ Mt tale che β(γ) = β(c) =⇒ β(γ − c) = 0 =⇒ γ − c ∈ ker(β) = α(L) e γ − c ∈ Ms . Dunque, γ − c ∈ α(L) ∩ Ms =⇒ γ − c ∈ α(L) ∩ Mt , ossia γ ∈ Mt . Corollario 3.1.1. (i) Se (Mi )ri=1 è una famiglia finita di A−moduli noetheriani, allora Lr i=1 Mi è noetheriano. (ii) Se M è un A−modulo noetheriano, allora ogni suo sottomodulo N ⊆ M è noetheriano (in particolare, è finitamente generato) e così pure ogni quoziente M/N . In particolare, se A è noetheriano ogni suo ideale I lo è e anche ogni quoziente A/I. (iii) Se A è noetheriano, ogni A−modulo M è noetheriano ⇐⇒ è finitamente generato. (iv) Se A è noetheriano e M è un A−modulo finitamente generato, allora ogni suo sottomodulo N ⊆ M è finitamente generato. Dimostrazione. (i) Se r = 2, la successione p2 0→ − M1 ,→ M1 ⊕ M2 −→ M2 → − 0 è esatta. Il caso r > 2 si ottiene per induzione. (ii) La successione π 0→ − N ,→ M − → M/N → − 0 π è esatta (M − → M/N è l’omomorfismo quoziente). α (iii) Se M è finitamente generato, allora ∃r ∈ N tale che Ar − → M → − 0 sia esatta (per un opportuna suriezione α), cosicché M ' Ar /N per qualche sottomodulo N ⊆ Ar . Ora, Ar è un modulo noetheriano per (i) e allora M è noetheriano per (ii). L’implicazione opposta è ovvia. (iv) Se A è noetheriano e M è finitamente generato su A, allora M è noetheriano per il terzo punto. Ma allora anche N è noetheriano e quindi è, in particolare, finitamente generato come A−modulo. Il risultato seguente permette di tradurre il concetto di modulo finitamente generato su un anello noetheriano nel linguaggio delle successioni esatte. Proposizione 3.1.3. Sia A un anello noetheriano. (i) Se M è un A-modulo finitamente generato, allora esiste una successione esatta α β Aq − → Ap − →M → − 0 per p, q ∈ N opportuni. α (ii) Viceversa, dato un omomorfismo di A-moduli Aq − → Ap (o, equivalentemente, assegnata una matrice p × q a coefficienti in A), esistono un modulo M finitamente generato su A ed β α β una mappa A-lineare Ap − → M tali che la successione Aq − → Ap − →M → − 0 sia esatta. 40 CAPITOLO 3. NOETHERIANITÀ Dimostrazione. (i) Siano b1 , . . . , bp ∈ M dei generatori di M (possiamo, volendo, scegliere p ∈ N come il minimo numero di elementi di M necessari a generare M come A−modulo). Allora abbiamo una successione esatta β 0→ − ker(β) ,→ Ap − →M → − 0 Pp Pp dove β è tale che ∀x = i=1 λi ei , β(x) := i=1 λi bi con λi ∈ A e (e1 , . . . , ep ) base p canonica di A . Poiché A è noetheriano, anche Ap lo è come A−modulo (punto (i) del corollario precedente). In particolare, ker(β) è finitamente generato, ossia ∃q ∈ N ed esiste una suriezione g : Aq −→ ker(β). Posto α := i ◦ g, con i : ker(β) ,→ Ap l’inclusione, la β α successione Aq − → Ap − →M → − 0 è esatta. α π (ii) La successione Aq − → Ap − → Ap / Im(α) → − 0 è esatta e Ap / Im(α) è finitamente generato. 3.2 Teorema della Base di Hilbert Teorema 3.2.1. Un anello A è noetheriano se e soltanto se A[x] (anello dei polinomi a coefficienti in A) è noetheriano. Dimostrazione. Eliminiamo il caso banale in cui A = {0} = A[x] e supponiamo quindi A 6= {0}. Che la noetherianità di A[x] sia sufficiente segue subito dal corollario 3.1.1 perché A ' A[x]/(x) (dove (x) è l’ideale generato da x). Mostriamo quindi che se A è noetheriano lo è pure A[x]. Prima Dimostrazione (la trovate su Wikipedia): Sia I ideale di A[x]; se per assurdo I non fosse finitamente generato, ci sarebbe una successione di polinomi pn (x) ∈ A[x], n ≥ 0, con pn (x) ∈ / (p0 (x), . . . , pn−1 (x)) per ogni n > 0 e con deg(pn (x)) il minimo dei gradi di tutti gli elementi di I \ (p1 (x), . . . , pn−1 (x)). Sia Jn ⊆ A, n ≥ 0, l’ideale generato dai coefficienti direttori di tutti i polinomi pi (x), 0 ≤ i ≤ n and J = ∪n Jn (J è l’ideale generato da tutti i coefficienti direttori dei polinomi pi (x), i ≥ 0. Poichè A è noetheriano, esiste un intero N con JN = J. Sia cn xrn il leading term di pn (x). pN (x). Per costruzione la successione dei gradi rn è nonPN decrescente. Poichè cN +1 ∈ J = JN ci sono ai ∈ A, 0 ≤ i ≤ N , con cN +1 = i=0 ai ci Sia q(x) = PN pN +1 (x) − i=0 ai xrn+1 −ri pi (x). Ovviamente q(x) ∈ I. Poichè pN +1 (x)) ∈ / (p0 , . . . , pN ), si ha q∈ / (p0 , . . . , pN ). Poichè la successione dei gradi rn è non-decrescente, si ha deg(q) ≤ deg(pN +1 ) e per vedere che vale la disequaglianza stretta (e quindi ottenere una contraddizione), basta usare PN che cN +1 = i=0 ai ci Seconda Dimostrazione: . Sia {0} = 6 I ⊆ A[x] un ideale. Per ogni i ∈ N definiamo il sottoinsieme di A Ji := {a ∈ A : ∃f ∈ I con deg(f ) = i e f = axi + i−1 X aj xj } ∪ {0}. j=0 Pi−1 Ora Ji è un ideale per ogni i, come si vede subito. Inoltre, se a ∈ Ji e f = axi + j=0 aj xj , Pi−1 allora af = axi+1 + j=0 aj xj+1 , cioè a ∈ Ji+1 . Perciò, la successione (Ji )i∈N è una catena ascendente di ideali di A. Per noetherianità, ∃r ∈ N tale che ∀s ≥ r, Jr = Js ed, inoltre, tutti i Ji sono finitamente generati. Ora, per ogni i = 0, . . . , r, sia (ai1 , . . . , aini ) un sistema di generatori di Ji (per qualche ni ∈ N) e per ogni j ∈ ni sia fij un polinomio in I di grado i con coefficiente direttore aij .2 Affermiamo che (fij ) è un sistema di generatori di I. 2 Se 0 6= f ∈ A[x] chiamiamo coefficiente direttore di f , il coefficiente adeg(f ) di f . 3.2. TEOREMA DELLA BASE DI HILBERT 41 Sia infatti 0 6= f ∈ I con deg(f ) = d. Mostreremo che f appartiene all’ideale generato dagli fij per induzione (retrograda) su d. Se d > r osserviamo che i coefficienti direttori dei polinomi xd−r fr1 , . . . , xd−r frnr generano Jd perché generano Jr = Jd . Dunque, se a è il coefficiente direttore di f , cioè a ∈ Jd , esistono c1 , . . . , cnr ∈ A tali che a = c1 ar1 + · · · + cnr arnr , ossia il polinomio: f − c1 xd−r fr1 − · · · − cnr xd−r frnr ha grado strettamente minore di d e appartiene ancora ad I, perché I è un ideale. Se d ≤ r, possiamo trovare c1 , . . . , cnd ∈ A (con ragionamento analogo a quello appena visto) tali che f − c1 fd1 − · · · − cnd fdnd sia un polinomio in I di grado strettamente minore di d. Osserviamo che il polinomio sottratto a f (sia nel caso d > r che in quello d ≤ r) appartiene all’ideale generato dagli fij , per definizione di tale ideale. Per induzione, possiamo sottrarre a f un polinomio g nell’ideale generato dagli fij in modo che f − g = 0, il che mostra quanto voluto. Corollario 3.2.1. Se A è un anello noetheriano, allora A[x1 , . . . , xn ] è noetheriano. Dimostrazione. Si compie per induzione su n ∈ N∗ , notando che, se n ≥ 2, A[x1 , . . . , xn ] = A[x1 , . . . , xn−1 ][xn ]. Esempio 3.2.1. Nel seguente esempio mostriamo che anche in anelli noetheriani molto semplici A di solito non esiste un limite superiore per il numero di generatori di un ideale di A. Troverete i concetti corrispondenti utili in algebra computazionale e geometria algebrica (rispettivamente ideale iniziale e polinomi omogenei, ideali omogenei). Sia K un campo e sia A := K[x, y]. Fissiamo un intero d > 0. Sia Id = (xd , xd−1 y, . . . , y d ) e Vd := Id /Id+1 . Vd è un K-spazio vettoriale di dimensione d + 1 ed è il K-spazio vettoriale di tutti i polinomi omogenei di grado d. Per costruzione Id ha un sistema di generatori formato da d + 1 elementi. Dimostriamo che se g1 , . . . , gs genera Id , allora s ≥ d+1. Scriviamo gi = hi +mi con hi polinomio omogeneo di grado d e mi ∈ K[x, y] contenente solo monomi di grado > d. Dal momento che g1 , . . . , gs generano Id , generano il modolo quoziente. Vd e quindi h1 , . . . , hs generano Vd . Ma in Vd la moltiplicazione per x e per y sono le mappe nulle e quindi h1 , . . . , hs generano Vd come A-modulo se e solo se lo generano come K-spazio vettoriale. Poiché h1 , . . . , hs generano Vd ha dimensione d + 1 come K-spazio vettoriale, si ottiene s ≥ d + 1. Introduciamo ora qualche concetto che utilizzeremo diffusamente più avanti. Definizione 3.2.1. Sia A un anello. Una A-algebra (di anelli) è una coppia ordinata (B, ϕ) dove B è un anello e ϕ : A −→ B è un omomorfismo di anelli. Se ϕ è iniettiva, (B, ϕ) è detta estensione di anelli di A. (In questo caso, a meno di isomorfismi, possiamo pensare A ⊆ B). Definizione 3.2.2. Se (B, ϕ) e (C, ψ) sono A−algebre, un omomorfismo di A-algebre è un omomorfismo di anelli % : B −→ C tale che commuti il diagramma seguente: ϕ A /B % ψ C i.e. % ◦ ϕ = ψ. Nel caso in cui % sia una biiezione diremo che è un isomorfismo di A-algebre e che (B, ϕ) e (C, ψ) sono isomorfe, (B, ϕ) ' (C, ψ). 42 CAPITOLO 3. NOETHERIANITÀ Se A è un anello e (B, ϕ) una A−algebra, possiamo dotare B di una naturale struttura di modulo su A, ponendo ∀λ ∈ A, ∀m ∈ B, λm := ϕ(λ)m. In effetti, ciò è equivalente a dire che vediamo B come un ϕ(A)−modulo, con il prodotto per uno scalare dato dal prodotto interno in B. Definizione 3.2.3. Sia (B, ψ) una A−algebra. Un sottoanello C ⊆ B è una sottoalgebra di B se è un sottomodulo di B come A−modulo. Osservazione 3.2.1. Ricordando che, per definizione, un sottoanello deve contenere l’unità, se (B, ϕ) è una A−algebra, R ⊆ B è una A−sottoalgebra se e solo se è un sottoanello di B tale che ϕ(A) ⊆ R. Definizione 3.2.4. Una A−algebra (B, ϕ) si dice finita se è finita come A−modulo. Si dice invece finitamente generata (come A-algebra) se ∃k ∈ N∗ ed ∃b1 , . . . , bk ∈ A tali che l’omomorfismo di A1 −moduli f : A[x1 , . . . , xk ] −→ B, ∀i ∈ k f (xi ) := bi e ∀a ∈ A f (a) := ϕ(a) sia suriettivo (A[x1 , . . . , xk ] è l’A−modulo dei polinomi in k variabili a coefficienti in A). In tal caso, scriviamo B = A[b1 , . . . , bk ].3 Grazie al teorema di Hilbert, abbiamo la seguente Proposizione 3.2.1. Sia A un anello noetheriano e sia (B, ϕ) una A−algebra. Allora 1. Se B è finita, allora B è un A-modulo noetheriano. 