Quaderno madre lingua imp 1-10-2003 16:51 Pagina 77 Cantando in Italiano Lucio Dalla Giovanni Lindo Ferretti Frankie Hi NRG MODERA: Ranieri Polese Quaderno madre lingua imp 29-08-2003 14:37 Pagina 78 Quaderno madre lingua imp 29-08-2003 14:37 Pagina 79 Ranieri Polese Questa sera abbiamo come ospiti tre personaggi, tre esperienze che hanno molto a che fare con il tema degli incontri che si sono svolti in questo teatro, vale a dire l’uso della lingua come mezzo espressivo, lingua, in questo caso, non solo scritta, ma addirittura cantata. Comincerei da Lucio Dalla, anche perché è quello che rispetto agli altri ha esordito prima, e inizierei sottolineando un elemento. È inutile starvi a presentare Lucio Dalla, che conoscete tutti benissimo; però l’ultima cosa sua da menzionare - che tra l’altro ci avvicina molto al tema dei nostri incontri - è la pubblicazione di un libro, Bella Lavita, per i tipi di Rizzoli, che raccoglie dei racconti che sono dello stesso numero dell’album Luna Matana e sono la versione, se si potesse dire, extended played, una variante, insomma, delle canzoni del suo album. Un uso della lingua, quindi, secondo un doppio registro, quello breve, necessariamente legato a un tempo stretto, imposto dalla canzone, e quello invece della prosa. Così, in generale, vorrei che Lucio Dalla ci parlasse, alla luce delle canzoni che tutti quanto conosciamo e ricordiamo, di cosa vuol dire scrivere il testo di una canzone. Lucio Dalla Innanzitutto non è sempre la stessa cosa. Scrivere il testo di una canSCRIVERE IL TESTO DI UNA CANZONE zone non è come mettere NON È COME METTERE IN MOTO UNA MACCHINA , in moto una macchina, NON ESISTE NÉ GIRO DELLA CHIAVE PER ACCENDERE non esiste né giro della NÉ METODOLOGIA chiave per accendere né L. Dalla metodologia, a meno che uno non si affidi a un forma di ricostruzione del passato - non solo del suo passato, ma di quello collettivo - soprattutto per quanto riguarda l’aspetto passionale collettivo, se così si potesse dire. Le passioni collettive sono, secondo il mio punto di vista, sempre di due tipi: o si tratta di epos, che quindi coinvolge anche l’ideologia, la passione per un senso comune dell’esistenza e della vita e della lotta per l’esistenza, quello che l’esistenza rappresenta per chi la vive. L’altro immaginario collettivo, assolutamente forte e vitale, di cui bisogna sempre tenere conto quando si vuole comunicare, è la retorica, retorica intesa in senso buono, quella che ti fa comunque riflettere. Noi intendiamo la re- 79 Quaderno madre lingua imp 80 29-08-2003 14:37 Pagina 80 torica sempre in senso negativo, parliamo del retore come di un trombone, non è detto che sia sempre così, esistono dei momenti di grande umanità nella retorica stessa, a livello di comunicazione diretta fra uomo e uomo, e addirittura fra leader e popolo. Il discorso di Antonio con Giulio Cesare è carico di retorica, di poesia e di abilità, non solo a livello poetico ma concettuale, è progettato in maniera assolutamente inattaccabile. Quando bisogna scrivere un testo, la cosa che mi ha sempre colpito è il fatto che prima non ne sapevo niente: in qualche modo fin qui arrivava una sorta di metodologia, di trucco per raggiungere la disabilitazione, la decodificazione del momento prima. In questo modo, eliminavo qualsiasi tipo di riflessione, creavo la condizione che potesse indurre il discorso che stava per nascere - parlo di parole e di testo - in un qualcosa di precedentemente progettato. Questo aveva la funzione in primo luogo di ‘pulirmi’, perché volevo essere canna al vento, volevo essere quello che in qualche modo risuonasse del vento che lo passava, oppure un pino, un cipresso del cimitero che di notte ha intorno il vento e la luna e di giorno ci girano intorno gli uccelli. Volevo e pretendevo di cambiare davvero ora VOLEVO E PRETENDEVO DI CAMBIARE DAVVERO ORA per ora e minuto per minuPER ORA E MINUTO PER MINUTO, IN UNA TOTALE to, in una totale rinuncia alRINUNCIA ALLA COERENZA O AL MOMENTO la coerenza o al momento PRECEDENTE, AL MOMENTO IN CUI MI ERO ACCESO precedente, al momento in L. Dalla cui mi ero acceso. Io scrissi Caruso non so neanche perché: se scrissi Caruso, fu perché mi si ruppe la barca fra Sorrento e Capri e alcuni amici che erano proprietari dell’albergo in cui Caruso morì mi ospitarono per tre giorni. Allora, sentii raccontare questa storia che era veramente accaduta, di Caruso morente che si era innamorato della ragazzina cui dava lezioni di canto. Non cantava da anni; arrivato il momento della sua morte, come spesso accade ai malati terminali, ebbe uno straordinario recupero, gli tornò completamente la voce: fece portare il pianoforte nella piccola terrazza che è sopra il porto di Sorrento e cantò con una potenza che era la sua vecchia potenza, per la quale diventò famoso. Cantò così forte che nel piccolo porto fu sentito dai pescatori di lampare, che tornarono per sentirlo cantare. Si creò in lui questa sorta di ipnosi magica o di autosuggestione, che era poi il senso della sua imminente morte, una dilatazione del tempo, una difficoltà di mettere a fuoco oppure una possibilità di an- Quaderno madre lingua imp 29-08-2003 14:37 Pagina 81 dare oltre la focalizzazione, che gli diede l’energia per cantare l’ultima volta. Questo stato, secondo me così difficilmente ricreabile, è, consapevolmente o inconsapevolmente, la camera chimica che cattura colui che sta per cominciare a scrivere il testo. Quando ho scritto L’anno che verrà, che di tutte le mie canzoni è quella più misteriosamente politica, ho sperimentato forse con più vivezza l’ambiguità della scrittura. Sono convinto che il testo di una canzone debba essere ambiguo, per lasciare qualcosa nella mente di chi ascolta, per farlo diventare fruitore involontario. Io non credo nelle canzoni contro la guerra, mi fanno orrore, anche perché mi farebbe talmente orrore una canzone a favore della guerra, che non c’è bisogno di dichiarare il contrario. Non credo serva una grande intelligenza per schierarsi dall’altra parte, non credo ai girotondi e alle prese di posizione. Questa sensazione di cambiamento è un vento stellare, quello che precede le rivoluzioni. Questo vento, dunque, sente il fatto che sta per accadere e determina la vera combustione, il primo stadio del razzo. D’altronde, mi rendo anche conto che esiste una mutazione tale nella nostra società, nel nostro ESISTE UNA MUTAZIONE TALE NELLA NOSTRA SOCIETÀ, modo di vedere, di parlaNEL NOSTRO MODO DI VEDERE, DI PARLARE, re, di ascoltare, di credeDI ASCOLTARE, DI CREDERE, DI AMARE, CHE MI re, di amare, che mi semSEMBREREBBE PRETENZIOSO PER UN INDIVIDUO brerebbe pretenzioso per CERCARE DI ESSERE SEMPRE FEDELE A SE STESSO un individuo cercare di esL. Dalla sere sempre fedele a se stesso. Io non dico di rinunciare ai