Le coperture assicurative contro il rischio calamità naturali

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ASSICURAZIONI
SOMMARIO
N. 2-2014
PARTE PRIMA
Dottrina
VALERIA DE LORENZI, Contratto di assicurazione e dichiarazioni inesatte e reticenti sul rischio dell’assicurato........ Pag.
195
ANTONIO COVIELLO, Le coperture assicurative contro il rischio calamità naturali ...................................................
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221
FULVIO ZARDO, “Indennizzo diretto” e azione giudiziale (questioni interpretative aperte) ............................................
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241
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267
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279
PARTE SECONDA
Giurisprudenza
Note a sentenza
SARA LANDINI, Diritto alle provvigioni del broker in ipotesi di
rinnovo di polizza (Trib. Firenze 28 ottobre 2013)
Dalla Corte di Cassazione
(a cura di MARCO ROSSETTI)
Ass. obbligatoria autoveicoli – Circolazione stradale – Incidente – Responsabilità civile – Massimale – Direttiva n.
84/5/CEE del Consiglio – Adeguamento da parte dello
Stato italiano – Tempistica – Inosservanza – Conseguenza (Cass. 31 gennaio 2014, n. 2186)
I
Assicurazioni – n. 2-2014
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ASSICURAZIONI
Risarcimento del danno – Danno morale – Liquidazione cosiddetta tabellare – Legittimità – Criteri.
Risarcimento del danno – Danno biologico – Tabelle elaborate dal Tribunale di Milano – Omnicomprensività di tutte le componenti – Mancata applicazione – Non conoscibilità della provenienza della tabella applicata né del suo
criterio costruttivo – Incongruità della motivazione (Cass.
6 marzo 2014, n. 5243) ................................................... Pag.
288
Rischio assicurato – Nozione – Evento futuro ed incerto –
Differenza con l’evento dannoso – Rilevanza, durante il
tempo dell’assicurazione, del verificarsi della causa del
danno e non del danno in sé – Fattispecie (Cass. 13 marzo 2014, n. 5791).............................................................
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299
Rischio – Nullità della clausola di delimitazione del rischio assicurato – Rilevabilità d’ufficio – Condizioni e limiti –
Onere della parte di allegazione rituale dei fatti costitutivi della nullità – Necessità.
Ass. obbligatoria autoveicoli – Giudizio di rivalsa promosso
dall’assicuratore ai sensi dell’art. 18 della l. n. 990/1969
– Esistenza e validità della clausola di rivalsa – Onere
della prova – Riparto tra assicurato ed assicuratore (Cass.
14 marzo 2014, n. 5952) .................................................
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307
Risarcimento del danno – Colpa medica – Aggravamento di
patologie pregresse – Criteri di liquidazione (Cass. 19
marzo 2014, n. 6341) ......................................................
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318
Ass. in generale e danni in generale – Contratto – In genere
– Perizia contrattuale – Effetti – Rinunzia alla tutela giurisdizionale dei diritti nascenti dal contratto – Limiti –
Sopravvenuto venir meno dell’oggetto dell’accertamento peritale – Conseguenza – Cessazione dell’obbligo alla rinunzia alla tutela giurisdizionale (Cass. 1° aprile 2014,
n. 7531) ...........................................................................
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333
Procedimento civile – Ricorso per cassazione – Proposizione da parte di impresa assicuratrice nella duplice veste
di assicuratore del responsabile e di impresa designata –
Ammissibilità (Cass. 8 aprile 2014, n. 8136)..................
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337
Procedimento civile – Litisconsorzio necessario – Azione diretta
nei confronti dell’assicuratore della r.c.a. – Condanna in
II
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ASSICURAZIONI
solido di assicuratore ed assicurato – Appello del solo assicuratore sul quantum debeatur – Integrazione del contraddittorio nei confronti del proprietario – Necessità – Fondamento [Cass. 23 aprile 2014, n. 9112 (ord.)] ...................... Pag.
342
Massimario
(a cura di MARCO ROSSETTI)
Ass. responsabilità civile – Obbligo dell’assicuratore di informare l’assicurato che il contratto non copre i danni da
mora – Violazione – Conseguenze (Cass. 27 gennaio
2014, n. 1607) .................................................................
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347
Ass. (Impresa) – Tutela della concorrenza e del mercato ai sensi della l. n. 287/1990 – Intesa orizzontale tra imprese assicuratrici – Domanda dell’assicurato di risarcimento del
danno per il pagamento di premi superiori al dovuto –
Atti del procedimento sanzionatorio svolto dall’Autorità
Garante per la Concorrenza ed il Mercato – Natura – Prova privilegiata o presunzione iuris tantum del danno –
Prova contraria – Ammissibilità – Limiti [Cass. 23 aprile 2014, n. 9116 (ord.)] ...................................................
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348
Ass. (Impresa) – Svolgimento di attività non assicurative – Liceità – Limiti (Cass. 30 aprile 2014, n. 9475).................
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349
Prescrizione – Assicurazione della responsabilità civile –
Azione surrogatoria del terzo danneggiato nei confronti
dell’assicuratore – Sospensione della prescrizione ex art.
2952, comma 4, c.c. – Cessazione – Condizioni – Giudicato di condanna dell’assicurato – Necessità [Cass. 9
maggio 2014, n. 10091 (ord.)] ........................................
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349
Danno patrimoniale – Riduzione della capacità lavorativa
specifica – Presunzione di danno incidente sulla futura
capacità di guadagno – Relativa all’an e non al quantum
– Liquidazione equitativa – Configurabilità – Esclusione
– Fondamento (Cass. 22 maggio 2014, n. 11361) ..........
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350
Danni civili – Spese funerarie sostenute dagli eredi della vittima – Danno extracontrattuale – Configurabilità – Liquidazione – Condizioni (Cass. 26 maggio 2014, n. 11684)
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351
III
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ASSICURAZIONI
Circolazione stradale – Consapevole esposizione a rischio
del danneggiato – Concorso di colpa per i danni subìti –
Configurabilità – Fondamento – Fattispecie (Cass. 26
maggio 2014, n. 11698) .................................................. Pag.
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Dalle Corti di merito
Ass. in generale e danni in generale – Contratto – Clausole limitative della responsabilità – Clausole delimitative dell’oggetto – Distinzione (Trib. Monza 20 marzo 2014) con
nota redazionale di Ilaria Riva
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353
Ass. vita – Art. 1923 c.c. – Impignorabilità – Prodotto misto
assicurativo – finanziario – Inapplicabilità (Trib. Milano
1° luglio 2014) con nota redazionale di Ilaria Riva
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368
AIDA – Associazione Internazionale di Diritto delle Assicurazioni..............................................................................
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375
Libri ricevuti .........................................................................
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385
PARTE TERZA
Osservatorio
IV
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Dottrina
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Contratto di assicurazione
e dichiarazioni inesatte
e reticenti sul rischio dell’assicurato
DI
VALERIA DE LORENZI
Ordinario di Diritto privato
Università degli Studi di Torino
SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Il problema della selezione avversa nel contratto di assicurazione. – 3. Soluzioni nella prassi delle compagnie assicurative. – 4. Soluzioni del codice civile. La regola di comportamento della buona fede oggettiva o correttezza precontrattuale, con il limite dell’ordinaria diligenza della controparte (artt. 1337, 1892,
1893 c.c.). – 5. (segue) Doveri di informazione precontrattuale dell’assicurato. – 6. (segue) La regola di responsabilità della buona fede oggettiva o correttezza precontrattuale, con il limite dell’ordinaria diligenza della controparte (artt. 1337, 1338, 1892,
1893 c.c.). – 7. La dottrina italiana e gli artt. 1892 e 1893 c.c.; in particolare, dichiarazioni inesatte o reticenti “senza dolo o colpa grave”. – 8. La giurisprudenza e gli artt.
1892 e 1893 c.c.; in particolare, dichiarazioni inesatte o reticenti “senza dolo o colpa
grave”. – 9. I questionari.
1. PREMESSA
Nella disciplina generale del contratto di assicurazione (Sez. I, Disposizioni generali), com’è noto, due norme (artt. 1892, 1893 c.c.) trattano delle dichiarazioni inesatte e reticenze dell’assicurato, rispettivamente con dolo o colpa grave, o senza dolo o colpa grave.
L’art. 1892 c.c. sancisce che le dichiarazioni inesatte e le reticenze dell’assicurato su “circostanze tali che l’assicuratore non avrebbe dato il suo
consenso o non lo avrebbe dato alle medesime condizioni se avesse conosciuto il vero stato delle cose” comportano l’annullamento del contratto di
assicurazione, quando l’assicurato “ha agito con dolo o colpa grave” (com-
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Valeria De Lorenzi
ma 1). Stabilisce che l’assicuratore deve chiedere l’annullamento del contratto, a pena di decadenza, entro tre mesi dalla conoscenza della “inesattezza della dichiarazione” o della reticenza (comma 2). Stabilisce altresì che
l’assicuratore non è tenuto al pagamento dell’indennità, se il sinistro si verifichi prima della scadenza del termine (comma 3). Afferma inoltre che l’assicuratore ha diritto ai premi del periodo in corso al momento della domanda di annullamento, e in ogni caso al premio del primo anno (comma 3).
L’art. 1893 c.c. riporta che, se le dichiarazioni inesatte e le reticenze dell’assicurato siano “senza dolo o colpa grave”, l’assicuratore può recedere dal
contratto di assicurazione, con conseguente scioglimento del medesimo, tramite dichiarazione rivolta all’assicurato entro tre mesi dalla conoscenza della dichiarazione inesatta o della reticenza (comma 1). E che se il sinistro si
verifichi prima della conoscenza dell’assicuratore o prima della scadenza di
detto termine, l’indennità dovuta dall’assicuratore è ridotta “in proporzione
della differenza tra il premio convenuto e quello che sarebbe stato applicato
se si fosse conosciuto il vero stato delle cose” (comma 2).
L’interpretazione e l’applicazione delle due norme ha dato luogo ad incertezze in dottrina e in giurisprudenza, in particolare per quanto riguarda il
significato della locuzione “senza dolo o colpa grave” di cui all’art. 1893 c.c.
La dottrina e la giurisprudenza dibattono se “senza dolo o colpa grave”
voglia dire con colpa lieve dell’assicurato, o significhi anche senza colpa.
La giurisprudenza di Cassazione, pure in tempi recenti, ha emesso pronunce che paiono contrastanti.
Per fare il punto sulla questione, occorre rivisitare la problematica delle dichiarazioni inesatte o reticenti dell’assicurato sul rischio nel contratto
di assicurazione.
2. IL PROBLEMA DELLA SELEZIONE AVVERSA NEL CONTRATTO DI ASSICURAZIONE
Il problema affrontato dalle due norme (artt. 1892, 1893 c.c.), e al quale esse intendono dare soluzione, è quello della selezione avversa nel contratto di assicurazione.
Il problema della selezione avversa (1) (adverse selection) è stato individuato dalla dottrina economica in origine nel contratto di assicurazione,
(1) Sulla selezione avversa nel contratto di assicurazione, vedi per tutti AKERLOF,
The Market for “Lemons”. Quality Uncertainty and the Market Mechanism, in Quart.
Journ. of Econ., 1970, 488 ss.; WILSON, voce Adverse Selection, in The New Palgrave
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Contratto di assicurazione e dichiarazioni inesatte e reticenti ecc.
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ove è presente in tutti i rami (danni e vita per il caso morte). Esso deriva da
asimmetrie di informazione esistenti, al momento della stipulazione del contratto di assicurazione, tra assicuratore e assicurato sui caratteri di rischio
dell’assicurato.
Vi sono caratteristiche del soggetto (o dell’attività svolta, o della cosa)
che si vuole assicurare che hanno influenza sul rischio, ossia sulla probabilità e/o sull’entità del danno. (Ad esempio, lo stato di salute di un individuo ha influenza sulla durata della vita umana o sulle malattie, il materiale
di costruzione di un edificio ha influenza sulla probabilità e sull’entità di
un incendio, la quantità di chilometri percorsi ogni anno in automobile sul
numero e sull’entità degli incidenti d’auto). Più precisamente, l’evento dannoso è conseguenza di caratteristiche dell’individuo (o dell’attività svolta,
o della cosa) e di circostanze esterne (“stato di natura”).
Al momento della conclusione del contratto di assicurazione, vi sono
asimmetrie di informazione tra assicuratore e assicurato sui caratteri di rischio dell’assicurato, preesistenti al contratto e indipendenti dalla volontà
del soggetto (hidden information); solo l’assicurato conosce i propri caratteri di rischio, o comunque li conosce meglio della controparte. L’assicuratore non ha accesso senza costo alle informazioni possedute dall’assicurato.
Dati i costi di informazione che sussistono, per gli assicuratori può essere
difficile o molto costoso individuare i caratteri di rischio del soggetto che si
vuole assicurare. Se l’assicuratore, al momento della stipulazione del contratto, non riesce ad individuare (2) il tipo di rischio del soggetto che assicura e
ad attribuire il corretto premio, sorge il problema della selezione avversa.
Si suppone che esistano due categorie di individui, con cattive caratteristiche di rischio, ossia ad alto rischio, e con buone caratteristiche di ri-
of Economics, 1987, 32 ss.; POTSLEWAITE, voce Asymmetric Information, ivi, 113 ss.;
MACKAAY, Economics of Information and Law, Boston-The Hague-London, 1982, p.
163 ss.; DIONNE e DOHERTY, Adverse Selection in Insurance Markets: A Selective Survey, in DIONNE (ed.), Contribution to Insurance Economics, Boston-Dordrecht-London,
1992, p. 97 ss.; ROBERT, Understanding Insurance Law, 3^ ed., Newark, 2002, p. 19. Il
problema della selezione avversa è stato esteso poi in generale a tutti i contratti; esso è
affrontato dalla dottrina economica con la teoria dell’Agency.
Per approfondimenti sull’argomento, e ulteriori citazioni, mi permetto di rinviare
a DE LORENZI, Contratto di assicurazione. Disciplina giuridica e analisi economica, Padova, 2008, p. 74 ss.
(2) AKERLOF, The Market for “Lemons”, cit., p. 492 s.; DIONNE e DOHERTY, Adverse Selection in Insurance Markets, cit., p. 97 ss.; MACKAAY, Economics of Information,
cit., p. 177.
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schio, ossia a basso rischio; se gli assicuratori non riescono a distinguere i
soggetti ad alto rischio da quelli a basso rischio, attribuiscono a tutti lo stesso premio, ossia il premio medio calcolato sulla base del rischio medio.
Così, i soggetti ad elevata rischiosità si trovano a pagare un premio minore di quello che dovrebbero pagare per il loro tipo di rischio, e acquistano più
assicurazione di quanta altrimenti acquisterebbero; quelli a bassa rischiosità si
trovano a pagare un premio maggiore, sovvenzionando i soggetti ad alto rischio,
e comprano meno assicurazione di quanta diversamente comprerebbero.
Ciò può cagionare una perdita alle compagnie, che si possono trovare
ad affrontare un numero di sinistri più elevato del previsto; e cagiona una
perdita ai soggetti a basso rischio, che pagano un premio più elevato.
Gli individui a basso rischio potrebbero non avere più interesse ad assicurarsi, perché il premio non è conveniente, e uscire dal mercato; il premio medio di conseguenza aumenterebbe ulteriormente. Altri soggetti a basso rischio uscirebbero quindi dal mercato; e così via. Alla fine resterebbero sul mercato solo gli individui ad alto rischio, che nessun assicuratore
avrebbe interesse ad assicurare.
Al limite, il mercato delle assicurazioni potrebbe cessare di esistere. La
selezione avversa è un’esternalità negativa (3) (danno non compensato inferto ad altri), che deve essere corretta.
3. SOLUZIONI NELLA PRASSI DELLE COMPAGNIE ASSICURATIVE
Soluzioni (4) al problema della selezione avversa nel contratto di assicurazione sono suggerite dalla dottrina giuseconomica. E soluzioni al problema sono altresì cercate nella prassi dalle compagnie assicurative.
(3) AKERLOF, The Market for “Lemons”, cit., p. 489 ss., 495 ss.; MACKAAY, Economics of Information, cit., p. 163 ss., 177 s.; WILSON, voce Adverse Selection, cit., p. 32 s.;
COOTER, MATTEI, MONATERI, PARDOLESI, Il mercato delle regole, Bologna, 1999, p. 61 ss.
(4) Viene suggerito alle compagnie assicurative di predisporre polizze che spingano gli aspiranti assicurati a rivelare le loro caratteristiche di rischio (screening); ad
esempio, di offrire contratti con copertura diversa e premio diverso, contratti con copertura completa e premio elevato, o contratti con parziale scopertura e premio più basso, per costringere gli individui rispettivamente ad alto rischio e a basso rischio a svelarsi. Viene però osservato che in un mercato competitivo, se un equilibrio di aggregazione (in cui tutti i soggetti, ad alto rischio e a basso rischio, pagano lo stesso premio)
non esiste, un equilibrio di separazione (in cui i soggetti a diversa rischiosità pagano
premi diversi) può non esistere. Vedi più ampiamente DE LORENZI, Contratto di assicurazione, cit., p. 77 ss., e ivi citazioni.
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Contratto di assicurazione e dichiarazioni inesatte e reticenti ecc.
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Le compagnie affrontano la questione della selezione avversa offrendo
ai potenziali acquirenti di assicurazione un unico identico contratto (5) di assicurazione, con premio diverso a seconda della diversa classe di rischio (sia
nell’assicurazione di cose o di patrimoni che nell’assicurazione di persone).
In presenza di asimmetrie di informazione sui caratteri di rischio degli assicurati, di costi di informazione (6) che possono essere elevati, al fine di valutare il rischio, al fine di decidere se concludere o meno il contratto di assicurazione e a quali condizioni, prima di concludere il contratto, per procurarsi informazioni poco costose sui caratteri del rischio degli assicurati, le compagnie di solito raccolgono dati in primo luogo da dichiarazioni dell’assicurato medesimo, spesso attraverso la compilazione di questionari già predisposti,
e procedono altresì a verifiche, ispezioni; (in caso di assicurazione sulla vita
per il caso morte o sulle malattie, sottopongono l’assicurato a visita medica).
Raccolte le informazioni sui caratteri di rischio dell’aspirante assicurato, sulla base di caratteristiche di rischio ritenute rilevanti, che costituiscono fattori statisticamente collegati con l’occorrenza dell’evento (probabilità e/o entità), le compagnie valutano il rischio; prima di tutto, esse decidono se assumere o meno il rischio. Se lo assumono, in base ai caratteri di rischio dei soggetti ritenuti significativi, esse formano gruppi (7), classi omogenee di rischio, di danno atteso, e calcolano il premio per gruppo omogeneo
di danno atteso. (Ad esempio l’età, il sesso, lo stato di salute dell’individuo
sono presi in considerazione nell’assicurazione sulla vita per il caso morte
o sulle malattie; l’età, l’abilità alla guida, per l’assicurazione per la responsabilità civile automobilistica; il materiale di costruzione di un edificio, l’attività svolta all’interno del medesimo per l’assicurazione incendi). Ad ogni
membro del gruppo è attribuito lo stesso premio.
(5) Sulle soluzioni delle compagnie al problema della selezione avversa, vedi in
special modo DIONNE e DOHERTY, op. cit., p. 99, 125; REA jr., Insurance Classifications
and Social Welfare, in DIONNE (ed.), Contribution to Insurance Economics, cit., p. 377
ss., 385; ROBERT, Understanding Insurance Law, cit., p. 18 s.; ABRAHAM, Distributing
Risk, New Haven-London, 1986, p. 64 ss.; COOTER, MATTEI, MONATERI, PARDOLESI, Il
mercato delle regole, cit., p. 77; altri autori sono citati in DE LORENZI, Contratto di assicurazione, cit., p. 81 ss.
(6) Sui costi delle informazioni, per tutti, STIGLER, The Economics of Information,
in Journ. of Pol. Econ., 1961, 213 ss.; HIRSHLEIFER, Where are We in the Theory of Information?, in Am. Econ. Rev., 1973, 32 ss.; MACKAAY, Economics of Information, cit.,
p. 109 ss.; COOTER, MATTEI, MONATERI, PARDOLESI, Il mercato delle regole, cit., p. 63,
125, 235 ss.
(7) Vedi DE LORENZI, Contratto di assicurazione, cit., p. 15 ss., 81 ss.
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Valeria De Lorenzi
Le classificazioni sono fatte per separare (8) i soggetti di varia rischiosità, di alto rischio e di basso rischio, e collocarli in gruppi diversi, per creare gruppi similari, omogenei di danno atteso, e calcolare premi accurati per
gruppi omogenei di danno atteso. I dati raccolti (ossia i fattori, le variabili)
su cui si basano le classificazioni devono essere affidabili; le classificazioni devono essere attendibili (9); i gruppi di rischio formati devono essere
omogenei.
Dati i costi di informazione e di classificazione presenti, gli individui
sono classificati in gruppi in base ad alcuni fattori esterni che statisticamente
sono ritenuti rilevanti, non a tutti. L’omogeneità (10) è una nozione relativa e comparativa; differenti variabili usate nella classificazione danno luogo a gruppi diversi, ad omogeneità diversa nel gruppo. L’omogeneità della classe creata è più o meno elevata, ma non è mai completa: all’interno
del gruppo, quindi, vi sono sempre gli individui a basso rischio che sovvenzionano quelli ad alto rischio.
Le classificazioni sono sempre imperfette, per i costi di informazione e
di classificazione presenti. Le classificazioni (11) riducono la selezione avversa, ma non la eliminano completamente.
Le compagnie possono comunque in ogni caso cercare di affinare le
classificazioni, e a tali fini esse valuteranno costi e benefici.
Ancora, nella prassi (12) le compagnie di assicurazione, per affrontare
il problema della selezione avversa, pongono a volte nelle polizze clausole obbligatorie di parziale scopertura (sottoassicurazione, scoperto percentuale, franchigia, ecc.), per costringere i soggetti a basso rischio a svelarsi.
Oppure, le compagnie inseriscono talvolta nelle polizze clausole di esclusione dai benefici dell’indennizzo, qualora l’evento dannoso derivi da con-
(8) DIONNE e DOHERTY, op. cit., p. 99, 125; ABRAHAM, Distributing Risk, cit., p. 65
ss.; MACKAAY, Economics of Information, cit., p. 177; ROBERT, Understanding Insurance Law, cit., p. 18 ss.
(9) HIRSHLEIFER, Where are We, cit., p. 37; MACKAAY, Economics of Information,
cit., p. 112 ss., 148 ss.
(10) MACKAAY, Economics of Information, cit., p. 178; ABRAHAM, Distributing Risk,
cit., p. 65 ss., 77; ROBERT, Understanding Insurance Law, cit., p. 19; COOTER, MATTEI,
MONATERI, PARDOLESI, Il mercato delle regole, cit., p. 77.
(11) MACKAAY, Economics of Information, cit., p. 178 ss.; DIONNE e DOHERTY, op.
cit., p. 125; ABRAHAM, Distributing Risk, cit., p. 75; ROBERT, Understanding Insurance
Law, cit., p. 19; COOTER, MATTEI, MONATERI, PARDOLESI, Il mercato delle regole, cit., p.
77. La selezione avversa inerisce al modo con cui è calcolato il premio, e non è mai del
tutto eliminabile, date le asimmetrie di informazione esistenti.
(12) Sui punti, DE LORENZI, Contratto di assicurazione, cit., p. 85 ss.
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Contratto di assicurazione e dichiarazioni inesatte e reticenti ecc.
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dizioni pregresse dell’assicurato, anche non conosciute né conoscibili dall’assicurato medesimo.
Nel lungo periodo, il problema della selezione avversa si attenua; i soggetti svelano i loro caratteri di rischio, e le classificazioni, come l’attribuzione del premio, sono più accurati.
Le soluzioni spontanee di mercato, comunque, riducono il problema
della selezione avversa, ma non lo eliminano (13) del tutto, dati gli alti costi di informazione e di transazione degli assicuratori.
4. SOLUZIONI DEL CODICE CIVILE. LA REGOLA DI COMPORTAMENTO DELLA BUONA FEDE OGGETTIVA O CORRETTEZZA PRECONTRATTUALE, CON IL LIMITE DELL’ORDINARIA DILIGENZA DELLA CONTROPARTE (ARTT. 1337, 1892, 1893 C.C.)
Soluzioni (14) al problema della selezione avversa nel contratto di assicurazione sono date dal codice civile italiano. Esse sono cercate con la regola di comportamento e di responsabilità della buona fede oggettiva o correttezza precontrattuale (15) con il limite dell’ordinaria diligenza della con-
(13) Vi è quindi una ragione per un intervento della legge. Per tutti, AKERLOF, The
Market for “Lemons”, cit., p. 488.
(14) Per le soluzioni apportate dal nostro codice civile al problema della selezione
avversa nella fase di conclusione del contratto di assicurazione, più ampiamente, DE
LORENZI, Contratto di assicurazione, cit., p. 87 ss., 118 ss.
La problematica presente nella fase di conclusione del contratto di assicurazione
rientra nella problematica della conclusione del contratto in generale, e le soluzioni di
cui si tratta, apportate dal codice civile, rientrano nelle soluzioni da esso codice date ai
problemi precontrattuali generali.
Sui problemi precontrattuali generali, e sulle soluzioni del nostro codice civile ai
problemi precontrattuali generali, date con la regola di comportamento e di responsabilità della buona fede oggettiva o correttezza precontrattuale, con il limite dell’ordinaria diligenza della controparte, DE LORENZI, Contratto di assicurazione, cit., p. 90 ss.,
94 ss., 109 ss.
(15) Sulla correttezza precontrattuale con il limite delll’ordinaria diligenza, in generale, CARRESI, Il contratto, in Tratt. Dir. Civ. comm. diretto da Cicu, Messineo, Mengoni, Milano, 1987, p. 693 ss.; BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, in Tratt.
Dir. civ. diretto da Vassalli, XV, II, 2^ ed. (rist.), Napoli, 1994, p. 111 ss.; BENATTI, La
responsabilità precontrattuale, Milano, 1963, p. 66; VISINTINI, La reticenza nella formazione dei contratti, Padova, 1972, p. 111 ss.; BIANCA, Il contratto, 2^ ed. (rist.), Milano, 2006, p. 171; SACCO, in SACCO e DE NOVA, Il contratto, in Tratt. Dir. civ. diretto
da Sacco, 3^ ed., Torino, 2004, II, p. 233 ss.
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troparte (art. 1337, art. 1338 c.c.) e con le due norme specifiche (art. 1892,
art. 1893 c.c.), che di essa fanno applicazione nel contratto di assicurazione.
Come si è rilevato, gli assicuratori raccolgono di solito dati sui caratteri di rischio dalle dichiarazioni precontrattuali degli aspiranti assicurati;
quindi, ritenuto il rischio accettabile, procedono a classificazioni sulla base di caratteristiche di rischio considerate significative, dividono gli assicurati in classi di rischio omogenee per danno atteso, e calcolano il premio
per classi omogenee di danno atteso. I dati su cui si basano le classificazioni devono essere affidabili, le classificazioni devono essere attendibili;
i gruppi di rischio formati devono essere omogenei.
Le informazioni sono costose (da produrre, acquistare, verificare, ecc.);
esse presentano caratteri che le avvicinano ai beni pubblici, e hanno inoltre
particolari requisiti. Un peculiare requisito delle informazioni è la verità,
l’attendibilità delle informazioni: se esse possono essere false, è come se
non vi fossero.
Il codice civile asseconda la prassi delle compagnie assicuratrici, e aiuta la raccolta di informazioni veritiere, di dati attendibili sui caratteri di rischio degli assicurati, fatta al fine di procedere alla valutazione del rischio,
alla classificazione degli assicurati in gruppi omogenei di rischio, di danno
atteso. Obiettivo finale è favorire la corretta conclusione del contratto di assicurazione, il corretto funzionamento del mercato assicurativo.
La correttezza migliora la verità (16), l’attendibilità delle informazioni
dell’assicurato sui propri caratteri di rischio; favorisce la raccolta di informazioni vere sui caratteri di rischio degli assicurati da parte degli assicuratori, l’individuazione del tipo di rischio dell’assicurato, la corretta classificazione del rischio, la corretta attribuzione del premio; migliora il processo di classificazione dei rischi, l’omogeneità dei gruppi di rischio; riduce il
problema della selezione avversa.
Nella conclusione del contratto di assicurazione, la correttezza precontrattuale protegge la libertà contrattuale (17) delle parti, assicurato e assicuratore (di concludere, di non concludere il contratto di assicurazione, e
delle condizioni alle quali concluderlo), contro cattivi comportamenti che
(16) Sulla correttezza e la verità delle informazioni, in special modo, BENATTI, La
responsabilità precontrattuale, cit., p. 38; VISINTINI, La reticenza nella formazione dei
contratti, cit., p. 251; BIANCA, Il contratto, cit., p. 174; SACCO, Il contratto, cit., I, p. 564
ss.; II, p. 233.
(17) La correttezza protegge la libertà contrattuale delle parti: BIANCA, Il contratto, cit., p. 157.
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possano lederla (cagionando errore e scelta sbagliata); in primo luogo essa
protegge la libertà contrattuale dell’assicuratore. [Poi, essa protegge anche
la libertà contrattuale dell’assicurato (18)].
In presenza di asimmetrie di informazione tra le parti precontrattuali sui caratteri di rischio dell’assicurato, la correttezza (19) controlla la
circolazione delle informazioni sui caratteri di rischio; impone all’assicurato di dare informazioni vere, vieta di dare informazioni false, o altrimenti corregge le conseguenze dannose delle false informazioni sull’assicurato medesimo (l’errore, la scelta sbagliata dell’assicuratore, e
con essa la selezione avversa). La responsabilità per false informazioni
che grava sull’assicurato è deterrente contro la falsità, e costituisce incentivo a dire la verità.
(18) Nel codice delle assicurazioni private, d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209, sono
precisati doveri di informazione dell’assicuratore nei confronti dell’assicurato, che sia
contraente non qualificato, sulla propria identità, sulle caratteristiche della propria impresa (art. 185), sui caratteri e gli elementi del contratto (artt. 183, 185), e su altri elementi. Non è qui possibile affrontare l’argomento; vedi i riferimenti in DE LORENZI,
Contratto di assicurazione, cit., p. 103.
(19) Sulla correttezza e le informazioni nella fase precontrattuale, per tutti, vedi DE
LORENZI, Contratto di assicurazione, cit., p. 97 ss. , 104 ss., e ivi ampi riferimenti di
dottrina e di giurisprudenza.
La correttezza vieta in generale alle parti precontrattuali di dare informazioni false, impone di dare informazioni vere, quando date. Impone poi alla parte con un vantaggio informativo istituzionale il dovere di dare talune informazioni vere su circostanze essenziali alla contrattazione, relative ad elementi interni o a presupposti del
contratto da concludere, a qualità, caratteri importanti, rientranti nella propria sfera
o nella sfera sotto il proprio controllo, rilevanti per la scelta della controparte (di concludere, di non concludere il contratto, e delle condizioni alle quali concluderlo), non
facilmente osservabili dalla controparte (con uso di ordinaria diligenza). Il dovere di
informazione imposto dalla correttezza opera in presenza di asimmetrie informative,
e si traduce non tanto nel dovere della parte con un vantaggio informativo di dare all’altra informazioni vere, su caratteri qualità o attributi rilevanti positivi, relativi alla propria sfera, che la parte già darebbe, vere, in quanto vantaggiose per la propria
posizione contrattuale; quanto nel dovere di dare informazioni vere, su caratteri qualità attributi rilevanti negativi, relativi alla propria sfera, che la parte con un vantaggio informativo non avrebbe interesse a dare, o avrebbe interesse a dare false, poiché
sfavorevoli alla propria posizione contrattuale. La falsa informazione della parte con
un vantaggio informativo può consistere in una falsa dichiarazione, o in una mancata informazione, in una reticenza.
In presenza di asimmetrie di informazione tra le parti su elementi essenziali della
contrattazione, la reticenza della parte con un vantaggio informativo istituzionale sui
punti essenziali specifici, oggetto di asimmetria, costituisce falsa informazione.
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La correttezza informativa dell’assicurato trova limite nell’ordinaria diligenza (20) della controparte, l’assicuratore.
5. (segue) DOVERI DI INFORMAZIONE PRECONTRATTUALE DELL’ASSICURATO
Regola di comportamento, la correttezza impone all’assicurato (21), la
parte che ha istituzionalmente più informazioni, un dovere di informazione verso l’assicuratore: l’assicurato deve dare informazioni vere sui propri
caratteri di rischio rilevanti, essenziali, non facilmente conoscibili dall’assicuratore; più precisamente, impone all’assicurato il dovere di dare all’assicuratore informazioni vere sulle proprie caratteristiche di rischio, sulle
proprie caratteristiche obiettivamente essenziali importanti che influenzano il rischio, rilevanti ai fini della valutazione e della classificazione del rischio, rilevanti per la decisione dell’assicuratore di assumere o meno il rischio e di calcolare il corretto premio, che possono quindi determinare la
scelta di concludere o meno il contratto di assicurazione o incidere sulle
condizioni alle quali il contratto è concluso, ossia sul premio.
La correttezza ordina all’assicurando di dare informazioni vere non tanto su caratteri essenziali rilevanti positivi relativi alla propria sfera o alla
sfera sotto il proprio controllo, riguardanti i propri caratteri positivi di rischio, oggetto di asimmetria, che denotano un buon tipo di rischio, le quali il soggetto avrebbe interesse a dare, e già darebbe spontaneamente vere,
in quanto favorevoli alla propria posizione contrattuale (in tal modo egli ottiene una basse classe di rischio, la conclusione del contratto con un basso
premio); la correttezza ordina piuttosto all’assicurando di dare informazio-
Peraltro, la correttezza non impone un dovere generale di informazione; non tutto
deve essere detto all’altra parte, né è desiderabile che sia detto; le informazioni, infatti, sono costose, e presentano dei caratteri che le avvicinano ai beni pubblici (imperfetta appropriabilità, indivisibilità nell’uso); imporre un dovere generale di informazione priverebbe colui che si è procurato informazioni affrontandone i costi dei benefici relativi, e potrebbe altresì provocare gravi inefficienze. COOTER, MATTEI, MONATERI, PARDOLESI, Il mercato delle regole, cit., p. 63 s., 125; MACKAAY, Economics of Information, cit., p. 113 ss.; DE LORENZI, Contratto di assicurazione, cit., p. 105 ss.
(20) Se le circostanze sono facilmente conoscibili dalla controparte, con ordinaria
diligenza, le asimmetrie di informazione, la possibile falsità di informazione e conseguenze sono superate (vedi la nota precedente).
(21) Sull’argomento affrontato in questo paragrafo, ampiamente, DE LORENZI, Contratto di assicurazione, cit., p. 119 ss.
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ni vere su caratteri essenziali rilevanti negativi della propria sfera, relativi
ai propri caratteri negativi di rischio, oggetto di asimmetria, che denotano
un cattivo tipo di rischio, le quali il soggetto non avrebbe interesse a dare o
avrebbe interesse a dare false, poiché sfavorevoli alla propria posizione contrattuale (in tal modo egli otterrebbe un’alta classe di rischio, la conclusione del contratto con un premio elevato, o addirittura non otterrebbe la conclusione del contratto di assicurazione, se il rischio è inaccettabile).
Stante l’asimmetria informativa, la reticenza (22) dell’assicurato sui
propri caratteri di rischio essenziali rilevanti negativi, elevati, più elevati di
quanto ritenuto dall’assicuratore, costituisce falsa informazione.
Le false informazioni (23) dell’assicurato sui propri caratteri rilevanti,
significativi di rischio, provocano una non corretta individuazione del tipo
di rischio dell’assicurato da parte dell’assicuratore, una non corretta valutazione del rischio, una non corretta classificazione, una non corretta attribuzione del premio; possono cagionare danno alle compagnie, e cagionano danno agli assicurati a basso rischio collocati nella stessa classe di rischio; ossia, danno luogo al problema della selezione avversa.
Le false informazioni dell’assicurato sui propri caratteri di rischio possono consistere in un comportamento positivo, in dichiarazioni, in affermazioni, o in un comportamento omissivo, in reticenze. Le false informazioni, affermative o omissive, possono essere dolose, gravemente colpose,
o colpose. Le dichiarazioni false innocenti (24) (senza colpa), le reticenze
false innocenti, non sono informazioni false, ma sono solo informazioni
sbagliate.
In presenza di asimmetrie informative sui caratteri di rischio dell’assicurato, la correttezza impone all’assicurato di dare informazioni vere su
quel che sa o può facilmente sapere (con ordinaria diligenza); se l’assicurato non sa né può facilmente sapere, non vi sono asimmetrie informative,
ma le informazioni sono simmetriche; non vi è dovere di informazione, non
vi è scorrettezza informativa; non vi è il problema della selezione avversa.
Le dichiarazioni o le reticenze false innocenti sono informazioni sbagliate, non false. Esse sono da riguardare come elementi di casualità del
danno, sempre presenti, di cui le compagnie tengono conto nel calcolare il
rischio, il danno atteso, e il premio (e il cui rischio è diviso tra tutti gli as-
(22) Per la reticenza come falsa informazione, vedi la precedente nota 19; e VISINLa reticenza nella formazione dei contratti, cit., p. 124 ss.; DE LORENZI, Contratto di assicurazione, cit., p. 105, 121 ss.
(23) DE LORENZI, Contratto di assicurazione, cit., p. 121 ss.
(24) DE LORENZI, Contratto di assicurazione, cit., p. 128 s.
TINI,
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sicurati dello stesso gruppo). Esse non hanno a che fare con il problema della selezione avversa.
6. (segue) LA REGOLA DI RESPONSABILITÀ DELLA BUONA FEDE OGGETTIVA O CORRETTEZZA PRECONTRATTUALE, CON IL LIMITE DELL’ORDINARIA DILIGENZA DELLA CONTROPARTE (ARTT. 1337, 1338, 1892, 1893 C.C.)
La correttezza precontrattuale è altresì regola di responsabilità (25) (artt.
1337, 1338, 1892, 1893 c.c.).
Alla violazione della regola della buona fede oggettiva o correttezza
precontrattuale da parte dell’assicurato seguono rimedi (26), che correggono le conseguenze dannose provocate dalle false informazioni dell’assicurato sui propri caratteri di rischio (errore e scelta sbagliata dell’assicuratore, e selezione avversa). I rimedi sono differenziati dal codice civile a seconda della gravità della scorrettezza dell’assicurato, ossia a seconda che
la scorrettezza dell’assicurato si accompagni a dolo o colpa grave, o sia senza dolo o colpa grave, e a seconda della gravità della scelta sbagliata in cui
sia stato indotto l’assicuratore (ossia a seconda che la falsa informazione
sia determinante o incidente).
L’art. 1892 c.c., per il caso di dolo o colpa grave dell’assicurato, sia la
dichiarazione inesatta o la reticenza determinante o incidente, prevede l’annullamento del contratto su richiesta dell’assicuratore entro tre mesi dalla
scoperta (per evitare abusi dell’assicuratore); la perdita dell’indennità da parte dell’assicurato, se il sinistro si verifichi entro detto periodo; la perdita del
premio relativo al primo anno, e a quello in corso; la perdita dell’indennità
se la scoperta della falsa informazione avvenga al tempo del sinistro.
Forti penalità sono presenti nella disciplina, come sanzione per la grave scorrettezza (il dolo o la colpa grave) dell’assicurato, e incentivo per l’assicurato a dire la verità sui propri caratteri di rischio. In tal modo si vogliono evitare gli imbrogli degli assicurati, con grave danno alle compagnie e
(25) Sulla correttezza in generale come regole di responsabilità, e sui vari rimedi
che possono seguire alla violazione della correttezza, vedi per tutti DE LORENZI, Contratto di assicurazione, cit., p. 109 ss.; BENATTI, La responsabilità precontrattuale, cit.,
p. 99 ss.; SACCO, Il contratto, cit., I, p. 662 ss.; II, p. 242 ss., 520 ss.; BIANCA, Il contratto, cit., p. 175 s.
(26) L’argomento affrontato in questo paragrafo è stato ampiamente sviluppato in
DE LORENZI, Contratto di assicurazione, cit., p. 124 ss.; a questo scritto si rinvia per approfondimenti.
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agli altri assicurati a basso rischio; l’imbroglio può dar luogo ad esternalità negative, e deve essere represso. L’imbroglio, in tale ipotesi, è segnale
inoltre di possibile selezione avversa, che provoca danno non compensato,
ossia esternalità negativa, sugli assicuratori e sugli assicurati a basso rischio.
La difficoltà di prova del dolo (che spetta all’assicuratore) porta all’equiparazione legislativa della colpa grave al dolo.
L’art. 1893 c.c., per il caso in cui la dichiarazione inesatta o la reticenza dell’assicurato, determinante o incidente, sia “senza dolo o colpa grave”,
prevede il potere di recesso unilaterale da parte dell’assicuratore entro tre
mesi dalla scoperta (sempre per evitare abusi), con conseguente risoluzione del contratto; non contempla il pagamento dei premi del periodo in corso o del primo anno (quindi è da ritenere che non vi debba essere pagamento, e che vi debba essere restituzione se il premio è già stato pagato).
(Peraltro, qualora le circostanze inesattamente dichiarate o taciute dall’assicurato sui caratteri di rischio siano tali, che per esse sarebbe stato richiesto un premio maggiore, è sempre possibile la rinegoziazione del contratto, e la pattuizione di un premio maggiore).
Prevede inoltre la riduzione dell’indennità dell’assicurato se il sinistro
si verifichi entro tale periodo di tempo; sempre la riduzione dell’indennità
se la scoperta della falsità dell’informazione avvenga al tempo del sinistro;
(ed è da ritenere implicita anche la perdita dell’indennità, se la falsa informazione dell’assicurato sia stata determinante).
Penalità sono contenute pure nell’art. 1893 c.c., sia pure meno forti che
nella norma precedente, per indurre l’assicurato a dire la verità sui propri
caratteri di rischio. La questione è che le false informazioni possono provocare selezione avversa, con danno alle compagnie e agli assicurati a basso rischio.
L’elemento soggettivo è presente nell’art. 1893 c.c.; “senza dolo o colpa grave” vuol dire con colpa lieve dell’assicurato.
Se il soggetto assicurato, infatti, non conosce e non può facilmente conoscere i propri caratteri di rischio, non vi sono asimmetrie di informazione; non vi è il dovere di informazione imposto dalla correttezza; non vi sono false informazioni, dichiarazioni inesatte o reticenti; non vi è scorrettezza; non vi è il problema della selezione avversa, cagionato dalla presenza di asimmetrie di informazione tra assicurato e assicuratore sui caratteri
di rischio dell’assicurato al momento della conclusione del contratto. Non
si applica l’art. 1893 c.c., che ha a che fare con il problema della selezione
avversa.
Occorre ripetere, le false informazioni innocenti, affermative od omissive, non sono informazioni false, ma solo sbagliate; esse sono fuori della
portata della norma.
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7. LA DOTTRINA ITALIANA E GLI ARTT. 1892 E 1893 C.C.; IN PARTICOLARE, DICHIARAZIONI INESATTE O RETICENTI “SENZA DOLO O COLPA GRAVE”
La dottrina (27) ha dibattuto ampiamente la tematica delle dichiarazioni inesatte o reticenti dell’assicurato sul rischio, di cui agli articoli
1892 e 1893 c.c. Essa conosce il problema della selezione avversa, anche se non usa questa terminologia, e ha in mente il problema nell’interpretare le norme.
Gli studiosi (28) sono d’accordo nel ritenere che le dichiarazioni inesatte o reticenti, di cui agli articoli in esame, sono dichiarazioni precontrattuali dell’assicurato sul rischio, più precisamente su circostanze che influenzano il rischio, quindi la valutazione del rischio al momento della stipulazione del contratto (e non il sinistro), e che lo rendono più grave di
quanto creduto dall’assicuratore, per cui diversamente l’assicuratore non
avrebbe concluso il contratto, o l’avrebbe concluso a condizioni diverse,
con un premio maggiore. Taluno (29) rileva che l’assicurato ha maggiori
informazioni dell’assicuratore sulle circostanze che accompagnano e influenzano il rischio.
Molti scrittori pongono un obbligo o onere (30) di informazione dell’assicurato sui propri caratteri di rischio; solo alcuni ricollegano il dovere (31)
di informazione dell’assicurato alla correttezza precontrattuale.
(27) Le citazioni sono qui sommarie, data la natura di questo lavoro; per ulteriori
approfondimenti e citazioni sulla dottrina italiana in argomento, DE LORENZI, Contratto di assicurazione, cit., p. 130 ss.
(28) Per tutti, DONATI, Trattato del diritto delle assicurazioni private, II, Milano,
1954, p. 308; SALANDRA, Dell’assicurazione, in Comm. Cod. civ. a cura di Scialoja e
Branca, 3^ ed., Bologna- Roma, 1966, p. 209, 235 s.; SCALFI, voce Assicurazione (Contratto di), in Digesto, Sez. comm., I, Torino, 1987, p. 355; VOLPE PUTZOLU, L’assicurazione, in Tratt. Dir. priv. diretto da Rescigno, XIII, Torino, 1985, p. 74 s.; AG. GAMBINO, voce Contratto di assicurazione, Profili generali, in Enc. Giur., III, Roma, 1988,
p. 10.
(29) Vedi ad es. DONATI, Trattato, II, cit., p. 298; VOLPE PUTZOLU, L’assicurazione, cit., p. 74; AG. GAMBINO, voce Contratto di assicurazione, cit., p. 10.
(30) Parla di onere ad es. DONATI, Trattato, cit., II, p. 302 ss.; SALANDRA, Dell’assicurazione, cit., p. 237; di obbligo FANELLI, voce Assicurazione sulla vita, in Noviss.
Dig. it., I, 2, Torino, 1958, p. 1386 s.
(31) Parlano di dovere di informazione ricollegato alla correttezza BETTI, Teoria
generale delle obbligazioni, I, Milano, 1953, p. 88; VISINTINI, La reticenza, cit., p. 39
ss., 98 ss.; CARRESI, Il contratto, cit., p. 468; SACCO, Il contratto, cit., I, p. 561 ss.
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La maggior parte degli autori inquadra la fattispecie dell’art. 1892 c.c.
nei vizi del consenso (32) dell’assicuratore, ponendo però in luce le peculiarità. Taluno parla di dolo: tuttavia, in questo caso il dolo significa intenzionalità, è sufficiente la malafede; rileva anche il dolo incidente, rileva la
reticenza dolosa, rileva pure la colpa grave. Altri autori parlano di errore
dell’assicuratore: errore non spontaneo, ma indotto dalle informazioni dell’assicurato, determinante o incidente, anche non essenziale.
Sono sottolineate le anomalie della disciplina dell’annullamento nel contratto di assicurazione rispetto a quella della parte generale dei contratti: il rimedio ha un termine di decadenza, opera ex nunc e non ex tunc, non comporta la restituzione dei premi già pagati. Le diversità della normativa speciale da
quella generale sui contratti sono tali, che molti considerano le norme in questione come autonome, legate (33) oppure non legate ai vizi del consenso.
Qualcuno (34) legge l’annullamento di cui all’art. 1892 c.c. come risoluzione per inadempimento dell’obbligo di informazione stabilito, similmente all’art. 1893 c.c.
Un’altra opinione (35) dottrinale ritiene che la corrispondenza obiettiva tra rischio e premio sia presupposto di validità ed efficacia del contratto di assicurazione, e che l’inadempimento dell’onere di comunicazione,
posto per quel fine di equilibrio, porti a debilitazione del contratto (annullamento nei casi più gravi, altrimenti recesso).
Una tesi (36) avanzata in tempi più recenti, ancora, ritiene ratio delle
norme la coincidenza tra rischio effettivo e rischio dichiarato, l’esatta corrispondenza tra rischio e premio, alla luce della comunione dei rischi tra as-
(32) FANELLI, voce Assicurazione sulla vita, cit., p. 1387; TRABUCCHI, voce Dolo
(dir. civ.), in Noviss. Dig. it., VI, Torino, 1960, p. 153; PIETROBON, L’errore nella dottrina del negozio giuridico, Padova, 1963, p. 338.
(33) SALANDRA, Dell’assicurazione, cit., p. 218; BENATTI, La responsabilità precontrattuale, cit., p. 105; SCALFI, voce Assicurazione, cit., p. 355; SACCO, Il contratto,
cit., I, p. 471.
VISINTINI (La reticenza, cit., p. 83 ss., 88 ss., 119 ss., 315 ss.) vede nell’art. 1892
c.c. un quarto tipo di vizio della volontà (mentre il recesso dell’art. 1893 c.c. trova spiegazione nella violazione dell’obbligo di correttezza).
TEDESCHI (“Misrepresentation” e “non disclosure” nel diritto assicurativo italiano, in Riv. dir. civ., 1958, I, 479 ss.) vede nelle norme un quarto vizio del consenso, errore indotto dalle false informazioni dell’assicurato.
(34) MANCINI, Il recesso unilaterale e i rapporti di lavoro, Milano, 1962, p. 96 ss.
(35) DONATI, Trattato, cit., II, p. 304 ss.; GASPERONI, Le assicurazioni, Milano, 1966,
p. 70.
(36) AG. GAMBINO, L’assicurazione nella teoria dei contratti aleatori, Milano, 1964,
p. 381 ss.; VOLPE PUTZOLU, L’assicurazione, cit., p. 74 s.
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sicurati, e della neutralizzazione dei rischi dagli assicuratori. L’elemento
subiettivo (37) del dolo o colpa grave è svalutato.
In questa luce, l’art. 1893 c.c. da alcuni è ricostruito in modo autonomo, da altri è accomunato al precedente articolo.
I rimedi offerti dalle due norme, viene osservato, non sarebbero così
dissimili, poiché operano entrambi ex nunc e non ex tunc; le penalità presenti per il caso di dolo o colpa grave (art. 1892 c.c., in particolare, la perdita dell’indennità, la perdita dei premi del primo anno e del periodo in corso) sono applicate da molti (38) anche al caso di “senza dolo o colpa grave” (art. 1893 c.c.). Da alcuni (39) poi è richiesta ai fini dell’applicazione
dell’art. 1893 c.c. la colpa lieve, mentre altri (40) prescindono dall’elemento
subiettivo, e ritengono le dichiarazioni o le reticenze sbagliate innocenti rientrare nell’ambito di applicazione dell’art. 1893 c.c.
Data la ricostruzione suggerita in anni recenti dell’art. 1892 c.c. in termini obiettivi, si assiste sempre di più ad una tendenziale equiparazione (41) delle due norme, ad una convergenza nell’interpretazione e applicazione delle due
norme, con svalutazione dell’elemento subiettivo. La differenza (42) tra le due
norme si ridurrebbe alla diversa gravità dello squilibrio tra rischio e premio.
Anche coloro (43), che pongono un dovere di informazione dell’assicurato sul rischio ricollegato alla correttezza, di solito non fanno seguire i
(37) Sull’elemento subiettivo del dolo e della colpa grave (e della colpa lieve) di
cui agli artt. 1892 e 1893 c.c. in dottrina, vedi DE LORENZI, Contratto di assicurazione,
cit., p. 137 ss.; sulla svalutazione dell’elemento subiettivo, ivi, p. 140 ss.
(38) DONATI, Trattato, cit., II, p. 316; GASPERONI, Le assicurazioni, cit., p. 74 s.; SALANDRA, Dell’assicurazione, cit., p. 240 s.; AG. GAMBINO, voce Contratto di assicurazione, cit., p. 17; VOLPE PUTZOLU, L’assicurazione, cit., p. 83 s.; contra VISINTINI, La reticenza, cit., p. 85 nota 98.
(39) Richiedono la colpa, tra gli altri, FANELLI, voce Assicurazione sulla vita, cit.,
p. 1387; TEDESCHI, “Misrepresentation”, cit., p. 487; GASPERONI, Le assicurazioni, cit.,
p. 72.
(40) Non richiedono la colpa DONATI, Trattato, cit., II, p. 303 ss.; SALANDRA,
Dell’assicurazione, cit., p. 241 ss.; VISINTINI, La reticenza, cit., p. 251 ss.; AG. GAMBINO, L’assicurazione, cit., p. 381 ss.; VOLPE PUTZOLU, L’assicurazione, cit., p. 76, e
nota 27.
(41) Vedi AG. GAMBINO, voce Contratto di assicurazione, cit., p. 17; VOLPE PUTZOLU, L’assicurazione, cit., p. 83. Ulteriori riferimenti in DE LORENZI, Contratto di assicurazione, cit., p. 135, 141 e nota 152.
(42) VISINTINI, La reticenza, cit., p. 68 ss.; SCALFI, voce Assicurazione, cit., p. 355.
(43) Collega l’annullamento di cui all’art. 1892 c.c. alla violazione del dovere di
informazione previsto dalla correttezza BETTI, Teoria generale delle obbligazioni, cit.,
p. 88 (non però il recesso di cui all’art. 1893 c.c.); collega il recesso di cui all’art. 1893
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rimedi in considerazione alla violazione della regola della correttezza. La
ragione è la asserita non interferenza (44) tra regole di comportamento e di
responsabilità, da un lato, e regole di validità e di invalidità, dall’altro, ossia la concezione per cui dalla violazione della regola di comportamento
della correttezza non può derivare l’invalidità del contratto, ma solo il risarcimento del danno. L’interferenza tra le regole in esame è riconosciuta
operare a volte a monte, nella ratio delle norme, ma non successivamente;
l’interferenza tra regole di comportamento e di responsabilità, quale la correttezza, e regole di validità e di invalidità minerebbe la certezza dei rapporti giuridici.
Per gli autori (45), la falsa o inesatta informazione dell’assicurato, e i
rimedi, trovano limite nella conoscenza o conoscibilità (con ordinaria diligenza) dell’assicuratore.
I doveri di informazione dell’assicurato (artt. 1892, 1893 c.c.) sono legati alla correttezza, i rimedi (annullamento del contratto, recesso-risoluzione) sono collegati alla violazione della correttezza informativa dell’assicurato. L’interferenza tra regole di comportamento e di responsabilità e
regole di validità e di invalidità è nelle norme (art. 1892 c.c.), la certezza
del sistema giuridico non è in pericolo.
La prospettiva (46) dell’errore o del dolo non è sbagliata; essa è solo riduttiva, parziale, incompleta.
La corrispondenza obiettiva tra rischio e premio, asserita alla base delle norme, o similmente tra indennità attesa e premio, tra rischio effettivo e
rischio dichiarato, si presenta parziale, inesatta; la questione è l’esatta individuazione del rischio, la corretta valutazione del rischio, la corretta classificazione del rischio, e quindi la corretta attribuzione del premio, la “cor-
c.c. alla violazione della correttezza VISINTINI, La reticenza, cit., p. 88 ss. (non però l’annullamento di cui all’art. 1892 c.c.). Vedi ancora CARRESI, Il contratto, cit., p. 469; SACCO, Il contratto, cit., I, p. 561 ss., 622 ss., 835.
(44) PIETROBON, L’errore, cit., p. 71 ss., 104 ss.; più di recente G. D’AMICO, Regole di validità e regole di comportamento nella formazione del contratto, in Riv. Dir.
Civ., 2002, p. 37 ss., p. 49 ss.; contra BETTI, Teoria generale delle obbligazioni, cit., I,
p. 88; VISINTINI, La reticenza, cit., p. 112 ss.; BENATTI, Culpa in contrahendo, in Contr.
impr., 1987, 301 ss.; SACCO, Il contratto, cit., I, p. 622 ss.; BIANCA, Il contratto, cit., p.
613 ss.; DE LORENZI, Contratto di assicurazione, cit., p. 109 ss., 112 ss., 132 ss.
(45) DONATI, Trattato, cit., II, p. 312; SALANDRA, Dell’assicurazione, cit., p. 249;
VISINTINI, La reticenza, cit., p. 133 ss.; SCALFI, voce Assicurazione, cit., p. 356; altri riferimenti in DE LORENZI, Contratto di assicurazione, cit., p. 142, nota 154.
(46) Ulteriori critiche alla dottrina italiana relativa alle due norme considerate si
possono trovare in DE LORENZI, Contratto di assicurazione, cit., p. 148 ss.
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retta corrispondenza”, il “corretto equilibrio” tra rischio e premio, e non “la
corrispondenza” o “l’equilibrio” tra rischio e premio. Il problema che le
norme intendono risolvere è quello della selezione avversa nel contratto di
assicurazione. La non esatta individuazione del rischio, quindi la non corretta valutazione del rischio, la non corretta attribuzione del premio, può
cagionare danno alle compagnie, e cagiona danno agli altri assicurati a basso rischio dello stesso gruppo.
L’elemento subiettivo è presente, in varia gradazione (dolo o colpa grave, o colpa lieve dell’assicurato), nelle due norme. L’elemento subiettivo
della colpa lieve dell’assicurato è presente ed è richiesto ai fini dell’applicazione dell’art. 1893 c.c.
Senza consapevolezza dell’assicurato delle circostanze rilevanti del proprio rischio, non vi sono asimmetrie di informazione; non vi è il dovere di
informazione posto dalla correttezza; non vi è falsa informazione; senza
asimmetrie di informazione, non vi è il problema della selezione avversa.
Le dichiarazioni false innocenti o le reticenze false innocenti sono informazioni sbagliate, non false; esse non hanno a che fare con il problema
della selezione avversa; esse sono fuori dalla portata dell’art. 1893 c.c. Ad
esse non consegue la perdita o la riduzione dell’indennità. (Può ovviamente seguire il recesso-risoluzione da parte dell’assicuratore, e la rinegoziazione del contratto, con adeguamento del premio al rischio).
Le dichiarazioni innocenti o le reticenze innocenti sbagliate sono da riguardare come elementi di casualità del danno, sempre presenti, di cui si
tien conto nel calcolare il rischio e il premio.
8. LA GIURISPRUDENZA E GLI ARTT. 1892 E 1893 C.C.; IN PARTICOLARE, DICHIARAZIONI INESATTE O RETICENTI “SENZA DOLO O COLPA GRAVE”
Anche la giurisprudenza (47), a sua volta, reputa che le dichiarazioni
inesatte e le reticenze dell’assicurato in esame sono su circostanze (48), fatti che attengono al rischio, accompagnano il rischio e influenzano il rischio,
(47) Per una panoramica sull’interpretazione e applicazione degli artt. 1892 e 1893 c.c.
da parte della giurisprudenza, soprattutto meno recente, consulta ROSSETTI, Il contenuto oggettivo del contratto di assicurazione, in ALPA (a cura di), Le assicurazioni private, in Giur.
Sist. Civ. comm. fondata da Bigiavi, I, Torino, 2006, p. 983 ss., 1041 ss., 1046 ss.