2. Se B è finitamente generata, allora B è un anello noetheriano. Dimostrazione. 1. B è noetheriano come A−modulo per l’ultimo punto del corollario 3.1.1. Ma B è un anello e i suoi ideali sono sottomoduli di B come ϕ(A)−modulo e perciò sono finitamente generati. Pertanto B è un anello noetheriano. 2. B è un anello noetheriano per il teorema della base di Hilbert. 3 Si badi bene che A[b , . . . , b ] non è l’A−modulo dei polinomi in k variabili a coefficienti in A perché non 1 k chiediamo, in generale, che f sia un isomorfismo. Capitolo 4 Anelli di Frazioni e Localizzazione 4.1 Definizione e proprietà universale Sia A un anello e sia S ⊆ A un suo sottoinsieme moltiplicativo (cfr. 1.8). Vogliamo costruire una A−algebra (T, ψ) in cui tutti gli elementi di ψ(S) siano invertibili e che sia la più piccola A−algebra (in un senso che preciseremo) con questa proprietà. Vediamo come fare. Consideriamo l’insieme A × S e su di esso definiamo una relazione binaria ∼ ponendo: ∀(a, s), (b, t) ∈ A × S def (a, s) ∼ (b, t) ⇐⇒ ∃u ∈ S tale che u(at − bs) = 0. Si tratta di una relazione di equivalenza su A × S. Infatti: • è riflessiva. ∀(a, s) ∈ A × S, 1(as − as) = 0; • è simmetrica. Siano (a, s), (b, t) ∈ A × S tali che (a, s) ∼ (b, t) e sia u ∈ S con u(at − bs) = 0. Allora 0 = −u(at − bs) = u(bs − at) =⇒ (b, t) ∼ (a, s); • è transitiva. Siano (r, d), (s, e), (t, f ) ∈ A × S tali che (r, d) ∼ (s, e) e (s, e) ∼ (t, f ). Allora ∃x, y ∈ S tali che x(er − ds) = 0 = y(f s − et) =⇒ xf y(er − ds) = 0 = ydx(f s − et) =⇒ 0 = xf y(er−ds)+ydx(f s−et) = xf yer−xf yds+ydxf s−ydxet = exy(f r−dt) = 0 con exy ∈ S perché S è moltiplicativo. Quindi (r, d) ∼ (t, f ). Possiamo dunque considerare l’insieme quoziente A × S/ ∼ =: S −1 (A). Se denotiamo con as la classe di ∼ equivalenza di (a, s), possiamo definire su S −1 A due operazioni di somma e di prodotto come segue: ∀(a, s), (b, t) ∈ S −1 A, a b a b at + bs ab + := e := . (4.1) s t st s t st Verifichiamo che queste operazioni sono ben definite. Siano e bt11 = bt . Sappiamo che ∃s2 , s3 ∈ S tali che: a1 a b1 b s1 , s , s1 , s s2 (a1 s − as1 ) = 0 e s3 (b1 t − bt1 ) = 0. ∈ S −1 A tali che a1 s1 = a s (4.2) Moltiplicando la prima relazione per s3 tt1 e la seconda per s2 ss1 ricaviamo quindi che 0 = s2 s3 (tt1 (a1 s − as1 ) + ss1 (b1 t − bt1 )) = s2 s3 (st(a1 t1 + b1 s1 ) − s1 t1 (at + bs)) = 0. Poiché s2 s3 ∈ S, 43 44 CAPITOLO 4. ANELLI DI FRAZIONI E LOCALIZZAZIONE −1 1 s1 = at+bs abbiamo appena scritto che a1 ts11+b Aè t1 st , come voluto per mostrare che la somma in S ben definita. Allo stesso modo, moltiplicando in (4.2) la prima uguaglianza per s3 tb1 , la seconda per s2 s1 a e sommando, ricaviamo 0 = s3 tb1 s2 a1 s − s3 tb1 s2 as1 + s2 s1 as3 b1 t − s2 s1 as3 bt1 = a1 b1 s2 s3 (sta1 b1 − s1 t1 ab). Concludiamo che ab st = s1 t1 , ossia anche il prodotto è ben definito. Osserviamo a questo punto che, date due classi as , bt ∈ S −1 A, le operazioni tra di esse si riversano in operazioni compiute sui rappresentanti (a, s) e (b, t) delle classi stesse ed è dunque immediato constatare che la somma e il prodotto su S −1 A appena definiti lo dotano di una struttura d’anello. Possiamo dunque dare la seguente 1 0 è detto anello delle frazioni di Definizione 4.1.1. S −1 A, +, 0S −1 A = , · · · , 1S −1 A = 1 1 A rispetto a S (oppure su S ). Notiamo che in S −1 A vale, come ci si aspetta, che ∀ a a at ∈ S −1 A, ∀t ∈ S, = s s st e questo semplicemente perché 0 = ast − sat = t(as − as). Consideriamo ora la mappa ϕ a ϕ : A −→ S −1 A, a 7−→ 1 (A volte, se necessario, scriveremo ϕS ad indicare la dipendenza dal sottoinsieme moltiplicativo S, anziché semplicemente ϕ). Evidentemente, ϕ è un omomorfismo di anelli (a + b 7→ a+b 1 = a b ab a b 1 −1 + , ab → 7 = ( )( ) e 1 → 7 = 1 ). Inoltre, ogni elemento di ϕ(S) è invertibile perché A S A 1 1 1 1 1 1 −1 per ogni s ∈ S, ( 1s )( 1s ) = 11 , cioè 1s = 1s . Osserviamo inoltre che ∀a ∈ A, ϕ(a) = a1 = 01 ⇐⇒ ∃s ∈ S con as = 0, ossia ker(ϕ) = {a ∈ A : ∃s ∈ S per cui as = 0}. In particolare, dunque, ϕ è iniettiva se e soltanto se S non contiene divisori dello zero in A. a 1 −1 . Infine, notiamo che ∀ as ∈ S −1 A, as = a1 s1 = ( 1 )( s ) = ϕ(a)ϕ(s) Abbiamo perciò dimostrato il seguente Teorema 4.1.1. Sia A un anello e sia S un suo sottoinsieme moltiplicativo. Allora esiste una A−algebra di anelli (T, ψ) tale che: (i) ogni elemento di ψ(S) è invertibile (in T ); (ii) ker(ψ) = {a ∈ A : ∃s ∈ S per cui as = 0} e ogni elemento di T si scrive come ψ(a)ψ −1 (s) per qualche a ∈ A, s ∈ S. Osservazione 4.1.1. Notiamo che S −1 A = {0} ⇐⇒ 0 ∈ S ⇐⇒ S contiene un elemento nilpotente. Infatti, S −1 A = {0} ⇐⇒ 11 = 01 ⇐⇒ ∃x ∈ S con x(11 − 01) = x1 = 0 ⇐⇒ 0 ∈ S ⇐⇒ S contiene un elemento nilpotente. Osservazione 4.1.2. Abbiamo compiuto la costruzione dell’anello delle frazioni partendo da un insieme moltiplicativo. Ciò non è particolarmente restrittivo. Supponiamo infatti di avere un anello A e un sottoinsieme Σ ⊆ A qualunque. Vorremmo costruire una A−algebra (T, ψ) in 4.1. DEFINIZIONE E PROPRIETÀ UNIVERSALE 45 cui ogni elemento di ψ(Σ) sia invertibile. Per ottenere ciò possiamo considerare semplicemente (S −1 A, ϕ), dove S è il sottoinsieme moltiplicativo minimale di A e contenente Σ. Un tale S è evidentemente dato da S := {1} ∪ Σ ∪ { k Y si : k ∈ N, si ∈ Σ ∀i ∈ k}. i=1 Definizione 4.1.2. Sia A un dominio e sia S := A \ {0}. Frac(A) := S −1 A è detto campo delle frazioni di A. Osserviamo che se A è un dominio Frac(A) è davvero un campo perché è non nullo essendo −1 −1 A un dominio e ∀ 0 6= as ∈ S −1 A, poiché a1 e 1s sono invertibili (a ∈ S), as = a1 · 1s = as . Inoltre, ∀ as , bt ∈ Frac(A), as = bt ⇐⇒ ∃x ∈ A \ {0} con x(at − bs) = 0 ⇐⇒ at − bs = 0 perché A è un dominio. Esempio 4.1.1. def 1. Se A = Z, allora Q = Frac(Z). Questo stesso esempio ci dice che, se A è un anello qualunque e S un suo sottoinsieme moltiplicativo, (S −1 A, ϕ) non è, in generale, né finita né finitamente generata (come A−algebra) su A. 2. Sia A := K[x, y]/(xy) con K campo e sia S := {[x]n : n ∈ N}. Allora S −1 A = K[[x], [x]−1 ] ' K[x, x−1 ]. Infatti osserviamo che n k X X A= ai xi + bj y j : n, k ∈ N, ai , bj ∈ K . i=0 j=0 Un generico elemento α ∈ S −1 A sarà dunque nella forma (m ∈ N): α= Pn Pk [ i=0 ai xi + j=0 bj y j ] [x]m Pk Pn [ i=0 ai xi ] [ j=0 bj y j ] = + . [x]m [x]m Analizziamo separatamente i due addendi: Pn n X ai X [ i=0 ai xi ] X [x]i = a = + ai [x]i−m ∈ K[[x], [x]−1 ]; i [x]m [x]m [x]m−i i>m i=0 i≤m Pk [ j=0 bj y j ] [x]m = k X j=0 k bj k X [y]i [x]i X [xy]i [y]i = b = bj m = 0, j [x]m [x]m+i [x] j=0 j=0 dove abbiamo usato ripetutamente le definizioni e le proprietà di somma e prodotto in A e in S −1 A, assieme al fatto che [xy] = 0 in A. Dunque S −1 A ⊆ K[[x], [x]−1 ] e l’inclusione opposta è evidente. La prossima proposizione fornisce una forte caratterizzazione di (S −1 A, ϕ) e ci permette di capire in che senso essa sia la più piccola A−algebra per cui valga (i) del teorema precedente. Proposizione 4.1.1. (S −1 A, ϕ) soddisfa la seguente proprietà di universalità: per ogni A−algebra (B, ψ) tale che ogni elemento di ψ(S) sia invertibile, esiste un unico omomorfismo di anelli 46 CAPITOLO 4. ANELLI DI FRAZIONI E LOCALIZZAZIONE % : S −1 A −→ B con % ◦ ϕ = ψ, ossia tale che commuti il diagramma: A ϕ S −1 A ψ ∃!% /B Di più (S −1 A, ψ) è, a meno di isomorfismi, l’unica A−algebra con questa peculiarità, ossia se (C, η) è una A−algebra che verifica la proprietà universale precedente, allora esiste un unico isomorfismo di A−algebre j : S −1 A −→ C: A ϕ S −1 A η ∃! ' /C Dimostrazione. Cominciamo col mostrare la prima parte. Definiamo a % : S −1 A −→ B, % := ψ(a)ψ(s)−1 . s Si tratta di una mappa ben definita perché a b = ∈ S −1 A =⇒ ∃x ∈ S con x(at − bs) = 0 =⇒ ψ(x)(ψ(at) − ψ(bs)) = 0; s t essendo ψ(x) ∈ B invertibile per ipotesi, ricaviamo allora che ψ(a)ψ(t) = ψ(b)ψ(s), da cui, moltiplicando ambo i membri per ψ(s)−1 ψ(t)−1 , ψ(a)ψ(s)−1 = ψ(b)ψ(t)−1 . Per come è definito è chiaro che % è un omomorfismo di anelli e che ∀a ∈ A, (%◦ϕ)(a) = ψ(a). D’altra parte, se anche h : S −1 A −→ B soddisfa h ◦ ϕ = ψ, allora certamente per ogni a ∈ A, h(a/1) = ψ(a) = %(a) e quindi ∀s ∈ S, h(1/s) = h(s/1)−1 = ψ(s)−1 . Ne segue che a a 1 a a ∀ ∈ S −1 A, h =h h . = ψ(a)ψ(s)−1 = % s s 1 s s Verifichiamo ora l’essenziale unicità di (S −1 A, ϕ). Se (C, η) è come nell’enunciato, ∃! j : S −1 A −→ C tale che j ◦ ϕ = η, per universalità di (S −1 A, ϕ). Analogamente, per universalità di (C, η), ∃! k : C −→ S −1 A con k ◦ η = ϕ. Ma allora idC ◦ η = η = j ◦ ϕ = j ◦ (k ◦ η) = (j ◦ k) ◦ η, da cui j ◦ k = idC , per la proprietà universale di (C, η). Allo stesso modo si ottiene che k ◦ j = idS −1 A . Corollario 4.1.1. Se (B, ψ) è una qualunque A−algebra tale che ψ(S) ⊆ B × e ψ è iniettiva, B contiene (una copia isomorfa di) S −1 A. In particolare \ S −1 A ' F dove F := {ψ(A) ⊆ C ⊆ B : C è una sottoalgebra di B in cui ogni elemento di ψ(S) è invertibile } 4.1. DEFINIZIONE E PROPRIETÀ UNIVERSALE 47 Dimostrazione. ∃! ξ : S −1 A −→ B omomorfismo di anelli tale che ξ ◦ ϕ = ψ. Poiché ψ è iniettiva, anche ξ lo è e allora S −1 A ' Im(ξ). Se A è un anello qualunque e h ∈ A un elemento non nilpotente, posto S = {hn : n ∈ N}, denotiamo con Ah l’anello delle frazioni S −1 A. Grazie alla proprietà di universalità di (S −1 A, ϕ), possiamo agilmente mostrare la seguente Proposizione 4.1.2. Sia A un anello e sia h ∈ A un elemento non nilpotente. Allora la mappa A[x] 3 n X ai xi 7−→ i=1 n X ai ∈ Ah i h i=1 induce un isomorfismo di anelli A[x] ' Ah . (1 − hx) Dimostrazione. Nell’anello A := A[x]/(1−hx), 1 = hx (dove ovviamente intendiamo [1] = [h][x]), ossia h è invertibile. Sia ora (B, α) una A−algebra tale che α(h) sia un elemento invertibile