Rapporto medico-paziente, relazione d`aiuto e caregiving

Rapporto medico-paziente,
relazione d’aiuto e caregiving
Prof. Mario Capunzo
Rapporto medicopaziente
E’ una relazione fatta di fiducia e
di stima reciproca.
La reciprocità è legata al fatto che
anche il medico deve potersi
“fidare” del fatto che il
paziente seguirà le sue
indicazioni, e deve poter
contare sul fatto che il paziente
sia motivato a risolvere il suo
problema clinico, o quanto
meno ad affrontarlo nel miglior
modo possibile.
Fiducia
La differenza tra fede e fiducia consiste nel fatto
che chi ha fede crede che l'altro sia
onnipotente, chi ha fiducia gli si affida dopo
essersi interrogato su di lui, sulle aspettative
che nutre, dopo aver chiarito i dubbi.
Il concetto di fiducia è collegato con l'affidare a
qualcuno (medico) qualcosa da custodire
(salute del paziente).
Evoluzione della fiducia
Il rapporto di fiducia tra medico e paziente si è
evoluto, specie negli ultimi decenni, e specie
nei paesi ad alto tasso di cultura ed
informazione.
Mentre in passato la consegna era totale ed
acritica, al giorno d'oggi il paziente desidera il
controllo su ciò che ha lasciato in custodia!
Si affida la propria salute e ci si fida dell'esperto
a patto di conoscere le sue strategie e le sue
ragioni.
Fiducia e comunicazione
Come chiunque, il paziente ricerca idealmente un
“amore incondizionato e perfetto”, che offra la
possibilità di arrendersi passivamente a cure
fidate e attente, e, per affidarsi, le persone
proiettano il loro oggetto buono interno in nuovi
oggetti emergenti, ad esempio il medico.
Quando ci si affida a qualcuno, deve esistere la
convinzione che non si subiranno tradimenti o
aggressioni.
Fiducia e dipendenza
Tra fiducia e dipendenza esiste un rapporto che
va compreso a fondo; il senso comune
attribuisce alla dipendenza una accezione
negativa ed in effetti chi è assoggettato viene
sottilmente disprezzato, mentre chi viene
descritto come "fiducioso negli altri" riceve
una connotazione favorevole.
Malattia e dipendenza
Nel corso della vita, molti stati quali
l'immaturità, la malattia, la vecchiaia, rendono
deboli dal punto di vista fisico o psicologico e
quindi dipendenti.
Ma il malato, se è ancora padrone delle sue
capacità di discernimento, mantiene un
possesso della sua persona che gli permette di
concedere la fiducia conservando la
consapevolezza di sé e del proprio stato.
Fiducia e informazione
La fiducia si concede consapevolmente sotto
continuo controllo e perché progredisca deve
essere mantenuto un alto livello di
informazione e di comunicazione tra le parti: il
medico che rende partecipe il paziente, ne
aumenta la competenza, la consapevolezza di
sé, ne evita la soggezione e ne promuove la
capacità di assumere responsabilità nella cura
della propria salute.
Una citazione del XIX secolo
"Il significato della stretta relazione
interpersonale tra medico e paziente non potrà
mai essere troppo enfatizzato, in quanto da
questo dipendono un numero infinito di
diagnosi e di terapie. Una delle qualità
essenziali del medico è l’interesse per l’uomo,
in quanto il segreto della cura del paziente è
averne cura“.
Sir Francis Peabody
Una citazione del 1989
La Medicina “… è un insieme armonico di
tecnologia medica e antropologia medica, dove
accanto all’applicazione delle scienze di base
deve sussistere, con pari dignità, il rapporto
interumano tra medico e paziente: un rapporto
di dualità che diventa pluralità coinvolgendo
medico, paziente e società”.
Stagnaro S., Vecchio e Nuovo nella Scienza. Tempo Medico. 315,16,67, 1989
Una ricerca del 1993
Valutazione del rapporto medico-paziente tra i
medici di base in Canada:
• Nel 54 per cento dei casi il medico non
prendeva in considerazione i problemi dei
propri pazienti;
• Nel 45 per cento dei casi non ascoltava con
attenzione le loro preoccupazioni.
