1 - Consorzio Turistico Sa Perda `e Iddocca

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Convegno
Il turismo nelle zone interne: realtà e prospettive
LACONI 26 marzo 2010
TURISMO NELLE ZONE INTERNE: CHE FARE?
INTERVENTO DI STEFANO LANDI
Presidente di SL&A turismo e territorio
Per parlare di questo tema, a ben vedere fondamentale per l’ulteriore
sviluppo turistico della Sardegna, è importante guardare alla situazione non
solo con riferimento alle “ultime notizie”, ai dati congiunturali più o meno
positivi, quanto alle evoluzioni almeno di medio periodo, che stanno
riguardando l’Isola, ma non solo.
E d’altra parte è altrettanto importante riferirsi non tanto e non solo alle coste
della Sardegna, a quello che qualcuno ha voluto chiamare “la ciambella” del
turismo sardo, quanto proprio all’interno. Un interno che, come vedremo, da
“buco vuoto” della ciambella, si sta evolvendo in qualcosa di diverso.
Ma per sviluppare questo tema non basta da un lato riferirsi alle conoscenze
“storiche”, né dall’altro guardare solo all’ultima stagione: è opportuno pensare
a quello che è successo nel frattempo. Qualcuno li chiama “i fatti di mezzo”1:
sono fenomeni lenti, magari non troppo osservati, ma che si modificano e in
qualche modo lievitano.
Fenomeni spesso misconosciuti, che si evolvono impercettibilmente, ma che
poi a lungo andare cambiano la sostanza delle cose. E che se non ce ne
accorgiamo, trasformano l’oggetto delle nostre analisi e del nostro lavoro, e lo
rendono inesorabilmente obsoleto.
Proprio come quegli anziani –non tutti gli anziani- che col passare degli anni,
sanno soltanto ricordare le cose come erano “ai miei tempi”, e non si
1 Armando Massarenti, Il sole 24 Ore, 21 marzo 2010.
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capacitano e non si adattano a come sono diventate, essendosi distratti dal
loro evolversi per un tempo ormai troppo lungo a recuperare.
Invece nel turismo, ed in quello delle zone interne in particolare, di fatti nuovi
ce ne sono stati eccome: dal lato della domanda di viaggi e vacanze, dal lato
dell’offerta ospitale, dal lato della “governance”, e cioè della forma e dei modi
in cui le cose dovrebbero essere gestite. E anche dal lato degli strumenti per
farlo, che non sono certo rimasti gli stessi.
1. DAL LATO DELLA DOMANDA
1.1. I TURISMI E I DUE MERCATI
Per cominciare a ricordare i fatti salienti, dobbiamo per forza partire dagli anni ’80,
con la scoperta del passaggio dalle vacanze ai turismi : non più solo villeggiatura, una
vacanza lunga intesa come “vuoto”,
ma una molteplicità di stimoli e motivazioni
diverse, che ampliano all’infinito le potenzialità e le sfaccettature del mercato.
Poi, e anche in dipendenza del passaggio logico dalle destinazioni alle motivazioni di
vacanza, a partire nei primi anni del 2000 la chiara scissione tra due mercati
compresenti, seppure così diversi tra loro :

da una parte c’è un mercato di massa, che si può definire tale non solo per i
numeri ma soprattutto per i caratteri di standardizzazione. Un mercato in cui si
è sviluppata l’intermediazione “industriale”, che ha definito i propri modelli di
