Le fontI deL dIrItto deL Lavoro

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Le fonti del diritto del lavoro
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Generalità
Il diritto del lavoro può essere definito come l’insieme delle norme che disciplinano la relazione giuridica intercorrente tra il
prestatore e il datore di lavoro, ossia il rapporto di lavoro.
Tale relazione rappresenta un rapporto giuridico complesso, avente ad oggetto l’obbligo del lavoratore di prestare la propria attività,
l’obbligo del datore di corrispondere la retribuzione e una molteplicità di situazioni giuridiche soggettive attive e passive facenti capo
alle due parti del rapporto.
Il diritto
del lavoro
Il lavoro dell’uomo è preso in considerazione dall’ordinamento in quanto idoneo a produrre un risultato economicamente utile e, quindi, a formare oggetto di un’obbligazione
consistente nella prestazione di un’attività lavorativa. Peraltro, poiché tale obbligazione
coinvolge anche la persona del debitore, la normativa in materia di lavoro non si limita a
occuparsi dei profili economico-patrimoniali del rapporto di lavoro, ma si estende fino a
tutelare la persona stessa del lavoratore (Persiani-Proia).
Il diritto del lavoro è una disciplina giuridica relativamente nuova sviluppatasi a partire dalla prima metà dell’Ottocento, quando emerse con tutta evidenza la necessità di conciliare le esigenze della tutela
dei lavoratori con quelle della produzione -, che presenta connotazioni peculiari rispetto agli altri settori del diritto, in quanto si sottrae
alla partizione tradizionale tra diritto pubblico e diritto privato.
Difatti, in esso si combinano:
- norme di diritto privato, poste a tutela di interessi privati e individuali;
- norme di diritto pubblico, che impongono obblighi legali a carico
delle parti del rapporto di lavoro;
- norme di diritto processuale, volte a regolare le procedure poste
a tutela dei diritti dei lavoratori (e dei datori di lavoro);
- norme di diritto sindacale, relative all’attività e all’organizzazione delle associazioni sindacali.
La dottrina tradizionale distingue, nell’ambito del diritto del lavoro
inteso in senso ampio:
Confluenza
di norme
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Parte I | Nozioni Introduttive. Il rapporto di lavoro
- il diritto del lavoro in senso stretto, attinente alla regolamentazione dei rapporti individuali di lavoro subordinato, nonché di altri
rapporti di lavoro, diversi dal lavoro subordinato, ritenuti anch’essi
meritevoli di tutela giuridica;
- il diritto sindacale, che regola l’attività e l’organizzazione delle associazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro;
- il diritto della previdenza sociale, che tutela il lavoratore in presenza di specifiche situazioni di bisogno, riconoscendogli un reddito
sostitutivo o integrativo di quello di lavoro.
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Le fonti
La gerarchia delle fonti
Il sistema delle fonti del diritto del lavoro (inteso in senso stretto),
ossia degli atti e dei fatti idonei a produrre norme giuridiche
incidenti sulla materia lavoristica, è particolarmente variegato, in
quanto in esso confluiscono una molteplicità di atti idonei a incidere
sulla regolamentazione del rapporto di lavoro.
In via generale, le fonti che concorrono alla produzione del diritto del
lavoro possono essere così suddivise:
- fonti sovranazionali (internazionali e comunitarie);
- fonti normative nazionali;
- fonti contrattuali;
- gli usi;
- l’equità.
a) Le fonti sovranazionali
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Gli ordinamenti degli Stati più evoluti hanno messo a punto un sistema omogeneo di norme adeguato a tutelare i valori essenziali
della persona del lavoratore, impedendone lo sfruttamento che sarebbe stato inevitabile se la regolamentazione del rapporto di lavoro
fosse stata affidata al libero mercato.
In questa prospettiva, si assiste a un duplice livello di tutela:
- il primo livello è legato alla partecipazione dello Stato italiano alla
Comunità internazionale;
- il secondo livello discende dalla partecipazione dello Stato italiano
all’Unione europea.