in B. L’omomorfismo di anelli β : A[x] −→ B, n X β ai xi 7−→ i=1 n X α(ai )α(h)−1 i=1 passa al quoziente (di A[x]) rispetto a (1 − hx) perché β(1 − hx) = 1 − α(h)α(h)−1 = 0. Pertanto la mappa " n # ! n X X βα i i βα : A −→ B, ai x 7−→ β ai x i=1 i=1 è ben definita ed è l’unico omomorfismo di anelli A −→ B tale che βα ◦ π = α, dove π : A −→ A è data da π(a) := [a]. Abbiamo mostrato che la A−algebra (A, π) possiede la stessa proprietà universale di (Ah , ϕ) e allora A ' Ah attraverso un unico isomorfismo di A-algebre che manda [x] in h−1 . Osservazione 4.1.3. Se A è un anello e S, Se ⊆ A sono sottoinsiemi moltiplicativi, può accadere che S ( Se sebbene S −1 A = Se−1 A. Un’evidenza di ciò si ha considerando un campo K e prendendo S := {1} e Se := K∗ . Un altro esempio più interessante si ottiene se A = Z, S := {10k : k ∈ N} e Se è il più piccolo e ma tutti gli insieme moltiplicativo contenente {2k : k ∈ N} ∪ {5k : k ∈ N}. Abbiamo che S ( S, −1 a b e e elementi di S sono invertibili in S A. Infatti, se 2 5 ∈ S per qualche a, b ∈ N, allora l’inverso a b 2b 5a −1 di 2 15 in S −1 A è 10 A = Se−1 A. a+b . Perciò, S In merito a quanto appena notato, vale il seguente risultato generale (Atiyah-Macdonald Es. 7-8 pag. 44) Proposizione 4.1.3. Sia A un anello e sia S ⊆ A un suo sottoinsieme moltiplicativo. Allora ∃T ⊆ A moltiplicativo tale che: (i) S ⊆ T e S −1 A = T −1 A; (ii) T è il sottoinsieme moltiplicativo di A massimale rispetto alla proprietà (i), i.e. se T1 ⊆ A è moltiplicativo, verifica (i) e T ⊆ T1 allora T = T1 . 48 CAPITOLO 4. ANELLI DI FRAZIONI E LOCALIZZAZIONE Più precisamente, T = {t ∈ A : ∃a ∈ A con at ∈ S} ed è detto (insieme) saturato di S. Dimostrazione. È evidente che S ⊆ T . Mostriamo che T è moltiplicativamente chiuso. Poiché 1 ∈ S, 1 ∈ T . D’altra parte, se t1 , t2 ∈ T , siano α1 , α2 ∈ A tali che α1 t1 , α2 t2 ∈ S. Allora (α1 α2 )(t1 t2 ) = (α1 t1 )(α2 t2 ) ∈ S, ossia t1 t2 ∈ T . Definiamo ora la mappa j : S −1 A ,→ T −1 A, S −1 A 3 a j a 7−→ ∈ T −1 A. s s Essa è ben definita (a/s = b/t in S −1 A =⇒ ∃δ ∈ S : δta = δsb; ma δ ∈ S ⊆ T =⇒ δ ∈ T ) ed è un omomorfismo di anelli. Ora a ∈ ker(j) ⇐⇒ ∃t ∈ T : ta = 0 e t ∈ T =⇒ ∃b ∈ A, ∃λ ∈ S con bt = λ =⇒ λa = 0 = bta s , cioè a/s = 0 in S −1 A. Dunque j è iniettiva. Verifichiamo ora che è anche suriettiva, il che ci permetterà di dimostrare (i). In effetti, se b/t ∈ T −1 A, poiché t ∈ T, ∃a ∈ A : at = k con k ∈ S =⇒ ab/k ∈ S −1 A. Ma ab/k = b/t in T −1 A perché 1 ∈ T è tale che 1(abt − bk) = abt − bat = 0. Quindi, b/t = j(ab/k). Mostriamo infine la massimalità di T . Sia T1 ⊆ A moltiplicativo e tale da soddisfare (i). Supponiamo per assurdo che T ( T1 ; allora ∃c ∈ T1 con c ∈ / T . Tuttavia, poiché T1−1 A = S −1 A = −1 −1 T A, essendo c/1 invertibile in T1 A lo sarà anche in T −1 A. Dunque: α c α = 1 ⇐⇒ ∃β ∈ T con βαc = βτ ∈ T ⇐⇒ ∃σ ∈ A : σβαc ∈ S. ∃ ∈ T −1 A : τ τ 1 Abbiamo appena scritto che c ∈ T , una contraddizione da cui concludiamo che T = T1 . 4.2 Ideali in A e in S −1 A. Localizzazione Definizione 4.2.1. Siano A, B anelli e sia f : A −→ B un omomorfismo di anelli. Se I ⊆ A è un ideale, chiamiamo estensione di I (in B) l’ideale ( n ) X e(I) := (f (I)) = bi f (c1 ) : bi ∈ B, ci ∈ I =: Bf (I). (4.3) i=1 Se J ⊆ B è un ideale, r(J) := f −1 (J) è detto contrazione di J (in A): si tratta di un ideale di A. Osservazione 4.2.1. ∀J ⊆ B ideale, e(r(J)) = ( f (f −1 (J)) ) = ({f (α) : α ∈ f −1 (J)}) ⊆ (J) = J, Vediamo alcuni risultati su estensioni e contrazioni nel caso in cui (B, f ) = (S −1 A, ϕ) per qualche S ⊆ A: otterremo in questo modo anche una caratterizzazione di tutti gli ideali di S −1 A in termini di una sottofamiglia degli ideali di A. Proposizione 4.2.1. Sia A un anello e consideriamo (S −1 A, ϕ) per qualche sottoinsieme S ⊆ A moltiplicativamente chiuso. Se I è un ideale qualunque di A e J è un ideale qualsiasi di S −1 A, vale quanto segue: i −1 1. e(I) = S I := : i ∈ I, s ∈ S ; s 4.2. IDEALI IN A E IN S −1 A. LOCALIZZAZIONE 49 2. e(r(J)) = J. In particolare, ogni ideale di S −1 A è estensione di qualche ideale di A (i.e di r(J)) e ideali distinti si S −1 A danno luogo a contrazioni distinte in A; 3. r(e(I)) = {a ∈ A : as ∈ I per qualche s ∈ S}; 4. se P ∈ Spec(A) e P ∩ S = ∅,allora e(P ) = (S −1 A)ϕ(P ) è un ideale primo in S −1 A. Dimostrazione. Pn 1. Non c’è dubbio che S −1 I ⊆ e(I). Sia dunque b = i=1 bi ϕ(ci ) ∈ e(I) per opportuni n ∈ N, bi ∈ S −1 A e ci ∈ I. Se, per ogni i ∈ n, scriviamo bi = ai /si con ai ∈ A e si ∈ S, definendo di := ai ci ∈ I, ricaviamo che: b= n X ai ci i=1 si 1 = n X di i=1 si = d1 s2 · · · sn + s1 d2 s3 · · · sn + · · · + s1 · · · sn−1 dn i Qn = s s i=1 i con i ∈ I e s ∈ S perché I è un ideale e S è moltiplicativo. 2. Per l’osservazione precedente la proposizione, basta mostrare che J ⊆ e(r(J)). In effetti b s b b = ∈ J =⇒ b ∈ ϕ−1 (J) =⇒ ϕ(b) ∈ e(r(J)). ∀ ∈ J, s s 1 1 3. Se a ∈ r(e(I)), ϕ(a) = a/1 ∈ e(I) = S −1 I per il punto 1. Dunque, ∃b ∈ I, ∃t ∈ S con a/1 = b/t =⇒ ∃u ∈ S : uta = ub ∈ I. Pertanto s := ut ∈ S è tale che sa ∈ I, i.e. r(e(I)) ⊆ {a ∈ A : as ∈ I per qualche s ∈ S} =: L. Viceversa, se α ∈ L allora ∃s ∈ S tale che αs = t per qualche t ∈ I =⇒ α/1 = t/s ∈ e(I) ⇐⇒ α ∈ r(e(I)). 4. Poniamo Q := e(P ). Abbiamo: a b ab ab c a b ∀ , ∈ S −1 A, = ∈ Q =⇒ ∃c ∈ P, ∃s ∈ S : = ⇐⇒ ∃x ∈ S con xsab = cut ∈ P. u t u t ut ut s Poiché P ∩ S = ∅, (xsab ∈ P, xs ∈ S) =⇒ ab ∈ P =⇒ a ∈ P oppure b ∈ P perché P è primo. Concludiamo che a/u ∈ Q o b/t ∈ Q ossia Q = e(P ) è primo. Corollario 4.2.1. Nelle ipotesi e con le notazioni della proposizione precedente: (i) condizione necessaria e sufficiente affinché r(e(I)) = I è che si abbia ∀s ∈ S, as ∈ I =⇒ a ∈ I; (4.4) (ii) la contrazione r e l’estensione e sono corrispondenze biunivoche, l’una l’inversa dell’altra, tra l’insieme degli ideali di A che soddisfano (4.4) e l’insieme di tutti gli ideali di S −1 A: e {Ideali di A che verificano (4.4)} o In particolare, se A è noetheriano, S −1 A lo è; (iii) r(e(I)) = A ⇐⇒ e(I) = S −1 A ⇐⇒ I ∩ S 6= ∅; r / {Ideali di S −1 A} . 50 CAPITOLO 4. ANELLI DI FRAZIONI E LOCALIZZAZIONE (iv) se P ∈ Spec(A) è tale che P ∩ S = ∅, allora P soddisfa (4.4) e r(e(P )) = P . Pertanto, r : Spec(S −1 A) ,→ Spec(A) identifica Spec(S −1 A) con il sottoinsieme {P ∈ Spec(A) : P ∩ S = ∅} ⊆ Spec(A). Dimostrazione. (i) Segue subito da 3. della proposizione, osservando che I ⊆ r(e(I)). (ii) Il punto 2. della proposizione e (i) appena mostrato dicono esattamente che r e d, ristrette agli insiemi descritti nell’enunciato, sono l’una l’inversa dell’altra. (iii) Poiché A soddisfa banalmente (4.4) r(e(A)) = A. Per iniettività di r, essendo e(A) e e(I) entrambi ideali di S −1 A, abbiamo che: r(e(I)) = A = r(e(A)) ⇔ e(A) = S −1 A = e(I) = S −1 I ⇔ 1 ∈ e(I) ⇔ 1 ∈ I ⇔ I ∩ S 6= ∅. 1 (iv) Non c’è niente da dimostrare. Costruiamo ora un particolare tipo di anello di frazioni. Sia A un anello e sia P ∈ Spec(A). Sappiamo che allora S := A \ P è un insieme moltiplicativamente chiuso. Possiamo pertanto considerare AP := (A \ P )−1 A. Proposizione 4.2.2. ∀s ∈ S, a ∈ AP è invertibile ⇐⇒ a ∈ / P. s Dimostrazione. Se a/s ∈ AP è tale che ∃ b/t ∈ Ap con b/t = (a/s)−1 , allora ∃u ∈ A \ P tale che u(st − ab) = 0 ⇐⇒ uab = ust ∈ / P perché ust ∈ A \ P . Poiché P è un ideale, ciò significa che anche a ∈ / P. Viceversa, se a ∈ / P , allora ϕ(a) = a/1 è invertibile in AP e quindi per ogni s ∈ A \ P anche a/s lo è. Corollario 4.2.2. Ap è un anello locale ed e(P ) = S −1 P è il suo unico ideale massimale. Dimostrazione. Quanto appena provato ci dice esattamente che e(P ) = AP \ A× P . Ricordando la proposizione 1.5.1, si ha la tesi. Definizione 4.2.2. L’anello locale (Ap , e(P )) è detto localizzazione di A in P. Esempio 4.2.1. 1. Se p ∈ Z, Z(p) = {a/b ∈ Q : b ∈ / (p)} = {a/b ∈ Q : p - b)}. 2. Sia K un campo e consideriamo l’anello dei polinomi in n variabili A := K[x1 , . . . , xn ]. Sia p = (a1 , . . . , an ) ∈ Kn e osserviamo che f ∈ A è tale che f (p) = 0 ⇐⇒ f ∈ mp := (x1 − a1 , . . . , xn − an ) ⊆ A. Notiamo inoltre che l’ideale mp è massimale, perché ψ la mappa ψ : A −→ K, f 7−→ f (p) è un epimorfismo (omomorfismo suriettivo) di anelli e mp = ker(ψ). Perciò A/ ker(ψ) ' K ⇐⇒ mp è massimale. L’anello locale Amp è dato da: p1 ∈ Frac(A) : p2 (p) 6= 0 Am p = p2 4.3. MODULI DI FRAZIONI ED ESATTEZZA DI S −1 51 ed è anche detto insieme delle funzioni razionali regolari in p. Poiché K è un campo, ha ancora senso valutare p1 /p2 in p, cioè ben definire una funzione AmP −→ K ponendo p1 p1 ∈ Amp , (p) := (p1 (p))(p2 (p))−1 . ∀ p2 p2 Se n ≥ 2, possiamo considerare l’ideale r := (x2 , . . . , xn ) di A, generato dalla retta in Kn passante per l’origine di equazioni x2 = x3 = . . . = xn = 0. Tale ideale è formato da tutti e soli i polinomi di A che si annullano su tale retta ed è primo. In questo caso Ar è l’insieme formato da tutti i p1 /ps ∈ Frac(A) regolari su r, ossia tali che p2 (q) 6= 0 per ogni punto q sulla retta x2 = x3 = . . . = xn = 0. 