business sui grandi numeri: almeno una “catena” di charter, almeno una linea
di pullman, almeno una grande quantità di ricettivo
omogeneo. Ora questo
mercato è in grande espansione presso i nuovi Paesi in sviluppo, a
partire dalla Cina e dall’India. Ma appare in contrazione sui bacini
tradizionali di domanda (Europa, Stati Uniti, ecc.), per l’esaurimento
della spinta della domanda verso prodotti stereotipati, verso
2 Censis, “Dalle vacanze ai turismi”, Quindicinale di note e commenti, Roma, 1982.
3 Guido Pasi, Assessore al turismo della Regione Emilia Romagna, “Dall’ordine sparso alla geografia variabile”, Conferenza regionale,
Bologna, 2 dicembre 2008
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sistemazioni sempre più omologate, verso luoghi in progressiva perdita
dell’identità, che stanno tutti diventando “non luoghi”4;
 ma questo mercato non è l’unico: ce n’è un altro, in crescita, ancora in
cerca di definizione, di identità, anche di un nome. Alcuni lo chiamano
mercato dei viaggiatori (contrapposti ai turisti), altri della qualità
(contrapposta alla quantità); Pasi lo chiama “turismo della libertà”,
riferendosi alla possibilità di scelta libera, alla ricerca di luoghi “veri”. Un
mercato che si affianca al primo senza sostituirlo, e non è
necessariamente composto da altri consumatori: si può fare una volta
una scelta, e la volta dopo un’altra, con grande e serena incoerenza ed
infedeltà. Si può andare a Natale in settimana bianca o a Sharm el
Sheik, a Pasqua in bicicletta in un parco toscano. E’ un mercato a forte
connotazione valoriale, che cerca esperienze memorabili, identità locali,
autenticità, cultura locale fatta di vissuto e di quotidiano.
Il portato di questa bipartizione del mercato per il territorio sardo è piuttosto
netta: da una parte c’è la domanda standardizzata che dovrà giocoforza
continuare a riferirsi alla “ciambella” costiera, che ha i numeri per accogliere
charter e bus. Dall’altro tutta la nuova domanda dei viaggiatori, per quanto
certo non disdegni il bel mare, avrà come obiettivo principale l’identità, che in
Sardegna, molto più che altrove, è sinonimo delle aree interne.
1.2. LE MICROVACANZE E LA PROSSIMITA’
Ma un altro fatto nuovo si è proposto con prepotenza nell’ultimo decennio: le
micro vacanze5 e la prossimità (“chilometri zero”6).
Mentre gli occhi degli osservatori restavano puntati sulle vacanze principali
(stazionarie) e sulle mete tradizionali di medio e lungo raggio, la realtà stava
4 Marc Augè, “Nonluoghi: per una antropologia della surmoderità”, Milano, 1985.
5 SL&A, “Le Microvacanze, cronache dal futuro prossimo”, Roma, 2008.
6 Dossier Coldiretti-SL&A, “il nuovo stile low-cost per il Natale 2008: vacanze a chilometri zero”, Roma, 2008.
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cambiando rapidamente, e vedeva affermarsi le vacanze brevi (1-3 notti) e le
mete di corto raggio.
Le microvacanze sono cresciute ininterrottamente dal 2001 al 2008, e hanno
segnato una battuta d’arresto solo nell’anno 2009, pur mantenendo la
posizione di maggioranza assoluta tra gli Italiani (49,4 milioni di viaggi contro i
48,5 di 4 notti e oltre).
Ma, come evidente portato della crisi economica, nel 2009 le microvacanze
sono addirittura cresciute nel trimestre estivo.
Si è però confermata la tendenza a fare vacanze vicine: tutte le ultime
rilevazioni indicano che la maggioranza dei clienti Italiani degli hotel
provengono dalla stessa regione, o da quelle confinanti. E le previsioni
ISNART per la Pasqua parlano di 5 milioni di Italiani in vacanza, confermando
le regioni prossime ai grandi bacini di domanda: il Trentino-Alto Adige, la
Toscana, il Lazio .
Si tratta di un fenomeno molto evidente in Italia, ma diffuso a livello europeo,
e non solo: i dati di Eurobarometro 2008, mentre fotografano un continente di
vacanzieri (il 71% dei cittadini europei lo fa almeno una volta l’anno)
confermano la tendenza generale alla riduzione di durata delle vacanze
principali e alla frammentazione in tanti periodi durante tutto il corso
dell’anno.
La graduatoria mette il luce in modo netto le differenze nelle vacanze tra i
diversi paesi: si va infatti dall’88% degli Svedesi al 45% degli Ungheresi. I
tedeschi, vacanzieri per antonomasia, si piazzano al nono posto con il 77%,
mentre i tanto vituperati Romeni hanno già girato la boa, con il 51%.
Ma nelle microvacanze i Finlandesi sono imbattibili: il 75% ne ha fatta almeno
una nel 2008, prima degli Svedesi (70%), e ben al di sopra delle media
continentale, che si assesta comunque al 48%. Nel complesso, quindi, sono
molti di più gli Europei che fanno anche -o soltanto- vacanze brevi (fino a 3
notti fuori casa) di quanti fanno solo vacanze “lunghe” (19%).