Con riferimento al primo livello (internazionale), oltre ai vari trattati
internazionali, rivestono fondamentale importanza gli atti emanati
Capitolo 1 | Le fonti del diritto del lavoro
dall’O.I.L. (Organizzazione internazionale del lavoro, nata nel 1917,
della quale fanno parte gli Stati membri dell’Organizzazione delle
Nazioni Unite e deputata a favorire il progresso delle classi lavoratrici nel mondo), e cioè:
- le raccomandazioni, atti privi di valore impegnativo attraverso i
quali si auspica che gli Stati destinatari si attivino per la risoluzione
di un determinato problema;
- i progetti di convenzione, atti che assumono valore di norme interne a seguito della loro ratifica ad opera dei singoli Stati.
Con riferimento al secondo livello (europeo), occorre ricordare che
l’Italia ha aderito alla Comunità economica europea (istituita con il
trattato di Roma del 25-3-1957, ratificato in Italia con L. 14-10-1957,
n. 1203), diventata poi Unione europea (istituita con il Trattato di
Maastricht del 7-2-1992, ratificato in Italia con L. 3-11-1992, n. 454,
e successivamente ampliata con il Trattato di Amsterdam del 2-101997, ratificato in Italia con L. 16-6-1998, n. 209).
Gli atti emanati dall’Unione europea, a differenza delle norme adottate dalle istituzioni internazionali, possono produrre efficacia immediata e diretta all’interno dei singoli Stati membri. Ciò vale, in particolare, per i regolamenti - atti contenenti precetti generali e astratti,
che tendono ad uniformare le legislazioni nazionali - e le decisioni
- atti contenenti regole riferite a situazioni specifiche e particolari -,
che sono direttamente applicabili all’interno dei singoli Stati membri e prevalgono sulle norme di diritto interno incompatibili con essi
(Corte cost. 232/1989).
Invece, le direttive comunitarie sono atti che vincolano lo Stato
membro cui sono rivolte soltanto per quanto riguarda il fine da raggiungere, ossia impegnano i singoli Stati a realizzare gli obiettivi in
esse previsti, ferma restando la competenza degli organi nazionali
in ordine alla scelta dei mezzi e delle forme reputati più idonei per il
raggiungimento di tali scopi.
Una particolare tipologia di direttive è rappresentata dalle cd. direttive autoesecutive
(o self-executing), ossia contenenti disposizioni chiare, precise e incondizionate, che
hanno efficacia diretta nei confronti dello Stato pur in mancanza di norme interne di
recepimento.
La primazia del diritto europeo sul diritto interno incontra, tuttavia,
il limite dei principi fondamentali dell’ordinamento dei singoli Stati
membri. Pertanto, le norme europee non possono contrastare con
i principi fondamentali della Costituzione repubblicana (tra le
altre, Corte cost. 232/1989).
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Parte I | Nozioni Introduttive. Il rapporto di lavoro
b) Le fonti normative nazionali
La
Costituzione
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A un livello immediatamente inferiore alle fonti internazionali ed europee si collocano le fonti normative statali, ovvero:
- la Costituzione, che si pone al vertice della gerarchia delle fonti, i
cui principi fondamentali, come accennato, non possono essere contraddetti neanche dalle fonti sovranazionali;
- le leggi ordinarie e gli altri atti aventi forza di legge (decreti legislativi e decreti-legge), collocati in posizione subordinata rispetto
alla Costituzione;
- i regolamenti di attuazione o di esecuzione delle leggi e degli atti alla
legge equiparati, emanati dal Governo, dai ministri con proprio decreto
o da altre autorità amministrative. Tali regolamenti non possono modificare le leggi e gli altri atti aventi forza di legge, né derogare a essi.
