1 Le fonti del diritto del lavoro 1 Generalità Il diritto del lavoro può essere definito come l’insieme delle norme che disciplinano la relazione giuridica intercorrente tra il prestatore e il datore di lavoro, ossia il rapporto di lavoro. Tale relazione rappresenta un rapporto giuridico complesso, avente ad oggetto l’obbligo del lavoratore di prestare la propria attività, l’obbligo del datore di corrispondere la retribuzione e una molteplicità di situazioni giuridiche soggettive attive e passive facenti capo alle due parti del rapporto. Il diritto del lavoro Il lavoro dell’uomo è preso in considerazione dall’ordinamento in quanto idoneo a produrre un risultato economicamente utile e, quindi, a formare oggetto di un’obbligazione consistente nella prestazione di un’attività lavorativa. Peraltro, poiché tale obbligazione coinvolge anche la persona del debitore, la normativa in materia di lavoro non si limita a occuparsi dei profili economico-patrimoniali del rapporto di lavoro, ma si estende fino a tutelare la persona stessa del lavoratore (Persiani-Proia). Il diritto del lavoro è una disciplina giuridica relativamente nuova – sviluppatasi a partire dalla prima metà dell’Ottocento, quando emerse con tutta evidenza la necessità di conciliare le esigenze della tutela dei lavoratori con quelle della produzione –, che presenta connotazioni peculiari rispetto agli altri settori del diritto, in quanto si sottrae alla partizione tradizionale tra diritto pubblico e diritto privato. Difatti, in esso si combinano: – norme di diritto privato, poste a tutela di interessi privati e individuali; – norme di diritto pubblico, che impongono obblighi legali a carico delle parti del rapporto di lavoro; – norme di diritto processuale, volte a regolare le procedure poste a tutela dei diritti dei lavoratori (e dei datori di lavoro); – norme di diritto sindacale, relative all’attività e all’organizzazione delle associazioni sindacali. La dottrina tradizionale distingue, nell’ambito del diritto del lavoro inteso in senso ampio: – il diritto del lavoro in senso stretto, attinente alla regolamentazione dei rapporti individuali di lavoro subordinato, nonché di altri COMP_681_CompendioDirittoLavoro_2015_1.indb 17 Confluenza di norme 17 15-07-2015 15:38:21 Parte I | Nozioni Introduttive. Il rapporto di lavoro rapporti di lavoro, diversi dal lavoro subordinato, ritenuti anch’essi meritevoli di tutela giuridica; – il diritto sindacale, che regola l’attività e l’organizzazione delle associazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro; – il diritto della previdenza sociale, che tutela il lavoratore in presenza di specifiche situazioni di bisogno, riconoscendogli un reddito sostitutivo o integrativo di quello di lavoro. 2 Le fonti La gerarchia delle fonti Il sistema delle fonti del diritto del lavoro (inteso in senso stretto), ossia degli atti e dei fatti idonei a produrre norme giuridiche incidenti sulla materia lavoristica, è particolarmente variegato, in quanto in esso confluiscono una molteplicità di atti idonei a incidere sulla regolamentazione del rapporto di lavoro. In via generale, le fonti che concorrono alla produzione del diritto del lavoro possono essere così suddivise: – fonti sovranazionali (internazionali ed europee); – fonti normative nazionali; – fonti contrattuali; – gli usi; – l’equità. a) Le fonti sovranazionali 18 Gli ordinamenti degli Stati più evoluti hanno messo a punto un sistema omogeneo di norme adeguato a tutelare i valori essenziali della persona del lavoratore, impedendone lo sfruttamento che sarebbe stato inevitabile se la regolamentazione del rapporto di lavoro fosse stata affidata al libero mercato. In questa prospettiva, si assiste a un duplice livello di tutela: – il primo livello è legato alla partecipazione dello Stato italiano alla Comunità internazionale; – il secondo livello discende dalla partecipazione dello Stato italiano all’Unione europea. Con riferimento al primo livello (internazionale), oltre ai vari trattati internazionali, rivestono fondamentale importanza gli atti emanati dall’O.I.L. (Organizzazione internazionale del lavoro, nata nel 1917, della quale fanno parte gli Stati membri dell’Organizzazione delle COMP_681_CompendioDirittoLavoro_2015_1.indb 18 15-07-2015 15:38:21 Capitolo 1 | Le fonti del diritto del lavoro Nazioni Unite e deputata a favorire il progresso delle classi lavoratrici nel mondo), e cioè: – le raccomandazioni, atti privi di valore impegnativo attraverso i quali si auspica che gli Stati destinatari si attivino per la risoluzione di un determinato problema; – i progetti di convenzione, atti che assumono valore di norme interne a seguito della loro ratifica ad opera dei singoli Stati. Con riferimento al secondo livello (europeo), occorre ricordare che l’Italia ha aderito alla Comunità economica europea (istituita con il trattato di Roma del 25-3-1957, ratificato in Italia con L. 14-10-1957, n. 1203), diventata poi Unione europea (istituita con il Trattato di Maastricht del 7-2-1992, ratificato in Italia con L. 3-11-1992, n. 454, e successivamente ampliata con il Trattato di Amsterdam del 2-101997, ratificato in Italia con L. 16-6-1998, n. 209). Gli atti emanati dall’Unione europea, a differenza delle norme adottate dalle istituzioni internazionali, possono produrre efficacia immediata e diretta all’interno dei singoli Stati membri. Ciò vale, in particolare, per i regolamenti – atti contenenti precetti generali e astratti, che tendono ad uniformare le legislazioni nazionali – e le decisioni – atti contenenti regole riferite a situazioni specifiche e particolari –, che sono