Corso di Laurea in Urbanistica Laboratorio di Urbanistica prof. D. Passarelli 1° Modulo Il processo di costruzione del piano: la sostenibilità delle scelte e le tecniche di attuazione (testo Politichedisviluppoepianificazioneterritoriale,Bevilacqua2001Gamgemi) Il piano nasce dall’esigenza di introdurre regole distributive, secondo una logica organizzativa, tra usi competitivi del suolo, per un efficiente funzionamento del sistema urbano/territoriale. L’attività di pianificazione è quindi rivolta all’individuazione di queste regole, secondo criteri di efficacia politica ed efficienza organizzativa. Il riduzionismo che deriva dall’uso del termine regole è funzionale alla necessità di trovare espressioni che siano di facile lettura, pur nella complessità concettuale ed operativa che informa l’attività di pianificazione. Parlare di regole significa parlare di un processo di formulazione ed attuazione di politiche “quali veicoli di cambiamento” [Healey, 1989] relative al contesto specifico in cui tale processo viene attivato. La pianificazione urbanistica, che implica l’introduzione della componente spazio/territorio in aggiunta alle considerazioni sociali, politiche ed economiche prese in prestito dalle altre forme di pianificazione, [Ratcliffe - Stubbs, 1996] ha il compito di strutturare il rapporto “tra caratteristiche del contesto e caratteristiche del processo [politico]” [Healey, 1989]. Recenti dibattiti negli Stati Uniti hanno evidenziato, in primo luogo, che i processi politici non sono necessariamente chiusi in sé, e, secondariamente, quali processi o quale combinazione di processi sia la più appropriata in una data situazione, dipende dalle condizioni del contesto. (Hudson, 1979 ; Gallaway, 1979 ; Christensen, 1985). [Healey, 1989]. 1° Modulo Il processo di costruzione del piano: la sostenibilità delle scelte e le tecniche di attuazione (testo Politichedisviluppoepianificazioneterritoriale,Bevilacqua2001Gamgemi) I processi di policy di cui parla Healey e che informano la costruzione del piano, rispecchiano la concezione dominante, o se vogliamo, ideologica, del rapporto tra Stato e regolazione sociale (sviluppo di programmi statali e distribuzione del potere) e il “modo con cui le preoccupazioni di tipo economico vengono trasformate, tramite l’ideologia, in forma di coscienza tramite le quali i singoli e i gruppi identificano sia ciò che vogliono che i propri potenziali. Si presta più attenzione alle possibilità di trasformazione del conflitto, sia che si tratti di quello tra capitale e lavoro in campo produttivo, che di quello sulla qualità del contesto abitativo, o sulla qualità della vita in generale.” [Healey, 1989]. In una struttura capitalista lo Stato può intervenire con proprie regole decisionali senza però annichilire il processo complessivo di accumulazione. Le regole decisionali si muovono nell’intorno di due grandi insiemi di modalità, quello tecnico, o meglio della razionalità tecnica e quello del consenso. Il richiamo all’uno o all’altra modalità decisionale non è mai completamente foriero di successi, essendo il campo minato da una pluralità di interessi spesso contraddittori tra loro. L’apparente conflittualità tra l’attività di pianificazione e il funzionamento del mercato, che lasciato libero risolverebbe, secondo alcuni, le conflittualità esistenti, si dissolverebbe nella possibilità di escogitare soluzioni di adeguatezza funzionale, attraverso il continuo confronto di interessi differenti che porta ad utilizzare regole decisionali differenti a seconda della situazione. [Forester, 1985]. Cosa è il mercato Nell’accezione tradizionale dell’economia, il mercato è uno strumento che simula il comportamento del singolo homo aeconomicus, o di più individui organizzati secondo regole sociali e comunitarie in sistemi urbano/territoriali. Quando si analizza il comportamento del singolo (sia esso consumatore, imprenditore, ecc.) si parla di microeconomia ; l’analisi, invece, del comportamento economico di entità territoriali (in termini di crescita e sviluppo) attiene alla macroeconomia. L’elemento di unione di queste due branche dell’economia è il mercato. Domanda Offerta Surplus P1 P P2 Q2 Q Q1 Quantità Cosa è il mercato Attraverso il