La Costituzione considera il rapporto di lavoro come il più importante rapporto tra soggetti privati. Infatti, tra le garanzie costituzionali che fanno riferimento ai rapporti tra privati, quelle relative al
rapporto di lavoro sono di gran lunga prevalenti.
Il rilievo dato dalla Costituzione al lavoro si ricava, anzitutto, dall’art.
1, co. 1, ai sensi del quale “L’Italia è una Repubblica democratica
fondata sul lavoro”.
Inoltre, vengono in rilievo altre norme costituzionali:
- l’art. 2, che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo,
sia come singolo sia nelle formazioni sociali nelle quali si svolge la
sua personalità: tale disposizione, da un lato, ha contribuito all’ampliamento della categoria dei diritti civili dei lavoratori e, dall’altro,
ha conferito efficacia interprivata alle libertà fondamentali;
- l’art. 3, che sancisce il principio dell’eguaglianza giuridica e, dunque, sancisce il divieto, per il legislatore, di operare trattamenti discriminatori fra le varie categorie di lavoratori; peraltro, poiché il
principio di eguaglianza non ha natura soltanto formale ma anche
sostanziale, sono consentiti trattamenti differenziati in presenza di
situazioni diverse;
- l’art. 4, volto a eliminare le disuguaglianze sostanziali tra lavoratori
(“La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro”) e a
sancire il dovere di svolgere un’attività o una funzione che contribuiscano al progresso materiale o spirituale della società, dovere non
sanzionabile penalmente stante l’inammissibilità, nel nostro ordinamento, del lavoro coatto;
- l’art. 35, che dispone che la Repubblica tutela il lavoro in tutte le
sue forme, la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori,
Capitolo 1 | Le fonti del diritto del lavoro
promuove gli accordi e le organizzazioni internazionali volti ad affermare i diritti dei lavoratori e riconosce la libertà di emigrazione;
- l’art. 36, che enuncia il diritto del lavoratore a una retribuzione proporzionata e sufficiente, nonché il diritto irrinunciabile al riposo settimanale e alle ferie, ponendo altresì il principio che la durata massima della giornata lavorativa deve essere stabilita con legge;
- l’art. 37, relativo al lavoro femminile e al lavoro minorile (tale disposizione stabilisce, tra l’altro, che alla donna lavoratrice spetta, a
parità di lavoro, la stessa retribuzione dei lavoratori maschi);
- l’art. 38, in cui è prefigurato l’intervento assistenziale nonché quello
previdenziale a favore dei lavoratori subordinati in caso di infortunio,
malattia, invalidità, vecchiaia e disoccupazione involontaria;
- l’art. 39, che tratta della libertà sindacale, del sindacato riconosciuto e del contratto collettivo;
- l’art. 40, a norma del quale “Il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano”.
Le norme costituzionali rivestono particolare importanza in quanto (Persiani-Proia):
- individuano i criteri direttivi ai quali il legislatore deve attenersi nel porre mano alla
materia del lavoro;
- dettano principi direttamente applicabili nei rapporti tra privati, prevedendo condizioni minime di tutela sottratte alla libera contrattazione delle parti (si pensi, ad esempio,
al principio della retribuzione proporzionata e sufficiente ex art. 36 Cost.);
- orientano l’attività interpretativa delle norme di legge, in quanto, se a una legge possono essere attribuiti più significati, deve essere preferito quello maggiormente conforme
ai principi costituzionali.
La legge ordinaria (nonché gli atti a essa equiparati, decreti-legge
e decreti legislativi) è lo strumento principale con cui lo Stato disciplina il rapporto di lavoro.
Alla fine dell’800, scalzando il principio, fino a quel momento dominante, che voleva i rapporti di lavoro sottratti all’ingerenza pubblica,
le leggi furono volte ad arginare lo sfruttamento del lavoro, in particolare delle donne e dei minori, nonché a garantire speciali tutele
ai lavoratori, istituendo, ad esempio, un’assicurazione obbligatoria
contro gli infortuni sul lavoro.