direttamente applicabili all’interno dei singoli Stati membri e prevalgono sulle norme di diritto interno incompatibili con essi (Corte cost. 232/1989). Invece, le direttive europee sono atti che vincolano lo Stato membro cui sono rivolte soltanto per quanto riguarda il fine da raggiungere, ossia impegnano i singoli Stati a realizzare gli obiettivi in esse previsti, ferma restando la competenza degli organi nazionali in ordine alla scelta dei mezzi e delle forme reputati più idonei per il raggiungimento di tali scopi. Una particolare tipologia di direttive è rappresentata dalle cd. direttive autoesecutive (o self-executing), ossia contenenti disposizioni chiare, precise e incondizionate, che hanno efficacia diretta nei confronti dello Stato pur in mancanza di norme interne di recepimento. In caso di omessa o tardiva trasposizione da parte del legislatore italiano nel termine prescritto dalle direttive europee nasce, conformemente ai principi più volte affermati dalla Corte di giustizia europea, il diritto degli interessati al risarcimento del danno, che va ricondotto allo schema della responsabilità per inadempimento dell’obbligazione ex lege dello Stato; tale responsabilità – dovendosi considerare il comportamento omissivo dello stato come antigiuridico anche sul piano dell’ordinamento interno e dovendosi ricondurre ogni obbligazione nell’ambito della ripartizione di cui all’art. 1173 c.c. – va inquadrata nella figura della responsabilità «contrattuale» in quanto nascente non da fatto illecito di cui all’art. 2043 c.c. bensì dall’inadempimento di un rapporto obbligatorio preesistente, sicché il diritto al risarcimento del relativo danno è soggetto all’ordinario termine decennale di prescrizione (Cons. Stato 4364/2012). 19 COMP_681_CompendioDirittoLavoro_2015_1.indb 19 15-07-2015 15:38:21 Parte I | Nozioni Introduttive. Il rapporto di lavoro La primazia del diritto europeo sul diritto interno incontra il limite dei principi fondamentali dell’ordinamento dei singoli Stati membri. Pertanto, le norme europee non possono contrastare con i principi fondamentali della Costituzione repubblicana. Un passo ulteriore è stato fatto con l’art. 6 TUE (Trattato sull’Unione europea, versione consolidata del 2010), il quale: – da un lato, riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 7-122000 (Carta di Nizza), a cui è conferito lo stesso valore giuridico dei trattati; – dall’altro, prevede l’adesione alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (Cedu). In questo modo si sancisce il valore primario di quei diritti che costituiscono l’insieme dei valori fondamentali a cui è tesa l’azione dell’Unione tra i quali sono inclusi il diritto dei lavoratori all’informazione e alla consultazione nell’ambito dell’impresa (art. 27), il diritto di negoziazione e di azioni collettive (art. 28), il diritto di accesso ai servizi di collocamento (art. 29), la tutela in caso di licenziamento ingiustificato (art. 30), le condizioni di lavoro giuste ed eque (art. 31), il divieto del lavoro minorile e la protezione dei giovani sul luogo di lavoro (art. 32), la vita familiare e quella professionale (art. 33) e la sicurezza e l’assistenza sociale (art. 34). Queste disposizioni e il richiamo nel Trattato ai diritti sociali fondamentali considerano la promozione dell’occupazione e la tutela del lavoro valori fondanti dell’Unione europea. b) Le fonti normative nazionali 20 A un livello immediatamente inferiore alle fonti internazionali ed europee si collocano le fonti normative statali, ovvero: – la Costituzione, che si pone al vertice della gerarchia delle fonti, i cui principi fondamentali, come accennato, non possono essere contraddetti neanche dalle fonti sovranazionali; – le leggi ordinarie e gli altri atti aventi forza di legge (decreti legislativi e decreti-legge), collocati in posizione subordinata rispetto alla Costituzione; – i regolamenti di attuazione o di esecuzione delle leggi e degli atti alla legge equiparati, emanati dal Governo, dai ministri con proprio decreto o da altre autorità amministrative. Tali regolamenti non possono modificare le leggi e gli altri atti aventi forza di legge, né derogare a essi. COMP_681_CompendioDirittoLavoro_2015_1.indb 20 15-07-2015 15:38:22 Capitolo 1 | Le fonti del diritto del lavoro La Costituzione considera il rapporto di lavoro come il più importante rapporto tra soggetti privati. Infatti, tra le garanzie costituzionali che fanno riferimento ai rapporti tra privati, quelle relative al rapporto di lavoro sono di gran lunga prevalenti. Il rilievo dato dalla Costituzione al lavoro si ricava, anzitutto, dall’art. 1, co. 1, ai sensi del quale “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”. Inoltre, vengono in rilievo altre norme costituzionali: – l’art. 2, che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali nelle quali si svolge la sua personalità: tale disposizione, da un lato, ha contribuito all’ampliamento della categoria dei diritti civili dei lavoratori e, dall’altro, ha conferito efficacia interprivata alle libertà fondamentali; – l’art. 3, che sancisce il principio dell’eguaglianza giuridica e, dunque, sancisce il divieto, per il legislatore, di operare trattamenti discriminatori fra le varie categorie di lavoratori; peraltro, poiché il principio di eguaglianza non ha natura soltanto formale ma anche sostanziale, sono consentiti trattamenti differenziati in presenza di situazioni diverse; – l’art. 4, volto a eliminare le disuguaglianze sostanziali tra lavoratori (“La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro”) e a sancire il dovere di svolgere un’attività o