(48) Cass. 24 novembre 2013, n. 17840, in Foro it. Online (in motivazione); Cass.
29 maggio 2012, n. 8580, in Iusexplorer (in motivazione); Cass. 31 marzo 2011, n.
7458, in Iusexplorer (in motivazione); Cass. 13 marzo 2007, n. 5849, in Foro it., 2007,
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quindi la valutazione del rischio da parte dell’assicuratore al momento della conclusione del contratto, per cui questi non avrebbe dato il suo consenso o l’avrebbe dato a condizioni diverse, con premio più elevato.
Nell’applicazione dell’art. 1892 c.c., i giudici attribuiscono al dolo (49)
il significato di malafede, intenzionalità, e seguendo la norma equiparano
al dolo la colpa grave. La dichiarazione inesatta dolosa è il mendacio consapevole e volontario, e non richiede artifici o raggiri, come invece si richiede per l’applicazione della disciplina del dolo della parte generale dei
contratti, di cui all’art. 1439 c.c.; la reticenza dolosa è il sottacere consapevolmente fatti (50), circostanze rilevanti.
I, 3136 (in motivazione); Cass. 24 novembre 2003, n. 17840, in Giust. civ., 2004, I, 2640
(in motivazione); Cass. 14 febbraio 2001, n. 2148, in Contr., 2001, 870, con nota di
MENICHINO; Cass. 27 luglio 2001, n. 10292, in Dir. econ. ass., 2001, 1142 (in motivazione); Cass. 19 dicembre 2000, n. 15939, in Foro it. Online (in motivazione); Cass. 12 maggio 1999, n. 4682, in Foro it., 1999, I, 2898; Cass. 12 ottobre 1998, n. 10086, ivi, 1999,
I, 125; Cass. 4 luglio 1997, n. 6039, ivi, 1997, I, 2853; Trib. Catania 6 dicembre 1996, in
Dir. econ. ass., 1998, 625; Trib. Torino 25 novembre 1995, in Resp. civ., 1997, 530.
(49) Il dolo è volontarietà e consapevolezza delle dichiarazioni mendaci o delle reticenze. Cass. 29 marzo 2006, n. 7245, in Foro it. Online; Cass. 17 dicembre 2004, n.
23504, ivi; Cass. 19 gennaio 2001, n. 784, ivi; Cass. 12 maggio 1999, n. 4682, cit. (in
motivazione); Cass. 25 marzo 1999, n. 2815, in Giust. civ., 2000, I, 877; Trib. Roma
20 febbraio 2009, in Resp. civ., 2009, 1595; Trib. Catania 6 dicembre 1996, cit.; Cass.
19 maggio 1989, n. 2396, in Corr. giur., 1989, 979, con Commento di ANELLI. La colpa grave è residuale, e sussiste quando non sia chiara la prova del dolo.
Qualche pronuncia di merito richiede ai fini del dolo e della colpa grave anche la
consapevolezza dell’assicurato della influenza della circostanza sul rischio (Trib. Trieste 12 gennaio 2010, in questa Rivista, 2010, II, 181; Trib. Roma 12 gennaio 2010, ivi,
2010, II, 181; Trib. Torino 11 maggio 2000, in Nuova giur. civ., 2002, I, 249; vedi anche Cass. 11 gennaio 1962, n. 23, in Giust. civ., 1962, I, 477); ciò sembra eccessivo, e
non necessario, in quanto è l’assicuratore che valuta il rischio.
Per le posizioni variegate della dottrina sul dolo e colpa grave, vedi DE LORENZI,
Contratto di assicurazione, cit., p. 137 ss.
(50) Vi è ampia casistica di dichiarazioni inesatte o reticenze dolose rilevanti, sottostanti alle sentenze di legittimità (e di merito).
Omissione di comunicazione di malattie pregresse conosciute (Cass. 20 dicembre
2011, n. 27578, in Dir. econ. ass., 2012, I, 229, assicurazione sulla vita; Cass. 13 marzo 2007, n. 5849, cit., in assicurazione infortuni; Cass. 19 gennaio 2001, n. 784, cit., in
assicurazione sanitaria; App. Roma 16 febbraio 1995, in Foro it. Online, in assicurazione malattie); di anomalie congenite conosciute (in assicurazione malattie) Cass. 29
marzo 2006, n. 7245, cit.
Omissione di comunicazione, in un contratto con la clausola claim’s made, di illeciti propri già conosciuti dall’assicurato, per cui si stipula la polizza di assicurazione della responsabilità civile (Cass. 22 marzo 2013, n. 7273, in Contr., 2013, 884, con
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I giudici (51) sanciscono che la prova della inesattezza della dichiarazione o della reticenza, come la prova del dolo o colpa grave, è onere dell’assicuratore; questi deve altresì provare che la circostanza inesattamente
dichiarata o taciuta sia influente sul rischio, quindi sia stata determinante
nella formazione del proprio consenso.
nota di nota GAZZARA; invece, per il caso in cui l’assicurato non fosse consapevole, vedi Cass. 17 febbraio 2014, n. 3622, in Foro it. Online).
Omissione di comunicazione di eventi dannosi cagionati dall’assicurato precedentemente alla stipula, e ricompresi nella copertura, in assicurazione per la responsabilità civile professionale (Cass. 4 gennaio 2010, n. 11, in Foro it., 2010, I, 851).
Omissione di comunicazione della pericolosità statica del fabbricato (Cass. 16 dicembre 2005, n. 27728, in questa Rivista, 2006, II, 2, 155, in assicurazione per la responsabilità civile).
Omissione di comunicazione dell’attività svolta nell’autoveicolo (friggitoria, in assicurazione contro furto e incendio: Cass. 22 maggio 1992, n. 6147, in Foro it. Online).
Omissione di comunicazione di aver già subìto furti (manca però la prova richiesta ai fini dell’applicazione dell’art. 1892 c.c.: Cass. 24 novembre 2013, n. 17840, cit.;
contra, Cass. 25 maggio 1994, n. 5115, in Foro it. Online).
Omissione di comunicazione della reale attività lavorativa svolta (Cass. 16 dicembre
2012, n. 25457, in Iusexplorer, in assicurazione infortuni).
Omissione di comunicazione del reale valore del veicolo (più basso di quanto dichiarato, in assicurazione furto) Cass. 30 novembre 2011, n. 25582, in Foro it. Online;
Cass. 13 luglio 2010, n. 16406, in Giur. it., 2011, I, 1, 2367; Trib. Rimini 2 gennaio
2006, in Foro it. Online; Trib. Monza 10 marzo 2003, in Dir. econ. ass., 2003, 499, con
nota di LETTA. La qualificazione della fattispecie non sembra peraltro esatta, in quanto
si tratta in realtà di sovrassicurazione, ex art. 1909 c.c. (Vedi DE LORENZI, Contratto di
assicurazione, cit., p. 195 ss.).
Omissione di comunicazione di avere altre assicurazioni sul medesimo rischio, per
il medesimo tempo, ex art. 1910 c.c. (Cass. 12 maggio 1999, n. 4682, cit.); non sembra
esatta la qualificazione, poiché la doppia assicurazione non riguarda la valutazione iniziale del rischio, ma è un altro problema, che riguarda l’accresciuto rischio per l’assicuratore derivante dal comportamento dell’assicurato (rischio morale) successivo alla
conclusione del contratto, e le esternalità connesse. (Vedi DE LORENZI, Contratto di assicurazione, cit., p. 198 ss.).
Non è ritenuta rilevante l’omissione di comunicazione del carattere dell’attività
svolta (manuale, anziché dirigenziale di un’impresa agricola, in assicurazione infortuni), in quanto non influisce sul rischio (Cass. 27 luglio 2001, n. 10292, cit.; ciò sembra
sbagliato, in quanto l’attività svolta influisce invece sul rischio).
Non è ritenuta rilevante l’omissione di comunicazione dell’anno di immatricolazione del veicolo (in quanto non influisce sul rischio, in assicurazione contro il furto di
natante: Cass. 29 maggio 2012, n. 8580, cit.).
(51) La massima consolidata della Cassazione recita: “La reticenza dell’assicurato è causa di annullamento del contratto di assicurazione quando si verifichino
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La valutazione della prova fornita della presenza del dolo o della colpa
grave, e la valutazione della rilevanza della dichiarazione inesatta o reticente, è un giudizio di fatto (52), che spetta al giudice di merito, ed è insindacabile in sede di legittimità.
È a carico dell’assicurato la prova della conoscenza o della conoscibilità (53) della circostanza con ordinaria diligenza da parte dell’assicuratore, che paralizza l’applicazione della norma, o della non influenza della circostanza sul rischio.
L’azione di annullamento (54) deve essere esercitata dall’assicuratore,
a pena di decadenza, entro tre mesi dalla scoperta, come secondo la norma.
Se il sinistro si verifichi entro tre mesi dalla conoscenza, l’assicuratore non
deve impugnare il contratto con l’azione di annullamento; e neppure, a maggior ragione, se la scoperta avvenga al tempo del sinistro: egli può limitarsi ad opporre, e a provare, che la dichiarazione inesatta o la reticenza del-
simultaneamente tre condizioni: a) che la dichiarazione sia inesatta o reticente; b) che
la dichiarazione sia stata resa dall’assicurato con dolo o colpa grave; c) che la reticenza sia stata determinante nella formazione del consenso dell’assicuratore; l’onere probatorio in ordine alla sussistenza di tali condizioni, che costituiscono il presupposto di
fatto e di diritto dell’inoperatività della garanzia assicurativa, è a carico dell’assicuratore”. Cass. 30 novembre 2011, n. 25582, cit. (in motivazione); Cass. 13 luglio 2010,
n. 16406, cit. (in motivazione); Cass. 21 luglio 2006, n. 16769, in Foro it. Online; Cass.
29 marzo 2006, n. 7245, cit.; Cass. 17 dicembre 2004, n. 23504, cit.; Cass. 24 novembre 2003, n. 17840, cit. (in motivazione); Cass. 25 febbraio 2002, n. 2740, in Giust. civ.,
2002, I, 1866; Cass. 14 febbraio 2001, n. 2148, cit.; Cass. 25 marzo 1999, n. 2815, cit.;
Cass. 12 maggio 1999, n. 4682, cit.; Cass. 12 ottobre 1998, n. 10086, cit.; Cass. 4 luglio 1997, n. 6039, in Foro it. Online; Cass. 10 giugno 1996, n. 5770, ivi, Cass. 25 maggio 1994, n. 5115, cit.
Se manca la prova di una delle tre condizioni, non si applica l’art. 1892 c.c.: Cass.
14 febbraio 2013, n. 3661, in Iusexplorer; Cass. 24 novembre 2003, n. 17840, cit. (in
motivazione).
(52) È pacifico. Cass. 31 marzo 2011, n. 7458, cit.; Cass. 21 luglio 2006, n. 16769,
cit.; Cass. 29 marzo 2006, n. 7245, cit.; Cass. 24 novembre 2003, n. 17840, cit.; Cass.
15 maggio 1998, n. 4913, in Foro it. Online.
(53) Cass. 31 marzo 2011, n. 7458, cit. (in motivazione); Cass. 10 ottobre 2008, n.
25011, in Resp. civ., 2009, 1837; Cass. 24 novembre 2003, n. 17840, cit. (in motivazione); Cass. 19 dicembre 2000, n. 15939, cit. (in motivazione); Cass. 21 aprile 1999,
n. 3962, in Foro it. Online; Cass. 10 maggio 1998, n. 4913, ivi; Trib. Torino 7 maggio
1997, ivi; App. Lecce-Taranto 21 aprile 1997, in Arch. civ., 1998, 941; Cass. 19 maggio 1989, n. 2396, cit., in Corr. giur., 1989, 979.
(54) Per ipotesi in cui non era stata esercitata in tempo l’azione, Cass. 11 ottobre
2006, n. 21737, in Foro it. Online; Trib. Novara, 27 gennaio 2011, in Contr., 2011, 781,
con nota di SANGIOVANNI.
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l’assicurato è con dolo o colpa grave, ad eccepire quindi la causa di annullamento del contratto, e non pagare l’indennità (55).
Qualora non vi sia dolo o colpa grave dell’assicurato, ex art. 1892 c.c.,
la giurisprudenza recita (56) che si applica l’art. 1893 c.c., che prevede, nell’ipotesi di dichiarazioni inesatte o reticenze dell’assicurato “senza dolo o
colpa grave”, che l’assicuratore possa recedere dal contratto entro tre mesi
dalla scoperta, e che debba pagare un’indennità ridotta se il sinistro si verifichi durante i tre mesi suddetti.
La giurisprudenza, in special modo di Cassazione, declama che l’art.
1893 c.c. si applica nel caso di dichiarazioni inesatte e reticenti dell’assicurato “senza dolo o colpa grave”, ripetendo il dettato della norma, senza
precisare se occorra o meno la colpa lieve dell’assicurato.
In alcune sentenze (57), la norma dell’art. 1893 c.c. è applicata in presenza di colpa lieve dell’assicurato.
In assenza di colpa lieve dell’assicurato, alcune sentenze (58) ritengono applicabile l’art. 1893 c.c.; altre sentenze (59), invece, ritengono in tale
(55) Cass. 4 gennaio 2010, n. 11, cit.; Cass. 13 luglio 2010, n. 16406, cit.; Cass. 13
marzo 2007, n. 5849, cit.; Cass. 16 dicembre 2005, n. 27728, cit.; Cass. 4 marzo 2003,
n. 3165, in Arch. civ., 2003, 719; Cass. 25 marzo 1999, n. 2815, cit.; Cass. 24 marzo
1997, n. 2576, in Dir. econ. ass., 1998, 631.
(56) Cass. 31 marzo 2011, n. 7458, cit. (dichiarazione inesatta anche innocente, in
motivazione); Cass. 11 giugno 2010, n. 14069, in Resp. civ. prev., 2011, p. 629, con
nota di LANDINI; Cass. 19 dicembre 2000, n. 15939, cit.; Cass. 10 maggio 1998, n. 4913,
cit. Le pronunce sull’art. 1893 c.c. sono scarse, perché esso si muove nell’area delle
clausole di incontestabilità.
(57) Cass. 31 marzo 2011, n. 7458, cit. (assicurazione per furto autoveicolo, omessa dichiarazione del reale valore del veicolo acquistato usato, per negligenti indagini
dell’assicurato: sembrerebbe peraltro un caso di sovrassicurazione); Cass. 19 dicembre
2000, n. 15939, cit. (omessa dichiarazione di destinazione commerciale, anziché abitativa, dell’immobile, in assicurazione incendi); Pret. Macerata-Civitanova Marche 1°
agosto 1997, in Arch. civ., 1997, 1000 (omessa dichiarazione colposa di malattia pregressa, in assicurazione malattie).
(58) Per il caso di mancata comunicazione di sintomi aspecifici di malattia, di cui il
contraente non era consapevole, Cass. 11 giugno 2010, n. 14069, cit. (in assicurazione spese mediche); vedi anche Cass. 18 gennaio 1979, n. 348, in questa Rivista, 1979, II, 2, 16.
La sentenza Cass. 28 giugno 2005, n. 13918 (in Dir. giust., 2005, fasc. 34-35) addirittura ritiene costituire colpa grave (ex art. 1892 c.c.) la mancata dichiarazione del
contraente nella stipula di una polizza sanitaria (a favore del terzo) sul fatto che il soggetto assicurato si era sottoposto ad esami clinici dall’esito incerto, nella inconsapevolezza dell’esistenza di una malattia; (contra Trib. Trieste 12 gennaio 2010, cit.).
(59) Sempre per il caso di mancata comunicazione di sintomi aspecifici di malattia, di cui il contraente non era consapevole, Cass. 21 giugno 2011, n. 13604, in Foro
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ipotesi inapplicabile la disciplina, e considerano le dichiarazioni inesatte e
reticenti senza colpa lieve dell’assicurato, ossia innocenti, irrilevanti.
Occorre ribadire, le due norme in esame (artt. 1892, 1893 c.c.) cercano
di risolvere il problema della selezione avversa, problema che sorge in presenza di asimmetrie di informazione che sussistono al momento della conclusione del contratto di assicurazione tra le parti contraenti (assicuratore e
assicurato) sui caratteri di rischio dell’assicurato, preesistenti al contratto e
indipendenti dalla volontà del soggetto.
Senza asimmetrie di informazione, ossia con informazioni simmetriche,
non c’è selezione avversa. Senza asimmetrie di informazione, con informazioni simmetriche, non si applica la regola di comportamento e di responsabilità della correttezza precontrattuale; non vi è un dovere di informazione dell’assicurato ricollegato alla correttezza, che riguarda e può riguardare solo ciò che un soggetto sa o può facilmente sapere (con ordinaria diligenza); senza asimmetrie di informazione, non vi è falsa informazione, non vi è scorrettezza.
Le informazioni “false” innocenti dell’assicurato sui propri caratteri
di rischio sono informazioni sbagliate, non false, su circostanze che accompagnano il rischio. Esse sono da considerare come elementi di casualità del danno, sempre presenti, di cui gli assicuratori tengono conto
nel calcolare il rischio e il premio. Le dichiarazioni inesatte o le reticenze innocenti dell’assicurato sono fuori dalla sfera di applicazione dell’art. 1893 c.c.
9. I QUESTIONARI
La presenza di un questionario, predisposto dall’assicuratore, non muta i termini della questione.
La dottrina è divisa sull’importanza da attribuire alle domande del questionario, e si chiede se esse siano da considerarsi in ogni caso essenziali (60),
oppure non necessariamente (61).
it., 2011, I, 3029 (in assicurazione vita per caso morte); Trib. Milano 18 novembre 2002,
in Contr., 2003, 488, con nota di DEL CONTE; App. Milano 25 maggio 2001, in Nuova
giur. civ., 2001, I, 610.
(60) Per tutti, DONATI, Trattato, cit., II, p. 308.
(61) Tra gli altri, SALANDRA, Dell’assicurazione, cit., p. 248; GASPERONI, Le assicurazioni, cit., p. 71; VOLPE PUTZOLU, L’assicurazione, cit., p. 74; ulteriori riferimenti
in DE LORENZI, Contratto di assicurazione, cit., p. 139 e nota 148.
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La giurisprudenza (62), dal suo canto, ritiene che, se una domanda è
contenuta nel questionario, essa è da considerarsi essenziale da parte dell’assicuratore.
La posizione per la quale la domanda contenuta nel questionario è da
reputare essenziale è da seguire, con la precisazione che deve trattarsi di domanda su circostanze (63) influenti sul rischio e sulla valutazione del rischio da parte dell’assicuratore.
Se un questionario sussiste, le domande del questionario sono una richiesta
di specifiche informazioni su circostanze influenti sul rischio, ritenute rilevanti dall’assicuratore. Le risposte al questionario da parte dell’assicurato sono informazioni: esse possono essere informazioni vere, o informazioni false. Le informazioni false possono consistere in dichiarazioni dolose, gravemente colpose o colpose; oppure possono consistere in reticenze dolose, gravemente colpose o colpose (rispettivamente, art. 1892 e art. 1893 c.c.) .
Le dichiarazioni false innocenti o le reticenze false innocenti, in risposta
al questionario, non sono informazioni false, bensì sono informazioni sbagliate. Esse non rientrano nell’ambito di applicazione dell’art. 1893 c.c.
La dottrina è altresì divisa riguardo al fatto che le domande del questionario esauriscano (64) le informazioni che l’assicurato deve dare, oppure non necessariamente (65).
(62) Giurisprudenza costante: Cass. 11 giugno 2010, n. 14069, cit.; Cass. 17 dicembre 2004, n. 23504, cit.; Cass. 25 marzo 1999, n. 2815, cit.; Cass. 12 maggio 1999,
n. 4682, cit.; Cass. 12 ottobre 1998, n. 10086, cit.; App. Lecce-Taranto 21 aprile 1997,
cit.; Trib. Torino 16 luglio 1997, in Resp. civ. prev., 1998, 1533; contra Cass. 9 maggio 1977, n. 1779, in Giur. it., 1978, I, 1, 2016.
Per una rassegna sulla giurisprudenza in tema di questionari, ROSSETTI, Il contenuto oggettivo del contratto di assicurazione, cit., p. 1049 ss.
(63) Se la massima sembra corretta, non sembra invece esatta l’applicazione che la Suprema Corte fa della massima in alcuni casi; ad es., all’ipotesi di mancata dichiarazione dell’assicurato della sussistenza di altri contratti di assicurazione per il medesimo rischio, per il
medesimo tempo, ex art. 1910 c.c. (Cass. 12 maggio 1999, n. 4682, cit.); non si tratta di circostanze influenti sul rischio e sulla valutazione del rischio al momento della conclusione del
contratto, ex artt. 1892, 1893 c.c., ma di elementi che, collegati al comportamento dell’assicurato, possono aggravare il rischio dopo la conclusione del contratto (rischio morale), e ripercuotersi con grave danno anche sugli altri assicuratori. (Peraltro, la Corte considera applicabile l’art. 1910 c.c. all’assicurazione sulla vita, mentre la norma è prevista nella disciplina dell’assicurazione danni). Vedi DE LORENZI, Contratto di assicurazione, cit., p. 198 ss.
(64) Per tutti, R. WEIGMANN, L’importanza del questionario per valutare le reticenze dell’assicurato (nota a Cass. 20 novembre 1990, n. 11206), in Giur. it., 1991, I,
1, 1209 ss.; BIN, Informazione e contratto di assicurazione, in Riv. trim. dir. proc. civ.,
1993, I, 727 ss., 831.
(65) Vedi DONATI, Trattato, cit., II, p. 308; SALANDRA, Dell’assicurazione, cit.,
p. 248; GASPERONI, Le assicurazioni, cit., p. 71; VOLPE PUTZOLU, L’assicurazione, cit.,
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Contratto di assicurazione e dichiarazioni inesatte e reticenti ecc.
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In giurisprudenza è presente un contrasto tra pronunce; in alcune (66)
si afferma che, anche se non vi è domanda specifica contenuta nel questionario, l’informazione può essere significativa, e la reticenza rilevante; in altre (67) si afferma che, se la domanda non è contenuta nel questionario, ciò denota indifferenza dell’assicuratore, quindi l’irrilevanza
della circostanza e dell’informazione.
La posizione per cui anche le circostanze non contenute nel questionario possono essere significative sembra corretta. I questionari focalizzano
alcune informazioni ritenute rilevanti dagli assicuratori per la valutazione
del rischio, ma non esauriscono le informazioni che l’aspirante assicurato
deve dare all’assicuratore sui propri caratteri di rischio. Ove l’assicurato sia
a conoscenza di propri caratteri essenziali influenti sul rischio negativi, rilevanti per la valutazione del rischio da parte dell’assicuratore, importanti
per l’assicuratore ai fini della stipulazione del contratto di assicurazione, su
cui non vi è richiesta specifica nel questionario, deve dare questa informazione all’assicuratore. La reticenza è falsa informazione, dolosa, gravemente
colposa, o meramente colposa, a seconda delle ipotesi. Se invece l’assicurato non conosce la circostanza, non vi è dovere di informazione, non vi
può essere falsa informazione, dichiarazione inesatta o reticenza rilevante
ai fini dell’applicazione delle norme.
p. 74, nota 21; ulteriori riferimenti in DE LORENZI, Contratto di assicurazione, cit., p.
139 e nota 148.
(66) Cass. 20 dicembre 2011, n. 27578, cit.; Cass. 12 maggio 1999, n. 4682, cit.
(67) Cass. 24 novembre 2013, n. 17840, cit. (in motivazione) Cass. 21 luglio 2006,
n. 16769, cit. (in motivazione); Cass. 24 novembre 2003, n. 17840, cit. (omessa dichiarazione di aver subìto precedenti furti); Cass. 15 giugno 2001, n. 8139, in Foro it.
Online; Cass. 20 novembre 1990, n. 11206, in Giur. it., 1991, I, 1, 1029; Cass. 21 ottobre 1980, n. 5638, in Arch. civ., 1981, 440. Tra le sentenze di merito, Trib. Catanzaro 7 marzo 2011, in Foro it. Online; Trib. Roma, 12 gennaio 2010, cit.; Trib. Milano
22 maggio 2001, cit.
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Le coperture assicurative contro il rischio
calamità naturali
DI
ANTONIO COVIELLO
Ricercatore Consiglio Nazionale delle Ricerche (IRAT)
Docente di Organizzazione delle imprese assicurative - II Università di Napoli
SOMMARIO: 1. Introduzione. – 2. Il rischio calamità naturali nel sistema assicurativo. – 3. Le
principali forme di copertura del rischio: tra approccio ex-ante e ex-post agli eventi catastrofali. – 4. Il trasferimento del rischio catastrofale e i principali meccanismi di copertura assicurativa. – 5. Conclusione.
1.
INTRODUZIONE
I fenomeni di origine naturale fanno parte della vita della Terra, ma i
loro effetti possono diventare distruttivi interagendo con un territorio antropizzato e di frequente non preparato. Esistono differenti definizioni di
calamità naturale in base ai diversi approcci; consideriamo nello specifico
quella di Turner (1976): l’impatto di un evento estremo concentrato nello
spazio e nel tempo, che eccede grandemente le aspettative umane in termini di magnitudo e frequenza e che ha un profondo impatto sul sistema socio-economico.
L’analisi e il confronto delle banche dati ci inducono a pensare che nel
futuro le catastrofi saranno sempre più frequenti e disastrose nel mondo (fig.
1). Il loro trend risulta essere in forte ascesa a partire dagli anni ’60 soprattutto a seguito dell’aumento della concentrazione della popolazione in aree
metropolitane o maggiormente vulnerabili e a causa dei cambiamenti climatici globali (causa principale l’effetto serra). I dati ci confermano come
soprattutto nell’ultimo decennio il trend degli eventi estremi sia cresciuto
sia come numerosità di catastrofi naturali, sia come danni alle popolazioni
(numero di vittime).
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Fig.1- Distribuzione temporale delle calamità naturali dal 1900
(EM-DAT, 2011).
Da recenti ricerche è risultato palese l’incremento, negli ultimi decenni, dei costi e quindi del valore economico dei danni provocati dalle calamità naturali; fenomenologia questa che non può non essere riconducibile
anche all’accresciuta concentrazione delle popolazioni residenti nelle città,
che diventano sempre più grandi e che si sono sviluppate in zone caratterizzate troppo spesso da un territorio esposto a forti rischi catastrofali (1).
Le diverse calamità naturali in letteratura (Migliorini, 1981; De Alexander, 1990) sono generalmente distinte e classificate secondo la classificazione seguente:
• Eventi dovuti a cause naturali;
• Rischi tecnologici;
• Epidemie o pandemie;
• Terrorismo
Nell’ambito di questa classificazione, analizzeremo prevalentemente i
rischi derivanti da eventi catastrofali dovuti a fenomenologie caratterizzate
(1) SCHWARZ S., Calamità naturali e catastrofi man-made: danni elevati in Europa, SIGMA Swiss Re.
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da avvenimenti naturali. Tali fenomeni possono, a loro volta, essere distinti in sei differenti tipologie che si verificano ad opera ed intervento della sola natura ed in cui, come detto, l’opera dell’uomo non ha incidenza diretta.
Gli eventi naturali o come una tassonomia d’oltreoceano (2) usa definire “No
Man Made Events” possono essere classificati in:
• Terremoto;
• Maremoto/tsunami;
• Eruzioni vulcaniche;
• Inondazioni;
• Alluvioni;
• Mareggiate;
• Eventi atmosferici:
• Uragani;
• Bufere;
• Tempeste;
• Trombe d’aria.
La gestione dei rischi catastrofali implica una valutazione su ruolo, doveri e responsabilità dei soggetti pubblici e privati che sono coinvolti nel
governo delle diverse attività da svolgere. L’esperienza insegna che per il
successo di qualsiasi iniziativa umana complessa bisogna presidiare il rischio di governance.
La crisi finanziaria globale iniziata nel 2007 ha fatto crescere l’attenzione sulle debolezze del sistema di governo societario, che sono emerse
nei casi di fallimenti di prestigiose banche ed assicurazioni, per comprendere i rischi che esse avevano assunto.
Le imprese assicurative durante la crisi hanno evidenziato criticità nella gestione del business ma anche soluzioni, che si sono affermate nell’esperienza internazionale, per l’evoluzione verso un nuovo governo dell’impresa.
All’assicuratore dopo la crisi viene chiesto di considerare nel continuo
le cause dei differenti rischi assunti ed il loro impatto in termini di potenziali perdite, valutando la relazione tra le esposizioni al rischio e l’adeguatezza del proprio patrimonio al profilo di rischio dell’impresa. Così facendo l’assicuratore è tenuto a identificare i punti di forza e debolezza del suo
business, della sua governance, delle funzioni di controllo e dovrebbe sviluppare ed utilizzare adeguate politiche e tecniche di risk management (ge-
(2) J.W. GALBRAITH, S. ZERNOV, V. ZINDE-WALSH, Cat. Nat, 2001.
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stione dei rischi) cambiando la sua struttura organizzativa per fare miglioramenti, ove necessario. Nella valutazione, gestione e controllo dei rischi
da parte delle imprese assicurative necessitano idonee metodologie di modellizzazione dei rischi, stress testing, analisi di scenario e contingency
plans, anche al fine di adottare adeguate e tempestive politiche di mitigazione dei rischi, e utilizzare gli strumenti innovativi offerti dai mercati finanziari, tali da consentire all’impresa di assumere rischi in misura da non
provocarne la crisi. L’assicuratore deve andare alla ricerca nel tempo delle
limitazioni dei modelli che usa per gestire i rischi, del potenziale impatto
che queste possono avere nella gestione del business e deve adattare conseguentemente il proprio sistema di risk management.
2. IL RISCHIO CALAMITÀ NATURALI NEL SISTEMA ASSICURATIVO
Occorrerà, allora, far ricorso a dei modelli assicurativi in grado di coprire le catastrofi naturali che colpiranno le popolazioni specialmente nelle aree più densamente popolate del pianeta.
La maggior parte delle compagnie assicurative in Europa e nel mondo
stipulano polizze che contemplano i rischi legati ad eventi di calamità naturali. In passato questa tipologia di assicurazione era considerata pressoché impraticabile per l’estrema aleatorietà dei fenomeni, ma sopratutto per
la dimensione del danno e la stretta interdipendenza tra i vari sinistri. I rischi legati alle calamità naturali sono degli eventi aleatori estremi e presentano delle caratteristiche fondamentali: hanno una bassa frequenza temporale, coinvolgono un considerevole numero di persone e cose, e soprattutto producono dei danni rilevanti.
L’insieme di queste caratteristiche rendono impossibile una loro valutazione statistica. A scoraggiare le assicurazioni ad investire in questo campo non è stata quindi, come si potrebbe pensare, la vastità del fenomeno catastrofale che colpisce un’intera area geografica e danneggia ogni cosa, ma
il fatto che gli eventi calamitosi avvengono in maniera così casuale che risulta quasi impossibile fare una previsione esatta.
La previsione è possibile allorquando si conoscono simultaneamente i
tre parametri dell’evento: il luogo (dove), il tempo (quando) e la relativa intensità (magnitudo). Risulta, pertanto, errata qualunque previsione se viene meno anche uno solo di questi parametri.
Le compagnie di assicurazione nella valutazione dei premi sui rischi
convenzionali si basano sulle statistiche dei sinistri nel caso dei rischi catastrofali causati da fenomeni naturali e/o umani i dati statistici presi in considerazione non vengono considerati affidabili in quanto per queste tipolo-
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gie di rischio, in assoluto, non vale la legge dei grandi numeri (teorema di
Bernoulli), secondo la quale all’aumentare del numero di unità assicurate
l’equilibrio del portafoglio migliora. Ciò accade spesso perché nell’area colpita dallo stesso evento calamitoso la dimensione dei sinistri tende ad aumentare progressivamente al crescere del numero dei rischi assicurati (Miani, 2004). Nel caso del Giappone le compagnie di assicurazione provvederanno al risarcimento dei danni valutando le immagini satellitari ad alta definizione o le fotografie aeree, senza indagini in sito, a causa della difficoltà di accedere alle aree danneggiate e, soprattutto, contaminate.
Il principale problema sostenuto dalle assicurazioni nella valutazione
dei rischi delle calamità naturali è legato alla loro bassa frequenza temporale. Le compagnie in genere dispongono di un insieme di dati non significativo e, quindi, poco rappresentativo degli eventi estremi. Questo avviene
per due motivi essenziali: si dispone di una ridotta finestra temporale dei
rischi e di una limitata frequenza relativa ai dati dei parametri che governano le catastrofi (misure strumentali su frequenza di accadimento, magnitudo, periodo, ecc.).
A tali difficoltà si è fatto ricorso in passato attraverso la ricostruzione
di banche dati che potessero garantire in qualche modo la carenze di dati,
creando sin dagli anni ’70 le prime banche dati sui rischi. In ambito nazionale la prima ricerca sistematica di ampie dimensioni degli eventi estremi
è stata condotta dall’ENEA insieme alla SGA (Società Geofisica Ambiente) con la creazione nel 1990 della banca dati GIANO (opera non pubblicata). Dalla sinergia della SGA, società di ricerca specializzata nello studio
storico dei fenomeni geodinamici (terremoti, maremoti, eruzioni vulcaniche) e di altri eventi estremi di origine naturale (frane, alluvioni, variazioni climatiche, fenomeni di desertificazione, eutrofizzazione in epoca preindustriale ecc.) e dalla esperienza maturata dall’ENEA (ente preposto, insieme all’ENEL, all’individuazione dei siti per la costruzione delle centrali nucleari in Italia) fu intrapresa questa ricerca con l’obiettivo di costruire
una anamnesi degli eventi naturali estremi. L’analisi degli effetti dei terremoti e di altri eventi naturali estremi nel lungo periodo, in duemila anni di
storia italiana, ha consentito di costruire una anamnesi specifica per i vari
fenomeni di origine naturale, ossia un primo criterio di valutazione dei rischi ambientali per prefigurare scenari di disastri ricorrenti o possibili. Altra banca dati significativa a livello nazionale sui rischi di natura idrogeologica (alluvioni e frane) fu realizzata negli anni 1991-1992 dal CNRGNDCI (Gruppo Nazionale Difesa Catastrofi Idrogeologiche). La banca
dati AVI (Aree Vulnerate Italiane) riportava il censimento delle alluvioni e
delle frane storiche occorse nel secolo scorso (1918-1990). Successivamente
è stata aggiornata dal 1991 al 1994, costituendo il primo data-base per la
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mitigazione del rischio idraulico in Italia (17.000 frane e 7.000 inondazioni). Tale banca indica le aree suscettibili a rischio idrogeologico, in maniera non quantitativa, e rappresenta il più completo ed aggiornato archivio
storico di notizie su frane e inondazioni avvenute in Italia (Ubertini, 2009).
Si sono sviluppate altre banche dati europee e mondiali sui rischi che
hanno inserito anche una valutazione economica dei disastri, costituendo
un punto di partenza a cui le compagnie assicurative e le società di sicurezza possono attingere i dati per lo studio delle polizze e, quindi, simulare possibili scenari di rischio. Occorre precisare che i rischi catastrofali presentano notevoli difficoltà nella loro stima preventiva e nella loro quantificazione monetaria dopo il verificarsi dell’evento, in quanto bisogna tener
conto dell’impatto che l’evento calamitoso produce nell’immediato (danneggiamento infrastrutture civili ed industriali), ma anche nel lungo periodo, ovverossia nella fase di ricostruzione, sia a livello di produzione potenziale, sull’economia del Paese, sia sul mercato dei capitali interno
ed esterno, che sul commercio estero e sul rischio Paese (es. disagio sociale). Le più autorevoli banche dati mondiali sui rischi naturali sono state realizzate dalle principali compagnie assicurative europee quali la Munich Re
e la Swiss Re, dalle istituzioni internazionali dell’Onu quali la EM-DAT
della CRED (Centro di Ricerche sull’Epidemiologia delle catastrofi) dell’Università di Louvain in Belgio e la CATNAT, il sito di informazione
francofono sui rischi naturali. Il più completo data-base sulle catastrofi naturali è della Munich Re, operativo dal 1974, che consente di studiare le calamità naturali avvenute nel mondo a partire dalla eruzione pliniana del Vesuvio del 79 d.C.
Altre indicazioni utili si ottengono se si analizzano le valutazioni delle
compagnie di assicurazione dei danni provocati dagli eventi catastrofali negli ultimi quaranta anni. Se confrontiamo l’entità del sinistro con la sua natura, si ha che i maggiori eventi estremi sono di natura meteorologica (dal
1983 ad oggi le catastrofi naturali di origine atmosferica con perdite superiori al miliardo di dollari sono state 32 su un totale di 34 eventi), i danni maggiori sono dovuti agli uragani che hanno colpito gli USA nel 2005 (Katrina,
Rita e Wilma), con danni complessivi pari a circa 173 miliardi di dollari.
Le calamità naturali legate ai terremoti sono in numero nettamente inferiore (Fig. 2). In particolare, si considerano quattro terremoti di particolare intensità di danno: quello di Kobe in Giappone (1995), che è il più costoso tra le catastrofi naturali in termini di perdite economiche (143 miliardi di dollari di cui solo 3 assicurati), il terremoto di Sichuan in Cina del 2008
con 86 miliardi di dollari, quello di Northridge (1994) in California pari a
44 miliardi di dollari e, infine, il terremoto cileno del 2010 con 30 miliardi
di dollari. In termini di costi assicurativi, invece, il più costoso in assoluto
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è stato quello di Northridge (California) del 1994 pari a 21 milioni di dollari. In questo grafico compare anche il terremoto che ha colpito l’Irpinia
nel 1980 con 53 miliardi di dollari (Fig.3).
Fig. 2 - I danni stimati delle calamità naturali a partire dal 1975
(fonte: EM-DAT CRED).
Fig. 3 - Scala temporale degli ultimi quaranta anni dei terremoti
più violenti al mondo in base ai danni e ai morti (trend lineare)
Per una prima stima economica degli eventi catastrofali, bisogna tenere conto che i dati sono il risultato del prodotto del numero degli eventi per
il valore medio dei sinistri. Questa considerazione va effettuata perché la
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frequenza dei sinistri ed il valore (medio) sono influenzati da diversi fattori. La frequenza dipende dalla densità e dall’ampiezza dell’assicurazione,
nonché da eventuali andamenti ciclici del numero e dell’intensità degli eventi naturali. Il valore medio dei sinistri, invece, dipende dagli eventi più catastrofici ed è influenzato dai valori assicurati (Miani, 2004). Per valutare
quantitativamente i danni causati dai diversi rischi può risultare significativo riferirsi in primo luogo ai danni più gravi, che possono essere riassunti nel numero di vittime osservate in un determinato lasso di tempo. Nel
1997 Houghon ha presentato una raccolta di dati significativi relativi ai danni causati dai rischi naturali nel mondo, per numero di vittime, nel periodo
1947-1980 (Tab.1):
N°
Calamità naturale
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
Cicloni tropicali, tifoni
Terremoti
Alluvioni
Tornadi e tempeste
Tempeste di neve
Vulcani
Onde di calore
Valanghe
Frane
Tsunami
Numero di vittime
499.000
450.000
194.000
29.000
10.000
9.000
7.000
5.000
5.000
5.000
Fig. 4 - Numero di vittime in Italia in base alle tipologie di eventi estremi
nel XX secolo (fonte: Munich Re, mod.).
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Fig. 5 - Mappa di pericolosità sismica del territorio nazionale
Fonte: (INGV, 2004) rif. Ordinanza PCM 28/4/2006 n. 3519.
L’Italia è caratterizzata dal rischio sismico più elevato nell’Europa comunitaria ed è, a livello mondiale, uno dei Paesi industrializzati a maggiore rischio sismico (Martelli, 2009). Il rischio sismico in Italia riguarda gran parte
del territorio (56,8%), dove vivono circa 23 milioni di persone e ben 4.610 co-
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muni su 8.112 sono in zona sismica (Servizio Sismico Nazionale, 2009). A
differenza di altri rischi naturali, il terremoto da sé non causa alcun pericolo
se si è all’aperto o se le abitazioni sono costruite per resistere ai terremoti. In
Italia il 65% delle case può crollare perché non sono costruite con standard antisismici (non è il terremoto ad uccidere, ma il crollo delle case). Nella politica di sicurezza sismica del territorio la prevenzione è un obiettivo da raggiungere intervenendo con tecniche costruttive antisismiche adeguate alle caratteristiche geologiche del sito, non solo statiche ma dinamiche. La difesa dai terremoti, attualmente, è efficace solo nelle aree di risentimento sismico e non
nelle aree epicentrali, sismogenetiche. Le aree corrispondenti a potenziali sorgenti sismiche nel nostro Paese, che sono esposte a gravi danni, sono: la catena Appenninica, le Alpi, il Nord-Est, il Gargano e la Sicilia. Una sismicità profonda caratterizza il mar Tirreno meridionale e terremoti di bassa magnitudo
sono stati registrati nel Tirreno settentrionale e in Adriatico, queste situazioni
non favoriscono la generazione di tsunami, anche se eccezioni sono sempre
possibili (es. maremoto conseguente al terremoto di Messina).
Sostenere e rafforzare nel lungo periodo la ricerca e i servizi, integrati
e multidisciplinari, nello studio della sorgente sismica e della scuotibilità
dei suoli sono azioni di governance dovute ed ineludibili, a livello nazionale e sovranazionale.
Fig. 6 - Numero di vittime e danni in Italia in base a terremoti
ed alluvioni (fonte: Munich Re).
Dall’evidenza dell’impegno e della sostenibilità dei costi delle catastrofi
naturali, a livello locale e globale, si può assumere l’introduzione di un si-
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stema assicurativo sui rischi naturali, fondato su valide e salde valutazioni
tecniche, legislative, economiche e comportamentali, mirato a:
– sensibilizzare e responsabilizzare i cittadini verso la tutela ambientale e la sicurezza del territorio;
– mitigare e rendere sostenibile la spesa pubblica;
– disincentivare fenomeni di inquinamento e di abusivismo;
– migliorare la qualità nella realizzazione di opere private e pubbliche
e delle prestazioni professionali coinvolte nello sviluppo e nella gestione in
sicurezza del territorio;
– promuovere approfonditi studi e indagini sull’identificazione, qualificazione, mitigazione dei rischi naturali e sulla loro incidenza sui fattori
sociali ed economici.
3. LE PRINCIPALI FORME DI COPERTURA DEL RISCHIO: TRA APPROCCIO EX-ANTE E
EX-POST AGLI EVENTI CATASTROFALI
È diffusamente condiviso in letteratura (3) che la scelta sulle differenti forme di politiche da adottare, al fine di ottenere un’adeguata prevenzione circa i rischi catastrofali, si muova lungo due direttrici fondamentali: una
prima, in cui l’intervento delle istituzioni è prevalentemente centralizzato
ed è definita ex-post – successiva cioè al verificarsi dell’evento catastrofico – ed una seconda ex ante volta principalmente alla possibilità di evitare
i risarcimenti dei danni mediante l’adozione di strumenti di prevenzione
virtuosa. L’accertamento delle condizioni e delle possibili modalità con cui
le imprese assicurative procedono al trasferimento dei rischi susseguenti gli
eventi catastrofali è al centro dell’analisi condotta in questa parte del lavoro. A tal fine si è proceduto all’individuazione preliminarmente delle principali forme e degli strumenti di copertura dei rischi; tra le tante possibili
metodologie ci si è soffermato principalmente sulle forme di copertura che
vedono la presenza di un possibile partenariato pubblico-privato. Un partenariato, quindi, che non contempli l’azione del solo governo nazionale o
delle più piccole istituzioni regionali, ma che veda coinvolti anche i principali operatori del settore assicurativo attivi non solo a livello nazionale
ma anche locale.
Lo studio condotto ha delineato, mediante l’analisi della seppur limitata letteratura sull’argomento, da un lato le possibili opportunità che queste
(3) GOODSPEED, T. J., HAUGHWOUT, A., On the optimal design of disaster insurance in a federation, CESifo Working Paper, n. 1888, 2007.
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forme di collaborazione possono innescare e dall’altro gli ostacoli o le lacune, tuttora esistenti, nelle practice inerenti le coperture assicurative in caso di eventi catastrofici. Nel corso dell’attività di studio, infatti, si sono approfonditi i possibili strumenti in grado di colmare proprio tali criticità, individuando di volta in volta le prassi e le metodologie possibili; l’ipotesi di
fondo è che possa essere il governo delle regioni, l’avanguardia per la corretta gestione dei rischi catastrofali.
L’individuazione di un approccio sistematico per individuare, valutare
e ridurre i rischi dei disastri naturali si ritiene possa essere, però, la base di
partenza per la realizzazione di uno sviluppo pienamente sostenibile proprio per quei Paesi esposti ad eventi naturali di entità tale da poter essere
facilmente accomunati ai disastri e/o alle catastrofi naturali. Dall’analisi
condotta, emerge l’individuazione di una piattaforma dettagliata di impegno per le Regioni che non può che sostanziarsi in un’azione di coordinamento, in grado di sfruttare al meglio le risorse e le esperienze fin qui accumulate e, nel contempo, rappresentare uno strumento utile ad incoraggiare l’interesse e l’impegno dei privati al fine di favorire così gli opportuni e possibili investimenti, stimolando una gestione “frazionata” dei rischi
derivanti dagli eventi naturali.
In ultimo, nel presente lavoro si sono voluti rappresentare i possibili strumenti atti a colmare il gap di conoscenze, e più in generale, delle
esperienze fin qui individuate dalla letteratura scientifica che, ad oggi,
ancora rappresentano un ostacolo sostanziale proprio alla costruzione di
una possibile gamma di strumenti pienamente condivisa e capace di fornire una piena copertura dei rischi catastrofali. L’analisi, quindi, di questi possibili meccanismi adottabili per l’assicurazione contro il rischio
catastrofale ha come scopo principale la costruzione di una consapevolezza nuova tra i rappresentanti non solo del settore assicurativo, ma anche del variegato mondo politico ed istituzionale. L’obiettivo è la ricerca di innovative forme di copertura dei rischi derivanti dagli eventi a carattere catastrofale; il tema centrale dell’analisi ha fatto riferimento alla
piena comprensione di quei meccanismi di assicurazione in grado di garantire una piena copertura dei rischi; tali strumenti si riferiscono a quelli ascrivibili alla categoria delle copertura del rischio ex-ante. Da quanto evidenziato, l’adozione dei possibili partenariati pubblico-privati in
grado di adempiere al gravoso compito di trasferimento, con efficienza
paretiana, dei rischi derivanti dagli eventi catastrofici non può che rappresentare la soluzione ottimale.
È proprio da quanto fin qui esposto che nasce l’esigenza di offrire un
quadro molto ampio di possibili modifiche e revisioni che passi anche per
una nuova visione della gestione dei rischi catastrofali e di conseguenza ad
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una impostazione innovativa del DRM (4) (F Sperling, F Szekely – 2005)
che non può che subire conseguentemente profondi e significativi cambiamenti e che faccia riferimento alle nuove necessità di:
• redazione di progettualità innovative in grado di offrire soluzioni specifiche redatte caso per caso;
• creazione di istituzioni ad hoc (comitati, coordinamenti ecc.) con il preciso scopo di anticipare ed assorbire i costi derivanti dai disastri naturali;
• avvio di formalità sistemiche volte alla pianificazione fin qui possibile degli eventi naturali.
In relazione alle modifiche negli approcci metodologici volti alla realizzazione di uno status quo auspicabile e comunque antecedente proprio
al verificarsi degli eventi catastrofali ulteriori ipotesi possono essere avanzate. Ci riferiamo agli innovativi orientamenti che non prevedono la mera
copertura delle perdite causate dalle catastrofi ma individuano contemporaneamente le possibili azioni di pianificazione degli interventi in grado di
ridurre a monte l’impatto provocato dagli eventi catastrofali.
La proposta che dunque si suggerisce è l’adozione di una nuova impostazione manageriale circa la gestione dei rischi naturali; ovvero mediante
l’adozione di piani strategici di trasferimento del rischio e di un’adeguata
pianificazione del c.d. “pre-evento”. Tali modifiche si ritiene siano sostanziali e riformano alla base l’approccio tradizionale che rischia di mettere in
luce la possibile incapacità, da parte del sistema assicurativo, di far fronte
in termini economici al compito cui sarebbe chiamato al verificarsi di un
evento o di una calamità naturale. Un’incapacità, questa, appena evidenziata, che prende sostanza e forma dalla consapevolezza che un eccessivo
affidamento alle coperture dei rischi ex-post non può che essere evitata mediante l’adozione di strategie di pianificazione proprio del management dei
rischi catastrofali.
È oramai ampiamente condiviso dalla letteratura scientifica che il ricorso, da parte di enti e istituzioni pubbliche, a fonti di finanziamento ex-post
agli eventi naturali catastrofici abbia come effetto immediato quello di assorbire quasi totalmente le fonti di sostentamento economico accantonate
nei periodi precedenti. L’adozione di tali pratiche rischia così di prosciugare tali fonti di finanziamento che, sebbene siano state accantonate nella fase
di programmazione economica e quindi destinate ad azioni di intervento e
sostegno della crescita e del pieno e sostenibile sviluppo del territorio, si vedrebbero azzerate al verificarsi di un tragico evento naturale.
(4) S. BAAS, S. RAMASAMY, JD. DEPRYCK, F. BATTISTA, DRM - Disaster Risk Management systems analysis: A guide book, 2008.
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4. IL TRASFERIMENTO DEL RISCHIO CATASTROFALE E I PRINCIPALI MECCANISMI DI
COPERTURA ASSICURATIVA
In letteratura è ampiamente condiviso che un mercato possa ritenersi competitivo quando la concorrenza tra gli agenti che vi operano, lavoratori e imprese, tende ad esaurire tutte le possibilità di guadagno esistenti; le condizioni per l’equilibrio competitivo sono così elencate anche da Paolo Bosi (2003):
a) i consumatori e le imprese agiscono da price takers, ovvero i comportamenti sono concorrenziali;
b) esiste un insieme completo dei mercati attraverso cui le merci vengono allocate dagli agenti;
c) c’è perfetta informazione degli agenti.
Ogni volta che una di queste condizioni viene meno si parla di fallimento
del mercato e, in via generale, si richiede un intervento dello Stato nell’economia. Il venir meno della condizione a) (monopoli o oligopoli) richiama l’intervento dello stato come regolatore; il venir meno della b) indica situazioni
in cui le merci vengono allocate secondo meccanismi che prescindono dalle
vere valutazioni da parte dei singoli o non c’è proprio il mercato (esternalità e
beni pubblici); la mancanza della condizione c) si ha quando si ha difficoltà a
stabilire un insieme completo di mercati per mancanza di informazioni. Possono mancare i mercati futuri o i mercati contingenti (5).
Le principali tipologie di fallimento del mercato sono dunque legate alle forme di mercato con potere per i singoli operatori che possono derivare da condizioni legali o tecnologiche (monopolio naturale): esternalità e
beni pubblici o asimmetrie informative (6). Le condizioni affinché un mercato assicurativo funzioni sono riconducibili alla probabilità dell’evento assicurato per ciascun individuo che deve essere indipendente da quella per
qualsiasi altro individuo. Non devono essere correlate tra loro altrimenti
non sarebbe possibile ripartire il rischio. Altra condizione fa riferimento alla probabilità che l’evento rischioso sia inferiore o non molto prossima all’unità. La probabilità pari a uno caratterizza gli eventi certi. L’assicuratore deve disporre di una quantità di informazioni rilevante per poter definire il contratto di assicurazione. Esistono due tipi di asimmetria informativa: l’adverse selction (7) e il moral hazard (8).
(5) Fonte: BOSI P., Corso di scienza delle finanze , IV ed., Il Mulino, Bologna.
(6) Cfr. FRANK R. H. Microeconomia, The McGraw-Hill Companies, srl – 2007.
(7) PAULY M.V., Overinsurance and Public Provision of Insurance: The Roles of
Moral Hazard and Adverse Selection, The Quarterly Journal of Economics (1974) 88
(1): 44-62.
(8) Cfr. JENSEN – MECKLING (1976) e FAMA – JENSEN (1983).
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L’adverse selction è una situazione in cui l’assicuratore non è in grado di
conoscere alcune caratteristiche o informazioni in possesso dell’assicurato, per
questo motivo possono essere spinti a cercare coperture assicurative solo soggetti a rischio causando un’insufficiente raccolta premi ed il probabile fallimento dell’assicurazione. Nel caso delle calamità naturali le variabili da considerare per la determinazione del rischio sono molteplici: natura del territorio,
tipologia e intensità degli eventi catastrofali ai quali è soggetto, se sono stati rispettati gli standard di costruzione dell’edificio, distribuzione degli insediamenti umani e urbani, inoltre il premio di tariffa offerto dovrebbe rispecchiare in modo proporzionale il grado di pericolosità della zona. Queste variabili
ci inducono a suddividere gli individui in due sotto insiemi: “soggetti ad alto
rischio” e “soggetti a basso rischio”. I soggetti ad alto rischio sono coloro che
vivono in zone esposte a frequenti calamità naturali, i soggetti a basso rischio
sono quelli che vivono in zone non esposte a frequenti calamità naturali.
Le compagnie di assicurazione potrebbero offrire due tipi di contratti
per le zone il cui grado di esposizione a calamità naturali è elevato, dette
“zone a rischio”, il premio associato sarà alto e per le zone in cui il grado
di esposizione sarà basso o nullo, dette “zone a basso rischio”, il premio sarà inferiore alle precedenti. Tuttavia, in questo modo, i soggetti a basso rischio potrebbero essere indotti a non assicurarsi attribuendo un valore errato alle proprie funzioni di utilità.
Altri due problemi appaiono fondamentali: la ripartizione del rischio e il
“dilemma del samaritano” (9). Nei Paesi industrializzati la ripartizione del rischio è uno dei problemi principali per l’assicurazione delle calamità naturali
in quanto il valore dei beni assicurati è alto e determina un valore elevato dei
premi. Una soluzione adottabile sarebbe quella di offrire un contratto assicurativo con un premio “medio”, ovvero calcolato sulla base di una probabilità
che sia media tra le probabilità ad alto rischio e quelle a basso rischio. In caso
di assicurazione volontaria, l’ipotesi di un contratto con un premio “medio”,
a copertura integrale, in grado di soddisfare tutte le parti, che consenta all’assicurazione di realizzare un equilibrio finanziario è da escludersi. Le ragioni
di tale esclusione vanno ricercate nella difficoltà dell’assicuratore a:
• valutare le differenti probabilità associate ai soggetti a “rischio” e “non
a rischio”;
(9) Il “dilemma del samaritano” prende in considerazione un donatore altruista che,
a causa di tale sua caratteristica, si trova di fronte a un dilemma: sanzionare o no il beneficiario se non esegue le riforme, in vista di un risultato migliore nel futuro. Nel caso di una sanzione, infatti, lo stesso donatore soffre del fatto che il beneficiario peggiora il proprio benessere. Fonte: BIGGERI M., VOLPI F., Teoria e politica dello sviluppo, Franco Angeli (collana Economia - Monografie), 2006.
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• valutare l’ampiezza dei due gruppi di soggetti;
• la non adesione al contratto con premio “medio” da parte dei soggetti “non a rischio” che non accetteranno di pagare un premio superiore, anche se di poco, a quello “equo”.
Le perdite potenziali, in caso di disastri naturali, possono rendere difficile la ripartizione del rischio. Siccome il costo di molti disastri è spesso relativo rispetto alle economie nazionali affette, le assicurazioni hanno bisogno di un certo grado di partecipazione internazionale al rischio.
La propensione delle persone all’acquisto di un’assicurazione contro le
calamità è attenuata dalla percezione spesso razionale che le perdite saranno coperte dal governo nazionale o da donazioni internazionali, questo è un
problema di azzardo morale riconducibile al “dilemma del samaritano”. Dopo che un disastro naturale ha colpito una Nazione ed ha creato numerosi
danni alle persone e alle cose, il governo nazionale sarà sottoposto a forti
pressioni dall’opinione pubblica e sarà indotto a pagare anche i danni che
non sono assicurati (10). Il “dilemma del samaritano” è ancora più evidente nel caso in cui vengano colpiti Paesi poveri o in via di sviluppo. Un modo per superare questa distorsione non può che essere la soluzione di rendere obbligatoria la copertura assicurativa contro le catastrofi naturali.
L’esistenza economica delle imprese di assicurazione si basa sulla attività di intermediazione e di coordinamento di scelte, preferenze ed aspettative individuali, quindi il fine ultimo dell’assicurazione non può che ricondursi proprio alla ripartizione e alla riduzione dei rischi. La ripartizione del rischio consiste nel distribuire la sua incidenza su una proporzione
di popolazione differente o più ampia, mentre la riduzione del rischio comporta il ridimensionamento dell’ammontare delle perdite che si realizzano.
La riduzione del rischio è una delle funzioni più importanti delle assicurazioni ed è caratterizzata da quattro metodi principali: l’aggregazione,
la diversificazione, la copertura del rischio (hedging) ed il controllo del moral hazard. La principale funzione della riduzione del rischio è l’aggregazione di rischi non correlati o statisticamente indipendenti; in tale guisa l’impresa di assicurazione abbassa il livello di rischio complessivo determinando così una compensazione dei valori estremi e riducendo in ultimo la
dimensione complessiva dell’esposizione al rischio.
Il trasferimento del rischio in un mercato ri-assicurativo ha conseguenze ben diverse da quelle di un tipico mercato finanziario. Mentre tramite i
mercati finanziari si ricerca la “copertura” da un rischio legato ad un evento con l’obiettivo di consolidare – e in alcuni casi di incrementare – i ren-
(10) BUCHANAN, 1975.
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dimenti attesi, il ricorso al mercato assicurativo è necessario per “coprirsi”
finanziariamente dai danni fisici e dal deterioramento delle aspettative causati da eventi catastrofali, al fine di garantirsi un finanziamento – basato sugli indennizzi – della ricostruzione delle infrastrutture, nonché un sostegno
ad un eventuale calo della domanda di mercato. In particolare tale sistema
riferito al rischio catastrofale è analizzabile in relazione a due principî fondamentali: un primo fa riferimento ad un più ampio inquadramento delle
problematiche inerenti agli aspetti giuridici ed un secondo che si riferisce,
invece, alle articolate procedure che definiscono le modalità con cui i risarcimenti post-catastrofe devono essere determinati.