Successivamente, gli interventi legislativi hanno assunto una portata
sempre più ampia, disciplinando ogni aspetto del rapporto di lavoro.
Nell’ambito delle leggi ordinarie, una posizione preminente, quale
fonte del diritto del lavoro, spetta al codice civile e, in particolare,
al Libro V, intitolato “Del lavoro”, che contiene la disciplina generale
del rapporto di lavoro subordinato (vedi Cap. 2, par. 2).
Leggi
ordinarie
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Parte I | Nozioni Introduttive. Il rapporto di lavoro
Peraltro, non tutte le norme contenute nel Libro V riguardano la materia del lavoro, così come molte norme appartenenti al diritto del
lavoro sono contenute in altri libri del codice o in leggi speciali. In
particolare, dopo il varo del codice civile (1942) si sono succedute
numerose leggi che hanno disciplinato il rapporto di lavoro adeguandolo ai principi della Costituzione del 1948, leggi a mezzo delle quali
sono state intensificate le tutele previste dal codice civile e predisposte tutele ulteriori rispetto a queste ultime (si pensi, ad esempio,
alla L. 741/1959, che ha garantito a tutti i lavoratori un trattamento
economico minimo, alla L. 1369/1960, che ha vietato l’appalto di manodopera, alla L. 604/1966, che ha posto limiti al potere di recesso
del datore di lavoro, e soprattutto alla L. 300/1970 - cd. Statuto dei
lavoratori -, che ha opportunamente introdotto norme a tutela della
libertà e della dignità del lavoratore, della libertà sindacale ecc.).
Peraltro, con la L. 30/2003 (cd. legge-Biagi) e con la recente “riforma Fornero” (L.
92/2012), si è assistito a un’inversione di tendenza che, anziché consolidare le tutele
dei lavoratori garantite dalla normativa summenzionata, ha reso “flessibile” il rapporto di
lavoro introducendo forme di lavoro caratterizzate dalla precarietà e dalla temporaneità,
col fine di garantire la produttività delle imprese (vedi Cap. 2).
Decreti
legislativi
e decreti
legge
Alle leggi ordinarie sono equiparati gli atti normativi aventi forza di
legge, ovvero:
- i decreti legislativi (art. 76 Cost.), che hanno trovato ampia applicazione in materia di lavoro, soprattutto in virtù della legge-delega
741/1959, che autorizzò il Governo a recepire, appunto con decreto
legislativo, in via transitoria, i contratti collettivi fino a quel momento
stipulati per conferire ai medesimi efficacia generale;
- i decreti-legge di cui all’art. 77, co. 2 e 3, Cost., ossia atti normativi
emanati dal Governo in situazioni di necessità e urgenza, i quali perdono efficacia se non sono convertiti in legge dal Parlamento nei
successivi sessanta giorni. I decreti-legge hanno conosciuto una notevole diffusione in materia di lavoro, soprattutto negli ultimi tempi
(si pensi, ad esempio, ai decreti-legge sul costo della forza lavoro o
al D.L. 35/2005, noto come “decreto competitività”).
c) Le fonti contrattuali
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Non tutta la disciplina relativa alla materia del lavoro è contenuta nel
codice, nelle leggi integratrici, nei decreti-legge e nei decreti legislativi emanati dal Governo.
Capitolo 1 | Le fonti del diritto del lavoro
Infatti, alla suddetta regolamentazione vanno aggiunti il contratto
collettivo di lavoro e il contratto individuale di lavoro.
Il contratto collettivo è il contratto stipulato tra il sindacato dei lavoratori e l’associazione sindacale degli imprenditori al fine di stabilire il trattamento minimo garantito e le condizioni di lavoro a cui
dovranno uniformarsi i singoli contratti individuali.