una funzione che contribuiscano al progresso materiale o spirituale della società, dovere non sanzionabile penalmente stante l’inammissibilità, nel nostro ordinamento, del lavoro coatto; – l’art. 35, che dispone che la Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme, la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori, promuove gli accordi e le organizzazioni internazionali volti ad affermare i diritti dei lavoratori e riconosce la libertà di emigrazione; – l’art. 36, che enuncia il diritto del lavoratore a una retribuzione proporzionata e sufficiente, nonché il diritto irrinunciabile al riposo settimanale e alle ferie, ponendo altresì il principio che la durata massima della giornata lavorativa deve essere stabilita con legge; – l’art. 37, relativo al lavoro femminile e al lavoro minorile (tale disposizione stabilisce, tra l’altro, che alla donna lavoratrice spetta, a parità di lavoro, la stessa retribuzione dei lavoratori maschi); – l’art. 38, in cui è prefigurato l’intervento assistenziale nonché quello previdenziale a favore dei lavoratori subordinati in caso di infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia e disoccupazione involontaria; – l’art. 39, che tratta della libertà sindacale, del sindacato riconosciuto e del contratto collettivo; COMP_681_CompendioDirittoLavoro_2015_1.indb 21 La Costituzione 21 15-07-2015 15:38:22 Parte I | Nozioni Introduttive. Il rapporto di lavoro – l’art. 40, a norma del quale “Il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano”. Le norme costituzionali rivestono particolare importanza in quanto (Persiani-Proia): – individuano i criteri direttivi ai quali il legislatore deve attenersi nel porre mano alla materia del lavoro; – dettano principi direttamente applicabili nei rapporti tra privati, prevedendo condizioni minime di tutela sottratte alla libera contrattazione delle parti (si pensi, ad esempio, al principio della retribuzione proporzionata e sufficiente ex art. 36 Cost.); – orientano l’attività interpretativa delle norme di legge, in quanto, se a una legge possono essere attribuiti più significati, deve essere preferito quello maggiormente conforme ai principi costituzionali. Leggi ordinarie 22 La legge ordinaria (nonché gli atti a essa equiparati, decreti-legge e decreti legislativi) è lo strumento principale con cui lo Stato disciplina il rapporto di lavoro. Alla fine dell’800, scalzando il principio, fino a quel momento dominante, che voleva i rapporti di lavoro sottratti all’ingerenza pubblica, le leggi furono volte ad arginare lo sfruttamento del lavoro, in particolare delle donne e dei minori, nonché a garantire speciali tutele ai lavoratori, istituendo, ad esempio, un’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro. Successivamente, gli interventi legislativi hanno assunto una portata sempre più ampia, disciplinando ogni aspetto del rapporto di lavoro. Nell’ambito delle leggi ordinarie, una posizione preminente, quale fonte del diritto del lavoro, spetta al codice civile e, in particolare, al Libro V, intitolato “Del lavoro”, che contiene la disciplina generale del rapporto di lavoro subordinato (vedi Cap. 2, par. 2). Peraltro, non tutte le norme contenute nel Libro V riguardano la materia del lavoro, così come molte norme appartenenti al diritto del lavoro sono contenute in altri libri del codice o in leggi speciali. In particolare, dopo il varo del codice civile (1942) si sono succedute numerose leggi che hanno disciplinato il rapporto di lavoro adeguandolo ai principi della Costituzione del 1948, leggi a mezzo delle quali sono state intensificate le tutele previste dal codice civile e predisposte tutele ulteriori rispetto a queste ultime (si pensi, ad esempio, alla L. 741/1959, che ha garantito a tutti i lavoratori un trattamento economico minimo, alla L. 1369/1960, che ha vietato l’appalto di manodopera, alla L. 604/1966, che ha posto limiti al potere di recesso del datore di lavoro, e soprattutto alla L. 300/1970 – cd. Statuto dei lavoratori –, che ha opportunamente introdotto norme a tutela della libertà e della dignità del lavoratore, della libertà sindacale ecc.). COMP_681_CompendioDirittoLavoro_2015_1.indb 22 15-07-2015 15:38:22 Capitolo 1 | Le fonti del diritto del lavoro Peraltro, con la L. 30/2003 (cd. legge-Biagi), con la “riforma Fornero” (L. 92/2012) e con il recente “Jobs Act” (D.L. 34/2014 e L. 183/2014) si è assistito a un’inversione di tendenza che, anziché consolidare le tutele dei lavoratori garantite dalla normativa summenzionata, ha reso “flessibile” il rapporto di lavoro introducendo forme di lavoro caratterizzate dalla precarietà e dalla temporaneità, col fine di garantire la produttività delle imprese (vedi Cap. 2). Alle leggi ordinarie sono equiparati gli atti normativi aventi forza di legge, ovvero: – i decreti legislativi (art. 76 Cost.), che hanno trovato ampia applicazione in materia di lavoro, soprattutto in virtù della legge-delega 741/1959, che autorizzò il Governo a recepire, appunto con decreto legislativo, in via transitoria, i contratti collettivi fino a quel momento stipulati per conferire ai medesimi efficacia generale; – i decreti-legge di cui all’art. 77, co. 2 e 3, Cost., ossia atti normativi emanati dal Governo in situazioni di necessità e urgenza, i quali perdono efficacia se non sono convertiti in legge dal Parlamento nei successivi sessanta giorni. I decreti-legge hanno conosciuto una notevole diffusione in materia di lavoro, soprattutto negli ultimi tempi (si pensi, ad esempio, ai decreti-legge sul costo della forza lavoro o al D.L. 35/2005, noto come “decreto competitività”). Decreti