5. CONCLUSIONE
Così come ampiamente sancito anche in letteratura, l’assicurazione svolge un ruolo chiave nel funzionamento delle nostre economie moderne. I contratti di assicurazione rappresentano il principale strumento di trasferimento
dei rischi “individuali” verso gli ampi mercati finanziari attraverso la piena copertura affrontata evidentemente dalle compagnie di assicurazione, consentendo così una effettiva riduzione dei rischi a carico delle imprese assicurative. Gli strumenti adottabili per attenuare gli impatti economici dei danni generati dal verificarsi di calamità naturali, sono riconducibili a forme alternative di diversificazione. La formulazione e la descrizione del funzionamento
delle coperture assicurative è chiaramente riduttiva; appare così palese evidenziare l’esistenza di numerose motivazioni per le quali molti degli eventi
naturali che presentano la caratteristica dell’imprevedibilità e dell’incertezza
non possono essere assicurati in modo efficiente dai mercati assicurativi.
Nella ricerca effettuata oggetto del presente lavoro si sono, tra l’altro,
poste in evidenza le incapacità del sistema di coprire gli effetti degli eventi catastrofici; nel contempo, si sono evidenziate anche le possibili conseguenze e le principali problematiche relative alle difficoltà della piena solvibilità e conseguentemente anche dei vincoli di liquidità che genererebbe
la copertura di tali tipologie di costi.
I principali effetti macroeconomici che seguono un evento catastrofico
fanno così riferimento:
• al peggioramento della posizione fiscale;
• all’indebolimento della bilancia commerciale;
• alla riduzione dei tassi di cambio;
• all’aumento della pressione inflazionistica;
• all’arresto della crescita economica per i danni alle infrastrutture ed ai
servizi di base.
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Questi elementi sono quelli che influiscono maggiormente sulla ripresa economica dei territori colpiti dagli eventi catastrofici e, di conseguenza, sono quelli che necessitano di interventi tempestivi. Interventi che per
poter essere immediati necessitano naturalmente di condizioni economiche
talvolta talmente gravose da indurre i territori a ricorrere a forme di prestiti o addirittura in alcuni casi finanche ad “aiuti internazionali”.
Proprio per far fronte alle problematiche fin qui evidenziate i territori
(Comuni, Province e Regioni) e più in generale lo Stato devono necessariamente adottare misure di prevenzione con lo scopo primario della riduzione
delle cause dell’incremento dei fattori scatenanti gli eventi catastrofali (ad
esempio puntare a politiche di riduzione delle emissioni di gas serra nell’atmosfera). Altre possibili forme d’intervento fanno riferimento all’opportunità di adottare adeguate misure di copertura assicurativa necessarie a fronteggiare le catastrofi e soprattutto i danni economici da queste derivanti. Il
ricorso alle coperture assicurative dei danni, al fine di proteggere il contraente
dalla perdita economica conseguente al rischio che si verifichi l’evento catastrofale attraverso la riduzione e la ripartizione del rischio, è la misura che
il sistema ritiene essere ad oggi la più efficace, benché presenti grosse problematiche connesse con forme di insolvenza delle imprese assicurative.
Le problematiche di insolvenza evidenziate sono condizionate dalla c.d.
adverse selection; un fenomeno questo che si sostanzia nel fenomeno dell’evidente domanda di copertura assicurativa solo da parte di quei soggetti
che presentano un grado di rischio molto alto. Si ritiene allora che solo una
solidale ripartizione del rischio possa rappresentare una possibile soluzione e possa essere in grado di coprire l’elevato valore dei beni assicurati sul
territorio. Al fine, dunque, di risolvere il problema dell’insolvenza, si sono
evidenziati, nel corso del presente lavoro, i diversi strumenti finanziari che
riducono l’esposizione economica delle imprese di assicurazione, quali ad
esempio, i c.d. “derivati climatici” che trasformano i rischi assicurativi in
titoli e derivati.
In conclusione, le problematiche connesse all’insolvenza e a quelle derivanti dall’offerta di assicurazioni contro le calamità possono essere evitate attuando un pieno ruolo di regolatore e di garante dello Stato; le strade
percorribili e i sistemi assicurativi adottabili sono numerosi, tuttavia vi è,
in letteratura, una convergenza verso sistemi che presentino una piena compresenza degli operatori pubblici e di quelli privati (forme miste).
Per tutto quanto sopra è necessario sviluppare una sana e prudente gestione dell’impresa, il cui cardine è rappresentato da una buona governance e da un efficiente sistema di gestione dei rischi, che devono svilupparsi
nel rispetto della best practice internazionale e sui principî e gli standard
condivisi dall’Autorità di settore.
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“Indennizzo diretto” e azione giudiziale
(questioni interpretative aperte)
DI
FULVIO ZARDO
Avvocato in Roma
SOMMARIO: 1. Il responsabile civile nell’azione ex art. 149 cod. ass. – 2. Scelta e rapporto
tra azione diretta ordinaria nei confronti dell’assicuratore del responsabile e azione
diretta ex art. 149 cod. ass. nei confronti del proprio assicuratore. – 3. Eccezioni proponibili dall’istituto assicuratore nei confronti del proprio assicurato-avente diritto al
risarcimento nella procedura ex art. 149 cod. ass. – 4. Fattispecie di possibile conflitto tra Card e normativa statale nell’applicazione della procedura ex art. 149 cod. ass.
– 4.1. La necessità di collisione tra i due veicoli e l’assenza di coinvolgimento di terzi
veicoli e di terzi danneggiati. – 4.2. Le caratteristiche dei veicoli collidenti. – 4.3. Le
condizioni relative ai soggetti richiedenti e ai danni richiesti.
1. IL RESPONSABILE CIVILE NELL’AZIONE EX ART. 149 COD. ASS.
Una delle questioni sulla quale si trovano differenti posizioni interpretative nella giurisprudenza di merito e nella dottrina e ancora nessuna pronuncia della Corte di Cassazione è se il responsabile civile sia litisconsorte necessario anche nell’azione promossa dal danneggiato ex art. 149 cod. ass.
Trattandosi di questione pregiudiziale che incide sulla regolarità del
contraddittorio, la stessa deve essere delibata dal giudice in prima udienza
e, comunque, prima di entrare nel merito della controversia. Peraltro, si tratta di una di quelle ipotesi, considerate dal nostro ordinamento come eccezionali, nelle quali il giudice di appello, anziché disporre la rinnovazione
di un atto davanti a lui – ipotesi considerata come regola generale – rimette la causa davanti al giudice del primo grado onde consentire al litisconsorte pretermesso di partecipare al giudizio sin dal suo inizio, non privandolo di un grado di giudizio. Tanto prevede l’art. 354 c.p.c. annoverando
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Fulvio Zardo
tra i suoi casi, considerati dalla giurisprudenza tassativi insieme a quello
sulla giurisdizione previsto dall’art. 353 c.p.c., quello in cui “nel giudizio
di primo grado doveva essere integrato il contraddittorio”.
Le differenti interpretazioni nascono dal dato normativo, segnatamente dall’art. 149, comma 6, cod. ass. che prevede che “il danneggiato può
proporre l’azione diretta di cui all’articolo 145, comma 2, nei soli confronti
della propria impresa”. Dal significato da dare all’ultimo inciso e, in particolare, quale sia la volontà del legislatore nell’utilizzare il sintagma “nei
soli confronti” si deve partire per cercare la soluzione interpretativa da dare alla questione qui in esame.
Al riguardo si sono formati diversi orientamenti.
Vi è chi conferisce importanza e rilievo assorbente alla disposizione
dell’art. 149, comma 6, cod. ass. e la interpreta nel senso che la compagnia
di assicurazioni dell’attore debba essere citata in giudizio da sola, con esclusione del responsabile civile. È quanto ha ritenuto di recente il Tribunale di
Torino nella sentenza del 4 gennaio 2013 (1), che desume tale interpretazione, oltre che dal dato letterale, dalla motivazione della sentenza della
Corte Costituzionale n.180/2009 laddove questa precisa che “l’oggetto della perifrasi non è tanto il rapporto che, con riguardo alla proposizione di
un’azione, il legislatore vuole instaurare a favore di un soggetto, quanto
l’azione stessa, che è individuata nei confronti (e nei soli confronti) di un
determinato soggetto, che è l’assicuratore del danneggiato”.
Di uguale segno la sentenza del 30 gennaio 2008 (2) del Giudice di Pace di Napoli, che considera l’art. 149 cod. ass. una lex specialis rispetto a
quella dell’art. 144 cod. ass. e intravede nella disposizione del sesto comma dell’art. 149 cod. ass. una netta esclusione della necessità di citare il responsabile civile del danno, anche perché la finalità del legislatore del codice delle assicurazioni di semplificare la procedura risarcitoria verrebbe
frustrata dalla citazione del responsabile civile che, secondo il giudice partenopeo, “avrebbe l’effetto di complicare il giudizio ed allungare i tempi
processuali”; osserva al riguardo il giudice partenopeo: “si pensi, ad esempio, alle ipotesi in cui il convenuto spieghi domanda riconvenzionale oppure chieda la chiamata in garanzia del proprio assicuratore. La legittimazione passiva del convenuto all’interno della procedura di indennizzo
diretto, dunque, contro l’intenzione del legislatore, vanificherebbe la finalità della norma ed anzi porterebbe a procrastinare la durata dei processi, e ciò in contrasto con l’esigenza di garantire la celerità e concentrazio-
(1) Consultabile sul sito www.avvocatiottaviano.it
(2) Consultabile sul sito www.assicurativo.it
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“Indennizzo diretto” e azione giudiziale ecc.
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ne del giudizio, costituzionalmente affermata dall’art.111 Costituzione e
più volte ribadita dalla giurisprudenza di legittimità”.
L’esclusione del litisconsorzio del responsabile civile si legge anche in
altre sentenze di merito più risalenti (3).
Altri ritengono che la disposizione dell’art. 149, comma 6, cod. ass. non
debba essere interpretata in questo modo ovvero che l’art. 144, comma 3,
cod. ass. (“Nel giudizio promosso contro l’impresa di assicurazioni è chiamato anche il responsabile del danno”) contenga una disposizione generale, non limitata all’azione ex art. 148 cod. ass. L’opinione ha avuto seguito
sia in giurisprudenza (4) che in dottrina (5). A sostegno di tale tesi si adducono vari argomenti, alcuni giuridici, altri pratici e di opportunità. Si osserva che l’art. 144 comma terzo cod. ass. è norma generale applicabile anche all’azione ex art. 149 cod. ass.; che non si potrebbe compiere un giudizio di responsabilità di un soggetto che non viene convenuto in giudizio;
che si priverebbe l’attore di un mezzo istruttorio importante quale l’interrogatorio formale dell’asserito responsabile; che “nei soli confronti” si riferisce all’esclusività dell’azione nei confronti della propria compagnia secondo le intenzioni del legislatore del codice e non alla volontà di escludere il responsabile civile, in altri termini è come se il legislatore abbia voluto dire che il danneggiato può citare solo la propria compagnia e non quella del responsabile civile (evenienza, poi, come è noto, ammessa dalla Corte
Costituzionale nella sentenza n. 180/2009).
Tra gli opposti orientamenti di chi ritiene che il responsabile civile sia
litisconsorte necessario anche nell’azione ex art. 149 cod. ass. e chi, invece, lo esclude, si collocano posizioni intermedie di chi ritiene che la questione si risolva a seconda delle contestazioni mosse dalla società assicura-
(3) Giud. di Pace Pomigliano d’Arco 14 gennaio 2008, consultabile in
www.iussit.eu; Giud. di Pace Torino 19 novembre 2007, n. 10623, entrambe massimate da CANTARELLA, Indennizzo diretto: proponibilità dell’azione giudiziaria e
litisconsorzio necessario, in Ventiquattrore Avvocato, 2011, n. 1, 17 e ss.
(4) Giud. di Pace Frosinone 11 marzo 2008, in Arch. giur. circ. e sin. strad., 2008,
6, 548; Giud. di Pace Bari 8 febbraio 2008, in Giur. mer., 2009, 2, 340; Giud. di Pace
Torino 2 gennaio 2008, in Resp. e risarc., 2008, 3, 31; Giud. di Pace Monza 20 ottobre
2007, inedita.
(5) ROSSETTI, Il diritto delle assicurazioni, vol. III, Padova, 2013, p. 461-464; FRASCA, Assicurazione r.c.a. e azione diretta: dopo Corte Cost. n. 180 del 2009, in Foro
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trice convenuta, segnatamente, che non lo sia quando la compagnia di assicurazione convenuta contesta solo il quantum, mentre lo diventi se la contestazione riguarda anche l’an.
Per risolvere la questione non mi sembrano decisivi gli argomenti che
si basano sulla interpretazione letterale delle norme richiamate, perché questa, come si è visto, non è risolutiva.
Quanto al senso dell’inciso contenuto nel sesto comma dell’art. 149 cod.
ass. è plausibile ritenere che il legislatore abbia voluto con lo stesso imporre
al danneggiato di citare solo la propria compagnia di assicurazioni “e non
anche quella del responsabile” (come ritengono i fautori della obbligatorietà dell’azione ex art. 149 cod. ass.) piuttosto di imporgli di citare solo la
propria compagnia “e non anche il responsabile civile” (secondo l’interpretazione che nasce dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 180/2009).
Né ha valore decisivo l’argomentazione che fa leva sull’art. 144 cod.
ass. Se è pur vero che tale norma precede sia l’art. 148 cod. ass. che l’art.
149 cod. ass. e precede immediatamente un articolo che disciplina sia
l’azione diretta ordinaria nei confronti dell’assicuratore del responsabile che
quella diretta nei confronti dell’assicuratore del danneggiato, è anche vero
che al primo comma disciplina solo l’azione diretta “classica” nei confronti dell’assicuratore del responsabile, quindi ben potrebbe riferirsi solo a questa azione quando al terzo comma prevede il responsabile quale litisconsorte necessario, con la conseguenza che la disciplina del sesto comma dell’art. 149 cod. ass. potrebbe considerarsi come speciale rispetto a quella prevista dal terzo comma dell’art. 144 cod. ass.
Mancando un dato normativo chiaro, occorre, secondo me, ricorrere alla interpretazione logico-sistematica, partendo dalla natura dell’istituto processuale del litisconsorzio necessario e dai suoi presupposti (6).
La norma che disciplina il litisconsorzio necessario è l’art. 102 c.p.c.
che recita: “Se la decisione non può pronunciarsi che in confronto di più
parti, queste debbono agire o essere convenute nello stesso processo. Se
(6) Si tratta di uno di quegli istituti processualcivilistici sui quali il dibattito è stato acceso sin dalle sue origini e che ha dato luogo ad una letteratura vasta, connotata da
opinioni tra loro diverse sotto vari profili, non sempre espresse in modo chiaro. Di chiarezza esemplare mi sembra lo scritto di FABBRINI, voce Litisconsorzio, in Enc. del Dir.,
vol XXIV, Milano, 1974 e, tra gli scritti più recenti, COSTANTINO, voce Litisconsorzio,
in Enc. Giur. Treccani, autore anche di una monografia Contributo allo studio del litisconsorzio necessario, Napoli, 1979, e FRASCA, Il litisconsorzio necessario e facoltativo, anche nelle fasi di gravame (note sui presupposti del litisconsorzio necessario), in
www.csm.it/quaderni/quad_92/qua_92_9.pdf.
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questo è promosso da alcune o contro alcune soltanto di esse, il giudice ordina l’integrazione entro un termine perentorio da lui stabilito”. La mancata integrazione del contraddittorio comporta, ai sensi dell’art. 307 c.p.c.,
l’estinzione del processo.
In alcuni casi è la stessa legge che prevede che in determinate azioni
debbano partecipare al processo una pluralità di soggetti. Le fattispecie di
litisconsorzio necessario non si esauriscono, però, ai soli casi previsti dal
nostro ordinamento, dovendo considerarsi superato l’orientamento che affermava tale limitazione (7). Giurisprudenza e dottrina hanno, infatti, individuato altre ipotesi di litisconsorzio necessario oltre a quelle previste espressamente da una norma giuridica. Sulle condizioni e sui presupposti di individuazione di tali fattispecie, però, non vi è concordia. Non a caso tutti gli
scritti giuridici sull’istituto in parola, dopo una parte dogmatica-classificatoria, finiscono per riportare la casistica giurisprudenziale.
In generale vi è concordia nel ritenere che il litisconsorzio necessario
costituisce una limitazione del potere dispositivo della parte che non è libera di evocare in giudizio chi vuole, così è principio accolto da tutti quello che alla base dei casi di litisconsorzio necessario vi sono sempre situazioni plurisoggettive ma non l’inverso, vale a dire che ogni ipotesi di situazione plurisoggettiva dia luogo ad un litisconsorzio necessario.
E allora il punto è quando la limitazione del potere dispositivo della parte nella scelta dei suoi contraddittori è necessaria.
Una parte della dottrina (8) ha posto l’accento sul concetto di “utilità
della sentenza”, che ha riguardo a chi propone la domanda, il quale deve
ottenere dal processo la piena soddisfazione del proprio diritto sostanziale
(secondo un noto e universalmente riconosciuto principio espresso da Chiovenda). Tale dottrina considera irrilevante la tutela del terzo pretermesso in
quanto, come è noto, il terzo non viene interessato dal giudicato della sentenza in virtù degli effetti di questa limitati alle parti coinvolte, e, comunque, a propria difesa ha l’opposizione di terzo. L’istituto del litisconsorzio
necessario non è rivolto, dunque, alla tutela di terzi pretermessi ma della
parte o delle parti coinvolte nel giudizio, affinché attraverso questo le stesse siano in grado di realizzare il proprio diritto. Secondo tale dottrina “occorre verificare rispetto a ciascuna azione proposta gli effetti ad essa col-
(7) Risalente, soprattutto, a CARNELUTTI, Lezioni di diritto processuale civile, IV,
Padova, 1926, p. 75, ma anche a BETTI, Diritto processuale civile italiano, Roma 1936,
p. 87 ss.; ALLORIO, La cosa giudicata rispetto ai terzi, Milano 1935, p. 280 ss., DENTI,
Appunti sul litisconsorzio necessario, in Riv. dir. proc., 1959, 34 ss.
(8) COSTANTINO, op. cit., p. 3 e ss.
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legati dall’ordinamento positivo ed individuare, rispetto a tali effetti, i soggetti che devono partecipare al processo, affinché essi si possano compiutamente realizzare. In altre parole, la necessità del litisconsorzio non va
affermata in base alla causa petendi…ma in base al petitum, ossia al risultato giuridico perseguito in giudizio” (9).
La tesi in parola è stata recepita anche dalle SS.UU. (10).
L’attenzione al petitum piuttosto che alla causa petendi è stata parzialmente criticata perché comporta una analisi caso per caso sulla base delle
deduzioni e delle allegazioni delle parti “con conseguente possibilità di
disorientamenti ed incertezze negli operatori pratici, che, non avendo bene in chiaro in astratto, più che le ipotesi, almeno le tipologie, nelle quali
il litisconsorzio necessario ricorre, possono essere indotti ad errori” (11).
Secondo tale dottrina occorre individuare gli elementi che consentano
in astratto l’individuazione di fattispecie di litisconsorzio necessario. Tale
operazione viene condotta a partire dalla fattispecie prevista dall’art. 1306
c.c., norma che prevede, indubbiamente, una fattispecie plurisoggettiva con
assenza di litisconsorzio necessario.
La norma dell’art. 1306 c.c. prevede, come è noto, la possibilità che il
giudizio si svolga tra il creditore e uno solo dei condebitori in solido ovvero tra il debitore e uno solo dei concreditori in solido e ne disciplina gli effetti per gli altri pretermessi, prevedendo un’estensione soggettiva eccezionale secundum eventum litis della sentenza. In particolare, i condebitori che non hanno partecipato al giudizio possono valersi della sentenza che
ha dato torto al creditore o ai concreditori che avevano agito, salvo che essa si fondi su ragioni personali del debitore che era stato evocato in giudizio. Viceversa, il concreditore che non abbia partecipato al giudizio instaurato da altro concreditore o da altri concreditori contro uno od alcuni
condebitori può valersi della sentenza favorevole ottenuta da coloro che
hanno agito contro quel debitore o quei debitori, salve le eccezioni personali che questi gli possano opporre.
Secondo la dottrina in esame (12) la norma prevista dall’art. 1306 c.c.
ha riguardo solo all’ipotesi in cui si domandi in giudizio l’adempimento della (intera) prestazione e non anche all’ipotesi in cui si domandi l’accerta-
(9) COSTANTINO, voce Litisconsorzio, cit., 3-4.
(10) Sez. Un. 13 novembre 2013, n. 2545.
(11) FRASCA, Il litisconsorzio ecc., cit.
(12) FRASCA, op. loc. cit., che muove dalla teoria di BUSNELLI, in L’obbligazione
soggettivamente complessa, Milano, 1974 e in Obbligazioni soggettivamente complesse, in Enc. del Dir., XXIX, Milano, 1979.
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mento positivo o negativo del rapporto giuridico plurisoggettivo ovvero una
sentenza costitutiva, che abbia effetti costitutivi, modificativi o estintivi del
rapporto giuridico plurisoggettivo, perché in questi casi litisconsorti sono
tutte le parti del rapporto plurisoggettivo. Ciò in quanto tutte le norme che
disciplinano le obbligazioni solidali (artt. 1300 e ss. c.c.) “prevedono possibili riflessi di atti o situazioni riferibili a taluno soltanto dei concreditori o
dei condebitori sugli altri concreditori o condebitori soltanto in relazione
ad ipotesi nelle quali l’attività del concreditore o del condebitore riguarda
un rapporto plurisoggettivo presupposto esistente. Giammai dalle norme degli artt. 1300 e segg. si ricava che atti o situazioni riferibili ad un concreditore o ad un condebitore possano far sorgere il concredito o il condebito o
eliminarne la stessa fattispecie costitutiva. In sostanza i fatti contemplati negli articoli 1300 e segg. presuppongono tutti che la fattispecie costitutiva del
concredito o del condebito sia esistita e riguardano vicende non afferenti
alla sua fattispecie costitutiva, ma concernenti fatti estintivi della sua efficacia”. Le osservazioni e i rilievi fatti per le obbligazioni solidali vengono
estese, da tale dottrina, anche agli altri rapporti plurisoggettivi sui quali, ovviamente, non è il caso di indugiare in questa sede.
Tornando all’esame dell’azione ex art. 149 cod. ass., dobbiamo porre,
quindi, l’attenzione sul diritto dell’attore che agisce per ottenere il risarcimento del danno subìto e verificare se la citazione della sola propria compagnia sia in grado di dargli tutto e proprio tutto quello a cui ha diritto.
Ritengo di sì.
Non mi sembra che la citazione in giudizio del responsabile civile consenta al danneggiato una tutela maggiore o una più agile realizzazione del
suo diritto che, invece, è sicuramente più garantito dalla condanna di un soggetto solvibile quale l’istituto assicuratore. Spesso la citazione del responsabile è, semmai, un ostacolo all’esercizio dell’azione risarcitoria. Si pensi
alla difficoltà di individuare gli eredi del responsabile che al momento della notifica della citazione o in un momento successivo sia deceduto, o a quella del responsabile costituito in forma societaria fallito e tornato in bonis ma
privo di rappresentante legale, o al caso del responsabile straniero rimpatriato in un Paese ove la notifica dell’atto di citazione è estremamente difficoltosa o dove è difficile reperire la sua residenza o il suo domicilio. Tutti
casi pratici a cui ho assistito e che comportano, alcune volte, l’impossibilità di procedere giudizialmente se il responsabile è ritenuto litisconsorte necessario. Si pensi, inoltre, al caso in cui il responsabile convenuto si costituisca in giudizio spiegando domanda riconvenzionale nei confronti dell’attore e della sua compagnia esercitando l’azione ex art. 148 cod. ass., magari perché non sussistono le condizioni per l’esercizio dell’azione ex art. 149
cod. ass. (per esempio lesioni con invalidità permanente superiore al 9%).
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La stessa compagnia di assicurazioni convenuta si troverebbe destinataria
delle opposte domande risarcitorie dell’attore e del convenuto, ponendosi in
evidente conflitto di interessi con la compagnia di assicurazioni sua mandante per la domanda di indennizzo diretto ma anche in una posizione processuale del tutto peculiare.
Occorre ammettere che la citazione del responsabile, quando non è resa
difficile da tali circostanze, comporta per l’attore dei benefici, soprattutto probatori. Penso alla possibilità di deferimento dell’interrogatorio formale, ovvero del riconoscimento tacito o espresso della sottoscrizione sulla constatazione amichevole di sinistro. Ciò è tanto più vero quando la compagnia assicurativa convenuta contesti l’an. Non si può, però, da tali opportunità e convenienze inferire che il responsabile sia un litisconsorte necessario.
Il danneggiato è libero di citare, se vuole, il responsabile civile, ma, in
tal caso, lo stesso diventa solo litisconsorte facoltativo. Nel caso in cui il
responsabile civile non venga convenuto nel processo, il giudizio di accertamento sulla sua responsabilità verrà fatto incidentalmente al solo scopo
di decidere sulla domanda di condanna dell’istituto assicuratore. L’accertamento pregiudiziale di merito è istituto ben noto al diritto processuale civile. Il codice di procedura civile se ne occupa incidentalmente nell’art. 34
c.p.c., norma frutto di pregresse approfondite riflessioni dottrinali, che, nel
dettare una regola di competenza, incidentalmente prevede che l’accertamento di una questione pregiudiziale viene coperta da giudicato solo se è
la legge a prevederlo o vi è una domanda in tal senso delle parti, con ciò lasciando intendere che negli altri casi tale accertamento non è in grado di assumere gli effetti della cosa giudicata. Senza addentrarsi in complicati questioni processualcivilistiche, qui occorre precisare che l’accertamento pregiudiziale a cui si riferisce l’art. 34 c.p.c. è quello relativo ad una situazione giuridica soggettiva che potrebbe essere oggetto di una autonoma domanda (esempio: qualità di erede, qualità di figlio, proprietà di un bene,
titolarità di un diritto ecc.) e non quello relativo a meri fatti, per cui senz’altro vi rientra quello che ha ad oggetto l’accertamento della responsabilità di un soggetto che, in realtà, rientra più tra i fatti che tra le situazioni
giuridiche soggettive.
La sentenza, in tal caso, non potrà mai avere effetti pregiudizievoli nei
confronti del responsabile civile che non ha partecipato al giudizio e che,
invece, quale condebitore solidale se ne potrà avvalere, se a lui favorevole,
ex art. 1306 c.c. nei confronti dell’attore e nei limiti previsti da tale norma,
non certamente nei confronti dell’istituto assicuratore, sia esso quello che
ha partecipato al giudizio che l’altro.
Quindi, nell’azione ex art. 149 cod. ass. la domanda di condanna del
proprio istituto assicuratore presuppone l’accertamento pregiudiziale della
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responsabilità di un soggetto che ben potrebbe non essere citato in giudizio, ma che, in tal caso, non verrebbe pregiudicato dalla decisione.
In senso contrario non si potrebbe obiettare che in tal modo si potrebbe dar luogo a giudicati contrastanti in quanto l’asserito responsabile del
primo giudizio potrebbe proporre, a sua volta, una domanda risarcitoria in
altro giudizio, per cui vi sarebbero due giudizi separati relativi allo stesso
sinistro. Tale evenienza si potrebbe verificare (e nella prassi si è verificata)
anche nel caso di responsabile convenuto in giudizio quale litisconsorte necessario il quale proponga, a sua volta, una domanda risarcitoria in un separato giudizio relativamente allo stesso sinistro e non una domanda riconvenzionale nel giudizio in cui è convenuto. Tra i due giudizi vi è connessione oggettiva perché il sinistro è lo stesso ma i diritti fatti valere sono
distinti, con la conseguenza che la riunione dei due giudizi è possibile ma
solo laddove lo stato in cui ciascuno di essi si trova consenta l’esauriente
trattazione e decisione di entrambi (art. 40, comma 2, c.p.c.).
Qualcuno si chiede se, nel caso di azione ex art. 149 cod. ass. con citazione in giudizio anche dell’asserito responsabile, sia possibile proporre nei suoi
confronti una domanda di condanna oppure sia possibile e ammissibile solo
una domanda di accertamento della sua responsabilità. Chi si pone tale domanda si preoccupa della circostanza che il responsabile convenuto in giudizio potrebbe a sua volta chiamare in causa la propria compagnia di assicurazione, con la conseguenza che vi sarebbero, così, due compagnie di assicurazione a rispondere sulla stessa domanda e vi sarebbe commistione di azioni.
Ritengo che la domanda di condanna del responsabile sia ammissibile.
Non vedo alcun valido argomento per affermare il contrario.
In ordine, invece, alla possibilità del responsabile convenuto di chiamare in causa il proprio assicuratore, ritengo si debba verificare caso per
caso i motivi per i quali tale richiesta è formulata. Se il motivo è la semplice esigenza di essere garantito e manlevato dall’esborso risarcitorio non la
ritengo ammissibile in quanto in causa vi è già chi, per legge, lo deve garantire e manlevare al posto del suo assicuratore. È, invece, ammissibile la
chiamata in causa del proprio assicuratore nei confronti del quale il convenuto proponga domanda risarcitoria ex art. 149 cod. ass.
2. SCELTA E RAPPORTO TRA AZIONE DIRETTA ORDINARIA NEI CONFRONTI DELL’ASSICURATORE DEL RESPONSABILE E AZIONE DIRETTA EX ART. 149 COD. ASS.
NEI CONFRONTI DEL PROPRIO ASSICURATORE
La querelle che aveva acceso il dibattito sulla obbligatorietà o meno
dell’azione ex art. 149 cod. ass. ai suo albori è stata sopita dall’intervento
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della Corte Costituzionale che, con la sentenza interpretativa di rigetto n.
180/2009, ha ritenuto tale azione non obbligatoria ma facoltativa in quanto alternativa a quella classica nei confronti dell’istituto assicuratore del responsabile.
Tale interpretazione risolve una questione ma ne apre altre, soprattutto
con riferimento al rapporto esistente tra le due azioni e alla possibilità (o
necessità) del danneggiato di scegliere una delle due procedure già in fase
stragiudiziale e di rispettare tale scelta anche al momento della proposizione della domanda giudiziale.
La sentenza della Consulta non ha esaminato tali questioni.
In dottrina (13) si è sostenuto che il danneggiato esercita un diritto
potestativo già nella fase stragiudiziale nel momento in cui sceglie a quale delle due compagnie di assicurazione rivolgere la propria richiesta risarcitoria, scelta che, secondo tale dottrina, non può essere cambiata, nel
senso che non potrebbe il danneggiato rivolgere la propria richiesta a
entrambe le compagnie di assicurazione, né contemporaneamente né in
tempi diversi, e ciò sulla base della considerazione che il diritto esercitato è unico e che una volta compiuta la scelta del soggetto passivo la
stessa è irrevocabile, electa una via non datur recursus ad alteram. Il
principio vale, però, secondo la dottrina in parola, solo per la fase stragiudiziale. Nel passaggio alla fase giudiziale il danneggiato torna ad essere libero di scegliere il destinatario della propria domanda risarcitoria,
potendo questo essere diverso da quello scelto nella fase precedente. L’interpretazione proposta da tale dottrina viene sorretta dai seguenti argomenti: dal particolare valore attribuito al “può” di cui al comma sesto dell’art. 149 cod. ass., dalla posizione di accollante ex lege dell’impresa assicuratrice mandataria e, soprattutto, dalla previsione della possibilità di
intervento nel giudizio dell’impresa mandante ex art. 149, comma 6, cod.
ass., già destinataria, nella fase stragiudiziale, della comunicazione prevista dall’art. 5, comma 3, d.P.R. n. 254/2006, e, aggiungerei, dell’invio
della richiesta risarcitoria per conoscenza da parte del danneggiato ex art.
145, comma 2, cod. ass. .
Altra dottrina (14), invece, ritiene che la scelta operata dal danneggiato nel rivolgere la propria richiesta ad una, piuttosto che all’altra compagnia di assicurazioni, sia elemento della fattispecie costitutiva dell’ obbligazione, che pertanto sorge in capo all’assicuratore scelto al momen-
(13) FRASCA, Assicurazione r.c.a. ecc., op. loc. cit.
(14) CLARIZIA, Indennizzo diretto e prestazione assicurativa, Napoli, 2009, p. 134 ss.
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to in cui il danneggiato gli rivolge la richiesta risarcitoria, con la conseguenza che la scelta è irrevocabile e comporta la liberazione definitiva
dell’altro potenziale debitore, anche se poi conclude affermando che tale scelta non è quella che viene esercitata nella fase stragiudiziale, come
vorrebbero esigenze di celerità e economicità, ma in quella giudiziale,
perché la scelta deve essere consapevole e informata e solo in tale momento il danneggiato è in grado di esercitarla in tali condizioni. Quest’ultima opinione risente della criticità di chi l’ha espressa nei confronti della sentenza della Consulta sulla non obbligatorietà dell’azione ex
art. 149 cod. ass.
Per esaminare la questione occorre esaminare la casistica che si può presentare, partendo da quella più semplice, vale a dire del danneggiato che rivolga la richiesta risarcitoria al proprio assicuratore e che, poi, terminata la
procedura stragiudiziale, eserciti l’azione nei confronti dell’assicuratore del
responsabile.
La precitata dottrina, come si è visto, ritiene tale domanda proponibile.
Condivido tale conclusione.
L’impresa mandataria (o gestionaria, secondo il gergo della Card) che
riceve la richiesta risarcitoria è tenuta a darne “immediata comunicazione”
all’impresa mandante (o debitrice, come viene chiamata dalla Card), secondo quanto prevede l’art 5, comma 3, del d.P.R. n. 254/2006. La Card,
poi, disciplina minuziosamente le informazioni che le due compagnie si devono scambiare, condizione indispensabile per il corretto funzionamento
del sistema del risarcimento diretto e delle compensazioni.
L’impresa assicurativa del responsabile civile è, inoltre, secondo quanto dispone l’art. 145, comma 2, cod. ass., destinataria, per conoscenza,
della richiesta risarcitoria inviata all’impresa del danneggiato. Una parte
della giurisprudenza (15) ritiene, addirittura, tale adempimento condizione di proponibilità della domanda proposta nei confronti del proprio assicuratore.
L’impresa mandante-debitrice è messa, quindi, in grado di conoscere
minuziosamente la richiesta risarcitoria inviata all’impresa mandatariagestionaria. Peraltro, il contenuto della richiesta risarcitoria prevista dall’art. 6 del d.P.R. n. 254/2006 è più analitico di quello previsto dall’art.
148 cod. ass.
(15) Da ultimo v. Giud. di Pace Roma 14 novembre 2012, in www.giuffre.it/riviste7resp; e la nota di ARGINE, L’auspicio di maggiore collaborazione fra danneggiato
e assicuratore in ambito r.c. auto, in Resp. civ. prev., 2013, 6, 2036 e ss.
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Infine, la Card, all’art. 1 bis prevede che l’impresa mandataria-gestionaria abbia il mandato con rappresentanza, sia nella fase stragiudiziale che
giudiziale, dell’impresa debitrice-mandante, per cui nell’eventuale giudizio instaurato contro l’impresa del responsabile si costituirà in giudizio l’impresa mandataria, che ben conosce il caso per averlo istruito.
Alla luce di tutti i rilievi appena fatti, non mi sembra che vi sia la
possibilità di ritenere improponibile la domanda del danneggiato per il
solo fatto di averla proposta nei confronti di soggetto diverso da quello
al quale aveva inviato la richiesta risarcitoria stragiudiziale. L’improponibilità potrà essere fatta valere, invece, qualora la richiesta non sia completa o vi sia stata la violazione della procedura risarcitoria come disciplinata dall’art. 148 (applicabile estensivamente alla procedura ex art.
149 cod. ass.) (16).
Qualora le condizioni di operatività del risarcimento diretto non ricorrano la compagnia è obbligata, ai sensi dell’art. 11 d.P.R. n. 254/2006, ad informarne il danneggiato entro trenta giorni dalla ricezione della sua richiesta risarcitoria e, contestualmente, nello stesso termine, ad inviare tale richiesta con tutta la documentazione acquisita all’altra impresa di assicurazioni, se nota dagli elementi a sua disposizione. Il predetto art. 11, al comma 3, stabilisce che i termini previsti dagli artt. 145 e 148 cod. ass., in tal
caso, decorrono per l’impresa di assicurazione del responsabile dal momento in cui questa riceva tale comunicazione dall’impresa del danneggiato. In
tale circostanza il danneggiato non ha alcun diritto ad agire nei confronti del
proprio assicuratore. Ovviamente l’eccezione sollevata dall’assicuratore sulla inapplicabilità della procedura ex art. 149 cod. ass. deve essere fondata,
altrimenti l’azione ben potrebbe essere proposta nei suoi confronti.
Veniamo, ora, al caso in cui il danneggiato rivolga la propria richiesta
risarcitoria all’impresa assicurativa del responsabile, pur essendo applicabile la procedura ex art. 149 cod. ass. In tal caso la Card prevede l’obbligo
(sanzionato anche con penali) dell’impresa del responsabile di invitare il
danneggiato a rivolgersi alla sua impresa di assicurazioni precisandogli che
“la competenza della sua impresa deriva dalla legge” (norma operativa dell’art. 15) e ciò anche se la richiesta è stata inviata anche a questa per conoscenza. Il danneggiato, ovviamente, non è vincolato da tale norma convenzionale e ben potrà insistere nei confronti dell’impresa del responsabile, secondo l’interpretazione della Consulta. Tale circostanza è stata ora risolta
(16) Per un esame di tali questioni sia consentito il rinvio al mio articolo Le modifiche sinora intervenute sugli artt. 148-149 cod. ass., in questa Rivista, 2014, I, 45 ss.
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dalla Card che prevede un mandato di rappresentanza reciproco delle compagnie di assicurazioni anche nella fase stragiudiziale. Ciò non è vietato
dalla legge. Quindi, in tal caso l’impresa gestionaria agirà in nome e per
conto dell’impresa debitrice ed istruirà la pratica. Il danneggiato non si potrà opporre validamente a tale procedura e dovrà rivolgere le proprie comunicazioni all’impresa gestionaria in quanto mandataria con rappresentanza dell’impresa del responsabile.
Terminata la procedura (in questo caso ex art. 148 cod. ass. ) nei confronti del rappresentante dell’impresa del responsabile, la domanda del danneggiato nei confronti del proprio assicuratore sarà proponibile, in quanto
è stato quest’ultimo che ha istruito il sinistro, seppure agendo non in proprio ma spendendo il nome dell’impresa del responsabile.
Quindi, nel caso in cui si applichi la procedura di risarcimento diretto,
il cambiamento, da parte del danneggiato, del destinatario della sua domanda
nel passaggio alla fase giudiziale è ammissibile e non comporta, di per sé,
l’improponibilità della domanda giudiziale.
3. ECCEZIONI PROPONIBILI DALL’ISTITUTO ASSICURATORE NEI CONFRONTI DEL PROPRIO ASSICURATO-AVENTE DIRITTO AL RISARCIMENTO NELLA PROCEDURA EX
ART. 149 COD. ASS.
L’art. 144, comma 2, cod. ass., riprendendo una disposizione già contenuta nell’art. 18, comma 2, della l. n. 990/69, prevede l’inopponibilità, da
parte dell’assicuratore al danneggiato, delle eccezioni derivanti dal contratto
di assicurazione, salvo il diritto di rivalsa dell’assicuratore nei confronti dell’assicurato.
La norma così recita: “Per l’intero massimale di polizza l’impresa di
assicurazione non può opporre al danneggiato eccezioni derivanti dal contratto, né clausole che prevedano l’eventuale contributo dell’assicurato al
risarcimento del danno. L’impresa di assicurazione ha tuttavia diritto di
rivalsa verso l’assicurato nella misura in cui avrebbe avuto contrattualmente diritto di rifiutare o ridurre la propria prestazione”.
La norma si riferisce al contratto di assicurazione stipulato tra il responsabile civile ed il proprio assicuratore e trova riscontro nel diritto comunitario, segnatamente nella direttiva comunitaria 2009/103/CE (che ha
raccolto e codificato le precedenti cinque direttive r.c. auto), la quale all’art.
13 prevede l’inopponibilità delle eccezioni contrattuali – per il vero citandone solo alcune – al terzo danneggiato e all’art. 17 l’inopponibilità allo
stesso di franchigie contrattuali (le disposizioni erano già contenute, rispettivamente, nelle direttive 84/5/CE e 90/232/CE).
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La giurisprudenza ha elaborato, nel tempo, una casistica nutrita di eccezioni non opponibili al terzo danneggiato, individuando anche una serie
di eccezioni opponibili allo stesso (17).
La domanda da porsi è se la norma trovi applicazione anche nel procedimento di risarcimento diretto e, in caso affermativo, se le eccezioni opponibili siano quelle che derivano dal contratto di assicurazione stipulato
dall’assicuratore del responsabile con questo, come avviene nel caso di azione diretta classica, ovvero se si debba e si possa fare riferimento anche a
quelle eventualmente derivanti dal contratto di assicurazione che lega il danneggiato alla propria compagnia assicurativa.
La risposta a tale domanda presuppone l’esame del rapporto che si instaura tra danneggiato e proprio istituto assicuratore nella procedura ex art.
149 cod. ass. nonché di quello tra le due compagnie di assicurazione.
Sul punto occorre partire da un principio, affermato di recente, seppure incidentalmente nel decidere una questione di competenza territoriale,
dalla Corte di Cassazione: “l’azione diretta di cui al d.lgs. n. 209 del 2005,
art. 149, non origina dal contratto assicurativo, ma dalla legge, che la ricollega al verificarsi del sinistro a certe condizioni, assumendo l’esistenza
del contratto assicurativo solo come presupposto legittimante, sicché la posizione del danneggiato non cessa di essere originata dall’illecito e di trovare giustificazione in esso, assumendo la posizione contrattuale del medesimo verso la propria assicurazione soltanto la funzione di sostituire l’assicurazione del danneggiato a quella del responsabile nel rispondere della pretesa risarcitoria. Sicché, la posizione del danneggiato resta quella di
chi ha subito un illecito civile e non si configura come quella del consumatore” (18).
Il diritto del danneggiato trae origine dall’illecito, dunque, ed ha come
presupposto l’esistenza di un valido contratto assicurativo del responsabile civile, ma anche, ed è qui la peculiarità della procedura ex art. 149 c.p.c.,
di un valido contratto di assicurazioni per la r.c.a. derivante dalla circolazione del proprio veicolo coinvolto nel sinistro. L’art. 149 cod. ass., il d.P.R.
n. 254/2006 e la Card danno tutti, come presupposto essenziale per l’applicabilità della procedura ex art. 149 cod. ass., la regolare copertura assicurativa per entrambi i veicoli coinvolti nel sinistro.
(17) Si veda sul punto ROSSETTI, Il diritto delle assicurazioni, cit., p. 320-322, e
GALLONE - PETTI, Il danno alla persona e alle cose nell’assicurazione per la r.c.a., t. I,
Il sistema – Il danno a cose, Torino, 2005, p. 720 e ss.
(18) Cass. civ. 13 aprile 2012, n. 5928 (ord).
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Quanto al rapporto tra le due compagnie di assicurazione, in dottrina si
sono richiamati diversi istituti. Qualcuno ha ipotizzato trattarsi di una sostituzione ex lege; altri ha richiamato l’istituto dell’accollo liberatorio ex lege; altri, infine, il contratto di mandato, per alcuni con rappresentanza, per
altri senza rappresentanza.
In altro scritto ho abbracciato la tesi del mandato senza rappresentanza (19). Le modifiche apportate alla Card, in particolare l’introduzione
dell’art. 1 bis, mi inducono, però, a rivedere, seppure parzialmente, tale
convinzione, che resta valida, lo dico subito, nel caso in cui il danneggiato opti per la procedura ex art. 149 cod. ass.
L’art. 1 bis della Convenzione prevede, sotto il titolo “Rappresentanza stragiudiziale della Gestionaria”, che l’impresa gestionaria intervenga
“ – in proprio quando il danneggiato presenta una richiesta di risarcimento diretto alla propria impresa assicuratrice; – in nome e per conto della
debitrice nel caso in cui il danneggiato presenti la richiesta di risarcimento direttamente alla debitrice”. Sotto il successivo titolo “Rappresentanza
processuale della Gestionaria”, si precisa che “Per le stesse ipotesi ed alle medesime condizioni di cui ai commi precedenti, oltre alla rappresentanza sostanziale, ogni impresa aderente conferisce sin d’ora, per tutti i casi in cui si troverà ad assumere la veste di Debitrice, ad ogni altra impresa aderente che verrà correlativamente ad acquisire il ruolo di Gestionaria il potere di rappresentarla in giudizio, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 77 c.p.c., in tutte le vertenze relative alla gestione del sinistro, in ogni
grado di giudizio, con facoltà di nominare avvocati, periti ed arbitri, revocarli e sostituirli. Ciascuna impresa accetta sin d’ora il conferimento della rappresentanza processuale e si obbliga pertanto a costituirsi in giudizio in nome e per conto della Debitrice”.
Il testo contrattuale che regola i rapporti tra le compagnie aderenti alla
Card prevede ora, espressamente, la rappresentanza dell’impresa debitrice
da parte della gestionaria nel caso (e solo nel caso) in cui il danneggiato non
opti per la procedura ex art. 149 cod. ass. ma rivolga la propria richiesta risarcitoria e/o eserciti la propria azione nei confronti dell’impresa assicurativa del responsabile.
Qualora il danneggiato si avvalga della procedura ex art. 149 cod. ass.,
il rapporto tra le due imprese rimane, invece, quello del mandato senza rappresentanza, anche nella fase giudiziale. L’art. 1 bis lo ribadisce.
(19) ZARDO, Le procedure stragiudiziali di liquidazione del danno nell’assicurazione r.c. auto, in questa Rivista, 2009, II, 218 e ss., al quale rinvio per i motivi sui quali si fonda la scelta.
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Nel primo caso, l’impresa gestionaria agisce quale rappresentante dell’impresa debitrice, per cui il contratto di assicurazione che rileva non potrà che essere quello tra questa ed il proprio assicurato. Il contratto di assicurazione con il danneggiato non viene in questione se non quale presupposto per l’applicazione della procedura, nel senso che vi deve essere una
valida copertura assicurativa, ma non possono trovare applicazione altre
clausole in esso contenute come quelle previste dall’art. 11 d.P.R. n. 254/2006.
Quindi, la questione sollevata riguarderà solo il caso in cui il danneggiato opti per la procedura ex art. 149 cod. ass. e/o eserciti la propria domanda giudiziale nei confronti del proprio istituto assicuratore.
Dato come presupposto quanto affermato dalla Corte di Cassazione, e da
me condiviso, occorre vedere se e in quale modo il contratto assicurativo esistente tra i due interlocutori della procedura ex art. 149 cod. ass. incida sul diritto dell’assicurato-danneggiato. Vieppiù che l’art. 14 d.P.R. n. 254/2006 prevede espressamente tale incidenza nel considerare possibile l’inserimento nel
contratto di clausole che prevedano il risarcimento in forma specifica.
In dottrina (20) la questione è stata sollevata e si è ritenuto di ammettere, oltre alle eccezioni ritenute opponibili che si fondano sul contratto assicurativo del responsabile, quelle relative al rapporto tra danneggiato e proprio assicuratore costituite da contro crediti di questo nei confronti di quello, derivanti dallo stesso contratto assicurativo o da altri rapporti (per esempio per premi relativi ad altre polizze), in quanto costituenti una ordinaria
eccezione di compensazione, mentre nessun rilievo avrebbero altre eccezioni fondate sul medesimo rapporto assicurativo in quanto “l’assicuratore della vittima risarcisce quest’ultima in adempimento di un obbligo legale, e non in esecuzione del contratto che lo lega al danneggiato”.
Tuttavia l’art. 14 d.P.R. n. 254/2006, come si è detto, prevede la possibilità di inserire nel contratto di assicurazione clausole che prevedano il risarcimento in forma specifica, in grado, quindi, di incidere sul diritto risarcitorio del danneggiato. Del resto l’istituto assicuratore nella procedura ex
art. 149 cod. ass., sia nella fase stragiudiziale che in quella giudiziale, agisce in nome proprio e con autonomia, rispetto al mandante, soprattutto in
ordine alla determinazione del quantum risarcitorio. Se si legge la Card ci
si rende conto di ciò. Il rimborso forfetario previsto a carico dell’impresa
del responsabile fa sì, poi, che l’impresa gestionaria abbia un interesse proprio alla gestione del sinistro, potendo realizzare anche un profitto dallo
stesso (quando il risarcimento corrisposto è inferiore al rimborso forfetario
da parte della impresa responsabile).
(20) ROSSETTI, Il diritto delle assicurazioni, cit., p. 445.
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D’altra parte, il danneggiato, allo stato attuale della legislazione e della giurisprudenza, non è obbligato a rivolgersi e ad agire nei confronti del
proprio assicuratore ex art. 149 cod. ass. ma ha la possibilità di esercitare
l’azione nei confronti del responsabile e del suo istituto assicuratore e, in
questo caso, il proprio assicuratore, che, come si è visto, agisce in nome e
per conto dell’assicuratore del responsabile, non gli potrà sollevare eccezioni che riguardano il contratto di assicurazione esistente tra loro.
Sulla base di tali considerazioni ritengo siano opponibili, nella procedura ex art. 149 cod. ass., eccezioni che si fondano sul contratto assicurativo tra il danneggiato e la sua impresa assicurativa.
Per evitare che l’assicurato-danneggiato eserciti una o l’altra azione a
seconda delle proprie convenienze penso che sia possibile prevedere nella
polizza l’obbligo per il proprio contraente-assicurato di optare per la procedura ex art. 149 cod. ass. Obbligo che dovrà essere bilanciato da sconti
sul premio e che, ritengo, vincolerà solo il contraente, non potendo il contratto produrre obblighi nei confronti dei terzi, quindi non potrà estendersi,
ad esempio, al conducente che non sia contraente della polizza.
4. FATTISPECIE DI POSSIBILE CONFLITTO TRA CARD E NORMATIVA STATALE NELL’APPLICAZIONE DELLA PROCEDURA EX ART. 149 COD. ASS.
Le condizioni di applicazione della procedura di risarcimento diretto sono
dettate dall’art. 149 cod. ass., dal d.P.R. n. 254/2006 e dalla Card, quindi da tre
fonti di rango diverso: un decreto legislativo, un regolamento attuativo, un contratto. Ognuna di efficacia diversa, della quale occorre tener conto in caso di
disciplina conflittuale. Il primo è un decreto legislativo, quindi ha forza di legge erga omnes; il secondo un testo regolamentare, quindi una fonte normativa
secondaria, seppure di attuazione delegata dal primo; l’ultimo è una convenzione tra assicuratori, quindi un testo contrattuale che, in linea generale, come
tutti i contratti, vincola solo i contraenti in virtù del principio di relatività degli
effetti contrattuali (res inter alios acta tertio neque nocet neque prodest).
Esaminiamo alcune fattispecie di possibile contrasto tra le diverse fonti citate.
4.1. La necessità di collisione tra i due veicoli e l’assenza di coinvolgimento
di terzi veicoli e di terzi danneggiati
Una prima questione riguarda la necessità o meno della collisione tra i
due veicoli.
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L’art. 149, comma 1, cod. ass. in realtà non prevede la collisione tra i
due veicoli ma contiene solo il termine sinistro. È il d.P.R. n. 254/2006 che
restringe l’ambito di applicazione del risarcimento diretto al solo caso di
collisione tra veicoli, in quanto all’art. 1, lett. d), definisce sinistro “la collisione avvenuta… tra due veicoli a motore”. Anche la Card prevede che
“la procedura di risarcimento diretto non si applica in assenza di collisione materiale tra i due veicoli” (art. 15, comma 4).
L’esistenza di danni su entrambi i veicoli coinvolti nel sinistro non importa necessariamente la collisione tra loro, mentre il termine sinistro, la
cui definizione è assente nel codice delle assicurazioni, è termine che in senso generico indica una disgrazia, una sciagura e, nel gergo assicurativo, il
verificarsi dell’evento coperto da garanzia assicurativa. Quindi sinistro non
vuol dire collisione, né è possibile sostenere che il legislatore del codice
delle assicurazioni non era consapevole della differenza tra i due termini,
se è vero, come è vero, che in un’altra norma del codice, segnatamente nell’art. 143, ha utilizzato il termine sinistro anziché quello di “scontro tra veicoli”, presente nella omologa norma previgente (art. 5, comma 1, d.l. n.
857/76), con il chiaro intento di estendere l’obbligo di denuncia anche ai
sinistri senza collisione tra veicoli .
La legittimità del restringimento operato dal d.P.R. n. 254/2006 dipende, come è stato avvertito in dottrina (21), dalla interpretazione che si intende dare all’art. 150, comma 1, lett. c), cod. ass., il quale delega il regolamento a stabilire “..le condizioni…per il risarcimento del danno”. Se la
collisione tra i due veicoli rientra tra tali condizioni, come io ritengo, la precisazione contenuta nel regolamento è da ritenersi legittima.
Del resto, la precisazione del regolamento è stata dettata dalla necessità di rendere applicativa la riforma utilizzando i meccanismi già noti della
procedura C.I.D. ove uno dei presupposti della sua applicazione era, appunto, lo scontro tra due veicoli.
Un’altra questione riguarda l’operatività del risarcimento diretto nel caso di coinvolgimento di veicoli terzi o di danneggiati terzi e, sempre in tale ambito, l’applicabilità o meno del meccanismo del risarcimento diretto
anche per i danni da questi subìti.
L’art. 149 cod. ass. sembra dare risposta negativa ad entrambe le questioni, seppure implicitamente, nel prendere in considerazione solo il danno ai due veicoli, alle cose trasportate dell’assicurato e del conducente e ai
danni fisici dei conducenti. Così anche il d.P.R. n. 254/2006.
(21) ROSSETTI, Il diritto delle assicurazioni, cit., p. 436.
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La Card, invece, dà rilievo ad alcune ipotesi di coinvolgimento di terzi, ritenendole non ostative dell’applicazione della procedura di risarcimento
diretto, che rimane, però, limitata a beneficio dei soggetti indicati dall’art.
149 cod. ass.; i “terzi”, per i loro danni, si dovranno rivolgere all’assicurazione del responsabile.
Dalla lettura delle condizioni di applicazione dell’art. 15 della Card (edizione 2013) si evincono i seguenti casi di applicazione “estensiva” rispetto al testo normativo:
a) la presenza di un terzo veicolo coinvolto nella collisione, purché non
sia identificato e il suo conducente non sia in alcun modo responsabile (la
presenza di un terzo veicolo, anche non collidente con gli altri due, il cui
conducente abbia concorso alla causazione del sinistro esclude l’applicazione della procedura ex art. 149 cod. ass.);
b) uno od entrambi i veicoli coinvolti nella collisione urtino cose o persone esterne non responsabili;
c) i danni al terzo veicolo, ad oggetti esterni o a passanti non responsabili siano stati provocati dalla caduta di cose trasportate da uno dei primi
due veicoli entrati tra loro in collisione.
Nei casi b) e c) la Card precisa che la gestione dei danni dei terzi spetterà all’assicuratore del responsabile.
In dottrina (22) tali estensioni operate dalla Card sono state ritenute illegittime sulla base dell’osservazione che l’art. 149 cod. ass. prevede “sinistri
tra due veicoli” e che la coesistenza tra risarcimento diretto e procedura ordinaria farebbe sì che dei danni causati dalla medesima persona alcuni siano risarciti dall’assicuratore della vittima ed altri dall’assicuratore del responsabile, eventualità che, in assenza di una espressa previsione di legge (come appunto quella dell’art. 149, comma 2, cod. ass., per i trasportati) non può essere consentita. Sempre tale dottrina evidenzia, poi, le conseguenze derivanti dall’applicazione dell’art. 140, comma 4, cod. ass. che prevede il coinvolgimento
nel giudizio di tutti i danneggiati dal sinistro, e, quindi, l’estensione del giudizio promosso dal danneggiato nei confronti del proprio assicuratore a tutti i
danneggiati dal sinistro che, a loro volta, dovrebbero rivolgere la loro domanda nei confronti del responsabile civile e del suo assicuratore, con un allargamento delle parti del giudizio ed un intrecciarsi delle domande che, in effetti,
mal si concilia con l’esigenza di rapidità e semplicità del risarcimento diretto.
Mette conto, a tal fine, ricordare che l’Autorità garante della concorrenza e del mercato nel parere del 27 luglio 2005 aveva espresso la raccomandazione circa l’opportunità, nell’ottica della più ampia diffusione pos-
(22) ROSSETTI, Il diritto delle assicurazioni, cit., p. 434.
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sibile della procedura di risarcimento diretto, di ampliare l’area di applicazione della procedura in esame comprendendovi anche la collisione tra una
pluralità di veicoli.
4.2. Le caratteristiche dei veicoli collidenti
Il termine veicoli a motore, contenuto sia nell’art. 149 che nel regolamento, sembrerebbe comprendere sia gli autoveicoli che i motoveicoli. Il
codice delle assicurazioni, però, non contiene la definizione di veicolo a
motore ma solo quella di veicolo. L’art. 1, lett. rrr), definisce veicolo “qualsiasi autoveicolo destinato a circolare sul suolo e che può essere azionato
da una forza meccanica, senza essere vincolato ad una strada ferrata, nonché i rimorchi, anche se non agganciati ad una motrice”. Stando a tale definizione i veicoli sarebbero solo gli autoveicoli per cui l’indennizzo diretto sarebbe limitato a tale categoria di veicoli. Né può soccorrere il codice
della strada che, al pari del codice delle assicurazioni, non contiene la definizione di veicoli a motore, mentre all’art. 46 definisce veicoli “tutte le
macchine di qualsiasi specie, che circolano sulle strade guidate dall’uomo” e all’art. 47 nel classificare i veicoli comprende anche veicoli non a
motore, quali quelli a braccia, a trazione animale, velocipedi e slitte, per i
quali, sicuramente, non è prevista l’assicurazione obbligatoria, per cui esclusi dall’indennizzo diretto. Il regolamento n. 254/2006 tace sulla definizione di veicoli a motore e comunque sulla indicazione di quali veicoli rientrino nella procedura. La Card, invece, all’art. 15 prevede l’esclusione della procedura di indennizzo diretto per alcuni veicoli a motore, segnatamente
per “i veicoli non targati (macchine operatrici che circolano in forza di specifiche autorizzazioni pur essendo sprovviste di targa identificativa del veicolo) compresi i ciclomotori ed assimilati non dotati del sistema di targatura previsto ai sensi del d.P.R. 6 marzo 2006, n. 153” (23).