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Ed è una tendenza generale, che taglia trasversalmente le nazioni
concentrandosi nella popolazione europea con i più alti livelli di istruzione
(60%), lavoratori autonomi ed impiegati (entrambi con il 57%), di età giovaneadulta (il massimo si ha nella classe 25-39 anni), con forte peso delle aree
metropolitane (53%).
Da notare inoltre che la frantumazione del consumo turistico diventa un
comportamento costante, ripetitivo, una abitudine: infatti ben il 16% dei
microvacanzieri ne fa oltre 5 l’anno.
Certo, si tratta di un fenomeno che beneficia soprattutto le regioni vicine ai
grandi bacini di domanda: in Italia la Valle d’Aosta e il Trentino, ma anche
l’Emilia Romagna, la Toscana, il Lazio.
Ma anche un fenomeno che enfatizza il “mercato interno” delle vari regioni, e
che per questo si fa sentire anche all’interno delle grandi regioni lontane,
come la Sardegna, sempre più percorsa e vissuta proprio dai sardi, che delle
vacanze in regione hanno da sempre fatto una tradizione, e non solo per
motivi economici e logistici.
Le vacanze si evolvono quindi da fenomeno raro a frequente: prima solo una
volta nella vita, poi solo una volta l’anno, ora molto più spesso, più breve, più
vicino. Quasi una analogia con la spesa nei negozi (come rileva la Coop in
una ricerca di marzo 2009), e con i pasti, come raccomandano i nutrizionisti.
E quindi si tratta di un fenomeno che è cambiato per lievitazione e non per
strappi, per grandi eventi eclatanti, lontano dallo sguardo e dai riflettori: tutti
presi a sognare le Maldive, a volte non ci accorgiamo di quello che succede
nel giardino di casa.
2. DAL LATO DELL’OFFERTA
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Ma anche se guardiamo le località turistiche (quelle che una volta si
chiamavano “stazioni”, e che invece oggi siamo soliti definire “destinazioni”),
si nota che gli arrivi e le presenze turistiche non seguono quasi mai una
evoluzione lineare e costante.
2.1. LE DESTINAZIONI MATURE
Dopo il lancio e la crescita quasi sempre c’è un rallentamento, una fase di
stagnazione, spesso un calo: è quello che è stato definito il “ciclo di vita” delle
destinazioni, che può portare al declino o, se si è bravi, anche al rilancio.
Al di là delle oscillazioni congiunturali (mese dopo mese, anno dopo anno),
quello che osserviamo adesso in Italia (ma non solo) è che molte tipologie di
località tradizionali non crescono più (quando non calano o crollano
addirittura): si tratta della cosiddetta fase di maturità. In particolare alcune
destinazioni sembrano attraversare questa fase:
 quelle montane (alpine) che si erano specializzate nella neve (le
stazioni “ski-total”), che soffrono da un lato del calo della pratica
sportiva, dall’altro della mancanza di attrazioni ed opportunità diverse
per il tempo libero degli ospiti;
 quelle balneari, alcune delle quali entrate in crisi già con i primi sintomi
di inquinamento marino e con la “stagione delle alghe” del 1989, che
hanno addirittura dovuto gestire processi di riconversione e di uscita dal
mercato delle imprese marginali;
 quelle termali specializzate nel sanitario, alle prese con la riduzione
strutturale della domanda di cure e della spesa pubblica che la
sosteneva, e che solo in pochi casi sono riuscite ad evolversi andando
incontro alla domanda di benessere;
 e persino, spesso, le città d’arte e cultura, che faticano a gestire il
successo e cadono in preda dell’eccesso di congestione, dello
scadimento della qualità, dell’incremento insensato dei prezzi, del
turismo “mordi e fuggi”.
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Un sistema turistico ed una opinione pubblica che continuano ad avere come
unico riferimento queste tipologie di offerta, però, non si capacitano delle
novità che stanno cambiando la geografia turistica del nostro Paese.
2.2. L’EMERGERE DELLE “TERRE DI MEZZO”
Un cambiamento che prende una forma precisa: l’emergere di nuove
destinazioni là dove una volta c’era il vuoto, l’affermarsi delle “terre vissute”
ricche di identità, anche sulle ali delle nuove motivazioni di viaggio e di
vacanza: dal cavallo al vino, dai parchi ai giardini, dal benessere alla
gastronomia, dalla vacanza attiva,dai borghi alla media montagna, ecc.