legislativi e decreti legge c) Le fonti contrattuali Non tutta la disciplina relativa alla materia del lavoro è contenuta nel codice, nelle leggi integratrici, nei decreti-legge e nei decreti legislativi emanati dal Governo. Infatti, alla suddetta regolamentazione vanno aggiunti il contratto collettivo di lavoro e il contratto individuale di lavoro. Il contratto collettivo è il contratto stipulato tra il sindacato dei lavoratori e l’associazione sindacale degli imprenditori al fine di stabilire il trattamento minimo garantito e le condizioni di lavoro a cui dovranno uniformarsi i singoli contratti individuali. Il contratto collettivo può essere concluso a livello: – confederale, se è stipulato tra le confederazioni nazionali che rappresentano interi rami delle attività economiche, ed è relativo a istituti di generale applicazione; – nazionale di categoria, se è stipulato tra le organizzazioni sindacali di categoria, e detta la disciplina generale delle condizioni minime di trattamento della forza-lavoro; – aziendale, stipulato direttamente dal singolo datore di lavoro e, per i lavoratori, dal solo organismo sindacale aziendale, che detta la COMP_681_CompendioDirittoLavoro_2015_1.indb 23 Contratto collettivo e individuale 23 15-07-2015 15:38:22 Parte I | Nozioni Introduttive. Il rapporto di lavoro disciplina delle condizioni di trattamento dei dipendenti all’interno dell’azienda. I contratti collettivi aziendali sono applicabili a tutti i lavoratori dell’azienda, ancorché non iscritti alle organizzazioni sindacali stipulanti, con l’unica eccezione di quei lavoratori che, aderendo a un’organizzazione sindacale diversa, ne condividono l’esplicito dissenso dall’accordo medesimo e potrebbero addirittura essere vincolati a un accordo sindacale separato e diverso (Cass. 10353/2004). Nell’ipotesi in cui i contratti di diverso livello predispongano discipline tra loro contrastanti, il criterio risolutore del conflitto deve essere individuato nel criterio della specialità, ossia nella preferenza accordata alla disciplina speciale rispetto a quella generale. Natura del contratto collettivo I contratti collettivi sono contratti di diritto comune, ossia sono assoggettati alla disciplina prevista dal codice civile per i contratti in generale (artt. 1321 ss. c.c.), con la conseguenza che, al pari di tutti gli altri contratti, si applicano solamente ai soggetti iscritti alle associazioni stipulanti (i quali, attraverso l’adesione all’associazione, conferiscono a quest’ultima un mandato a contrattare in proprio nome) (Santoro Passarelli), nonché a coloro che abbiano espressamente aderito ai contratti collettivi o li abbiano implicitamente recepiti mediante comportamenti concludenti desumibili da una prolungata applicazione nel tempo dei contratti stessi (Cass. n. 16340/2009). Ne consegue che, se una delle parti del rapporto di lavoro fa riferimento, nel corso di un processo di lavoro, alla clausola di un determinato contratto collettivo di lavoro, il giudice ha il compito di accertare, pur in mancanza dell’iscrizione alle associazioni sindacali stipulanti, se dagli atti siano desumibili elementi tali da indurre a ritenere ugualmente sussistente la vincolatività della contrattazione collettiva invocata (Cass. 24336/2013). È rimasto, invece, inattuato l’art. 39, co. 4, Cost., secondo cui i sindacati (registrati e dotati di personalità giuridica) avrebbero potuto stipulare contratti collettivi di lavoro efficaci erga omnes, ossia nei confronti di tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce. Ciò non ha impedito, però, ai sindacati di stipulare contratti collettivi e di sviluppare comunque un complesso sistema di contrattazione assoggettato, come accennato, alle regole del diritto privato. Nella prassi i contratti collettivi sono di fatto estesi anche nei confronti dei lavoratori non iscritti al sindacato stipulante. Si tende, in particolare, sia per ragioni di equità e opportunità, sia in applicazione del dettato dell’art. 36 Cost., a ritenere le condizioni in essi previste come minimi retributivi che non possono essere derogati in peggio dal singolo contratto di lavoro, anche quando quest’ultimo è stipulato da un soggetto che non aderisce al sindacato. 24 COMP_681_CompendioDirittoLavoro_2015_1.indb 24 15-07-2015 15:38:22 Capitolo 1 | Le fonti del diritto del lavoro Il contenuto dei contratti collettivi può distinguersi in: – contenuto normativo, costituito dalle prescrizioni alle quali si dovranno uniformare i contratti individuali di lavoro che verranno stipulati tra il singolo datore di lavoro e il singolo lavoratore. Vi rientrano sia le regole relative alle condizioni di lavoro e ai diritti dei lavoratori di carattere non immediatamente patrimoniale, quali quelle che fanno riferimento a orario di lavoro, sicurezza, ferie o avanzamenti di carriera (contenuto normativo in senso stretto), sia le regole relative alle condizioni retributive, attinenti, cioè, alla retribuzione e alle sue integrazioni o maggiorazioni (parte economica); – contenuto obbligatorio, costituito dall’insieme delle clausole che obbligano le associazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro a tenere determinati comportamenti, la cui violazione determina l’insorgenza di una responsabilità delle stesse associazioni. Può trattarsi di clausole istituzionali (che individuano organi o istituti particolari con il fine di assolvere a specifici compiti), di clausole di amministrazione (che istituiscono collegi di conciliazione o di arbitrato o particolari organi paritetici con il compito di risolvere reclami e controversie, sia individuali che