(23) Precedentemente anche le macchine agricole erano escluse. Per queste
l’esclusione è caduta dal 1° febbraio 2008 con l’art. 2, comma 5 ter, d.l. n. 300/2006
(c.d. decreto milleproroghe) introdotto dalla legge di conversione n. 17/2002 che prevede: “Per i sinistri che coinvolgono le macchine agricole, come definite dall’articolo
57 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, la disciplina del risarcimento diretto prevista dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 18 luglio 2006, n. 254, si applica a decorrere dal 1° febbraio 2008”.
L’edizione 2008 della Card aveva introdotto tale novità aggiungendo al comma 1 dell’art. 1 la seguente precisazione: “Per le macchine agricole le disposizioni della presente convenzione avranno effetto a partire dal 1° febbraio 2008”.
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E nelle condizioni di applicazione prevede che la procedura non si applica:
– se uno od entrambi i veicoli coinvolti nella collisione trainino un altro veicolo a motore;
Mentre si applica:
– se uno od entrambi i veicoli coinvolti nella collisione trainino una
roulotte od un carrello, appendice di cui all’art 56 del Codice della Strada o comunque un rimorchio (intendendosi questi un tutt’uno con il veicolo);
– se l’urto avvenga contro una parte della struttura di un veicolo identificato, che se ne sia staccata. Per struttura del veicolo si intende qualsiasi componente dello stesso stabilmente fissata es. bauletto delle moto, portabagagli, porta biciclette, ecc.;
– se due veicoli vengano a collisione a seguito dell’apertura di una portiera operata anche da un trasportato a bordo degli stessi. In quest’ultimo
caso l’eventuale rivalsa nei confronti del trasportato responsabile compete all’impresa Gestionaria Debitrice;
– se uno od entrambi i veicoli abbiano la targa prova, purché immatricolati in Italia;
– se uno dei due veicoli è spinto a mano. In tal caso il soggetto o i soggetti che spingono il veicolo sono da considerarsi tutti conducenti”.
4.3. Le condizioni relative ai soggetti richiedenti e ai danni richiesti
La formulazione del codice sul punto è infelice ed ha subito fatto sorgere più di una questione interpretativa in dottrina. Una prima questione attiene alle lesioni subìte dal conducente, in quanto l’art. 149, comma 2, II
periodo, limita l’applicazione della procedura di risarcimento diretto al solo caso del conducente danneggiato che non sia in alcun modo responsabile. Sancisce la norma: “Essa – la procedura di risarcimento diretto (n.d.a.)
– si applica anche al danno alla persona subìto dal conducente non responsabile”. Il regolamento di attuazione ha cercato di porre rimedio alle
incongruenze e alle complicazioni cui avrebbe dato luogo tale disposizione ed ha esteso l’applicazione della procedura diretta al conducente concorsualmente responsabile. L’art. 5, comma 1, del regolamento prevede la
legittimazione alla richiesta risarcitoria del conducente “che si ritiene non
responsabile, in tutto o in parte”. Vi è chi ha ritenuto illegittima l’estensione operata dall’autorità amministrativa essendo contraria all’art. 149 cod.
ass. e quindi alla fonte primaria e chi, per contro, ha ritenuto come una lettura meno limitativa della norma possa essere desunta dall’art. 150 cod. ass.
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laddove questo prevede che il regolamento di attuazione stabilisce anche i
criteri di determinazione del grado di responsabilità delle parti per la definizione interna dei rapporti tra le imprese di assicurazione con ciò ammettendo l’applicazione del risarcimento diretto alle ipotesi di concorso. Secondo me il riferimento più preciso è, anche in questo caso, la lett. c) dell’art. 150, comma 1, cod. ass., che delega al regolamento “le condizioni per
il risarcimento del danno”.
Sia il codice che il regolamento, invece, sono concordi nel limitare la
procedura alle lesioni previste dall’art. 139, quindi quando i postumi invalidanti non superino il 9%. Il problema, però, che sorge è che la norma non
dice se l’indicazione della misura dei postumi fatta dal danneggiato sia sufficiente a rendere applicabile la procedura del risarcimento diretto ovvero
se la compagnia la possa contestare. Sembrerebbe preferibile la prima ipotesi, per motivi di praticità ed opportunità piuttosto che per motivi teorici o
ermeneutici. Occorre considerare che, come si è visto, secondo quanto prescrive l’art. 11 d.P.R. n. 254/2006, la compagnia deve comunicare al danneggiato, con raccomandata con avviso di ricevimento, entro trenta giorni
dal ricevimento della richiesta risarcitoria, che il caso non presenta le condizioni che legittimano il risarcimento diretto, e che l’art. 6 d.P.R. n. 254/2006,
nell’indicare i contenuti e le allegazioni che la richiesta risarcitoria deve
avere, non prevede l’allegazione di documentazione idonea a consentirle
l’obiettivo accertamento dei postumi permanenti. Non è, infatti, idonea a
tal fine l’attestazione medica comprovante l’avvenuta guarigione con o senza postumi permanenti prevista dal comma 2, lett. d), ben potendo la stessa, per soddisfare il requisito, consistere in una dichiarazione del medico
che dichiari l’avvenuta guarigione con o senza postumi permanenti senza
indicare l’entità di tali postumi, i quali, in realtà, devono essere indicati nella lettera di richiesta, giusto quanto prevede il comma 2, lett. b), ma non necessariamente in detto certificato medico. L’allegazione di una relazione
medico legale di parte, invece, è solo eventuale [comma 2, lettera e)]. Quindi, la compagnia non è posta in grado di accertare obiettivamente l’entità
dei postumi e di effettuare la prescritta comunicazione nel termine previsto
qualora i postumi superino il limite dei nove punti. Nello stesso termine la
compagnia deve trasmettere all’impresa che assicura il responsabile la richiesta risarcitoria ed ogni altra documentazione acquisita onde consentire
una celere liquidazione del danno (art. 11, comma 2, d.P.R. n. 254/2006).
In tal caso il regolamento prevede che i termini per la formulazione dell’offerta da parte dell’impresa del responsabile e per la proponibilità della
domanda nei confronti della stessa decorrono ex novo dalla ricezione di tale comunicazione (art. 11, commi 2 e 3, d.P.R. n. 254/2006). Sulla legittimità di quest’ultima disposizione non vi è da dubitare seriamente se si con-
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sidera che l’impresa del responsabile ancorché destinataria, anche se per
conoscenza (dettaglio irrilevante se si considera che anche la lettera ex art.
22 l. n. 990/69 poteva essere inviata per conoscenza), della stessa richiesta
rivolta dal danneggiato alla sua impresa (art. 145, comma 2, cod. ass.), fino a tale momento non ha provveduto ad attivare alcuna procedura istruttoria. I punti deboli della disciplina sono l’assenza di alcuna sanzione a carico della compagnia che non rispetti tali disposizioni e gli effetti di una comunicazione tardiva.
In dottrina (24) si è opportunamente evidenziato come né la legge né il
regolamento dicano nulla in ordine al danno patrimoniale conseguente al
danno biologico e che, tuttavia, lo stesso debba farsi rientrare nella nozione di “danno alla persona” di cui all’art. 149, comma 2. Diversamente il
danneggiato dovrebbe rivolgere due richieste risarcitorie distinte a due compagnie di assicurazione diverse, in ovvio contrasto con la ratio della procedura ex art. 149 cod. ass.
In ordine al danno a cose, infine, si è osservato come il linguaggio del
codice non coincida con quello del regolamento. Nell’art. 149 cod. ass. il
comma 2 precisa che “la procedura di risarcimento diretto riguarda i danni al veicolo nonché i danni alle cose trasportate di proprietà dell’assicurato o del conducente”. Nel regolamento l’art. 1, lett. e), definisce danneggiato “il proprietario o il conducente del veicolo che abbia subìto danni a
seguito del sinistro”. La limitazione del regolamento è lampante, non vengono compresi i soggetti equiparati al proprietario dall’art. 2054, comma 3,
c.c. (acquirente con patto di riservato dominio ed usufruttuario) e dall’art.
91, comma 2, cod. strad. (locatario di leasing), che invece sono compresi
nell’art. 149 cod. ass., esplicitamente per i danni alle cose di loro proprietà
trasportate sul veicolo, in quanto il termine “assicurato” nell’assicurazione
obbligatoria r.c.a. coincide con chiunque sia responsabile ex art. 2054 c.c.,
ed ora anche ex art. 91, comma 2, c.d.s., in virtù del rinvio recettizio compiuto dall’art. 122 cod. ass., ed implicitamente per i danni conseguenti all’avaria del veicolo, in quanto l’art. 149 cod. ass. indica solo l’oggetto dei
danni, “il veicolo”, e non il rapporto giuridico che intercorre tra il bene danneggiato ed il soggetto danneggiato. Si è pertanto osservato che secondo il
regolamento ai titolari di un diritto diverso dalla proprietà sarebbe interdetto chiedere i danni patiti in conseguenza dell’avaria del veicolo (canoni
pagati, perdita di profitto ecc.) anche nei casi in cui il titolo del possesso o
il contratto con il proprietario pongano a loro carico tali danni. In ogni caso la limitazione posta dalla norma regolamentare si pone in contrasto con
(24) ROSSETTI, Il diritto delle assicurazioni, cit., 440.
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la norma primaria e quindi è destinata a cedere il passo a questa, con la conseguenza che legittimati a chiedere i danni a cose sono tutti gli assicurati,
vale a dire tutti i soggetti responsabili della circolazione di un veicolo (conducente, proprietario e tutti i soggetti a questo equiparati ai fini della responsabilità), per tutti i danni che hanno ad oggetto il veicolo o che hanno
la loro causa nell’avaria e nella mancata disponibilità del veicolo nonché
per le cose di loro proprietà trasportate sul veicolo e rimaste danneggiate.
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Giurisprudenza
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Note a sentenza
I
TRIBUNALE DI FIRENZE
28 ottobre 2013 – Giud. Un. Santaniello – S.E.A. – Società Esercizi Assicurativi s.r.l. (avv. Morbidelli, Taddei Olmi) c. Comune di Firenze (Avv.
Gen. Stato).
Broker – Provvigioni – Rinnovo di polizza.
La delibera del Comune ove è contenuto l’obbligo di affidare l’attività
di intermediazione di un certa polizza ad un determinato broker non attiene anche ai rinnovi della polizza medesima (1).
Il Tribunale ecc. (Omissis). FATTO. – Con atto del 27 dicembre 1990 la
S.E.A. - Società Servizi Assicurativi s.r.l., di intermediazione nel settore assicurativo (broker) conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Firenze il
Comune di Firenze.
(1) NOTA. – Diritto alle provvigioni del broker in ipotesi di rinnovo di
polizza.
1. Il fatto
In data 21 maggio 1987, tra il Comune di Firenze e una società di brokeraggio (S.E.A.), veniva stipulato un contratto avente ad oggetto: dal lato della prestazione dovuta da quest’ultima, uno studio sui rischi del comune di Firenze e sulle relative possibili coperture assicurative; dal lato
della prestazione dovuta dal Comune vi era l’obbligo di attribuire incarico
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Giurisprudenza
Sosteneva l’attrice che il Comune, con delibera di Giunta municipale
del 21 maggio 1987, l’autorizzava ad effettuare uno studio sui rischi del Comune di Firenze e relative, possibili, coperture assicurative, riservandosi
ogni libertà sull’utilizzo, o meno, delle risultanze di detto studio e con la
previsione che, qualora l’Amministrazione comunale avesse inteso adottare le proposte formulate da essa S.E.A. in occasione di tale studio, perché
ritenute conformi ai propri interessi, avrebbe riconosciuto alla stessa S.E.A.
di farsi tramite con le compagnie contraenti, per la realizzazione delle soluzioni prospettate, fatte proprie dall’Amministrazione.
Nell’ambito di tale rapporto di collaborazione, aveva predisposto un
complesso e originale progetto di assicurazione dell’intero patrimonio immobiliare del Comune, interpellando le maggiori compagnie assicurative e
sulla scorta di criteri e clausole concordate aveva formulato una prima proposta di premio annuo lordo, di lire 195 milioni, successivamente ridotto a
lire 170 milioni.
di intermediazione alla suddetta società con le compagnie di assicurazione
contraenti per la realizzazione delle soluzioni prospettate nello studio suddetto. L’obbligo del Comune risultava condizionato al fatto che il Comune stesso avesse inteso adottare le proposte formulate dal broker perché ritenute conformi ai propri interessi.
Poiché dai quotidiani era apparsa la notizia che il Comune, adottando
i criteri elaborati dalla società di brokeraggio, aveva assicurato il suo patrimonio immobiliare, questa chiedeva la risoluzione per inadempimento
della convenzione del 1987 con condanna del Comune al risarcimento dei
danni corrispondenti al compenso dovutole come broker (19% del premio
annuo) nonché dell’ulteriore somma dovuta per la perdita dell’immagine
ecc. La domanda trovava accoglimento con la sentenza della Corte d’Appello 22 novembre 2002 in parziale riforma della sentenza di primo grado.
La pronuncia della Corte d’Appello ha trovato conferma in Cassazione.
La Cassazione conferma la pronuncia di secondo grado anche in merito alla inammissibilità, perché domanda nuova, della richiesta avanzata, in
sede di appello, dalla società di brokeraggio, avente ad oggetto l’accertamento di ulteriori crediti risarcitori per inadempimento da parte del Comune degli obblighi contrattuali assunti avuto riguardo ai rinnovi dei contratti assicurativi. La suddetta polizza all risks risulta rinnovata sicuramente
per cinque anni fino al 1995.
L’adito Tribunale di Firenze, con sentenza in commento, rigetta quest’ultima domanda risarcitoria.
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Nelle more, senza nulla comunicare, l’Amministrazione comunale, adottando i criteri elaborati dall’attrice per la polizza, aveva assicurato l’intero
patrimonio immobiliare senza la intermediazione della S.E.A., in violazione degli accordi assunti. Per questi motivi l’attrice aveva chiesto che fosse
pronunziata, per fatto dell’Amministrazione comunale, la risoluzione della convenzione 21 maggio 1987, con condanna del Comune di Firenze al
risarcimento dei danni patiti e patiendi da essa attrice da liquidare in lire
26.639.000, corrispondenti al compenso dovutole quale broker, da determinarsi in ragione del 19% sul premio della polizza, nonché nell’ulteriore
somma ritenuta di giustizia per la perdita di immagine e lesione dell’avviamento derivanti dalla mancata conclusione dell’affare, oltre interessi e
rivalutazione monetaria.
Costituitosi in giudizio il Comune ha resistito alle avverse domande deducendone la infondatezza e la carenza di qualsiasi prova a loro suffragio.
Svoltasi l’istruttoria del caso, nel corso della quale era disposta consulenza tecnica d’ufficio allo scopo dì accertare se le formule assicurative elaborate e proposte al Comune di Firenze dalla S.E.A. fossero state elaborate dal Comune stesso, l’adito Tribunale ha rigettato la domanda attrice con
condanna della S.E.A. al pagamento delle spese di lite.
Gravata tale pronunzia dalla S.E.A., nel contraddittorio del Comune,
che costituitosi in giudizio ha chiesto il rigetto dell’impugnazione, la Corte d’Appello di Firenze, in parziale riforma della pronunzia del primo giudice, ha pronunciato la “risoluzione del contratto inter partes e per l’effetto condannato il convenuto Comune al risarcimento del danno patito dalla
S.E.A., liquidato come in sentenza, con rivalutazione ed interessi oltre al
pagamento delle spese di entrambi i due gradi del giudizio.
Avverso la predetta sentenza veniva proposto ricorso per Cassazione e
la S.E.A. resiste con controricorso e ricorso incidentale.
2. Motivazione e osservazioni
Il Tribunale pone l’accento sul fatto che il Comune avrebbe deliberato
“di autorizzare la S.E.A. ad effettuare uno studio sulle coperture assicurative dei rischi dell’amministrazione comunale … senza che tale collaborazione comport(asse) alcun onere finanziario per l’amministrazione, né impegni futuri o vincoli…qualora l’amministrazione intendesse adottare la
proposta della S.E.A. … riconoscere alla stessa di farsi tramite con le compagnie di assicurazioni per la realizzazione delle soluzioni della medesima
prospettata e fatte proprie dell’amministrazione”.
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Giurisprudenza
La Corte di Cassazione confermava quanto deciso dalla Corte d’Appello, ribadendo la inammissibilità della domanda relativa alle provvigioni
dovute per il rinnovo annuale della polizza, operando il divieto di ius novorum in appello per i danni sofferti dopo la sentenza di primo grado in
quanto i danni si erano già verificati prima della sentenza del Tribunale, nel
corso del giudizio di primo grado.
Alla luce di detta sentenza la S.E.A. proponeva nuova domanda innanzi al Tribunale di Firenze richiedendo il pagamento dello somme dovute a
titolo di provvigione anche per gli anni di rinnovo della polizza successivi
al primo.
Si costituiva in giudizio il Comune, il quale contestava la domanda per
precedente giudicato, per intervenuta prescrizione e comunque perché nella
convenzione non vi era alcun accordo in merito alla gestione delle polizze.
DIRITTO. – La domanda proposta dall’attrice non merita accoglimento
per i seguenti motivi:
Preliminarmente è opportuno meglio qualificare la figura del broker assicurativo, i suoi obblighi ed i suoi diritti.
La legge n. 792 del 1984, art. 1 (il quale definisce “mediatore di assicurazione e riassicurazione, denominato anche broker, chi esercita professionalmente attività rivolta a mettere in diretta relazione con imprese di assicurazione o riassicurazione, alle quali non sia vincolato da impegni di sorta, soggetti che intendano provvedere con la sua collaborazione alla coper-
Ad avviso del Tribunale nulla sarebbe deliberato per la gestione delle
polizze (ricezione degli avvisi di sinistro, pagamento del premio ecc.).
Quanto ai rinnovi però può dirsi qualcosa di diverso trattandosi di estensioni temporali del vincolo contrattuale in atto con il conseguente pagamento
di ulteriori premi (1). Non si tratterebbe insomma di una mera attività gestoria. Ne segue che, in automatico, una volta accertata la presenza del rinnovo e l’inadempimento del Comune agli obblighi assunti, dovrebbe darsi
(1) Al comma 3 dell’art. 1899 si prevede poi la possibilità di prorogare tacitamente la durata del contratto. La giurisprudenza sul punto afferma che la manifestazione di
una volontà contraria alla proroga può essere espressa anche in forma tacita. In caso di
controversia promossa dall’assicurato per l’accertamento dell’avvenuta disdetta alla naturale scadenza del contratto, onde evitarne la proroga tacita di cui all’art. 1899, comma 2, c.c., la prova di tale disdetta può essere fornita anche mediante la prova dell’esistenza di tempestive ed inequivoche manifestazioni tacite di volontà, evidenzianti un’in-
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tura dei rischi, assistendoli nella determinazione del contenuto dei relativi
contratti e collaborando eventualmente alla loro gestione ed esecuzione”)
distingue, nell’ambito delle attività proprie del broker, quella della collaborazione intellettuale con l’assicurando per la copertura dei rischi e quella di assistenza alla determinazione del contenuto dei futuri contratti, e cioè
un momento di consulenza e assistenza, anteriore logicamente e cronologicamente a quello della eventuale intermediazione nella conclusione e gestione dei contratti assicurativi.
In particolare la Suprema Corte ha avuto modo di evidenziare che la definizione legislativa di cui al citato art. 1 giustappone le due qualificazioni
giuridiche prevalenti prima dell’entrata in vigore della l. n. 792 del 1984 –
luogo alla condanna del Comune al pagamento dell’ulteriore debito risarcitorio calcolato in ragione degli ulteriori premi pagati per i rinnovi secondo i
criteri sopra indicati ed accolti dalla Corte d’Appello fiorentina.
Il Tribunale afferma che la delibera comunale non avrebbe ad oggetto
anche i rinnovi delle polizze in esame.
Al riguardo occorre tenere presente che il rinnovo della polizza è considerato in giurisprudenza non un nuovo contratto, ma una estensione della durata del precedente contratto. La giurisprudenza di merito in
tenzione contraria alla prosecuzione del rapporto. Né può dirsi che allo scioglimento
del rapporto per facta concludentia, sia di ostacolo l’assoggettamento del contratto di
assicurazione alla forma scritta ad probationem. Così Cass. 29 maggio 2001, n. 7278,
cit. In giurisprudenza si precisa però che le determinazioni delle parti in relazione al
termine di inizio e di fine degli effetti del contratto non ammettono modifica o risoluzione per determinati comportamenti concludenti laddove, come di norma avviene, nel
contratto detti comportamenti siano stati preventivamente ed espressamente qualificati dalle parti come vicenda non in grado di rappresentare una tacita deroga al limite temporale stabilito per l’esercizio del diritto potestativo di proroga. Così, in caso di individuazione del termine finale del contratto, l’eventuale incasso di premi da parte dell’assicuratore, oltre il suddetto termine, non configura un comportamento concludente
al fine di prorogare la durata del contratto oltre i termini convenzionalmente stabiliti.
In tal senso Trib. Arezzo, 6 ottobre 2000, in Foro it., 2001, I, 1393, contra la giurisprudenza di merito anteriore. Trib. Como 3 aprile 1998, in Danno e resp., 1998, 575,
con nota di CAPUTI, Cessazione della polizza assicurativa al settantesimo anno di età e
incasso di premi oltre il compimento, e, prim’ancora; Trib. Alessandria 14 maggio
1987, in Resp. civ. e prev.,1988, 81, con nota critica di SCALFI, Condizione, «dies incertus» o termine all’esercizio del diritto di proroga? Considerazioni sulla non assicurabilità contro gli infortuni dell’ultrasettantenne.
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quella del prestatore di opera intellettuale, sostenuta da parte della dottrina,
e quella di mediatore, valorizzata dalla precedente giurisprudenza di legittimità (sentenze n. 5860/1979; n. 3531/1980) – e, pur definendo il broker come un mediatore, ne pone in rilievo il ruolo di collaborazione con l’assicurando nella fase antecedente alla “messa in contatto” delle parti del contratto di assicurazione, valorizzando tale momento, quale prius logico e indefettibile del successivo momento di intermediazione vera e propria, nell’ottica della funzione sociale assolta nel settore dell’intermediazione assicurativa
dal broker a livello di assistenza della parte debole al fine di realizzarne la
tutela effettiva come corollario del generale principio di solidarietà sociale
ragione di ciò ha negato, ad esempio, la possibilità di dar vita ad un rinnovo a condizioni di polizza diverse dalle originarie (2).
Ancora in tal senso possiamo richiamare la recente presa di posizione della Commissione Europea sulla distinzione tra rinnovi e nuovi contratti (3). La
Commissione, nel delineare un concetto unitario di nuovo contratto di assicurazione a livello europeo, tenuto conto della rilevanza delle direttive nel
Una pratica invalsa nel mercato assicurativo era quella di ammettere la proroga a
condizioni diverse del contratto. I giudici di pace sono intervenuti contro simili prassi
che risultano contrarie al dettato dell’art. 1899 a meno che la modifica delle condizioni, in particolare del premio, sia giustificata dall’applicazione della clausola bonus malus. Giud. di pace Napoli 5 febbraio 2003, in Dir. e giustizia, 2003, fasc. 15, 78.
(2) Giud. di pace Napoli 5 febbraio 2003, cit.
(3) Bruxelles 22 dicembre 2012 http://ec.europa.eu/justice/gender-equality/files/com_2011_9497_en.pdf “The Directive does not define the concept of a ‘new contract’, nor does it contain any reference to national laws as regards the meaning to
be applied to such terms. This concept should therefore be regarded, for the purposes of application of the Directive, as designating an autonomous concept of European Union law which must be interpreted uniformly throughout the Union. This uniform interpretation corresponds to the aim of the Directive in the insurance field,
which is to implement the unisex rule, after the expiry of a transitional period. The
concept of a ‘new contract’ referred to in Article 5(1) is essential for the practical
implementation of this provision. Diverging interpretations of this concept based on
national contract laws would create a risk of different transitional periods delaying
the comprehensive application of the unisex rule and also of an uneven playing field
for insurance companies.
This would undermine the objective pursued by the Directive of comprehensively
guaranteeing the equal treatment of women and men across Member States in relation
to individuals’ insurance premiums and benefits from the same date as expressed in its
Article 5(1).
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(cfr. Cass. n. 8467/1998). Nella qualificazione giuridica dell’attività del broker è stato, altresì, ritenuto significativo il disposto della l. n. 792 del 1984,
art. 4, lett. f) e g), art. 5, lett. e) ed f), e art. 8, dai quali risulta che per esercitare detta attività è necessaria l’iscrizione all’albo professionale e questa
si ottiene assicurandosi contro il rischio imprenditoriale mediante la stipula
di polizza di assicurazione della responsabilità civile per negligenza o errori professionali e l’adesione al Fondo di garanzia per risarcire gli assicurati
e le imprese di assicurazione dei danni (cfr. Cass. n. 2003, n. 6874), il che
significa che l’attività del broker è attività commerciale o che in essa è presente un rischio imprenditoriale da collegare all’aspetto mediatizio dell’at-
settore, afferma che non sono da considerarsi nuovi contratti i rinnovi, in quanto estensione temporale del precedente contratto.
In tale prospettiva si deve affermare che la delibera del Comune di Firenze copriva anche i rinnovi della polizza stipulata secondo i criteri indicati dalla società di brokeraggio.
10. The implementation of Article 5(1) requires a clear distinction between existing and new contractual agreements. The distinction must meet the need for legal certainty and be based on criteria that avoid undue interference with existing rights and
preserve the legitimate expectations of all parties. This approach is in line with the Directive’s objective of preventing a sudden readjustment of the market by restricting the
application of the unisex rule only to new contracts.
11. Accordingly, the unisex rule pursuant to Article 5(1) shall apply whenever a)
a contractual agreement requiring the expression of consent by all parties is made, including an amendment to an existing contract and b) the latest expression of consent
by a party that is necessary for the conclusion of that agreement occurs as from 21 December 2012.
12. Consequently, the following should be considered as new contractual agreements, having therefore to comply with the unisex rule:
(a) contracts concluded for the first time as from 21 December 20128. Therefore,
offers made before 21 December 2012 but accepted as from that date will need to comply
with the unisex rule;
(b) agreements between parties, concluded as from 21 December 2012, to extend
contracts concluded before that date which would otherwise have expired.
13. On the contrary, the following situations should not be considered as constituting a new contractual agreement:
(a) the automatic extension of a pre-existing contract if no notice, e.g. a cancellation notice, is given by a certain deadline as a result of the terms of that pre-existing
contract”: così Commissione Europea Bruxelles 22 dicembre 2012 http://ec.europa.eu/justice/gender-equality/files/com_2011_9497_en.pdf
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tività, ma, nel contempo, conferma che la stessa attività è connotata: da profili di intellettualità, richiedendosi in chi la esercita specifiche ed approfondite conoscenze di economia, tecnica e diritto delle assicurazioni. Ne consegue che il broker, almeno nella fase che precede la messa in contatto dell’assicurando con l’assicuratore, non è equidistante dall’uno e dall’altro, ma
agisce per iniziativa del primo e come consulente dello stesso, analizzando
i modelli contrattuali offerti sul mercato, rapportandoli alle esigenze del cliente, allo scopo di riuscire ad ottenere una copertura assicurativa il più possibile aderente a tali esigenze, in generale, mirando a collocarne i rischi nella
maniera e alle condizioni più convenienti per lui.
Con l’emissione della polizza il compito del broker non si esaurisce e egli
dovrà assistere ancora il cliente, se espressamente richiestone; in tal caso sarà tenuto a sorvegliare le scadenze dei premi, invitando l’assicurato a osservarle ad evitare la sospensione della garanzia di cui all’art. 1901 c.c. Dovrà
inoltre mettere in guardia l’assicurato, in caso di sinistri, contro l’insidia della prescrizione annuale (art. 2952 c.c. - art. 547 cod. nav.) vigente in tema di
assicurazione civile, marittima e aeronautica e aziendale e quella biennale stabilita per la riassicurazione; a richiesta dovrà inoltre collaborare a istruire le
pratiche di liquidazione sinistri, trattando con la compagnia.
In riferimento a quest’ultima precisazione con la nota delibera il Comune di Firenze deliberò di autorizzare la S.E.A. ad effettuare uno studio
sulle coperture assicurative dei rischi dell’amministrazione comunale …
senza che tale collaborazione comporti alcun onere finanziario per l’amministrazione, né impegni futuri o vincoli … Dice ancora la delibera che
qualora l’amministrazione intendesse adottare la proposta della S.E.A. …
Il Tribunale afferma che la sentenza, con cui è stata pronunciata la risoluzione della convenzione per inadempimento del Comune con riconoscimento del relativo credito risarcitorio, avrebbe coperto anche il danno
relativo ai rinnovi.
Ricorda il Tribunale che il giudicato copre il dedotto e il deducibile e
quindi anche le questioni non dedotte che si presentino come un antecedente logico necessario.
Va detto che il credito risarcitorio relativo ai rinnovi non rappresenta
un antecedente logico, ma solo un’ulteriore posta di danno collegata e
subordinata al riconoscimento (già avvenuto in sede di appello con conferma in Cassazione) di un obbligo a carico del Comune di incaricare in
esclusiva S.E.A. dell’intermediazione delle polizze stipulate in adesione
ai criteri dalla stessa società di brokeraggio indicati nel suo studio.
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di riconoscere alla stessa di farsi tramite con le compagnie di assicurazioni per la realizzazione delle soluzioni dalla medesima prospettate e fatte
proprie dall’amministrazione …
Nulla è deliberato a favore della S.E.A. per la gestione delle polizie assicurative una volta contratte con le compagnie di assicurazioni, mancando pertanto un espresso mandato in tal senso, né risulta dal tenore letterate
della delibera alcuna richiesta in tal senso.
Sbaglia parte attrice quando sostiene che nella delibera sia stabilito che
il Comune avrebbe dovuto affidare alla S.E.A. non solo l’attività di intermediazione per la stipula della polizza in questione, ma anche quella attinente al rinnovo della medesima polizza, non avvalendosi pertanto il Comune della sua attività di intermediaria per i successivi rinnovi. Detto obbligo, a parere di questo giudicante, non risulta, come innanzi precisato, in
nessun punto della delibera del Comune. Né parte attrice ha comunque fornito prova che la detta delibera conferisse mandato alla S.E.A. di assistere
il Comune anche per i rinnovi della polizza, né dalla espletata perizia effettuata nel primo grado del precedente giudizio ha di fatto dato indicazioni in merito all’obbligo del Comune di avvalersi dell’attività di intermediaria della S.E.A. per i successivi rinnovi. Neanche la sentenza della Cassazione più volta richiamata ha fornito un riferimento ad una diversa interpretazione della delibera del Comune. Anzi il riferimento fatto dalla sentenza che i danni si erano già verificati prima della sentenza del Tribunale
nel corso del giudizio di primo grado … può essere interpretata nel senso
che i danni andavano chiesti già con il primo atto di citazione o durante
l’espletata consulenza anche con autonomo giudizio e quindi prima della
dichiarazione di risoluzione del contratto per inadempimento.
La giurisprudenza di legittimità resa anche a Sezioni Unite, cui questo
giudice intende dare continuità secondo la quale: 1) l’autorità del giudicato copre non solo il dedotto ma anche il deducibile in relazione al medesimo oggetto, cioè non soltanto le ragioni giuridiche fatta valere in giudizio
(giudicato esplicito), ma anche tutte quelle altre – proponibili sia in via di
azione che di eccezione – le quali, sebbene non dedotte specificamente,
costituiscono, tuttavia, precedenti logici, essenziali e necessari della pronuncia (giudicato implicito); 2) detto principio concerne in particolare le
Si tratta quindi di una domanda ulteriore proponibile in un separato giudizio, come del resto affermato dalla Cassazione che con la sentenza
8056/2007, pronunciandosi sul caso de quo, ha negato la sua proponibilità
per la prima volta in appello.
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ragioni non dedotte che si presentino come un antecedente logico necessario rispetto alla pronuncia, nel senso che deve ritenersi precluso alle parti stesse la proposizione, in altro giudizio, di qualsivoglia domanda avente ad oggetto situazioni soggettive incompatibili con il diritto accertato; 3)
gli effetti del giudicato sostanziale si estendono conclusivamente non solo alla decisione relativa al bene della vita chiesto, ma a tutte le statuizioni inerenti all’esistenza e alla validità del rapporto dedotto in giudizio
necessarie e indispensabili onde pervenire a quella pronuncia su di esso;
e quindi anche al deducibile in relazione al medesimo oggetto, comprendente tutte le possibili questioni proponibili sia in via di azione, sia in via
di eccezione, le quali sebbene non dedotte specificamente costituiscono
tuttavia precedenti logici essenziali e necessari della pronuncia medesima (Cass. 21200/2009; 24664/2007).
Una volta pronunciata la risoluzioni del contratto, in forza dell’operatività retroattiva di essa, stabilita dall’art. 158 c.c., si verifica per ciascuno dei
contraenti ed indipendentemente dall’imputabilità dell’inadempienza, rilevante ad altri fini, una totale restitutio in integrum e, pertanto, tutti gli effetti del contratto vengono meno e con essi tutti i diritti che ne sarebbero derivati e che si considerano come mai entrati nella sfera giuridica del contraenti
stessi (Cass. 2468/2004; 7470/2001). Consegue che anche in questo giudizio, venuto meno il rapporto negoziale e con esso il titolo giustificativo della loro attribuzione, più non può discutersi dei diritti e delle obbligazioni delle parti nascenti dal contratto di cui è stata dichiarata la risoluzione (conferimenti, rendiconti, partecipazioni ecc.), né dei crediti (anche risarcitori) e
dei debiti maturati a favore e/o a carico di ciascuna di esse in conseguenza
della sua avvenuta esecuzione, né tanto meno della loro fondatezza e della
loro reale consistenza: posto che le stesse presuppongono invece un contratto
valido ed operante; e che invece, intervenuta la sua caducazione giudiziale,
la disciplina di detti diritti ed obblighi predisposta dalle parti, nonché dei corrispettivi a ciascuna di esse spettanti, oggetto esclusivo di questo giudizio, è
sostituita con quella introdotta dalla ricordata norma dell’art. 1458 c.c.
La questione del giudicato è collegata dal giudice di primo grado agli
effetti della risoluzione giudiziale della convenzione del 1987 tra il Comune di Firenze e S.E.A.
Si afferma che, stante la retroattività degli effetti risolutori ex art. 1458
c.c., “più non può discutersi dei diritti e delle obbligazioni delle parti nascenti dal contratto di cui è stata dichiarata la risoluzione”. Ne segue che
una volta pronunciata la risoluzione del contratto ogni questione relativa a
diritti, obblighi ecc. ad esso relativi risulta assorbita.
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Inoltre la domanda di parte attrice appare infondata anche sotto l’aspetto
della prova dei danni subìti, non avendo fornito parte attrice prova in tal
senso né inoltre ha fornito prova sulla quantificazione degli eventuali danni subìti, anche in considerazione che la CTU del primo giudizio non sembra aver minimamente indicato o quantificato la percentuale dei danni da
prendere come riferimento per la eventuale liquidazione degli stessi.
Infondata, infine, l’eccezione di prescrizione sollevata da parte convenuta, trattandosi nella specie di richiesta risarcimento danni da inadempienza
contrattuale, il cui termine prescrizionale è di dieci anni che all’atto della
domanda del risarcimento non sembrano essere decorsi, anche in considerazione degli intervenuti atti interruttivi (domanda di risarcimento in corso
del primo giudizio, in sede di appello, ecc.).
Alla stregua di quanto innanzi precisato, si ritiene equo compensare integralmente le spese e competenze della causa stante la parziale soccombenza di parte convenuta. (Omissis).
Al riguardo si può però osservare che la domanda attorea non era volta
ad ottenere la condanna al pagamento delle provvigioni, e quindi volta a ottenere l’adempimento del contratto risolto, ma ad ottenere la condanna all’ulteriore credito risarcitorio per inadempimento contrattuale relativo al mancato riconoscimento dell’intermediazione di S.E.A. anche per i rinnovi.
S.E.A. non agisce per l’adempimento delle obbligazioni nascenti dal
contratto di cui è stata dichiarata la risoluzione, ma per il risarcimento del
danno da inadempimento contrattuale da determinarsi secondo i contenuti
del contratto stesso.
SARA LANDINI
Professore associato di Diritto privato
Università degli Studi di Firenze
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Dalla Corte di Cassazione
A CURA DI
MARCO ROSSETTI
Consigliere della Corte Suprema di Cassazione
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
(Sez. III) – 31 gennaio 2014, n. 2186 – Pres. Petti, Est. Cirillo, P.M. Basile (diff.) – T. ed altro (avv. Amerini ed altri) c. Fondiaria SAI Assicurazioni S.p.A. ed altri (n.c.).
(Sentenza impugnata: App. Firenze 12 gennaio 2007)
Ass. obbligatoria autoveicoli – Circolazione stradale – Incidente – Responsabilità civile – Massimale – Direttiva n. 84/5/CEE del Consiglio – Adeguamento da parte dello Stato italiano – Tempistica –
Inosservanza – Conseguenza.
In materia di assicurazione della responsabilità civile da circolazione
stradale, l’obbligo per lo Stato italiano, previsto dall’art. 1, comma 2, della direttiva n. 84/5/CEE, di innalzare il massimale di assicurazione fino alla soglia ivi indicata entro il 31 dicembre 1987, era suscettibile di differimento al 31 dicembre 1990 solo se, entro l’originaria scadenza, fosse comunque intervenuto un aumento in misura pari alla metà della differenza
tra l’importo “a regime” e quello in vigore alla data del 1° gennaio 1984.
Ne consegue che, in assenza di un tempestivo intervento normativo di “adeguamento intermedio” (avendo lo Stato italiano conformato la propria normativa solo con il d.P.R. 9 febbraio 1990, con efficacia dal successivo 1°
luglio), vanno direttamente applicati, anche nei confronti del Fondo di ga-
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ranzia per le vittime della strada, i valori previsti dalla citata direttiva a
far data dal 1° gennaio 1988 (1).
La Corte ecc. (Omissis). FATTO. – 1. In data 8 maggio 1990 P.G. rimaneva vittima di un incidente stradale. Citava quindi a giudizio, davanti al
Tribunale di Grosseto, B.P., conducente del mezzo antagonista, e la S.p.A.
Tirrena Assicurazioni, chiedendo il risarcimento dei relativi danni.
Il Tribunale dichiarava la responsabilità esclusiva del B. e condannava
gli eredi del medesimo – T.L. e B.A. – unitamente alla soc. Tirrena Assicurazioni, frattanto posta in liquidazione coatta amministrativa, al risarcimento
dei danni in favore del P.; condannava altresì la soc. Tirrena al pagamento in
favore dell’INPS, a titolo di surroga, della somma di euro 84.002,30.
2. Contro la sentenza del Tribunale proponeva appello principale la Fondiaria SAI S.p.A., quale impresa designata per la Toscana del FGVS, nonché appello incidentale la soc. Tirrena Assicurazioni e T.L., quest’ultima
sollecitando una sentenza di condanna che riconoscesse a carico dell’impresa designata l’innalzamento del massimale in favore del danneggiato.
La Corte d’Appello di Firenze, con sentenza del 12 gennaio 2007, in
parziale accoglimento dell’appello della società Fondiaria, rigettava per incapienza la domanda di surroga proposta dall’INPS e, in parziale accoglimento dell’appello incidentale della T., determinava in lire 277.500.000 il
massimale minimo applicabile alla fattispecie, condannando la soc. Fondiaria al pagamento, in favore del P., dell’ulteriore somma di lire 77.500.000,
oltre rivalutazione e interessi, compensando le spese del grado.
3. Contro la sentenza della Corte d’Appello di Firenze propongono ricorso principale T.L. e B.A., con unico atto affidato a due motivi.
(1) Si tratta di una importante decisione, che “interpreta autenticamente” – per così dire – l’art. 1 della Direttiva 5/84 (per quanto costi amarezza il constatare che ancora esistano liti pendenti concernenti fatti avvenuti quasi trent’anni fa). L’effetto pratico della decisione è che le vittime di sinistri stradali avvenuti dopo il 1° gennaio 1988,
e prima del successivo adeguamento del massimale minimo, possono legittimamente
invocare il massimale di 350.000 ECU per persona, previsto dall’art. 1, comma 2, primo trattino, della citata direttiva (pari a circa 508.753.000 lire del 1989).
Tale massimale si applicherà ai sinistri avvenuti tra il 1° gennaio 1988 ed il 1° luglio 1990, data dalla quale è entrato in vigore l’adeguamento di cui al d.P.R. 9 febbraio
1990 (in G.U. 19 giugno 1990, n. 141), il quale elevò il massimale minimo a lire
700.000.000 per ogni persona danneggiata.
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Giurisprudenza
Resistono con separati controricorsi P.G. e la Fondiaria SAI S.p.A., quest’ultima con atto contenente ricorso incidentale affidato ad un motivo.
Le ricorrenti principali resistono con controricorso al ricorso incidentale ed hanno presentato memoria.
L’INPS non ha svolto attività difensiva in questa sede.
DIRITTO. – 1. Preliminarmente occorre procedere alla riunione dei ricorsi,
ai sensi dell’art. 335 c.p.c., siccome proposti contro la medesima sentenza.
2. Sempre in via preliminare è necessario esaminare l’eccezione, proposta nel controricorso del P. ed alla quale si sono associate anche le ricorrenti
principali, secondo cui il ricorso incidentale della Fondiaria sarebbe inammissibile per irregolarità della procura speciale. Si sostiene, in proposito, che
la procura difetterebbe del requisito della specialità e di ogni riferimento alla sentenza della Corte d’Appello di Firenze che si va ad impugnare.
2.1. Tale eccezione non è fondata.
Costituisce giurisprudenza ormai pacifica di questa Corte – alla quale
si intende dare continuità in sede odierna – il principio per cui il mandato
apposto in calce o a margine del ricorso per cassazione è per sua natura mandato speciale, senza che occorra per la sua validità alcuno specifico riferimento al giudizio in corso ed alla sentenza contro la quale l’impugnazione
si rivolge. La specialità del mandato, infatti, è con certezza deducibile quando dal relativo testo sia dato evincere una positiva volontà del conferente
di adire il giudice di legittimità; il che accade nell’ipotesi in cui la procura
al difensore forma materialmente corpo con il ricorso o il controricorso al
quale essa inerisce, risultando, in tal caso, irrilevante l’uso di formule normalmente adottate per il giudizio di merito e per il conferimento al difensore di poteri per tutti i gradi del procedimento (sentenze 31 marzo 2007,
n. 8060; 9 maggio 2007, n. 10539; 3 luglio 2009, n. 15692; 13 dicembre
2010, n. 25137).
Nel caso in esame, la procura conferita a margine del ricorso della Fondiaria SAI, pur contenendo il riferimento ad attività processuali connesse
con un giudizio di merito, forma un tutt’uno con il ricorso per cassazione,
nel quale c’è un espresso riferimento alla sentenza n. 41 del 2007 della Corte d’Appello di Firenze che si va ad impugnare; il che esclude la sussistenza del vizio lamentato.
3. Respinta tale eccezione preliminare, occorre procedere, in ordine logico, all’esame del ricorso incidentale della Fondiaria SAI, la quale lamenta,
ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), violazione dell’art. 112 c.p.c.,
con conseguente nullità della sentenza.
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Osserva la società di assicurazione che i giudici di appello avrebbero
del tutto omesso di pronunciarsi sull’eccezione – ritualmente formulata fin
dall’atto di gravame – secondo cui la T. e la B. non erano legittimate a impugnare la sentenza di primo grado per chiedere l’innalzamento del massimale in favore del danneggiato. Ciò perché, essendo l’obbligazione del
FGVS risarcitoria e non indennitaria, unico soggetto legittimato a convenire in causa il Fondo – e, per esso, l’impresa designata – sarebbe il danneggiato e non anche il soggetto danneggiante assicurato. E, nel caso specifico, il P. aveva già ricevuto dal FGVS il massimale di assicurazione, dando atto che ogni ulteriore pretesa poteva essere rivolta soltanto contro gli
eredi del danneggiante.
Su tale eccezione di difetto di legittimazione attiva, ribadita anche in
comparsa conclusionale, la Corte d’Appello non si sarebbe pronunciata, incorrendo nel lamentato vizio di omissione.
3.1. Tale motivo è infondato.
Si rileva, innanzitutto, che le modalità di formulazione del medesimo
sono ai limiti dell’inammissibilità, poiché la soc. Fondiaria dichiara (p. 4
del controricorso) di avere “tempestivamente eccepito la carenza di legittimazione attiva della signora T.”, senza specificare dove e come tale contestazione sarebbe avvenuta; di tale incertezza costituisce riflesso anche il
quesito di diritto formulato alla p. 8 del controricorso, evidentemente alquanto generico.
Tuttavia, anche volendo trascurare simili dati formali dell’atto, assume
rilievo decisivo che il profilo del presunto difetto di legittimazione attiva
delle odierne ricorrenti principali è stato posto soltanto in sede di comparsa conclusionale in appello, come la stessa parte implicitamente finisce col
riconoscere alla pag. 5 del proprio scritto difensivo, nel quale si riporta uno
stralcio di quella comparsa, senza alcun riferimento ad atti precedenti (analogamente, alla p. 7 del controricorso si richiama l’eccezione “ritualmente
proposta”, senza specificare dove tale “rituale” proposizione avrebbe avuto luogo, se non nella comparsa conclusionale).
Trattandosi di questione posta tardivamente, non sussiste la lamentata
omissione di pronuncia.
4. Si deve, a questo punto, procedere all’esame del ricorso principale.
5. Col primo motivo di tale ricorso si lamenta, ai sensi dell’art. 360
c.p.c., comma 1, n. 3), violazione degli artt. 12 e 14 preleggi, degli artt. 1 e
5, della direttiva 84/5/CEE del 30 dicembre 1983, della l. 24 dicembre 1969,
n. 990, artt. 19 e 21, e dei principî di diretta applicazione delle norme comunitarie da parte del giudice nazionale.
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Giurisprudenza
Rileva la ricorrente che, in base alla citata direttiva, lo Stato italiano era
tenuto ad innalzare il massimale minimo di assicurazione fino alla somma
di 350.000 ECU (pari a lire 630 milioni) per ciascuna vittima. All’adeguamento della normativa interna lo Stato era obbligato entro il 31 dicembre
1987, con applicazione delle nuove norme entro il 31 dicembre 1988. Tali
scansioni temporali erano da ritenere vincolanti ed inderogabili; tuttavia lo
stesso art. 5 della direttiva consentiva di aumentare gli importi fino alla data del 31 dicembre 1990, a condizione, però, che nel termine del 31 dicembre 1987 fossero state aumentate le garanzie di almeno la metà della differenza tra gli importi in vigore al 1° gennaio 1984 (75 milioni) e gli importi di cui all’art. 1, par. 2 (cioè lire 630 milioni). La normativa comunitaria,
pertanto, consentiva lo slittamento al 31 dicembre 1990 solo a condizione
che si fosse rispettata la prima scadenza (31 dicembre 1987) per l’innalzamento del minimo intermedio.
Non avendo lo Stato italiano compiuto il dovuto adeguamento entro
il 31 dicembre 1987, non poteva fruire dell’ulteriore rinvio fino al 31 dicembre 1990; ne consegue – secondo le ricorrenti – che, non potendo operare la proroga suddetta, la normativa europea doveva essere immediatamente applicata, con conseguente individuazione del massimale minimo
in lire 630 milioni e non in quello di lire 277.500.000 applicato dalla Corte d’Appello.
5.1. Il motivo è fondato.
Preliminarmente occorre confermare la giurisprudenza di questa Corte su
due aspetti rilevanti: 1) il danno risarcibile dal FGVS ai sensi della l. n. 990
del 1969, art. 21, comma 3 – norma applicabile alla fattispecie ratione temporis – va individuato con riferimento all’epoca del sinistro ed al provvedimento allora vigente, e non con riferimento alla data del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa o a quella della decisione (sentenze 1° agosto 2001, n. 10490, e 10 marzo 2006, n. 5233); 2) il FGVS va ricondotto tra
quegli organismi o enti nei cui confronti può essere invocata l’applicazione
diretta di una direttiva comunitaria rispetto alla quale lo Stato sia inadempiente, pur trattandosi di un effetto c.d. orizzontale, ossia riguardante rapporti tra privati; ciò in quanto detto ente è stato incaricato, con atto della pubblica autorità, di prestare, sotto il controllo di quest’ultima, un servizio di interesse pubblico, ossia l’interesse sociale a non lasciare prive di risarcimento le
vittime della strada. Ne consegue che, nei rapporti tra il FGVS e i privati, il
giudice nazionale è tenuto ad applicare una direttiva non attuata, eventualmente disapplicando le contrastanti norme interne (sentenza 23 gennaio 2002,
n. 752, confermata dalla successiva sentenza 5 dicembre 2003, n. 18642).
5.2. Tanto premesso, per una piena comprensione della vicenda in esame, occorre ricordare alcuni fondamentali passaggi normativi.
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Secondo la l. n. 990 del 1969, art. 21, comma 3, in caso di liquidazione
coatta amministrativa dell’impresa assicuratrice del danneggiante, il danno è
risarcito entro i limiti indicati nella tab. A allegata alla legge; ciò in considerazione della natura risarcitoria e non indennitaria di tale obbligazione.
Com’è noto, l’art. 1, comma 2, della direttiva n. 84/5 CEE del Consiglio (del 30 dicembre 1983), richiamata dalle ricorrenti principali, ha imposto l’innalzamento del massimale, in caso di una sola vittima, fino alla
soglia minima di 350.000 ECU (pari a lire 630 milioni, calcolando lire 1.800
per un ECU, v. sentenza n. 18642 del 2003, cit.).
Il successivo art. 5, comma 1, della direttiva così dispone:
“Gli Stati membri modificano le loro disposizioni nazionali per conformarsi alla presente direttiva entro il 31 dicembre 1987. Essi ne informano immediatamente la Commissione”.
L’art. 5, comma 2, stabilisce che le disposizioni così modificate trovino applicazione “entro il 31 dicembre 1988”.
L’art. 5, comma 3, della direttiva così dispone:
“In deroga al paragrafo 2,
b) Gli altri Stati membri dispongono di un termine fino al 31 dicembre
1990 per aumentare gli importi di garanzia sino agli importi previsti dall’art. 1, paragrafo 2. Gli Stati membri che si avvalgono di questa facoltà devono, entro il termine di cui al paragrafo 1, aumentare le garanzie di almeno la metà della differenza tra gli importi di garanzia in vigore al 1° gennaio 1984 e gli importi prescritti all’art. 1, paragrafo 2”.
Ora, lo Stato italiano ha provveduto ad una completa attuazione di tale
direttiva soltanto con il d.P.R. 9 febbraio 1990, entrato in vigore a partire
dal 1° luglio 1990, cioè in una data successiva rispetto a quella del sinistro
per cui è causa; sicché tale decreto non è applicabile al caso in esame. In tale provvedimento il massimale per ogni persona danneggiata è stato innalzato a lire 700 milioni, andando perciò oltre la soglia minima imposta dalla direttiva.
Prima di tale provvedimento, però, il massimale risarcitorio per ogni
persona danneggiata era pari a lire 75 milioni alla data del 1° gennaio 1984
(in base al d.P.R. 22 luglio 1983, n. 357), innalzato a lire 100 milioni (col
d.P.R. 4 agosto 1984, n. 517) e poi a lire 200 milioni (col d.P.R. 9 aprile
1986, n. 124); soglia, quest’ultima, vigente alla data del 31 dicembre 1987.
5.3. Il punto sul quale questa Corte è chiamata a pronunciarsi è costituito dalla necessità di stabilire quale fosse il massimale minimo di assicurazione da porre a carico del FGVS, e quindi della società designata, in relazione all’incidente per cui è causa, avvenuto in una data antecedente a
quella di entrata in vigore del d.P.R. 9 febbraio 1990, ma comunque ampiamente successiva a quella di entrata in vigore della direttiva citata, che
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pone a carico degli Stati membri un obbligo di adeguamento. In particolare occorre stabilire, dal testo complessivo dell’art. 5 della direttiva, come
vadano interpretate le due date di scadenza fissate nei commi 1 e 3, (31 dicembre 1987 e 31 dicembre 1990) e quali conseguenze debbano trarsi in
considerazione del fatto che l’adempimento dello Stato italiano è avvenuto entro il 31 dicembre 1990, ma senza rispettare la data del 31 dicembre
1987 per il c.d. adeguamento intermedio.
Bisogna decidere, in altre parole, se lo slittamento dell’adeguamento fino al 31 dicembre 1990 potesse avvenire indipendentemente dal rispetto del
termine intermedio, oppure no.
A tale quesito la Corte d’Appello ha dato, in sostanza, risposta positiva. Essa ha interpretato le norme nel senso di una concessione agli Stati
membri di un duplice termine, quello del 31 dicembre 1987 per il parziale adeguamento e quello del 31 dicembre 1990 per il pieno adeguamento.
Ciò premesso – e dando per pacifico che lo Stato italiano non avesse rispettato il primo termine – la Corte territoriale ha ritenuto che i due termini fossero tra loro svincolati, di talché il rispetto del primo non era condizione per lo slittamento del secondo, ma costituiva solo una anticipazione di parte degli effetti definitivi. Per cui è pervenuta alla conclusione
che l’applicazione diretta della norma comunitaria imponesse di fissare il
massimale per il sinistro in questione nella somma di lire 277.500.000, pari alla metà della differenza tra lire 630 milioni (massimale imposto dalla
direttiva entro il 31 dicembre 1990) e lire 75 milioni (massimale vigente
al 1° gennaio 1984).
La Corte fiorentina, in sostanza, ha calcolato il massimale secondo il
criterio di cui all’art. 5, comma 3, lett. b) , della direttiva pur non essendo
intervenuto il necessario adeguamento, da parte dell’Italia, entro il 31 dicembre 1987.
6. Tale interpretazione non è condivisa da questa Corte regolatrice.
6.1. Ed invero, l’attenta lettura della normativa comunitaria – da compiere alla luce del criterio fondamentale per cui le parole della legge hanno
una loro intrinseca coerenza e non dicono nulla di più e nulla di meno di ciò
che è necessario – dimostra che l’art. 5 è costruito secondo una precisa scansione temporale.
Il comma 1 – come si è detto – impone l’obbligo per gli Stati membri
di conformarsi alla direttiva entro il 31 dicembre 1987, con modifiche da
applicare entro il 31 dicembre 1988 (comma 2). Gli Stati membri, tuttavia,
hanno la facoltà [comma 3, lett. b)] di aumentare gli importi di garanzia fino alla soglia prevista (630 milioni) entro il 31 dicembre 1990, ma in tal caso devono aumentare le garanzie, entro il 31 dicembre 1987, della metà del-
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la differenza tra gli importi fissati al 1° gennaio 1984 e gli importi fissati
dall’art. 1, comma 2.
È evidente – proprio in ossequio al principio per cui la legge non parla
invano – che il rispetto dell’innalzamento del massimale fino alla soglia intermedia suddetta costituisce una condizione per poter fruire dello slittamento al 31 dicembre 1990. Se così non fosse, il termine del 31 dicembre
1987 risulterebbe inutiliter datum, il che non può essere. E, d’altra parte, la
norma comunitaria si preoccupa di usare due verbi diversi: obbligo di conformarsi nel paragrafo 1, e obbligo di aumentare nel paragrafo 3; è evidente, dunque, che l’obbligo di adeguamento doveva comunque essere rispettato entro la prima data. Soltanto in caso di rispetto del termine del 31 dicembre 1987 agli Stati membri è stata consentita una diluizione degli effetti
nel tempo: un primo aumento e poi quello completo e definitivo. Il tutto per
comprensibili ragioni di carattere economico alle quali il legislatore comunitario ha dimostrato di non essere insensibile.
In base a quanto detto fin qui, un elemento è certo, e cioè che lo Stato
italiano era inadempiente già alla data del 31 dicembre 1987; poiché il massimale alla data del 1° gennaio 1984 era fissato in lire 75 milioni, mentre
alla data del 31 dicembre 1987 era fissato in lire 200 milioni, l’aumento intermedio era stato pari a lire 125 milioni, ossia inferiore a quello imposto
dall’art. 5, comma 3, lett. b), che doveva essere pari ad almeno lire 211.500.000
(ossia la metà della differenza tra lire 630 milioni e lire 75 milioni).
6.2. Deve pertanto affermarsi che l’inadempimento dello Stato italiano
all’obbligo di conformazione entro la data del 31 dicembre 1987 non è stato retroattivamente sanato dal rispetto del successivo termine del 31 dicembre 1990, perché la possibilità di fruire dello slittamento era subordinata ad una condizione che non sussisteva alla data del 31 dicembre 1987.
Ne consegue che il mancato rispetto del termine intermedio di adeguamento
determina l’immediata applicazione dei massimali di cui all’art. 1, paragrafo 2, della direttiva in questione (norma suscettibile di applicazione diretta); nel caso in esame, in presenza di una sola vittima, il massimale è di
lire 630 milioni. Il sinistro, come si è detto, si colloca in una data – appunto l’8 maggio 1990 – nella quale era ormai certo il mancato rispetto del termine del 31 dicembre 1987 e, d’altra parte, non erano ancora applicabili i
massimali di cui al d.P.R. 9 febbraio 1990, in quanto destinati ad entrare in
vigore il 1° luglio 1990.
7. L’odierna decisione non è in contrasto con i già citati precedenti di
questa Corte, quanto invece in linea di continuità con i medesimi.
Non è in contrasto con la sentenza n. 10490 del 2001, la quale ha osservato che la direttiva in esame non poteva applicarsi ad un sinistro avve-
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Giurisprudenza
nuto nel 1984, poiché a quella data lo Stato italiano non era ancora da considerare inadempiente (analogamente, v. la sentenza 3 agosto 2005, n. 16238,
per un sinistro del 1986).
Nemmeno è in contrasto, però, con la sentenza n. 18642 del 2003, che
costituisce il precedente più prossimo al caso in esame e che è stata più volte invocata a sostegno dell’impugnata sentenza.
Nella pronuncia ora richiamata, infatti, la Corte era stata sollecitata dal
ricorso del FGVS a verificare se il risarcimento – liquidato in lire 220 milioni – fosse o meno superiore rispetto al massimale consentito; e la sentenza si è limitata a riconoscere che la suddetta liquidazione, non avendo
superato la metà della differenza tra l’importo in vigore al 1° gennaio 1984
(lire 75 milioni) e l’importo minimo imposto dalla direttiva in esame (lire
630 milioni), non era illegittima. Ma di certo essa non ha affrontato ex professo la questione odierna, cioè non ha stabilito quale massimale minimo
fosse da applicare in relazione ad un sinistro verificatosi in una data nella
quale era ormai certo che lo Stato italiano non avesse rispettato il termine
del 31 dicembre 1987 per l’adeguamento della normativa interna.