propri principî, dico soltanto sforzarsi di capire quelli che devono ascoltare, al fine di rendere in qualche modo più complicato il senso della comunicazione. In ogni modo, non c’è dubbio che la scrittura e la parola stanno perdendo consistenza per quella che è l’utilizzazione che la società ne sta facendo. La scrittura sta ritornando ideogrammatica per via dell’uso dei computer, della telematica, con la correlata semplicità e soprattutto velocità di trasmissione di informazioni. L’elemento dominante di tutto è il tempo, che è l’unica cosa per cui la capitalizzazione e l’economia si stanno muovendo; non so se ci avete fatto caso, ma oggi tutti i sistemi di valutazione sono in funzione del tempo, non più del denaro, è già finita l’epoca del “tempo è denaro”: il tempo è il tempo, il denaro è denaro, il tempo è più importante del denaro. Questo discorso potrebbe far sembrare che è dal- 81 Quaderno madre lingua imp 82 29-08-2003 14:37 Pagina 82 l’utilizzazione del tempo che scaturisce il denaro, ma è molto di più di questo. La scrittura sta ridiventando ideogrammatica, bisogna ritornare, se si vuole comunicare, alla funzione protettiva della parola in quanto tale e anche al suo aspetto non ambiguo. Bisogna rinunciare anche e soprattutto al fatto di dire: centinaia, migliaia di persone mi ascoltano, devono usare qualcosa pensato da me. Ciò non si può più fare. Perché non è più lo stesso cuore di prima, non è più così individuabile, non è più così compatto: il nostro IL NOSTRO CUORE SI È UN PO’ SFALDATO, cuore si è un po’ sfaldato, sfilacciaSFILACCIATO, È ANCORA LÌ, BATTE, to, è ancora lì, batte, ma batte per MA BATTE PER DELLE RAGIONI MISTERIOSE, delle ragioni misteriose, che non CHE NON SAPPIAMO PIÙ GESTIRE sappiamo più gestire, come non l. Dalla sappiamo più gestire né il consenso e né, ed è il caso nostro, l’ipotesi della domanda che viene dal cuore della gente, e quindi anche la nostra offerta. Io credo, da parte mia, che la cosa più importante sia ascoltare tutto quello che avviene fuori e prenderne non consapevolezza, ma conoscenza, che è una fase, dal mio punto di vista, successiva e molto più importante. Mi piace fare le cose che non so fare, mi piace affrontare i temi che non ho mai affrontato, mi piace rinunciare soprattutto alla figura, alla quale non ho mai aspirato, del cantautore e abdicare al circolo dei poeti. Non credo che esista nessuna forma di poesia nella canzone che abbia a che fare con la poesia vera, ma so per esperienza, perché l’ho incontrata, che esiste una dignità nel linguaggio della canzone che non è subalterna a nessuna forma poetica, quando è giusta l’operazione. Polese Dalla ci ha riportato con i suoi ricordi alla metà degli anni ’70, a L’anno che verrà. In quella data non esisteva ancora il gruppo di Giovanni Lindo Ferretti, che, con la sua configurazione, sarebbe nato negli anni ’80 con un nome che è assolutamente programmatico e provocatorio. Il primo gruppo si chiamava CCCP-Fedeli alla linea e i primi album che uscirono si chiamavano Ortodossia I e Ortodossia II, ed era già un modo di dire: “Ragazzi, fate attenzione, qui sta succedendo qualcosa”. Erano già evidenti le crepe e le incrinature del socialismo reale, che loro testimoniavano abbondantemente, e dall’altra parte c’era questo richiamo piuttosto ambiguo al desiderio di un’ortodossia, di qualcosa di permanente che stesse al di qua o al di là delle crisi. Nel primo album, per esempio, c’era una Quaderno madre lingua imp 29-08-2003 14:37 Pagina 83 canzone dal titolo Live in Pankow, che a un certo punto dice: «Voglio rifugiarmi all’ombra del patto di Varsavia, voglio un piano quinquennale, la stabilità»; questo messaggio, che sembrava di politica in qualche modo retrò, ma che sapeva anche di provocazione, ebbe subito un grosso successo. Il gruppo è durato con quella denominazione una decina di anni; negli anni Novanta, dopo una serie di altre esperienze con gruppi italiani, cambia etichetta, si chiamerà C.S.I, Consorzio Suonatori Indipendenti. Ora, la formazione si presenta sotto una ulteriore denominazione, P.G.R., Per Grazia Ricevuta, che è anche il titolo dell’album appena uscito. La domanda che vorrei rivolgere a Giovanni Lindo riguarda l’uso della canzone in questa assoluta ambiguità della parola, per cui si veicolano parole d’ordine e slogan e al tempo stesso si mettono in crisi le stesse parole d’ordine e gli stessi slogan, e l’impatto che loro osservavano nel pubblico, derivante dall’uso di queste parole d’ordine e di questi slogan. Giovanni Lindo Ferretti Innanzitutto, io vorrei dirvi che sono profondamente innamorato della lingua italiana e delle parole che costituiscono la lingua italiana. In realtà mi affascinano IN REALTÀ MI AFFASCINANO GLI ANIMALI, LE ANIME, gli animali, le anime, e E DUNQUE GLI ESSERI UMANI, SONO PROFONDAMENTE dunque gli esseri umaCOMPENETRATO DAL PAESAGGIO FISICO E STORICO ni, sono profondamenDEL MONDO, MA SONO IN ASSOLUTO LE PAROLE te compenetrato dal CHE MI HANNO INNAMORATO paesaggio fisico e storico G. L. Ferretti del mondo, ma sono in assoluto le parole che mi hanno innamorato, come dico abbastanza spesso. Io non sono un cantante, al contrario di Lucio Dalla e Frankie Hi NRG: campo da trent’anni facendo il cantante, quindi prima o poi dovrò accettare che questo è anche per me un mestiere, ma a tutt’oggi continuo a vergognarmi di ciò e quindi non ho mai permesso a nessun vecchio nel piccolo borgo dove io sono nato e continuo ad abitare, di parlare con me del mio essere cantante. È una cosa che non riguarda la mia vita privata: quando io torno a casa, ero e sono un montanaro. Sono arrivato a essere cantante per una serie di casualità che ben poco hanno a spartire con la musica. Mi piacciono, come dicevo, le parole della lingua italiana. Mi piace ricordare che in tutte le mitologie della creazione, quello che fa poi la differenza sostanziale fra gli animali e gli esseri umani è il fatto che in ogni 83 Quaderno madre lingua imp 84 29-08-2003 14:37 Pagina 84 modo agli uomini Dio concede sempre, dopo aver creato il cielo e la terra, il buio e la luce, l’acqua e la terra, i nomi delle cose, e gli uomini devono impararli, oppure Dio dà all’uomo la facoltà di nominare le cose. Questo fa una grande differenza. Io vivo quasi in simbiosi con tre cani e tre cavalli. Trovo che, a parte un cane che è molto stupido e una cavalla che è abbastanza vecchia, due cani e due cavalli siano molto più intelligenti di me, perché vivono in un mondo che è il mondo per cui istintivamente sono nati e per cui sanno rapportarsi rispetto al cambio delle stagioni, rispetto al fatto che arriva un temporale, oppure rispetto ai pericoli che possono verificarsi in montagna, con un’intelligenza che io a quarant’otto anni non sono ancora in grado di espletare quotidianamente. È