collettivi, insorgenti su determinate materie), di clausole di tregua sindacale (che impegnano le parti contrattuali dei lavoratori a non fare ricorso all’azione diretta e a non organizzare agitazioni per conseguire la modifica del contratto prima della sua scadenza naturale e senza che si presenti un valido motivo di revisione dello stesso), ecc. La durata dei contratti collettivi è, solitamente, biennale o triennale. Alla scadenza, si procede alla rinnovazione del contratto mediante una procedura i cui momenti essenziali sono i seguenti: – preparazione ed elaborazione della proposta contrattuale; – negoziazione ed eventuale mediazione dei pubblici poteri; – accordo finale. Già prima della scadenza, le organizzazioni sindacali solitamente presentano delle piattaforme rivendicative (cd. “pacchetti”), contenenti specifiche richieste che rappresentano la base della successiva contrattazione. Poiché il rapporto di lavoro è un rapporto di durata, i contratti collettivi possono modificare, in peius, la posizione di una delle parti, anche mediante la modifica del sistema di calcolo della retribuzione riguardo a un periodo già trascorso, salvo il limite della ragionevolezza (ad esempio, la contrattazione collettiva aziendale può escludere l’attribuzione di un premio di produttività già previsto dalla contrattazione collettiva nazionale) (Cass. 17310/2008). Nell’ipotesi di successione tra contratti collettivi, le modificazioni in peius per il lavoratore sono ammissibili con il solo limite dei diritti quesiti, dovendosi escludere che il lavoratore possa pretendere di mantenere come definitivamente acquisito al suo patrimonio un diritto derivante da una norma collettiva non più esistente, in quanto le di- COMP_681_CompendioDirittoLavoro_2015_1.indb 25 25 15-07-2015 15:38:22 Parte I | Nozioni Introduttive. Il rapporto di lavoro sposizioni dei contratti collettivi non si incorporano nel contenuto dei contratti individuali ma operano dall’esterno come fonte eteronoma di regolamento, concorrente con la fonte individuale, sicché le precedenti disposizioni non sono suscettibili di essere conservate secondo il criterio del trattamento più favorevole (art. 2077 c.c.), che riguarda il rapporto fra contratto collettivo e individuale (Cass. 13960/2014). Il contratto di lavoro individuale consiste nell’accordo raggiunto direttamente tra singolo lavoratore e singolo datore di lavoro. L’autonomia privata può ritenersi fonte del diritto in quanto l’art. 1372 c.c. dispone che il contratto ha forza di legge tra le parti; essa, tuttavia, incontra numerosi limiti, in quanto, soprattutto nel campo del lavoro, il legislatore guarda con sfavore al libero dispiegarsi dell’autonomia contrattuale ritenendo che questa, stante la debolezza socio-economica del lavoratore rispetto al datore di lavoro, non garantisca un sufficiente bilanciamento degli interessi in gioco (Persiani-Proia). Pertanto, da un lato, le norme di legge e quelle della disciplina sindacale non sono derogabili dalle parti se non in senso più favorevole al lavoratore; dall’altro, è nullo qualsiasi patto o atto diretto a (art. 15 L. 300/1970): – subordinare l’occupazione di un lavoratore alla condizione che aderisca o meno a un’associazione sindacale o cessi di farne parte; – licenziare un lavoratore, discriminarlo nell’assegnazione di qualifiche o mansioni, nei trasferimenti, nei provvedimenti disciplinari o recargli altrimenti pregiudizio a causa della sua affiliazione o attività sindacale ovvero della sua partecipazione a uno sciopero; – discriminare il lavoratore per motivi politici, religiosi, razziali, di lingua o di sesso, di handicap, di età, di orientamento sessuale o per le sue convinzioni personali. I rapporti tra contratto collettivo e contratto individuale sono regolati dal meccanismo dell’inderogabilità in peius, nel senso che il contratto individuale non può contenere previsioni peggiorative rispetto a quelle contenute nei contratti collettivi; invece, è possibile che il contratto individuale si discosti dal contratto collettivo derogandolo in melius, ossia prevedendo condizioni più favorevoli per il lavoratore. In virtù dell’art. 2077, co. 2, c.c., le clausole difformi dei contratti individuali, preesistenti o successivi al contratto collettivo, sono sostituite di diritto dal contratto collettivo, salvo che contengano condizioni più favorevoli ai prestatori di lavoro. Con riferimento, invece, al rapporto tra la legge e la contrattazione collettiva, tra tali fonti possono stabilirsi tre forme di relazione funzionale: – il contratto collettivo può limitarsi a dare applicazione e a specificare i principi contenuti nella legge (si tratta della funzione ordinaria del contratto collettivo); – il contratto collettivo può disciplinare ex novo un determinato settore, se ciò è espressamente previsto e consentito dalla legge (cd. funzione di disciplina del contratto collettivo); – il contratto collettivo può derogare alle disposizioni di legge, qualora ciò sia consentito da una specifica previsione normativa. 