Il contratto collettivo può essere concluso a livello:
- confederale, se è stipulato tra le confederazioni nazionali che
rappresentano interi rami delle attività economiche, ed è relativo a
istituti di generale applicazione;
- nazionale di categoria, se è stipulato tra le organizzazioni sindacali di categoria, e detta la disciplina generale delle condizioni minime di trattamento della forza-lavoro;
- aziendale, stipulato direttamente dal singolo datore di lavoro e,
per i lavoratori, dal solo organismo sindacale aziendale, che detta la
disciplina delle condizioni di trattamento dei dipendenti all’interno
dell’azienda. I contratti collettivi aziendali sono applicabili a tutti i lavoratori dell’azienda, ancorché non iscritti alle organizzazioni sindacali stipulanti, con l’unica eccezione di quei lavoratori che, aderendo
a un’organizzazione sindacale diversa, ne condividono l’esplicito dissenso dall’accordo medesimo e potrebbero addirittura essere vincolati a un accordo sindacale separato e diverso (Cass. 10353/2004).
Contratto
collettivo e
individuale
Nell’ipotesi in cui i contratti di diverso livello predispongano discipline tra loro contrastanti,
il criterio risolutore del conflitto deve essere individuato nel criterio della specialità, ossia
nella preferenza accordata alla disciplina speciale rispetto a quella generale.
I contratti collettivi sono contratti di diritto comune, ossia sono
assoggettati alla disciplina prevista dal codice civile per i contratti
in generale, con la conseguenza che, al pari di tutti gli altri contratti,
si applicano solamente ai soggetti iscritti alle associazioni stipulanti (i quali, attraverso l’adesione all’associazione, conferiscono a
quest’ultima un mandato a contrattare in proprio nome) (Santoro
Passarelli), nonché a coloro che abbiano espressamente aderito
ai contratti collettivi o li abbiano implicitamente recepiti mediante
comportamenti concludenti desumibili da una prolungata applicazione nel tempo dei contratti stessi (Cass. n. 16340/2009).
È rimasto, invece, inattuato l’art. 39, co. 4, Cost., secondo cui i sindacati (registrati e dotati di personalità giuridica) avrebbero potuto
stipulare contratti collettivi di lavoro efficaci erga omnes, ossia nei
confronti di tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto
Natura del
contratto
collettivo
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Parte I | Nozioni Introduttive. Il rapporto di lavoro
si riferisce. Ciò non ha impedito, però, ai sindacati di stipulare contratti collettivi e di sviluppare comunque un complesso sistema di
contrattazione assoggettato, come accennato, alle regole del diritto
privato.
Nella prassi i contratti collettivi sono di fatto estesi anche nei confronti dei lavoratori
non iscritti al sindacato stipulante. Si tende, in particolare, sia per ragioni di equità e
opportunità, sia in applicazione del dettato dell’art. 36 Cost., a ritenere le condizioni in
essi previste come minimi retributivi che non possono essere derogati in peggio dal
singolo contratto di lavoro, anche quando quest’ultimo è stipulato da un soggetto che
non aderisce al sindacato.
Il contenuto dei contratti collettivi può distinguersi in:
- contenuto normativo, costituito dalle prescrizioni alle quali si dovranno uniformare i contratti individuali di lavoro che verranno stipulati tra il singolo datore di lavoro e il singolo lavoratore. Vi rientrano
sia le regole relative alle condizioni di lavoro e ai diritti dei lavoratori di carattere non immediatamente patrimoniale, quali quelle che
fanno riferimento a orario di lavoro, sicurezza, ferie o avanzamenti
di carriera (contenuto normativo in senso stretto), sia le regole
relative alle condizioni retributive, attinenti, cioè, alla retribuzione e
alle sue integrazioni o maggiorazioni (parte economica);
- contenuto obbligatorio, costituito dall’insieme delle clausole che
obbligano le associazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro a tenere
determinati comportamenti, la cui violazione determina l’insorgenza di una responsabilità delle stesse associazioni. Può trattarsi di
clausole istituzionali (che individuano organi o istituti particolari
con il fine di assolvere a specifici compiti), di clausole di amministrazione (che istituiscono collegi di conciliazione o di arbitrato
o particolari organi paritetici con il compito di risolvere reclami e
controversie, sia individuali che collettivi, insorgenti su determinate
materie), di clausole di tregua sindacale (che impegnano le parti
contrattuali dei lavoratori a non fare ricorso all’azione diretta e a non
organizzare agitazioni per conseguire la modifica del contratto prima
della sua scadenza naturale e senza che si presenti un valido motivo
di revisione dello stesso), ecc.