4.3 Moduli di Frazioni ed Esattezza di S −1 Vogliamo generalizzare la costruzione vista degli anelli di frazioni ai moduli. Prima di fare ciò diamo la seguente Proposizione 4.3.1. Siano A un anello e S ⊆ A un suo sottoinsieme moltiplicativo. Allora ad ogni S −1 A−modulo possiamo associare un A modulo N tale che le mappe di moltiplicazione per gli elementi s ∈ S (µs : N −→ N, n 7→ sn) siano biiettive. Viceversa, da ogni A−modulo con questa proprietà possiamo ottenere un S −1 A−modulo. Dimostrazione. Se M è un S −1 A−modulo, si può considerare come un A−modulo definendo, ∀a ∈ A e ∀m ∈ M , am := (a/1)m. È palese che in questo caso le mappe di moltiplicazione per gli elementi di S sono delle biiezioni. Viceversa, se M è un A−modulo tale che µs sia biiettiva per ogni s ∈ S, possiamo dotare M di una struttura di modulo su S −1 A ponendo: a a m := aµ−1 ∀ ∈ S −1 A, ∀m ∈ M, s (m). s s Tale operazione è ben definita in quanto ∀ a b a b , ∈ S −1 A, = =⇒ ∃u ∈ S : uat = ubs =⇒ ubµs = uaµt : M −→ M =⇒ bµs = aµt s t s t dove l’ultima implicazione segue dal fatto che, per ipotesi, la moltiplicazione per u ∈ S è, in particolare, iniettiva. Sia ora A un anello con S ⊆ A moltiplicativo. Se M è un A−modulo, definiamo su M × S la relazione binaria: ∀ (m, s), (n, t) ∈ M × S, (m, s) ∼ (n, t) ⇐⇒ ∃u ∈ S tale che u(mt − ns) = 0. Nello stesso modo visto per gli anelli, si può verificare che ∼ è una relazione di equivalenza e che è dunque possibile formare l’insieme quoziente S −1 M := M × S/ ∼. Inoltre, le due operazioni a m m n a m n mt + ns am ∈ S −1 M, ∀ ∈ S −1 A, + := e := ∀ , s t u s t st u s us −1 −1 −1 sono ben definite e rendono S A, S M, +, · un S A−modulo, il quale, grazie alla proposizione precedente, può essere trattato anche come un A−modulo. Definizione 4.3.1. S −1 A, S −1 M, +, · è detto modulo delle frazioni di M rispetto a S. 52 CAPITOLO 4. ANELLI DI FRAZIONI E LOCALIZZAZIONE Se ϕ := ϕM : M −→ S −1 M è la mappa m 7→ m/1, la coppia (S −1 M, ϕ) possiede la seguente proprietà universale: per ogni coppia (N, ψ) con N modulo su S −1 A e ψ : M −→ N omomorfismo qualunque di S −1 A−moduli, esiste un unica mappa S −1 A−lineare, % : S −1 M → N , tale che commuti il diagramma M ϕ ψ . S −1 M /N ∃!% La dimostrazione di questo fatto è analoga a quella vista nel caso degli anelli: basta porre %(m/s) := (ψ(m))(1/s) e osservare che questa è una buona definizione in quanto, se m/s = n/t in S −1 M , m n 1 m n ∃x ∈ S : x(mt − ns) = 0 =⇒ 0 = . − = − sx tx x s t Sia ora f : M −→ N un omomorfismo di A−moduli. Allora, fissato S ⊆ A moltiplicativo, esso induce un omomorfismo di S −1 A−moduli dato da m m f (m) S −1 f : S −1 M −→ S −1 N, ∀ ∈ S −1 M, S −1 f := . s s s Quindi S −1 f è l’unico omomorfismo di S −1 A−moduli che rende commutativo il diagramma /N f M ϕM ϕN S −1 M S −1 f / S −1 N È inoltre evidente che S −1 (idM ) = idS −1 M e che, se g : L −→ M è un (altro) omomorfismo di A−moduli, S −1 (f ◦ g) = S −1 f ◦ S −1 g. C’è un’altra importante proprietà di S −1 , come ci indica la prossima Proposizione 4.3.2. Se α β L− →M − →N è una successione esatta di A−moduli e di mappe A−lineari, allora S −1 α S −1 β S −1 L −−−→ S −1 M −−−→ S −1 N è una successione esatta di S −1 A−moduli e di mappe S −1 A−lineari. Dimostrazione. Comunque preso m/s ∈ S −1 M , m β(m) (†) S −1 β = = 0 ⇐⇒ ∃u ∈ S : uβ(m) = β(um) = 0 ⇐⇒ ∃u ∈ S, ∃l ∈ L : um = α(l) ⇐⇒ s s m α(l) l ⇐⇒ ∃u ∈ S, ∃l ∈ L : = = S −1 α ⇐⇒ ker(S −1 β) = Im(S −1 α), s us us α β dove l’equivalenza in (†) è dovuta all’esattezza di L − →M − → N. 4.3. MODULI DI FRAZIONI ED ESATTEZZA DI S −1 53 Da quanto appena visto, segue in particolare che se L è un sottomodulo di M , applicando la S −1 i i proposizione alla sequenza esatta 0 → − L ,→ M , la mappa S −1 L ,→ S −1 M è iniettiva e pertanto S −1 L può essere considerato come un sottomodulo di S −1 M . Inoltre Corollario 4.3.1. Se N, P sono sottomoduli di un A−modulo M allora: (i) S −1 (N + P ) = S −1 (N ) + S −1 (P ); (ii) S −1 (N ∩ P ) = S −1 (N ) ∩ S −1 (P ); (iii) S −1 (M/N ) ' (S −1 M )/(S −1 N ). Dimostrazione. (i) Basta osservare che ∀n ∈ N, ∀p ∈ P, ∀s ∈ S, (n + p)/s = (n/s) + (p/s). (ii) L’inclusione S −1 (N ∩ P ) ⊆ S −1 (N ) ∩ S −1 (P ) è ovvia. Se n/s ∈ S −1 N e p/t ∈ S −1 P sono tali che n/s = p/t allora ∃u ∈ S tale che w := utn = usp ∈ N ∩ P ossia n/s = w/stu ∈ S −1 (N ∩ P ). i π (iii) È sufficiente applicare S −1 alla successione esatta 0 → − N ,→ M − → M/N → − 0. Osservazione 4.3.1. Sia M un A−modulo libero e sia (e1 , . . . , en ) una sua base. Allora n M possiamo scrivere M = Aei e chiaramente Aei ∩ Aej = {0} per i 6= j. Pertanto, da (i) e (ii) i=1 del corollario precedente segue che S −1 M =S −1 n M ! Aei = n M S −1 (Aei ). i=1 i=1 e en . 1 1 Se M è soltanto finitamente generato su A e (m1 , . . . , mn ) è un sistema di generatori, allora −1 anche finitamente generato come S −1 A-modulo ed un suo sistema di generatori è dato mS M è m n 1 da , ..., . 1 1 In particolare quindi S −1 M è libero su S −1 A e una sua base è data da 1 , ..., Esempio 4.3.1. 1. Consideriamo la successione esatta breve di Z−moduli: n7→2n π 0→ − Z −−−−→ Z − → Z/2Z → − 0. Ponendo S := Z∗ osserviamo che S −1 (Z/2Z) ' S −1 Z/S −1 2Z = Q/2Q = Q/Q = {0}. Dunque, otteniamo la successione esatta breve di Q moduli: q7→2q 0→ − Q −−−→ Q → − 0→ − 0. 2. Sia A un dominio e supponiamo di avere una successione esatta breve di A−moduli: α β 0→ − Aq − → Ap − →M → − 0. 54 CAPITOLO 4. ANELLI DI FRAZIONI E LOCALIZZAZIONE Pertanto M è finitamente generato su A. Se poniamo S := A \ {0}, grazie all’osservazione precedente, abbiamo S −1 Aq = Kq e S −1 Ap = Kp con K := Frac(A) campo. Otteniamo perciò la successione esatta breve: S −1 α S −1 β 0→ − Kq −−−→ Kp −−−→ S −1 M → − 0. Ora, S −1 M è finitamente generato come K−spazio vettoriale (perché M è finitamente generato su A) e quindi è libero su K. Ne segue che la successione è spezzante e che q ≤ p, ossia: dimK (Kp ) = dimK (Kq ) + dimK (S −1 M ) ⇐⇒ dimK (S −1 M ) = p − q. 3. Usiamo quanto appena visto nell’esempio precedente per studiare una situazione leggermente differente da quella ivi presentata: siano A un dominio, M un A−modulo e supponiamo di disporre di una successione esatta (q ≤ p) α β Aq − → Ap − →M → − 0. Abbiamo già notato che ciò è sempre possibile se A è in aggiunta noetheriano (si veda proposizione 3.1.3). Se S := A \ {0}, otteniamo quindi la successione esatta S −1 α S −1 β − 0. Kq −−−→ Kp −−−→ S −1 M → Abbiamo che Im(S −1 α) ' Kq / ker(S −1 α) e Im(S −1 α) è finitamente generata su K perché sottospazio vettoriale di Kp . Possiamo perciò considerare la composizione i ◦ S −1 α, dove S −1 α : Kq / ker(S −1 α) −→ Im(S −1 α) è l’omomorfismo indotto da S −1 α e i : Im(S −1 α) ,→ Kp , ed ottenere la successione esatta breve: i◦S −1 α S −1 β − 0. 0→ − Kq / ker(S −1 α) −−−−−→ Kp −−−→ S −1 M → Grazie a quanto visto in precedenza, ponendo % := rk(S −1 α) = dimK (Im(S −1 α))) = dimK (Kq / ker(S −1 α)), ricaviamo che: dimK (S −1 M ) = p − %. 4.4 Fattorialità di A[x]. Irriducibilità in A[x] e in Frac(A)[x]. In tutta questa sezione, A indicherà un dominio. Vogliamo usare il concetto di campo delle frazioni per ottenere dei risultati che leghino la fattorialità di A[x] a quella di A e l’irriducibilità dei polinomi in A[x] a quella in K[x]. Prima di procedere, compiamo una necessaria digressione nell’algebra elementare. Definizione 4.4.1. Sia a ∈ A \ {0} un elemento non invertibile: • a è irriducibile in A se a = bc per qualche b, c ∈ A =⇒ b ∈ A× o c ∈ A× ; • a è primo in A se ∀b, c ∈ A, a | bc =⇒ a | b oppure a | c. Evidentemente p ∈ A \ {0} è primo ⇐⇒ (p) è un ideale primo non nullo. Possiamo definire su A una relazione di equivalenza ∼ ponendo: ∀a, b ∈ A, Se a ∼ b si dice che a è associato a b. a ∼ b ⇐⇒ ∃ε ∈ A× : a = εb. 4.4. FATTORIALITÀ DI A[X]. IRRIDUCIBILITÀ IN A[X] E IN Frac(A)[X]. 55 Osservazione 4.4.1. Si hanno le seguenti immediate proprietà: • ∀a, b ∈ A, a ∼ b ⇐⇒ a | b e b | a; • ∀a ∈ A \ {0}, a ∼ 1 ⇐⇒ a ∈ A× ; • ∀x, y, z, w ∈ A, se x ∼ z e y ∼ w allora (x | y ⇐⇒ z | w); • ∀a, b ∈ A \ {0} con a ∼ b, a è irriducibile (primo) se e solo se b lo è. Osservazione 4.4.2. Se p ∈ A è primo, allora è anche irriducibile. Infatti, sia p = ab con a, b ∈ A. Poiché p è primo, o p | a, nel qual caso p ∼ a e b è invertibile, oppure p | b, da cui segue che a è invertibile. Consideriamo ora le tre proprietà seguenti: (A1 ) ∀a ∈ A \ {0} non invertibile, ∃n ∈ N∗ ed ∃t1 , . . . , tn ∈ A irriducibili con a = t1 t2 · · · tn . (A2 ) Comunque presi s, r ∈ N∗ e t1 , . . . , ts , a1 , . . . , an ∈ A irriducibili, se t1 · · · ts = a1 · · · an , allora r = s, esiste una permutazione σ : n −→ n ed esistono ε1 , . . . , εr ∈ A× tali che ai = εi tσ(i) per ogni i ∈ r. (A volte per esprimere questa proprietà si dice che una scomposizione in irriducibili di un elemento non Q nullo e non invertibile di A, se esiste, è r essenzialmente unica.) Ovviamente si deve avere i=1 εi = 1. (A3 ) Ogni irriducibile in A è primo. Osservazione 4.4.3. (A3 ) =⇒ (A2 ). Infatti, assumiamo che in A ciascun irriducibile sia primo e siano s, r ∈ N∗ e t1 , . . . , ts , a1 , . . . , an ∈ A irriducibili con t1 · · · ts = a1 · · · an . Supponiamo WLOG r ≤ s e procediamo per induzione su r. Se r = 1 non c’è niente da dire. Se r ≥ 2 e la tesi è valida per r − 1, poiché a1 primo e a1 (a2 · · · as ) = t1 · · · tr , abbiamo che ∃j ∈ r ed ∃a ∈ A con tj = aa1 . Ne segue che a ∈ A× perché tj è irriducibile e a1 (a2 · · · as ) = tj (t1 · · · tj−1 tj+1 · · · tr ) = a−1 a1 (t1 · · · tj−1 tj+1 · · · tr ) =⇒ =⇒ a2 · · · as = a−1 (t1 · · · tj−1 tj+1 · · · tr ). I t1 , . . . , tj−1 , tj+1 , . . . , tr sono r−1 irriducibili di A che soddisfano l’ipotesi induttiva. Pertanto r−1 = s−1 ⇐⇒ r = s ed esiste una permutazione σ : {2, . . . , r} → {1, . . . , j −1, j +1, . . . , r} tale che ak = εk tσ(k) con εk ∈ A× per ogni k ∈ {2, . . . , r}. Tale permutazione si può chiaramente estendere ad una r −→ r semplicemente mandando 1 in j; inoltre a1 = a−1 tj . Proposizione 4.4.1. 1. Se in A valgono (A1 ) e (A2 ) allora A soddisfa l’A.C.C per ideali principali, i.e. per ogni catena ascendente di ideali principali di A (a0 ) ⊆ (a1 ) ⊆ · · · ⊆ (ak ) ⊆ . . . ∃n0 ∈ N tale che ∀n, m ≥ n0 , (an ) = (am ) o, equivalentemente, an ∼ am . Inoltre, per A vale anche (A3 ). 2. Se invece A soddisfa l’A.C.C per ideali principali allora verifica anche (A1 ). Dimostrazione. 