26 COMP_681_CompendioDirittoLavoro_2015_1.indb 26 15-07-2015 15:38:22 Capitolo 1 | Le fonti del diritto del lavoro L’art. 8 D.L. 138/2011, convertito, con modificazioni, dalla L. 148/2011, prevede che i contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale dalle associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda ai sensi della normativa di legge e degli accordi interconfederali vigenti compreso l’accordo interconfederale del 28 giugno 2011, possono contenere specifiche intese, con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati a condizione di essere sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario relativo alle predette rappresentanze sindacali, finalizzate alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, all’adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, all’emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e all’avvio di nuove attività. Queste intese possono riguardare la regolazione delle materie inerenti l’organizzazione del lavoro e della produzione, con riferimento: – agli impianti audiovisivi e alla introduzione di nuove tecnologie; – alle mansioni del lavoratore, alla classificazione e inquadramento del personale; – ai contratti a termine, ai contratti a orario ridotto, modulato o flessibile, al regime della solidarietà negli appalti e ai casi di ricorso alla somministrazione di lavoro; – alla disciplina dell’orario di lavoro; – alle modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni coordinate e continuative a progetto e le partite Iva, alla trasformazione e conversione dei contratti di lavoro e alle conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio, il licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio, il licenziamento della lavoratrice dall’inizio del periodo di gravidanza fino al temine dei periodi di interdizione al lavoro, nonché fino a un anno di età del bambino, il licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale e per la malattia del bambino da parte della lavoratrice o del lavoratore e il licenziamento in caso di adozione o affidamento. Fermo restando il rispetto della Costituzione, nonchè i vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro, le specifiche intese di cui al comma 1 operano anche in deroga alle disposizioni di legge che disciplinano le materie richiamate dal comma 2 e alle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro. COMP_681_CompendioDirittoLavoro_2015_1.indb 27 Le deroghe alla normativa nazionale 27 15-07-2015 15:38:22 Parte I | Nozioni Introduttive. Il rapporto di lavoro d) Gli usi normativi e gli usi aziendali L’uso consiste in un comportamento ripetuto nel tempo in modo costante e uniforme (diuturnitas) da parte di una collettività più o meno ampia di soggetti, accompagnato dalla convinzione della sua conformità a diritto e della sua necessità giuridica (opinio iuris ac necessitatis). Gli usi in materia di diritto del lavoro sono sempre dispositivi, in quanto si applicano, di regola, solo in mancanza di disposizioni di legge o di contratto collettivo e non possono derogare la disciplina del contratto collettivo né prevalere su quella del contratto individuale. Tuttavia, se sono più favorevoli al lavoratore, prevalgono sulle norme dispositive di legge (art. 2078 c.c.). Uso aziendale 28 Da tale categoria di usi – usi normativi – va tenuta distinta quella degli usi aziendali, consistenti in un comportamento del datore di lavoro il quale riconosce, spontaneamente e in via continuativa, a tutti i dipendenti o a ristrette e omogenee categorie di essi, un trattamento non previsto dalla contrattazione collettiva né dai contratti individuali di lavoro (Cass. 13816/2008). Per la formazione degli usi aziendali è necessaria unicamente la sussistenza di una prassi generalizzata – che si realizza attraverso la mera reiterazione di comportamenti posti in essere spontaneamente e non già in esecuzione di un obbligo – che riguardi i dipendenti anche di una sola azienda e che comporti per essi un trattamento più favorevole rispetto a quello previsto dalla legge o dalla contrattazione collettiva (Cass. 22927/2012). Tali usi possono riguardare la concessione di prestazioni economiche suppletive (gratifiche, premi ecc.) o le stesse condizioni di lavoro (si pensi, ad esempio, alla riduzione dell’orario lavorativo, fermo restando il diritto alla retribuzione, in coincidenza di particolari eventi, o alla fruizione di permessi sindacali oltre quelli previsti dalla legge). La giurisprudenza, da tempi ormai risalenti, ritiene che i comportamenti tenuti dal datore di lavoro con apprezzabile continuità o reiterazione nei confronti dell’intero personale o di settori più o meno ampi dello stesso, modifica stabilmente la regolamentazione dei rapporti di lavoro dei soggetti favoriti dall’uso aziendale, compresi coloro che ne entrano a far parte in un tempo successivo (Cass. S.U. 3134/1994 e 3101/1995). Gli indirizzi espressi in tema di uso o prassi aziendale hanno precisato che la modifica migliorativa stabile trova la sua origine in un compor- COMP_681_CompendioDirittoLavoro_2015_1.indb 28 15-07-2015 15:38:22 Capitolo 1 | Le fonti del diritto del lavoro tamento spontaneo dell’imprenditore il quale attribuisca ai dipendenti, senza esservi obbligato, un trattamento economico o normativo non previsto né dal contratto individuale né dal contratto collettivo. Per la formazione degli usi aziendali è necessaria, come accennato, la sussistenza di una prassi generalizzata che comporti, per i dipendenti, l’attribuzione di un trattamento più favorevole rispetto a quello previsto dalla legge o dalla contrattazione collettiva; qualora il comportamento in questione non sia generalizzato ma riguardi singoli lavoratori specificamente individuati, resi oggetto di valutazione personalizzate o parti di trattative individuali, non ci si trova di fronte a un uso aziendale ma a una molteplicità di patti individuali, ciascuno fonte di un distinto obbligo contrattuale nei confronti del singolo destinatario (Trib. Cagliari 11-10-2005). Il predetto comportamento spontaneo, infine, non deve essere isolato, poiché se il datore di lavoro erogasse una sola volta a tutti i suoi dipendenti una beneficio