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La durata dei contratti collettivi è, solitamente, biennale o triennale.
Alla scadenza, si procede alla rinnovazione del contratto mediante una procedura i cui
momenti essenziali sono i seguenti:
- preparazione ed elaborazione della proposta contrattuale;
- negoziazione ed eventuale mediazione dei pubblici poteri;
- accordo finale.
Capitolo 1 | Le fonti del diritto del lavoro
Già prima della scadenza, le organizzazioni sindacali solitamente presentano delle piattaforme rivendicative (cd. “pacchetti”), contenenti specifiche richieste che rappresentano
la base della successiva contrattazione.
Poiché il rapporto di lavoro è un rapporto di durata, i contratti collettivi possono modificare, in peius, la posizione di una delle parti, anche mediante la modifica del sistema di
calcolo della retribuzione riguardo a un periodo già trascorso, salvo il limite della ragionevolezza (ad esempio, la contrattazione collettiva aziendale può escludere l’attribuzione
di un premio di produttività già previsto dalla contrattazione collettiva nazionale) (Cass.
17310/2008).
Sul sostanziale svuotamento di questa fonte del diritto a seguito della
L. 30/2003, vedi Cap. 2.
Il contratto di lavoro individuale consiste nell’accordo raggiunto
direttamente tra singolo lavoratore e singolo datore di lavoro. L’autonomia privata può ritenersi fonte del diritto in quanto l’art. 1372 c.c.
dispone che il contratto ha forza di legge tra le parti; essa, tuttavia,
incontra numerosi limiti, in quanto, soprattutto nel campo del lavoro,
il legislatore guarda con sfavore al libero dispiegarsi dell’autonomia
contrattuale ritenendo che questa, stante la debolezza socio-economica del lavoratore rispetto al datore di lavoro, non garantisca un
sufficiente bilanciamento degli interessi in gioco (Persiani-Proia).
Pertanto, da un lato, le norme di legge e quelle della disciplina sindacale non sono derogabili dalle parti se non in senso più favorevole
al lavoratore; dall’altro, è nullo qualsiasi patto o atto diretto a (art. 15
L. 300/1970):
- subordinare l’occupazione di un lavoratore alla condizione che aderisca o meno a un’associazione sindacale o cessi di farne parte;
- licenziare un lavoratore, discriminarlo nell’assegnazione di qualifiche o mansioni, nei trasferimenti, nei provvedimenti disciplinari o
recargli altrimenti pregiudizio a causa della sua affiliazione o attività
sindacale ovvero della sua partecipazione a uno sciopero;
- discriminare il lavoratore per motivi politici, religiosi, razziali, di
lingua o di sesso, di handicap, di età, di orientamento sessuale o per
le sue convinzioni personali.
Deve dirsi, comunque, che di recente, soprattutto a seguito della cd.
“legge Biagi” (L. 30/2003), l’autonomia individuale ha guadagnato
spazi sempre maggiori, potendo conformare il rapporto di lavoro nei
modi più disparati (vedi Cap. 2).