mercato la microeconomia spiega perché, ad esempio, il consumatore prenda particolari decisioni per quanto riguarda l’acquisto di beni e servizi e come queste decisioni possano influenzare l’andamento dei prezzi. Ed ancora, come dall’interazione di imprese/offerta e di consumatori/domanda nasca il mercato di un prodotto. Lo studio delle interazioni dei singoli operatori (produttori, consumatori) consente di individuare come i singoli mercati funzionano, in che cosa differiscono l’uno dall’altro, come si influenzano a vicenda e come possono essere influenzati dalle politiche pubbliche o dalle condizioni “globali” dell’economia. La Macroeconomia utilizza il mercato nella sua forma aggregata di beni e servizi, per la descrizione e l’analisi dell’economia di una nazione, di una regione, ecc. Variabili macroeconomiche sono pertanto il PIL (prodotto interno lordo), l’occupazione e l’inflazione. Domanda Offerta Surplus P1 P P2 Q2 Q Q1 Quantità la condizione di equilibrio del mercato Il funzionamento del mercato si basa sull’analisi della domanda e dell’offerta. Senza l’intervento dello stato, o comunque di un’azione pubblica che agisca in conformità ad un sistema di obiettivi/bisogni della collettività , l’offerta e la domanda formalizzate come due curve in uno spazio bidimensionale che simula il mercato, determinano sia il prezzo, sia la quantità di un bene attraverso una condizione di equilibrio, che rispetta entrambi i criteri: di massimizzazione del profitto (per l’impresa) e di massimizzazione dell’utilità (per il consumatore). Ad ogni punto appartenente alla curva della domanda corrisponde una combinazione di prezzo e quantità, che massimizza l’utilità del consumatore, così come ogni punto della curva dell’offerta rappresenta una combinazione di prezzo e quantità che massimizza il profitto per l’impresa. L’unica combinazione che rispetta entrambi i criteri è il punto di incontro delle due curve : In questo punto non ci sono perdite, né da una parte, né dall’altra. Quando si raggiunge questo equilibrio si dice che il mercato funziona, nel senso che si è raggiunta una efficiente allocazione delle risorse, non ci sono “fallimenti” del mercato. Il meccanismo di mercato è, appunto, la tendenza del prezzo a cambiare fino a quando non raggiunge la condizione di equilibrio, in cui non c’è né sovrapproduzione (surplus), né sottoproduzione (shortage). Cosa è il mercato Quando il prezzo è maggiore di P diminuiscono i consumatori disposti a pagare un prezzo maggiore per acquistare il bene, pertanto diminuisce la quantità Q realmente acquistata. Di contro ad un prezzo maggiore aumenta la quantità Q prodotta per la legge dell’offerta. In questo caso c’è una sovrapproduzione (surplus). Nel caso opposto, invece, si ha sottoproduzione (shortage). Il comportamento del consumatore è simulato dalla curva della domanda che esprime una relazione inversa tra prezzo e quantità : il consumatore è invogliato a comprare di più quando il prezzo è più basso. Questo atteggiamento è anche espressione di un beneficio atteso, nel senso che il beneficio che il consumatore ne ricava è almeno equiparato al prezzo che lui/lei è disposto/a a pagare per comprare quel bene. Il comportamento del produttore è giusto l’opposto di quello del consumatore : più è alto il prezzo, più il produttore è disposto ad offrire una quantità maggiore del bene. La curva dell’offerta rappresenta la curva del costo marginale dell’impresa Domanda Offerta Surplus P1 P P2 Q2 Q Q1 Quantità la condizione di efficienza economica Il concetto di efficienza economica è legato alla condizione di equilibrio tra la domanda/benefici e l’offerta/costi e, da tale concetto, derivano le teorie dell’ottimo paretiano e del benessere economico. L’ottimo paretiano è sostanzialmente un criterio che aiuta a definire il concetto di benessere economico - alla base dell’economia del benessere. La metodologia di analisi della condizione di benessere della collettività si basa, dunque, sul concetto del Pareto improvement : ogni intervento pubblico o privato accresce il benessere collettivo nel momento in cui migliora la condizione di un individuo/gruppo senza peggiorare quella di un altro individuo/gruppo. Pertanto ogni intervento pubblico