che loro non sanno dire le parole, non sanno parlare, sono fermi lì. Io invece conosco le parole, le amo, le so rapportare tra di loro e il mio mondo CONOSCO LE PAROLE, LE AMO, LE SO RAPPORTARE cambia continuamente, si TRA DI LORO E IL MIO MONDO CAMBIA allarga e si restringe seconCONTINUAMENTE, SI ALLARGA E SI RESTRINGE do le parole che sono in SECONDO LE PAROLE CHE SONO IN GRADO DI USARE grado di usare. Io mi sono G. L. Ferretti ritrovato - per tornare alla domanda, altrimenti mi perdo, il piacere delle parole consiste anche in questo, nel fatto che io a volte comincio un discorso e poi mi perdo, in realtà seguo il piacere delle parole, per cui dimentico di tornare all’origine della questione - dunque dicevo, io mi sono ritrovato a Berlino, casualmente, facevo l’operatore psichiatrico, lo sa chi conosce la mia storia. Anche il fatto che facessi l’operatore psichiatrico non è indifferente, perché sono stati i miei matti che mi hanno permesso poi di salire su un palco a fare il cantante punk, per eccellenza, credo, in Italia. Mi sono licenziato, mi sono ritrovato a Berlino, in una situazione per me estremamente accattivante, estremamente moderna, come si può immaginare nella Berlino tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80. C’è un altro elemento che spiega perché i CCCP-Fedeli alla linea, poi C.S.I. e così via. Io sono nato a Reggio Emilia, anzi al confine tra la provincia di Reggio Emilia, di La Spezia e di Massa Carrara. Come continuo a ribadire a tutt’oggi, anche se con sempre meno convinzione e con sempre meno valore, io sono di sinistra non per ideologia, ma geneticamente, nel senso che quello è il mondo che mi è comparso di fronte agli occhi. È come dire, “Io sono montanaro”. Non è che io disprezzi il Quaderno madre lingua imp 29-08-2003 14:37 Pagina 85 mare, assolutamente, ma mi annoia, non ci so stare, perché sono nato in montagna e ho bisogno di guardare un orizzonte delimitato da sagome di monti. Allo stesso modo, io sono geneticamente di sinistra; quando abbiamo deciso di chiamarci CCCP-Fedeli alla linea, era per ribadire che noi non sapevamo quello che sarebbe successo, ma noi saremmo stati, in quello che sarebbe successo, esattamente per quello che eravamo, quindi era inutile chiamarci U.S.A.-Voglia di New York o Los Angeles Live: noi siamo di Reggio Emilia, non possiamo che chiamarci CCCP- Fedeli alla linea. Fino a che è esistito l’impero sovietico, noi eravamo nella provincia più filosovietica al mondo al di fuori di quei confini: significa, voglio dire, farsi carico della propria ragion d’essere, non ho mai avuto problemi in questo. Dopodiché, io non sapevo suonare nessuno strumento, non ho orecchio e sono un po’ stonato, la cosa che sapevo fare, appunto, essendo innamorato delle parole, era mettere in conseguenza una serie di parole e con queste rapportarmi alla musica. Questo è quello che sono stato in venti anni per il mio pubblico, che, per quanto sia piccolo, però è un pubblico forte, che si fa sentire. Mi sono sentito dire diverse volte, in questo tempo: “Ferretti tende alla poesia”. Mi vergognerei, ovviamente. Sono stato invitato quest’autunno a settembre in Sudafrica dalla nazione zulù come poeta italiano. A loro ho detto di sì, perché, cazzo, mi invitavano gli zulù, figuriamoci se stiamo qua a fare i distinguo, ci vado eccome, e pure orgoglioso! Anche se amerei scrivere racconti, perché è il modo migliore di concatenare le parole, però la mia vita è andata da tutt’altra parte e quindi, in realtà, tutto quello che so fare, il motivo pubblico per cui io sono qua, è che scrivo canzoni, sono innamorato delle parole, non conosco la musica, mi affascina la musica, scrivo canzoni, non poesie, scrivo delle cose, delle sequenze di parole, che però presuppongono un limite molto preciso, che è quello della canzone, della canzone popolare, tradizionale e moderna, dalla dimensione più arcaica - io so cantare gli stornelli - fino alle melodie punk. Non so cantare molto altro, ma fra questi due estremi ci sto abbastanza bene. SCRIVO CANZONI, NON POESIE, SCRIVO DELLE COSE, Scrivo canzoni, voglio DELLE SEQUENZE DI PAROLE, CHE PERÒ dire, qualcosa di molto PRESUPPONGONO UN LIMITE MOLTO PRECISO, preciso, innanzitutto ho CHE È QUELLO DELLA CANZONE bisogno di un tessuto G. L. Ferretti musicale, se non ho un tes- 85 Quaderno madre lingua imp 86 1-10-2003 16:51 Pagina 86 suto musicale, non ho motivo per scrivere le parole. Ho bisogno poi di tutta una serie di cose che non posseggo fino al momento in cui non si sono verificate. Come diceva prima Lucio Dalla, non c’è un modo per scrivere una canzone, probabilmente il mio modo non è molto diverso dal suo, a volte ho bisogno di ascoltare per dieci giorni una sequenza musicale che mi piace molto per trovare un ritmo, un suono, un qualcosa da cui poi scaturisca il mio ragionare in termini cerebrali, in termini evocativi e quindi di parole. Io scrivo anche i miei testi, una volta che sono diventati canzoni, non li scriverei mai prima che fossero usciti come canzoni, perché me ne vergognerei. Non è la stessa cosa scrivere una poesia e scrivere una canzone, perché per l’appunto, se era la stessa cosa, lo era molto, ma molto all’origine. Io continuo a pensare che la poesia in origine non poteva che essere detta su un ritmo: forse questo ritmo era strettamente legato al fiato umano, forse era sostenuto da strumenti, non lo so, ma io percepisco che all’origine la canzone e la poesia erano la stessa cosa. Ma sono almeno mille anni che la canzone e la poesia sono cose molto, ma molto diverse. Non vuol dire che io non scriva canzoni il meglio possibile, e cercando di mantenere una serie di regole che mi sono dato. Live in Pankow, la canzone prima citata, è stata in assoluto la prima che io abbia scritto, allora quello che pensavo era: “Mai dire: noi siamo bravi, voi no”, che è un modulo molto in voga, come diceva prima Lucio Dalla a proposito della guerra rispetto alla canzone, soprattutto quando si va verso la canzone politica. Il ragionamento che si fa in quel caso è: “Io so quello che bisogna fare e te lo dico, tu sbagli perché non sai capire questo”. Questo non mi è mai interessato e non credo che ci sia una canzone in venti dischi che ho fatto in venti anni, che possa essere ricondotta a questo. Sempre una duplicità, meglio se una triplicità di interpretazioni. Infatti, quando noi siamo partiti e ci chiamavamo CCCP-Fedeli alla linea, c’era sempre una motivazione politica assolutamente evidente dietro le noIO CREDO CHE TUTTE LE CANZONI TENDANO A ESSERE stre canzoni, ma al di là O UNA PREGHIERA O UNA CANZONE D’AMORE. della motivazione politica ce ne doveva essere SICCOME IO NON SO SCRIVERE CANZONI D’AMORE, necessariamente anche LA STRAGRANDE MAGGIORANZA DELLE MIE CANZONI un’altra. Poi, io credo TENDE