E’ una tendenza che ha visto una netta accelerazione in anni recenti: sono
infatti i “territori di mezzo” a crescere e ad affermarsi, anche grazie agli
investimenti profusi dai progetti Leader, dai GAL e dalle Comunità Montane.
Mentre all’inizio degli anni ’90 il Censis rilevava che 1 comune italiano su 2
non aveva neppure un posto letto da offrire sul mercato, oggi 6.500 comuni,
oltre l’80% del totale, hanno strutture ricettive, di tutti i tipi, anche quelle “non
convenzionali”. Tanto per fare un esempio, il 55% dei comuni italiani hanno
oggi almeno un albergo, il 71% almeno un a struttura extralberghiera, e
anche per quanto riguarda la ristorazione di qualità la tendenza è molto
chiara: la stessa Guida Michelin conferma che la forza innovativa si sprigiona
nella provincia e in campagna.
E in Sardegna il dato è analogo, ma la dinamica ancor più accelerata: mentre
solo 10 anni fa i comuni con strutture ricettive erano il 39%, oggi sono già
l’83%.
E anche nelle zone interne dei 55 comuni che aderiscono ai consorzi
promotori di questo convegno, il valore è più che raddoppiato per gli hotel, e
la diffusione di strutture extralberghiere ha raggiunto il 65%. Dinamiche ancor
più surriscaldate per quanto riguarda i posti letto, cresciuti di 1,7 volte per gli
hotel, e addirittura di 6,7 volte per gli altri esercizi.
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Quindi in Sardegna, anche e proprio nelle zone interne, cresce il turismo dei
luoghi con l’identità e con l’anima. Luoghi veri, mica “non luoghi”.
3. LA RISPOSTA POSSIBILE VIENE DAL MERCATO
Questa tipologia di offerta incontra anche le esigenze di un vasto gruppo di
“pionieri”. Un recentissimo studio dedica particolare attenzione al segmento
dei prosumers, consumatori evoluti ed indipendenti di USA, Francia e
Inghilterra7. Questo gruppo molto influente mostra, più di altri target, un
approccio più consapevole al consumo: attenzione all'ambiente, alle
comunità locali e all’essere “cittadini globali”.
Le destinazioni e le modalità di viaggio dei prosumers stanno subendo un
cambiamento decisivo, così come accade per i periodi di ferie.
Per gli intervistati le aziende e le destinazioni turistiche devono seguire questi
imperativi:
 essere “green”, come modo standard di fare business;
 offrire prodotti e servizi che soddisfino il desiderio di uno stile di vita più
consapevole;
 saper gestire i social media, al fine di coinvolgere il prosumer prima,
durante e dopo ogni esperienza di viaggio;
Fino a tempi recenti, la consapevolezza sull’impatto ambientale è stata quasi
assente nella scelta delle destinazioni di viaggio. "Mentre non molto tempo fa
il go green ('andare verde') era semplicemente una questione di esortazione
e persuasione", spiega la rivista SAPERE, "ora è più una questione di
sfumature nei toni e capacità di attuazione."
Marchi e aziende stanno scoprendo che l'eco-coscienza non è più
semplicemente una questione accessoria, ma un imperativo gestionale. Il
74% dei prosumers vuole fare scelte rispettose dell'ambiente e il 63% dedica
7
EURO RSCG, “Social media empowers new models of travel”, 19 marzo 2010,.
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maggiore attenzione all'impatto ambientale e sociale dei prodotti che
acquista.
Per chi lavora nell’industria turistica ciò significa avere nel proprio portafoglio
di offerte eco-alloggi costruiti con materiali recuperati e riciclati, menù "100
miglia" centrati sui beni alimentari prodotti localmente, "EcoRooms” a basso
consumo energetico e premi per i viaggiatori che mettono in atto
comportamenti “verdi”.
I cambiamenti nel modo di pensare alla base di queste nuove modalità di
viaggio si sono rafforzati e diffusi nel corso degli anni, grazie soprattutto
all’ascesa dei nuovi media. Ora che i consumatori che costituiscono il
“mainstream” possono partecipare a comunità e gruppi focalizzati su un
nuovo modo di vivere e viaggiare, la forte attenzione ai valori sociali del
viaggio si è definitivamente affermata.