8. L’accoglimento del primo motivo di ricorso comporta l’assorbimento del secondo, col quale si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1,
n. 3), la violazione delle medesime disposizioni già indicate a proposito del
primo motivo, ma sotto un diverso profilo, pervenendo ad una determinazione del massimale in misura comunque inferiore a quella che questa Corte ha ritenuto corretta a seguito dell’accoglimento del primo motivo.
9. In conclusione, va accolto il primo motivo di ricorso, con assorbimento del secondo, mentre va respinto il ricorso incidentale.
La sentenza impugnata è cassata ed il giudizio rinviato alla Corte d’Appello di Firenze, in diversa composizione personale, la quale deciderà attenendosi al seguente principio di diritto:
“L’art. 1, comma 2, della direttiva n. 84/5 CEE del Consiglio, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di
assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione degli
autoveicoli, impone ai medesimi di innalzare il massimale di assicurazione
fino alle soglie minime ivi indicate. Il successivo art. 5, comma 1, dispone
l’obbligo di conformazione per gli Stati membri entro il 31 dicembre 1987,
ovvero [comma 3, lett. b)] entro la data del 31 dicembre 1990 ma solo a
condizione, in tale ultima ipotesi, che entro il 31 dicembre 1987 fossero state aumentate le garanzie di almeno la metà della differenza tra gli importi
in vigore alla data del 1° gennaio 1984 e gli importi di cui all’art. 1, comma 2. Pertanto, avendo lo Stato italiano adeguato la propria normativa sol-
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tanto col d.P.R. 9 febbraio 1990, entrato in vigore il 1° luglio 1990, senza
rispettare l’obbligo di adeguamento intermedio di cui all’art. 5, comma 3,
lett. b), della direttiva stessa, esso deve considerarsi inadempiente a decorrere dal 31 dicembre 1987; ne consegue che, per i sinistri verificatisi fino
al 30 giugno 1990, il massimale minimo di assicurazione, applicabile anche nei confronti del Fondo di garanzia per le vittime della strada, si deve
individuare applicando direttamente i valori di cui all’art. 1, comma 2, della direttiva n. 84/5 CEE (nella specie, in presenza di una sola vittima, il massimale è pari a lire 630 milioni)”.
Il giudice di rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese del
presente giudizio di cassazione. (Omissis).
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CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
(Sez. III) – 6 marzo 2014, n. 5243 – Pres. Petti, Est. Barreca, P.M. Patrone
(parz. diff.) – P. ed altro (avv. Attanzio ed altro) c. Nuova Tirrena Assicurazioni S.p.A. ed altro (avv. Grandinetti).
(Sentenza impugnata: App. Palermo 3 giugno 2009)
Risarcimento del danno – Danno morale – Liquidazione cosiddetta tabellare – Legittimità – Criteri.
Risarcimento del danno – Danno biologico – Tabelle elaborate dal Tribunale di Milano – Omnicomprensività di tutte le componenti –
Mancata applicazione – Non conoscibilità della provenienza della
tabella applicata né del suo criterio costruttivo – Incongruità della
motivazione.
In tema di risarcimento del danno alla salute, la necessaria liquidazione unitaria del danno biologico e del danno morale può correttamente
effettuarsi mediante l’adozione di tabelle che includano nel punto base la
componente prettamente soggettiva data dalla sofferenza morale conseguente alla lesione, operando perciò non sulla percentuale di invalidità,
bensì con aumento equitativo della corrispondente quantificazione, nel senso di dare per presunta, secondo l’id quod plerumque accidit, quanto meno per le invalidità superiori al dieci per cento, l’esistenza di un tale tipo
di pregiudizio, pur se non accertabile per via medico-legale, salvo prova
contraria, a sua volta anche presuntiva (1).
In tema di risarcimento del danno, poiché le tabelle del Tribunale di
Milano per la liquidazione del danno non patrimoniale da lesione all’inte-
(1–2) La sentenza prova a “mettere ordine” in una questione divenuta oggettivamente complicata, e fonte di non pochi dissidi in seno alla stessa Corte di legittimità: e
cioè cosa sia e come debba essere liquidato il c.d. “danno morale”.
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Dalla Corte di Cassazione
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grità psico-fisica, elaborate successivamente alle pronunzie delle Sezioni
Unite del 2008, determinano il valore finale del punto utile al calcolo del
danno biologico da invalidità permanente tenendo conto di tutte le componenti non patrimoniali (compresa quella in precedenza qualificata “danno morale” e liquidata separatamente), è incongrua la motivazione della
sentenza che liquidi il danno alla salute con l’impiego di tabelle diverse da
quelle di Milano, senza renderne nota la provenienza e la cui elaborazione non consideri tutte le componenti non patrimoniali di questa tipologia
di danno, tra le quali il danno morale (2).
La Corte ecc. (Omissis). FATTO. – 1. Con la decisione ora impugnata,
pubblicata il 3 giugno 2009, la Corte d’Appello di Palermo ha accolto parzialmente l’appello proposto dalla società Nuova Tirrena S.p.A. nei confronti di P.B., nonché di P.V. ed M.E., questi ultimi in proprio e nella qualità di genitori esercenti la potestà sui figli P.D. e G., avverso la sentenza
del Tribunale di Termini Imerese - Sezione distaccata di Cefalù del 13/14
novembre 2008.
Con questa sentenza il Tribunale, ritenuta la responsabilità esclusiva del
convenuto Cu.Eu., assicurato per la r.c.a. con la Nuova Tirrena S.p.A., per l’incidente stradale occorso al minore P.B. mentre era alla guida del proprio motociclo, aveva condannato i convenuti, in solido, a corrispondere a P. B. la re-
Fino al novembre 2008, tale pregiudizio era tralatiziamente (e sbrigativamente) definito come “sofferenza psichica transeunte” causata dal fatto illecito costituente reato;
e nel caso di lesioni personali veniva immancabilmente ed automaticamente liquidato
in misura variabile da un quarto alla metà dell’importo liquidato a titolo di risarcimento del danno biologico.
Con la sentenza 26 novembre 2008, n. 26972 (in questa Rivista, 2008, II, 2, 439),
le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nel comporre vari contrasti concernenti la
nozione, l’accertamento e la liquidazione del danno non patrimoniale, negarono che potesse predicarsi l’esistenza di una categoria autonoma di danno “morale”, basata unicamente sulla sua pretesa natura transitoria, e conclusero che le sofferenze patrimoniali altro non sono che una delle possibili forme di manifestazione dell’unitaria categoria di danno non patrimoniale. Il corollario di tale affermazione fu che “determina quindi duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale nei suindicati termini inteso, sovente liquidato in percentuale (da un terzo
alla metà) del primo. Esclusa la praticabilità di tale operazione, dovrà il giudice, qualora si avvalga delle note tabelle, procedere ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza” (così Cass. 26972/08, cit., § 4.9 dei “Motivi della decisione”).
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sidua somma di euro 95.305,23 (euro 145.305,23 – euro 50.000,00, già corrisposti a titolo di provvisionale), oltre interessi e rivalutazione monetaria, nonché al pagamento della somma di euro 26.000,00 in favore di P.V. ed M.E. e
della somma di euro 10.000,00 ciascuno in favore di P.D. e G., oltre interessi e
rivalutazione monetaria, con condanna dei convenuti anche alle spese di lite.
2. Proposto appello da parte della società assicuratrice e costituiti in appello gli originari attori, nella contumacia del Cu., la Corte d’Appello ha,
in parziale riforma della sentenza di primo grado, rideterminato la misura
del danno da invalidità permanente in capo a P.B., riducendola dal 24% ritenuta dal Tribunale al 18% ed ha rideterminato la liquidazione del danno
corrispondente nella somma di euro 42.786,47 in valori attuali, cui ha aggiunto la somma già liquidata per l’inabilità temporanea, ottenendo l’importo di euro 45.520,37; in considerazione delle componenti non patrimoniali del danno biologico, è pervenuta alla liquidazione di euro 55.520,37,
in valori attuali, cui ha aggiunto l’importo di euro 1.412,55 per spese mediche già sostenute, liquidando perciò in favore di P.B. la somma complessiva di euro 56.932,92, al pagamento della quale ha condannato il Cu.
e la società Nuova Tirrena, detratti gli acconti già corrisposti da quest’ultima. Ha escluso il riconoscimento dell’importo di euro 7.000,00 effettuato
dal Tribunale, a titolo di spese mediche future, nei confronti di P.B., ed ha
Tale decisione diede vita ad un vasto dibattito e a diverse letture: da alcuni infatti si
sostenne che, con essa, la Corte di Cassazione intese escludere la concepibilità stessa
d’una autonoma figura di danno definibile “danno morale”, e che comunque tale danno
sarebbe inconcepibile al cospetto d’una lesione della salute, il cui risarcimento è necessariamente omnicomprensivo e ristoratore di tutte le conseguenze dannose da essa derivate. Da altri, all’opposto, si continuò ad affermare che il danno morale costituisce una
categoria di danno autonoma “ontologicamente” diversa da quello biologico, come tale
sempre liquidabile in aggiunta al risarcimento di quest’ultimo pregiudizio (per una resumé del problema sia consentito il rinvio a ROSSETTI, La mossa del cavallo, ovvero uscirà
mai la Corte dal pasticcio del danno non patrimoniale?, in Giust. civ., 2012, I, 2385).
Tale problema si acuì per effetto di due circostanze indipendenti: da un lato, l’affermazione secondo cui il danno alla salute, in mancanza di previsioni normative, va
liquidato in base alle tabelle uniformi predisposte dal Tribunale di Milano (Cass. civ.,
Sez. III, 7 giugno 2011, n. 12408, in Danno e resp., 2011, 939); e dall’altro la decisione del Tribunale di Milano di modificare le tabelle utilizzate sino al 2008, conglobando nel valore monetario del punto di invalidità l’importo (25%) che in precedenza veniva liquidate a parte a titolo di danno morale.
Per effetto di tali due avvenimenti si creò il seguente paradosso: da un lato, il Tribunale di Milano aveva perpetuato quell’“automatismo risarcitorio” che le Sezioni Unite
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altresì escluso la sussistenza di qualsivoglia danno c.d. riflesso risarcibile
in favore dei congiunti di quest’ultimo, riformando su entrambi i punti la
sentenza di primo grado, in particolare rigettando le domande di P.V. e M.E.
in proprio e quali genitori esercenti la potestà sui figli minori P.D. e G. Ha
compensato per metà le spese del primo grado ed ha condannato gli appellati al pagamento delle spese del secondo grado.
3. Avverso la sentenza P.B., nonché P.V. e M.E., questi ultimi in proprio e quali genitori esercenti la potestà sui figli minori P.D. e G., propongono ricorso affidato a quattro motivi, illustrati da memoria.
La Groupama Assicurazioni S.p.A., già Nuova Tirrena S.p.A., si difende con controricorso.
L’altro intimato non si difende.
DIRITTO. – 1. Il ricorso è soggetto, quanto alla formulazione dei motivi,
al regime dell’art. 366 bis c.p.c. (inserito dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40,
art. 6, ed abrogato dalla l. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, comma 1, lett. d),
applicabile in considerazione della data di pubblicazione della sentenza impugnata (3 giugno 2009).
Col primo motivo di ricorso si deduce “violazione e falsa applicazione
dell’art. 116 c.p.c. Motivazione insufficiente e contraddittoria – illogicità
manifesta”, al fine di censurare il rigetto, da parte della Corte d’Appello,
della richiesta di rinnovazione della CTU e di denunciare il relativo vizio
di motivazione della sentenza, nonché il vizio di motivazione concernente
la quantificazione del danno da invalidità permanente nella misura del 18%
ed il mancato riconoscimento delle spese mediche future per l’importo, riconosciuto, invece, dal Tribunale, di euro 7.000,00, per intervento di chirurgia estetica al volto.
avevano inteso bollare come inaccettabile. Dall’altro, la Corte aveva indicato proprio nel
criterio milanese quello più corretto per la liquidazione del danno.
La sentenza qui in rassegna prova ora a mettere un po’ d’ordine, fissando i seguenti
princìpi:
(a) la sofferenza morale, intesa quale paura, angoscia, ansia, et similia, non è necessariamente ricompresa nella liquidazione del danno biologico;
(b) nondimeno, costituisce nozione di fatto rientrante nella comune esperienza quella secondo cui chi patisca una lesione personale provi paura, angoscia ed ansia;
(c) ergo, è legittimo che il criterio uniforme predisposto per la liquidazione del danno alla salute determini il valore monetario del singolo punto di invalidità in modo da
tenere conto anche di questo tipo di conseguenze, “quanto meno per le invalidità superiori al dieci per cento”.
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1.2. Col secondo motivo di ricorso si deduce “violazione e falsa applicazione dell’art. 2059 c.c., e art. 115 c.p.c. Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia”, al fine di
censurare la liquidazione del danno non patrimoniale in favore di P.B., effettuata dalla Corte d’Appello in dichiarata applicazione della sentenza a
S.U. n. 26972 dell’11 novembre 2008.
1.3. Col terzo motivo di ricorso si deduce “violazione e falsa applicazione dell’art. 2059 c.c., e art. 115 c.p.c. Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa il mancato riconoscimento dei danni riflessi in
favor dei congiunti del danneggiato”, al fine di censurare tale mancato riconoscimento nei confronti dei genitori e dei fratelli minori di P.B.
2. Quanto ai dedotti vizi di violazione di legge, l’illustrazione di tutti e
tre i motivi manca del tutto dei quesiti di diritto richiesti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 bis, parte prima, c.p.c., nei casi previsti dall’art.
360, comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4).
Pertanto, tutti e tre i motivi sono inammissibili per la parte in cui si riferiscono ai vizi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
2.1. Analogamente si deve concludere con riferimento alla denuncia dei
vizi di motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, così come formulata
col primo e col terzo motivo.
Infatti, malgrado entrambi questi motivi facciano espresso riferimento
alla norma da ultimo citata ed al vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio,
nessuno dei due contiene il momento di sintesi richiesto dall’art. 366 bis
c.p.c., seconda parte, così come interpretato dalla giurisprudenza di questa
Corte, che qui si ribadisce (cfr. Cass. S.U. n. 20603/07, secondo cui, in tema di formulazione dei motivi del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti pubblicati dopo l’entrata in vigore del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40,
ed impugnati per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, poiché secondo l’art. 366 bis c.p.c., introdotto dalla riforma, nel caso previsto
La decisione dunque “sana” l’apparente contrasto tra Cass., Sez. Un., 26972/08,
cit., che vietò qualsiasi automatismo risarcitorio nella stima del danno alla persona; e
Cass. 12408/11, cit., che indicò quale criterio liquidativo preferibile le tabelle di Milano, che proprio su di un automatismo risarcitorio si fondavano. Tale conciliazione tra
i due princìpi è stata compiuta dalla sentenza qui in rassegna ravvisando nelle tabelle
milanesi, là dove prevedono di default l’aumento del valore monetario del punto per tenere conto della sofferenza morale non già un automatismo risarcitorio, ma una mera
praesumptio hominis.
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dall’art. 360 c.p.c., n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a
pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le
ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, la relativa censura deve contenere, un momento di sintesi – omologo del quesito di diritto – che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità; nello stesso
senso, tra le altre, Cass. n. 24255/11).
I motivi primo e terzo sono perciò inammissibili anche nella parte in
cui denunciano il vizio ex art. 360 c.p.c., n. 5.
3. Il Collegio ritiene, invece, che sia ammissibile il secondo motivo, limitatamente alla parte in cui denuncia il vizio di motivazione concernente
la liquidazione del danno non patrimoniale in favore di P.B.
L’indicazione dei criteri di determinazione del danno non patrimoniale come fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume insufficiente e le ragioni di questa insufficienza si trovano sintetizzate alla pagina 20 del ricorso, nella quale è contenuto un valido momento di sintesi,
ai sensi della giurisprudenza da ultimo richiamata, volto a circoscrivere il
vizio denunciato nella mancanza di considerazione, da parte del giudice di
merito, delle “diverse componenti del pregiudizio non suscettibili di valutazione economica che hanno inciso – e incideranno – nella vita del giovane P.B....” che ha portato “a conclusioni disancorate dagli atti di causa, oltre che dalle circostanze del caso concreto”.
Il momento di sintesi delle ragioni della dedotta insufficienza della motivazione rende ammissibile il motivo di ricorso e conclude efficacemente l’illustrazione del vizio, contenuta nelle pagine precedenti (da pag. 13 a pag. 20).
3.1. Nell’illustrare il motivo, il ricorrente rileva che le tabelle in concreto utilizzate per la quantificazione del danno biologico non costituireb-
La sentenza, nondimeno, sembra lasciare insolute varie questioni che del resto –
non essendo state prospettate nel ricorso – non potevano essere affrontate dalla Corte
di Cassazione.
La prima di tali questioni è il modo in cui debba intendersi l’affermazione secondo cui è corretto presumere (iuris tantum) che una lesione della salute provochi ansia
ed angoscia “quanto meno nel caso di invalidità superiori al 10%”. Parrebbe infatti non
azzardato concludere che, per le invalidità inferiori a tale soglia, potrebbe forse valere
una presunzione inversa, e cioè che la lesione non abbia provocato un’ansia oggettivamente apprezzabile, salva prova contraria da parte del danneggiato.
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bero un meccanismo efficace per l’integrale ristoro dei danni, nel caso di
specie, perché elaborate in modo da non ricomprendere la valutazione della componente costituita dalla sofferenza soggettiva che si accompagna alla lesione della salute, e che va comunque ristorata, alla stregua della giurisprudenza di legittimità.
Rileva, in particolare, che la Corte d’Appello, per ristorare il danno non
patrimoniale unitariamente considerato, ha incrementato l’importo risultante dalla liquidazione c.d. tabellare (senza peraltro specificare di quali tabelle si sia avvalsa), ma tale incremento, quantificato complessivamente in
euro 10.000,00, sarebbe il risultato di una valutazione del tutto illogica e
inadeguata, comunque non personalizzata, perché compiuta senza tenere
conto delle condizioni soggettive del danneggiato, quali emergenti dalla
CTU, oltre che dalle CTP, e dagli esami specialistici di natura psicologica
effettuati presso l’apposito servizio pubblico. Il ricorrente, dopo aver esposto le risultanze istruttorie che sarebbero state trascurate, malgrado l’affermazione contenuta in sentenza di voler personalizzare la liquidazione, ha
concluso osservando che, pur ritenendo non sussistente un’autonomia nominale delle corrispondenti voci di danno, tutte le componenti di danno non
patrimoniale (ed in particolare i pregiudizi diversi da quelli “prettamente fisici o psichici in senso patologico”) dovrebbero trovare adeguato riconoscimento, in sede risarcitoria, mentre questo risultato non troverebbe alcun
riscontro nella motivazione della sentenza impugnata.
4. Il motivo è fondato e va accolto nei limiti di cui appresso.
Come affermato nella sentenza a Sezioni Unite su cui la Corte d’Appello di Palermo ha fondato la decisione impugnata, il risarcimento del danno alla persona deve essere integrale, essendo compito del giudice accertare l’effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome
attribuitogli. Pertanto, in tema di liquidazione del danno per la lesione del
diritto alla salute, nei diversi aspetti o voci di cui tale unitaria categoria si
compendia, l’applicazione dei criteri di valutazione equitativa, rimessa alla prudente discrezionalità del giudice, deve consentirne la maggiore ap-
La seconda è che, una volta affermato che l’esistenza del danno (olim) definito
“morale” si presume iuris tantum, ne consegue che al debitore deve essere consentito
vincere tale presunzione con gli ordinari mezzi di prova, e dunque anche con altra presunzione semplice: e dunque sostenere – ad esempio – che essendo i postumi permanenti consistiti in una patologia dolorosa (ad es., cefalea o lombosciatalgia), la liquidazione del danno biologico ha necessariamente ricompreso il “dolore” provato dalla
vittima, e che di conseguenza tale pregiudizio non può essere ulteriormente risarcito.
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prossimazione possibile all’integrale risarcimento, anche attraverso la c.d.
personalizzazione del danno (Cass., Sez. Un., n. 26972/08). Questa Corte
è pervenuta a ritenere valido criterio di riferimento ai fini della valutazione
equitativa ex art. 1226 c.c., le tabelle per la liquidazione del danno biologico elaborate dal Tribunale di Milano, laddove la fattispecie concreta non
presenti circostanze che richiedano la relativa variazione in aumento o in
diminuzione, anche per le lesioni derivanti dalla circolazione stradale, che
abbiano determinato una percentuale di invalidità superiore al 10% (Cass.
n. 12408/11), come nel caso di specie.
Sebbene col ricorso non venga fatta valere come vizio di violazione di
legge l’applicazione di tabelle diverse da quelle elaborate dal Tribunale di
Milano (cfr. Cass. n. 12408/11, per l’ammissibilità della doglianza solo nel
caso in cui la questione sia stata posta nel giudizio di merito), né si lamenti – se non con la memoria ex art. 378 c.p.c. (che certo non può colmare le
lacune del ricorso) – l’incongruità della motivazione per non aver dato conto della preferenza assegnata ad una liquidazione che, avuto riguardo alle
circostanze del caso concreto, risulti sproporzionata in difetto rispetto a quella cui si perverrebbe mediante l’adozione dei parametri esibiti dalle c.d. tabelle di Milano (cfr. Cass. n. 14402/11, per la possibile rilevanza di tale vizio), tuttavia il Collegio ritiene che colga nel segno il secondo motivo di ricorso laddove reputa incongrua la motivazione basata sulla liquidazione tabellare del danno biologico, perché ottenuta con l’impiego di tabelle delle
quali la Corte non ha reso nota la provenienza (e, quindi, nemmeno controllabili i criteri di elaborazione) e comunque elaborate in modo da non
considerare tutte le componenti non patrimoniali di questa tipologia di danno, tanto da rendere necessario un incremento, la cui quantificazione non
appare adeguatamente supportata dalle risultanze processuali.
Detta incongruità consegue proprio alle ragioni per le quali questa Corte ha ritenuto di preferire come parametro di riferimento per la liquidazione equitativa del danno biologico le tabelle milanesi. Tra queste ragioni, oltre alla “vocazione nazionale” evidenziata dal già richiamato precedente n.
12408/11, vi è soprattutto quella data dal fatto che le “Tabelle per la liquidazione del danno non patrimoniale derivante da lesione all’integrità psico-fisica” del Tribunale di Milano sono state rielaborate all’esito delle pronunzie delle Sezioni Unite del 2008. In particolare, esse hanno determinato il valore finale del punto utile al calcolo del danno biologico da invalidità permanente, procedendo ad un aumento dell’originario punto tabellare in modo da includervi la componente già qualificata in termini di “danno
morale”, che si usava liquidare separatamente (nei sistemi tabellari antecedenti la pronuncia n. 26972 /08) con operazione che le Sezioni Unite hanno ritenuto non più praticabile. L’affermazione delle Sezioni Unite secon-
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do cui siffatta componente rientra nell’area del danno biologico, del quale,
ogni sofferenza fisica o psichica per sua natura intrinseca costituisce componente, non può certo essere intesa nel senso che di essa non si debba (più)
tenere conto a fini risarcitori.
Giova precisare che si intende qui prescindere dalla questione della natura di tale componente dell’unitaria categoria del danno biologico e dalla
possibilità di continuare ad utilizzare il sintagma “danno morale” a soli fini descrittivi, per indicare le sofferenze, di carattere, appunto, morale (vale a dire il dolore intimo o turbamento dell’animo), non coincidenti con il
dolore fisico, su base organica, e con gli aspetti più propriamente dinamico-relazionali del danno alla salute (e con le relative conseguenze, anche di
ordine esistenziale, dovute all’incidenza sulle attività vitali della lesione
permanente dell’integrità psico-fisica). Questi ultimi, infatti, sono già considerati nel concetto omnicomprensivo del danno biologico, inteso anche
come danno estetico e danno alla vita di relazione, e suscettibile di accertamento medico-legale; quindi, sono già presi a base della determinazione
del grado di invalidità permanente, risultante dall’applicazione del barème.
Si intende piuttosto sottolineare che, esclusa la praticabilità della liquidazione separata di danno biologico e danno morale, si deve pervenire a una
liquidazione unitaria che tenga conto anche di questa peculiare componente a connotazione soggettiva.
Uno dei modi possibili per pervenire, necessariamente sempre in via
equitativa, a questa liquidazione unitaria è l’adozione di tabelle che includano nel punto base la relativa considerazione, dando perciò per presunta
– quindi, in media, generalizzata, secondo l’id quod plerumque accidit –
l’esistenza di un tale tipo di pregiudizio, pur se non accertabile per via medico-legale, operando perciò non sulla percentuale di invalidità, bensì con
aumento equitativo della corrispondente liquidazione. Si tratta, come detto, di una presunzione, accettabile quanto meno per le invalidità superiori
al 10%, rispetto alle quali può reputarsi “normale” che vi siano profili prettamente soggettivi di ansia, preoccupazione, turbamento, dispiacere, collegati al pregiudizio a fisico, salvo prova contraria, che può essere, a sua volta, anche presuntiva.
Così opinando, la liquidazione c.d. tabellare ben può considerare anche
la componente prettamente soggettiva data dalla sofferenza morale conseguente alla lesione della salute, sia pure in una dimensione, per così dire,
standardizzata, come risulta essere stato fatto con le tabelle elaborate dal
Tribunale di Milano, alla stregua delle esplicazioni fornite in occasione della loro diffusione.
Consegue a quanto fin qui detto che, applicando il valore c.d. tabellare
del punto, vale a dire il valore medio, pur se comprensivo della componente
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di pregiudizio soggettivo di cui si è fin qui detto, non si ha ancora la vera e
propria personalizzazione del danno.
Onde valutare nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche, patite dal soggetto leso e pervenire al ristoro del danno nella sua interezza, il giudice, se ed in quanto vengano addotte circostanze che richiedano la variazione della liquidazione tabellare in aumento o in diminuzione, di queste dovrà tenere conto al fine di escludere od ammettere la personalizzazione, esplicitando in motivazione se e come abbia considerato
tutte tali circostanze (cfr. Cass. n. 9231/13).
4.1. Nel caso di specie, va detto che la Corte d’Appello ha dichiarato di
liquidare il danno biologico “sulla base del c.d. criterio tabellare”, senza
specificare a quali tabelle abbia fatto riferimento (né quindi consentire di
comprendere quali fossero i criteri della loro elaborazione e la data di riferimento per il calcolo del punto tabellare). Già sotto questo profilo la motivazione è carente, poiché la sentenza non afferma che si tratti delle tabelle allora in uso presso la Corte d’Appello di Palermo (cfr. Cass. n. 16237/05,
n. 13130/06, n. 22287/09).
Il tenore della motivazione è tale peraltro da indurre a ritenere che le tabelle in concreto utilizzate fossero state elaborate in modo da non ricomprendere nel calcolo tutte le componenti non patrimoniali del danno da lesione dell’integrità psico-fisica, alla stregua di quanto detto sopra, tanto che
la stessa Corte territoriale ha ritenuto di dover apportare un aumento alla
somma ottenuta con la liquidazione tabellare “ai fini della liquidazione, a
favore di P.B., dell’unica ed onnicomprensiva voce di danno non patrimoniale”.
Nel compiere tale operazione ha, peraltro, dichiarato di voler personalizzare il danno, tenuto conto delle circostanze del caso concreto, ma queste sono state molto genericamente individuate nelle conseguenze estetiche
“sia pure modeste, sull’armonia del volto, con il correlato disagio psichico”, nell’“incidenza negativa sulla futura vita di relazione del P. (tenuto anche conto della giovane età di quest’ultimo – 17 anni – all’epoca del sinistro), nella “sofferenza soggettiva”, cagionata dal reato ai suoi danni.
Così operando, la Corte territoriale non ha dato conto in motivazione di
avere effettuato una vera e propria personalizzazione del danno non patrimoniale, ma, come evidenziato nella memoria depositata dalla parte ricorrente ai sensi dell’art. 378 c.p.c., si è limitata a considerare le componenti
non patrimoniali del danno biologico che ha ritenuto non comprese nella liquidazione tabellare, rapportandole a dati di portata generale, prescindendo da quanto specificamente addotto dal danneggiato.
L’insufficienza della motivazione, allora, è data non solo dalla mancata indicazione circa le tabelle applicate e i parametri adottati per la relativa
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elaborazione ed applicazione, ma anche dalla mancata effettiva considerazione – eventualmente anche al fine di disattenderne le conclusioni – delle
risultanze processuali indicate dal ricorrente come idonee ad un’adeguata e
reale personalizzazione, tale cioè da caratterizzare la liquidazione del danno come riferibile a quel determinato soggetto leso, e non ad altro, pur avente la stessa età e la stessa percentuale di invalidità.
In conclusione, il ricorso va accolto limitatamente al secondo motivo e
limitatamente al denunciato vizio di motivazione. La sentenza impugnata
va cassata e le parti vanno rimesse alla Corte d’Appello di Palermo in diversa composizione, perché provveda ad un nuovo esame di merito alla luce dei principî esposti, quanto all’individuazione delle tabelle di liquidazione del danno biologico da invalidità permanente applicabili ed alla personalizzazione di tale liquidazione nei confronti di P.B., ferma restando la
determinazione nel 18% del grado di invalidità permanente.
Resta assorbito il quarto motivo di ricorso, concernente la regolamentazione delle spese contenuta nella sentenza cassata.
Va rimessa al giudice di rinvio anche la decisione sulle spese del giudizio di cassazione. (Omissis).
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CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
(Sez. III) – 13 marzo 2014, n. 5791 – Pres. Russo, Est. Rossetti, P.M. Golia (conf.) – D. (avv. Romano ed altro) c. Allianz RAS S.p.A. (n.c.).
(Sentenza impugnata: App. Milano 13 febbraio 2007)
Rischio assicurato – Nozione – Evento futuro ed incerto – Differenza
con l’evento dannoso – Rilevanza, durante il tempo dell’assicurazione, del verificarsi della causa del danno e non del danno in sé –
Fattispecie.
Ai fini della validità del contratto di assicurazione della responsabilità civile, non è consentita l’assicurazione di un rischio i cui presupposti causali si
siano già verificati al momento della stipula, dovendo essere futuro rispetto a
tale momento non il prodursi del danno, quanto l’avverarsi della causa di esso, senza che rilevi che il concreto pregiudizio patrimoniale si sia poi verificato dopo la conclusione del contratto, se esso era conseguenza inevitabile di
cause già maturate in precedenza. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha
cassato la sentenza di merito la quale, nel caso di assicurazione della responsabilità professionale di un avvocato, aveva escluso l’obbligo indennitario dell’assicuratore, essendo accaduto durante il tempo dell’assicurazione, agli effetti dell’art. 1917 c.c., il fatto della proposizione di un appello tardivo, ma non
anche il deposito della sentenza che ne dichiarava l’intempestività) (1).
(1) Non consta alcun precedente su fattispecie analoga.
Per una rassegna dei vari significati in cui viene adoperato il lemma “rischio” in
ambito assicurativo si vedano ROSSETTI, Il diritto delle assicurazioni, vol. I, Padova
2011, p. 751 e ss.; FANELLI, Le assicurazioni, Milano 1973, p. 108 ed ivi, nota 48; DONATI, Trattato del diritto delle assicurazioni private, vol. II, Milano 1956, p. 111–113;
ANGELICI, Aggravamento e modifiche del rischio, in questa Rivista, 1985, I, 546; COTTINO e IRRERA, Il contratto di assicurazione in generale, in CAGNASSO, COTTINO e IRRERA, L’assicurazione: l’impresa e il contratto, Padova, 2001, p. 99; PINO, Rischio e alea
nel contratto di assicurazione, in questa Rivista, 1960, I, 236, ma specialmente 242.
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Giurisprudenza
La Corte ecc. (Omissis). FATTO. – 1. L’avv. D.G. nel 1989 stipulò con
la società RAS S.p.A. una polizza assicurativa a copertura della propria responsabilità professionale.
Il 9 dicembre 1996, nella vigenza della suddetta polizza, l’avv. D.G. per
conto della propria cliente Commissionaria Intertrasporti s.r.l. propose dinanzi la Corte d’Appello di Bologna un appello che la stessa Corte, con sentenza del 2 novembre 1998, giudicò tardivo, condannando l’appellante al
pagamento delle spese di lite in favore della controparte.
2. L’avv. D.G., ammettendo il proprio errore professionale consistito
nella tardiva proposizione del gravame, spontaneamente si accollò il debito della cliente nei confronti della controparte vittoriosa, adempiendolo.
3. Il 30 luglio 1999 l’avv. D.G. chiese al proprio assicuratore della responsabilità civile, RAS S.p.A., la rifusione delle somme versate per tenere la cliente indenne dalle conseguenze del proprio errore professionale,
quantificate in lire 8.048.270.
Non avendo l’assicuratore adempiuto, il 30 novembre 2001 l’avv.
D. G. convenne la RAS S.p.A. dinanzi al Tribunale di Milano, chiedendone la condanna al pagamento dell’indennizzo contrattualmente dovuto.
4. L’assicuratore, costituendosi, allegò di non essere tenuto al pagamento dell’indennizzo, in virtù della previsione dell’art. 14 delle condizioni generali di contratto, il quale prevedeva che l’indennizzo fosse dovuto
unicamente “per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta
all’assicurato nel corso del periodo di efficacia del contratto”.
5. Il Tribunale di Milano con sentenza 10 settembre 2003, n. 12453 rigettò la domanda attorea, ritenendo valida ed efficace la suddetta clausola.
Tale decisione venne confermata dalla Corte d’Appello di Milano con
sentenza 13 febbraio 2007, n. 385, ma con motivazione diversa da quella
adottata dal primo giudice.
La Corte d’Appello ritenne infatti che l’indennizzo assicurativo non fosse dovuto all’avv. D.G. non già perché lo impedisse la clausola sopra trascritta, ma per la diversa ragione che nella specie l’efficacia del contratto
di assicurazione era spirata ad aprile del 1998, e quindi prima della sentenza (depositata a novembre 1998) con la quale la Corte d’Appello di Bologna, dichiarando tardivo l’appello proposto dall’avv. D.G., ne aveva fatto
sorgere la responsabilità professionale.
6. Tale sentenza è stata impugnata per cassazione dall’avv. D. G., in base a due motivi.
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Dalla Corte di Cassazione
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La società RAS S.p.A. non ha svolto attività difensiva.
DIRITTO. – 1. Il primo motivo di ricorso.
1.1. Col primo motivo di ricorso l’avv. D.G. lamenta che la sentenza
impugnata sia affetta da un vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c.,
n. 5.
Espone, al riguardo, che la Corte d’Appello ha ravvisato il fatto materiale, fonte della responsabilità professionale dell’avv. D.G., non già nella
proposizione d’un appello quando il termine relativo era scaduto, ma nella
sentenza che, dichiarando quel gravame tardivo, condannò l’appellante alle spese.
A fondamento di tale motivazione la Corte d’Appello osservò che la
proposizione dell’appello a termine scaduto non può costituire il “fatto” che,
ai sensi dell’art. 1917 c.c., fa sorgere la responsabilità dell’avvocato, giacché il giudizio così introdotto non necessariamente è destinato a concludersi
con una pronuncia di inammissibilità, e tanto meno con una condanna dell’appellante alla rifusione delle spese processuali sostenute dall’appellato.
Osserva tuttavia il ricorrente che la motivazione appena riassunta sarebbe illogica e contraddittoria, giacché una impugnazione tardiva non può
avere altro esito che una pronuncia di inammissibilità, con conseguente condanna alle spese, ai sensi dell’art. 91 c.p.c.
1.2. Il motivo è fondato.
A pag. 4 della propria decisione la Corte d’Appello di Milano individua e delimita la quaestio iuris ad essa devoluta: stabilire se, nell’assicurazione di responsabilità professionale dell’avvocato, il “fatto” che ex art.
1917 c.c., fa sorgere la responsabilità dell’assicurato, e quindi l’obbligo indennitario dell’assicuratore, vada ravvisato nella proposizione d’un appello tardivo, ovvero nel deposito della sentenza che ne dichiara la tardività.
La sentenza prosegue affermando che la prima ipotesi deve scartarsi, perché “la proposizione di un’impugnazione ad intervenuta decadenza, anche
se configura un errore professionale, non è né può ancora considerarsi in sé
produttiva di un evento dannoso, potendo nondimeno il processo seguitone trovare, per accadimenti vari, una conclusione che non generi un esito
siffatto”.
Alla successiva pag. 5 la Corte d’Appello, chiamata a stabilire se il “fatto” produttivo della responsabilità dell’assicurato, per i fini di cui all’art.
1917 c.c., potesse eventualmente ravvisarsi nella richiesta della cliente dell’avvocato di essere tenuta dalle conseguenze dannose dell’errore professionale da questi commesso, ha dato risposta negativa al quesito, soggiungendo che la pronuncia della sentenza di inammissibilità dell’appello tardivamente proposto dall’avv. D.G. fu “unica circostanza necessaria e in-
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Giurisprudenza
sieme senz’altro sufficiente (...) a determinare l’insorgenza concreta dell’obbligazione di garanzia a carico dell’impresa assicuratrice”.
Questa motivazione è, nello stesso tempo, carente per un verso, illogica per altro verso e contraddittoria sotto un terzo profilo.
1.3. La decisione della Corte d’Appello è innanzitutto carente sul piano della valutazione degli elementi di fatto acquisiti nel corso del giudizio.
Vi si sostiene infatti che la proposizione d’un appello tardivo potrebbe
in teoria concludersi con una pronuncia diversa dall’inammissibilità, e comunque non necessariamente può essere accompagnata dalla condanna dell’appellante alla rifusione delle spese di lite alla controparte. Tale affermazione, che potrebbe condividersi a livello generale, nel caso di specie andava tuttavia calata nel contesto della concreta fattispecie sottoposta all’esame del giudice di merito, e cioè una fattispecie nella quale l’avvocato
dell’appellante aveva commesso un errore evidente ed inescusabile d’imperizia, consistito nell’impugnare una sentenza sottoposta a correzione di
errore materiale, facendo decorrere il termine per il gravame dal deposito
del provvedimento di correzione anche per i capi non corretti.
La gravità e, soprattutto, l’indiscutibilità in iure dell’errore commesso
dall’avvocato rendeva altissimamente probabile, se non pressoché certo,
l’esito dell’appello da questi tardivamente proposto.
Pertanto l’affermazione secondo cui l’appello tardivamente proposto
poteva concludersi, “per gli accadimenti più vari”, con una pronuncia diversa dalla declaratoria d’inammissibilità è innanzitutto una asserzione che
non tiene conto di tutte le specificità del caso concreto.
1.4. La motivazione adottata dalla sentenza impugnata è, in secondo
luogo, illogica rispetto alle premesse da cui la stessa Corte d’Appello aveva pur dichiarato voler muovere.
La Corte d’Appello ha infatti affermato, a pag. 4, primo capoverso, della sentenza impugnata, di volere decidere la questione ad essa sottoposta
“in conformità al solo dettato dell’articolo 1917, primo comma, c.c.”, e cioè
a prescindere dall’esistenza d’eventuali clausole contrattuali che derogassero a tale previsione.
L’art. 1917 c.c., comma 1, come noto stabilisce che “nell’assicurazione della responsabilità civile l’assicuratore è obbligato a tenere indenne l’assicurato di quanto questi, in conseguenza del fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione, deve pagare a un terzo, in dipendenza della responsabilità dedotta nel contratto”.
La Corte d’Appello ha quindi affermato che il “fatto accaduto”, in conseguenza del quale sorge il debito risarcitorio dell’assicurato, nel nostro caso andasse individuato nella sentenza della Corte d’Appello di Bologna, la
quale rigettò il gravame tardivamente proposto dall’avv. D.: e ciò sul pre-
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Dalla Corte di Cassazione
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supposto che “non ogni fatto ingiusto produce un (...) vincolo obbligatorio,
richiedendosi altresì che un evento pregiudizievole si verifichi in conseguenza del comportamento colposo”.
Tale motivazione è illogica perché non trae la debite conseguenze logico-giuridiche dalla premessa da cui pur dichiara di voler muovere.
La Corte d’Appello, infatti, dopo avere annunciato di volere risolvere
la controversia alla luce del criterio dettato dall’art. 1917 c.c. (e quindi d’una norma assicurativa), ha individuato il fatto-fonte di responsabilità dell’assicurato verso il terzo (e quindi dell’obbligo dell’assicuratore verso l’assicurato) nella pronuncia della sentenza di condanna a carico del cliente dell’avvocato imperito.
In questo modo tuttavia la Corte d’Appello ha sovrapposto e confuso il
concetto civilistico di “danno” con quello assicurativo di “rischio”, per giungere alla conclusione che nell’assicurazione contro i danni (nel cui genus
rientra l’assicurazione di responsabilità civile) non possa esservi avveramento di rischio assicurativo sino a quando non si sia verificato un danno
civilisticamente risarcibile.
1.5. L’iter logico seguito dalla Corte d’Appello tuttavia non considera
che il rischio, elemento essenziale del contratto di assicurazione, non coincide col concetto di danno.
Prima della stipula del contratto il rischio è la generica esposizione d’un
bene od interesse dell’assicurato ad un pericolo (rischio c.d. extra assicurativo).
Al momento della stipula del contratto il rischio viene calato nelle concrete delimitazioni previste dalla polizza, ed assume il significato di evento futuro ed incerto al cui verificarsi l’assicuratore è tenuto al pagamento
dell’indennizzo (rischio assicurato).
Dopo l’eventuale avverarsi dell’evento temuto e descritto nella polizza
il rischio non v’è più ed è sostituito dal “sinistro”, o “rischio avverato”.
Con limitate eccezioni previste dalla legge (ad es., l’art. 514 c.n., che
ammette l’assicurabilità del rischio putativo) il rischio dev’essere rappresentato da un evento futuro ed incerto, a pena di nullità o scioglimento del
contratto (artt. 1895 e 1896 c.c.).
Ai fini della validità del contratto di assicurazione, tuttavia, quel che ha
da essere “futuro” rispetto alla stipula del contratto non è il prodursi del danno civilisticamente parlando, ma l’avverarsi della causa di esso. Non è infatti mai consentita l’assicurazione di quel rischio i cui presupposti causali si siano già verificati al momento della stipula, a nulla rilevando che l’evento – e
quindi il concreto pregiudizio patrimoniale – si sia verificato dopo la stipula
del contratto, quando l’avveramento del sinistro non rappresenta che una conseguenza inevitabile di fatti già avvenuti prima di tale momento.
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Giurisprudenza
Così, ad esempio, sarebbe nulla ex art. 1895 c.c., per inesistenza del rischio l’assicurazione contro le malattie stipulata da persona in cui la patologia sia già insorta, a nulla rilevando che questa divenga oggettivamente visibile dopo la stipula del contratto; allo stesso modo, sarebbe nulla per inesistenza del rischio l’assicurazione del credito stipulata da chi abbia erogato un
mutuo a debitore già insolvente, a nulla rilevando che il fallimento del debitore dell’assicurato sia stato dichiarato dopo la conclusione del contratto; sarebbe nulla, sempre per la stessa ragione, l’assicurazione della responsabilità civile stipulata da persona che abbia già tenuto una condotta illecita, a nulla rilevando che il danno da essa causato sia destinato a prodursi nel futuro.
Né è rilevante in questa sede affrontare il delicato problema della derogabilità pattizia di tali principî, non essendo tale questione in discussione nel presente giudizio.
Questo dunque essendo il diritto assicurativo quo utimur, è evidente l’illogicità della motivazione della sentenza impugnata, là dove da un canto
annuncia di volere fare applicazione dell’art. 1917 c.c., e dall’altro ne individua il presupposto fattuale nella produzione del danno civilistico derivante dalla condotta dell’assicurato, piuttosto che nell’avveramento dei presupposti causali del rischio dedotto in contratto.
Che tale motivazione sia irragionevole, del resto, risulta confermato dalla prova logica della reductio ad absurdum: se, infatti, fosse corretta l’affermazione della Corte d’Appello (secondo cui il “fatto accaduto” di cui all’art. 1917 c.c. coincide con l’avverarsi d’un danno civilistico), si dovrebbe pervenire all’assurdo che, quando il fatto illecito dell’assicurato causi a
terzi un danno permanente (ad esempio, alla persona), l’assicuratore non
sarebbe mai obbligato a tenere indenne l’assicurato per i danni da questi
causati ma maturati a partire dal giorno successivo a quello di scadenza dell’efficacia del contratto.
1.6. La sentenza impugnata è poi illogica sotto un terzo e rilevante profilo: quello della coerenza deduttiva.
È, infatti, canone antico e noto della logica deduttiva quello secondo cui
“illogicità” si ha tanto nell’ipotesi di inspiegabilità d’una tesi (come nel caso dell’assioma, del postulato o del dogma, ovvero quando si compie un’affermazione non suscettibile di dimostrazione razionale: c.d. entimema), tanto nel caso di contraddittorietà od incoerenza dello svolgimento di quella
tesi, sussistenti quando le conseguenze non siano congrue con le premesse
(come nel caso del paralogismo o falso sillogismo).
Nel nostro caso, la Corte d’Appello ha affermato che, al momento in
cui l’avv. D.G. propose il suo tardivo gravame, nessuna sua responsabilità
potesse ipotizzarsi nei confronti del cliente, giacché quel gravame mille e
uno esiti avrebbe potuto avere, diversi dalla pronuncia di inammissibilità.
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Giusta o sbagliata che sia tale affermazione nel suo fondo, essa costituisce comunque esercizio d’un giudizio controfattuale: la Corte d’Appello si
è posta infatti idealmente nel momento in cui l’avv. D.G. notificò il suo atto d’appello dinanzi la Corte d’Appello di Bologna, per concludere che a
quella data sarebbe stato non inevitabile l’esito sfavorevole della lite.
Ora, nel momento in cui la Corte d’Appello ha ritenuto di risolvere la
lite accertando i fatti sulla base d’un giudizio controfattuale (o prognosi postuma), avrebbe dovuto coerentemente considerare che la giurisprudenza di
questa Corte di Cassazione è ormai da tempo costante nell’affermare che
un evento può ritenersi causato da un altro quando, al momento in cui si verificò il secondo, il primo ne appariva una conseguenza ragionevolmente
prevedibile, in base al criterio del “più probabile che no” (ex permultis, Sez.
III, sentenza n. 21255 del 17 settembre 2013, Rv. 628702; Sez. III, sentenza n. 13214 del 26 luglio 2012, Rv. 623565; Sez. III, sentenza n. 15991 del
21 luglio 2011, Rv. 618880; Sez. III, sentenza n. 12686 del 9 giugno 2011,
Rv. 618137).
Nel nostro caso, la proposizione d’un appello incontestabilmente tardivo rendeva, al momento stesso della notificazione, “più probabile che non”
una pronuncia di inammissibilità, e parimenti una condanna alle spese, posto che non si ravvisava causa veruna idonea a giustificarne la compensazione. La sentenza della Corte d’Appello, in conclusione, è illogicamente
motivata nella parte in cui ha da un lato ritenuto di valutare i possibili esiti della condotta dell’avv. D.G. al momento della notifica dell’atto d’appello tardivo, e dall’altro compiuto tale valutazione con criterio diverso dall’unico applicabile, e cioè quello d’una ragionevole previsione dell’esito
del gravame.
1.7. Infine, ma non da ultimo, la motivazione adottata dalla Corte d’Appello e trascritta al p.1.2 è contraddittoria.
Mentre, infatti, a pag. 4 della sentenza impugnata si afferma che la condotta illecita dell’assicurato “non è né può ancora considerarsi in sé produttiva di un evento dannoso”, così chiaramente mostrando di ritenere che
quella condotta sia comunque un presupposto necessario per rendere operante il contratto di assicurazione della responsabilità civile, alla successiva pag. 6 arriva ad affermare che la sentenza dichiarativa dell’inammissibilità dell’appello tardivamente proposto sia “l’unica circostanza necessaria ed insieme sufficiente” a determinare il sorgere dell’obbligo indennitario dell’assicuratore.
Conclusione che contraddice la premessa, perché se una condotta colposa dell’assicurato è pur sempre necessaria perché questi possa essere
chiamato a rispondere d’un illecito o d’un inadempimento, la produzione
dell’evento di danno non può di per sé ritenersi “unica condizione neces-
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Giurisprudenza
saria” per far sorgere l’obbligo indennitario dell’assicuratore della responsabilità civile.
1.7. La sentenza impugnata deve dunque essere cassata e rinviata ad altra sezione della Corte d’Appello di Milano, la quale nell’accertare i fatti di
causa, alla luce di quanto esposto avrà l’onere di adeguatamente ed esaurientemente motivare:
(a) tenendo ben distinto il concetto di “rischio” assicurato da quello di
“danno” civilistico;
(b) tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto, ed in primo
luogo della natura e dei presumibili effetti dell’errore commesso dall’avv.
D.G. nell’esecuzione del mandato professionale;
(c) adottando, per compiere l’accertamento sub (b), il criterio logico c.d.
del “più probabile che non”.
2. Il secondo motivo di ricorso.
2.1. Col secondo motivo di ricorso l’avv. D.G. lamenta la violazione di
legge, ex art. 360 c.p.c., n. 3, con riferimento all’art. 112 c.p.c. Lamenta che
la Corte d’Appello ha posto a fondamento della propria decisione una valutazione (l’individuazione del “fatto-fonte” dell’obbligo risarcitorio per
l’assicurato nel deposito della sentenza della Corte d’Appello di Bologna,
reiettiva del gravame) rilevata d’ufficio, e mai eccepita dalla società convenuta.
2.2. Il motivo è inammissibile per l’assenza di un valido quesito di diritto, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c.: quello formulato dal ricorrente, infatti, è tautologico e privo di qualsiasi aggancio alla fattispecie concreta, il che
ne comporta l’inammissibilità, come più volte affermato da questa Corte
(ex multis, basterà ricordare al riguardo le due pronunce delle Sezioni Unite di questa Corte, ovvero Sez. Un., sentenza n. 28536 del 2 dicembre 2008,
Rv. 605848; Sez. Un., sentenza n. 11210 dell’8 maggio 2008, Rv. 602895).
3. Le spese.
Le spese del giudizio di legittimità e dei gradi precedenti di merito saranno liquidate dal giudice del rinvio, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma
3. (Omissis).
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CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
(Sez. III) –14 marzo 2014, n. 5952 – Pres. Russo, Est. Rossetti, P.M. Golia
(conf.) – L. (avv. Barreca) c. INA Assitalia S.p.A. (n.c.).
(Sentenza impugnata: App. Catania 14 aprile 2009)
Rischio – Nullità della clausola di delimitazione del rischio assicurato
– Rilevabilità d’ufficio – Condizioni e limiti – Onere della parte di
allegazione rituale dei fatti costitutivi della nullità – Necessità.
Ass. obbligatoria autoveicoli – Giudizio di rivalsa promosso dall’assicuratore ai sensi dell’art. 18 della l. n. 990/1969 – Esistenza e validità della clausola di rivalsa – Onere della prova – Riparto tra assicurato ed assicuratore.
Il potere del giudice di rilevare d’ufficio le nullità del contratto di assicurazione (nella specie, per la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti) o delle singole clausole di esso va coordinato necessariamente con il principio dispositivo e con quello
della corrispondenza tra chiesto e pronunciato. Ne consegue che il contraente, laddove deduca la nullità di una clausola di delimitazione del rischio, è tenuto ad allegare ritualmente i fatti costitutivi dell’eccezione (ovvero l’esistenza della clausola, la sua inconoscibilità, il suo contenuto in
tesi vessatorio) nella comparsa di risposta o con le memorie di cui all’art.
183 c.p.c. (1).
(1) È pacifico che colui il quale invochi gli effetti d’un patto contrattuale, ovvero
ne contesti la validità, ha l’onere di depositare tempestivamente in giudizio il contratto: per l’ovvia ragione che, in difetto, il giudice non potrebbe vagliare il contenuto dell’accordo, i suoi effetti e la sua validità. Tale principio deve essere tuttavia coordinato
con la tormentata evoluzione della giurisprudenza di legittimità circa la rilevabilità d’ufficio delle eccezioni in senso lato.
Al riguardo si sono registrate, nel tempo, diverse posizioni delle Sezioni Unite della S.C.
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307-317 CSC 5952:02 - ROMAGNOLI 05/08/14 07:49 Pagina 308
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Giurisprudenza
In tema di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, nel giudizio di
rivalsa, di natura contrattuale, promosso dall’assicuratore, ai sensi del-
Secondo un primo e più risalente orientamento, le eccezioni in senso lato sarebbero
sì rilevabili d’ufficio, ma pur sempre a condizione che il fatto costitutivo di esse sia stato debitamente allegato nei termini e con le modalità prescritti dalle regole processuali.
Secondo tale orientamento altro è la rilevabilità d’ufficio, altro è l’onere di allegazione
del fatto costitutivo dell’eccezione: sicché l’accoglimento delle eccezioni in senso lato
esige pur sempre che i fatti costitutivi dell’eccezione siano debitamente allegati, e che la
relativa richiesta istruttoria sia stata tempestivamente formulata, ovvero che siano stati
comunque provati, anche se su istanza di persona diversa dall’eccipiente. Ciò in quanto
il potere del giudice di rilevare il fatto modificativo, impeditivo od estintivo della pretesa attorea “attiene solo al riconoscimento degli effetti giuridici di fatti che siano stati pur
sempre allegati dalla parte. Sicché il potere di allegazione rimane riservato esclusivamente alla parte anche rispetto ai fatti costitutivi di eccezioni rilevabili d’ufficio, perché
il giudice può surrogare la parte nella postulazione degli effetti giuridici dei fatti allegati, ma non può surrogarla nell’onere di allegazione, che, risolvendosi nella formulazione delle ipotesi di ricostruzione dei fatti funzionali alle pretese da far valere in giudizio,
non può non essere riservato in via esclusiva a chi di quel diritto assuma di essere titolare” (Cass., Sez. I, 10 ottobre 2003, n. 15142, in Foro it., 2004, I, 3163; esattamente in
terminis anche Cass., Sez. I, 8 aprile 2004, n. 6943, ivi, 2004, I, 1713, e soprattutto Cass.
civ., Sez. Un., 3 febbraio 1998, n. 1099, ivi, 1998, I, 764).
Per un secondo orientamento, invece, rispetto alle eccezioni in senso lato il convenuto ha solo l’onere della prova, ma non quello della allegazione: ciò sul presupposto che
se una determinata circostanza è rilevabile d’ufficio in qualsiasi stato e grado del giudizio, a condizione che il relativo fatto costitutivo risulti dagli atti, a fortiori essa potrà essere eccepita da chi vi abbia interesse. In applicazione di tali princìpi, è stato ripetutamente affermato che le eccezioni in senso lato non soggiacciono alle preclusioni processuali, e quindi non è inibito alla parte sollevare le suddette eccezioni nel corso del giudizio, anche dopo lo scadere del termine per costituirsi, ed anche allegando fatti non dedotti
in precedenza (fondamentale, in tal senso, sono le decisioni di Cass., Sez. Un., 25 maggio 2001, n. 226, in Giust. civ., 2001, I, 2353, e Cass., Sez. Un., 12 giugno 2006, n. 13546,
in Danno e resp., 2006, 843, con le quali è stata affermata la rilevabilità ex officio del giudicato esterno, e la sua deducibilità per la prima volta anche nel giudizio di cassazione,
se formatosi successivamente alla conclusione del giudizio di merito).
Questo secondo orientamento è stato di recente ribadito esplicitamente da Cass.,
Sez. Un. (ord.), 7 maggio 2013, n. 10531, la quale ha stabilito che il rilievo d’ufficio
delle eccezioni in senso lato non è subordinato alla specifica e tempestiva allegazione
della parte ed è ammissibile anche in appello, dovendosi ritenere sufficiente che i fatti
risultino provati ex actis, in quanto il regime delle eccezioni si pone in funzione del valore primario del processo, costituito dalla giustizia della decisione, che resterebbe svisato ove anche le questioni rilevabili d’ufficio fossero subordinate ai limiti preclusivi
di allegazione e prova previsti per le eccezioni in senso stretto.
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Dalla Corte di Cassazione
309
l’art. 18 della l. 24 dicembre 1969, n. 990 (applicabile ratione temporis), il
convenuto, ove invochi la nullità della clausola di rivalsa, ha l’onere di allegare e provare il fatto costitutivo dell’eccezione, e cioè l’illegittimità della pretesa dell’assicuratore, qualora la predetta clausola non sia stata resa conoscibile (in violazione dell’art. 1341, comma 1, c.c.), ovvero non sia
stata doppiamente sottoscritta (in violazione dell’art. 1342, comma 2, c.c.),
mentre l’assicuratore è tenuto a dimostrare solo l’esistenza del contratto e
della clausola legittimante la rivalsa stessa (1).
La Corte ecc. (Omissis). FATTO. – 1. Il (omissis) il sig. L.S., alla guida
dell’autoveicolo Suzuki targato (omissis), di proprietà del proprio padre sig.
Tali princìpi sono stati affermati anche con specifico riferimento all’eccezione di
nullità: essa pertanto è sollevabile anche per la prima volta in grado d’appello, ma a
condizione che sia fondata su elementi di fatto già acquisiti al giudizio (Cass., Sez. I, 9
gennaio 2013, n. 350; nello stesso senso, con specifico riferimento al contratto d’assicurazione, Cass. Sez. III, 21 giugno 2004, n. 11483).
Secondo Cass. civ., Sez. II, 18 luglio 2002, n. 10440, in Foro it., 2003, I, 822, l’eccezione di nullità del contratto introdotta nel giudizio non già in via di azione bensì in
via di eccezione (come appunto era avvenuto nel giudizio concluso dalla decisione qui
in rassegna, in cui l’assicuratore aveva agito in rivalsa e l’assicurato aveva eccepito la
nullità della clausola che consentiva la rivalsa) non integra una domanda riconvenzionale (in quanto il convenuto non chiede un provvedimento giudiziale a sé favorevole
che gli attribuisca beni determinati in contrapposizione a quelli richiesti dall’attore con
la domanda introduttiva) né un’eccezione riconvenzionale (in quanto il convenuto non
oppone al diritto fatto valere dall’attore un proprio controdiritto idoneo a paralizzarlo)
né un’eccezione in senso stretto o sostanziale (in quanto non ne è prevista dalla legge
la deduzione ad esclusiva iniziativa della parte, anzi ne è prevista la rilevabilità officio
iudicis), bensì una mera difesa (in quanto il convenuto si limita ad allegare l’invalidità
o l’insussistenza d’uno degli elementi costitutivi della pretesa fatta valere dall’attore,
in ragione di una determinata circostanza di fatto ostativa all’accoglimento della domanda), che non condiziona il preesistente potere-dovere del giudice di rilevare ex officio una nullità ravvisabile in aspetti di patologia negoziale distinti rispetto a quelli dedotti dall’eccipiente.