non previsto dal contratto individuale o collettivo, nessun diritto potrebbe sorgere dalla successiva erogazione del beneficio al verificarsi della medesima situazione. È la ripetizione del comportamento per un certo periodo di tempo a rendere il beneficio “usuale”, facendo nascere l’obbligo di compensare con esso il lavoro svolto in una determinata azienda. Dalla breve ricognizione degli elementi ritenuti essenziali per configurare un uso aziendale emerge con evidenza come sia compito del giudice accertare i fatti indispensabili per ritenerlo realizzato in concreto. Gli usi aziendali sono, quindi, riconducibili alla categoria degli usi negoziali o di fatto (art. 1340 c.c.) – che, in quanto tali, si distinguono dalla categoria degli usi normativi, caratterizzati dai requisiti della generalità nonché dell’opinio iuris ac necessitatis, e sono suscettibili di inserzione automatica nel contratto individuale di lavoro, con idoneità a derogare soltanto in melius la disciplina collettiva –, rispetto ai quali rileva la reiterazione, nei confronti di una collettività più o meno ampia di destinatari, del comportamento del datore di lavoro, purché caratterizzato dal requisito della spontaneità. e) L’equità Infine, costituisce fonte di diritto anche l’equità (criterio valutativo discrezionale utilizzato dal giudice nel decidere le controversie di lavoro, che prescinde dal ricorso a indici prestabiliti e comporta, invece, la valutazione e il contemperamento degli interessi delle parti), alla quale il legislatore fa riferimento per individuare la disciplina del rapporto in mancanza di altre fonti. COMP_681_CompendioDirittoLavoro_2015_1.indb 29 29 15-07-2015 15:38:22 Parte I | Nozioni Introduttive. Il rapporto di lavoro In particolare: – l’art. 2109, co. 2, c.c., stabilisce che il lavoratore ha diritto, anche prima del termine del primo anno lavorativo, a un periodo di ferie retribuito nel periodo stabilito dall’imprenditore, tenuto conto delle esigenze dell’impresa e degli interessi del lavoratore. La durata di tale periodo è stabilita dalla legge, dagli usi o secondo equità; – l’art. 2110, co. 1 e 2, c.c., dispone che in caso di infortunio, malattia, gravidanza o puerperio, se la legge non stabilisce forme equivalenti di previdenza o di assistenza, è dovuta al prestatore di lavoro la retribuzione o un’indennità nella misura e per il tempo determinati dalle leggi speciali, dagli usi o secondo equità. Inoltre, negli stessi casi, l’imprenditore ha diritto di recedere dal contratto (art. 2118 c.c.) decorso il periodo stabilito dalla legge, dagli usi o secondo equità. NOZIONE Atti e fatti idonei a produrre norme giuridiche incidenti sulla materia del lavoro FONTI DEL DIRITTO DEL LAVORO TIPOLOGIE Fonti sovranazionali: - trattati internazionali - atti dell’O.I.L. - atti dell’Unione Europea (regolamenti, decisioni e direttive) Fonti normative nazionali: - Costituzione - Leggi ordinarie e atti aventi forza di legge (decreti legislativi e decreti legge) - regolamenti amministrativi Fonti contrattuali: - contratti collettivi - contratti individuali Usi normativi e usi aziendali Equità 30 COMP_681_CompendioDirittoLavoro_2015_1.indb 30 15-07-2015 15:38:23 Capitolo 1 | Le fonti del diritto del lavoro f) La gerarchia delle fonti secondo la Corte di Giustizia europea Nei paragrafi precedenti abbiamo visto che la Corte costituzionale ha affermato la prevalenza dei principi fondamentali della Costituzione italiana (tra i quali, ad esempio, la libertà di attività sindacale) sulle regole europee. Questa affermazione è stata messa in discussione da due sentenze della Corte di Giustizia europea (sentenza Laval, causa C-341/05, e sentenza Viking, causa C-438/05), che hanno affermato il primato dell’ordinamento europeo rispetto ai principi fondamentali delle Costituzioni nazionali, stabilendo la seguente gerarchia delle fonti: – Trattato dell’Unione europea (TUE) e tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri; – norme europee derivate dal Trattato (regolamenti, direttive etc.); – Costituzioni nazionali; – leggi nazionali; – contratti collettivi. Secondo la Corte di Giustizia, l’ordine gerarchico non può essere rovesciato attribuendo, ad esempio, un ruolo preminente al contratto collettivo nazionale – e, con esso, al diritto di sciopero ivi previsto – qualora le fonti sovraordinate non lo consentano. Così, una legge nazionale, senza il placet della normativa europea, non può non attribuire rilevanza al contratto collettivo di un altro Paese membro e attribuire importanza esclusiva al contratto nazionale. Pertanto, lo sciopero e la contrattazione collettiva effettuati anche solo su scala nazionale vanno bilanciati, nel loro esercizio e nel loro impatto, con i principi europei, tra i quali il diritto di concorrenza e il diritto di stabilimento. Questo bilanciamento è retto dal principio di proporzionalità: le forme di lotta non devono essere eccessive né devono perseguire obiettivi gravosi per la controparte. Principio di proporzionalità La Corte di Giustizia, da sola o in collegamento col giudice nazionale, è autorizzata a valutare le modalità e gli obiettivi dello sciopero. Ad esempio, i due giudici (europeo e nazionale) sono autorizzati a valutare se, in concreto, i posti o le condizioni di lavoro erano compromessi o seriamente minacciati; e anche in caso di seria minaccia, i due giudici sono altresì autorizzati a verificare se l’azione intrapresa dal sindacato sia adeguata per garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito e non vada al di là di ciò che è necessario per conseguirlo. È possibile, in particolare, valutare se il