o privato, di interesse collettivo, dovrebbe agire secondo l’ottica paretiana, ovvero perseguendo l’obiettivo di raggiungere la condizione dell’ottimo in cui il benessere è equamente distribuito e non è possibile individuare situazioni di benessere alternative, senza danneggiare qualcun altro. Nella pratica, l’azione politica è informata al criterio dell’ottimo paretiano potenziale. L’intervento pubblico produce benefici sociali tali da compensare le perdite che inevitabilmente si vengono a determinare. Il criterio in questo caso è la massimizzazione dei benefici, i benefici sociali devono superare i costi sociali. La differenza con il criterio dell’ottimo paretiano risiede nella presenza dei costi sociali, l’ottimo paretiano è una condizione che presuppone la completa assenza di costi sociali, l’ottimo potenziale (definito anche come la condizione del second best nel linguaggio dell’analisi costi benefici) ne prevede l’esistenza, anche se bilanciati positivamente dai benefici. . la condizione di efficienza economica L’intervento dello Stato, o comunque di una entità pubblica che tutela gli interessi della collettività, è orientato a garantire il benessere sociale quando è minato da azioni dei singoli. L’azione privata, esplicitata nella produzione di beni e servizi, può innescare meccanismi di inefficienza nell’allocazione delle risorse, nel senso che si creano dei costi sociali per l’uso non regolato di risorse pubbliche per le quali non esiste un costo diretto relazionato all’uso. In questo caso si parla di esternalità negative In generale, si ha una esternalità quando l’attività di produzione o di consumo di un agente economico influenza l’attività di produzione (il livello di profitto) o di consumo (il livello di utilità) di altri agenti economici, senza che questo effetto venga in qualche modo compensato o valutato da un sistema di prezzi. Gli effetti esterni potranno essere positivi, nel caso si verifichi un aumento nei livelli di profitto o di utilità da parte degli individui interessati, oppure negativi nel caso contrario. I problemi di inquinamento generano esternalità negative. Le forze di mercato non sono in grado da sole di provvedere ad una allocazione socialmente efficiente dei beni ambientali. In assenza di una precisa attribuzione dei diritti di proprietà, soprattutto nel caso dei beni pubblici, non è infatti possibile disciplinare l’uso delle risorse ambientali attraverso l’operare di un sistema di prezzi. . la condizione di efficienza economica In un’economia di mercato a regime capitalistico, il benessere è massimizzato solo nelle condizioni di concorrenza perfetta: Efficienza economica. Tale situazione comporta: a) gran numero di imprese in ogni settore (non esiste monopolio); b) ogni impresa fornisce un prodotto omogeneo all’interno del settore; c) l’impresa massimizza il proprio profitto ed il consumatore agisce razionalmente perché entrambi hanno piena informazione sugli eventi futuri; d) non ci sono esternalità. Queste condizioni non sono realizzabili in nessun sistema economico, sia esso capitalista o socialista per cui le argomentazioni dell’economia del benessere non sono applicabili alla realtà concreta dei sistemi economici. Nonostante tutto, la definizione delle condizioni necessarie per il raggiungimento dell’ottimo paretiano è utile perché rappresenta un punto di riferimento rispetto al quale valutare l’intervento pubblico, quanto il benessere sociale è salvaguardato è a spese di chi. Nella pratica molti governi possono scegliere di ignorare queste indicazioni in quanto costose, o perché incerti i benefici derivanti. . In cosa consistono le esternalità Una volta comunque che la scelta pubblica è quella di intervenire, ci sono due ragioni che la spiegano: 1) ragioni di equità (distribuzione del benessere welfare) in termini di distribuzione del reddito e misure che riguardano la protezione del consumatore; 2) ragioni di efficienza, intervenire per eliminare le esternalità. In cosa consistono le esternalità L’attività di pianificazione, nella sua accezione di politica pubblica, interviene nel libero mercato per “aggiustare” le eventuali distorsioni che si verificano a danno della collettività. Il piano, come formalizzazione