A ESSERE PREGHIERA che tutte le canzoni tendaG. L. Ferretti no a essere o una preghiera o Quaderno madre lingua imp 29-08-2003 14:37 Pagina 87 ra o una canzone d’amore. Siccome io non so scrivere canzoni d’amore, la stragrande maggioranza delle mie canzoni tende a essere preghiera, a occupare quello spazio che va dalla mia bocca a un Cielo indistinto, che ad ogni modo sta attorno e sopra di me. Polese Dieci anni dopo l’esordio dei CCCP-Fedeli alla linea, che segue l’esplodere in Europa del punk, passa anche da noi un’altra musica che è quella dell’ hip hop, del rap. Nasce quindi una generazione nuova di cantanti, musicisti, autori, come appunto Frankie Hi NRG, che affrontano questa sfida, di usare la lingua italiana su una ritmica, su una cadenza, che era decisamente nata fuori le possibilità della nostra lingua. Il rap, in un primo momento ma non solo, è essenzialmente un veicolo di parole di protesta, di denuncia, e inizialmente molte delle canzoni sono su questa linea qui, però non esclusivamente, se uno pensa al primo Jovanotti etc.. All’epoca (cioè una decina di anni fa) il rap era guardato con sospetto, adesso tutti fanno rap. Le domande che voglio rivolgere sono dunque, in primo luogo, cosa significa l’aver accettato questa sfida di linguaggio, cioè di porre l’italiano su una ritmica che non era italiana e, in secondo luogo, cosa vuol dire oggi fare rap, e se ha ancora una sua validità. Frankie Hi NRG Rispondo forse prima alla seconda domanda. Oggi fare rap ha senso nel momento in cui oltre a un apparato tecnico specifico necessario per legare insieme delle parole costruendo delle catene che ritmicamente riescano a costruire i ‘cingoli’ del proprio pensiero, si fa in modo che questi cingoli siano fatti di una lega buona. Mi spiego: l’ hip hop è una cultura abbastanza variegata, che nasce nei ghetti neri americani e si sviluppa intorno a quattro cardini, a quattro arti fondamentali. A parte il rap, abbiamo infatti la break dance, che è l’espressione in forma di danza, il writing, conosciuto anche con il nome di graffitismo, che è una forma di arte visiva che si fa con bombole spray – qui a Milano c’è una scuola ormai ventennale di writers – e il deejaying, cioè l’ arte di fare musica utilizzando dei giradischi, con tecniche come lo skretch e via dicendo. Si tratta dunque di una cultura artistica molto sviluppata, che ha come punto centrale la povertà di mezzi necessari per l’espressione di sé medesima: basta un marciapiede, basta avere un po’ di idee, si usano i dischi che si avevano in casa da piccini, come diceva il deejay Graf, un grande esponente della musica hip hop italiana. Il rap ha fagocitato in un cer- 87 Quaderno madre lingua imp 88 29-08-2003 14:37 Pagina 88 to senso le altre arti, si è gonfiato a dismisura, fino a diventare quasi un’alternativa all’ hip hop stesso, una parte che divora il tutto. Forse questo è avvenuto perché il rap è parola, è più immediato, un pezzo sopra un muro richiede che tu sia lì in quel momento per vederlo, prima che qualcun altro lo cancelli, lo stesso vale per la danza e quant’altro. L’importanza della tecnica nella cultura hip hop è fondamentale: imparare a fare nuove mosse, imparare a generare nuovi suoni dai medesimi dischi, il fatto di sviluppare una calligrafia propria ed essere quindi i precursori di un stile è essenziale. Nel rap, ahimè, si sono sì raffinate, anche qui in Italia, tecniche verbali incredibili, ci sono dei pezzi che sembrano dei meccanismi a orologeria quanto perfettamente ogni parola si attacca all’altra, ma il problema è che non dicono quasi nulla, almeno alle orecchie del grande pubblico, perché viziate dall’autoreferenzialità, l’affermare di essere il migliore, di avere le donne migliori, soprattutto quelle del proprio avversario: sono elementi caratteristici della strada nera che forse sono stati mutuati in maniera un po’ cieca, anche da me, in alcuni casi, e da tutti i miei colleghi italiani. Per fare rap oggi, sarebbe necessario fare un passo indietro sulle tecniche e inventare dei nuovi argomenti, qualcosa più a largo spettro, un denominatore comune con il pubblico, senza troppo lamentarsi se in America, un disco vende un milione di copie nella prima settimana solo nella città di New York, mentre qui da noi in Italia vendere 3.000 copie in un anno è oramai considerato già un traguardo più che solido. In sintesi, per rispondere alla seconda domanda: se ci sono delle cose da dire, il rap continua e continuerà a essere una buona maniera per poterle esprimere. Per quanto riguarda inveSE CI SONO DELLE COSE DA DIRE, ce la prima domanda, circa la sfida di utilizIL RAP CONTINUA E CONTINUERÀ A ESSERE UNA BUONA zare l’italiano per una MANIERA PER POTERLE ESPRIMERE Francie HI NRG cosa che fondamentalmente nasce al di là dell’Oceano, in un Paese di lingua anglosassone, per una lingua fondamentalmente costituita da parole tronche, quindi adatte a stare su una base ritmata: tale sfida è stata per me assolutamente naturale, il primo pezzo che io ho scritto in italiano, è stato Fight da faida, che è stato peraltro il mio primo successo. Chiaramente, da allora ho continuato a studiare, a cercare di raffinarmi, Quaderno madre lingua imp 29-08-2003 14:37 Pagina 89 per riuscire a creare dei meccanismi un po’ meno “robottini”, per così dire, e raggiungere quello che gli americano chiamani il flow, il flusso, fare gocciolare le parole come se stessero cadendo da un battere a un levare, creando un gioco variegato, non monotono o comunque avvilente per chi è lì per sentirsi raccontare una storia. Una delle cose belle dell’hip hop sta proprio nel raccontare storie. Una cosa che è stata riscoperta di recente in America è il movimento di MC consci: i partecipanti si fanno assolutamente carico delle cose che vengono dette, affermano cose diverse dal semplice: “Che bello spingere nel crack per guadagnare più soldi per poi poter venire a letto con tua moglie sì sì proprio la tua perché è la tua moglie” e simili. È un movimento che sta crescendo. I primi rappers in Italia risalgono al 1980-81: qui a Milano nella zona del muretto è nata e cresciuta e - ahimè - in alcuni casi addirittura morta una generazione di MC, di ballerini, di writers molto bravi, molto capaci, che ahimè sono stati schiacciati dalla macchina di spettacolo che ha trasformato la parola rap, per fare un esempio, in un aggettivo sinonimo di “giovane”: un’automobile per essere adatta a questa generazione deve diventare rap, un fucile ad acqua deve diventare un liquidator rap, per poter far presa sui giovani, i quali per altro non si lasciano quasi più fregare da questi mezzucci. Eppure, come dicevi giustamente tu, tutti si sono messi a fare rap, chiamando rap una cosa che non è rap, perché il parlare ritmato su una base non è sufficiente. Quando