(2) Principio pacifico: nello stesso senso si veda Cass. civ., Sez. I, 30 settembre
2005, n. 19212, in Foro it. Rep., 2005, Contratto in genere, n. 411, secondo cui la predisposizione, da parte di uno dei contraenti, di condizioni generali di contratto è un fatto costitutivo della pretesa di chi ha interesse a far valere l’inefficacia di una clausola
vessatoria in mancanza di specifica approvazione per iscritto, onde è quest’ultimo a dover provare la ricorrenza di quella particolare fattispecie contrattuale, e la mancanza di
tale prova è circostanza rilevabile d’ufficio, al di là della contestazione della controparte, in quanto attinente alla titolarità del diritto di adire il giudice per far valere, in
mancanza dei presupposti, l’inefficacia di quella clausola.
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Giurisprudenza
L.F. ed assicurato per la r.c.a. dall’Assitalia S.p.A., a causa dell’eccessiva
velocità ne causò il ribaltamento.
In conseguenza del sinistro perse la vita il minore L.M. A., trasportato
sul mezzo.
I genitori della vittima con atto notificato il 10 dicembre 1997 convennero dinanzi al Tribunale di Catania i sigg.ri L.F., L.S. e l’Assitalia
S.p.A., chiedendone la condanna in solido al risarcimento dei danni rispettivamente patiti.
2. La società assicuratrice, costituendosi, allegò che al momento del sinistro era trasportato sul veicolo un numero di passeggeri superiore a quello massimo consentito. Aggiunse che, ricorrendo tale ipotesi, l’art. 2 delle
condizioni generali di contratto escludeva l’operatività della copertura assicurativa, e – essendo tale eccezione inopponibile al terzo danneggiato –
formulò una domanda di rivalsa nei confronti di L.F. e di L.S., ai sensi della l. 24 dicembre 1969, n. 990, art. 18, vigente ratione temporis.
3. Con sentenza depositata il 22 settembre 1999 il Tribunale di Catania dichiarò cessata la materia del contendere tra l’Assitalia S.p.A. e gli
attori, i quali avevano transatto la lite; rigettò la domanda di rivalsa formulata dall’assicuratore nei confronti del sig. L.S. (conducente del veicolo), e l’accolse nei confronti del sig. L.F. (proprietario del veicolo), compensando le spese.
4. La sentenza venne impugnata nel 2000 dal sig. L.F.
La Corte d’Appello di Catania, con sentenza depositata il 14 aprile 2009,
n. 500, ha rigettato il gravame.
Per quanto in questa sede ancora rileva, la Corte d’Appello motivò la
propria decisione di rigetto osservando che:
(a) l’eccezione di nullità della clausola di esclusione della copertura assicurativa per l’ipotesi di trasporto irregolare di persone era stata tardivamente sollevata;
(b) in ogni caso, la suddetta clausola era conoscibile con l’uso dell’ordinaria diligenza;
(c) doveva altresì escludersi che essa fosse vessatoria ai sensi dell’art.
1341 c.c.;
(d) l’assenza di copertura assicurativa rendeva superfluo stabilire se il
trasporto anomalo avesse o meno costituito, nel caso di specie, un aggravamento del rischio ai sensi dell’art. 1898 c.c. 5. La sentenza d’appello è
stata impugnata per cassazione dal sig. L.F. sulla base di quattro motivi.
L’Assitalia S.p.A. non si è difesa.
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Diritto. – 1. Il primo motivo di ricorso.
1.1. Col primo motivo di ricorso il sig. L.F. lamenta che la sentenza sarebbe viziata da violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3.
Allega che il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto tardiva, e quindi inammissibile, l’eccezione di nullità della clausola contrattuale che escludeva la copertura assicurativa nel caso di trasporto anomalo. Deduce, da un
lato, di avere tempestivamente sollevato tale eccezione sia in primo grado
che in Appello; e dall’altro che comunque la nullità della suddetta clausola sarebbe stata rilevabile d’ufficio.
In via subordinata il ricorrente allega che comunque, anche a volere ritenere non rilevabile d’ufficio la suddetta eccezione, egli comunque non
aveva alcun onere di sollevarla, in quanto l’onere di contestazione sorgerebbe solo dopo che l’attore abbia assolto l’onere di allegazione, e nella specie l’Assitalia S.p.A., nel formulare la propria domanda di rivalsa, non aveva mai debitamente allegato che il sig. L.F. fosse a conoscenza della clausola di esclusione della copertura nel caso di trasporto anomalo.
1.2. Il motivo è o manifestamente inammissibile, o infondato, in tutti e
tre i suoi profili.
1.3. Nella parte in cui lamenta che la Corte d’Appello avrebbe erroneamente ritenuto tardiva l’eccezione di nullità della clausola di delimitazione del rischio, il ricorso è inammissibile per violazione del principio di
autosufficienza, non essendo stato il ricorrente in grado di indicare in alcun
modo come, dove e quando abbia sollevato la suddetta eccezione in primo
grado.
1.4. Nella parte in cui lamenta che la Corte d’Appello avrebbe erroneamente omesso di rilevare d’ufficio una eccezione di nullità, il ricorso è
parimenti inammissibile.
È vero che la nullità del contratto o di singole clausole di esso può essere rilevata anche d’ufficio.
Tuttavia tale principio va coordinato con le regole processuali concernenti gli oneri di allegazione dei fatti costitutivi delle domande e delle eccezioni, di cui agli artt. 163 e 167 c.p.c.
Tale coordinamento comporta che anche le eccezioni rilevabili d’ufficio (cosiddette eccezioni in senso lato) sono rilevabili d’ufficio a condizione che il fatto costitutivo di esse sia stato debitamente allegato nei termini
e con le modalità prescritti dalle regole processuali.
Pertanto una eccezione in senso lato, come tale rilevabile ex officio,
quand’anche teoricamente sollevabile dalla parte anche dopo la scadenza
del termine per costituirsi, non può comunque essere accolta se il fatto su
cui si fonda non sia stato ritualmente allegato e provato in giudizio. Ciò in
quanto il potere del giudice di rilevare il fatto modificativo, impeditivo o
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Giurisprudenza
estintivo della pretesa attorea “attiene solo al riconoscimento degli effetti
giuridici di fatti che siano stati pur sempre allegati dalla parte.
Sicché il potere di allegazione rimane riservato esclusivamente alla parte anche rispetto ai fatti costitutivi di eccezioni rilevabili d’ufficio, perché
il giudice può surrogare la parte nella postulazione degli effetti giuridici dei
fatti allegati, ma non può surrogarla nell’onere di allegazione, che, risolvendosi nella formulazione delle ipotesi di ricostruzione dei fatti funzionali alle pretese da far valere in giudizio, non può non essere riservato in via
esclusiva a chi di quel diritto assuma di essere titolare” (Cass., Sez. 1, 10
ottobre 2003, n. 15142; esattamente in terminis anche Cass., Sez. 1, 8 aprile 2004, n. 6943; Cass. Sez. VI-Lav., 26 ottobre 2010, n. 21919; Cass. civ.,
Sez. Lav., 9 aprile 2009, n. 8710).
La rituale allegazione del fatto costitutivo dell’eccezione, ovviamente,
deve avvenire entro il limite temporale previsto dall’art. 167 c.p.c. (o dall’art. 416 c.p.c., per il rito speciale), “posto che ipotizzare l’allegabilità di
fatti nuovi anche oltre tale termine per la sola ragione che la rilevanza dei
loro effetti non si iscrive nel novero delle eccezioni riservate alla parte, significherebbe compromettere il sistema delle preclusioni sul quale quel rito si fonda, ed in particolare la sua funzione di affidare alla fase degli atti
introduttivi del giudizio la cristallizzazione dei temi controversi e delle relative istanze istruttorie” (così la fondamentale decisione pronunciata da
Cass. civ., Sez. Un., 3 febbraio 1998, n. 1099; nello stesso senso, Cass., Sez.
Lav.., 28 novembre 2003, n. 18263; Cass., Sez. Lav., 13 settembre 2003, n.
13467; Cass., Sez. Lav., 20 dicembre 2002, n. 18194; Cass., Sez. Lav., 7
ottobre 1999, n. 11252). Questi principî sono stati ripetutamente affermati
anche da questa Sezione, in particolare con la decisione pronunciata da Cass.
civ., Sez. III, 22 giugno 2007, n. 14581, secondo cui le eccezioni rilevabili anche d’ufficio relative ad un diritto di carattere sostanziale (come appunto la nullità d’un contratto) hanno una rilevabilità condizionata al rispetto del principio dispositivo e del contraddittorio. Ne consegue che è vietato al giudice porre alla base della propria decisione fatti che non rispondano ad una tempestiva allegazione delle parti, il che è quanto dire che il
giudice non può basare la propria decisione su un fatto, ritenuto estintivo,
modificativo o impeditivo, che non sia mai stato dedotto o allegato dalla
parte: allegazione che deve ovviamente essere anche tempestiva, ovvero deve avvenire al massimo entro il termine ultimo entro il quale nel processo
di primo grado si determina definitivamente il thema decidendum ed il thema probandum, ovvero entro il termine perentorio eventualmente fissato
dal giudice ex art. 183 c.p.c.
1.5. Nel caso di specie, non risulta da alcun atto, né è mai stato allegato dal ricorrente, che i fatti costitutivi dell’eccezione di nullità (ovvero
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l’esistenza della clausola, la sua inconoscibilità da parte del contraente, il
suo contenuto in tesi vessatorio) siano stati debitamente allegati vuoi con
la comparsa di risposta, vuoi con le memorie di cui all’art. 183 c.p.c.
1.6. Sotto un terzo aspetto, infine, col motivo in esame il ricorrente lamenta che la Corte d’Appello avrebbe erroneamente omesso di considerare che il convenuto nel giudizio di primo grado non aveva alcun onere di
sollevare l’eccezione di nullità, non avendo l’Assitalia S.p.A. adempiuto
previamente al proprio onere di allegazione.
Anche questo terzo profilo del primo motivo di ricorso è infondato.
1.6.1. Secondo la tesi prospettata dal ricorrente, non sarebbe il convenuto nel giudizio di adempimento del contratto a dovere eccepire la nullità
di questo, ma dovrebbe essere l’attore ad allegare con l’atto introduttivo che
nel contratto non ci sono clausole nulle.
È una tesi temeraria.
L’azione di rivalsa prevista in favore dell’assicuratore – all’epoca dei
fatti – dalla l. 24 dicembre 1969, n. 990, art. 18, è un’azione contrattuale.
Colui il quale chieda l’adempimento del contratto ha il solo onere di allegare e provare l’esistenza di quest’ultimo (questione risolta, come noto,
dalla fondamentale decisione pronunciata da Cass. civ., Sez. Un., 30 ottobre 2001, n. 13533).
Spetta, per contro, al convenuto, ai sensi dell’art. 1218 c.c., dimostrare
o che adempimento non era dovuto; ovvero che non vi è stato; ovvero che
pur essendovi stato non è dipeso da colpa.
Nel presente giudizio, pertanto, l’Assitalia S.p.A. per formulare correttamente la domanda di rivalsa non aveva altro onere che allegare e provare l’esistenza del contratto e della clausola legittimante la rivalsa stessa, il
che è incontestato che sia avvenuto.
Non aveva, per contro, l’Assitalia alcun onere di allegare che la clausola
contrattuale posta a fondamento della domanda di rivalsa fosse stata portata
a conoscenza del contraente. Sarebbe stato invece onere di quest’ultimo, volendo invocare la nullità di quella clausola, allegare tempestivamente il fatto
costitutivo dell’eccezione, e cioè che la pretesa dell’assicuratore fosse illegittima perché la clausola in questione non gli era mai stata resa conoscibile
(in violazione dell’art. 1341 c.c., comma 1), ovvero non era mai stata sottoscritta doppiamente (in violazione dell’art. 1342 c.c., comma 2).
Allegazione, che per quanto detto, non risulta mai tempestivamente avvenuta.
2. Il secondo motivo di ricorso.
2.1. Il secondo motivo di ricorso investe la sentenza d’appello nella parte in cui ha ritenuto valida ed efficace la clausola di esclusione della co-
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pertura assicurativa nel caso di trasporto anomalo, nonostante si trattasse di
una condizione generale di contratto che il ricorrente afferma non conosciuta e non conoscibile dal contraente, e dunque inefficace ai sensi dell’art.
1341 c.c., comma 1.
Il motivo è formalmente articolato in quattro distinte censure.
2.2. Con la prima censura del secondo motivo il sig. L.F. lamenta che
la sentenza impugnata sarebbe viziata da una omessa motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.
Deduce che la clausola di esclusione della copertura assicurativa, poichè predisposta unilateralmente e destinata a regolare una serie indefinita
di rapporti, poteva ritenersi valida ed efficace solo se conosciuta e conoscibile dal contraente per adesione al momento della stipula. Nel caso di
specie, tuttavia, il contratto non era stato sottoscritto dal sig. L.F. (una consulenza tecnica disposta in grado di appello aveva dimostrato la falsità della firma a lui formalmente imputabile), il quale pertanto non aveva avuto
alcuna conoscenza di tale clausola.
La Corte d’Appello, nondimeno, aveva ritenuto la clausola in esame valida ed efficace, omettendo di motivare in merito all’elemento di prova rappresentato dalla dimostrata falsità della sottoscrizione della polizza.
2.3. Con una seconda censura, subordinata alla prima, anch’essa formulata nell’ambito del secondo motivo di ricorso, il sig. L. F. lamenta che
la sentenza impugnata sarebbe viziata da un vizio di legge, ai sensi dell’art.
360 c.p.c., n. 3, con riferimento all’art. 1888 c.c.
Espone, al riguardo, che la Corte d’Appello avrebbe errato nel ritenere
da lui nota od a lui conoscibile una clausola non contenuta nella polizza,
ma contenuta in un clausolario cui la polizza rinviava con una clausola di
rinvio mai da lui sottoscritta.
2.4. Con la terza censura del secondo motivo di ricorso il sig. L.F. torna a lamentare il vizio di motivazione, allegando questa volta che la sentenza impugnata sarebbe viziata da una contraddittoria motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.
Espone, in particolare, che la sentenza sarebbe contraddittoria per avere da un lato ritenuto che il sig. L.F. avesse sottoscritto il testo contrattuale
nel quale dichiarava di avere preso visione delle condizioni generali di contratto; e dall’altro lato dato atto che la suddetta sottoscrizione era falsa.
2.5. Infine, con la quarta censura del secondo motivo di ricorso il sig.
L.F. torna a lamentare il vizio di motivazione, allegando questa volta che
la sentenza impugnata sarebbe viziata da una insufficiente motivazione, ai
sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.
Espone, in particolare, che la Corte d’Appello ha ritenuto la clausola di
esclusione della copertura assicurativa “conoscibile con l’uso dell’ordina-
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ria diligenza” da parte del sig. L.F., perché “usuale” nei contratti di assicurazione della r.c.a.
Tuttavia, prosegue il ricorrente, la Corte d’Appello ha omesso di considerare che l’assicuratore non aveva dato alcuna pubblicità a quella clausola, e che di conseguenza non poteva ritenersi nota al contraente sol perchè diffusa nella pratica commerciale.
2.6. Tutte e quattro le censure prospettate col secondo motivo possono
essere esaminate congiuntamente, in quanto tutte inammissibili, in quanto
l’eventuale accoglimento del motivo non basterebbe a travolgere la sentenza d’appello.
Si è detto, infatti, che quest’ultima ha fondato le proprie statuizioni su
una duplice ratio decidendi:
(a) l’eccezione di nullità della clausola era tardiva;
(b) in ogni caso non sussistevano i dedotti profili di nullità (mancata conoscenza o conoscibilità e mancata sottoscrizione).
Or bene, poiché la statuizione sub (a), per quanto detto ai par. 1.2 e seguenti, resiste alle critiche rivoltele dal ricorrente, ed è di per sé idonea a
sorreggere la decisione d’appello, ne segue che l’eventuale accoglimento
del secondo motivo non potrebbe comunque comportare la cassazione della sentenza impugnata.
3. Il terzo motivo di ricorso.
3.1. Il terzo motivo di ricorso si articola in tre censure distinte.
Con la prima di esse il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sia
affetta da violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3.
Espone al riguardo che la Corte d’Appello, negando la natura vessatoria della clausola che escludeva la copertura assicurativa nel caso di trasporto anomalo, avrebbe violato gli artt. 1362 e 1370 c.c.: avrebbe violato
la prima, perché la clausola in esame aveva l’effetto di limitare la responsabilità dell’assicuratore per gli illeciti causati dall’assicurato, che costituiva l’oggetto del contratto; avrebbe violato la seconda, perché in ogni caso
anche a ritenere ambigua la clausola in contestazione, la Corte avrebbe dovuto applicare il principio dell’interpretatio contra proferentem, ed interpretarla in senso sfavorevole al predisponente.
3.2. Con la seconda censura il ricorrente lamenta il vizio di motivazione della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.
Espone, al riguardo, che la sentenza impugnata avrebbe omesso di considerare che la clausola di delimitazione del rischio, anche se non fosse stata vessatoria, sarebbe stata comunque nulla ai sensi dell’art. 1469 bis c.c.,
in quanto inserita in un contratto stipulato dal consumatore e produttiva di
un significativo squilibrio tra le parti.
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Giurisprudenza
3.3. Con la terza censura del terzo motivo di ricorso, infine, il sig. L.F.
lamenta ancora l’esistenza d’un vizio di motivazione nella sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.
Espone al riguardo che l’art. 1 della Direttiva CE del Consiglio 14 maggio 1990, n. 90/232 (c.d. “Terza Direttiva”) imponeva agli Stati membri di
prevedere che l’assicurazione della r.c.a. debba coprire obbligatoriamente i
danni alla persona patiti da qualsiasi passeggero. La clausola in contestazione pertanto, “limitando la ben più ampia responsabilità prevista dalle norme
comunitarie”, aveva per ciò solo natura vessatoria: non considerando tale
aspetto, la Corte d’Appello avrebbe adottato una motivazione carente.
3.4. Tutte e tre le censure appena riassunte sono inammissibili, per la
stessa ragione indicata supra, par. 2.6.
Si è detto infatti che la sentenza d’appello è fondata su due autonome
rationes decidendi (tardività dell’eccezione di nullità e insussistenza della
causa di nullità). Pertanto, anche se il motivo in esame fosse fondato, l’accoglimento di esso non varrebbe a caducare la motivazione della sentenza
impugnata.
3.5. Vale la pena ricordare comunque che:
(a) la prima censura è altresì inammissibile perché, sotto le vesti della
violazione degli artt. 1362 e 1370 c.c., richiede alla Corte di Cassazione una
interpretazione del contratto diversa da quella adottata dal giudice di merito, con motivazione non carente né illogica;
(b) la seconda censura, all’opposto, sotto le vesti del vizio di motivazione denuncia in realtà una violazione di legge (dell’art. 1469 bis c.c., vigente ratione temporis), rispetto alla quale come noto non è concepibile un
vizio di motivazione, e ciò a tacer del fatto che l’art. 1469 bis c.c. è stato
introdotto nel codice civile dalla l. 6 febbraio 1996, n. 52 (recante “Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee – legge comunitaria 1994”), successiva alla stipula del contratto di assicurazione oggetto del presente giudizio, e non applicabile retroattivamente;
(c) la terza censura, oltre a presentare anch’essa come vizio di motivazione una censura consistente invece in una tipica violazione di legge, confonde la risarcibilità dei danni personali patiti dai terzi trasportati, che è oggetto della previsione comunitaria, con i limiti della copertura assicurativa del
patrimonio del proprietario del veicolo, estranea alle previsioni comunitarie.
4. Il quarto motivo di ricorso.
4.1. Col quarto motivo di ricorso il sig. L.F. lamenta che la sentenza impugnata sarebbe incorsa sia in una violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c.,
n. 3; sia in una nullità del procedimento, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4.
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4.2. Sotto il primo profilo espone che il sinistro nel quale perse la vita
il giovane L.M.A. era stato causato dall’eccesso di velocità del conducente, non dall’eccessivo numero di trasportati.
Pertanto il difetto di nesso di causa tra numero delle persone trasportate e sinistri inibiva all’assicuratore l’azione di rivalsa.
Accogliendo, per contro, la domanda di rivalsa dell’assicuratore, la Corte d’Appello avrebbe violato l’art. 1898 c.c.
4.3. Sotto il secondo profilo, il ricorrente espone (alquanto confusamente, in verità) che la sentenza impugnata avrebbe violato il principio di
corrispondenza tra chiesto e pronunciato, “avendo l’odierno ricorrente posto la questione del mancato aggravamento del rischio facendone oggetto
di uno specifico motivo d’appello”.
4.4. Ambedue i profili del quarto motivo di ricorso sono anch’essi assorbiti dal rigetto del primo motivo di ricorso, in virtù di quanto già esposto al par. 2.6 (duplicità della ratio decidendi nella sentenza impugnata).
Essi comunque sono manifestamente infondati nel merito, posto che – da
un lato – la Corte d’Appello non ha in alcun modo violato l’art. 1898 c.c.,
per la semplice ragione che la questione ad essa sottoposta prescindeva del
tutto dall’ambito applicativo di tale norma; e – dall’altro – che la questione dell’applicabilità o meno dell’art. 1898 c.c., è stata esaminata e risolta
dalla Corte d’Appello alle pp. 11-12 della sentenza impugnata, sicché non
v’è stata alcuna omessa pronuncia.
5. Le spese.
Non è luogo a provvedere sulle spese, attesa la indefensio dell’Assitalia S.p.A.
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CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
(Sez. III) – 19 marzo 2014, n. 6341– Pres. Berruti, Est. Frasca, P.M. Servello (conf.) – S. (avv. Miotti) c. Azienda Sanitaria Rm Polo Ospedaliero Civitavecchia-Bracciano ed altri.
(Sentenza impugnata: App. Roma 19 maggio 2009)
Risarcimento del danno – Colpa medica – Aggravamento di patologie
pregresse – Criteri di liquidazione.
Quando una persona già invalida sia malamente curata, ed in conseguenza di errore del medico veda aggravarsi la propria condizione, il risarcimento del danno causato dal medico deve avvenire: (a) monetizzando
il grado di invalidità permanente complessivamente residuato all’intervento; (b) monetizzando il grado di invalidità permanente che sarebbe comunque residuato all’intervento, anche in caso di corretta esecuzione; (c)
sottraendo il secondo di tali importi dal primo (1).
La Corte ecc. (Omissis). FATTO. – 1. S.A. ha proposto ricorso per cassazione contro l’Azienda sanitaria (omissis) Polo Ospedaliero Civitavecchia-Bracciano e Si.Cl. avverso la sentenza del 19 maggio 2009, con la quale la Corte d’Appello di Roma ha rigettato il suo appello contro la sentenza del Tribunale di Roma del 10 marzo 2004 che, provvedendo sulla domanda proposta nel 2000 da esso ricorrente per ottenere il risarcimento dei
(1) La sentenza chiarisce i criteri di liquidazione del c.d. danno differenziale iatrogeno, ovvero del danno biologico consistito in un aggravamento di pregresse patologie, causato dall’errore del medico. La materia non fa registrare precedenti di legittimità, ma analogo principio era già stato affermato da vari giudici di merito: in tal senso, ex aliis, Trib. Roma 28 maggio 2004, Cavagnis c. Medov, inedita; Trib. Roma 27
aprile 2003, Iorillo c. GIOMI, inedita; Trib. Roma 6 ottobre 1997, in Giurispr. romana, 1997, 391.
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Dalla Corte di Cassazione
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danni sofferti in conseguenza della cattiva esecuzione di un intervento sull’arto superiore sinistro, eseguito presso l’Ospedale di (omissis) da una équipe diretta dal dottor Si., aveva ritenuto la responsabilità dell’Ospedale e del
Si., reputando che a cagione dell’intervento fosse stata provocata un’invalidità permanente del 5% per la quale aveva liquidato i danni in relazione
ad essa, alla stregua delle Tabelle in uso presso il Tribunale di Roma, in euro 4.532,00 all’attualità. La sentenza aveva, poi, riconosciuto in euro 5.167,50
il danno da invalidità temporanea, determinato in euro 3.000,00 “in moneta attuale” il “danno morale”, quantificato in euro 8.219,94 al lordo della
rivalutazione il danno a titolo di rimborso di spese mediche, e così complessivamente quantificato il danno in euro 20.738,50 ai quali aveva cumulato euro 6.763,00 a titolo di danno da lucro cessante conseguente alla
mancata disponibilità dell’equivalente monetario del danno per il periodo
intercorso dalla data dell’illecito a quella della decisione. Sull’importo complessivo di euro 27.501,50 la sentenza di prime cure aveva poi riconosciuto dovuti gli interessi legali dalla pubblicazione della sentenza al saldo.
2. Al ricorso ha resistito con controricorso l’Azienda Sanitaria (omissis) Polo Ospedaliero Civitavecchia-Bracciano, mentre non ha svolto attività difensiva il Si., rimasto contumace in grado di appello.
3. Le parti costituite hanno depositato memoria.
4. I difensori delle parti hanno depositato osservazioni ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 379 c.p.c.
DIRITTO. – 1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta letteralmente,
secondo l’intestazione, “relativamente alla liquidazione del danno biologico, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5”.
1.1. L’illustrazione del motivo – nella quale si assume come oggetto di
critica la motivazione con cui la Corte territoriale, provvedendo sul terzo
motivo di appello (riportata nella parte dedicata all’esposizione del fatto),
lo ha rigettato – è conclusa da un momento di sintesi che ha il seguente tenore: “La motivazione espressa dal giudice di appello nella parte in cui conferma la statuizione del giudice di primo grado relativamente alla valutazione-liquidazione (5% uguale euro 4.352,00) del maggior danno biologico subìto dal signor S.A., rapportabile a responsabilità professionale dell’Ospedale e del medico convenuti, è insufficiente e contraddittoria e del
tutto inidonea a giustificare la decisione di rigetto dell’appello, per il semplice fatto che la stessa non tiene conto del reale contenuto della CTU, che
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(confermata dalla CTP del dott. E.) ha riconosciuto il maggior danno nella
percentuale che va dal 5% al 10%, il che è cosa ben diversa che riconoscere un danno risarcibile pari al 5%, visto che la valutazione del danno nelle
Tabelle, per punteggi crescenti di I.P., non varia in misura proporzionale
ma varia in misura progressiva; dunque, il Giudice d’appello avrebbe dovuto riformare la sentenza per procedere alla quantificazione del maggior
danno effettivamente subìto dal sig. S.A., intendendo aderire alla CTU,
avrebbe dovuto conteggiare l’invalidità permanente nella misura del 10%
e all’importo così ottenuto avrebbe dovuto sottrarre l’invalidità permanente nella misura del 5%”.
1.2. Nella illustrazione del motivo si assume come oggetto di critica la
motivazione con cui la Corte territoriale, provvedendo sul terzo motivo di
appello (riportata nella parte dedicata all’esposizione del fatto), lo ha rigettato.
1.3. La critica è svolta, sostanzialmente riproponendo quanto si era detto nel motivo di appello, adducendo che tanto il primo giudice, quanto il
giudice d’appello con la ricordata motivazione condividente l’avviso del
primo, avrebbero liquidato secondo le tabelle applicate l’importo in esso
corrispondente in tabella al 5% di invalidità, anziché assumere come parametro tabellare quello corrispondente all’invalidità accertata dalla C.T.U.
nel 10% e, quindi, ridurre l’equivalente monetario tabellato in relazione a
tale grado di invalidità di quello corrispondente al grado di invalidità del
5% non attribuibile alla cattiva esecuzione dell’intervento, ma, sempre ad
avviso della C.T.U., come postumo non eliminabile di una caduta e di una
frattura come quella subìta dal S. anche a seguito di un intervento operatorio eseguito correttamente.
L’adozione di tale criterio, essendo l’importo previsto dalla tabella di
euro 14.501,00 avrebbe determinato, una volta sottratto quello corrispondente all’invalidità al 5%, che era stato invece, riconosciuto, pari ad euro
4.352,00 un dovuto di euro 10.149,00.
1.3. Preliminarmente va rilevato che l’eccezione sollevata da parte resistente nel suo controricorso, sotto il profilo della inosservanza dell’art.
366 c.p.c., n. 6, prima di procedere all’esame dei vari motivi, non risulta relativa al primo motivo, posto che, dopo le considerazioni generali che si
svolgono sulla c.d. autosufficienza, in realtà volendo evocare il requisito
della c.d. indicazione specifica di cui a detta norma, si fanno riferimenti a
parti del ricorso che non concernono quella dove si espone il primo motivo, in particolare alle pagine 53 e ss. e 76 e ss.
In ogni caso, l’esposizione del motivo in esame rispetta l’art. 366 c.p.c.,
n. 6, atteso che, oltre a riportare il contenuto della motivazione impugnata,
riporta quello della sentenza di primo grado, i brani della C.T.U. (indicata
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come prodotta in calce al ricorso) ed il tenore dei chiarimenti resi dai C.T.U.
(indicando riguardo a questi l’udienza in cui vennero resi). Inoltre, nella
esposizione del fatto è riportato – come s’è già detto – il motivo di appello
cui si riferisce la censura alla sentenza impugnata.
La Corte, dunque, dispone di tutte le indicazioni specificamente necessarie per scrutinare il motivo sulla base degli atti su cui esso si fonda, dovendosi avvertire che anche i riferimenti alle Tabelle in uso presso il Tribunale di Roma sono indicati nell’esposizione del fatto, là dove essa riporta il motivo di appello. Concernendo il motivo di ricorso un errore che si
sarebbe commesso proprio sulla base dei dati riportati, tale indicazione è
sufficiente ad adempiere all’onere di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, di modo
che la diretta cognizione della tabella, che avrebbe reso necessaria la sua
produzione ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, non appare necessaria per esaminare il motivo.
1.5. Non è, poi, fondata l’eccezione di inammissibilità del motivo in
discorso, svolta dalla resistente sotto il profilo che quanto si deduce nell’illustrazione del motivo integra, in realtà la prospettazione di un vizio in
iure, onde il motivo che si sarebbe dovuto fa valere non sarebbe stato quello ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, bensì un motivo ai sensi dell’art. 360
c.p.c., n. 3.
Il Collegio osserva che è corretta la deduzione che quanto si illustra nel
motivo risponde al concetto di una violazione di norma di diritto e precisamente, ancorchè nel motivo non si faccia riferimento ad alcuna norma, ad
una violazione dell’art. 1223 c.c., là dove, con norma applicabile certamente
nella specie, in cui viene in rilievo, secondo la giurisprudenza della Corte
una responsabilità di natura contrattuale, ricollegata ad una cattiva esecuzione di un rapporto curativo, prescrive che il risarcimento del danno per
l’inadempimento deve comprendere “la perdita subìta dal creditore” e, quindi, il danno emergente.
Nell’illustrazione, infatti, si deduce che, nell’individuare il danno emergente la Corte territoriale, confermando l’assunto del primo giudice, avrebbe erroneamente individuato il danno emergente da invalidità permanente
nella misura del 5% anziché del 10% e, quindi, nel procedere alla successiva operazione di liquidazione, chiaramente effettuata ai sensi dell’art. 1226
c.c., come avviene quando si usa il sistema tabellare, lo avrebbe fatto sulla
base di un error in iure in punto di identificazione del detto danno.
Il motivo, in sostanza, sollecita la Corte a censurare un errore di diritto
nella identificazione del danno emergente.
1.5.1. Ora, recentemente le Sezioni Unite della Corte, componendo un
contrasto nella giurisprudenza della Corte stessa in ordine all’apprezzamento di situazioni nelle quali non vi sia corrispondenza fra il modo in cui
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il ricorrente in Cassazione abbia provveduto, nell’ambito dell’onere di contenuto forma del ricorso siccome previsto dall’art. 366 c.p.c., e particolarmente di quello relativo al requisito di cui al n. 4, di tale norma, inerente la
formulazione del motivo, alla correlazione del motivo ad una delle ipotesi
previste dall’art. 360 c.p.c., e, quindi, ad indicare, con un’attività individuatrice di tale correlazione sostanziantesi nella intestazione del motivo con
riferimento ad uno dei numeri dello stesso art. 360 c.c., e, poi, nella sua attività di illustrazione (che rappresenta l’altro contenuto previsto dall’art.
360 c.p.c.) articoli una censura alla sentenza impugnata che non sia corrispondente alla intestazione del motivo, hanno statuito quanto si riporta di
seguito.
Hanno motivato le SS.UU., su un piano generale, pur considerando il
caso specifico in cui vi sia discrepanza fra indicazione del motivo di omessa pronuncia e illustrazione di vizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, o viceversa, osservando quanto segue: “che l’onere della specificità ex art. 366
c.p.c., n. 4, secondo cui il ricorso deve indicare i motivi per i quali si chiede la cassazione, con l’indicazione delle norme di diritto su cui si fondano,
non debba essere inteso quale assoluta necessità di formale ed esatta indicazione della ipotesi, tra quelle elencate nell’art. 360 c.p.c., comma 1, cui
si ritenga di ascrivere il vizio, né di precisa individuazione, nei casi di deduzione di violazione o falsa applicazione di norme sostanziali o processuali, degli articoli, codicistici o di alti testi normativi, comportando invece l’esigenza di una chiara esposizione, nell’ambito del motivo, delle ragioni per le quali la censura sia stata formulata e del tenore della pronunzia
caducatoria richiesta, che consentano al giudice di legittimità di individuare la volontà dell’impugnante e stabilire se la stessa, così come esposta nel
mezzo di impugnazione, abbia dedotto un vizio di legittimità sostanzialmente, ma inequivocamente, riconducibile ad alcuna delle tassative ipotesi di cui all’art. 360 citato. Il principio di diritto che, pertanto, si formula è
il seguente: Nel giudizio per cassazione – che ha ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1 – il ricorso
deve essere articolato in specifici motivi immediatamente ed inequivocabilmente riconducibili ad una delle cinque ragioni di impugnazione previste dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi” (così Cass., Sez. Un., n. 17931 del 2013).
1.5.2. Le Sezioni Unite, dunque, hanno riconosciuto che l’ottemperanza al requisito di cui all’art. 366 c.p.c., n. 4, e, quindi, all’onere di formulazione del motivo e, conseguentemente, l’apprezzamento della attività di formulazione come motivo riconducibile all’art. 360 c.p.c., ed all’interno di
esse ad una delle ipotesi da esso previste, si deve misurare sulla base del-
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l’apprezzamento complessivo della formulazione e, quindi, della combinazione fra l’intestazione del motivo e la sua illustrazione, con la conseguenza che, se non vi sia accordo fra l’una e l’altra in punto di parametrazione
ad uno dei motivi di cui al paradigma dell’art. 360 c.p.c., se l’illustrazione
rivela in modo chiaro che il motivo dedotto è parametrabile ad un numero
dell’art. 360 c.p.c., diverso da quello indicato nella intestazione, il motivo
articolato si deve intendere dedotto effettivamente, all’esito della attività di
qualificazione in iure della “domanda di impugnazione” proposta con il ricorso, con riferimento al numero cui l’attività di illustrazione corrisponde.
1.5.3. Successivamente alla decisione delle Sezioni Unite la I Sezione
della Corte (Cass. n. 24453 del 2013), aderendo all’insegnamento delle Sezioni, ha così statuito: “Il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata
ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Pertanto, nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte,
non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della
fattispecie di cui al n. 4 del primo comma dell’art. 360 c.p.c., con riguardo
all’art. 112 c.p.c., purché il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione; tuttavia, allorché sia formulato un mero momento di sintesi adeguato al vizio di cui al n. 5, il motivo è
inammissibile, ove sia applicabile ratione temporis l’art. 366 bis c.p.c.”.
1.5.4. Il Collegio condivide l’idea che, nel regime dell’art. 366 bis c.p.c.,
se ad un motivo intestato secondo uno dei numeri dell’art. 360 c.p.c., faccia riscontro l’illustrazione di una censura corrispondente ad altro di quei
numeri, ove alla censura effettivamente dedotta non corrisponda il contenuto previsto dall’art. 366 bis in relazione ad essa, cioè, nel caso di illustrazione effettiva di uno dei vizi di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 1, 2, 3 e 4, un
quesito di diritto anziché il momento di sintesi espressivo della c.d. “chiara indicazione”, adeguato all’intestazione del motivo effettuata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, effettivamente il motivo debba considerarsi inammissibile, perché il requisito dell’art. 366 bis c.p.c. non risulta osservato.
Ma ciò deve ritenersi a condizione che quello che il ricorrente ha chiamato “momento di sintesi”, al di là del nomen dato dalla parte, non risulti,
secondo il suo tenore, idoneo a somministrare esso stesso in realtà un quesito di diritto e non una “chiara indicazione” del vizio relativo alla ricostruzione della quaestio facti. In caso contrario, poiché il nome dato dalla
parte non risulta decisivo nello stabilire che cosa concluda l’illustrazione
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del motivo, essendo invece decisivo il suo tenore, il motivo non deve essere dichiarato inammissibile.
E ciò, perché il principio della idoneità al raggiungimento dello scopo
comporta che quanto il ricorrente ha articolato debba essere inteso per quello che contiene e, dunque, se contiene un quesito di diritto, come tale.
1.5.5. Ora, è sufficiente la lettura del “momento di sintesi” sopra riportato per evidenziare che esso non pone in effetti alcuna “chiara indicazione”, bensì un quesito di diritto, atteso che il rifermento al non avere la Corte territoriale determinato la misura dell’invalidità permanente nel danno
rappresentato dall’essere stata determinata una lesione invalidante nella percentuale che va dal 5% al 10% ed averlo invece quantificato secondo le Tabelle come se la lesione invalidante fosse stata del 5% evidenzia una quaestio iuris, sotto il profilo dell’erronea sussunzione di quanto in fatto accertato dalla C.T.U. sotto la normativa di individuazione del danno.
Si deve, poi, aggiungere che l’intendimento come effettivo quesito di
diritto di quello che il ricorrente ha chiamato “momento di sintesi” è consentito dal carattere di conclusività che presenta l’enunciazione, sia sotto il
profilo del riferimento alla vicenda considerata, sia sotto quello della motivazione della sentenza impugnata.
1.6. Nulla osta, dunque, all’apprezzamento del motivo come vizio di
violazione di norma sostanziale nel senso corrispondente a quanto effettivamente è illustrato nel motivo, perché lo stesso quesito palesa detto vizio.
1.7. È vero, come si è detto, che l’illustrazione, così come il quesito,
omettono l’indicazione espressa della norma dell’art. 1223, siccome violata, ma il tenore dell’uno e dell’altra, sono rivelatori che proprio la violazione di essa si imputa alla sentenza impugnata.
Ora, è stato già statuito che “L’indicazione, ai sensi dell’art. 366 c.p.c.,
n. 4, delle norme che si assumono violate non si pone come requisito autonomo ed imprescindibile ai fini dell’ammissibilità del ricorso per cassazione, ma come elemento richiesto al fine di chiarire il contenuto delle censure formulate e di identificare i limiti della impugnazione, sicché la mancata od erronea indicazione delle disposizioni di legge non comporta l’inammissibilità del gravame ove gli argomenti addotti dal ricorrente, valutati nel
loro complesso, consentano di individuare le norme o i principî di diritto
che si assumono violati e rendano possibile la delimitazione del quid
disputandum” (Cass. n. 12929 del 2007; anteriormente: Cass. n. 10501 del
1993; successivamente, Cass. n. 23961 del 2010).
Orientamento questo che sostanzialmente è stato avallato anche dalla
citata sentenza delle Sezioni Unite.
1.8. Tanto premesso e ritenutane l’ammissibilità con la prospettata qualificazione, il motivo è fondato.
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La Corte territoriale e prima ancora il Tribunale hanno erroneamente
applicato l’art. 1223 c.c. in punto di determinazione del danno c.d. evento
derivato dalla cattiva esecuzione dell’intervento operatorio sul ricorrente.
Tale danno, infatti, fermo che la situazione della integrità fisica del medesimo, in ragione di quanto ritenuto dalla C.T.U., in dipendenza della natura della lesione conseguita alla caduta e, quindi, per l’accadimento pregresso
all’intervento, era ormai irrimediabilmente compromessa nella misura del
5%, esito non eliminabile in alcun modo dalla scienza medica, il dannoevento cagionato dalla cattiva esecuzione dell’intervento si è concretato nell’essere stata portata la situazione di menomazione all’integrità fisica dal
5% al 10%, là dove la prestazione medica eseguita al meglio avrebbe dovuto lasciare il ricorrente nella situazione invalidante al 5%. Il danno-evento cagionato dalla cattiva esecuzione dell’intervento è, dunque, la determinazione di una situazione invalidante del 10%. La determinazione di tale
situazione risulta ascrivibile alla sola cattiva esecuzione dell’intervento e lo
è per essere stata l’integrità del ricorrente diminuita fino al 10%.
Il danno evento così verificatosi, tuttavia, fino a concorrenza del 5%,
non è imputabile alla resistente ed all’intimato perché ciò che essi hanno
determinato è solo la perdita di integrità dal 5% al 10%.
Ora, nel liquidare il danno secondo il sistema tabellare, considerare
l’equivalente di un’invalidità del 5% significa considerare un danno-evento diverso da quello cagionato dai responsabili, perché la loro condotta ha
cagionato il danno-evento rappresentato non dalla perdita dell’integrità fisica da zero al 5%, bensì in quella dal 5% al 10%.
L’equivalente da considerare era, dunque, quello pari al 10%, ma, come correttamente prospetta il ricorrente non già nella integrità bensì solo in
quello che, secondo le tabelle applicate rappresenta la differenza fra il valore dell’invalidità del 10% e quello del 5%.
Di quest’ultimo, infatti – che non si sa se sia addebitabile al caso fortuito o a colpa dello stesso ricorrente in occasione della caduta da cavallo
e della verificazione del trauma certamente determinanti, per effetto di cosa giudicata interna, in modo irreversibile un’invalidità fino al 5% – non
debbono rispondere l’Ospedale ed il Si.
La sentenza impugnata, considerando l’equivalente dell’invalidità del
5% ha considerato, dunque, erroneamente il danno-evento, che non era una
perdita dell’integrità dal valore zero fino al 5%, bensì quello della perdita
dell’integrità dal valore 5% al 10%.
1.9. La sentenza impugnata dev’essere, dunque, cassata sul punto in applicazione del seguente principio di diritto: “allorquando un intervento medico si esegua su una situazione di compromissione dell’integrità fisica del
paziente e risulti, secondo le regole di una sua esecuzione ottimale e per quan-
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Giurisprudenza
to accertato a posteriori, che la situazione avrebbe potuto essere ripristinata
soltanto in parte e non integralmente, e che, dunque, l’intervento comunque
avrebbe lasciato al paziente una percentuale di compromissione della integrità, qualora la cattiva esecuzione dell’intervento abbia determinato una situazione di compromissione dell’integrità fisica del paziente ulteriore rispetto
alla percentuale che non si sarebbe potuta eliminare, il danno-evento dev’essere individuato nella compromissione della integrità dal punto percentuale corrispondente a quanto non sarebbe stato eliminabile fino a quello corrispondente alla compromissione effettivamente risultante. Ne consegue che,
ai fini della liquidazione con il sistema tabellare deve assumersi come percentuale di invalidità non quella corrispondente al punto risultante dalla differenza fra le due percentuali, bensì la percentuale corrispondente alla compromissione effettivamente risultante, di modo che da quanto monetariamente indicato dalla tabella per esso deve sottrarsi quanto indicato per la percentuale di invalidità non riconducibile alla responsabilità”.
2. Con un secondo motivo si denuncia “relativamente al danno lavorativo specifico, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360
c.p.c., n. 5”.
Vi si critica la motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui
ha confermato la sentenza di primo grado, là dove aveva negato il riconoscimento di un danno da perdita della capacità lavorativa specifica correlata all’attività lavorativa che all’epoca svolgeva il ricorrente, cioè quella di
grafico pubblicitario.
La critica è riferita alla motivazione della sentenza impugnata con il seguente passo – nel quale sono riportati due passi di essa, che qui vengono
riportati in corsivo – osservandosi che “La Corte d’Appello di Roma, nella sentenza oggi impugnata per quanto riguarda il danno patrimoniale derivante da una menomazione al gomito che impediva all’attore di svolgere
l’attività di grafico pubblicitario”, nel motivare il rigetto dell’appello proposto dal sig. S. (v. punto 2 della motivazione) fa richiamo alle solide argomentazioni contenute in sentenza circa l’effettiva influenza che la grave
invalidità al gomito possa aver avuto sulla concreta capacità lavorativa dell’attore ed inoltre afferma. “Peraltro un danno da micro permanente, normalmente non influisce sulle capacità di guadagno di una persona tranne in
casi eccezionali. E nel caso concreto il S. non ha dimostrato quali attività
gli siano state completamente precluse, senza indicare se egli fosse destrorso
o mancino, sicché non si è in grado di comprendere come una lesione micropermanente al gomito sinistro possa avere concretamente ed effettivamente influito sulla sua capacità di guadagno”.
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La critica ai due passi della motivazione impugnata viene illustrata:
a) argomentando che essa non avrebbe tenuto conto del reale contenuto della C.T.U., della quale si riportano due passi ed uno, in particolare, dove i C.T.U. avevano affermato che “tale danno cioè l’accertata invalidità
permanente si ripercuote negativamente sull’attività lavorativa del periziando che risulta essere quella di grafico pubblicitario”; b) adducendo che
“il danno biologico subìto dal S. ha inciso in maniera permanente sulla propria capacità lavorativa specifica, con conseguente danno patrimoniale futuro da lucro cessante per tutta la durata della propria vita lavorativa, in
quanto l’ha costretto a rinunciare alla propria professione con conseguente
presumibile riduzione di guadagno, in relazione alla necessità di svolgere
lavori non qualificati ovvero di acquisire una nuova diversa qualificazione,
compatibile con il suo stato”; c) soggiungendo che “la documentazione in
atti ha provato che il sig. S. al tempo del sinistro svolgeva attività di grafico pubblicitario e che successivamente è stato costretto a cambiare professione, come si evince dalla documentazione attestante la cessazione dell’attività di grafico svolta in società e dalla documentazione attestante il proseguimento dell’attività da parte degli ex soci”.
2.1. Il motivo presenta una prima ragione di inammissibilità, sotto il
profilo che:
aa) si fonda su una deduzione, quella secondo cui la sofferta invalidità
avrebbe costretto il ricorrente a rinunciare alla propria professione, della
quale non si fornisce l’indicazione specifica ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n.
6, cioè non si dice se e dove era stata introdotta nel giudizio di merito: si
osserva che, nella riproduzione nell’esposizione del fatto del motivo di appello che poneva la questione di cui si occupa il motivo in esame, risulta ripetuta con lo stesso tenore l’argomentazione che in quest’ultimo viene svolta, ma anche lì senza che emerga se, dove e come fosse entrata nel giudizio
di primo grado (e precisandosi che era ad esso sopravvenuta);
bb) si fonda su documentazione non meglio specificata, riguardo alla quale – come ha anche eccepito correttamente la resistente – non viene parimenti
fornita l’indicazione specifica ai sensi di detta norma, atteso che i documenti non vengono nemmeno identificati, non se ne riproduce né direttamente né
indirettamente il contenuto (in questo secondo caso indicando a quale parte
di esso corrisponderebbe), non si indica se e dove essi vennero prodotti e se
e dove (anche agli effetti dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4) siano stati prodotti in questo giudizio di legittimità: anche qui la frase sopra riportata è identica a quella che era stata articolata nel motivo di appello che si legge nell’esposizione del fatto ed anche in quella sede mancano le dette indicazioni.
Il motivo è, dunque, inammissibile per violazione dell’art. 366 c.p.c.,
n. 6 (sulla sua esegesi, ex multis, Cass. n. 7455 del 2013).
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Giurisprudenza
2.2. Il motivo, comunque, è inammissibile anche perché non si correla
alla motivazione della sentenza impugnata. Il primo passo motivazionale che
si riproduce, infatti, lo è senza la riproduzione della sua chiusa finale che
rappresenta l’esito del ragionamento pregresso e che suona, dopo la parola
“dell’attore” così: “...va detto che quanto al danno, cioè alla diminuzione di
reddito effettivamente patita dall’attore, nessuna prova è stata da lui fornita
in primo grado”: questa chiusa costituisce l’effettiva motivazione della sentenza impugnata, che si basa non già sull’astratta idoneità della invalidità a
determinare una diminuzione della capacità lavorativa, che sarebbe il danno c.d. evento, bensì sull’omessa dimostrazione del danno-conseguenza, cioè
della diminuzione del reddito, della perdita patrimoniale.
Questa motivazione, confrontando il motivo con la sentenza non è in
alcun modo criticata. Ne segue che viene in rilievo il principio di diritto secondo cui: “Il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione,
secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore,
della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può
considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata,
le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per
inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è
espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c.,
n. 4” (Cass. n. 359 del 2005, seguita da numerose conformi).
È, poi, appena il caso di rilevare che, una volta considerato quanto il ricorrente ha omesso di riportare, il secondo passo motivazionale sopra riportato, in realtà, concerne il motivo di appello che, in mancanza proprio
della suddetta dimostrazione, sollecitava una liquidazione nei termini di cui
al motivo seguente.
2.3. Il secondo motivo è, dunque, dichiarato inammissibile.
3. Con il terzo motivo si denuncia “violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, del d.l. 23 dicembre 1976, n. 857, art. 4, comma 3,
convertito in l. 26 febbraio 1977, n. 39, anche con riferimento all’art. 3 Cost.”.
L’illustrazione è conclusa dal seguente quesito di diritto: “con riferimento ad una fattispecie come quella de quo, ove la CTU espletata ha ri-
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conosciuto esplicitamente che il danno biologico subìto dall’attore si ripercuote negativamente sull’attività lavorativa specifica del periziando, che risulta essere quella di grafico pubblicitario, costituisce violazione della norma di cui al d.l. 23 dicembre 1976, n. 857, art. 4, comma 3, convertito in l.
26 febbraio 1977, n. 39, anche con riferimento all’art. 3 Cost., negare l’applicabilità del criterio del triplo della pensione sociale per calcolare la perdita patrimoniale subìta dallo stesso, soltanto perché lo stesso non ha prodotto documentazione in merito ai suoi guadagni per un’attività che però
ha provato aver svolto in forma societaria per oltre cinque anni dopo
l’acquisizione del relativo diploma ed aver abbandonato solo dopo lo stabilizzarsi delle lesioni, mentre i suoi soci la continuavano?”.
Vi si censura la motivazione con cui la Corte d’Appello, dopo avere rilevato – come s’è veduto – che nessuna prova era stata fornita in primo grado riguardo alla diminuzione del reddito, ha disatteso il motivo d’appello
con cui il ricorrente aveva invocato che la diminuzione del reddito fosse
ragguagliata al triplo della pensione sociale.
La Corte capitolina ha, in particolare, osservato quanto segue: “Nei motivi di appello il S., chiede l’applicazione di una diminuzione di reddito con
riferimento al triplo della pensione sociale; ma questo criterio, nel caso in
esame, non può essere adottato, perché il criterio del triplo della pensione
sociale si utilizza solo per calcolare la perdita patrimoniale subìta da persone che non hanno reddito o il cui reddito non è dimostrabile. Nel caso in
esame, invece, il S. ha dichiarato di svolgere l’attività di grafico pubblicitario, ma non ha prodotto alcun documento in merito ai suoi guadagni ed
anche se non viene indicato quali fossero i guadagni precedenti e quale fosse stata la effettiva diminuzione di reddito subìta”.
Solo dopo, ad ulteriore conferma di tale motivazione, ha osservato quanto già riportato nel secondo passo evocato dal ricorrente nella illustrazione
del secondo motivo.
3.1. Ora, è sufficiente la mera lettura del quesito per evidenziare che esso è inammissibile nuovamente per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, atteso che in esso si fa riferimento allo svolgimento in forma societaria per oltre cinque anni dopo l’acquisizione del diploma e all’abbandono dell’attività dopo lo stabilizzarsi delle lesioni, ma nuovamente senza adempiere, nemmeno nell’illustrazione del motivo, al requisito previsto da detta norma.
3.2. Il motivo, peraltro, presenta anche un’altra causa di inammissibilità, che emerge per il fatto che, se si procede alla lettura della sua illustrazione, si evidenzia che, in realtà, ciò che si imputa alla Corte territoriale non
è di non avere applicato il criterio del triplo valorizzando le due circostanze su indicate ed evocate nel motivo, bensì di non averlo applicato reputando che esso possa soccorrere in mancanza di dimostrazione probatoria
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Giurisprudenza
da parte del soggetto espletante un’attività lavorativa dell’effettiva diminuzione subìta dal suo reddito.
In pratica, il motivo postula che la Corte territoriale avrebbe dovuto liquidare il danno alla stregua del detto criterio nonostante l’assenza di dimostrazione di quella diminuzione. In tal modo si evoca una quaestio iuris
che non trova corrispondenza nel quesito e tanto determina l’inammissibilità del motivo, perché il quesito formulato non è pertinente al motivo, che,
dunque, è come se non fosse assistito da quesito.
Il motivo, pertanto, risulta inammissibile ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c.
3.3. Il motivo, inoltre, se fosse ammissibile e dovesse scrutinarsi in base a quello che prospetta la sua illustrazione, sarebbe privo di fondamento.
Ciò, in base al seguente principio di diritto: “L’accertamento di postumi
permanenti, incidenti con una certa entità sulla capacità lavorativa specifica,
non comporta l’automatico obbligo del danneggiante di risarcire il danno patrimoniale, conseguenza della riduzione della capacità di guadagno – derivante dalla ridotta capacità lavorativa specifica – e quindi di produzione di
reddito; detto danno patrimoniale da invalidità deve perciò essere accertato
in concreto attraverso la dimostrazione che il soggetto leso svolgesse o, trattandosi di persona non ancora dedita ad attività lavorativa, presumibilmente
avrebbe svolto, un’attività produttiva di reddito. La liquidazione del danno,
peraltro, non può essere fatta in modo automatico in base ai criteri dettati dalla l. 26 febbraio 1977, n. 39, art. 4, che non comporta alcun automatismo di
calcolo, ma si limita ad indicare alcuni criteri di quantificazione del danno sul
presupposto della prova relativa che incombe al danneggiato e può essere anche data in via presuntiva, purché sia certa la riduzione di capacità lavorativa specifica. (Nella specie il giudice di merito aveva liquidato, facendo ricorso al criterio del triplo della pensione sociale, il danno patrimoniale del
soggetto vittima di un sinistro stradale con postumi accertati – sotto il profilo del danno biologico – nel 75 per cento dell’integrità psicofisica, sulla base della presunzione che lo stesso, avendo documentato di esser stato lavoratore dipendente in qualità di cuoco fino a sei anni prima del sinistro, svolgesse
tale attività nell’esercizio commerciale di cui era titolare. La S.C., nell’enunciare i principî di cui alla massima, ha cassato tale sentenza, non essendo stata fornita la prova che l’attore svolgesse l’attività di cuoco e non attività meramente imprenditoriale, né che avesse subìto una contrazione del reddito in
conseguenza dell’incidente)” (Cass. n. 10026 del 2004).
Con questo orientamento si sono poste in contrasto inconsapevole due
sole sentenze di questa Sezione: si tratta di Cass. n. 17179 del 2007 e, più
di recente, di Cass. n. 7531 del 2012.
Sennonché, questa seconda sentenza si limita a richiamare la prima, la
quale, a sua volta, non risulta consapevole delle esatte affermazioni di Cass.
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n. 10026 del 2004 ed anzi richiama Cass. n. 1120 del 2006 che si pose nel
solco della sentenza del 2004, seguita da tutti gli altri precedenti in termini.
Le due sentenze postesi in contrasto con l’orientamento consolidato non
sembrano, pertanto, avere affrontato adeguatamente il problema e appaiono, dunque, prive di funzione momofilattica.
3.4. Nel caso oggetto della lite si deve rilevare che era provato in giudizio solo che il ricorrente svolgeva attività di grafico pubblicitario e che lo
stato invalidante era potenzialmente idoneo ad incidere sulla sua capacità
lavorativa, ma per come ha detto la Corte di merito nessuna dimostrazione
del danno-conseguenza derivante da una contrazione del reddito era stata
fornita ed anzi, a monte, nemmeno alcuna dimostrazione di quale fosse il
reddito prima e dopo l’evento. Applicare il criterio del triplo in tale situazione si sarebbe risolto nel riconoscere esistente un danno senza che esso
sia stato provato.
3.5. È da rilevare che il riferimento che nel secondo passo motivazionale sopra riportato la Corte territoriale fa all’essere il danno sofferto dal S.
danno da micropermanente, una volta individuata, come s’è fatto in accoglimento del primo motivo, nel 10% l’invalidità del medesimo, sebbene con
responsabilità addebitabile all’Ospedale ed al medico per la parte fra il 5%
ed il 10%, non si può considerare esatto, perché non si è di fronte ad una
micropermanente. Tuttavia, essendo quel riferimento una motivazione solo aggiuntiva alla mancanza di dimostrazione del pregiudizio economico
innanzi evidenziata, l’errore resta irrilevante.
4. Con il quarto motivo si prospetta “relativamente al rigetto delle critiche precise e circostanziate espresse dal CTP rispetto alla CTU, omessa
insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5”.
L’illustrazione si articola dalla pag. 61 alla pag. 69 e, quindi, si conclude con la formulazione di un momento di sintesi, dalla pag. 70 a metà
quasi della pag. 74.
Non si comprende come tale estesa prospettazione possa fungere da momento di sintesi alla stregua della pur evocata giurisprudenza della Corte a
partire da Cass. (ord.) n. 16002 del 2007 e n. 20603 del 2007, atteso che
contraddice il concetto stesso di sintesi un’esposizione così lunga. Ciò è
tanto vero che nell’ambito di siffatto preteso momento di sintesi gran parte dell’esposizione riproduce la relazione del CTP già riprodotta nella illustrazione. In pratica quello che si è denominato momento di sintesi rappresenta, anche nell’attività enunciativa la riproposizione dell’illustrazione del
motivo.
4.1. Il motivo è, dunque, dichiarato inammissibile.
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Giurisprudenza
5. Il quinto e il sesto motivo, a questo punto, inerendo le statuizioni sulle spese non debbono essere scrutinati, perché tali statuizioni cadono per
effetto della cassazione parziale della sentenza.