56 CAPITOLO 4. ANELLI DI FRAZIONI E LOCALIZZAZIONE 1. Sia ((ai ))i∈N una catena ascendente di ideali principali di A e supponiamo per assurdo che (ai ) ( (ai+1 ) per ogni i ∈ N. Osserviamo che se ∃i ∈ N per cui ai = 0 oppure ai ∈ A× , allora necessariamente la catena è stazionaria. Si deve dunque avere che ai ∈ A\(A× ∪{0}) ∀i ∈ N. Definiamo la lunghezza di ai , l(ai ), come il numero di fattori irriducibili (contati con i loro esponenti) che compaiono nella scrittura di ai come prodotto di irriducibili: tale numero è univocamente determinato da ai grazie alla proprietà (A2 ). Ora, (a0 ) ( (a1 ) ⇐⇒ a1 | a0 ma a0 - a1 . In particolare, ∃ k ∈ A \ A× non nullo tale che a0 = a1 k. Fattorizzando a0 e a1 in irriducibili otteniamo p1 p2 · · · pl(a0 ) = (q1 · · · ql(a1 ) )(r1 · · · rl(k) ) e quindi, ancora grazie ad (A2 ), l(a0 ) = l(a1 ) + l(k) con l(k) ≥ 1 perché 0 6= k ∈ A \ A× . Ne deduciamo che l(a0 ) > l(a1 ). Possiamo a questo punto reiterare il ragionamento compiuto per la coppia (a0 , a1 ) ed applicarlo a (ai , ai+1 ) per ogni i ∈ N, ricavando la sequenza di disuguaglianze strette: l(a0 ) > l(a1 ) > l(a2 ) > . . . > l(ak ) > . . . Poiché l(a0 ) ∈ N, tali maggiorazioni devono essere in numero finito, ossia ∃n0 ∈ N tale che l(an0 ) = 1 ⇐⇒ an0 è irriducibile e ciò costituisce contraddizione con l’ipotesi (ai ) ( (ai+1 ) per ogni i ∈ N, la quale è dunque da rifiutare (∀n ≥ n0 , (an0 ) ⊆ (an ) ⇐⇒ an | an0 ⇐⇒ an0 = εan per qualche ε ∈ A× perché an0 è irriducibile). Abbiamo mostrato che A soddisfa l’A.C.C per ideali principali. Mostriamo ora che verifica anche (A3 ). Sia p | ab con a, b, p ∈ A e p irriducibile: ∃h ∈ A con ab = ph. Poiché possiamo supporre che a, b ∈ / A× ∪ {0}, p è uno dei fattori della scomposizione essenzialmente unica di ab in irriducibili, ovvero p | a o p | b. 2. Sia a := a0 ∈ A un elemento non nullo e non invertibile. Se a è irriducibile, abbiamo terminato. Supponiamo quindi che a non sia irriducibile: ∃a1 , b1 ∈ A \ (A× ∪ {0}) con a = a1 b1 . Nel caso in cui a1 non sia irriducibile possiamo scrivere a1 = a2 b2 con a2 , b2 ∈ A \ (A× ∪ {0}). Analogamente, ∀k ∈ N∗ , se ak−1 è irriducibile, poniamo ak := ak−1 , altrimenti scegliamo ak ∈ A tale che ak−1 = ak bk per qualche bk ∈ A \ (A× ∪ {0}). Ricaviamo quindi una catena ascendente ((ai ))i∈N , che deve, per ipotesi, essere stazionaria, ovvero ∃n ∈ N tale che an sia irriducibile. Poniamo ora p1 := an e scriviamo a = p1 c1 per qualche c1 ∈ A \ {0}. Notiamo che c1 non può essere invertibile perché a non è irriducibile. Pertanto, con lo stesso ragionamento appena compiuto, possiamo reperire un fattore irriducibile di c1 , che denoteremo con p2 , i.e. c1 = p2 c2 con 0 6= c2 ∈ A \ A× . A questo punto, ∀j ∈ N \ {0, 1}, se cj−1 è irriducibile, sia cj := cj−1 , altrimenti prendiamo 0 6= cj ∈ A \ A× tale che cj−1 = pj cj per qualche pj ∈ A irriducibile. Ancora una volta, la catena ascendente ((cj ))j∈N∗ deve stoppare e troviamo quindi un s ∈ N tale per cui cs := ps sia irriducibile. Concludiamo che a = p1 c1 = p1 p2 c2 = . . . = p1 p2 · · · ps con i pi irriducibili. Possiamo quindi dare la prossima importante Definizione 4.4.2. Un dominio A si dice fattoriale o a fattorizzazione unica se vale una delle seguenti condizioni equivalenti: • A soddisfa (A1 ) e (A2 ); • A verifica (A1 ) e (A3 ); • A soddisfa l’A.C.C per ideali principali e (A3 ). Se A è fattoriale si dice e si scrive brevemente che è un UFD.1 1 Unique Factorization Domain. 4.4. FATTORIALITÀ DI A[X]. IRRIDUCIBILITÀ IN A[X] E IN Frac(A)[X]. 57 Osservazione 4.4.4. Se A è un dominio fattoriale allora, comunque presi a, b ∈ A, esistono sempre MCD(a, b) e mcm(a, b). Infatti supponendo, per evitare banalità, che a, b ∈ A \ (A× ∪ {0}), possiamo sempre scrivere a = εpe11 · · · penn b = ξpf11 · · · pfnn , dove i pi sono tutti gli irriducibili che compaiono nelle fattorizzazioni sia di a che di b, ei , fi ≥ 0 e ε, ξ ∈ A sono invertibili. Se definiamo d := pg11 · · · pgnn , gi := min{ei , fi } ∀i ∈ n m := ph1 1 · · · phnn , hi := max{ei , fi } ∀i ∈ n e è chiaro che d = MCD(a, b) e m = mcm(a, b) (a meno di prodotti per elementi di A× ). A questo punto, se ∀n ≥ 2 e per {a1 , . . . , an } ⊆ A qualunque, diciamo che un massimo comun divisore tra gli ai è un m ∈ A tale che m | ai , ∀i ∈ n e se c ∈ A verifica c | ai ∀i ∈ n, allora c | m. È facile vedere che un tale MCD, se esiste, è unico a meno di moltiplicazioni per invertibili di A. Inoltre, se A è un UFD, esso esiste sempre e può essere preso ricorsivamente come MCD(a1 , . . . , an ) = MCD(MCD(a1 , . . . , an−1 ), an ). In maniera analoga si può definire e caratterizzare mcm(a1 , . . . , an ). Teorema 4.4.1. Ogni PID A è un UFD. Dimostrazione. poiché ogni PID è banalmente noetheriano, A soddisfa certamente l’A.C.C (per ideali principali). Sia ora p ∈ A irriducibile e supponiamo che p | ab ma p - a per a, b ∈ A \ (A× ∪ {0}). Essendo p irriducibile e A un PID, (p) è massimale2 . D’altra parte, p - a ⇐⇒ a ∈ / (p), ossia (p) ( (p, a) e, per massimalità di (p) ciò significa che (p, a) = (1). Pertanto ∃u, v ∈ A con up + va = 1 =⇒ upb + vab = b: nell’ipotesi in cui p | ab, abbiamo appena scritto che p | b, ovvero p è primo e A soddisfa (A3 ). Uno degli esempi fondamentali di dominio fattoriale è dato dalla proposizione seguente Proposizione 4.4.2. Se K è un campo, K[x] è un PID e quindi un UFD. Dimostrazione. Sia I ⊆ K[x] un ideale non nullo e sia g ∈ I tale da avere grado minimo tra i polinomi in I. Per ogni f ∈ I \ {0}, grazie all’algoritmo di Euclide, ∃q, r ∈ K[x] tali che f = qg + r con r = 0 o deg(r) < deg(g). Poiché r = f − qg ∈ I, dalla minimalità del grado di g concludiamo che r = 0, ossia I = (g). La proprietà di fattorialità di un dominio si conserva passando alle frazioni, ovvero più precisamente Proposizione 4.4.3. Sia A un UFD e sia S ⊆ A \ {0}. Allora S −1 A è un UFD. Dimostrazione. Poiché ogni campo è fattoriale, possiamo supporre che S 6= A \ {0}. Ci è sufficiente mostrare che ogni elemento ϕ(a) = a/1 non nullo e non invertibile di S −1 A ammette una fattorizzazione in primi. Siano dunque n, e1 , . . . , en ∈ N∗ e p1 , . . . , pn ∈ A primi tali 2 Sia p ∈ J con J ideale di A. Allora J = (d) per qualche d ∈ A e pertanto (p) ⊆ (d), ossia d | p. Dal momento che p è irriducibile, o d è associato a p e allora J = (p), oppure d è invertibile e quindi (d) = A. 58 CAPITOLO 4. ANELLI DI FRAZIONI E LOCALIZZAZIONE che a = pe11 · · · penn . Essendo ϕ : A −→ S −1 A un omomorfismo di anelli, possiamo certamente scrivere: p en p e1 pe1 · · · penn a n 1 ··· ∈ S −1 A. = 1 = 1 1 1 1 Ora, alcuni di questi fattori potrebbero essere invertibili in S −1 A: si tratta esattamente dei pi /1 per i quali (pi ) ∩ S 6= ∅. In questo caso infatti ∃σ ∈ S con σ = αpi per qualche α ∈ A e allora pi /1 è invertibile perché S −1 A = T −1 A se T := {t ∈ A : ∃a ∈ A con at ∈ S}. Tuttavia, poiché a/1 per ipotesi non è invertibile in S −1 A, ∃j ∈ n tale che (pj ) ∩ S = ∅, ossia pj /1 è primo in S −1 A grazie al corollario 4.2.1. D’ora in avanti assumeremo che A sia un UFD e denoteremo con K il campo delle frazioni di A. Se a/b ∈ K e s ∈ A \ {0} sappiamo che as/bs = a/b. Ne segue che ciascun elemento a ∈ K∗ si può scrivere come quoziente di elementi di A, senza fattori primi in comune, i.e. a = α/β con MCD(α, β) = 1: di qui in poi assumeremo sempre di essere in tale situazione, ogni volta che considereremo un elemento di K. Inoltre, se p ∈ A è un primo qualunque, la fattorialità di A ci assicura che sia sempre possibile scrivere a = pr b con r ∈ Z univocamente determinato da a e b = b1 /b2 ∈ K tale che p - b1 e p - b2 . Infatti se Qr Qs f a = α/β e scriviamo α, β come prodotto di irriducibili in A, α = i=1 pei i e β = j=1 qj j , allora per ogni p ∈ A primo: e1 ei−1 ei+1 p1 · · · pi−1 pi+1 · · · perr ei × ; • se ∃i ∈ r ed ∃ε ∈ A con p = εpi , allora r = ei e a = p εei β ! fj δ α • se ∃j ∈ s ed ∃δ ∈ A× tali che p = δqj , allora r = −fj e a = p−fj ; ej−1 ej+1 q1f1 · · · qj−1 qj+1 · · · qses • altrimenti, r = 0 e a = p0 a. Chiamiamo r ∈ Z l’ordine di a in p e lo denotiamo con ordp a. Se a = 0, per ogni p ∈ A primo, conveniamo che ordp 0 := −∞. Evidentemente, se a, c ∈ K e ac 6= 0 allora ordp ac = ordp a + ordp c. Pn Consideriamo a questo punto K[x] e siano f = i=1 ai xi ∈ K[x] e p ∈ A un primo qualsiasi. Se f = 0 poniamo ordp f = −∞; altrimenti, definiamo e denotiamo l’ordine di f in p come: ordp f := min{ordp ai : ai 6= 0, i = 0, . . . , n}. Osserviamo in particolare che (f 6= 0) ordp f > 0 ⇐⇒ a meno di invertibili in A, p compare nella fattorizzazione in irriducibili in A di tutti i numeratori dei coefficienti di f (e di nessun denumeratore). Invece ordp f < 0 ⇐⇒ p compare nella fattorizzazione in irriducibili in A di almeno uno tra i denominatori dei coefficienti di f , a meno di elementi di A× . Fissiamo ora un insieme Σ di rappresentanti delle classi di equivalenza di primi di A rispetto alla relazione in A d’essere associati: se ∼ indica tale relazione ∀[q] =: α ∈ A/ ∼ (inteso come insieme quoziente), con q ∈ A primo, ∃!p ∈ Σ tale che [p] = α.3 In particolare, ciascun elemento 0 6= a ∈ A non invertibile si scrive in modo unico (e finito) come prodotto di potenze di elementi di Σ. 3 Più formalmente Σ := {ch(α) : α ∈ A/ ∼}, dove ch : A/ ∼−→ S A/ ∼ è una funzione di scelta su A/ ∼. 4.4. FATTORIALITÀ DI A[X]. IRRIDUCIBILITÀ IN A[X] E IN Frac(A)[X]. 