e coordinamento delle politiche di settore, vive storicamente il rapporto con il mercato in maniera conflittuale, a seconda della predisposizione del pensiero dominante ad accettare o meno un controllo dello Stato. Questo ruolo dello Stato ha però cambiato istanze, man mano che l’attività di pianificazione ha mostrato una propria identità nell’ambito delle scienze sociali ed economiche, evolvendosi dalla forma di mero controllo e regolazione dall’alto, alla forma comunicativa del coordinamento di esigenze locali. La flessibilità del piano tanto auspicata sembra risolversi nell’approccio partecipativo e ambientale, che richiamano un’impostazione sistemica e dinamica, in contrapposizione con il freddo e statico zoning, ancora baluardo di molte amministrazioni. Piano e mercato del lavoro L’occupazione è generalmente un obiettivo di politica economica che indirettamente viene traslato nella formulazione del piano urbanistico, secondo le priorità poste dal contesto. L’organizzazione delle attività produttive insieme all’impostazione strutturale che si vuole dare al territorio crea nuove opportunità di lavoro, definisce nuovi standard formativi, agisce, in altre parole, sulla domanda e l’offerta di lavoro. Il mercato del lavoro, senza controllo dello stato, in regime di laissez faire, funziona nella ricerca dell’equilibrio tra domanda ed offerta ad un determinato costo del lavoro, corrispondente al salario. La flessibilità del costo del lavoro, quindi, garantisce il funzionamento del mercato con un’efficiente allocazione delle risorse. In questa condizione non si verifica, secondo la teoria classica economica, disoccupazione. Nel caso in cui lo Stato interviene fissando un tetto minimo al di sotto del quale non è possibile andare, l’offerta di lavoro aumenta L2, mentre si contrae la domanda. Le imprese assumono di meno a causa dell’aumento del costo del lavoro. In questa condizione si crea disoccupazione. La politica del salario minimo, in ogni modo, non è mai isolata, nel senso che è accompagnata da altre politiche economiche di incentivi alle imprese per impedire la creazione di disoccupazione. Piano e mercato del lavoro Il funzionamento del mercato del lavoro è dettato da alcune peculiarità derivanti dal fatto che in questo tipo di mercato “chi vende non cede pienamente a chi compra il controllo sull’uso della merce venduta, sicché la relazione sociale tra le parti non finisce con lo scambio, ma prosegue nel processo produttivo ... Il mercato del lavoro può essere considerato una duplice arena, una in cui si scambia forza lavoro ed una in cui la forza lavoro è trasformata in lavoro.» .... Mercato individualistico, contrattazione collettiva ovvero scambio organizzato, stato e comunità sono, infatti, le istituzioni che regolano ed organizzano le relazioni tra i soggetti presenti sul mercato del lavoro.” Reyneri nel suo saggio individua tre modalità di regolazione del mercato del lavoro : Mercato libero dove il rapporto tra la domanda e l’offerta è governato da leggi concorrenziali ed individualistiche. L’intervento pubblico è comunque presente, “perché è ormai ben noto che anche l’istituzione del libero mercato si afferma e sopravvive grazie a norme legislative ed a decisioni politiche.”[Reyneri, 1987]. Le politiche pubbliche sono piuttosto indirizzate ad avvantaggiare le condizioni della domanda in modo da rispondere indirettamente alle esigenze dell’offerta. La pianificazione territoriale nella sua attività di rispondenza ad un sistema di politiche è predisposta ad attuare un processo di trasformazione del territorio come espressione di una cultura collettiva. E come tale instaura meccanismi di produzione di attività, di opportunità, di sviluppo. Il planner nel delicato momento di formulazione delle politiche ha il compito di “contestualizzare” le scelte. La creazione di posti di lavoro è strettamente connessa con le opportunità localizzative, a loro volta relazionate alla vocazione del luogo. Le politiche di sviluppo del Mezzogiorno hanno fallito nel tentativo di uniformare le scelte localizzative ad un unico grande contesto, il Mezzogiorno. Scrive a tal proposito Bagnasco : L’emergenza di aree locali di piccola impresa porta alla luce diversi