Modelli di rapporto
• PATERNALISTICO: il medico decide ed il
paziente esegue con passiva acquiescenza;
• CONDIVISO: il paziente viene informato e
decide assieme al medico quale trattamento;
• INFORMATO: il paziente viene informato e
sceglie direttamente, da solo, il trattamento.
Benincasa F. “Il contratto di Partnership tra Medico e Paziente”,
Relazione al 14° Congresso CSERMEG, Rimini, 2001
Gestire il rapporto: elementi
Per gestire bene il rapporto, il medico dovrebbe
possedere almeno tre elementi:
• SAPER ASCOLTARE
• SAPER RESTARE NEUTRO
• SAPER COMUNICARE.
Saper ascoltare
Oltre a “cosa” il paziente racconta, il medico
dovrebbe essere in grado di catturare anche
“come” il paziente racconta.
E’ importante capire come descrive il problema,
quali vissuti emotivi ha di questo, quali sono le
sue interpretazioni, che svantaggi ed anche,
paradossalmente, vantaggi ne ricava, quali
enfatizzazioni ha di un sintomo piuttosto che
un altro, quali sono le sue paure, le sue
speranze, le sue delusioni.
Saper restare neutro
Il medico deve saper essere privo di pregiudizi
nei confronti del paziente che magari presenta
stili di vita, attitudini e valori diversi da lui,
anche in quei casi che in situazioni non
mediche potrebbe giudicare ripugnanti o
negativi.
Saper comunicare
Occorre disponibilità ed espressione di attenzione
sincera.
Occorre spiegare al paziente, con un linguaggio
accessibile, come procederà l’iter diagnostico,
chiarendo il significato di esami, consulenze
specialistiche, indagini strumentali, etc., e poi la
definitiva diagnosi e la conseguente terapia, o
possibilità terapeutica, con tutti gli eventuali rischi
che questa può comportare, senza promettere facili
guarigioni.
Dieci semplici regole (1)
(tratto da Alfano A., “La comunicazione della salute nei servizi sanitari e sociali”, Il Pensiero
Scientifico, 2001)
1. Non esprimere mai troppi concetti
contemporaneamente.
2. Quando si parla rivolgersi sempre
direttamente al paziente, evitando di fare gesti
che possano distrarlo.
3. Quando si devono trasmettere informazioni
importanti, cercare di coinvolgere anche i
familiari se sono presenti.
Dieci semplici regole (2)
4. Ripetere sempre l’informazione più volte, in
modo che sia più comprensibile, specie se chi
ascolta possiede un basso grado d’istruzione.
5. Pianificare il discorso in modo che i punti più
importanti dell’informazione vengano dati sia
all’inizio che alla fine di esso.
6. Per essere più chiari, ricorrere ad esempi che
possano risultare facilmente comprensibili
per il paziente, magari riferendosi a vicende
cliniche legate a lui o ai suoi familiari.
Dieci semplici regole (3)
7. Per mettere maggiormente a suo agio il paziente e
favorire una maggiore comprensione del messaggio
informativo, si può fare ricorso all’uso di qualche
termine più colloquiale, popolare talvolta anche
dialettale.
8. Quando si forniscono indicazioni sui dosaggi e sui tipi
di farmaci che il paziente deve assumere, portare
sempre esempi pratici: chiarire il tipo di pillole
(capsule, compresse, colore, forma, come si possono
dividere, ecc.); nell’uso di sciroppo specificare bene
se bisogna utilizzare un cucchiaio da tavola o un
cucchiaino; indicare sempre le tacche del misurino.
Dieci semplici regole (4)
9. Accertarsi che il paziente abbia capito,
rendendolo partecipe delle decisioni e
facendogli ripetere, ad esempio, il dosaggio
che deve assumere.
10. Esprimere sempre ottimismo, incoraggiando
il paziente in difficoltà: un eccesso di
pessimismo può porlo in una posizione di
scetticismo, con possibile calo di fiducia e
rifiuto della terapia.