59 Pk Definizione 4.4.3. Sia 0 6= f = i=1 ai xi ∈ K[x] e sia G := {p ∈ Σ : p è primo e ordp f 6= 0}. Definiamo il content di f, cont(f ), ponendo: Y cont(f ) := pordp f , p∈G con la convenzione che se G = ∅, cont(f ) = 1. Pertanto, cont(f ) è ben definito solo a meno di moltiplicazioni per un elemento invertibile di A (che rende conto della scelta compiuta di Σ). Pk Notiamo che, se scriviamo 0 6= f = i=1 ndii xi ∈ K[x], allora, a meno di invertibili in A, cont(f ) = MCD(n0 , . . . , nk ) . mcm(d0 , . . . , dk ) In particolare, cont(f ) = 1 se e soltanto se di = 1 ∀i ∈ n∪{0} (ossia ni ∈ A) e MCD(n0 , . . . , nk ) = 1, di nuovo il tutto a meno di moltiplicazioni per elementi di A× . È chiaro d’altra parte che ∀b ∈ K∗ , cont(bf ) = b cont(f ). Ne segue che possiamo scrivere f = cont(f )f1 , Pk dove f1 ∈ A[x] ha content 1. Infatti, se cont(f ) = a/b, basta definire f1 := i=0 ri qi xi dove, per ogni i ∈ n ∪ {0}, ri ∈ A è tale che ni = ari , mentre qi ∈ A soddisfa b = qi di . È evidente che f = cont(f )f1 e cont(f1 ) = 1. Definizione 4.4.4. Un polinomio f ∈ A[x] è detto primitivo se cont(f ) = 1. Vale il risultato seguente Lemma 4.4.1 (di Gauss). Sia A un UFD e sia K il suo campo di frazioni. Se 0 6= f, g ∈ K[x] allora cont(f g) = cont(f ) cont(g). (4.5) Dimostrazione. A meno di scrivere f = cont(f )f1 e g = cont(g)g1 con f1 , g1 primitivi, osserviamo che basta mostrare l’asserto nell’ipotesi in cui f e g abbiano entrambi content 1. A tal fine è sufficiente provare che ∀p ∈ A primo, ordp (f g) = 0, ovvero che p non divide tutti i coefficienti di f g. Consideriamo a questo proposito l’omomorfismo quoziente PnA −→ A/(p) che si estende ad unPomomorfismo A[x] −→ A/(p)[x], il quale associa a f = i=0 ai xi ∈ A[x] il polinomio n f := i=0 [ai ]xi ∈ A/(p)[x]. Abbiamo perciò f g = f g e, nell’ipotesi di primitività di f e di g, f 6= 0 6= g. Poiché A/(p) è un dominio, f g 6= 0, come voluto. Corollario 4.4.1. Sia f ∈ A[x] avente una fattorizzazione f = gh in K[x]. Se poniamo cg := cont(g), ch := cont(h) e scriviamo g = cg g1 , h = ch h1 con g1 , h1 primitivi, allora f = cg ch g1 h1 e cg ch ∈ A. In particolare, se f, g ∈ A[x] hanno content 1 anche h gode della stessa proprietà. Dimostrazione. Ovvia conseguenza del lemma di Gauss. Possiamo finalmente enunciare e dimostrare il risultato (e motivo) principale di questa sezione Teorema 4.4.2. Sia A un UFD e sia K il suo campo di frazioni. Allora 60 CAPITOLO 4. ANELLI DI FRAZIONI E LOCALIZZAZIONE 1. l’anello di polinomi A[x] è un UFD; 2. i primi in A[x] sono i primi in A e i polinomi in A[x] che sono irriducibili in K[x]e hanno content 1. Dimostrazione. 1. Se a ∈ A ⊆ A[x], una fattorizzazione essenzialmente unica in irriducibili di a come elemento di A[x] è quella che a possiede in A: i primi in A sono banalmente primi anche in A[x]. Sia quindi 0 6= f ∈ A[x] non costante. Poiché K[x] è un UFD, ∃n ∈ N ed ∃q1 , . . . , qn ∈ K[x] irriducibili tali che f = q1 · · · qn . Scrivendo per ogni i ∈ n, qi = cont(qi )pi con pi irriducibile e primitivo (quindi in particolare pi ∈ A[x]), ricaviamo perciò f = c · p1 · · · pn , (4.6) Qn dove c := i=1 cont(qi ). Per il corollario precedente c ∈ A e quindi è scrivibile come prodotto di primi in A. D’altra parte, ciascun pi è irriducibile anche in A[x] perché se non lo fosse si potrebbe scrivere in A[x] come prodotto di fattori propri, pi = rs con 0 < deg(r), deg(s) < deg(f ), perché pi è a content 1. Pertanto, pi = rs sarebbe una fattorizzazione propria di pi anche in K[x] e ciò è assurdo, per irriducibilità di pi in K[x]. Perciò 4.6 fornisce una fattorizzazione in A[x] di f in irriducibili. Ora, se abbiamo un’altra fattorizzazione siffatta, diciamo f = d · · · r1 · · · rs (quindi d ∈ A e gli rj sono primitivi), allora poiché K[x] è UFD, n = s e a seguito di una permutazione dei fattori pi = ai ri con ai ∈ K ∀i ∈ n. Dal momento che sia i pi che gli ri sono primitivi, ricaviamo che gli ai sono in realtà elementi invertibili di A (A 3 cont(f ) = c = ca1 · · · as =⇒ 1 = a1 · · · as ) e concludiamo. 2. Sia p ∈ A[x] un primo. Se p = a0 ∈ A, allora necessariamente a0 è un primo in A. Invece, se p non è costante e, per assurdo, fosse riducibile in K[x], allora sarebbe possibile trovare una fattorizzazione propria di p in K[x] nella forma p = cont(f )p1 · · · pr con cont(f ) ∈ A e cont(pi ) = 1∀i ∈ r: poiché i pi sono primitivi, questa è anche una fattorizzazione propria di p in A[x], il che contraddice l’irriducibilità di p in A[x]. Perciò, p è irriducibile in K[x] e deve avere cont 1 perché possiamo sempre scrivere p = cont(p)q ∈ A[x] con q primitivo e allora cont(p) è invertibile in A (segue dall’irriducibilità di p), cioè è a content 1. Per concludere, ci basta mostrare che i primi in A e i polinomi irriducibili e primitivi in K[x] sono primi in A[x]. Abbiamo già detto che la prima parte dell’asserzione è verificata. Sia dunque p ∈ A[x] irriducibile e primitivo e supponiamo p | f g per f, g ∈ A[x]. Allora, in particolare, p | f g in K[x] e qui p è irriducibile, ossia primo e quindi p | f o p | g in K[x]. Assumendo WLOG che p | f in K[x], ∃qinK[x] per il quale f = pq: A 3 cont(f ) = cont(pq) = cont(q) =⇒ cont(q) ∈ A =⇒ q ∈ A[x], ovvero p divide f anche in A[x]. Corollario 4.4.2. Se A è fattoriale, anche A[x1 , . . . , xn ] lo è. Osserviamo che, in virtù del teorema precedente, quando lavoriamo con polinomi a coefficienti in un dominio fattoriale e primitivi, non è necessario specificare se questi polinomi siano irriducibili su A o sul campo delle frazioni K. Capitolo 5 Algebre Intere 5.1 A-algebre finite ed intere Definizione 5.1.1. Sia (B, ϕ) una A−algebra. Un elemento y ∈ B si dice intero su A se esiste un polinomio monico f (x) = xn + an−1 xn−1 + . . . + a0 ∈ A[x] tale che: f (y) = y n + an−1 y n−1 + . . . + a0 = 0. (5.1) def (Ricordiamo che ∀z ∈ B e ∀a ∈ A, az = ϕ(a)z). L’algebra B è detta intera su A se ogni y ∈ B è intero su A. Osservazione 5.1.1. Sottolineiamo che in 5.1 il polinomio f che viene valutato in y è richiesto essere esplicitamente monico: in generale, se y ∈ B è intero su A, allora Pèn anche algebrico su A, ma il viceversa non è chiaramente verificato, perché se y ∈ B è tale che i=0 ai y i (per opportuni a0 , . . . , an ∈ A) non è detto che sia possibile invertire in A il coefficiente direttore an e ricavare dunque una relazione di dipendenza polinomiale come in 5.1. Vediamo ora come si rapportano i concetti di A−algebra finita e intera. Proposizione 5.1.1. Sia (B, ϕ) una A−algebra e sia y ∈ B. Le seguenti affermazioni sono equivalenti: (i) y è intero su A; (ii) ϕ(A)[y] ⊆ B, il sottoanello di B generato da ϕ(A) e da y, è una sottoalgebra finita su A; (iii) esiste una A−sottoalgebra C ⊆ B tale che ϕ(A)[y] ⊆ C e C sia finita su A; (iv) esiste un ϕ(A)[y]−modulo fedele, M ⊆ B, che sia finitamente generato come ϕ(A)−modulo. Dimostrazione. • (i) =⇒ (ii). Precisiamo anzitutto che ) ( n X i ϕ(A)[y] = ai y : n ∈ N, ai ∈ A ∀i ∈ n . i=0 Se y ∈ B è intero su A, esso soddisfa 5.1 per appositi an−1 , . . . , a0 ∈ ϕ(A). Dunque ∀r ∈ N, y n+r = −(an−1 y n+r−1 + · · · + a0 y r ). Ne segue che tutte le potenze positive di y appartengono all’A-modulo generato dagli elementi 1, y, . . . , y n−1 , ovvero A[y] è generato, come A−modulo, da 1, y, . . . , y n−1 . 61 62 CAPITOLO 5. ALGEBRE INTERE • (ii) =⇒ (iii). Ovvio, basta prendere ϕ(A)[y] = C. • (iii) =⇒ (iv). Definiamo M := C, il quale è un ϕ(A)[y]−modulo fedele perché z ∈ C appartiene a Ann(M ) ⇐⇒ zc = 0 ∀c ∈ C ⇐⇒ z1 = 0 ⇐⇒ z = 0. • (iv) =⇒ (i). Per mostrare questa implicazione useremo la formula di Cramer. Essa afferma che, se K è un campo e (x1 , . . . , xm ) ∈ Km è una soluzione di un sistema lineare a coefficienti e termini noti in K: m X ∀i ∈ m, cij xj = di (5.2) j=1 allora ∀j ∈ m xj = det(Cj ) , det(C) (5.3) dove C = (cij )i,j∈m ∈ M(m×m, K) e Cj è la matrice m×m che si ottiene da C sostituendo la j−esima colonna di C con il vettore (d1 , . . . , dm ) ∈ Km . Se riscriviamo 5.3 come det(C)xj = det(Cj ), tale formula diventa vera in ogni anello R, indipendentemente dal fatto che det(C) ∈ R× . La dimostrazione di questo fatto si può compiere per induzione sulla dimensione m della matrice C ∈ M(m×m, R) dei coefficienti in 5.2, supponendo, chiaramente, che tale sistema sia risolubile. Il caso m = 1 è evidente. Se la tesi è vera per sistemi (m − 1) × (m − 1) con m ≥ 2, allora siano C la matrice dei coefficienti di 5.2 e (x1 , . . . , xm ) ∈ Rm una soluzione di tale sistema. Se denotiamo con C p,k la sottomatrice di C che si ottiene da questa cancellando la p-esima riga e la k-esima colonna, allora usando l’ipotesi induttiva otteniamo ∀j ∈ m: det(Cj ) = m X (−1)k−1 c1k det(Cj1,k ) = k=1 m X (−1)k−1 c1k det(C 1,k )xj = det(C)xj . k=1 Sia a questo punto M ⊆ B un A−modulo generato da elementi e1 , . . . , em in numero finito e tale da essere fedele come ϕ(A)[y]−modulo (abbiamo yM ⊆ M perché M è un ϕ(A)[y]−modulo). Allora per ogni i, j ∈ m esiste aij ∈ ϕ(A) con yei = m X aij ej , j=1 che si può riscrivere anche come X (y − aii )ei − aij ej = 0 ∀i ∈ m. j6=i Detta C la matrice dei coefficienti di tale sistema, essendo ovviamente (e1 , . . . , em ) lo risolve, la formula di Cramer ci dice che det(C)ei = 0 per ciascun i. Poiché M è fedele e gli ei generano M , ciò implica che det(C) = 0. Espandendo questo determinante, otteniamo un equazione y m + c1 y m−1 + . . . + cm = 0, ci ∈ ϕ(A). 