io guardo le classifiche, vedo degli autori che non fanno del rap, devo essere sincero, e lo dico io che, da questo punto di vista, sono un outsider dell’ hip hop. Questo impulso proveniente dal basso si è manifestato con cicli decennali: l’ultimo si è avuto agli inizi degli anni ’90 con quello che è stato definito da alcuni giornalisti il “fenomeno delle posse”. Il rap, peraltro – e ci sono molti esempi di questo - si adatta a nuove tendenze musicali: una volta veniva unicamente concepito o su una batteria elettronica che faceva una gamma relativamente limitata di giri ritmici, oppure su dei classici, come il giro di batteria del tal disco di James Brown, ma musica come la jungle, come l’elettronica, a volte particolarmente spinta fino ad arrivare addirittura all’hardcore, rappresentano delle textures ritmiche sulle quali il rapper si può esprimere con ancora maggiore libertà rispetto a quella raggiunta nei tempi “classici”. Purtroppo, tanta gente dice di far rap secondo la definizione che trova sul dizionario, quindi se quel beat non è di James Brown allora non si può fare, se quella batteria non è elettroni- 89 Quaderno madre lingua imp 29-08-2003 14:37 Pagina 90 ca allora non si può fare, perché io sono un rapper e il rapper deve fare così e così. Serve forse svegliarsi un po’. E che qualche ragazzino venga a darci dei grandi scappellotti e dica: “Torna a fare il tuo mestiere, da bravo”. 90 Polese Una cosa che è venuta fuori da questo primo giro di interventi è che ciascuno dei tre ha tagliato fuori un elemento, che invece i giornali amano periodicamente riportare sul tavolo: la famosa storia “canzone e poesia”. Ognuno ha detto come la pensa, che non c’è nessun bisogno di sentirsi poeti per ritrovare la dignità del proprio lavoro. Dalla diceva di non aver mai aspirato a far parte del circolo dei cantautori, di non aver mai desiderato che le proprie parole fossero equiparate a un poesia, ovviamente però ha sempre richiesto che le parole delle sue canzoni venissero considerate, all’interno del loro genere, come un prodotto assolutamente compiuto e significante. Dalla però è un musicista che ha lavorato con dei poeti: a parte la collaborazione con Paola Pallottino, che ci ha regalato tante delle canzoni che ancora cantiamo a memoria, facciamo riferimento soprattutto al sodalizio con Roberto Roversi. Cosa succede per uno come Dalla, che prima spiegava così bene quel momento quasi magico, alchemico, in cui la mente si fa tabula rasa e poi parte la parola che costituisce il testo della canzone, quando si trova a lavorare con uno che le parole le scrive e, a proprio modo, già le modula? Dalla Dopo che, come abbiamo detto tutti tre, ciascuno di noi mira a testimoniare la propria voglia di non essere a tutti i costi poeta, ora vorrei dire qualcosa a favore dei poeti. Sostanzialmente i veri poeti sono come i bastardi, tutti li accarezzano e alla fine li tengono lontani, se c’è da prendere un uomo di razza a casa non si prende un poeta, perché è sempre strano, è sempre matto. Però, fortunatamente, ci sono quelli che amano i bastardi e vanno nel canile. Il poeta mi piace immaginarlo così. La cosa drammatica della mia vita è stata lavorare con Roversi: da lui ho imparato tutto, anche a chiudermi la fessa dei pantaloni dopo che ho pisciato. La cosa più importante che ho imparato da lui è l’emozione pura e semplice, cosa che in effetti lui dichiarava di non volere, perché in maniera ingenua voleva consegnare al pubblico italiano una canzone che fosse anche una canzone civile. Per chiarire quello che lui intendeva: si trattava di una canzone problematica, che non solo parlasse dei sentimenti, ma parlasse an- Quaderno madre lingua imp 29-08-2003 14:37 Pagina 91 che delle motivazioni. Non ci sono delle motivazioni più forti dei sentimenti, secondo me, ma altrettanto forti sono i sentimenti sociali. Roversi fondò con Pasolini il gruppo Officina, era sempre criptato, sempre in disparte, pubblicava con Rizzoli, poi smise di pubblicare e cominciò a ciclostilare le sue poesie. Le sue poesie sono delle valanghe, non semplicemente delle parole messe in forma poetica, sono dei cavatappi delle emozioni. La difficoltà di lavorare con un poeta sta nel fatto che musicalmente i poeti non capiscono niente, la loro bellezza è proprio quella, non hanno idea di che cosa significhi una nota, di cosa sia il mondo della musica. Allora il problema reale sta nel fatto di lavorare insieme a un uomo e a un poeta vero – anche lì c’è da fare dei distinguo, ma nel caso di Roversi siamo di fronte a un poeta vero – costruire un contenitore alla parola e darle altrettanta forza e altrettanta dignità pur non sovrastandola, perché in fondo la musica è un elemento dominante. Il 70% della musica che consumiamo è un musica senza parole: in quanto straniera non ne comprendiamo infatti il testo; la musica è autosufficiente, Beethoven ha scritto dei Lieder ma non è certo per le parole dei Lieder che Beethoven è Beethoven. La musica è qualche modo uno slang, una koiné, una mistura di linguaggi che basta a se stessa. Se su questa base metti le parole, è lì che cambia l’eLA MUSICA È IN QUALCHE MODO UNO SLANG, quilibrio: la grande difficoltà sta UNA KOINÉ, UNA MISTURA DI LINGUAGGI nello stabilire questa parità, CHE BASTA A SE STESSA . questa pari funzione, questa SE SU QUESTA BASE METTI LE PAROLE, pari stimolazione, questo pari È LÌ CHE CAMBIA L’EQUILIBRIO equilibrio. Sembra una tautoloL. Dalla gia, se è pari è equilibrio, se è equilibrio è pari, però misteriosamente le cose migliori venivano fuori quando il pareggio arrivava alla fine e si creava una distonia, io mi allontanavo con la musica: quanti rap abbiamo scritto così! C’è una canzone nel primo disco, che si chiama Alla fermata del tram, che credo sia veramente, storicamente non solo il primo rap italiano, ma il primo rap davvero riuscito, perché le motivazioni della canzone erano di urgenza estrema. Si trattava della storia di un grande poeta russo mandato in Siberia insieme alla moglie, che aveva voluto seguirlo. Era così controllato – non c’erano microspie allora, parlo di prima della guerra - dal controspionaggio, che per poter parlare con la moglie doveva andare alla fermata del tram, perché sferragliando – pensate ai tram del 1930-1932 - quei tram riuscivano a coprire il lo- 91 Quaderno madre lingua imp 92 29-08-2003 14:37 Pagina 92 ro dialogo in modo che non potesse essere intercettato dalle spie. L’idea del rap venne fuori perché io, quando conobbi le motivazioni di quel testo attraverso le parole di Roversi, urlai questa canzone. L’intuizione musicale è stata del tutto subalterna alla storia della canzone, alla qualità del linguaggio, che doveva essere schematico, perché si trattava di un discorso che non doveva essere intercettato. Io credo che