6. Conclusivamente dev’essere accolto il primo motivo e la sentenza
dev’essere cassata in relazione con rinvio. Sono dichiarati inammissibili il
secondo, il terzo e il quarto. Il quinto e il sesto restano assorbiti. Il giudice
di rinvio, che si designa in altra Sezione della Corte d’Appello di Roma, comunque in diversa composizione, si atterrà al principio di diritto enunciato
nel paragrafo 1.9.
7. Al giudice di rinvio è rimesso di provvedere sulle spese del giudizio
di cassazione. (Omissis).
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CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
(Sez. III) – 1° aprile 2014, n. 7531 – Pres. Russo, Est. Carleo, P.M. Sgroi
(conf.) – Assicurazioni Generali S.p.A. ed altro (avv. Resca ed altro) c.
Fall. F.lli Piccin Autotrasporti S.p.A. ed altri (avv. Toriello ed altri).
(Sentenza impugnata: App. Milano 2 aprile 2010)
Ass. in generale e danni in generale – Contratto – In genere – Perizia
contrattuale – Effetti – Rinunzia alla tutela giurisdizionale dei diritti nascenti dal contratto – Limiti – Sopravvenuto venir meno dell’oggetto dell’accertamento peritale – Conseguenza – Cessazione
dell’obbligo alla rinunzia alla tutela giurisdizionale.
La clausola di un contratto di assicurazione che preveda una perizia contrattuale (con il deferimento, ad un collegio di esperti, di accertamenti da
svolgere in base a regole tecniche) implica la temporanea rinunzia alla tutela giurisdizionale dei diritti nascenti dal rapporto, nel senso che, prima e
durante il corso della procedura contrattualmente prevista, le parti stesse
non possono proporre davanti al giudice le azioni derivanti da esso. Tale limitazione alla tutela giurisdizionale, tuttavia, cessa quando l’espletamento
della perizia non sia più oggettivamente possibile per essere venuto meno definitivamente l’oggetto dell’accertamento peritale da compiere (1).
(1) Sebbene sia copiosa la produzione giurisprudenziale in tema di c.d. perizia contrattuale inserita in un contratto di assicurazione, non consta alcun precedente in terminis rispetto alla sentenza qui in rassegna. Essa, nella sostanza, ha applicato alla perizia contrattuale una sorta di risoluzione per impossibilità sopravvenuta a causa del venir meno dell’oggetto. In tal senso la sentenza si uniforma all’orientamento inaugurato dal remoto precedente rappresentato da Cass. 17 ottobre 1964, n. 2608, in Giust. civ.,
1965, I, 1032, secondo cui nel compromesso per arbitrato irrituale (equiparabile alla
perizia contrattuale) è insita la rinuncia delle parti alla tutela giurisdizionale dei diritti
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Giurisprudenza
La Corte ecc. (Omissis). FATTO. – Con citazione notificata in data 10
gennaio 2005 il Fallimento F.lli Piccin Autotrasporti S.p.A. conveniva in
giudizio le Assicurazioni Generali S.p.A., la Navale Assicurazioni S.p.A.,
la Faro S.p.A., la Toro Assicurazioni S.p.A. e la RAS. S.p.A. per sentirne
dichiarare la responsabilità contrattuale in relazione ad una polizza assicurativa con le stesse stipulata e per ottenerne la condanna in solido al pagamento dell’indennizzo di euro 1.215.578,19 per i danni derivanti da un incendio occorso nel 1999 ad un suo capannone. In esito al giudizio, in cui si
costituivano le Generali, la Navale, la RAS e la Faro eccependo in primo
luogo la prescrizione del diritto e quindi l’improcedibilità della domanda,
il Tribunale adito accoglieva l’eccezione di improponibilità dell’azione.
Avverso tale decisione il Fallimento proponeva appello ed in esito al
giudizio, in cui si costituivano le Generali, la Corte d’Appello di Milano
con sentenza depositata in data 2 aprile 2010 rigettava l’eccezione di improponibilità dell’azione e rimetteva la causa in istruttoria come da separata ordinanza.
Avverso la detta sentenza le Assicurazioni Generali e la Navale Assicurazioni hanno quindi proposto ricorso per cassazione articolato in un unico motivo.
Resiste con controricorso il Fallimento.
DIRITTO. – Con l’unica doglianza, deducendo l’omessa, insufficiente o
comunque contraddittoria motivazione, parte ricorrente ha censurato la sen-
nascenti dal rapporto controverso; tuttavia, quando per qualsiasi ragione il compromesso abbia esaurito la sua efficacia per la sopravvenuta impossibilità di far regolare
da arbitri il rapporto controverso, risorge per le parti il potere di esercitare le azioni derivanti dal contratto e di richiedere, quindi, al giudice la decisione già rimessa all’apprezzamento degli arbitri (orientamento confermato in seguito da Cass., Sez. II, 23 novembre 1973, n. 3176, inedita; Cass. civ., Sez. II, 10 novembre 2006, n. 24137, in Foro it. Rep., 2006, Arbitrato, n. 128).
Si ricordi che, secondo la S.C., la perizia contrattuale rientra nel genus dell’arbitrato irrituale, ma se ne differenzia perché nell’arbitrato irrituale le parti conferiscono
all’arbitro il compito di definire in via negoziale le contestazioni insorte o che possono insorgere tra loro in ordine a determinati rapporti giuridici mediante una composizione amichevole riconducibile alla loro volontà; nella perizia contrattuale, invece, le
parti devolvono al terzo, scelto per la particolare competenza tecnica, non la risoluzione di una controversia giuridica, ma la formulazione di un apprezzamento tecnico che
preventivamente si impegnano ad accettare come diretta espressione della loro determinazione volitiva (Cass., Sez. I, 10 maggio 2007, n. 10705, in Foro it. Rep., 2007, Arbitrato, n. 194).
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tenza impugnata nella parte in cui la Corte d’Appello ha ritenuto che le clausole nn. 18 e 19 delle Condizioni generali di assicurazione costituissero un
sistema chiuso. Al contrario, tali clausole consentono di raggiungere lo scopo per cui sono dettate e cioè la quantificazione e la determinazione del danno, lasciando ad altre sedi la soluzione di tutti gli eventuali problemi giuridici inerenti il danno stesso. Ciò posto, avendo le parti, in conformità alle
condizioni generali, devoluto in via esclusiva alla procedura peritale la determinazione del danno rinunciando ad adire l’autorità giudiziaria ordinaria, la Corte ha errato nel ritenere proponibile la domanda giudiziale avanzata dal Fallimento.
La censura non coglie nel segno.
A riguardo, torna utile premettere che la motivazione della sentenza, sul
punto che interessa il tema della doglianza, si fonda essenzialmente sulla
considerazione che le clausole 18 e 19 delle Condizioni generali di assicurazione, richiamate dal primo giudice, si limitano a disciplinare solo l’iter
fisiologico della procedura peritale, vale a dire la costituzione del collegio
e il disaccordo tra i periti, ma non anche l’ipotesi – verificatasi nella fattispecie – di mancato funzionamento del collegio peritale. Ciò determinerebbe – così continuano i giudici di secondo grado – una situazione di stallo, non superabile se non attraverso il ricorso all’autorità giudiziaria ex art.
1349 c.c.
Ora, a parte l’erroneità del riferimento all’art. 1349, sopra citato – norma applicabile in tema di arbitraggio e non già di perizia contrattuale come
quella che interessa la presente vicenda, in quanto presuppone l’esercizio
di una valutazione discrezionale e di un apprezzamento secondo criteri di
equità mercantile, inconciliabili con l’attività strettamente tecnica dell’arbitro-perito – le ragioni della decisione appaiono chiare e meritano di essere condivise ove si soffermi l’attenzione sul contenuto della nota 2 in calce alla sentenza (pag. 3), in cui si chiarisce che la situazione di stallo era
stata determinata dal fatto che, mentre il perito del Fallimento, ing. S., insisteva nella richiesta di determinazione dell’indennizzo, gli altri due periti, quello delle assicurazioni ed il terzo, affermavano invece l’impossibilità di espletare l’incarico di accertamento del danno in quanto erano stati rimossi i detriti e non erano state conservate le tracce del sinistro.
Da tale circostanza, dal fatto cioè che, ad avviso della maggioranza dei
periti (due su tre) la perizia contrattuale, finalizzata alla determinazione del
quantum risarcibile, non potesse essere portata a compimento ed avesse
quindi esaurito ogni ragione di utile continuazione, la Corte di merito è pervenuta alla conclusione che dovesse ritenersi legittimo il ricorso all’autorità giudiziaria. E ciò, al fine di consentire la necessaria tutela, cui aveva diritto il danneggiato. La soluzione adottata non merita censura.
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Giurisprudenza
Ed invero, se è indubbio che, nella clausola di un contratto di assicurazione, che preveda una perizia contrattuale (con il deferimento, ad un collegio di esperti, degli accertamenti da espletare in base a regole tecniche) è
insita la temporanea rinunzia alla tutela giurisdizionale dei diritti nascenti
dal rapporto contrattuale, nel senso che, prima e durante il corso della procedura contrattualmente prevista, le parti stesse non possono proporre davanti al giudice le azioni derivanti dal suddetto rapporto, è altrettanto vero
che l’obbligo della rinunzia alla tutela giurisdizionale non può non ritenersi cessato quando l’espletamento della perizia non sia più oggettivamente
possibile per essere venuto meno, e definitivamente, l’oggetto, indispensabile, ai fini dell’accertamento peritale da espletare.
Ed è appena il caso di osservare come tale ipotesi non rientri affatto nelle previsioni dell’art. 18, e dell’art. 19 delle Condizioni generali di assicurazione, richiamate dalle parti ricorrenti, norme le quali si limitano a disciplinare casi assolutamente diversi, di disfunzione temporanea dell’attività
arbitrale, come possono verificarsi nell’ipotesi della mancata nomina di un
proprio perito a cura di una delle parti: situazione risolvibile con la nomina di tale perito da parte del Presidente del Tribunale; nell’ipotesi di disaccordo tra i primi due periti su un punto controverso: situazione risolvibile
con la nomina di un terzo perito; nell’ipotesi di rifiuto della sottoscrizione
da parte di uno dei periti: situazione risolvibile con l’attestazione di tale rifiuto da parte degli altri due periti nel verbale definitivo di perizia.
In definitiva, alla stregua di tutte le pregresse considerazioni, deve ritenersi che il percorso argomentativo della Corte territoriale non merita censure. Ed invero, i giudici di secondo grado sono pervenuti alla conclusione
attraverso un iter assolutamente corretto e lineare rispetto al quale il preteso vizio di motivazione della sentenza, sia sotto il profilo della contraddittorietà che della insufficienza, non può dirsi sussistente, apparendo la motivazione della Corte sufficientemente esaustiva, sia pure nella sua notevole sobrietà, e non ravvisandosi nel ragionamento svolto alcun contrasto, tanto meno insanabile, tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale
da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione.
Ne deriva l’infondatezza della ragione di censura in esame.
Ne consegue che il ricorso per cassazione in esame, siccome infondato, deve essere rigettato.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alla rifusione
delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo,
alla stregua dei soli parametri di cui al d.m. n. 140 del 2012, sopravvenuto
a disciplinare i compensi professionali. (Omissis).
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CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
(Sez. III) – 8 aprile 2014, n. 8136 – Pres. Massera, Est. Armano, P.M.
Patrone (conf.) – Fondiaria SAI S.p.A. (avv. Romano ed altro) c. Di N.
ed altri (n.c.).
(Sentenza impugnata: App. L’Aquila 1° agosto 2006)
Procedimento civile – Ricorso per cassazione – Proposizione da parte
di impresa assicuratrice nella duplice veste di assicuratore del
responsabile e di impresa designata – Ammissibilità.
In tema di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile per la
circolazione dei veicoli, alla luce della disciplina prevista dagli artt. 19 e 20
della l. 24 dicembre 1969, n. 990 (ratione temporis applicabile), è ammissibile che una società assicuratrice venga contemporaneamente evocata in
giudizio sia in proprio, quale incorporante l’assicuratore dell’autovettura
del responsabile del sinistro, sia quale impresa designata dal Fondo di
garanzia per le vittime della strada, per l’ipotesi che il veicolo risulti privo
di copertura assicurativa, in quanto fra le due posizioni vi è autonomia
patrimoniale e autonomia di scopo, agendo essa, quale impresa designata,
per conto e con le finalità proprie della CONSAP - Gestione autonoma del
F.G.V.S., su cui ricadono le conseguenze economiche del risarcimento (1).
(1) Non consta alcun precedente negli stessi termini. È ovvio che la vittima di un
sinistro stradale, quando sia in contestazione l’esistenza o meno della copertura assicurativa della responsabilità civile dell’autore del fatto, ben possa convenire in giudizio tanto il supposto assicuratore, quanto l’impresa designata, formulando nei loro confronti due domande subordinate: una di condanna dell’impresa assicuratrice, ove si dovesse accertare in giudizio l’esistenza del contratto; e l’altra – subordinata – di condanna dell’impresa designata nel caso opposto (per l’ammissibilità di domande fondate su un duplice ordine di ragioni giuridiche, collegate a presupposti antitetici e formulate
in via subordinata si veda, ex permultis, Cass. civ. 21 ottobre 1981, n. 5503, in Foro it.
Rep., 1981, Sentenza civile, n. 104).
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Giurisprudenza
La Corte ecc. (Omissis). FATTO. – D.N.P. ha convenuto in giudizio davanti al Tribunale di Chieti Z.F., la Sipea Assicurazioni e la Fondiaria SAI,
quale impresa designata dal Fondo di garanzia per le vittime della strada,
chiedendo il risarcimento dei danni subìti a seguito di incidente stradale accaduto il (omissis), da attribuirsi a colpa esclusiva dello Z.
Si è costituita la Polaris Assicurazioni, incorporante la Sipea, ed ha
eccepito la inoperatività della polizza assicurativa per essere stato pagato il premio dopo l’incidente, mentre nessuna contestazione è sorta sull’an debeatur.
Successivamente la Polaris Assicurazioni è stata incorporata nella Fondiaria SAI.
Il Tribunale ha accertato la colpa esclusiva dello Z. e la inoperatività della polizza di assicurazione, stipulata con la Sipea il (omissis), sul presupposto
che il premio è stato corrisposto il (omissis), per cui la validità della stessa aveva inizio dalle ore 24 di tale giorno, a norma dell’art. 1901 c.c., comma 1.
Di conseguenza il Tribunale ha condannato Z.F. e la Fondiaria SAI, quale impresa designata dal Fondo di garanzia per le vittime della strada, al risarcimento del danno nei confronti del D. N.
A seguito di impugnazione della Fondiaria SAI, quale impresa designata dal Fondo di garanzia per le vittime della strada, la Corte d’Appello
de L’Aquila con sentenza pubblicata il 1° agosto 2006 ha ritenuto che l’art.
1901 c.c., comma 1, trova applicazione unicamente nei rapporti tra assicuratore ed assicurato e non anche nei confronti dei terzi danneggiati, per i
quali vale la disposizione della l. 24 dicembre 1969, n. 990, art. 7, che stabilisce l’obbligo diretto dell’assicuratore per il periodo di tempo indicato
nel certificato di assicurazione e che il certificato di assicurazione, rilasciato
allo Z., indicava un periodo di copertura assicurativa dalle ore 9 del (omissis), per cui l’incidente, verificatosi il (omissis), era certamente ricompreso
in tale periodo.
Di conseguenza la Corte d’Appello ha condannato Z. F. e la Fondiaria
SAI (ex Sipea) in solido al risarcimento dei danni, respingendo la doman-
La circostanza, poi, che impresa designata ed assicuratore (presunto) del responsabile siano la medesima società non rende quest’ultima priva di interesse ad impugnare:
è infatti evidente che quella società ove dovesse essere condannata nella veste di assicuratore del responsabile non avrà alcuna azione recuperatoria dell’indennizzo pagato;
ove invece dovesse essere condannata nella veste di impresa designata potrà recuperare
l’indennizzo pagato vuoi dal responsabile (nel caso di circolazione senza assicurazione); vuoi nei confronti della liquidazione coatta (nel caso di decozione dell’impresa assicuratrice del responsabile); vuoi in ultima analisi nei confronti della CONSAP.
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Dalla Corte di Cassazione
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da avanzata nei confronti della Fondiaria SAI, quale impresa designata dal
Fondo di garanzia per le vittime della strada.
Propone ricorso la Fondiaria SAI incorporante la Polaris (ex Sipea) con
due motivi.
Non presentano difese gli intimati.
La Fondiaria SAI, quale impresa designata dal Fondo di garanzia per le
vittime della strada, ha rilasciato procura speciale per la discussione orale.
DIRITTO. – 1. Preliminarmente si osserva che non ricorre il motivo di
inammissibilità segnalato dal Procuratore Generale dovuto alla circostanza
che la Fondiaria SAI ha partecipato al giudizio in proprio, quale incorporante la Polaris – ex Sipea – società assicuratrice dell’autovettura dello Z.,
e contemporaneamente è stata evocata in giudizio quale impresa designata
dal Fondo di garanzia per le vittime della strada, nell’ipotesi che l’autovettura dello Z. fosse risultata scoperta di assicurazione.
Fra le due posizioni che assume la Fondiaria SAI nel presente giudizio
non vi è nessuna confusione o conflitto di interessi perché ogni posizione è
caratterizzata da autonomia patrimoniale e di scopo.
2. È necessario ripercorrere brevemente la disciplina che regola il risarcimento dei danni da circolazione stradale quando il veicolo danneggiante rimanga non identificato, scoperto di assicurazione, o risulti assicurato con una impresa in liquidazione coatta amministrativa al momento del
sinistro o che vi venga posta successivamente.
3. In tal caso, come prevede la l. n. 990 del 1969, art. 19, è costituito un
Fondo di garanzia per le vittime della strada che provvede al risarcimento
dei danni e la liquidazione dei danni è effettuata dall’impresa designata per
il territorio in cui il sinistro è avvenuto a norma del successivo art. 20.
Tale articolo prevede che le somme anticipate dalle imprese designate
saranno rimborsate dalla CONSAP - Gestione autonoma del Fondo di garanzia per le vittime della strada, secondo le convenzioni che saranno stipulate fra le imprese e l’istituto predetto.
L’eventuale azione per il risarcimento deve essere esercitata nei confronti della stessa impresa designata.
4. Il legislatore ha in tal modo creato un sistema di protezione nei confronti dei soggetti danneggiati a seguito di incidente stradale, tale da rendere effettiva la tutela introdotta con la previsione dell’obbligo dell’assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile, di modo che il soggetto
danneggiato possa ottenere dal F.G.V.S., con alcuni limiti, il risarcimento
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Giurisprudenza
dei danni anche in ipotesi in cui non sia possibile identificare il veicolo danneggiante e di conseguenza l’assicuratore, o il veicolo investitore sia privo
di assicurazione, o l’impresa assicuratrice sia in fase di liquidazione coatta
amministrativa.
5. Dall’insieme di tali norme viene delineata la funzione dell’impresa
designata come soggetto che agisce per conto del F.G.V.S., destinataria della richiesta di risarcimento dei danni dal momento del verificarsi di una delle ipotesi previste dalla l. n. 990 del 1969, art. 19, che liquida i danni con
somme che sono a carico del F.G.V.S., che provvederà successivamente al
rimborso.
6. Alla luce della disciplina prevista dalla l. n. 990 del 1969, artt. 19
e 20, è ammissibile che una società assicuratrice partecipi al giudizio sia
in proprio che quale impresa designata dal F.G.V.S., in quanto fra le due
posizioni vi è autonomia patrimoniale e autonomia di scopo, in quanto
quando l’impresa agisce quale impresa designata opera per conto e con
le finalità proprie della CONSAP - Gestione autonoma del Fondo di garanzia per le vittime della strada, sulla quale ricadono le conseguenza
economiche del risarcimento.
7. Con il primo motivo di ricorso si denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 1901 c.c., comma 1, e l. 24 dicembre 1969, n. 990, art. 7
in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 – omessa, insufficiente contraddittoria
motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione all’art.
360 c.p.c., n. 5.
Viene formulato il seguente quesito di diritto: allorché, in un contratto
di assicurazione della r.c.a., sul relativo certificato sia riportata una data di
decorrenza del contratto antecedente a quella di pagamento del premio e
questa risulti annotata sullo stesso certificato, è possibile, ai sensi della l.
24 dicembre 1969, n. 990, art. 7, ritenere che, anche nei confronti dei terzi,
la garanzia decorra dalle ore ventiquattro del giorno del pagamento?
8. Con il secondo motivo si denunzia omessa, insufficiente contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.
La ricorrente conclude nel seguente modo: che la sentenza, pur fissando il motivo di diritto da applicarsi nella ipotesi in cui l’assicurato sia in
possesso del certificato di assicurazione, non ha motivato perché abbia ritenuto che l’odierna ricorrente non avesse fornito prova in ordine a quanto
lamentato.
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Dalla Corte di Cassazione
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9. I due motivi sono inammissibili perché l’illustrazione degli stessi si
conclude con un quesito di diritto inadeguato e non rispettoso della previsione dell’art. 366 bis c.p.c., vigente all’epoca della decisione, e con un momento di sintesi non idoneo.
10. Questa Corte ha affermato che il quesito di diritto deve essere formulato, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis alla presente fattispecie, in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una regula iuris suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto
a quello deciso dalla sentenza impugnata. Ne consegue che è inammissibile il motivo di ricorso sorretto da quesito la cui formulazione, ponendosi in
violazione di quanto prescritto dal citato art. 366 bis, si risolve sostanzialmente in una omessa proposizione del quesito medesimo, per la sua inidoneità a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in riferimento alla concreta fattispecie, Sez. Un., sent. n. 26020 del 30 ottobre
2008.
11. Inoltre l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di
inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al
quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni
per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a
giustificare la decisione (Cass. 3441/2008, 2697/2008).
Pertanto, la relativa censura (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) “deve
contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), costituente
una parte del motivo che si presenti, a ciò specificamente e riassuntivamente
destinata, che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della
sua ammissibilità”, Sez. Un., sent. n. 16528 del 2008.
12. Nella specie il quesito di diritto non indica riassuntivamente quale sia
l’errore di violazione di legge asseritamene compiuto dai giudici di merito,
né la regula iuris invece applicabile, di modo che questa Corte non è messa
in grado di esprimere un principio di diritto generalmente applicabile.
13. La censura di vizio di motivazione nel primo motivo è assente e nel
secondo motivo è corredata da un momento di sintesi non idoneo ad individuare i punti della motivazione affetti dal vizio denunciato.
Si compensano le spese tenendo conto delle considerazioni formulate
dal Procuratore Generale. (Omissis).
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CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. VI – III – 23 aprile 2014, n. 9112 (ord.) – Finocchiaro, Est. De Stefano – P.C.T. (avv. Morbiducci ed altri) c. CA.RI.GE. Assicurazioni S.p.A.
(avv. Tentindo ed altro).
(Sentenza impugnata: App. Ancona 14 gennaio 2012)
Procedimento civile – Litisconsorzio necessario – Azione diretta nei confronti dell’assicuratore della r.c.a. – Condanna in solido di assicuratore ed assicurato – Appello del solo assicuratore sul quantum debeatur – Integrazione del contraddittorio nei confronti del proprietario – Necessità – Fondamento.
Il litisconsorzio necessario tra assicuratore della r.c.a. e proprietario
del veicolo, rispetto alla domanda di risarcimento proposta dalla vittima
d’un sinistro stradale nei confronti del primo, sussiste tanto in primo grado che in appello, a nulla rilevando che l’appello sia stato proposto dal solo assicuratore e riguardi soltanto la misura del risarcimento e non la responsabilità dell’assicurato (1).
(1) È sempre stato pacifico che il litisconsorzio tra assicuratore della r.c.a. e responsabile del danno (imposto in passato dall’art. 23 l. 24 dicembre 1969, n. 990 e, oggi, dall’art. 145 cod. ass.) costituisca una deroga al principio della facoltatività del litisconsorzio in materia di obbligazioni solidali, ed ha natura necessaria a causa della inscindibilità delle cause. Da ciò la conseguenza che, nel giudizio d’appello, l’impugnazione della sentenza per un capo con gli altri collegato, da qualunque parte e nei confronti di qualunque parte proposta, impedisce il passaggio in giudicato dell’intera sentenza
nei confronti di tutte le parti (Cass. civ., Sez. III, 29 gennaio 2003, n. 1285, in Arch.
circolaz., 2003, 592). Pertanto, se l’impugnazione è proposta dall’assicuratore ma non
dall’assicurato o viceversa, l’accoglimento di essa produrrà effetti anche nei confronti
della parte non impugnante (Cass. civ., Sez. III, 25 giugno 2003, n. 10125, in Foro it.
Rep., 2003, Impugnazioni civili, n. 106).
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Dalla Corte di Cassazione
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La Corte ecc. (Omissis). FATTO. – 1. È stata depositata in cancelleria la
seguente relazione, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. e datata 25 gennaio 2013,
regolarmente comunicata al pubblico ministero e notificata ai difensori delle parti, relativa al ricorso avverso la sentenza della Corte d’Appello di Ancona n. 12 del 14 gennaio 2012:
“1. P.C.T.F. ricorre, affidandosi a quattro motivi, per la cassazione della sentenza in epigrafe indicata, con cui è stata, in riforma della sentenza di
primo grado, ridotta la condanna della CA.RI.GE. Assicurazioni e di S.O.
in suo favore al risarcimento dei danni da lui patiti per un sinistro stradale
del (omissis), sull’appello proposto e coltivato dalla CA.RI.GE. nei confronti del solo odierno ricorrente. L’intimata resiste con controricorso.
2. Il ricorso può essere trattato in Camera di consiglio – ai sensi degli
artt. 375, 376 e 380 bis c.p.c., essendo soggetto alla disciplina dell’art. 360
bis c.p.c. – per essere ivi accolto.
3. Il ricorrente si duole: col primo motivo, di nullità della sentenza, per
mancata partecipazione al grado di appello del proprietario del veicolo assicurato, litisconsorte necessario quindi pretermesso; col secondo motivo,
dell’erroneità dell’esclusione del risarcimento del danno da incapacità lavorativa specifica; col terzo motivo, della riduzione del risarcimento del
danno da spese mediche future; col quarto motivo, di carenza di motivazione sulla limitazione al 25% del danno biologico della liquidazione di
quello non patrimoniale.
4. La controricorrente argomenta per la piena legittimità della partecipazione al giudizio di appello del solo assicuratore, ove – come nella specie – si verta ormai solo in tema di quantum debeatur, e, sulla liquidazione
delle voci di danno, contesta partitamente le singole doglianze avversarie.
5. Deve rilevarsi la fondatezza del primo motivo, con conseguente assorbimento degli altri: nonostante l’indicazione, nell’impugnata sentenza
(v. pag. 6, righe quarta e quinta), della rituale citazione del S. anche in appello, le parti concordano sul fatto che egli non sia mai stato citato per il re-
Si ricordi in ogni caso che “litisconsorte” rispetto alla domanda proposta dalla vittima direttamente nei confronti dell’assicuratore del responsabile è unicamente il proprietario del veicolo, non il conducente né il contraente della polizza [ex permultis, in
tal senso, Cass. civ., Sez. III, 8 febbraio 2006, n. 2665, in Foro it. Rep., 2006, Assicurazione (contratto), n. 220].
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Giurisprudenza
lativo grado di giudizio, sicché egli, benché destinatario di una condanna –
quand’anche ridotta rispetto a quella di primo grado – in favore dell’odierno ricorrente ed in solido con la sola appellante, è stato in quel grado pretermesso. Ma, al riguardo:
5.1. in tema di assicurazione obbligatoria della r.c.a., nel giudizio di risarcimento del danno promosso dal danneggiato con l’azione diretta contro l’assicuratore, è necessaria, ai fini dell’integrità del contraddittorio, la
presenza in processo del responsabile del danno e del proprietario del veicolo danneggiante, tanto in primo grado che nei successivi eventuali gradi
di giudizio, senza che, atteso il disposto letterale della l. 24 dicembre 1969,
n. 990, art. 23, assuma rilevanza il fatto che si sia formato il giudicato interno implicito in ordine all’accertamento della responsabilità (Cass. 29 settembre 2005, n. 26041; sulla qualifica di litisconsorte necessario del proprietario, v. pure, incidentalmente e tra le ultime: Cass. 26 febbraio 2003,
n. 2888; Cass. 27 luglio 2005, n. 15675; Cass., Sez. Un., 5 maggio 2006, n.
10311; Cass. 3 luglio 2008, n. 18242);
5.2. Inoltre, il responsabile del danno, che a norma dell’art. 23 legge
cit., deve essere chiamato in causa come litisconsorte necessario nel giudizio promosso dal danneggiato contro l’assicuratore con azione diretta,
in deroga al principio della facoltatività del litisconsorzio in materia di
obbligazioni solidali, è unicamente il proprietario – e non quindi il conducente – del veicolo assicurato, trovando detta deroga giustificazione
nell’esigenza di rafforzare la posizione processuale dell’assicuratore (evidentemente a parziale compensazione della sua immediata esposizione
verso il danneggiato con l’azione diretta riconosciuta a quest’ultimo), consentendogli di opporre l’accertamento di responsabilità al proprietario del
veicolo, quale soggetto del rapporto assicurativo, ai fini dell’esercizio dei
diritti nascenti da tale rapporto, ed in particolare, dall’azione di rivalsa ex
art. 18 della legge citata (Cass. 8 febbraio 2006, n. 2665; Cass. 14 giugno
2007, n. 13955; Cass. 9 marzo 2011, n. 5538);
5.3. la diversa giurisprudenza invocata dalla controricorrente non convince, per il sacrificio intollerabile del diritto di difesa del responsabile del
danno in ordine all’interlocuzione sull’entità di questi, visto che di essi, a
maggior ragione ove potesse dirsi passato in giudicato l’accertamento della sua responsabilità, egli potrebbe essere chiamato a rispondere in via di
rivalsa verso l’assicuratore.
6. Una volta rilevato che il proprietario del veicolo la cui circolazione
si assume avere causato il danno è rimasto pretermesso nel giudizio di secondo grado, in applicazione del principio generale desumibile dal combinato disposto degli artt. 331 e 383 c.p.c. (per casi analoghi di pretermissio-
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Dalla Corte di Cassazione
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ne in appello, v. ad es. Cass. 5 luglio 1995, n. 7416), della sentenza di secondo grado deve proporsi la cassazione, restando precluso l’esame degli
altri motivi di doglianza, tutti attinenti al merito, con rinvio alla medesima
corte territoriale, affinché riesamini il gravame della CA.RI.GE. nel contraddittorio anche del S. e provveda pure sulle spese del presente giudizio
di legittimità”.
DIRITTO. – 1. Non sono state presentate conclusioni scritte, ma entrambe le parti hanno depositato memoria ed il difensore del ricorrente è inoltre
comparso in camera di consiglio per essere ascoltato.
2. A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella Camera di consiglio, ritiene il Collegio di condividere i motivi in fatto e in diritto esposti
nella su trascritta relazione e di doverne fare proprie le conclusioni, non
comportandone il superamento gli argomenti sviluppati nella memoria depositata dalla controricorrente.
Invero, in forza proprio dei principî ribaditi nella giurisprudenza richiamata in relazione e nonostante la controricorrente li ritenga inapplicabili alla fattispecie, è sempre interesse del litisconsorte necessario danneggiante prendere parte ai gradi successivi del processo in cui egli sia stato
già ritenuto responsabile del fatto dannoso e perfino ove egli non possa
subire un peggioramento della sua situazione all’esito del primo grado, in
dipendenza degli sviluppi del grado di impugnazione.
È già di per sé in astratto scorretto configurare, come pretende la controricorrente, il carattere necessario o meno del contraddittorio secundum
eventum litis: quello dipendendo invece dal concreto ambito della domanda come originariamente proposta nei suoi confronti, fino a quando sulla
medesima, nel suo complesso considerata, non si formi un giudicato.
Del resto, è impossibile, senza un’espressa lesione degli artt. 3 e 24
Cost., precludere (a differenza che nel giudizio di legittimità, ove si riconosce un opposto principio fin da Cass., Sez. Un. ord. 22 marzo 2010, n.
6826, confermata da copiosa giurisprudenza successiva: e tanto, perché il
principio è affermato solo in caso di inammissibilità o di rigetto e perché
un tale giudizio è connotato da peculiari finalità e struttura, di revisione critica, tuttavia mai di merito, di una precedente decisione) a chicchessia il diritto ad un grado di processo di merito ed alle ampie difese ivi suscettibili
di dispiegamento, normalmente spettantegli, solo per una previsione di inutilità della sua partecipazione, fondata su elementi aleatori e su di una prognosi soggettiva, in quanto tali tutti arbitrari ed inaffidabili.
Ma anche con riferimento alla peculiarità della fattispecie, in cui l’appello è stato proposto soltanto dall’assicuratrice della r.c.a. in punto di quan-
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Giurisprudenza
tum debeatur e quindi è certo preclusa ogni ulteriore indagine – ed ogni pronunzia maggiormente pregiudizievole per quegli sul punto – in ordine al c.d.
an debeatur, è evidente l’interesse pure del danneggiante a prendere parte al
processo: potendo egli in astratto influire, pure con le sue iniziative processuali non precluse, del resto anche e tuttora potenzialmente ampie in relazione alle mere difese, sulla determinazione della concreta entità del quantum del risarcimento dovuto alla controparte appellata, riguardo al quale egli
potrebbe poi rispondere, in minor misura, nei confronti della sua stessa assicuratrice. In tanto va confermata, a convinto avviso del Collegio, la conclusione della non tollerabilità del sacrificio che l’opposta tesi della controricorrente imporrebbe al detto diritto del litisconsorte necessario danneggiante, pretermesso nel giudizio di appello intentato dalla sola assicuratrice.
3. Pertanto, ai sensi degli artt. 380 bis e 385 c.p.c., il ricorso va accolto e la gravata sentenza cassata, con rinvio alla medesima Corte territoriale, ma in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità. (Omissis).
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Massimario
A CURA DI
MARCO ROSSETTI
Consigliere della Corte Suprema di Cassazione
6. – Ass. responsabilità civile – Obbligo dell’assicuratore di informare
l’assicurato che il contratto non copre i danni da mora – Violazione – Conseguenze.
L’assicuratore della responsabilità civile viene meno ai doveri di correttezza e buona fede se, durante la fase delle trattative col terzo danneggiato (anche se svolte direttamente tra l’assicuratore e il terzo danneggiato), non informi l’assicurato che il contratto pone a suo esclusivo carico la
responsabilità verso il terzo danneggiato per il danno da mora, a meno che,
durante le trattative col terzo danneggiato, assicurato ed assicuratore abbiano avuto una costante interlocuzione, sì da rendere superfluo il suddetto espresso avvertimento (1).
Cass. (Sez. III) – 27 gennaio 2014, n. 1607 – Pres. Carleo, Est. Barreca, P.M. Golia (diff.) – Comune Barcellona Pozzo di Gotto (avv. Russo) c.
Milano Assicurazioni S.p.A. (avv. Spinelli ed altro).
(Sentenza impugnata: App. Milano 12 marzo 2009)
(1) Non consta alcun precedente edito su fattispecie analoga. In argomento si veda anche Cass. civ., Sez. III, 22 giugno 2004, n. 11597, in Guida al dir., 2004, fasc.
30, 57, secondo cui l’assicuratore della responsabilità civile incorre in responsabilità
ultramassimale per mala gestio se, aderendo supinamente all’opposizione dell’assicurato rispetto alla pretesa del terzo danneggiato, non avverta l’assicurato che dei maggiori oneri conseguenti al ritardo nella definizione della vertenza dovrà rispondere in
proprio.
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Giurisprudenza
7. – Ass. (Impresa) – Tutela della concorrenza e del mercato ai sensi
della l. n. 287/1990 – Intesa orizzontale tra imprese assicuratrici –
Domanda dell’assicurato di risarcimento del danno per il pagamento di premi superiori al dovuto – Atti del procedimento sanzionatorio svolto dall’Autorità Garante per la Concorrenza ed il
Mercato – Natura – Prova privilegiata o presunzione iuris tantum
del danno – Prova contraria – Ammissibilità – Limiti.
Nel giudizio promosso dall’assicurato ed avente ad oggetto il risarcimento del danno da questi patito per l’elevato premio corrisposto in
conseguenza di un’illecita intesa orizzontale restrittiva della concorrenza, posta in essere da compagnie assicuratrici, gli atti del procedimento, in esito al quale l’Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato ha accertato la sussistenza dell’illecito anticoncorrenziale ed irrogato una sanzione ad una determinata impresa, costituiscono una prova privilegiata, quando non una presunzione, del danno patito dal singolo assicurato. Ne consegue che la medesima impresa assicuratrice
può fornire prova contraria del nesso causale tra l’illecito concorrenziale e il danno, ma non con argomentazioni generali, tese a rimettere
in discussione i fatti costitutivi della sussistenza della violazione della
disciplina sulla concorrenza, già valutati dall’Autorità Garante, bensì
offrendo precise indicazioni su situazioni e comportamenti relativi a essa e all’assicurato, idonei a dimostrare che il livello del premio non è
stato determinato dalla partecipazione all’intesa illecita, ma da altri fattori (2).
Cass. (Sez. VI – III) – 23 aprile 2014, n. 9116 (ord.) – Pres. Finocchiaro, Est. De Stefano – C. ed altri (avv. D’Amico ed altro) c. Lloyd Adriatico S.p.A. (avv. Prosperetti ed altri).
(Sentenza impugnata: App. Napoli 4 marzo 2011)
(2) Il principio, condivisibile o meno che sia, è divenuto ormai ius receptum (come dimostra del resto lo stesso fatto che il ricorso prospettante la relativa questione sia
stato deciso con la forma dell’ordinanza e col rito camerale). Nello stesso senso, da ultimo, Cass. civ., Sez. III, 26 maggio 2011, n. 11610, in Foro it. Rep., 2011, Concorrenza (disciplina), n. 221.
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Massimario
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8. – Ass. (Impresa) – Svolgimento di attività non assicurative – Liceità
– Limiti.
Il divieto imposto alle società assicuratrici di limitare il proprio oggetto sociale all’attività assicurativa ed a quelle connesse (art. 5 della l. 10
giugno 1978, n. 295, applicabile ratione temporis) non impedisce loro di
compiere singoli atti non aventi natura assicurativa, purché ciò non si traduca in una sistematica attività implicante l’assunzione di un rischio imprenditoriale indipendente ed estremo rispetto a quello tipico dell’assicuratore. Ne consegue che non incorre nel suddetto divieto la garanzia prestata da una società assicuratrice in favore di una società non assicuratrice controllata, in quanto atto strumentale alla conservazione del valore della partecipazione azionaria di cui la garante è titolare, e come tale volto a
salvaguardare l’interesse del gruppo societario nel suo insieme (3).
Cass. (Sez. I) – 30 aprile 2014, n. 9475 – Pres. Salmè, Est. Scaldaferri,
P.M. Pratis (conf.) – Milano Assicurazioni S.p.A. (avv. Afferni ed altri) c.
Banca Brescia S.p.A. (avv. Libonati ed altro).
(Sentenza impugnata: App. Roma 2 novembre 2006)
9. – Prescrizione – Assicurazione della responsabilità civile – Azione
surrogatoria del terzo danneggiato nei confronti dell’assicuratore
– Sospensione della prescrizione ex art. 2952, comma 4, c.c. – Cessazione – Condizioni – Giudicato di condanna dell’assicurato – Necessità.
In tema di assicurazione della responsabilità civile, anche quando
l’azione nei confronti dell’assicuratore sia esercitata in via surrogatoria
dal terzo danneggiato, ai fini della cessazione della sospensione della
prescrizione inerente ai diritti dell’assicurato, iniziata per effetto della
comunicazione all’assicuratore della richiesta del terzo o dell’azione dallo stesso proposta, non è sufficiente una sentenza, seppur esecutiva, di
condanna dell’assicurato al risarcimento del danno nei confronti del dan-
(3) La sentenza ribadisce il decisum di Cass. civ., Sez. Un., 30 dicembre 2011, n.
30174, in questa Rivista, 2012, II, 297, la quale a sua volta aveva risolto i precedenti
contrasti sulla questione.
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Giurisprudenza
neggiato, ma è invece necessario, ove la determinazione quantitativa del
credito dell’assicurato avvenga giudizialmente, che la sentenza sia passata in giudicato (4).
Cass. (Sez. VI – III) – 9 maggio 2014, n. 10091 (ord.) – Pres. Finocchiaro, Est. Amendola – P. (avv. Prosperini) c. Aurora Assicurazioni S.p.A.
ed altro.
(Sentenza impugnata: App. Roma 8 settembre 2011)
10. – Danno patrimoniale – Riduzione della capacità lavorativa specifica – Presunzione di danno incidente sulla futura capacità di guadagno – Relativa all’an e non al quantum – Liquidazione equitativa – Configurabilità – Esclusione – Fondamento.
Il danno patrimoniale futuro, derivante da lesioni personali, va valutato su base prognostica ed il danneggiato può avvalersi anche di presunzioni semplici, sicché, provata la riduzione della capacità di lavoro specifica, se essa non rientra tra i postumi permanenti di piccola entità, è possibile presumere, salvo prova contraria, che anche la capacità di guadagno risulti ridotta nella sua proiezione futura – non necessariamente in modo proporzionale – qualora la vittima già svolga un’attività lavorativa. Tale
presunzione, peraltro, copre solo l’an dell’esistenza del danno, mentre, ai
fini della sua quantificazione, è onere del danneggiato dimostrare la contrazione dei suoi redditi dopo il sinistro, non potendo il giudice, in mancanza, esercitare il potere di cui all’art. 1226 c.c., perché esso riguarda solo la liquidazione del danno che non possa essere provato nel suo preciso
ammontare, situazione che, di norma, non ricorre quando la vittima continui a lavorare e produrre reddito e, dunque, può dimostrare di quanto quest’ultimo sia diminuito (5).
(4) Nello stesso senso, Cass. civ., Sez. III, 30 gennaio 2006, n. 1872, in Foro it.
Rep., 2006, Prescrizione e decadenza, n. 72; Cass. civ., Sez. Un., 2 aprile 2007, n. 8085,
in questa Rivista, 2007, II, 2, 277 (in motivazione); Cass. civ., Sez. III, 23 novembre
2000, n. 15149, in Foro it. Rep., 2000, Prescrizione e decadenza, n. 71.
(5) Principio pacifico: ex permultis, nello stesso senso, Cass. civ., Sez. III, 5 febbraio 2013, n. 2644, in Foro it. Rep., 2013, Danni civili, n. 112.
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Massimario
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Cass. (Sez. III) – 22 maggio 2014, n. 11361 – Pres. Salmè, Est. Frasca, P.M. Corasaniti (diff.) – M. (avv. Eberle ed altri) c. Itas - Istituto Trentino Alto Adige per Assicurazioni Mutua Assicurazioni.
(Sentenza impugnata: App. Catania 7 agosto 2009)
11. – Danni civili – Spese funerarie sostenute dagli eredi della vittima
– Danno extracontrattuale – Configurabilità – Liquidazione – Condizioni.
Le spese funerarie, sostenute dagli eredi della persona deceduta per atto illecito, costituiscono una voce di danno ineliminabile e possono essere
liquidate anche in mancanza di specifica dimostrazione della precisa entità della somma corrisposta a tale scopo, occorrendo, tuttavia, fornire al
giudice i dati dai quali desumere, almeno approssimativamente, i parametri cui commisurare la valutazione, sia pure con riferimento al costo medio
delle onoranze funebri della zona in questione (6).
Cass. (Sez. III) – 26 maggio 2014, n. 11684 – Pres. Berruti, Est. Lanzillo, P.M. Sgroi (conf.) – A. ed altri (avv. La Blasca ed altro) c. Milano Assicurazioni S.p.A. ed altro.
(Sentenza impugnata: App. Palermo 12 marzo 2007)
12. – Circolazione stradale – Consapevole esposizione a rischio del danneggiato – Concorso di colpa per i danni subìti – Configurabilità –
Fondamento – Fattispecie.
(6) Che le spese funerarie costituiscano un danno risarcibile è indiscusso: anzi, la
Corte di Cassazione ha sempre interpretato in senso assai ampio la nozione di “spese funerarie”, ritenendo che in queste rientrino non soltanto le spese per il feretro ed il funerale, ma anche tutte le spese in qualche modo connesse alla cerimonia funebre: e quindi
anche le telefonate tra parenti, i telegrammi di condoglianze, i fiori; spese, queste ultime,
che possono essere liquidate dal giudice con criterio equitativo, in base a nozioni di fatto rientranti nella comune esperienza (Cass. 15 febbraio 1971, n. 373). Tra i danni risarcibili inerenti il servizio funebre sono state sussunte altresì le spese di viaggio e soggiorno sostenute dai familiari della vittima per partecipare alle esequie, in quanto normali e
doverose secondo la coscienza sociale ed il costume, e quindi riconducibili all’atto illecito secondo un nesso di regolarità causale (Cass. 21 maggio 1977, n. 2124).
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352
Giurisprudenza
L’esposizione volontaria ad un rischio, o, comunque, la consapevolezza di porsi in una situazione da cui consegua la probabilità che si produca a proprio danno un evento pregiudizievole, è idonea ad integrare una
corresponsabilità del danneggiato e a ridurre, proporzionalmente, la responsabilità del danneggiante, in quanto viene a costituire un antecedente
causale necessario del verificarsi dell’evento, ai sensi dell’art. 1227, comma 1, c.c., e, a livello costituzionale, risponde al principio di solidarietà sociale di cui all’art. 2 Cost. avuto riguardo alle esigenze di allocazione dei
rischi (riferibili, nella specie, all’ambito della circolazione stradale) secondo una finalità comune di prevenzione, nonché al correlato obbligo di
ciascuno di essere responsabile delle conseguenze dei propri atti. (Nella
specie, in applicazione dell’anzidetto principio, la S.C. ha confermato la
sentenza di merito, che aveva ritenuto sussistente il concorso di colpa del
danneggiato per aver partecipato come passeggero ad una gara automobilistica clandestina) (7).
Cass. (Sez. III) – 26 maggio 2014, n. 11698 – Pres. Segreto, Est. Rubino, P.M. Giacalone (conf.) – T. (avv. Raccuglia) c. INA Assitalia S.p.A. ed
altri.
(Sentenza impugnata: App. Roma 5 giugno 2007)
(7) Più volte la S.C. ha affermato il principio per cui chi accetta di essere trasportato in condizioni di menomata sicurezza coopera alla produzione dell’evento dannoso, e soggiace perciò alla decurtazione del risarcimento ex art. 1227, comma 1, c.c.:
ad esempio nel caso di omesso uso delle cinture di sicurezza (ex multis, Cass. civ., Sez.
III, 15 maggio 2012, n. 7533, in Arch. circolaz., 2012, 649; Cass. civ., Sez. III, 28 agosto 2007, n. 18177, in Foro it. Rep., 2007, Circolazione stradale, n. 381); di trasporto
su un ciclomotore di un numero di passeggeri eccedente quello consentito (Cass. civ.,
Sez. III, 13 maggio 2011, n. 10526, in Danno e resp., 2012, 34; Cass. civ., Sez. III, 22
maggio 2006, n. 11947, in Foro it., 2007, I, 873).
Si è, per contro, escluso che costituisca un concorso di colpa ai sensi dell’art. 1227,
comma 1, c.c., la circostanza che un soggetto trasportato si sia affidato ad un conducente in stato di ubriachezza (Cass. civ., Sez. III, 7 dicembre 2005, n. 27010, in Danno e resp., 2006, 1199; nello stesso senso App. Venezia 7 maggio 2012, in Danno e
resp., 2013, 773).
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Dalle Corti di merito
TRIBUNALE DI MONZA
20 marzo 2014 – Sez. I – Giudice dott. S. Russo – S.B. FA., F.P. B. s.a.s.
di FA. S. B. & c. e B.I. s.r.l. (avv. Malberti, Paiuzza) c. Z.I. PLC (avv.
Fraccari, Faletti) e I.A. S.p.A. (avv. Benzoni).
Ass. in generale e danni in generale – Contratto – Clausole limitative
della responsabilità – Clausole delimitative dell’oggetto – Distinzione.
Nel contratto di assicurazione sono da considerare clausole limitative
della responsabilità, agli effetti dell’art. 1341 c.c., quelle che limitano le
conseguenze della colpa o dell’inadempimento o che escludono il rischio
garantito, mentre attengono all’oggetto del contratto – e non sono, perciò,
assoggettate al regime previsto dalla suddetta norma – le clausole che riguardano il contenuto ed i limiti della copertura assicurativa e, pertanto,
specificano il rischio garantito (1).
Il Tribunale ecc. (Omissis). FATTO e DIRITTO. – Le quattro cause riunite
nel presente procedimento traggono origine dall’incendio verificatosi in data 30 marzo 2009 presso il capannone industriale sito in Cantù, via (Omis-
(1) La fattispecie da cui trae origine la decisione in esame si presenta
alquanto articolata, per il concorso di una pluralità di coperture assicurative, delle quali occorre definire i reciproci rapporti. Nello specifico, si trattava di assicurazioni contro il rischio d’incendio stipulate da un imprenditore del settore navale e relative al capannone sede dell’attività di produzione e ai beni ivi contenuti.
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Giurisprudenza
sis), sede dell’attività di produzione di barche da diporto svolta dalle società F.P. B. S.a.s. e B. I. S.r.l., entrambe gestite da S. B. Fa.
Il suddetto capannone e i beni in esso contenuti – tra cui macchinari,
modelli, stampi e imbarcazioni – erano stati assicurati contro il rischio di
incendio con tre diverse polizze, una stipulata con I.A. S.p.A. e le altre due
con Z. I. PLC.
A seguito dell’evento, veniva avviata dalla Procura della Repubblica
presso il Tribunale di Como, su impulso delle due compagnie coinvolte,
una indagine nei confronti di S.B. Fa., per i reati di incendio doloso e truffa in danno dell’assicurazione.
In tale ambito, veniva disposta l’effettuazione di una perizia tecnica, la
quale, pur lasciando margini di incertezza sulla precisa ricostruzione dell’evento, determinava il Pubblico Ministero a richiedere l’archiviazione del
procedimento e il G.i.p. ad accogliere la richiesta (con decreto emesso in
data 31 marzo 2011).
Una volta conclusosi il procedimento penale, le due società danneggiate, constatata l’inerzia di I.A. S.p.A. e di Z. I. PLC, si attivavano per acquisire il versamento degli indennizzi assicurativi.
Più precisamente, presentavano due ricorsi monitori per ottenere il pagamento:
– da parte di I.A. S.p.A. della somma liquidata dai periti a titolo di anticipo sull’indennizzo (pari a euro 320.000 – d.I. n. 1532/11 di questo Tribunale, oggetto di opposizione iscritta al n. 6317/11);
– da parte di Z.I. PLC della somma liquidata concordemente dai periti
per la partita Modelli e Stampi e per la partita Macchinario (pari complessivamente a euro 181.407,78 – d.I. n. 4502/11, oggetto di opposizione trattata nella presente causa).
Nella ricostruzione operata dal giudice, il contraente avrebbe stipulato
con un’impresa assicuratrice una polizza a primo rischio e poi, non sentendosi sufficientemente garantito, con altra compagnia una polizza a secondo
rischio riferita ai medesimi beni già assicurati, e una terza polizza relativa invece ai beni acquisiti in leasing, non coperti dalla prima assicurazione.
L’aspetto giuridicamente più rilevante della sentenza attiene tuttavia
all’esame di una clausola inserita nelle condizioni generali della polizza a
secondo rischio, sulla base della quale l’assicuratore fonda la tesi della non
risarcibilità dei danni occorsi. È infatti convenzionalmente previsto che il
pagamento dell’indennizzo sia subordinato alla previa ricostruzione o riparazione dei beni (nel caso di specie, modelli e stampi) andati distrutti o
danneggiati.
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Pressoché contestualmente, F.P. B. S.a.s. e B.I. S.r.l. proponevano in
via ordinaria nei confronti delle due compagnie domanda di pagamento delle somme complessivamente dovute a titolo di indennizzo (comprensive
quindi anche degli importi sui quali era sorto contrasto fra i periti), nonché
di risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subìti per effetto
dell’atteggiamento dilatorio delle stesse.
(Omissis).
1. Indennizzabilità dell’evento.
Ciò premesso, il Tribunale, considerato l’esito del procedimento penale instaurato a carico di S.B.F. in relazione all’incendio di cui è causa, ritiene innanzitutto dimostrato, ai fini di cui alla clausola n. 40 delle condizioni della polizza stipulata con I.A. S.p.A. e di cui alla clausola n. 21 delle condizioni della polizza stipulata con Z.I. PLC, nonché, più in generale,
della indennizzabilità del sinistro, che il suddetto incendio non sia riconducibile a dolo dell’assicurato.
A tale riguardo, si osserva che per poter ricondurre alle menzionate pattuizioni un significato compatibile con il principio di buona fede nella esecuzione del contratto, i.e. per evitare di configurare a carico dell’assicurato
una probatio diabolica, deve escludersi che quest’ultimo sia tenuto a fornire la prova positiva dell’assenza di dolo e reputarsi sufficiente la dimostrazione della insussistenza di elementi univocamente indicativi della volontarietà dell’evento e, conseguentemente, della riferibilità causale dei fatti accertati – anche solo in termini di probabilità – ad un episodio accidentale.
Il problema sollevato da una clausola di questo tipo si manifesta in tutte le ipotesi – come quella del caso di specie – in cui l’onere imposto dal contratto è estremamente gravoso da un punto di vista economico, poiché la spesa da affrontare è di tale entità da non poter essere facilmente sostenuta, almeno prima di avere ricevuto l’indennizzo. La condotta cui è subordinato il
pagamento della prestazione assicurativa si rivela pertanto quasi irrealizzabile, tanto da rendere più teorica che reale la copertura assicurativa.
Stando così le cose, sorge il dubbio che una previsione contrattuale di
tal genere esorbiti nell’area della “limitazione di responsabilità” dell’assicuratore, e sia pertanto vessatoria. Questa è la conclusione cui perviene il
giudice nella vicenda qui esaminata, giungendo dunque ad affermare
l’inefficacia della clausola e l’operatività della garanzia.
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Giurisprudenza
Nel caso di specie, nel corso delle indagini preliminari esperite a carico del l.r. delle società assicurate, il consulente del P.M. ha accertato che
l’incendio “ha avuto origine dai cavi di alimentazione del caricabatterie e
in seconda ipotesi dal caricabatterie n. 21 posati sul ripiano inferiore del
mobile utilizzato per il deposito della minuta ferramenta e per la ricarica
delle batterie degli utensili”.
Ha inoltre verificato che le sovratemperature generate dal caricabatterie n. 21 durante la ricarica hanno contribuito ad alimentare l’innesco del
tubo flessibile di aspirazione; l’innesco è stato quindi trasmesso dal tubo
flessibile ad una delle barche (quella contraddistinta con la lettera E); da tale barca è passato ai lucernari; dai lucernari, l’incendio è stato trasmesso alle altre barche, fino a raggiungere il capannone della vicina società N.T. (si
veda la relazione depositata sub doc. 22 nel fascicolo di parte attrice depositato nell’originario proc. n. 3265/12).
Non è stato invece possibile accertare, per indisponibilità dei dati presso il gestore della fornitura di energia elettrica, se nell’occasione vi sia stata una brusca e inattesa interruzione del funzionamento dei contatori (deponente per la natura dolosa dell’evento) o se, al contrario, si sia verificato un progressivo e anomalo incremento di consumi (compatibile invece
con l’ipotesi del corto circuito).
Sulla base di tali emergenze, l’ing. V. Ma. (CTU della Procura) ha confermato l’ipotesi non dolosa dell’evento e tali conclusioni sono state poste a
fondamento della richiesta di archiviazione formulata dal Pubblico Ministero.
Neppure le indagini integrative disposte dal Giudice per le Indagini Preliminari in merito alla situazione finanziaria delle due società beneficiarie
dell’indennizzo assicurativo hanno apportato elementi di riscontro alla tesi accusatoria sostenuta dalle compagnie querelanti ed il procedimento è
stato quindi archiviato.
Le richiamate risultanze dell’indagine penale consentono di ritenere che
le società assicurate abbiano assolto all’onere probatorio posto a carico delle stesse dalle condizioni generali di polizza, da interpretarsi secondo il criterio sopra delineato.
La decisione induce a una riflessione su un tema oramai classico nel panorama assicurativo, ovvero la distinzione tra clausole che delimitano l’oggetto e clausole che limitano la responsabilità.
Secondo l’opinione tradizionale, le prime definiscono il rischio assunto dall’impresa di assicurazione e ben possono consistere in limitazioni
ed esclusioni attinenti all’evento assicurato e alle modalità di accadimento del
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Dalle Corti di merito
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2. Liquidazione dell’indennizzo.
Con riferimento alla quantificazione degli indennizzi liquidabili in favore delle assicurate, il Tribunale reputa innanzitutto opportuno esaminare
le risultanze delle perizie contrattuali eseguite su incarico delle parti dall’ing. Ci. per I.A. S.p.A., dal geom. Le. per Z.I. PLC e dal geom. Ro. per
F.P.B. S.a.s.
Al riguardo, va ricordato che, secondo quanto previsto dalla disciplina
contrattuale applicabile al caso di specie (art. 37 Polizza I.A. S.p.A. e art.
16 polizze Z.I. PLC), i risultati delle valutazioni dei periti devono considerarsi obbligatori per le parti, impregiudicata tuttavia qualsivoglia eccezione inerente alla indennizzabilità dei danni.
All’esito dell’esame congiunto dei verbali di perizia in atti, si reputano accertati i seguenti danni indennizzabili, quantificati concordemente dalle parti:
– fabbricato euro 128.053,80
– macchinari euro 189.791,40 (al netto del supplemento di indennità,
non riconosciuto per mancato rimpiazzo dei beni)
– modelli e stampi euro 107.063,25 + euro 140.800 per lo stampo di cui
alla polizza Z. Leasing
– demolizione euro 157.046,93
– maggiori costi euro 30.018,40
– merci euro 204.000,78
L’indicazione degli importi riferiti alla partita Merci non ricomprende
la liquidazione dei danni alle imbarcazioni verificate dai periti.