sindacato non disponga di strumenti alternativi all’azione collettiva, da utilizzare solo come estrema ratio e in modi non eccessivi. Occorre aggiungere che l’interpretazione del diritto europeo adottata dalla Corte di giustizia ha efficacia ultra partes, sicché alle sentenze COMP_681_CompendioDirittoLavoro_2015_1.indb 31 31 15-07-2015 15:38:23 Parte I | Nozioni Introduttive. Il rapporto di lavoro dalla stessa rese, sia pregiudiziali e sia emesse in sede di verifica della validità di una disposizione, va attribuito il valore di ulteriore fonte del diritto europeo, ma non nel senso che esse creino ex novo norme europee, bensì in quanto ne indicano il significato e i limiti di applicazione, con efficacia erga omnes nell’ambito dell’Unione europea; la conseguenza è che il giudice nazionale deve disapplicare la norma dell’ordinamento interno, per incompatibilità con il diritto europeo, sia nel caso in cui il conflitto insorga con una disciplina prodotta dagli organi dell’Unione europea mediante regolamento, sia nel caso in cui il contrasto sia determinato da regole generali dell’ordinamento europeo ricavate in sede di interpretazione dell’ordinamento stesso da parte della Corte di giustizia (Cons. Stato 1020/2014). 3 Il Titolo V della Costituzione La L. Cost. 3/2001, che ha modificato il Titolo V della Costituzione, ha delineato un nuovo quadro delle competenze in materia di lavoro, stabilendo che (art. 117 Cost.): – la disciplina delle linee generali dei rapporti individuali di lavoro, essendo riconducibile all’“ordinamento civile”, è affidata in via esclusiva allo Stato; allo Stato, inoltre, sono affidate, in via esclusiva, la “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”, la “tutela della concorrenza” e la “previdenza sociale”; – alle Regioni è attribuita competenza concorrente per ciò che riguarda la “tutela e sicurezza del lavoro”, ossia la gestione della fase dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro, nonché la “salute” e la “previdenza complementare e integrativa”. A quest’ultimo proposito, la previdenza obbligatoria o di base deve essere regolata uniformemente su tutto il territorio nazionale (in coerenza, peraltro, con la competenza statale a fissare i livelli essenziali delle prestazioni relative ai diritti civili e sociali), mentre le forme di previdenza aggiuntiva (non obbligatorie) possono tollerare anche diversificazioni (sempre però nel rispetto dei principi fondamentali fissati dalla legge dello Stato). Prima della L. cost. 3/2001, l’art. 117 Cost. attribuiva alla competenza legislativa concorrente Stato-Regioni solamente la materia (in ambito lavoristico) dell’“istruzione artigiana e professionale”. 32 COMP_681_CompendioDirittoLavoro_2015_1.indb 32 15-07-2015 15:38:23 Capitolo 1 | Le fonti del diritto del lavoro Il D.Lgs. 469/1997 aveva poi ampliato la competenza delle Regioni, attribuendo loro anche la potestà legislativa in materia di organizzazione dei sistemi regionali di politica del lavoro, da esercitarsi soltanto in attuazione delle norme dettate in materia dal legislatore nazionale. Pertanto, la potestà legislativa delle Regioni rimaneva finalizzata alla sola attuazione della disciplina statale e restava del tutto integra la facoltà del legislatore ordinario di avocare nuovamente a sé ogni potestà normativa a mezzo di una successiva legge ordinaria. La competenza legislativa concorrente ricomprende anche la gestione del collocamento, ovvero la regolamentazione del collocamento in tutte le sue forme (ordinario, obbligatorio, speciale) e i servizi per l’impiego, ovvero i servizi di informazione, orientamento, promozione dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro e di mediazione tra domanda e offerta (Carinci). All’area sopra indicata dovrebbe aggiungersi quella relativa alle politiche attive del lavoro, intendendo per tali, ad esempio, gli incentivi alle assunzioni di soggetti appartenenti a fasce deboli o svantaggiate, i sostegni alla nuova imprenditoria giovanile e femminile, i lavori socialmente utili, le politiche per l’inserimento al lavoro di soggetti disabili o svantaggiati, i tirocini formativi e di orientamento. Quanto agli ammortizzatori sociali (indennità di disoccupazione e cassa integrazione), sembra difficile, per la loro correlazione con la situazione di disoccupazione e con lo status professionale dei destinatari (cfr. art. 38, co. 2, Cost.), non ricondurli al concetto di “previdenza sociale”, demandata in via esclusiva alla competenza legislativa statale (Persiani). Resta da verificare se tutta l’area relativa alla sicurezza del lavoro rientri o meno nella competenza concorrente della Regione. Una volta che la legge nazionale ne abbia determinato i principi fondamentali, essa può essere regolata da una disciplina diversificata in funzione del territorio, se esistono specifiche situazioni ambientali che possono mettere a repentaglio la salute dei lavoratori. Questa conclusione appare coerente con il fatto che la materia della tutela della salute rientra tra quelle di competenza concorrente (Persiani). 33 COMP_681_CompendioDirittoLavoro_2015_1.indb 33 15-07-2015 15:38:23 Parte I | Nozioni Introduttive. Il rapporto di lavoro sai rispondere? 1. Quali sono le fonti del diritto del lavoro? 2. Quali norme costituzionali assumono rilievo in ambito lavoristico? 3. Cosa si intende per contratto collettivo di lavoro e qual è il suo contenuto? 4. Qual è il rapporto tra contratto collettivo di lavoro e contratto individuale di lavoro? 5. Cosa sono gli usi aziendali e qual è la loro natura? 34 COMP_681_CompendioDirittoLavoro_2015_1.indb 34 15-07-2015 15:38:23