il linguaggio dell’emergenza nasca non tanto da prerogative musicali o delle parole, ma sulla base di prerogative sociali. Frankie, io sono un tuo ammiratore, vorrei che ci fosse un altro al posto tuo per dare addosso alla tua musica, ma non posso perché mi piaci moltissimo. In realtà la vera emergenza è di carattere sociale, tu non puoi comprare uno strumento vero e quindi lo compri finto, perché costa 100 lire invece di 100.000. L’abitudine a suonare, perché è sempre suonare anche se usi il callo di un piede, supposto che abbia un suono, ti crea un equilibrio con lo strumento finto che diventa linguaggio. Allora cosa racconti, delle vacanze che passi in Svizzera? No, non passi vacanze: la tragedy nera è una tragedia che non ha i contorni del melodramma, perché i neri non hanno avuto melodramma, ma ha il fulcro della drammaticità, perché la vita nera, tranne gli ultimi quindici o vent’anni, aveva come epicentro la tragedia, la sopraffazione, la segregazione razziale, ma soprattutto l’emarginazione economica, vale a dire la mancanza assoluta di mezzi. Nella cultura del disagio, nella frequentazione della precarietà nasce spesso l’arte. Da noi è molto difficile, perché questo tipo di emarginazione non la viviamo, anche perché ci costringono a non viverla: il nostro è il Paese del consenso obbligato, torniamo così al discorso del tempo, dell’Auditel, dell’audience, della pubblicità, della criminalizzazione della malattia. Non c’è un posto come l’Occidente dove sia consuetudine così cinica e perversa criminalizzare anche il fatto che non caghi da tre giorni: non c’è possibilità di dissenso che non sia motivato ideologicamente. E quindi andiamo a scovare l’ideologia dove l’ideologia non è presente, è lì che puoi far crescere una pianta. Non puoi parlare di società L’INDIVIDUAZIONE DEL TEMA E DEL CONTORNO del rifiuto, cosa rifiuti? Il SOCIALE, DEL BACKGROUND QUOTIDIANO niente che ti offrono? In questo senso l’individuaÈ QUELLO CHE, ATTRAVERSO LA COLLABORAZIONE zione del tema e del conCON UN POETA , MI HA APERTO GLI OCCHI, torno sociale, del backMI HA PULITO L’ANIMA ground quotidiano è quello L. Dalla che, attraverso la collaborazione Quaderno madre lingua imp 29-08-2003 14:37 Pagina 93 con un poeta, mi ha aperto gli occhi, mi ha pulito l’anima, mi ha fatto conoscere l’allegria, cosa che normalmente i poeti non possiedono. Ho succhiato fino all’ultimo sangue e così ho imparato a scrivere le parole da me – e ne sono grato perché è la cosa che più mi diverte - ma soprattutto ho imparato che ogni volta che vado da Roversi non è che io debba chiedergli il suo parere, basta solamente il fuoco o la noia che appaiono negli occhi per darmi l’idea di quello che ho fatto. Polese Vorrei ora sottolineare il fatto che in tutti e due i casi, di Frankie e di Giovanni Lindo, si sono realizzate delle collaborazioni. Si tratta di quella recentissima di Frankie con Shel Shapiro, mentre nel ’96 Giovanni Lindo canta insieme al suo gruppo E ti vengo a cercare di Battiato. Io vorrei sapere da entrambi qual è il rapporto che hanno avuto con la tradizione della musica leggera italiana, cosa hanno preso e cosa hanno rifiutato. Ferretti Il rapporto con Battiato è assolutamente particolare, più determinato dalla vita reale che dalle emozioni e dalle capacità musicali. Ci incontrammo la prima volta perché lui mi chiese di vederci, perché aveva delle proposte di carattere musicale da farmi. Io gli dissi che noi non eravamo assolutamente disponibili a collaborazioni, perché in genere chi cerca collaborazioni, cerca il livello migliore del suo collaborante, e io non sono in grado di offrire il mio livello migliore a nessuno, se c’è, ahimè, devo tenermelo proprio per me, per cui ogni volta che mi metto con qualcun altro, esce il mio livello peggiore. Però nei confronti di Battiato avevo dei sentimenti particolari. Io sono un cantante per caso, per coincidenze e casualità, ho nutrito alcune volte un sentimento di invidia, se può esistere l’invidia come positività, nel senso di: “Mi piacerebbe moltissimo aver fatto quella cosa”, e nei confronti della musica mi è successo per pochissime canzoni. Bene, E ti vengo a cercare è una di queste. La prima volta che ho sentito quella canzone, ho pensato: “Cazzo, avrei voIO FACCIO FATICA A CANTARE PAROLE CHE NON luto scriverla io”, perché racSIANO NATE DAL MIO CUORE, CHE NON ABBIANO coglieva in maniera stupefaSUPERATO IL MIO LIVELLO INTELLETTIVO cente tutta una serie di parole. Io faccio fatica a cantare parole che non siano nate dal mio cuore, che non abbiano E CHE NON MI SI FORMINO NELLA BOCCA G. L. Ferretti 93 Quaderno madre lingua imp 94 29-08-2003 14:37 Pagina 94 superato il mio livello intellettivo e che non mi si formino nella bocca. Quelle parole e quella canzone in particolare mi hanno stimolato un senso intenso di invidia positiva. È stato faticoso per me e per noi fare la nostra versione, è stato faticoso perché in realtà i miei musicisti hanno messo in piedi una struttura musicale giocando in maniera molto semplice: di una canzone leggera hanno fatto una marcia funebre, l’hanno completamente ribaltata. La difficoltà è stata cantare su questa versione che mi piaceva moltissimo, il mio canto ha fatto molta, molta fatica ad arrivare. Poi ho mandato subito il risultato a Franco perché volevo che lui lo stroncasse, che mi dicesse che una marcia funebre non é accettabile rispetto a questa canzone, ma la nostra versione a lui piacque moltissimo e non ne abbiamo mai più parlato. Dalla Io e Battiato abbiamo la casa lì di fianco in Sicilia, e per me lui non ha normali neanche i piedi. Ed io sono dell’idea di Lindo, io ho invidiato tutte le canzoni che Battiato ha scritto, un’invidia che mi faceva desiderare che zoppicasse per una settimana, per come mi piaceva soprattutto Povera patria, che è un capolavoro, un manifesto di civiltà e di verità di linguaggio. Ma lui lo fa perché, ripeto, di normale non ha neanche i piedi. Scusami se ti ho interrotto. Ferretti Io sono abbastanza normale, ma credo che gli anormali siano molti, e poi, devo dirlo in tutta onestà, lo direi anche di fronte a Battiato, io continuo a frequentarlo perché mi piace moltissimo Sgalambro, la mia passione è andare a cena con Sgalambro, per due volte mi è capitato di ubriacarmi con Sgalambro. Dalla Una volta Battiato mi presentò a Sgalambro – si danno del lei, Battiato e Sgalambro, dopo vent’anni che si conoscono - e disse: Professore, Lucio Dalla -, e lui mi strinse la mano e replicò: - Ah, u’ giullare - Ferretti Tutta la mia collaborazione si riduce a questo, io ho invidiato la capacità di scrivere e di musicare le canzoni che ha Battiato, e poi lo frequento perché essendo completamente folle è una persona per me agreeable, affascinante, ma tra di noi non parliamo mai di musica e di