In merito ad esse, va innanzitutto osservato che l’eccezione sollevata
da I.A. S.p.A. in ordine alla non indennizzabilità del valore delle barche
contraddistinte con le lettere A e B, in quanto di proprietà di terzi, deve essere accolta.
sinistro: trattandosi di determinazione del contenuto del contratto, e più precisamente della prestazione dell’assicuratore, la relativa clausola mai potrà
essere considerata vessatoria. Viceversa, se la clausola è preordinata
ad escludere che l’assicuratore sia chiamato a rispondere in caso di inadempimento, si fuoriesce dall’area della delimitazione dell’oggetto per rientrare nella limitazione di responsabilità. Più precisamente, ci si riferisce
a clausole che, anche in modo indiretto, fanno sì che la parte non debba
adempiere quando, in base alle regole generali, dovrebbe; clausole, in altre
parole, che assumono i connotati di una deroga all’impegno preso dall’assicuratore con il contratto.
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Giurisprudenza
Infatti, sebbene l’art. 1 della Sezione Incendio della polizza di cui si
discute preveda espressamente che si intendono assicurati i beni “anche di
proprietà di terzi”, l’art. 20 delle Condizioni Particolari chiarisce come la
suddetta copertura sia da riferire alle somme che l’assicurato “sia tenuto a
corrispondere (...) quale civilmente responsabile ai sensi di legge per danni materiali diretti cagionati alle cose di terzi”.
In altri termini, all’assicurato non è dovuto tout court l’indennizzo per
i danni ai beni di terzi, essendo prevista la sola rifusione degli esborsi in
concreto sostenuti con riferimento a tali beni.
Nel caso di specie, nessuna indicazione in tal senso risulta formulata da
F.P. B. S.a.s. né da B.I. S.r.l.
Conseguentemente, le barche A e B devono essere escluse dall’indennizzo ad oggi liquidabile.
Quanto invece alle imbarcazioni contraddistinte con le lettere C e D, si
evidenzia che i due periti sono giunti a risultati discordanti.
In particolare, il perito di I.A. S.p.A., ha preso in considerazione il valore commerciale dei beni, mentre il perito di F.P. B. S.a.s. ha computato il
prezzo di vendita risultante dai contratti prodotti dalla società assicurata, in
applicazione della clausola c.d. selling price.
Al riguardo, il Tribunale rileva come, anche a prescindere dalla insussistenza delle condizioni previste dalla richiamata clausola per l’operatività del prezzo di vendita (non essendo i contratti in atti muniti di data certa),
la pattuizione richiamata dal geom. Ro. preveda chiaramente che, ove il
prezzo di vendita superi il corrispondente valore commerciale, sia quest’ultimo a dover essere tenuto in considerazione.
Pertanto, agli importi sopra indicati dovrà essere aggiunta l’ulteriore
somma di euro 60.000, corrispondente al valore commerciale (non contestato dal geom. Ro.) delle due imbarcazioni di cui si discute (pagg.8-13 del
verbale di perizia I.A.).
La linea di confine tra le due aree è molto sottile: la sua concretizzazione è necessariamente rimessa all’opera dell’interprete (in giurisprudenza, v. Cass. 27 luglio 2001, n. 10290; Cass. 1° marzo 1986, n. 1303; Cass.
1° aprile 1982, n. 2003; Cass. 17 dicembre 1981, n. 6680; Cass. 7 febbraio
1979, n. 816, in questa Rivista, 1979, II, 2, Mass. n. 20; Cass. 10 dicembre
1976, n. 4606, ivi, 1977, II, 2, Mass. n. 75, oltre alle sentenze citate infra.
Per un’estesa ricognizione si rinvia a CASTELLANO e SCARLATELLA, Le assicurazioni private, Torino, 1981, p. 195 ss.).
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Dalle Corti di merito
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Restano ancora da analizzare le eccezioni a vario titolo sollevate da Z.I.
PLC sulla operatività delle due polizze azionate da F.P.B. S.r.l. e B.I. S.r.l.
1) Operatività della garanzia a secondo rischio, in aumento sulla polizza I.A.
L’esame del testo contrattuale della polizza n. (omissis) (denominata
All Risks) fa emergere alcune contraddizioni che rendono di difficile interpretazione la volontà delle parti (si veda in particolare l’allegato 1 alla polizza richiamata).
Nondimeno, il Tribunale ritiene di poter concludere per l’operatività
della polizza Z. n. (omissis) a secondo rischio, in aumento sulle corrispondenti partite della polizza I.A. S.p.A.
Si osserva a tale riguardo che il richiamato testo contrattuale prevede
che la garanzia sia suddivisa come segue:
1) macchinario euro 400.000
2) modelli e stampi (primo rischio assoluto) euro 400.000
3) merci presso i cantieri Mo. in Cantù euro 1.000.000
Nel medesimo allegato si dà inoltre atto della coesistenza di altra assicurazione stipulata con I.A. S.p.A. (n. omissis) e, con apparente riferimento a quest’ultima, si riporta la seguente indicazione:
euro 400.000 in aumento alla partita 2) Macchinario
euro 400.000 in aumento al sottolimite di euro 25.000
L’analisi comparata delle pattuizioni sopra riportate e di quelle contenute nella polizza I.A. S.p.A. [nella quale la partita 2) è riferita ai Macchinari ed è limitata ad euro 250.000, mentre per gli Stampi è previsto il limite di indennizzabilità pari a euro 25.000], nonché la valutazione delle dichiarazioni rese da S.B. Fa. in sede di interrogatorio del Pubblico Ministero (nell’ambito del procedimento penale già menzionato) inducono a ritenere effettivamente operante a secondo rischio la polizza stipulata con Z.I.
PLC.
Muovendo dalla nutrita casistica disponibile, nelle numerose occasioni in cui sono state chiamate a pronunciarsi in materia, le nostre Corti sono
state per lo più propense a intendere le clausole imputate quali clausole di
delimitazione del rischio: è accaduto ad esempio con riguardo alla clausola di una polizza infortuni che escludeva l’indennizzo quando la lesione conseguente all’infortunio era dipesa anche, in parte, da condizioni fisiche o
patologiche preesistenti o sopravvenute all’infortunio stesso (Cass. 4 febbraio 2002, n. 1430; Trib. Monza 5 novembre 2007, in Contratti, 2008,
279); alla clausola di un’assicurazione contro il furto di un autoveicolo che
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Giurisprudenza
In particolare, facendo applicazione della regola interpretativa di cui all’art. 1362 c.c., la quale prescrive di indagare la comune intenzione delle
parti e di non limitarsi al senso letterale delle parole, le dichiarazioni rese
dal legale rappresentante delle società assicurate appaiono dirimenti nel senso di ritenere che il contratto con Z.I. PLC sia stato stipulato al fine di integrare e ampliare la copertura assicurativa già offerta da I.A. S.p.A., ritenuta insufficiente a garantire F.P. B. S.a.s. e B.I. S.r.l. da tutti i rischi correlati all’esercizio dell’attività di impresa.
È dunque pienamente congruente con tali dichiarazioni la decisione di
stipulare una polizza a secondo rischio con riferimento ai macchinari e agli
stampi già inseriti nella assicurazione stipulata con I.A. S.p.A. e una polizza a primo rischio (n. omissis, denominata Z. Leasing) con riferimento agli
stampi acquisiti in leasing, esclusi dall’assicurazione con I.A. S.p.A. (si vedano a questo riguardo anche i verbali delle sommarie informazioni testimoniali acquisite nel corso delle indagini preliminari di cui al richiamato
procedimento penale).
A ciò consegue che l’indicazione (sopra riportata) contenuta nella seconda parte dell’allegato 1 alla polizza Z.I. PLC debba essere interpretata
– coerentemente anche con i dati numerici ivi indicati – come riferita alla
copertura offerta da Z.I. PLC in aumento su quella offerta da I.A. S.p.A. e
non viceversa.
L’operatività a secondo rischio della polizza Z. I. PLC determina:
– che l’indennizzo dovuto per la partita macchinari (calcolato in euro
189.791,40) sia da porre integralmente a carico di I.A. S.p.A., essendo gli
importi di cui alla polizza n. (omissis) sufficienti a coprire l’intero danno;
– che l’indennizzo dovuto per la partita Modelli e Stampi sia da porre
a carico di Z.I. PLC limitatamente alle somme eccedenti l’importo di euro
25.000.
imponeva “misure di sicurezza”, escludendo pertanto l’indennizzabilità se
il mezzo veniva sottratto quando era incustodito, quando cioè nessuno si
trovava a bordo (Cass. 1° dicembre 1998, n. 12190); alla clausola di un’assicurazione malattia secondo la quale l’indennità per convalescenza successiva al ricovero non poteva superare il limite di due volte i giorni di durata del ricovero (Cass. 8 gennaio 1999, n. 102); alla clausola di un’assicurazione r.c. del costruttore che escludeva dalla nozione di terzo “tutti coloro che, indipendentemente dalla natura del loro rapporto con l’assicurato,
hanno riportato danni in conseguenza della loro partecipazione manuale all’attività” cui si riferiva l’assicurazione (Cass. 9 marzo 2005, n. 5158); alla
clausola contenuta in una polizza r.c. auto che condizionava l’operatività
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2) Inoperatività della polizza con riferimento alla partita Modelli e Stampi
Z.I. PLC ha altresì dedotto la non indennizzabilità dei danni accertati a
carico degli stampi.
In questa prospettiva, ha innanzitutto richiamato quanto previsto nella
clausola n. 3 della sezione 1 delle condizioni di polizza, la quale prevede
che “l’indennizzo verrà corrisposto soltanto dopo che i beni distrutti o danneggiati saranno ricostruiti o riparati”.
Ha quindi escluso l’operatività della garanzia in ordine a tale partita, in
ragione della circostanza, pacifica in causa, della mancata preventiva riparazione o sostituzione degli stampi danneggiati.
F.P.B. S.a.s. e B.I. S.r.l. hanno di contro eccepito la inefficacia di tale
clausola, in quanto limitativa della responsabilità della compagnia e non
specificamente sottoscritta ai sensi dell’art. 1341 c.c.
A tale riguardo, va ricordato che “nel contratto di assicurazione sono da
considerare clausole limitative della responsabilità, agli effetti dell’art. 1341
c.c. (con conseguente necessità di specifica approvazione preventiva per
iscritto), quelle che limitano le conseguenze della colpa o dell’inadempimento o che escludono il rischio garantito, mentre attengono all’oggetto del
contratto – e non sono, perciò, assoggettate al regime previsto dalla suddetta norma – le clausole che riguardano il contenuto ed i limiti della garanzia assicurativa e, pertanto, specificano il rischio garantito” (Cass. n.
8235/2010).
Facendo applicazione del suddetto principio, il Tribunale ritiene che la
pattuizione in esame sia da ricondurre alla categoria delle clausole vessatorie, dovendo considerarsi che la subordinazione del pagamento dell’indennizzo alla preventiva riparazione degli stampi danneggiati dal sinistro
impone a carico dell’assicurato un onere economico gravoso e, come tale,
difficilmente sostenibile (specie successivamente al verificarsi dell’evento
assicurato), con conseguente, sostanziale, esclusione del rischio garantito.
della garanzia alla circostanza che il contraente fosse munito di patente valida (Cass. 10 novembre 2009, n. 23741).
Sporadiche sono invece state le decisioni in cui si sono effettivamente
ravvisate clausole di limitazione di responsabilità: è accaduto ad esempio
con riferimento a una clausola che prevedeva la non trasmissibilità agli eredi del diritto all’indennizzo per invalidità permanente in caso di decesso
dell’assicurato, per cause indipendenti dall’infortunio, prima della liquidazione dell’indennizzo stesso (Cass. 11 gennaio 2007, n. 395). Per un altro
esempio, v. Cass. 21 ottobre 1994, n. 8643, su cui infra.
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Giurisprudenza
Le argomentazioni svolte dall’assicurazione vanno dunque disattese.
Analogamente, è infondata l’eccezione di difetto di legittimazione sollevata da Z.I. PLC nell’atto di opposizione al decreto ingiuntivo n. 4502/11,
con riferimento alla posizione di F.P.B. S.a.s.
Nell’allegato 1 alla polizza Z. (omissis) viene in effetti precisato che
“quanto indicato alla voce Modelli e Stampi si intende assicurato in nome
e per conto della proprietà B.I. S.r.l.”.
Nondimeno, a norma dell’art. 11 delle Condizioni Generali di Assicurazione “le azioni, le ragioni ed i diritti nascenti dalla polizza non possono
essere esercitati che dal Contraente e dalla Compagnia”. (...) L’indennizzo
liquidato a termini di polizza non può tuttavia essere pagato se non nei confronti o col consenso dei titolari dell’interesse assicurato”.
Nel caso concreto, il contraente di polizza è pacificamente la società
F.P.B. S.r.l., della quale va affermata la legittimazione ad agire, anche per
il pagamento dell’indennizzo.
Ciò in quanto la coincidenza soggettiva del legale rappresentante della
società contraente e della società assicurata e la proposizione anche di parte di quest’ultima (unitamente a F.P.B. S.a.s., nel giudizio originariamente
iscritto al n. 3265/12) della domanda di pagamento di cui si discute con-
Volendo tentare di fare ordine sul punto, si può affermare che con “delimitazioni del rischio assicurato” – le quali nel contratto di assicurazione
costituiscono i criteri di determinazione dell’oggetto – ci si riferisce a specificazioni del rischio consistenti in circostanze strettamente inerenti ai fenomeni del sinistro e dell’evento dannoso. Più precisamente, suddette delimitazioni possono attenere al luogo dell’accadimento del sinistro (ad es.,
esclusione del furto verificatosi in taluni locali dell’impresa), al tempo in
cui il sinistro e/o le sue conseguenze dannose debbono verificarsi (ad es.,
non indennizzabilità dei danni manifestatisi oltre un certo periodo di tempo dalla scadenza dell’assicurazione), ai soggetti agenti (ad es., esclusione
dei furti commessi dai dipendenti dell’assicurato), ai soggetti lesi (ad es.,
l’esclusione di taluni soggetti dalla nozione di “terzo” nell’assicurazione
della responsabilità civile), alla causa del sinistro medesimo (ad es., esclusione degli infortuni occorsi nell’esercizio di attività sportive), agli effetti
verificatisi (ad es., polizza incendio con esclusione danni a software) o ancora al quantum risarcibile (ad es., clausole che fissano massimali). Tutte
queste delimitazioni attengono all’oggetto del contratto e sono, perciò, sottratte al vaglio di vessatorietà (purché, nei contratti conclusi con consumatori, siano espresse in modo chiaro e comprensibile).
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sentono di ritenere integrato il presupposto del consenso del titolare dell’interesse assicurato.
3) Difetto di legittimazione di F.P.B. S.a.s. con riferimento alla polizza Leasing.
Le medesime considerazioni sopra svolte in ordine al diritto del contraente di polizza di ottenere il pagamento dell’indennizzo solo ove risulti
il consenso dell’assicurato impongono di respingere la domanda proposta
da F.P. B. S.a.s. con riguardo allo stampo di cui al contratto di (omissis).
Il suddetto bene risulta assicurato con la polizza n. (omissis) ed il relativo valore indennizzabile è stato concordemente indicato in euro 140.800,00,
al netto della franchigia.
La menzionata polizza, tuttavia, indica quale assicurato la società Le.
S.p.A., proprietaria del bene concesso in leasing a F.P.B. S.a.s.
Sulla base di questa premessa, non convincono le conclusioni cui giungono Cass. 7 aprile 2010, n. 8235 e Cass. 29 maggio 2006, n. 12804, che
con l’intento di tutelare il contraente, qualificano come limitatrici della responsabilità e sanciscono con la nullità (nell’un caso ex art. 1229 c.c., nell’altro ex art. 1341, cpv., per mancanza della doppia sottoscrizione) clausole che delimitano l’oggetto del contratto in modo molto intenso, sì da circoscrivere fortemente il rischio a carico dell’assicuratore (critico anche ROSSETTI, Delimitazione del rischio assicurato e causa del contratto, in nota a
Cass. 7 aprile 2010, n. 8235, in Giust. civ., 2011, 200). Le parti hanno invero ampia discrezionalità nell’individuare i confini del rischio assicurato;
peraltro, la sua compressione dovrebbe recare con sé una riduzione del premio dovuto. L’unico limite consiste nella necessità che un sia pur minimo
rischio a carico dell’assicuratore sussista: l’ipotesi estrema – quasi di scuola – riguarda contratti le cui clausole di delimitazione del rischio sono tali
da comportarne la sostanziale eliminazione, il che non sembra davvero essersi verificato nei casi decisi dalla Corte di Cassazione nelle due sentenze
sopra citate. Se così fosse stato, la conseguenza avrebbe dovuto essere, a rigore, la declaratoria di nullità per inesistenza del rischio, rimedio peraltro
a cui difficilmente si sarebbe voluti pervenire, comportando esso conseguenze poco favorevoli per l’assicurato, il quale si sarebbe visto senza copertura assicurativa e con il solo diritto alla restituzione dei premi. Trattandosi invece di mera limitazione del rischio a carico dell’assicuratore, i
contratti erano senz’altro inadeguati rispetto alle esigenze assicurative del
contraente, ma l’orientamento giurisprudenziale dal sapore paternalista
espresso dalla Corte di legittimità non convince.
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Giurisprudenza
In tale contesto, non essendovi elementi di fatto sui quali fondare il consenso del titolare dell’interesse assicurato, il Tribunale ritiene di respingere la domanda di pagamento formulata dalla società contraente.
L’indennizzo complessivamente spettante a F.P.B. S.r.l. ammonta quindi a euro 875.974,56, calcolato al lordo dell’acconto già versato da I.A.
S.p.A., pari a euro 320.000.
Lo stesso, dovrà essere suddiviso fra le due compagnie nei termini di
seguito indicati, al netto delle franchigie contrattuali:
I. A. S.p.a.
– fabbricato euro 128.053,80
– macchinari euro 189.791,40
– modelli e stampi euro 25.000,00
– demolizione euro 157.046,93
– maggiori costi euro 30.018,40
– merci euro 264.000,78
euro 793.911,31 –
– franchigia euro 1.500,00
Totale euro 792.411,31
Z. I. (polizza n. omissis)
– modelli e stampi euro 82.063,25 –
– franchigia euro 1.886,31
Totale euro 80.176,94
Dalle somme come sopra individuate a carico di I.A. S.p.A. dovrà essere dedotto l’anticipo già versato, pari a euro 320.000 (di cui al DI n.1532/11
di questo Tribunale).
Conseguentemente, l’indennizzo ancora dovuto da I.A. S.p.A. ammonta
a euro 472.411,31 mentre quello dovuto da Z.I. PLC ammonta a euro 80.176,94.
I suddetti importi sono indicati al lordo delle cessioni di credito di cui
al successivo paragrafo 4.
Al di là di questa breve digressione, e tornando alla vicenda trattata dalla
sentenza del Tribunale di Monza in esame, una difficoltà nella distinzione tra
clausole di delimitazione del rischio e di limitazione di responsabilità riguarda le condizioni che subordinano il pagamento dell’indennizzo a presupposti
o all’adempimento di oneri da parte dell’assicurato. Che le condizioni de quibus attengano alla delimitazione dell’oggetto è discutibile, trattandosi di circostanze estranee all’evento assicurato, non strettamente pertinenti al sinistro,
le quali indirettamente circoscrivono il rischio a carico dell’assicuratore, ma
non con la tecnica della determinazione della prestazione dovuta.
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3. Domande risarcitorie proposte da F.P. B. S.a.s., B. I. S.r.l. e S. B. Fa.
Le società assicurate hanno infine chiesto la condanna delle due compagnie di assicurazione al risarcimento dei danni cagionati con la propria
condotta reticente e dilatoria.
In particolare, hanno dedotto la violazione dell’art. 40 delle condizioni
della Polizza I.A. S.p.A. e dell’art. 21 delle condizioni delle Polizze Z.I.
PLC, relativi ai termini per l’erogazione degli indennizzi.
Entrambe le clausole richiamate prevedono il pagamento dell’indennizzo entro 30 giorni dalla liquidazione del danno, subordinando tuttavia la
decorrenza del suddetto termine alla dimostrazione da parte dell’assicurato che il fatto non sia dovuto a dolo o colpa grave del medesimo.
Nel caso di specie, considerato l’esito concreto del procedimento penale instaurato a carico di S.B.Fa. e le osservazioni svolte sia dal Pubblico
Ministero sia dal G.i.p. nella richiesta e nel decreto di archiviazione, il Tribunale ritiene che le due compagnie abbiano legittimamente procrastinato
Certo non si dubita della liceità dell’inserimento di simili condizioni nei
contratti d’assicurazione. Per il vero, esse sono pienamente conformi all’idea di reciproca lealtà che promana dal disposto dell’art. 1914 c.c. (il c.d.
obbligo di salvataggio). Proprio sulla base del richiamo al principio generale di correttezza e buona fede nelle relazioni contrattuali, si può sostenere che si fuoriesce da un equo bilanciamento dei reciproci doveri contrattuali, e si sconfina nell’abuso, quando l’onere imposto al contraente è tanto gravoso da ridurre, fino quasi a eliminare, la probabilità che esso possa
essere soddisfatto: l’assicuratore avrà la sostanziale certezza di non dovere
pagare alcunché.
Così, la clausola che impone di predisporre idonee misure di prevenzione contro il rischio del verificarsi del sinistro, e conseguentemente che esclude l’indennizzabilità in mancanza delle medesime, non può dirsi attinente
alla determinazione dell’oggetto del contratto (non condivisibile è dunque
l’orientamento espresso in Cass. 10 novembre 2009, n. 23741 e in Cass. 1°
dicembre 1998, n. 12190, citt. supra), ma potrà ugualmente valutarsi legittima e non abusiva laddove il suo contenuto sia conforme a un criterio di ragionevolezza e reciproca correttezza e imponga un onere non eccessivo (un
esempio tra tutti: guidare muniti di valida patente, e non sotto l’effetto di alcool o sostanze stupefacenti). Con specifico riguardo alle clausole che impongono misure di prevenzione del furto, particolarmente diffuse nelle relative condizioni generali di contratto, è ragionevole richiedere una continua
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Giurisprudenza
il pagamento dell’indennizzo quantomeno in pendenza del suddetto procedimento penale.
In particolare, i profili di incertezza residuati anche dopo l’espletamento
dell’accertamento tecnico peritale disposto dalla Procura della Repubblica
e la sostanziale impossibilità di addivenire a una compiuta ricostruzione
della vicenda, nonché le perplessità manifestate dal G.i.p. anche successivamente all’espletamento delle indagini integrative disposte nell’ottica della verifica della situazione finanziaria della società assicurata, pur non valendo ad escludere (secondo quanto già argomentato) l’indennizzabilità dell’evento, giustificano tuttavia l’atteggiamento prudente delle assicurazioni
e la mancata spontanea erogazione dell’indennizzo.
A ciò deve aggiungersi che, dopo la chiusura delle indagini preliminari e nelle more della liquidazione definitiva del danno da parte dei periti,
I.A. S.p.A. e Z.I. PLC hanno visto notificarsi tre distinte cessioni di credito per importi rilevanti, effettuate da F.P.B. S.a.s. in relazione a quanto in
ipotesi dovutole a titolo di indennizzo per l’incendio di cui si discute.
presenza a bordo del mezzo assicurato contro il furto di un dipendente dell’impresa contraente (è il caso di Cass. 1° dicembre 1998, n. 12190, cit.); diversa valutazione va fatta invece, per la sua genericità, per una clausola di
una polizza contro il furto di una imbarcazione che esclude l’indennizzabilità “se, durante gli spostamenti a terra o in luoghi non sicuri non (sono) state adottate idonee misure di sicurezza e di sorveglianza per la protezione dell’imbarcazione” (è il caso esaminato da Cass. 21 ottobre 1994, n. 8643).
Alla luce di tale excursus, può ritenersi condivisibile la decisione del
Tribunale di Monza qui annotata, la quale ravvisa una clausola che limita
la responsabilità dell’assicuratore nella previsione contrattuale che subordina il pagamento dell’indennizzo alla previa ricostruzione o riparazione
dei beni (nel caso di specie modelli e stampi) andati distrutti o danneggiati; naturalmente, sulla base della premessa – che costituisce giudizio di fatto rimesso al giudice del merito – che in concreto tale condizione sia esageratamente gravosa per il contraente assicurato.
L’abusività della clausola apre le porte all’apparato rimediale predisposto dagli artt. 33 ss. del codice del consumo laddove la controparte dell’assicuratore sia qualificabile alla stregua di un consumatore; la tutela si rivelerà più formale che sostanziale quando invece le parti del contratto, come
nel caso esaminato dalla sentenza qui annotata, sono due professionisti: opererà invero la disciplina dettata dall’art. 1341 c.c. con la conseguenza che
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Dalle Corti di merito
Tale essendo il contesto, nessuna responsabilità appare ascrivibile alle
compagnie per i danni derivati a F.P.B. S.a.s., a B.I. S.r.l. e a S.B.Fa. personalmente a seguito della mancata messa a disposizione dell’indennizzo
nell’immediatezza dell’evento.
Nella medesima prospettiva, si fa, in ogni caso, rilevare che le assicurate si sono limitate a produrre due sintetiche relazioni di stima sul minor
guadagno riferito al periodo successivo all’incendio, senza depositare documentazione utile per la verifica concreta della situazione e senza dedurre mezzi istruttori volti a provare il nesso di causa tra il dedotto ritardo nella liquidazione dell’indennizzo e il lamentato calo di fatturato.
Analogamente, le relazioni medico-legali prodotte sub docc. 39 e 40 sono del tutto insufficienti, in termini di causalità giuridica, a ricondurre le
patologie riscontrate a carico di S. B. Fa. alla condotta specifica delle assicurazioni. (Omissis).
una semplice “doppia firma” scongiurerà il rischio per l’assicuratore di dovere essere comunque chiamato a corrispondere la prestazione. Salvo che il
giudice abbia l’ardire di percorrere altre strade, più controverse ma forse non
del tutto scorrette, quali la nullità della clausola ai sensi dell’art. 1229 c.c.:
“o una sua rilettura correttiva con lo strumento interpretativo offerto dall’art.
1370 c.c.”.
Per approfondimenti sul tema, si rinvia a: FANELLI, Delimitazione del rischio assicurato e limitazione di responsabilità, in Saggi di diritto delle assicurazioni, 1971, p. 215; M. BIN, Condizioni generali di contratto e rapporti assicurativi, in Clausole abusive e direttiva comunitaria, a cura di Cesaro, Padova, 1994, p. 137.
ILARIA RIVA
Ricercatore di Diritto privato
Università degli Studi di Torino
Assicurazioni – n. 2-2014
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TRIBUNALE DI MILANO
Sez. III – 1° luglio 2014 – Giudice dott. Blumetti – S. (avv. X) c. M.E.
(avv. Zanella).
Ass. vita – Art. 1923 c.c. – Impignorabilità – Prodotto misto assicurativo-finanziario – Inapplicabilità.
L’impignorabilità sancita dall’art. 1923 c.c. per i diritti di credito spettanti in base a contratti di assicurazione sulla vita non opera con riguardo
a quei contratti la cui causa di investimento sia prevalente rispetto alla causa previdenziale (1).
Il Tribunale ecc. (Omissis). DIRITTO. – Le domande in questo processo
proposte dalla signora S. risultano intese ad ottenere sia riconosciuta l’impignorabilità dei beni mobili cui si è riferito il pignoramento nei confronti
della medesima signora S. promosso dalla signora E.M.
Con tali domande risulta pertanto essere stato dalla signora S. utilizzato lo strumento della opposizione all’esecuzione previsto dalle disposizioni del secondo comma dell’art. 615 c.p.c.
(1) In ambito assicurativo gli interpreti distinguono, all’interno del c.d.
ramo vita, i contratti di assicurazione sulla vita veri e propri, contraddistinti da una funzione essenzialmente previdenziale (nel senso di sopperire a un
bisogno primario della persona legato al verificarsi di eventi attinenti alla vita umana, quali i bisogni dell’età post-lavorativa e quelli dei familiari a seguito della morte del congiunto percettore di redditi), dai “prodotti” – impropriamente definiti assicurativi – con finalità primaria di investimento.
Soltanto ai primi sarebbe direttamente applicabile la disciplina codicistica e
quella speciale sul contratto di assicurazione: più precisamente, le regole trovanti la propria ratio nella natura di previdenza e nel rischio demografico
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Le domande così proposte risultano essere state mantenute ferme dalla
signora S. anche nelle conclusioni definitivamente formulate e del resto è
configurabile la permanenza dell’interesse della medesima signora S. ad ottenere una pronuncia in merito alla impignorabilità dei beni fatti oggetto
del pignoramento invece promosso dalla signora E.M. anche al fine di poter far valere l’eventuale pronuncia in tal senso ottenuta a fronte di un ipotetico futuro ripetuto esercizio dell’azione esecutiva da parte della signora
E.M. sugli stessi beni.
che colora la causa del contratto assicurativo non potrebbero logicamente
operare con riguardo a contratti finanziari.
Il principio, elaborato in dottrina [cfr. GAMBINO, Note critiche sulla bozza del codice delle assicurazioni private, in Giur. comm., 2004, I, 1039;
ID., La responsabilità e le azioni privatistiche nella distribuzione dei prodotti finanziari di matrice assicurativa e bancaria, in questa Rivista, 2007,
I, 191 ss.; M. BIN, Commentario al codice delle assicurazioni private, Padova, 2006, p. 15; ID., La trasparenza dei “prodotti” emessi dalle imprese di assicurazione tra principî generali e nuovo Regolamento ISVAP, in questa Rivista, 2010, I, 611; CORRIAS, I contratti di assicurazione sulla vita e
di capitalizzazione, in AA.VV., Il nuovo codice delle assicurazioni, a cura di Amorosino-Desiderio, Milano, 2006, p. 359 ss. Va tuttavia ricordata
la diversa prospettiva di VOLPE PUTZOLU, Le polizze Unit linked e Index linked (ai confini dell’assicurazione sulla vita), in questa Rivista, 2000, I, 233,
e poi Le polizze linked tra norme comunitarie, Tuf e codice civile, ivi, 2012,
I, 399, per la quale «il postulato che il contratto di assicurazione sulla vita
non debba avere necessariamente una funzione “previdenziale” non trova
alcun riscontro nella disciplina del codice civile» (p. 407)] e fatto proprio
dalla giurisprudenza, trova una recente conferma nella pronuncia qui annotata, con specifico riferimento a una delle previsioni normative sulle quali il dibattito è stato più acceso: l’art. 1923 c.c., il quale sancisce l’impignorabilità e insequestrabilità da parte dei creditori del contraente delle
somme a quest’ultimo dovute in forza di un contratto d’assicurazione sulla vita. La peculiare deroga al principio di responsabilità patrimoniale illimitata recata dalla citata disposizione, in quanto trovante la propria giustificazione appunto nella funzione di previdenza e di incoraggiamento al risparmio – della quale peraltro va rimarcata la copertura costituzionale (arg.
art. 38 Cost.) – non può avere applicazione se tale natura previdenziale non
sussiste (il principio era stato già affermato da Trib. Parma 10 agosto 2010,
in questa Rivista, 2010, II, 779, con nota di De Francesco e da Trib.
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Giurisprudenza
Si rileva dunque che, come si desume dal provvedimento in data 28 gennaio 2013 assunto dal Giudice dell’Esecuzione nell’ambito del processo
esecutivo originato dal suddetto pignoramento promosso dalla signora E.M.,
i beni sui quali tale pignoramento ha esplicato i suoi effetti risultano essere stati costituiti, secondo la dichiarazione resa dal terzo Mediolanum Vita
S.p.A., da due polizze denominate Europension n. (…) e Medplus n. (…):
più precisamente i beni colpiti dal pignoramento promosso dalla signora
E.M. devono considerarsi costituiti dai diritti di credito della signora S. ver-
Cagliari 2 novembre 2010, ivi, 2011, II, 369, con mia annotazione. Hanno
qualificato come estranee alla causa assicurativa polizze del ramo III anche
Trib. Ferrara 27 giugno 2011, in questa Rivista, 2011, II, 761; Trib. Venezia 24 giugno 2010, in Resp. civ. prev., 2011, 868; Trib. Roma 21 giugno
2013 e Trib. Siracusa 17 ottobre 2013, in questa Rivista, 2013, 733. Si rammenti però nuovamente la diversa impostazione di VOLPE PUTZOLU, Le polizze linked tra norme comunitarie, Tuf e codice civile, cit., 408, per la quale la ratio dell’inaggredibilità di cui all’art. 1932 c.c. non risiederebbe affatto nella protezione degli atti di previdenza – che non potrebbe spiegare
la ragione per cui la tutela è limitata alle “somme dovute” e non si estende
alle “somme riscosse” – bensì nella tutela dell’assicuratore) .
Poste queste premesse, costituenti oggi principî acquisiti nella dottrina
e giurisprudenza maggioritarie, il dibattito deve necessariamente muovere
verso l’individuazione degli indici sintomatici della causa finanziaria o, detto in altri termini, della prevalenza della componente finanziaria su quella
previdenziale. Invero, un’analisi troppo sommaria potrebbe indurre a circoscrivere l’ambito applicativo dell’art. 1923 c.c. entro confini eccessivamente ristretti. Ciò in base alla constatazione che la previsione di meccanismi rivalutativi e d’incremento del capitale in connessione a rendimenti di
vario genere appare oggi una costante dell’area vita.
Il giudice ambrosiano, in modo piuttosto sbrigativo, annovera il contratto della vicenda in esame all’area dei prodotti misti assicurativo-finanziari ed esclude l’applicazione dell’art. 1932 c.c. sulla base delle seguenti considerazioni: 1) il contratto risulta presentato come mezzo di investimento; 2) esso ha durata annuale, con rinnovo tacito di anno in anno; 3) esso risulta collegato ad un rapporto di conto corrente del contraente,
nel senso che l’entità dei premi dipende dal saldo del conto corrente; 4)
la somma dovuta dall’assicuratore è collegata al risultato di determinati
investimenti.
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so la Mediolanum Vita S.p.A. destinati a rendersi esigibili alla realizzazione degli eventi o alle manifestazioni di volontà a tal fine previsti nei contratti di assicurazione cui le suddette polizze si riferiscono.
Ma se è pur vero che quei contratti risultano essere stati connotati da
una funzione previdenziale, essendo prevista – secondo lo schema del contratto di assicurazione – una prestazione avente ad oggetto il pagamento di
una somma di denaro a favore della signora S. in caso di morte della stessa, tale funzione risulta avere una posizione secondaria rispetto alla funzione di investimento di denaro con esse attuato.
Basta al riguardo considerare che quei contratti risultano presentati dalla S.p.A. Mediolanum Vita – secondo la documentazione al riguardo prodotta dalla signora E.M. – come mezzi di investimento, che nella proposta
predisposta dalla Mediolanum Vita S.p.A e fatta propria dalla signora S.
per la conclusione del contratto cui si riferisce la polizza denominata Medplus viene contrassegnato nelle “Informazioni sulle aspettative in relazione al presente contratto” quale “obiettivo di investimento” quello costituito dal “risparmio/investimento”, che il contratto – di cui è prevista una durata annuale con rinnovo tacito di anno in anno – risulta collegato ad un rapporto di conto corrente intrattenuto dalla signora S. con la previsione della
dipendenza della entità dei premi dal saldo del conto corrente e la previsione della dipendenza della entità della somma oggetto della prestazione
dovuta dalla Mediolanum Vita S.p.A dall’esito degli investimenti.
Tutti questi elementi, sia considerati singolarmente sia soprattutto considerati nel loro insieme, impongono di ritenere abbia netta prevalenza nel
contratto cui si riferisce la polizza Medplus ed anche nell’analogo contratto cui si riferisce la polizza Europension il fine di investimento rispetto al
fine previdenziale.
Ora, il dato letterale deve ritenersi scarsamente rilevante. Il termine annuale è effettivamente poco compatibile con una finalità di previdenza, ancorché, con il meccanismo del tacito rinnovo, ben potrebbe realizzarsi una
durata significativa. La periodicità dei premi è invece un falso indizio, dal
momento che, di norma, i prodotti finanziari sono caratterizzati da un premio unico iniziale. L’elemento veramente rilevante, sul quale l’indagine deve essere più accurata, anche nel rispetto di una giusta esigenza di prevedibilità delle decisioni giurisprudenziali, attiene ai criteri di determinazione
della prestazione assicurativa e, più nello specifico, all’incidenza del collegamento con componenti finanziarie (sì che l’alea non risulterà più di tipo
demografico, ma d’investimento) e alla sussistenza o meno di un capitale
minimo garantito.
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Giurisprudenza
Va di conseguenza escluso valga per i diritti di credito originati da quei
contratti l’impignorabilità sancita dalle disposizioni dell’art. 1932 c.c. per
i diritti di credito relativi alle somme spettanti in base a contratti di assicurazione sulla vita.
L’opposizione proposta dalla signora S. deve quindi essere respinta.
Per quanto riguarda l’onere delle spese per questo giudizio, devono ritenersi ricorrere giusti motivi – in considerazione dei peculiari aspetti della fattispecie anche sotto il profilo giuridico – per compensarle interamente tra le parti. (Omissis).
Come affermato dal leading case in materia (Trib. Parma 10 agosto
2010, cit.), requisito minimo perché sia soddisfatta la natura previdenziale
del contratto è la garanzia che sia conservato almeno il capitale inizialmente
corrisposto (più nello specifico, nel caso esaminato dal giudice parmigiano
era prevista sì la restituzione del capitale nominale – da intendersi come
maggior valore tra il premio versato e il capitale assicurato al momento del
decesso – ma al netto dei costi di gestione e del fenomeno inflattivo, il che
è stato ritenuto incompatibile con lo strumento dell’assicurazione sulla vita). Si tratta ora di chiarire se questo presupposto sia condizione necessaria
e sufficiente per il tipo assicurativo, o se invece occorra qualcosa in più, ovvero un minimo rendimento che assicuri una forma di previdenza al verificarsi dell’evento, sì che la componente finanziaria possa ritenersi meramente ausiliaria. È su questo versante che, allo stato attuale della giurisprudenza in materia e salva ovviamente la possibilità di improvvisi revirement, l’indagine dovrebbe proseguire (diverse le soluzioni offerte in dottrina: cfr. VOLPE PUTZOLU, Le polizze linked tra norme comunitarie, Tuf e
codice civile, cit.; GAMBINO, La responsabilità e le azioni privatistiche nella distribuzione dei prodotti finanziari di matrice assicurativa e bancaria,
cit.; LANDINI, Art. 1932 cod. civ. e polizze index e unit linked, in Riv. giur.
sarda, 2011, 394).
ILARIA RIVA
Ricercatore di Diritto privato
Università degli Studi di Torino
Assicurazioni – n. 2-2014
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Osservatorio
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AIDA - ASSOCIAZIONE INTERNAZIONALE
DI DIRITTO DELLE ASSICURAZIONI
ATTIVITÀ INTERNAZIONALE
XIV Congresso mondiale di Diritto delle assicurazioni
Pubblichiamo il programma aggiornato del XIV Congresso mondiale
dell’AIDA che avrà luogo a Roma, nei giorni 28 settembre – 2 ottobre 2014
presso la Sede dell’Università Europea (Via degli Aldobrandeschi, 190),
sul tema Il diritto delle assicurazioni nel quadro mondiale - Trasparenza,
Arbitrato, Misure Preventive, Assicurazione Online, Discriminazione.
Nelle sessioni plenarie è prevista la traduzione simultanea in italiano –
inglese – spagnolo.
La partecipazione alla seduta inaugurale del Congresso (lunedì 29 settembre – ore 8.30) è gratuita e comporta il riconoscimento di crediti per la
formazione continua.
PROGRAMMA
Domenica 28 Settembre 2014
16.00 - 19.00 RIUNIONE COMITATO ESECUTIVO AIDA
19.00 Cocktail di benvenuto
Lunedì 29 Settembre 2014
Mattina
8.30 Registrazione dei partecipanti
9:00 - 11:30 Riunione Consiglio internazionale di Presidenza AIDA
11.30 - 13:00 Apertura dei lavori
Saluti delle Autorità
Assemblea Generale AIDA
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Osservatorio
Relazioni introduttive
Mr. Michael Gill – Presidente internazionale AIDA,
Australia
Il ruolo dell’AIDA nel mondo
Prof. Paolo Montalenti - Presidente Sezione Italiana
AIDA , Italia
Il diritto delle assicurazioni tra ordinamenti nazionali
e globalizzazione
Prof. Agostino Gambino - Presidente onorario AIDA, Italia
Il ruolo dell’AIDA dalle origini ad oggi
Mrs Vicki Roberts, Presidente Federation of Defense and
Corporate Counsel, Stati Uniti
13.00 - 14.00
Pomeriggio
14.00 - 16.00
Colazione di lavoro
Gruppi di lavoro (Sessione 1)
1) Cumulo di azioni e surrogazione
Presidente: Dr. Enrique José Quintana, Argentina
Tema: Eventuale surrogazione del riassicuratore nelle
assicurazioni danni alla proprietà
2) Responsabilità civile
Presidente : Prof. Osvaldo Contreras-Strauch, Cile
Tema: Pagamento del risarcimento ai terzi (vittime)
a) A chi va risarcito il danno coperto dalla polizza?
b) Ambito di applicazione della regola “pay to be paid”;
c) Diritti dei terzi nei casi di morte, scomparsa, fallimento
o mancanza d’interesse da parte dell’assicurato nel presentare la richiesta di risarcimento danni;
d) I terzi hanno diritto di presentare la richiesta di risarcimento all’assicuratore?
e) Questo diritto può essere esercitato dai terzi senza citazione o coinvolgimento dell’assicurato?
f) Eccezioni e/o opposizioni da parte dell’assicuratore contro le richieste dei terzi.
16.00 - 18.00
Gruppi di lavoro (Sessione 2)
Riunione congiunta fra i Gruppi:
1) Tutela dei consumatori e risoluzione delle controversie
Tema: Codici di comportamento
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2) Distribuzione assicurativa e controllo statale sulle assicurazioni
Presidente: Prof. Ioannis Rokas, Grecia
Temi:
• La Seconda Direttiva sull’intermediazione assicurativa
• Regole e limiti all’intermediazione transfrontaliera
• Distribuzione e gestione dei sinistri
3) Assicurazione crediti
4) Cambiamenti climatici
Presidente: Mr. Tim Hardy, Gran Bretagna
Temi:
• Fracking /fratturazione idraulica (ed estrazione mineraria/mining) – problemi legali particolari e problemi di copertura emergenti dalla estrazione del gas
di scisto e altri combustibili fossili
• Assicurazioni da alluvione: sono pronti gli assicuratori ad affrontare le maree crescenti?
• Assicurazioni agricole: come affrontare i rischi per la
produzione alimentare?
Relatori:
1. Prof. Birgit Kuschke, Sud Africa
2. Prof. Joseph Macdougald, Stati Uniti
3. Prof. Hilda Esperanza, Colombia
4. Dr. Chris Rodd, Australia
Martedì 30 Settembre 2014
Mattina
9.00 - 9.30
Introduzione: Prof. Paolo Montalenti, Italia
9.30 - 12.00
Prima Sessione plenaria: Trasparenza
Presidente e Relatore generale: Prof. Giovanna Volpe
Putzolu, Italia
• Trasparenza delle condizioni contrattuali
• Informazione precontrattuale e buona fede nelle trattative
Relatori:
1. Prof. Sara Landini, Università di Firenze, Italia
Conseguenze della violazione degli obblighi di trasparenza. Il ruolo dell’autorità di controllo e le sanzioni
amministrative
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Osservatorio
2. Prof. Marco Frigessi di Rattalma, Università di Brescia,
Italia – Prof. Gianluca Romagnoli, Università di Padova,
Italia
Intermediari di assicurazione e pubblicità dei prodotti
assicurativi
3. Prof. Manfred Wandt, Frankfurt University, Germania
Trasparenza delle condizioni del contratto di assicurazione (requisiti di legge e conseguenze della mancanza
di trasparenza)
12.00 - 13.00
Colazione di lavoro
Pomeriggio
13.00 - 15.00
Seconda Sessione plenaria: Assicurazione e Arbitrato
Presidente: Prof. Piero Bernardini, Italia
• L’arbitrato dovrebbe essere favorito come metodo di risoluzione delle controversie nei contratti di assicurazione e di riassicurazione?
• Quali le ragioni per questa preferenza? Quali gli svantaggi rispetto al giudizio di una corte nazionale?
• Esistono limiti legali all’arbitrabilità delle controversie
in materia assicurativa?
• Può l’assicuratore essere chiamato ad intervenire in una
controversia tra l’assicurato ed un terzo in base ad una
convenzione arbitrale di cui non è parte?
• Può l’assicuratore iniziare un arbitrato nei confronti dell’altra parte del contratto con l’assicurato che è stato indennizzato surrogandosi alla posizione di quest’ultimo
nel contratto, inclusa la clausola compromissoria?
• Può il lodo reso contro la parte assicurata essere fatto
valere contro l’assicuratore che non è stato parte della
procedura arbitrale?
• Esistono organi nazionali di arbitrato dotati di specifiche
competenze nelle controversie assicurative e riassicurative?
Relatori:
1. Prof. Osvaldo Contreras Strauch, Diego Portales University, Cile
2. Prof. Marcel Fontaine, Professore Emerito Catholic
University of Louvain, Belgio
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3. Sir Bernard Rix, Queen Mary University of London,
Gran Bretagna
4. Vicki Roberts, Presidente Federation of Defense and
Corporate Counsel, Stati Uniti
15.00 - 15.15
Pausa caffè
15.15 - 17.15
Gruppi di lavoro (Sessione 3)
1) Riassicurazione
Presidente: Mr. Colin Croly, Gran Bretagna
Tema: Clausola Follow the Settlements/Fortunes
Relatori:
1. Mr. Carlos A. Estebenet, Name Partner, Bullo-TassiEstebenet-Lipera-Torassa, Abogados, Argentina
2. Prof. Rob Merkin, University of Exeter, Gran Bretagna
3. Mr. Niels Schiersing, FCIArb Partner, HORTEN, Danimarca
4. Mr. Richard Traub, Partner Traub, Lieberman, Strauss
& Shrewsberry LLP, Stati Uniti
Tema: Follow the Settlements nelle assicurazioni vita:
Relatori:
1. Mr. Ian Enright, University of Technology, Australia
2. Mrs. Dana C. Wiele, Senior Vice President & Associate General Counsel Reinsurance Group of America
Inc., Stati Uniti
1) Assicurazione marittima
Presidente: Prof. Robert Koch, Germania
Tema: Misure preventive
• Le spese di ricerca delle ancore perdute: Hull o P&I?
• Le spese di rimozione della merce danneggiata: Cargo o
P&I? O nessuno dei due, in quanto richiesti con l’intento di sottrarsi alla responsabilità penale?
• Il principio di sussidiarietà nelle coperture P&I impedisce il recupero del Sue and labor dal P&I se la medesima condotta evita il danno H&M e P&I?
• La clausola Sue and labor richiede il dolo o quanto meno il concorso doloso o l’assenza d’intenzione di salvataggio del bene assicurato?
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Osservatorio
• Spese per i danni cagionati al bene assicurato per evitare i danni ulteriori (come l’inquinamento da idrocarburi o il pagamento di riscatto nei casi di pirateria marittima)
Relatori:
1. Prof. Giuseppina Capaldo, Sapienza Università di Roma, Italia
2. Prof. Ozlem Gurses, University of Southampton, Gran
Bretagna
3. Mr. Maximilian Guth, Zurich Insurance Group Ltd,
Germania
4. Mr. Rodrigo Hayvard B., Cile
5. Prof. Satoshi Nakaide, Waseda University, Giappone
Mercoledì 1° Ottobre 2014
Mattina
9.00 - 10.30
Riunione CILA
Riunione AIDA Europe
Tema: Cosa è l’assicurazione?
Riunione AIDA Asia-Pacific
Riunione ARIAS
10.30 - 11.00
Pausa caffè
11.00 - 13.00
Terza Sessione plenaria: Misure Preventive
Presidente: Prof. Samantha Traves, Australia
• Misure di prevenzione che l’assicurato è obbligato ad
adottare per prevenire l’evento assicurato
• Misure preventive: nozione e tipologie
• Forme e livelli di cooperazione tra assicuratori e assicurati
• Le tecniche applicate o richieste dalla normativa ai fini
dell’implementazione delle misure preventive
• Sanzioni
• Onere della prova
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Relatori:
1. Prof. Rob Merkin, University of Exeter, Gran Bretagna
2. Prof. Anne Pelissier, Université de Montpellier, Francia
3. Mr. Yves Hayaux du Tilly, Messico
4. Prof. Claudio Russo, Sapienza Università di Roma,
Italia
13.00 - 14.00
Pomeriggio
Colazione di lavoro
14.00 - 16.00
Gruppi di lavoro ( Sessione 4)
1) Assicurazione auto
Presidente: Prof. Sara Landini, Università di Firenze, Italia
Temi:
• Scatole nere
• Guida ecocompatibile
• Prevenzione delle frodi
2) Nuove tecnologie, prevenzione e assicurazione
3) Assicurazione di persone e pensioni
18.30 Cena di gala
Giovedì 2 Ottobre 2014
Mattina
9.00 - 11.00
Quarta Sessione plenaria: Assicurazione Online
Presidente: Prof. Samim Unan, Turchia
• Normativa nazionale sull’ assicurazione online
• La stipulazione dei contratti di assicurazione online
• Informativa o avvertenze speciali da fornire al contraente
nelle assicurazioni online
• Protezione speciale degli assicurati contro le frodi o per
il pagamento del premio
• Ruolo speciale degli intermediari assicurativi
Relatori:
1. Mrs. Anna Tarasiuk, Polonia
2. Prof. Pierpaolo Marano, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Italia
3. Prof. Chris Rodd, Monash University, Australia
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4. Prof. Jens Gal, Frankfurt University, Germania
5. Mrs. Hilda Esperanza Zornosa, Colombia
11.00 - 11.30
Pausa caffè
11.30 - 13.30
Quinta Sessione plenaria: Discriminazione
Presidente: Prof. Birgit Kuschke, Sud Africa
• Differenze nelle condizioni della polizza assicurativa e
nelle tariffe sulla base dei criteri che potrebbero essere
discriminatori in generale
• Normativa specifica sulla discriminazione
• Implementazione delle norme antidiscriminatorie
• Casistica giurisprudenziale
Relatori:
1. Prof. Ian Enright, University of Technology, Australia
2. Prof. Yves Thiery, Catholic University of Louvain,
Belgio
3. Mrs. Peggy Sharon, Israele
4. Prof. Marco Frigessi di Rattalma, Università di Brescia, Italia
13.30 - 14.00
Pomeriggio
14.00 - 15.00
Chiusura dei lavori
Assemblea Generale AIDA
Riunione Consiglio internazionale di Presidenza AIDA
* * *
Sezione Inglese
Celebrati i 50 anni della BILA
Il 15 maggio 2014 si è svolto a Londra il Colloquium della BILA – British Insurance Law Association, organizzato per celebrare i 50 anni dell’Associazione.
Nel corso dei lavori sono stati trattati i seguenti temi: British Insurance Contract Law Reform; Regulation, European Insurance Contract Law;
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ATTIVITÀ NAZIONALE
Sezione Lombarda
Mediazione e arbitrato nelle assicurazioni.La proposta AIDA-CAM per
le imprese, questo il titolo di un convegno organizzato a Milano il 13 giugno 2014 per iniziativa della Sezione Lombarda dell’AIDA, di concerto con
la locale Camera Arbitrale.
Dopo i saluti di apertura di Luigi Amato Molinari, Presidente della Camera Arbitrale di Milano, e di Roberto Pontremoli, Presidente della Seziona organizzatrice, sono state svolte le seguenti relazioni: La Camera Arbitrale di Milano (Rinaldo Sali, Vicesegretario generale Camera Arbitrale);
Problematiche relative all’assistenza del cliente in caso di sinistro (Andrea
Garavaglia, responsabile Claims Willis Italia S.p.A.); Assicurato e assicuratore nella fase del sinistro: soci o antagonisti? Il punto di vista del risk
manager (Giovanni Favero, Accapierre Srl); Indagini sulla giustizia alternativa in ambito assicurativo (Patrizia Contaldo, Università Bocconi), Milano; La situazione conflittuale come opportunità di gestione del cliente
(Emilio Del Vecchio, Comitato scientifico Sezione Lombarda AIDA); Il punto di vista dell’assicuratore (Fabio Maniori, Responsabile Legale e Compliance ANIA); L’arbitrato (Filippo Danovi, Università di Milano-Bicocca);
La mediazione (Mario Dotti, Foro di Milano); Le clausole di mediazione e
arbitrato proposte dal gruppo di lavoro AIDA – CAM (Carlo Galantini, Foro
di Milano); I vantaggi nell’offerta dei servizi di Camera Arbitrale di Milano (Nicola Giudice, Camera Arbitrale di Milano).
Sezione Toscana
Pomeriggi assicurativi
La Fondazione CESIFIN, di concerto con la Sezione Toscana, ha promosso anche nel 2014 l’iniziativa Pomeriggi assicurativi, articolata in tre
incontri, programmati nei giorni 4 aprile, 16 maggio, 20 novembre.
Il primo – sul tema Locazioni, nuovi rischi locativi e polizze – ha visto
la partecipazione di Giuseppe Morbidelli, Presidente Fondazione Cesifin e
Ordinario di Diritto amministrativo (Sapienza Università di Roma); Felice
M. D’Ettore, Ordinario di Istituzioni di diritto privato (Università di Firenze); Mauro Di Marzio, Consigliere Corte d’Appello, Roma; Sara Landini,
Professore associato di Diritto privato (Università di Firenze); Vincenzo Cuffaro, Ordinario di Istituzioni di diritto privato (Università di Firenze).
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Osservatorio
Nel secondo incontro – dedicato a I nuovi danni al lavoratore e le coperture del datore di lavoro – sono intervenuti: Giuseppe Morbidelli, Presidente Fondazione Cesifin e Ordinario di Diritto amministrativo (Sapienza Università di Roma); Giovanni Tarli Barbieri, Ordinario di Diritto costituzionale e Direttore Dipartimento Scienze Giuridiche (Università di Firenze); Riccardo Del Punta, Ordinario di Diritto del lavoro (Università di Firenze); Maria Paola Monaco, Professore Aggregato di Diritto
del lavoro (Università di Firenze); Caterina Silvestri, Professore aggregato di Diritto privato comparato (Università di Firenze); Antonella Ninci, Coordinatore reggente dell’Avvocatura Regionale INAIL Toscana; Rosella Balestrieri, Assicuratore; Sara Landini, Professore associato di Diritto privato (Università di Firenze).
L’incontro del 20 novembre riguarderà il tema Il codice delle assicurazioni private: riflessioni al termine del decennio dalla sua entrata in vigore, e sarà organizzato in occasione dell’uscita del Codice delle assicurazioni private (d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209), annotato con la dottrina e
la giurisprudenza, a cura di Albina Candian e Giuseppe Leonardo Carriero, ESI, 2014.
In programma gli interventi dei seguenti relatori: Giuseppe Morbidelli, Presidente Fondazione Cesifin; Paolo Montalenti, Università di Torino;
Claudio Russo, Sapienza Università di Roma; Michele Siri, Università di
Genova; Pietro Perlingieri, Università del Sannio.
Sezione Veneto – Friuli-Venezia Giulia
Il 23 maggio 2014 la Sezione Veneto – Friuli-Venezia Giulia, d’intesa con il Gruppo Cattolica Assicurazioni, ha organizzato a Verona un
convegno sul tema La “microassicurazione” realtà e prospettive regolatorie.
L’incontro – presieduto dal prof. Paoloefisio Corrias, Università di Cagliari – ha visto la partecipazione dei professori: Patrizia Ziviz, Università
di Trieste, che ha parlato su Distribuzione di massa, micro forniture e disciplina delle pratiche commerciali scorrette; Sara Landini, Università di
Firenze, che ha trattato La correttezza e l’informazione dell’assicurato; Pierpaolo Marano, Università Cattolica Milano, che è intervenuto su Gli accordi di distribuzione di polizze nella microassicurazione; Marco Frigessi
di Rattalma, Università di Brescia, che ha illustrato Le prospettive europee
di tutela dell’acquirente: evoluzione e comparazione; Gianluca Romagnoli, Università di Padova, che si è occupato delle Indicazioni della vigilanza
tra orientamento e sanzione.
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LIBRI RICEVUTI
ALBINA CANDIAN - GIUSEPPE CARRIERO (a cura di), Codice delle assicurazioni private, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2014, pagg. 1369, euro 150,00.
Il volume, edito nella Collana Codici annotati con la dottrina e la
giurisprudenza, analizza la disciplina delle assicurazioni così come articolata all’interno del solo Codice delle assicurazioni private aggiornato
alle recenti modifiche. Al fine di predisporre uno strumento innovativo,
che possa interessare allo stesso tempo lo studioso della materia e l’operatore del settore assicurativo, l’impostazione seguita nell’illustrare i
principali contenuti delle norme si caratterizza per essere da un lato un
lavoro di ricostruzione sistematica, dall’altro uno strumento di facilitazione nell’accesso alle disposizioni di settore che si connotano per la loro complessità ermeneutica. La regola redazionale adottata si differenzia dal tradizionale commento posto che essa tiene conto del costante
ravvicinamento tra assicurazione, banca e finanza attraverso una lenta
erosione dei loro confini. Pertanto gli Autori hanno cercato di fornire soluzioni ai principali problemi teorici e operativi avendo come riferimento tanto la progressiva omologazione delle discipline assicurative, bancarie e finanziarie, quanto le peculiarità anche tecniche del settore assicurativo. Per seguire questa impostazione non si sono limitati a un’analisi esegetica delle norme, ma hanno arricchito i commenti coordinando
la fonte legislativa primaria con le fonti secondarie regolamentari, gli
orientamenti delle Autorità di vigilanza, le prassi operative e gli approdi della giurisprudenza. Il tutto confrontandosi sempre con le scelte europee. Alla predisposizione di questo Commentario hanno partecipato
docenti universitari, giovani studiosi, appartenenti alle istituzioni, professionisti ed esperti nel settore.
MILENA PAFUMI – SANTO SPAGNOLO, La prescrizione assicurativa, Giuffrè,
Milano, 2014, pagg. VIII – 342, euro 37,00.
Il volume – edito nella Collana La responsabilità civile: Monografie
per professionisti, diretta da Marco Rossetti – è strutturato in due parti.
La prima, dedicata al diritto sostanziale, contiene una serie di capitoli che,
dopo i profili generali, affrontano il tema della prescrizione nei suoi vari
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Osservatorio
aspetti: termini, decorrenza, sospensione, interruzione. Due capitoli riguardano, in particolare, la prescrizione nell’assicurazione r.c.a. e nelle
assicurazioni marittime ed aeronautiche. La seconda parte dell’opera tratta tutte le questioni di natura processuale. Il volume si completa con un
indice analitico.
Assicurazioni – n. 2-2014
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