mezzogiorni. Esistono regioni che procedono più speditamente (secondo certi indicatori) dell’Italia nel suo complesso - Abruzzo, Puglia, Molise, Basilicata - e altre meno - Sicilia, Campania, Calabria, Sardegna. Le differenze si ripropongono per province e aree interne a queste. A seguito di ciò torna insistente al domanda se si debba continuare a mantenere una visione unitaria della questione meridionale. Piano e mercato del lavoro Il processo di industrializzazione nel Mezzogiorno è stato sponsorizzato da una politica di incentivi “sugli investimenti e non in rapporto al numero di addetti : denaro a basso prezzo o a fondo perduto, prima di tutto, e poi incentivi fiscali e territoriali, sostegno pubblico alla formazione, sviluppo di infrastrutture”. La cultura dell’emergenza ha poi reso il piano sempre meno rispondente agli obiettivi di sviluppo ed occupazione. Il processo di trasformazione strutturale che il piano avrebbe in un certo senso garantito è stato settorializzato in obiettivi di breve periodo che garantivano una immediata apparente soluzione dei problemi del Mezzogiorno, lasciando perennemente irrisolti le questioni caratterizzanti il sottosviluppo. Il mercato del lavoro del Mezzogiorno si è così arricchito di una forma “sommersa” in cui sembra funzionare in regime liberistico. Nella considerazione del mercato del lavoro come duplice arena, il piano interviene nella fase della trasformazione della forza lavoro in lavoro. Questo aspetto viene enfatizzato dalle strategie localizzative in cui il mercato del lavoro agisce come input per la definizione della scelta imprenditoriale. “.... la domanda è : Dove sarebbe opportuno localizzare l’impianto in relazione alla dispersione nello spazio delle diverse risorse necessarie, dei mercati, della manodopera e dell’indotto ?” In questo contesto il mercato del lavoro assume la connotazione di una delle cause che originano le economie di urbanizzazione. Le capacità di trasformazione del mercato del lavoro da parte del piano verso meccanismi più stabili si attua nella direzionalità dello sviluppo che si intende perseguire. La città ha specifici mercati di riferimento con un più o meno esteso bacino di provenienza che necessita strutture adeguate per alimentarlo. Piano e mercato del lavoro La concezione, quindi, della pianificazione come un’attività che ostacola lo sviluppo economico determinando disoccupazione e recessione è messa mirabilmente in discussione da Engle, Navarro e Carson (1992), i quali affermano che la questione principale del mercato del lavoro non riguarda la previsione dell’impatto delle politiche territoriali sul tasso di disoccupazione, ma piuttosto l’analisi della distribuzione geografica del lavoro all’interno delle città e regioni e l’andamento dei salari. Natura del vantaggio di impresa Natura delle fonti di economie di urbanizz. Riduzione dei costi di produzione Settore pubblico : Presenza di beni pubblici • Economie di scala nei • servizi pubblici Settore privato output: Dimensione del mercato urbano Possibili nicchie di specializzazione Settore privato input: Mercato del lavoro urbano Accesso a funzioni superiori Accesso a funzioni specializzate Presenza di capacità manageriali Informazioni e contratti Riduzione dei costi di transazione Aumento di efficienza dei fattori produttivi • • • • • • • • Valorizzazio ne della produzione Economie dinamiche (riduzione di incertezza) • • • • • • • • • • • • • • • • Il piano e il mercato dei suoli Da un punto di vista “tecnico”, la terra è un fattore naturale di produzione la cui offerta non può essere influenzata dal prezzo. Nel senso che la quantità offerta non può aumentare in risposta ad un aumento dei prezzi o decrescere nel caso inverso. La curva dell’offerta nel mercato dei suoli è perfettamente anelastica, il prezzo è determinato solo dalla domanda. La terra, oltre al suolo propriamente inteso include altri fattori “naturali” di produzione, quali l’acqua, il sole, ecc. Questa peculiarità ha reso il concetto di proprietà, connesso al bene terra, di incerta definizione, o perlomeno ambiguo nella estrinsecazione del diritto di proprietà nella determinazione degli espropri di pubblica utilità messi in atto dalle politiche del piano. Un