gran lunga preferisco ubriacarmi con Sgalambro! Una volta ci siamo Quaderno madre lingua imp 29-08-2003 14:37 Pagina 95 incontrati e lui mi ha dato una lezione di letteratura, io rimasi affascinaIO HO INVIDIATO LA CAPACITÀ DI SCRIVERE E DI to, volevo pagare e MUSICARE LE CANZONI CHE HA BATTIATO, E POI LO tornare, come se fosse FREQUENTO PERCHÉ ESSENDO COMPLETAMENTE FOLLE una ripetizione privaÈ UNA PERSONA PER ME AGREEABLE, AFFASCINANTE ta. Per il resto l’unica alG. L. Ferretti tra collaborazione cui posso pensare è stato con Amanda Lear al tempo dei CCCP, esattamente per il motivo opposto, se così si può dire. I CCCP andarono incontro ad Amanda Lear perché volevano togliersi un po’ di curiosità rispetto ai media e così via. Così combinammo questo incontro, in cui Amanda Lear faceva una versione di una canzone dei CCCP e i CCCP una versione di una canzone di Amanda Lear. Ne abbiamo approfittato per fare, per un mese e mezzo, tutte le porcate che si fanno quando si fa i cantanti, abbiamo fatto spettacoli in playback e abbiamo girato per gli studi televisivi facendo le ombre di Amanda Lear: lei ci ha fatto ridere dall’inizio alla fine, conosceva i peggiori vizi e difetti di tutti coloro che si avvicinavano a noi nelle televisioni ed era in grado di stroncarli tutti. Anche questo non era un incontro musicale, non avevamo certo scelto Amanda Lear per pregi canori, ma per il suo forte impatto sul pubblico italiano quando uscì con Tomorrow. In realtà la conoscenza di Amanda Lear si è rivelata una specie di meraviglia celeste: lei è una persona che mi ha stupito alcune volte per la rozzezza nel rapportarsi alle persone e altre per una stupefacente capacità culturale e una conoscenza diretta degli avvenimenti delle avanguardie europee. Infatti, il problema non era se la Lear fosse un maschio o una femmina, ma: quanti cazzo di anni ha Amanda Lear, per sapere tutte queste cose? Questa sembra una domanda infinitamente più interessante del suo genere sessuale. Per due o tre volte ci siamo trovati a parlare improvvisamente di pittura o di letteratura, e tutti i riferimenti che lei faceva mi stupivano, io ad ogni modo ho un’educazione medio-bassa, ho fatto l’università, ho una vaga idea delle avanguardie culturali del secolo scorso, e lei mi ha incantato con una capacità di giudizio inimmaginabile per chi la guarda quando compare sullo schermo televisivo. 95 Quaderno madre lingua imp 29-08-2003 14:37 Pagina 96 Frankie Io dal punto di vista della partecipazioni ho avuto quasi un’u- 96 nica esperienza fuori dall’orticello di casa, ed è la versione ‘nuovo millennio’ di Che colpa abbiamo noi, che tra l’altro è uscita proprio in questi giorni nel nuovo disco di Shel Shapiro. È stata una collaborazione molto piacevole, perché ho avuto la possibilità di conoscere umanamente, parlando anche veramente molto poco di musica, Shel, che è un vecchio lupo di mare e ne sa una più del diavolo. È stato un piacevole confronto. Le altre cose che ho fatto sono state sempre nell’orticello di casa con il mio amico Riccardo Senigallia, la partecipazione insieme a Elisa in un disco molto bello di pop italiano, che si chiamava La comitiva, che però è uscito, ha fatto un migliaio di copie e poi è stato prontamente ritirato e non ha nemmeno sondato il mercato straniero. È molto bello ciò che ha detto Giovanni Lindo, di non poter garantire il meglio di sé perché il meglio di sé ciascuno se lo tiene per sé, giustamente, e quindi in un certo senso anche per gli altri, perché poi quando lo vai a portare fuori, resta in ogni caso il meglio. Io sono molto lento a scrivere e quindi spesso mi è capitato di dover rinunciare a delle partecipazioni. Il mondo della discografia - e dunque non si sta parlando di musica, ma di burocrazia della musica - fa sì che i tempi per la realizzazione delle proprie opere siano sempre molto soffocati, è sempre tutto a ridosso, e quindi quando nascono le proposte, sono cose che devono avvenire direttamente in sala, e io in sala riesco a malapena a vedere la televisione, figuriamoci a scrivere. Recentemente ho avuto un’esperienza nuova: ho provato a scrivere una canzone pop; io prima avevo scritto sempre e solo rap, che è un genere completamente diverso dalla canzone per il solo fatto che in un rap “perché” dura esattamente “perché”, in una canzone può durare anche cinque minuti, a seconda della musica che ci sta sotto, della perizia e dell’abilità di chi la interpreta e via discorrendo. Tuttavia, ho voluto fare questo tentativo perché una mia amica mi ha chiesto di darle una mano. E io mi sono cimentato, scrivendo una cosa che non mi rappresenta affatto e che fortunatamente pare che non uscirà. La cosa che mi ha scioccato è che questa mia amica mi ha portato a conoscenza di una serie di regolette che pare nel mondo di certa scrittura musicale in Italia siano molto in voga. È necessario, anzi indispensabile, che, se la musica usa accordi di minore, le tematiche trattate siano positive e viceversa. Oppure, se si deve utilizzare un trisillabo in un ritornello, è necessario che si usino tre parole, per esempio Quaderno madre lingua imp 29-08-2003 14:37 Pagina 97 “io con te” piuttosto che “perirò”, al di là naturalmente del contenuto intrinseco. E così, via discorrendo, me ne ha elencate almeno una quindicina. Evidentemente sono tanti i portavoce dell’eugenetica musicale, di questa tecnica che, probabilmente con dei rilevamenti statistici, stabilisce che un determinato brano fa successo perché le ultime due righe del ritornello finiscono per “o”. Immagino che statistiche arriveranno a determinare che i primi cento più grandi successi della storia musicale mondiale contengono tutti quanti 57 volte la lettera “erre”, allora si cominceranno a scrivere testi con 57 “erre” anche a costo di terminarli con “rrr”. Tante persone cantano utilizzando strumenti veri e finti, per usare la definizione di Lucio, utilizzando le melodie base incorporate nelle tastiere che le case madri forniscono per permettere ai negozianti di premere un pulsante e di far uscire un suono da questi strumenti. Io la chiamo la cultura del pre-set: data una tastiera elettronica con una serie di pulsanti che vengono denominati “oboe”, piuttosto che “clavicembalo” piuttosto che “wind air”, se si pigiano quei pulsanti e si utilizzano quei suoni, alla fine la musica suona tutta uguale; la bellezza degli strumenti finti, invece, è quella di muovere un cursore e di riuscire a deformare il suono, creandolo, forgiandolo: quello che la musica elettronica intelligente, non più schiettamente commerciale, sta facendo da alcuni anni. Credo che un’attenzione da parte della critica musicale per questi meccanismi aiuterebbe le persone che consumano musica, visto che devono essere trattati da consumatori, a verificare quante parole “geneticamente modificate” ci sono all’interno del testo che si sta ascoltando. Per quanto mi concerne, io faccio un disco ogni cinque anni perché non mi ritengo un cantante ma un hobbista della musica, che riesce a campare di questo hobby in maniera più o meno agevole per lunghi periodi. Sono curioso di fare un’esperienza diversa, di incontrare della buona musica per scrivere sopra un buon testo, e poi soprattutto incontrare quella persona che ha stabilito queste regole, per fargli sentire un po’ di dischi che ho sullo scaffale, se lo merita proprio, quello lì. Polese Prima di chiudere: ascoltando l’eugenetica musicale viene in mente naturalmente una cosa molto chiara, vale a dire la cosiddetta canzone “da Sanremo”, nemmeno “di Sanremo”, che viene combinata, preformata secondo tutti questi accorgimenti. Voi due (Frankie e Giovanni Lindo, n.d.r.) non avete mai partecipato a San Remo, Lucio c’è stato, poi 97 Quaderno madre lingua imp 29-08-2003 14:37 Pagina 98 a un certo punto giustamente prese il volo…Esiste ancora una cultura di musica per Sanremo, ha senso o no? Dalla Fine a se stessa, è una specie di raggio verde o di pietra filosofa98 le, la canzone adatta per Sanremo è la canzone di quelli che non la scrivono mai, non è così facile come sembra. Perché, Frankie, quella tua amica che sa le quattordici regole è venuta proprio da te, che non le usi? Perché sa benissimo che queste regole non funzionano mai. Sanremo ha una grandissima forza assoluta, che oggi chiamano multimedialità: non è più soltanto un fenomeno di canzone, infatti le canzoni non sono mai stupefacenti. Io mi ricordo il Sanremo dove io portai 4 marzo e vi giuro che, quando scrissi questa canzone, non avrei mai pensato di portarla a Sanremo; infatti fu regolarmente bocciata e poi fu Alberto Bevilacqua, lo scrittore, che era in giuria, che disse: “Ma come?”. Devo dire: grande merito del testo, la musica era solo un supporto. Bevilacqua, fortunatamente per me, ma anche per la gente, s’inventò un trucco per ripescare la canzone. Ma quell’anno ci furono tre grandissime canzoni, io credo che mai ci sia stato un Sanremo di qualità così alta. Vinse una canzone stupenda, Il cuore è uno zingaro, cantata da Nicola Di Bari e da Nada: una musica molto bella, molto costruita proprio per i suoi valori musicali. Arrivò seconda Che sarà, canzone che ha fatto il giro del mondo, e terza appunto 4 marzo, che nella sua estrema semplificazione, era il primo tentativo, venuto fuori quasi per caso, di scrivere una canzone catto-comunista – allora andava di moda il catto-comunismo. Si trattava di mettere in crisi l’apparato nella eventuale constatazione che due elementi così distanti tra di loro potevano convivere in un meccanismo già allora multimediale. In Sanremo c’era già un’indicazione di quello che sarebbe stato il mondo successivo. Dunque è questa una delle ragioni per cui agì la censura, devo dire garbatamente, e poi io stesso, che non volevo andare incontro a rifiuti: la televisione era il luogo meno opportuno per usare la parola puttana; vicino alla parola Madonna. Ma nella mia canzone c’era l’angiporto, c’era il figlio non legittimo probabilmente di colore, c’era il Sud, non c’era niente della retorica sanremese, e la canzone trionfò. Invece ne Il cuore è uno zingaro c’era la grandissima qualità pop, popolare nel vero senso della parola, di un testo bellissimo, non so se ve lo ricordate, «Che colpa ne ho, se il cuore uno zingaro va». Io, che venivo da una musica completamente diversa, rimasi affascinato da quella musica e mi dissi: vorrei scrivere anch’io del- Quaderno madre lingua imp 29-08-2003 14:37 Pagina 99 le canzoni così. C’è quindi la possibilità di scrivere delle canzoni bellissime a Sanremo. Molto spesso capita che si dia per scontato tutto. Fu pubblicato un articolo, mentre facevo La bella e la bestia – non mi ricordo nemmeno chi l’ha scritto, sicuramente uno stupido - dal titolo Salviamo Dalla dalla TV: nemmeno mia madre, quando mi vedeva masturbarmi in un giardino pubblico, poteva permettersi di dire “Salviamo Dalla dalla TV”. All’interno dell’articolo, si diceva: «Non possiamo sopportare di vedere Dalla cantare con Al Bano e con i Pooh». Dissi tra me e me: “Se lo incontro questo qui che ha scritto l’articolo, lo prendo a schiaffi”. Il mistero della canzone è proprio lì, nel fatto che non ci sia niente di definito. La schematizzazione, il fatto di non voler pensare, il fatto che questo LA SCHEMATIZZAZIONE, IL FATTO DI NON VOLER deve andare con questo PENSARE, IL FATTO CHE QUESTO DEVE ANDARE perché è biondo, quello CON QUESTO PERCHÉ È BIONDO, QUELLO DEVE deve andare con quello ANDARE CON QUELLO PERCHÉ È BLU, QUESTO perché è blu, questo ti TI PROIBISCE DI DARE VALORE ALLE COSE proibisce di dare valore alL. Dalla le cose. Io credo che una delle ragioni principali per cui Sanremo, tranne rari casi, non ha mai portato una qualità del prodotto popolare, stia non tanto nell’impreparazione degli autori, quanto nel vaglio della critica. Quante canzoni hanno avuto successo a Sanremo, pur senza il rispetto della critica e spesso anche senza l’attenzione del pubblico! Vasco Rossi arrivò ultimo con Vita spericolata, e ci fosse stato uno che durante le prove abbia scritto che la canzone era bella, e si tratta effettivamente di un capolavoro, di una canzone straordinaria, che sembra scritta da un poeta latino della decadenza, inattaccabile e perfetta com’è. Poi quando la canzone vende 500-600.000 copie, allora diventa importante, allora la critica se ne accorge. Adesso è difficile sentire una bella canzone a Sanremo: io ne ho sentita una, quella di Silvestri, che trovo in tutti i sensi interessante, come musica e come testi, e su questa finalmente la critica si è trovata, ma anche perché Silvestri aveva quell’ appeal di uomo pensante, di uomo serio e informato, per cui aveva credito, e quindi poteva anche – questo è il retro della medaglia - fare una stronzata, e fortunatamente non l’ha fatta: comunque la critica ne avrebbe detto bene. È lì il gioco. Ora mi scuso e vi saluto perché ho un concerto proprio stasera. 99 Quaderno madre lingua imp 29-08-2003 14:37 Pagina 100 Polese Mentre Lucio Dalla se ne va, l’ultima battuta per uno. Andreste mai a Sanremo? Frankie Si dice che cucinano dell’ottimo pesce. 100 Ferretti È così ovvio dire di no che c’è sempre qualcosa dentro che dice: è troppo ovvio dire di no. Ci dovrebbe essere una serie di casualità. Metti che un giorno Battiato dirigesse Sanremo, e dicesse: “Ferretti, vieni a Sanremo”, io non so se gli risponderei sì o no. Sanremo è certo il posto in cui io non vorrei mai stare, potrei quindi farlo anche come scommessa, non so mai cosa succede nella vita, se canto potrei benissimo andare anche a Sanremo. Polese Grazie a tutti e arrivederci al prossimo incontro.