I rapporti tra contratto collettivo e contratto individuale sono regolati dal meccanismo dell’inderogabilità in peius, nel senso che il contratto individuale non può contenere
previsioni peggiorative rispetto a quelle contenute nei contratti collettivi; invece, è pos-
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Parte I | Nozioni Introduttive. Il rapporto di lavoro
sibile che il contratto individuale si discosti dal contratto collettivo derogandolo in melius,
ossia prevedendo condizioni più favorevoli per il lavoratore.
In virtù dell’art. 2077, co. 2, c.c., le clausole difformi dei contratti individuali, preesistenti o
successivi al contratto collettivo, sono sostituite di diritto dal contratto collettivo, salvo che
contengano condizioni più favorevoli ai prestatori di lavoro.
Con riferimento, invece, al rapporto tra la legge e la contrattazione collettiva, tra tali
fonti possono stabilirsi tre forme di relazione funzionale:
- il contratto collettivo può limitarsi a dare applicazione e a specificare i principi contenuti
nella legge (si tratta della funzione ordinaria del contratto collettivo);
- il contratto collettivo può disciplinare ex novo un determinato settore, se ciò è espressamente previsto e consentito dalla legge (cd. funzione di disciplina del contratto collettivo);
- il contratto collettivo può derogare alle disposizioni di legge, qualora ciò sia consentito
da una specifica previsione normativa.
Le
deroghe alla
normativa
nazionale
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L’art. 8 D.L. 138/2011, convertito, con modificazioni, dalla L.
148/2011, prevede che i contratti collettivi di lavoro sottoscritti
a livello aziendale o territoriale dalle associazioni dei lavoratori
comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda
ai sensi della normativa di legge e degli accordi interconfederali vigenti compreso l’accordo interconfederale del 28 giugno 2011, possono contenere specifiche intese, con efficacia nei confronti di tutti
i lavoratori interessati a condizione di essere sottoscritte sulla base
di un criterio maggioritario relativo alle predette rappresentanze sindacali, finalizzate alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, all’adozione di forme di partecipazione dei lavoratori,
all’emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività
e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli
investimenti e all’avvio di nuove attività.
Queste intese possono riguardare la regolazione delle materie inerenti l’organizzazione del lavoro e della produzione, con riferimento:
- agli impianti audiovisivi e alla introduzione di nuove tecnologie;
- alle mansioni del lavoratore, alla classificazione e inquadramento
del personale;
- ai contratti a termine, ai contratti a orario ridotto, modulato o flessibile, al regime della solidarietà negli appalti e ai casi di ricorso alla
somministrazione di lavoro;
- alla disciplina dell’orario di lavoro;
- alle modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni coordinate e continuative a progetto e le partite Iva, alla trasformazione e conversione dei contratti di lavoro e
alle conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, fatta eccezione
Capitolo 1 | Le fonti del diritto del lavoro
per il licenziamento discriminatorio, il licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio, il licenziamento della lavoratrice dall’inizio del periodo di gravidanza fino al temine dei periodi
di interdizione al lavoro, nonché fino a un anno di età del bambino, il
licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo
parentale e per la malattia del bambino da parte della lavoratrice o
del lavoratore e il licenziamento in caso di adozione o affidamento.
Fermo restando il rispetto della Costituzione, nonchè i vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali
sul lavoro, le specifiche intese di cui al comma 1 operano anche in
deroga alle disposizioni di legge che disciplinano le materie richiamate dal comma 2 e alle relative regolamentazioni contenute nei
contratti collettivi nazionali di lavoro.
d) Gli usi normativi e gli usi aziendali
L’uso consiste in un comportamento ripetuto nel tempo in modo
costante e uniforme (diuturnitas) da parte di una collettività
più o meno ampia di soggetti, accompagnato dalla convinzione
della sua conformità a diritto e della sua necessità giuridica
(opinio iuris ac necessitatis).
Gli usi in materia di diritto del lavoro sono sempre dispositivi, in
quanto si applicano, di regola, solo in mancanza di disposizioni di
legge o di contratto collettivo e non possono derogare la disciplina
del contratto collettivo né prevalere su quella del contratto individuale. Tuttavia, se sono più favorevoli al lavoratore, prevalgono sulle
norme dispositive di legge (art. 2078 c.c.).