Crisi del rapporto
Se il medico consente che il momento
strumentale prenda il sopravvento su quello
individuale, basato sulla cultura, esperienza ed
acume critico del medico, si rischia il distacco
del medico dal malato, e viceversa.
Il rapporto umano e professionale si evolve
negativamente, verso la disumanizzazione
della Medicina.
Mente e strumenti
Non va mai dimenticato che, per quanto
sofisticate, le moderne tecnologie sono frutto
della mente umana e sono state pensate quali
strumenti, di diagnosi o cura, che la mente
umana usa per amplificare le sue capacità.
Ma a governare le tecnologie c’è sempre la
mente del medico, per la quale deve restare
importante il rapporto con l’essere umano, suo
pari, sul quale le tecnologie si applicano!
Relazione d’aiuto e counseling
La funzione principale di chi svolge educazione
alla salute, è dare un’opportunità di esplorare,
scoprire e chiarire degli stili di vita più
fruttuosi e miranti ad un più elevato stato di
benessere.
Da questo punto di vista, il medico può essere
definito un counselor, ossia un professionista il
cui scopo è aiutare le persone ad aiutarsi.
Aiuto: il sostegno emotivo
Un sostegno emotivo appropriato favorisce una
prognosi medica positiva anche in casi
particolarmente gravi.
L'operazione attraverso cui si aumenta il grado di
consapevolezza del paziente è un'attività di
comprensione e chiarificazione del problema
presente, non forzando però mai i tempi di
maturazione soggettiva.
Abilità di counseling (1)
1. capacità di comunicare la propria empatia, ossia il
proprio essersi sintonizzati sul livello emotivo del
paziente;
2. capacità di praticare l'ascolto attivo, ossia di
riprendere e riassumere ciò che l'interlocutore ha
appena detto ottenendo la sua approvazione e
dimostrando di aver prestato attenzione a quanto
comunicato;
3. un elevato controllo e consapevolezza del
linguaggio corporeo (comunicazione non verbale),
attraverso cui vengono veicolati gli stati emotivi
connessi al contenuto verbale di cui si sta parlando;
Abilità di counseling (2)
4. capacità di autoosservazione e di
automonitoraggio di quanto sta avvenendo
nella costruzione della relazione con quello
specifico paziente;
5. capacità di condurre il colloquio, evitando i
rischi di induzione delle risposte e gli
atteggiamenti di chiusura/ostacolo al dialogo.
Fasi del counseling
Il counseling può essere svolto da ogni operatore
sanitario, anche quotidianamente, e prevede:
1. riconoscimento e definizione del problema
da parte del paziente;
2. ridefinizione del problema;
3. gestione del problema da parte del paziente.
Riconoscimento del problema
Compito del counselor in questa fase è
comprendere quanto l'interlocutore comunica
anche attraverso la comunicazione non
verbale.
Per facilitare l'espressione del paziente, è
indispensabile che il medico si limiti a
comprendere senza intervenire con
interpretazioni e conclusioni personali.
Ridefinizione del problema
E’ un momento di focalizzazione e
chiarificazione dei punti critici e peculiari del
problema in discussione.
Compito del counselor è stimolare l'interlocutore
affinchè si concentri sulle reali complessità
della situazione e sia in grado di considerare il
suo problema da una angolatura diversa e più
esaustiva.
Gestione del problema
In questa fase è necessario un intervento del
counselor al fine di facilitare il processo
decisionale dell'interlocutore, definendo il
problema nei termini di obiettivi concreti e di
strategie operative adeguate a raggiungerli.
È il momento in cui si mobilitano e si finalizzano
le risorse personali disponibili, ideando e
stabilendo anche delle possibilità di verifica
del raggiungimento degli obiettivi fissati.
La relazione d’aiuto
La relazione d'aiuto è quella in cui l'uno
promuove la crescita dell'altro, è dunque la
relazione che si stabilisce tra terapeuta e
cliente, tra insegnante e studente, tra medico e
paziente, tra genitore e figlio.
L'espressione "relazione d'aiuto" è un modo
delicato per indicare un intervento di supporto
allo sviluppo del sé, alla comprensione delle
proprie motivazioni e predilezioni.