Alle marche, i social media offrono modi creativi per mantenere i prosumers
impegnati ben prima e per molto tempo dopo ogni esperienza di viaggio.
Quest’uso intelligente dei social media mantiene vive e continue le
conversazioni sulla marca e rappresenta un’eccezionale opportunità per una
nuova generazione di offerte di servizio al cliente. Questo è di grande
importanza in un momento in cui il lusso e il servizio sono stati ridefiniti da
parte dei consumatori stanchi di sorrisetti e risposte standardizzate, e
desiderosi di entrare in contatto con le persone reali che sono dietro il
marchio.
La comprensione del nuovo modo di concepire e vivere il viaggio, con tutte le
sue tendenze sovrapposte e interconnesse, è di vitale importanza per tutte le
marche che cercano il proprio spazio all’interno dei confini variabili dei nuovi
mercati.
4. GOVERNANCE: MANCA LA FORMA
Ma questi fenomeni, come tutti i fenomeni nuovi, non trovano
automaticamente un contesto di governo già pronto ad accoglierli: non ne
manca solo la coscienza, ma anche la forma.
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Una volta c’erano le Aziende Autonome e gli Enti Provinciali del Turismo: il
loro superamento è iniziato con la Legge quadro del 1983 e, per effetto della
competenza regionale, non si è ancora mai del tutto completato. Ogni
Regione ha fatto storia a sé.
Poi dalla Legge 135 del 2001 c’è stata la possibilità di creare i Sistemi
Turistici Locali, ed anche in questo caso l’Italia si è comportata come una
repubblica federale: ognuno per conto suo, in ordine sparso.8
Ma nei fatti, al di là dei buoni proposti iniziali, e del contrasto forse insanabile
tra Regioni neo-centraliste e Comuni con voglia di protagonismo, I STL sono
nati per un’altra cosa: per ridare una forma di governo alle grandi destinazioni
da un lato, e e/o come modo di redistribuire risorse sul territorio dall’altro.
E, legittimamente, sono stato gestiti in ogni regione come meglio si è voluto:
chi non li ha affatto istituiti, chi ha tagliato il territorio con il righello, che li ha
imposti a tutti i Comuni, chi li ha sostanzialmente fatti coincidere con le
9
province,
ecc.
Ma purtroppo, a dieci anni di distanza, se si guarda la generalità dei casi si ha
la sensazione che il più delle volte sono stati piantati dei semi, sono state
fatte nascere delle piantine, e poi le si è lasciate seccare senza più
innaffiarle.
Ma, soprattutto, non si sia davvero capito che cosa sarebbe servito per farle
nascere e crescere bene.
 Una Marca, e cioè un nome e una riconoscibilità sul mercato10;
 Una omogeneità e una coesione, e cioè una compattezza interna di
vocazioni ed intenti;
8
Confcommercio, “Lo sviluppo delle destinazioni turistiche: l’opportunità offerta dai sistemi turistici locali, Roma, 2005.
9 Michela Valentini, “La gestione dei sistemi turistici locali”, in “Esperienze e prospettive di sistema nel turismo”, Formez, Roma, 2007.
10 Stefano Landi, “La marca nel turismo”, TCI, Milano, 2003.
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 Una identità che è anche valore aggiunto (luoghi veri, terre vissute); il
che in molti casi, nel nostro Paese ed in Sardegna, avrebbe corrisposto
alla ruralità.
5. ALLORA, CHE FARE?
Per lavorare bene, per darsi una prospettiva di lungo periodo, si tratta allora
realisticamente di ripartire del territorio e dal prodotto, analizzandone i
caratteri veri, oggettivi, guardandolo “con gli occhi dei turisti”.
Si tratta cioè di valorizzare quello che è economico, e quindi “utile e scarso”:
utile perché qualcuno fuori dai luoghi ne apprezza le qualità, scarso perché
identifica una rarità, e magari una unicità.
I punti salienti di questa valorizzazione possibile non sono nuovi, ma è
importante tenerli a mente.