problema essenziale, anche ai fini della soluzione di delicate ed attuali questioni relative alla disciplina urbanistica, è quello dell’esistenza o meno nella Costituzione italiana di un principio di garanzia della proprietà privata. ... Allo stato attuale i principi accolti in via del tutto prevalente confermano il cosiddetto carattere misto della Costituzione repubblicana in materia di rapporti economici, nel senso che il nostro ordinamento non è né di tipo liberista, né collettivista. L’uso del suolo associa alla terra una rendita in quanto genera un domanda. L’interazione tra la domanda e l’offerta determina il mercato dei suoli in cui l’offerta è fissa e la domanda varia secondo le scelte localizzative, già definite o in fieri. Il piano e il mercato dei suoli La rendita appare strettamente associata alle decisioni localizzative delle imprese e delle famiglie, e dunque come elemento tutto interno ai fenomeni che costituiscono lo spazio economico : vantaggi di agglomerazione, domanda di accessibilità, necessità di interazione con tutte le attività localizzate. La rendita del suolo urbano, in questi processi, costituisce la oggettivazione in termini economici e di prezzo, e la assegnazione ad ogni specifico sito, del valore che i singoli attori economici attribuiscono implicitamente o esplicitamente ad ogni “situazione” territoriale nei loro processi di definizione delle scelte localizzative. [Camagni, 1993] Il concetto di localizzazione relativa aiuta a comprendere la dinamica dell’uso del suolo che risulta condizionato dalle preesistenti attività, dai modelli di mobilità spaziale presenti nel sistema di cui fa parte, dall’innovazione tecnologica. I modelli di trasformazione territoriale sono teoricamente riconducibili a tre categorie : Il piano e il mercato dei suoli La teoria dell’ecologia urbana. Nasce a Chicago negli anni ’20. L’apparato teorico sviluppato dagli autori come Burgess, Mc Kenzie, Park, riguarda il tentativo di analizzare il processo attraverso il quale l’equilibrio naturale e quello sociale sono raggiunti e mantenuti e come, una volta disturbati, riescono a “transitare” da un ordine relativamente stabile ad un altro. Da questa impostazione generale nascono i modelli di Burgess - modello delle zone concentriche Hoyt - modello “settoriale” Harris e Ullman - modello dei nuclei multipli. Nel mercato, l’offerta e la domanda possono essere rappresentate da curve più o meno elastiche. L’elasticità della domanda e dell’offerta implica una variazione più che proporzionale della quantità ad un cambiamento del prezzo, nel caso contrario si parla di curva anelastica. Nel caso della domanda un aumento del prezzo determina una contrazione della quantità, nell’offerta la logica è esattamente l’opposta. : 1. Il piano e il mercato dei suoli 2. La teoria neoclassica dell’uso del suolo. Si sviluppa intorno agli anni sessanta utilizzando l’apparato teorico della moderna microeconomia. Alla base c’è il concetto dell’uso del suolo funzione dei valori economici ascrivibili alla terra. L’impostazione economica riprende il pensiero di due grandi economisti, David Ricardo e von Thunen (1829). Il concetto di rendita ricardiana è legato al concetto di rendita residuale. La terra, insieme al capitale e al lavoro è un fattore di produzione. La differenza sostanziale con gli altri due fattori di produzione è l’elasticità dell’offerta. Il capitale e il lavoro hanno la curva dell’offerta elastica il loro costo è condizionato da tassi competitivi [Blair, 1991]. La terra ha la curva dell’offerta anelastica pertanto riceve una remunerazione al di là dei suoi costi di produzione [Camagni, 1993]. Più precisamente la remunerazione della terra come fattore di produzione è una rendita economica in quanto il fattore terra verrà offerto indipendentemente dal prezzo che si paga [Pindyck Rubinfeld, 1995]. La localizzazione del terreno, inoltre, definisce diverse rendite. Secondo Ricardo la fertilità e la prossimità ai mercati sono fattori determinati la rendita. La terra più produttiva riceve il valore più alto della rendita perché ad essa sono associati i valori residuali più alti. L’analisi di Ricardo è stata originariamente utilizzata per lo studio dell’uso agricolo