5.1. A-ALGEBRE FINITE ED INTERE 63 Esercizio 1. Sia A un dominio di integrità e K il suo campo di frazioni. Sia L ⊇ K un campo, che sia estensione finita di K, i.e., sia un K-spazio vettoriale di dimensione finita. Sia OL la chiusura intera di A in L. Dimostrare che L è il campo di frazioni di OL e che esiste una base di L come K-spazio vettoriale formata da elementi di OL . Poi continua con i capitoli 4 e 5 del Miles Reid; questa parte del capitolo spiega in dettaglio la prima parte del capitolo 4 del Miles Reid. 64 CAPITOLO 5. ALGEBRE INTERE Capitolo 6 Decomposizione primaria Sia A 6= {0} un anello commutativo con unità 1. Se I, J sono ideali di A ponete I : J = {x ∈ A : xJ ⊆ I} (dove xJ = {xa : a ∈ I}). Verificate che I : J è un ideale e che I : J ⊇ I (qui si usa che I è un ideale). L’ultima inclusione a volte è stretta e a volte è un’uguglianza; ad esempio I : (0) = A per ogni I. Testatelo nel caso A = Z. Spesso se a ∈ A si scrive I : a invece di I : (a). Definizione 6.0.2. Un ideale I ( A si dice primario se ab ∈ I implica√che o a ∈ I oppure esiste un intero k > 0 tale che bk ∈ I (equivalentemente, o a ∈ I oppure b ∈ I). Notate che assumiamo che un ideale primario sia proprio: A non è primario. Ovviamente un ideale primo è primario. Come esercizio potete verificare che gli ideali primari di Z sono (0) e gli ideali (pk ) con p primo e k > 0, ma la verifica della parte “ solo se ” è semplificata dal seguente lemma. √ Lemma 6.0.1. Se I è primario, allora I è un ideale primo. √ √ Dimostrazione. Siano ab ∈ I e supponiamo che sia a ∈ / √I. Per definizione di radicale esiste un intero k > 0 con (ab)k ∈ I, cioè ak bk ∈ I. Poiché a ∈ / I, ak ∈ / I. Per √ definizione di ideale primario esiste un intero m > 0 con (bk )m ∈ I, cioè bkm ∈ I e quindi b ∈ I. √ √ Sia I primario. Per il lemma 6.0.1 I è un ideale primo; ovviamente I è univocamente √ determinato da I. Dato un primo P ⊂ A un ideale primario I si dice P -primario se I = P e P si dice il primo associato ad I. Esercizio 2. Sia A un PID. Gli ideali primari di A sono {0} e (se A non è un campo) gli ideali (pk ) con p primo e k un intero > 0. Si ha (pk ) = (q m ) se e solo se k = m e q è un primo equivalente a p, cioè esiste c invertible con q = cp. √ Esercizio√3. Sia I ( A un ideale primario. Sia ab ∈ I con a ∈ /I eb∈ / I. Dimostrare che a ∈ I e che b ∈ I. Quindi se P è un ideale primo, J è P -primario, ab ∈ J, a ∈ /J eb∈ / J, allora a ∈ P e b ∈ P . Trovare esempi in cui P 2 * J. Esercizio 4. Sia I un ideale proprio di A. I è primario se e solo se (0) è un ideale primario di A/I. Ovviamente gli ideali primi sono primari. Altri esempi si costruiscono usando questo lemma. √ Lemma 6.0.2. Sia I un ideale tale che m := I è massimale. Allora I è primario 65 66 CAPITOLO 6. DECOMPOSIZIONE PRIMARIA Dimostrazione. Sia B := A/I. Per l’esercizio 3 basta dimostrare che l’ideale (0) di B è primario. Siano ab = 0 (in B) con a 6= 0. Quindi b è un divisore di zero. Per ipotesi m/I è il radicale di (0) in B e quindi l’unico ideale massimale di B (verificatelo). Quindi gli elementi di B \ m/I sono invertibili. Quindi b ∈ m/I. √ Notate che se m è un ideale massimale di A e k è un intero > 0, allora mk = m √ e quindi possiamo applicare il lemma precedente all’ideale mk . Ma spesso ci sono altri esempi con I = m. Definizione 6.0.3. Sia I ( A un ideale proprio. I si dice riducibile se esistono ideali J, H ⊆ A con I = J ∩ H, J 6= I e H ∈ / I. I si dice irriducibile se non è riducibile. Esercizio 5. Sia I un ideale proprio di A. I è irriducibile se e solo se (0) è un ideale irriducibile di A/I. Lemma 6.0.3. Sia A noetheriano. Ogni ideale proprio di A è intersezione finita di ideali irriducibili. Dimostrazione. Supponete che il lemma sia falso e chiamate S l’insieme degli ideali propri di A che non sono intersezioni finite di ideali irriducibili. Poiché A è noetheriano e S 6= ∅, S ha un elemento massimale, I, per l’inclusione. Poiché I ∈ S e I = I, I non è irriducible. Quindi esistono ideali J, H con I = J ∩ H, J 6= I e H 6= I. poiché I = J ∩ H si ha J ⊇ I e H ⊇ I. poiché J 6= I, si ha H 6= A, cioè H è un ideale proprio. Nello stesso modo si verifica che J è un ideale proprio. Poiché I è un elemento massimale di S e J, H contengono propriamente I, J∈ /S eH∈ / S. Poiché J e H sono propri, esistono ideali irriducibili J1 , . . . , Jk , H1 , . . . , Hs con J = J1 ∩ · · · ∩ Jk e H = H1 ∩ · · · Hs . Quindi I = J1 ∩ · · · ∩ Jk ∩ H1 ∩ · · · ∩ Hs è intersezione finita di ideali irriducibili, assurdo (poiché I ∈ S). Teorema 6.0.1. Sia A noetheriano. 1. Ogni ideale irriducibile è primario. 2. Ogni ideale proprio è intersezione finita di ideali primari. Dimostrazione. Prendiamo un ideale I irriducibile. Poniamo B := A/I. B è noetheriano. Per l’esercizio 4 basta dimostrare che 0 è un ideale primario di B. Perpl’esercizio 5 (0) è un ideale irriducibile di B. Prendiamo a, b ∈ B con a 6= 0, b 6= 0 e b ∈ / (0). Per mostrare che (0) è primario in B basta vedere che a è nilpotente. Scriviamo la notazione H : K tra ideali di B per cui per ogni x ∈ B si ha (0) : x = {y ∈ B : yx = 0}. Per ogni intero k ≥ 0 ponete Jk = (0) : ak . Notate che Jk ⊆ Jk+1 per ogni intero k > 0. Troviamo una catena ascendente di ideali J1 ⊆ J2 ⊆ · · · e la noetherianità di B implica l’esistenza di un intero m > 0 con Jx = Jm per ogni x > m. Anzitutto verifichiamo che (am ) ∩ (b) = (0). Sia c ∈ (am ) ∩ (b); poiché c ∈ (am ) esiste x ∈ B con c = xam poiché c ∈ (b) esiste y ∈ B con c = yb. Si ha ac = yab = 0 e quindi xam+1 = 0, i.e. x ∈ Jm+1 . poiché Jm = Jm+1 , si ha xam = 0 e quindi c = 0, concludendo la dimostrazione che (am ) ∩ (b) = (0). Per ipotesi (b) 6= (0) e l’irriducibilità di (0) implica (am ) = (0), i.e. am = 0, concludendo la dimostrazione di (1). L’affermazione (2) segue dall’affermazione (1) e dal lemma 6.0.3. Il teorema 6.0.1 non è il teorema della decomposizione primaria per ideali di un anello noetheriano, perchè cerchiamo una decomposizione imparentata, ma differente come intersezione finita di ideali primari non-necessariamente irriducibili, ma ciascuno associato ad un primo distinto. Definizione 6.0.4. Sia I un ideale proprio di A. Si dice che I = I1 ∩· · ·∩Ik è una decomposizione primaria di I se ogni Ij è primario. Si dice minimale se 67 1. gli ideali primi p Ij , j = 1, . . . , k, sono tutti distinti; 2. per ogni j = 1, . . . , k se omettiamo Ij nell’intersezione otteniamo un ideale strettamente contenente I. Lemma 6.0.4. Siano P un ideale primo di A e I, J ideali P -primari di A. Allora I ∩ J è P -primario. √ √ √ Dimostrazione. Si ha I ∩ J ⊆ I ∩ J = P ∩ P = P . Mostriamo ora l’altra inclusione. Sia x ∈ P . Per ipotesi esistono interi k > 0 e√t > 0 con xk ∈ I e xs ∈ J. Quindi xt ∈ I ∩ J, con / P . Poiché ab ∈ I t := max{k, s}. Abbiamo dimostrato che I ∩ J = P . Sia ab ∈ I ∩ J con b ∈ (resp. ab ∈ J) si ha a ∈ I (resp. a ∈ J) e quindi a ∈ I ∩ J. Osservazione 6.0.2. Notate che il Lemma 6.0.4 si estende per induzione alle intersezioni finite di ideali P -primari. Usate il lemma 6.0.4 per dimostrare che se un ideale proprio ha una decomposizione primaria, allora ha una decomposizione primaria minimale. Come corollario del Teorema 6.0.1 e della Osservazione 6.0.2 si ha il seguente risultato. Teorema 6.0.2. Ogni ideale proprio I di un anello noetheriano A ha una decomposizione primaria minimale. Dimostrazione. Sia I = I1 ∩ · · · ∩ Ik con Ij irriducibile (Lemma 6.0.3). Ogni Ij è primario (Teorema 6.0.1) e quindi I = I1 ∩· · ·∩Ik è una decomposizione primaria di I. Usate l’osservazione 6.0.2. Sia A noetheriano. Ci si chiede in che senso una decomposizione primaria minimale di un ideale proprio è unica o meglio, che cosa è intrinseco ad I. Enuncio senza dimostrazione il teorema generale e poi, se ho tempo, dimostro a lezione alcuni √ √ dei punti. Se I = I1 ∩ · · · ∩ Ik è una decomposizione primaria minimale, i primi I1 , . . . , Ik si dicono i primi associati di I. Per definizione di decomposizione minimale sono k primi distinti, ma√ci possono √ essere inclusioni tra loro (vedi Osservazione 6.0.3). Gli elementi minimali tra i primi I1 , . . . , Ik si dicono primi minimali, mentre gli altri p si dicono immersi o embedded. Ij si dice componente minimale (resp. componente immersa) se Ij è un primo minimale. Non dimostro il seguente teorema ([1, Theorem 4.5 and Corollary 4.11]). Teorema 6.0.3. Sia A un anello noetheriano, I ( A un ideale proprio. Siano I1 ∩ · · · ∩ Ik e J1 ∩ · · · ∩ Js due decomposizioni primarie minimali di I. √ √ √ √ (a) s = k e le gli insiemi di ideali primi { I1 , . . . , Ik } e { J1 , . . . , Jk } √ con k elementi √ sono uguali; inoltre i primi { I1 , . . . , Ik } sono esattamente gli ideali primi che appiano negli p ideali (I : x), x ∈ / I. (b) Le componenti minimali di I1 ∩ · · · ∩ Ik e di J1 ∩ · · · ∩ Js sono le stesse. Esercizio 6. Sia I un ideale proprio dell’anello √ √ noetheriano √ A e I = I1 ∩ · · · ∩ Ik una decomposizione primaria di I. Verificate che I = I ∩ · · · ∩ Ik è una decomposizione primaria di 1 √ I e che la si rende minimale prendendo solo i primi associati minimali di I. In particolare in un anello noetheriano ogni ideale radicale proprio ha decomposizione primaria minimale unica ed in essa compaiono solo ideali primi. Osservazione 6.0.3. Ogni libro sull’argomento contiene semplici esempi con componenti immerse non uniche. La cosa sorprendente è che quando c’è una componente immersa, la decomposizione non è mai unica ed anzi ce ne sono sempre infinite. [1, Esercizio 1 del Capitolo 8] afferma questo: Sia I un ideale proprio di A con una decomposizione primaria con un primo immerso P . Ci sono infinite decomposizioni primarie di I in cui le componenti P -primarie sono tutte distinte. 68 CAPITOLO 6. DECOMPOSIZIONE PRIMARIA Esercizio 7. Verificate che per ogni x ∈ A, √ ogni insieme S ⊂ A e ogni ideali I, J √ moltiplicativo √ di A abbiamo (I ∩ J : x) = (I : x) ∩ (J : x), I ∩ J = I ∩ J e S −1 (I ∩ J) = S −1 I ∩ S −1 J. √ Lemma 6.0.5. Sia I un ideale primario e J := I l’ideale primo corrispondente. 