Bisogna avere o costruire:
 attrattori, ma che non siano abbandonati o impraticabili: devono essere
gestiti, aperti, fruibili, in una parola devono essere dei prodotti;
 strutture di accoglienza, ricettività coerente con il territorio e le sue
tradizioni, perché se il turista non può dormire, la sua visita si riduce ad
un passaggio, non innesca esperienza profonda, non lascia quegli
effetti che invece potrebbe e dovrebbe: si risolve in un insoddisfazione
reciproca;
 ristorazione, gastronomia, prodotti locali che facciano anche da
ambasciatori, prodotti da portare a casa e magari continuare a
comprare una volta a casa, che parlino del territorio, delle sua qualità ,
della sua gente;
 servizi di assistenza, informazione, accompagnamento; guide al
territorio, “interpreti” e divulgatori, facilitatori dell’esperienza.
Ma l’offerta, il prodotto non basta farlo: all’orgoglio di fare bene bisogna
aggiungere il coraggio di vendere. Oltre che fare, bisogna far sapere, e saper
vendere: costruire prodotti complessi a partire da offerte semplici, predisporre
emozioni a partire da semplici prestazioni.
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Ma attenzione: non bisogna fare sempre l’errore di proporre quello che tutti
già sanno, e nel momento in cui tutti lo vogliono. Bisogna vendere quello che
c’è di l’invenduto, non il “tutto completo”.
E bisogna che chi ci scopre, chi ci desidera, sia facilitato nell’acquisto: su
Internet si dice che è necessario farsi comprare “in cinque click”, favorendo
l’acquisto d’impulso e non frustrandolo, tenendo viva l’attenzione e non
disperdendola.
E se guardiamo alle grandi destinazioni moderne, dal Trenino a Barcellona,
dall’Emilia-Romagna a Genova, scopriremo che le cose funzionano proprio
così.
Tutto questo si fa solo se c’è una marca forte, e la Sardegna delle aree
interne lo è: “è un luogo vero, fortemente identitario, ricco e geloso di
tradizioni, con paesaggi maestosi, fuori dalle rotte di massa, in cui la fatica
dell’arrivare è ampiamente compensata dal premio dello stare”.11
6. FARE BENE, NON “TANTO PER FARE”
Infine, qualche riflessione di merito sugli strumenti e sulle azioni.
In un Mondo globalizzato in cui tutti cercano di emergere come destinazioni
turistiche, in cui tutti provano a comunicare, vale
più l’intelligenza,
l’innovazione, la creatività, che non la spesa.
Non serve e non basta il pensiero sbrigativo: fare quello che fanno tutti,
andare tutti alle stesse fiere o sugli stessi media, fare un depliant o un sito
internet sperando che sia sufficiente. Non vale tanto spendere molti soldi in
fretta perché altrimenti ce li tolgono, come purtroppo ci spingono a fare i
progetti europei e spesso anche i programmi regionali: quello che conta sono
11
CTS-SL&A, Catalogo “Il senso della Sardegna”, Progetto TRIM, 2008.
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i risultati. Risultati di notorietà, di marca, di desiderio, di vendite. Il resto è
spreco.
Per fare questo non serve la sbrigatività: ci vuole un pensiero laterale ed
“obliquo”12: avere in mente obiettivi strategici, di lungo periodo, e mantenerli,
senza cambiare idea ogni minuto, magari inseguendo il nuovismo a tutti i
costi.
Dati gli obiettivi, bisogna puntarli anche con azioni minute, quotidiane,
cumulando risultati nella direzione giusta, e accettando il tempo che ci vuole
per la lievitazione.
Bisogna avere e mantenere “la giusta distanza” di osservazione sia dalle
risorse che dalla domanda, dai desideri degli ospiti, Per cercare sempre di
capire che cosa abbiamo davvero di raro, e che cosa e come gli ospiti sono
interessati a comprare.
Bisogna considerare i nostri ospiti come persone con i loro sentimenti e le
loro esperienze, in cerca di qualcosa che li arricchisca, da poter raccontare e
tramandare, e non come portafogli con le gambe, bestie da mungere, da
sfruttare e buttare via.
E infine, anche se le misure di finanziamento (gli assi dei programmi
regionale europei, tanto spesso fotocopiati dagli esempi che arrivano da
Bruxelles…) spesso ci spingono in direzioni stereotipate, dobbiamo sempre
stare attenti alle semplificazioni. Itinerari, circuiti, percorsi sono forme utili di
aggregazione dell’offerta, stimoli per i protagonismi dei comuni e dei territori,
opportunità finanziarie da cogliere. Ma non sempre e non necessariamente
portano a prodotti turistici vendibili.
12
John Kay, “Obliquity: why our goals are best achieved indirectly”, Profile Books, 2010.
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