dei suoli, ma trova applicazione anche nello studio dell’uso del suolo urbano. L’analisi di von Thunen si spinge oltre o studio della singola rendita, sviluppando un modello di uso del suolo in un sistema socio territoriale. : 1 2 1 = Centro direzionale 2 = Area industriale 3 4 3 = Zona residenziale 4 = Zona agricola Distanza Il piano e il mercato dei suoli La teoria strutturalista o di impostazione marxista. Si basa sul concetto di rendita di monopolio, “allorché alcune porzioni di territorio possono produrre un vantaggio assolutamente specifico, fatto oggetto di una domanda speciale : si pensi alla domanda di localizzazioni di prestigio, o militarmente strategiche.”[Camagni, 1993]. Il concetto di rendita è, quindi, collegato allo sviluppo della città. La sua genesi economica, esplicitata da una domanda e da un offerta, ovvero da un mercato, sottintende una duplice natura. Una “fisiologica ed ineliminabile, dipende dall’ubicazione del bene rispetto alla città, ne misura cioè la sua centralità” l’altra politica, ovvero legata allo sviluppo della tipologia urbana, nasce a causa di “una generale scarsità aggregata alla terra, urbana o rurale, in riferimento ad una domanda aggregata “di città” o “di campagna” [Camagni, 1993]. La prima viene chiamata rendita posizionale (o differenziale), la seconda rendita assoluta. Il concetto di rendita posizionale urbana è basato sulla capacità economica di un luogo di produrre un plusvalore dovuto alla sua posizione rispetto ai mercati “urbani”[Camagni, 1993]. Prima del piano, o indipendentemente dal piano, la rendita posizionale costituisce la parte più cospicua del valore economico dei suoli urbani in quanto ne misura l’edificabilità o la loro capacità oggettiva ad essere trasformati in immobili il cui valore aumenta nel tempo, contemporaneamente alla rarefazione delle aree centrali inedificate. [Ferraioli, 1997] Il piano e il mercato dei suoli 3. La teoria strutturalista o di impostazione marxista. Si basa sul concetto di rendita di monopolio, “allorché alcune porzioni di territorio possono produrre un vantaggio assolutamente specifico, fatto oggetto di una domanda speciale : si pensi alla domanda di localizzazioni di prestigio, o militarmente strategiche.”[Camagni, 1993]. Il concetto di rendita è, quindi, collegato allo sviluppo della città. La sua genesi economica, esplicitata da una domanda e da un offerta, ovvero da un mercato, sottintende una duplice natura. Una “fisiologica ed ineliminabile, dipende dall’ubicazione del bene rispetto alla città, ne misura cioè la sua centralità” l’altra politica, ovvero legata allo sviluppo della tipologia urbana, nasce a causa di “una generale scarsità aggregata alla terra, urbana o rurale, in riferimento ad una domanda aggregata “di città” o “di campagna” [Camagni, 1993]. La prima viene chiamata rendita posizionale (o differenziale), la seconda rendita assoluta. Il concetto di rendita posizionale urbana è basato sulla capacità economica di un luogo di produrre un plusvalore dovuto alla sua posizione rispetto ai mercati “urbani”[Camagni, 1993]. Prima del piano, o indipendentemente dal piano, la rendita posizionale costituisce la parte più cospicua del valore economico dei suoli urbani in quanto ne misura l’edificabilità o la loro capacità oggettiva ad essere trasformati in immobili il cui valore aumenta nel tempo, contemporaneamente alla rarefazione delle aree centrali inedificate. [Ferraioli, 1997] Il piano e il mercato dei suoli Il piano determina la natura assoluta della rendita che combinandosi con quella posizionale definisce l’effettivo valore economico e quindi la rendita ad esso associato. La definizione di rendita assoluta comporta, quindi, la produzione di un plusvalore che, contrariamente a quello che naturalmente si viene a determinare per le qualità intrinseche del luogo, è legato al “modo d’uso, ... La rendita assoluta conseguente al mercato non è tuttavia connessa all’azione del proprietario. .... per tale ragione la rendita va ricondotta al pubblico, o attraverso la tassazione, o attraverso la regolamentazione dell’attuazione, o infine attraverso l’acquisizione al patrimonio pubblico del bene.” Domanda di suoli Piano Rendita posizionale Rendita assoluta Valore