1. Se x ∈ I si ha (I : x) = A. 2. Se x ∈ / J si ha (I : x) = I. 3. Se x ∈ / I, allora (I : x) è un ideale J-primario e in particolare p (I : x) = J. Dimostrazione. Parte 1) vale per un ideale I arbitrario, poiché 1 ∈ (I : x). Parte 2) segue dalla definizione di ideale J-primario. / I. La definizione di ideale primario implica p p Assumiamo ora x ∈ p (I : x) ⊆ J. Poiché si ha (I : x) ⊇ J e quindi (I : x) = J. Se ab ∈ (I : x) e a ∈ / (I : x) si ha abx ∈ I e ax ∈ / I e quindi bk ∈ I per qualche k > 0 e quindi bk ∈ (I : x). Quindi (I : x) è J-primario. Proposizione 6.0.2. Sia I un ideale che ammetta una decomposizione primaria minimale I = I1 ∩ · · · ∩ Ik (ad esempio assumete che A sia noetheriano). Allora p ∪ki=1 Ii = {x ∈ A | (I : x) 6= I}. Prendendo I = (0) si ottiene in particolare che se A è noetheriano, allora l’insieme D dei divisori di zero di A (compreso 0) è l’unione dei primi associati all’ideale (0). Dimostrazione. Prendendo A/I invece di I ci si riduce al caso I = (0) con (0) √ = I1 ∩· · ·∩Ik . Solo qui chiamiamo per ogni insieme U ⊆ A (non necessariamente un ideale) U = {x ∈ A | esiste √ √ p k > 0 with xk ∈ U }. Si ha sempre U ⊆ U . Verificate che D = D = ∪x∈A\{0} (0 : x) = p ∪x∈A\{0} (0 : x). Se guardate la parte (a) della dimostrazione del Teorema 6.0.3 che trovate p √ √ k più in basso ottenete che per ogni x ∈ A \ {0} si ha (0 : x) = ∩x∈I / h Ih e quindi D ⊆ ∪i=1 Ii . Inoltre la stessa parte (a) del p Teorema 6.0.3 (che non usa il Lemma 6.0.2) dice che √ ogni primo associato di (0) è della forma (0 : x) per qualche x ∈ A \ {0} e quindi D ⊇ ∪ki=1 Ii . Notate che in Proposizione 6.0.2 dovete prendere tutti i primi associati, non solo i primi minimali associati. / S −1 A l’omomorfimo Esercizio 8. Sia S ⊂ A un insieme moltiplicativamente chiuso e j : A −1 −1 di localizzazione. Verificate che per ogni ideale I ⊆ A si ha j (S I) = ∪s∈S (I : s). Verificate che se H ⊂ S −1 A è un ideale primario, allora j −1 (H) è primario. Proposizione un insieme moltiplicativamente chiuso, I un ideale primario. √ 6.0.3. Sia S ⊂ A / S −1 A l’omorfismo di localizzazione. Ponete J := I. Sia j : A 1. Se S ∩ J 6= ∅, allora S −1 I = S −1 A; 2. Se S ∩ J = ∅, allora S −1 I è primario e j −1 (S −1 I) = I. Dimostrazione. Sia s ∈ S ∩ J. Quindi esiste k > 0 con sk ∈ I. S moltiplicativo implica sk ∈ S. Quindi 1 = sk /sk ∈ S −1 A provando (1). √ Assumiamo ora S∩J = ∅. Sappiamo che S −1 (J) è un ideale primo di S −1 A e poiché S −1 I = S −1 J, verificate facilmente (esercizio 8) che S −1 (I) è primario. Prendete a ∈ j −1 (S −1 I), i.e. assumete a/1 ∈ S −1 I, i.e. esiste s ∈ S con sa ∈ I. Poiché s ∈ / J e I è primario, si ha a ∈ I. 69 Dimostrazione la parte (a). Fissiamo x ∈ / I. Per l’eserp 6.0.3: (a) Dimostriamo p pdel Teorema (I : x) = (I : x) ∩ · · · ∩ (I : x). Un ideale primo è irriducibile e quindi se cizio 7 si ha 1 p p k (I : x) è un ideale primo, è delle √ forma√ (Ij : x) per qualche j. Per dimostrare la parte (a) basta provare che tutti gli ideali I1 , .√ . . , Ik sono di questa forma (allo stesso modo si vedrebbe √ J1 , . . . , J√s } e quindi che lo sono tutti gli √ ideali { √ √ per definizioni di decomposizione primaria minimale s = k e { I1 , . . . , Ik } = { J1 , . . . , Jk }). Fissiamo j ∈ {1, . . . , k} e prendiamo x ∈ ∩h6=j Ih con x ∈ / J (esiste Per il Lemma 6.0.5 si ha p poiché lapdecomposizione è minimale). √ (Ih : x) = A se h 6= j e (Ij : x) = Ij e (esercizio 7) e : commutano con l’intersezione finita. (b) Dimostriamo la parte (b). Poiché abbiamo completamente dimostrato la parte (a), possiamo usare che k = s, che i primi associati √ di√I non dipendono dalla decomposizione primaria Ii = Ji per ogni i. Permutando gli indici possiamo minimale di A che abbiamo scelto e che √ assumere che Hi := Ii , 1 ≤ i ≤ h, siano i primi minimali associati di I. Fissiamo i ∈ {1, . . . , h} e poniamo S = A \ Hi . Poiché Hi è primo, S è un insieme moltiplicativo. Poiché Hi è un primo minimale, si ha Hj ∩ S 6= ∅ per ogni j 6= i. Poiché la localizzazione di ideali commuta con l’intersezione finita (Esercizio 7) S −1 (I1 ∩ · · · ∩ Ik ) = S −1 (I) = S −1 (J1 ∩ · · · ∩ Jk ) implica S −1 (I1 ) ∩ · · · ∩ S −1 (Ih ) = S −1 (J1 ) ∩ · · · ∩ S −1 (Jh ) (per parte (a) di Proposizione 6.0.3) e poi parte (b) di Proposizione 6.0.3 implica Ii = Ji . Sia M un A-modulo. C’ è una definizione di decomposizione primaria anche per i sottomoduli di M , con unicità simile al Teorema 6.0.3 e con esistenza dimostrata facilmente per moduli finitamente generati di un anello noetheriano; su [1] trovate la definizione (e dato come esercizio l’unicità) in [1, Ex. 4.20, 4.21, 4.22, 4.23]; l’esistenza di decomposizione primaria per moduli finitamente generati su anello noetheriano lo trovate nell’ultimo rigo di [1, Ex. 7.19]. Il Miles Reid fa direttamente la decomposizione primaria dei moduli (Capitolo 7); lo stesso fa D. Eisenbud, Commutative Algebra with a View toward Algebraic Geometry, Capitolo 3. 70 CAPITOLO 6. DECOMPOSIZIONE PRIMARIA Capitolo 7 DVR In alcuni libri elementari di crittografia o di teoria dei codici trovate appendici matematiche con definizioni di gruppo e di DVR. Sarebbe assurdo almeno non introdurre la definizione di DVR (che è anche importante in Teoria dei Numeri). /Z Definizione 7.0.5. Sia K un campo. Una valutazione discreta su K è una mappa v : K\{0} tale che v(ab) = v(a) + v(b) per ogni a, b ∈ K \ {0}, v(a + b) ≥ min{v(a), v(b)} se a 6= 0, b 6= 0 e a + b 6= 0, e v(K \ {0}) 6= {0}. Im(v) è un sottogruppo non nullo di Z e quindi esiste k > 0 con Im(v) = (k). La valutazione discreta si dice normalizzata se v è surgettiva, i.e. k = 1. Prendere v k invece di v permette di considerare solo le valutazioni normalizzate, senza perdere nulla. Si pone anche v(0) = ∞ in cui ∞ è +∞, i.e. ∞ è maggiore di tutti gli elementi di Z. Notate che se a 6= 0 e b 6= 0 v(a/b) = v(a) − v(b) e in particolare v(1) = 0. / Z una valutazione normalizzata. Sia t ∈ K \ {0} tale che v(t) = 1. Ponete Sia v : K \ {0} R := {0} ∪ v −1 (N) e m := {0} ∪ v −1 (N \ {0}). Lemma 7.0.6. R è un anello (contenuto in K e quindi un dominio), v −1 (0) è l’insieme degli elementi invertibili di R e K è il campo delle frazioni di R. R è un PID e per ogni ideale I ( A con I 6= (0) c’è un unico intero k con I = (tk ). Dimostrazione. Tutto è facile e lasciato per esercizio, eccetto l’ultima affermazione. Sia a ∈ I\{0} con v(a) minimo e poniamo k := v(a). Si ha v(a/tk ) = 0 = v(tk /a) e quindi a/tk è invertibile in R e quindi (a) = (tk ). Si vede allo stesso modo che se b ∈ A e v(b) > k, allora b ∈ (tk ). Quindi I ⊆ (tk ). Poiché a ∈ I, si ha I ⊇ (a) = (tk ), i.e. I = (tk ). R si dice l’anello della valutazione discreta. Gli anelli R come nel lemma si chiamano DVR (Discrete Valuation Rings). Il prossimo lemma mostra come invertire la costruzione, cioé partendo da un anello MOLTO particolare ottenere una valutazione discreta. Lemma 7.0.7. Sia R un dominio di integrità che sia un anello locale con ideale massimale principale, R noetheriano, e R non un campo. Sia K il campo delle frazioni di R e R× l’insieme degli elementi invertibili di R. Sia t un generatore dell’ideale massimale m di R. Allora per ogni x ∈ K \ {0} esistono unici c ∈ R× e k ∈ Z con x = ctk . Ponendo v(x) = k si ottiene una valutazione discreta normalizzata v di K con R = {0} ∪ v −1 (N). Dimostrazione. R non un campo equivale a t 6= 0. Anzitutto verifichiamo che ∩k∈N (tk ) = {0}. Assumiamo non lo sia e che ci sia y ∈ ∩k∈N (tk ) con y 6= 0. Per ogni k ≥ 0, si ha y/tk ∈ A. La 71 72 CAPITOLO 7. DVR famiglia di ideali (y/tk ) è crescente e deve essere stazionaria per la noetherianità di A. Quindi esiste z > 0 e c ∈ A con y/tz+1 = c/tz . Siamo all’interno di K \ {0} e quindi c = t−1 e quindi t ∈ R× , contraddicendo l’assunzione che t sia nel massimale di R. Prendiamo ora x ∈ A. Abbiamo visto che l’insieme degli interi z ≥ 0 con x/tz ∈ A ha un massimo e lo chiamo z. Si ha x/tz ∈ R× perchè R× = R \ (t). Possiamo prendere k = z e c = x/tz . Se x ∈ K \ A, allora × x−1 ∈ m e se x−1 = c1 tz basta prendere c = c−1 1 e k = z. Se x ∈ K \ {0} ed esistono c, c1 ∈ R z m z−m −1 e z, m ∈ Z con x = ct = c1 t si ha t = c1 c e quindi z = m; ne segue che c = c1 . Mettendo insieme i due lemmi si vede che si può sostituire noetherianità con l’assunzione a priori molto più forte PID. Esempio 7.0.1. Come esempio di DVR prendete un PID A non campo (ad esempio Z o K[x]) e l’anello locale S −1 A con S = A \ (p), p 6= 0 e p primo. Capitolo 8 Complementi ai capitoli 4 e 5 del Miles Reid Sia K un campo qualunque. La topologia di Zariski non richiede che K sia algebricamente chiuso. Per ogni insieme S ⊆ K n si definisce I(S) ideale di K[x1 , . . . , xn ] e per ogni ideale I ⊆ K[x1 , . . . , xn ] con V (I(S)) = S (e in particolare V (I(S)) = S se S è chiuso per la topologia di Zariski. Sul Miles Reid si definisce la definizione di chiuso irriducibile. Ogni chiuso V di K n è unione finita di chiusi irriducibili Vi , V = V1 ∪ · · · Vs e le Vi sono unici a meno di permutazione degli indici se si aggiunge che Vi ( Vj per ogni i 6= j. Lemma 8.0.8. Un chiuso V ⊆ K n è irriducibile se e solo se I(V ) è primo. Dimostrazione. Sia I(V ) non primo e prendiamo f, g ∈ K[x1 , . . . , xn ] con f ∈ / I(V ), g ∈ / I(V ) e f g ∈ I(V ). Sia V1 = V (I ∪ {f }) e V2 = V (I ∪ {g}). Per ipotesi V1 * V , V2 * V . Verifichiamo che V1 ∪ V2 = V . Assumiamo che esista x ∈ V \ (V1 ∪ V2 ). Per definizione di V1 (resp. V2 ) ha f (x) 6= 0 (resp. g(x) 6= 0). Poiché f g ∈ I(V ) abbiamo (f g)(x) = 0, assurdo. Viceversa, sia V = V1 ∪ V2 con V1 , V2 chiusi, V1 * V e V2 * V . Per definizione di chiuso di Zariski abbiamo I(V ) * I(V1 ) e I(V ) * I(V2 ). Prendete f ∈ I(V1 )\I(V ) e g ∈ I(V2 )\I(V ). Abbiamo f g ∈ I(V ), perché f g si annulla in tutti i punti di V1 ∪ V2 . 73 74 CAPITOLO 8. COMPLEMENTI AI CAPITOLI 4 E 5 DEL MILES REID Bibliografia [1] M. Atiyah and I. Macdonald, Introduction to commutative algebra, Addison & Wesley, Reading MA, 1969. 75