Da tale categoria di usi - usi normativi - va tenuta distinta quella
degli usi aziendali, consistenti in un comportamento del datore di
lavoro il quale riconosce, spontaneamente e in via continuativa, a
tutti i dipendenti o a ristrette e omogenee categorie di essi, un trattamento non previsto dalla contrattazione collettiva né dai contratti
individuali di lavoro (Cass. 13816/2008).
Tali usi possono riguardare la concessione di prestazioni economiche suppletive (gratifiche, premi ecc.) o le stesse condizioni di lavoro (si pensi, ad esempio, alla riduzione dell’orario lavorativo, fermo
restando il diritto alla retribuzione, in coincidenza di particolari eventi,
o alla fruizione di permessi sindacali oltre quelli previsti dalla legge).
La giurisprudenza, da tempi ormai risalenti, ritiene che i comportamenti tenuti dal datore di lavoro con apprezzabile continuità o rei-
Uso
aziendale
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Parte I | Nozioni Introduttive. Il rapporto di lavoro
terazione nei confronti dell’intero personale o di settori più o meno
ampi dello stesso, modifica stabilmente la regolamentazione dei
rapporti di lavoro dei soggetti favoriti dall’uso aziendale, compresi
coloro che ne entrano a far parte in un tempo successivo (Cass. S.U.
3134/1994 e 3101/1995).
Gli indirizzi espressi in tema di uso o prassi aziendale hanno precisato che la modifica migliorativa stabile trova la sua origine in un
comportamento spontaneo dell’imprenditore il quale attribuisca
ai dipendenti, senza esservi obbligato, un trattamento economico o
normativo non previsto né dal contratto individuale né dal contratto
collettivo.
Per la formazione degli usi aziendali è altresì necessaria la sussistenza di una prassi generalizzata che comporti, per i dipendenti, l’attribuzione di un trattamento più favorevole rispetto a quello previsto
dalla legge o dalla contrattazione collettiva; qualora il comportamento in questione non sia generalizzato ma riguardi singoli lavoratori
specificamente individuati, resi oggetto di valutazione personalizzate o parti di trattative individuali, non ci si trova di fronte a un uso
aziendale ma a una molteplicità di patti individuali, ciascuno fonte di
un distinto obbligo contrattuale nei confronti del singolo destinatario
(Trib. Cagliari 11-10-2005).
Il predetto comportamento spontaneo, infine, non deve essere isolato, poiché se il datore di lavoro erogasse una sola volta a tutti i suoi
dipendenti una beneficio non previsto dal contratto individuale o collettivo, nessun diritto potrebbe sorgere dalla successiva erogazione
del beneficio al verificarsi della medesima situazione. È la ripetizione del comportamento per un certo periodo di tempo a rendere
il beneficio “usuale”, facendo nascere l’obbligo di compensare con
esso il lavoro svolto in una determinata azienda.
Dalla breve ricognizione degli elementi ritenuti essenziali per configurare un uso aziendale emerge con evidenza come sia compito del
giudice accertare i fatti indispensabili per ritenerlo realizzato in concreto.
Gli usi aziendali sono, quindi, riconducibili alla categoria degli usi negoziali o di fatto
(art. 1340 c.c.) - che, in quanto tali, si distinguono dalla categoria degli usi normativi,
caratterizzati dai requisiti della generalità nonché dell’opinio iuris ac necessitatis, e sono
suscettibili di inserzione automatica nel contratto individuale di lavoro, con idoneità a
derogare soltanto in melius la disciplina collettiva -, rispetto ai quali rileva la reiterazione,
nei confronti di una collettività più o meno ampia di destinatari, del comportamento del
datore di lavoro, purché caratterizzato dal requisito della spontaneità.
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