Relazione come insegnamento
La parola "aiuto" inclusa nell' espressione
"relazione d'aiuto" assume un significato
pedagogico: l'aiuto si orienta in direzione della
crescita e dell' autonomia dell'altro.
Esso non deve contenere metodi che procedono
unilateralmente e rischiano di risolversi in
manipolazioni del soggetto o imposizioni di
diagnosi e di dogmi che il soggetto è costretto
ad accettare, ma basarsi sull’empatia.
Empatia
L’empatia è la focalizzazione sul mondo
interiore dell’interlocutore, è la capacità di
intuire cosa si agiti in lui, come si senta in una
situazione e cosa realmente provi al di là di
quello che esprime verbalmente.
E’ anche la capacità di leggere fra le righe, di
captare le spie emozionali, di cogliere anche i
segnali non verbali indicatori di uno stato
d’animo e di intuire quale valore rivesta un
evento per l'interlocutore.
Tipi di comprensione
Esiste una comprensione intellettuale che si
concentra sui fatti, indaga come stiano
realmente le cose e ricostruisce l’esatta
dinamica dell’accaduto: essa è la base della
pratica professionale.
Esiste, poi, una comprensione empatica, più
sottile e complessa di quella intellettuale, che
richiede una sensibilità molto fine e rara per
essere attuata: essa è la base per il rapporto con
il paziente.
Caregiving
Il termine "caregiving" può essere genericamente
definito come "dono della cura“, cioè il
prendersi carico, da parte di una o più persone,
di un’altra che necessita assistenza.
Oggi, tuttavia, per “caregiver” intendiamo un
individuo responsabile che, in un ambito
domestico, si prende cura di un soggetto
dipendente e/o disabile.
Caregiver e famiglia
Le famiglie dei malati cronici e/o portatori di
disabilità permanenti assumono, di fatto, una
grandissima parte del carico assistenziale.
In questi ultimi anni si riscontra, con frequenza
crescente, la figura del/della badante,
rappresentato di solito da un immigrato/a che
accudisce il malato, sotto la verifica di un
familiare.
Preparazione dei caregivers
Nel caregiving familiare molti aspetti
squisitamente sanitari vengono demandati a
personale non adeguatamente preparato.
Occorre, pertanto, garantire ai caregivers sia una
fonte di informazione, utile al paziente al quale
prestano assistenza, che una fonte di supporto
psicologico, in quanto esposti allo stesso
rischio di stress che soffrono gli operatori
sanitari (sindrome del burnout).
Esempio: malattia di Alzheimer
Un corso di formazione per i caregivers punta a:
…”trattare specificamente i problemi riguardanti
l'impatto emotivo che la diagnosi di demenza
di un membro della famiglia può avere sul
caregiver principale. La demenza, forse più di
qualsiasi altra condizione, ha un effetto molto
marcato sui caregivers che può durare a lungo
anche dopo che l'assistenza si è conclusa”.
Esempio: paziente oncologico
Si prevede una assistenza domiciliare basata su:
a) Intervento medico-infermieristico:
- visite mediche, prescrizione e somministrazione di
terapie, medicazioni,interventi sanitari etc.;
- educazione sanitaria ai familiari (caregivers).
b) Intervento psico-sociale:
- valutazione delle risorse e dei limiti del nucleo
familiare;
- Colloqui psicologici con il paziente;
- Colloqui psicologici con i familiari.
Il caregiver: chi è?
- Il membro della famiglia che si occupa più attivamente
del paziente e che costituisce il riferimento principale
dell’equipe.
- Può essere designato dal paziente e/o dalla famiglia in
base a precisi ma spesso impliciti criteri (“non ha
paura”, “è concreto”, “ha i riflessi pronti in caso di
emergenza”, etc..), altre volte è l’unico familiare
disponibile.
- Generalmente il caregiver ha dei tratti comportamentali
e caratteriali che somigliano a quelli del paziente o a
quelli considerati desiderabili per il paziente.
Il paziente: di cosa ha bisogno?
- di non essere abbandonato (isolato, escluso, fuori
ruolo);
- di mantenere la comunicazione (con i familiari, con i
curanti, con gli amici, etc.);
- di sentire ed esprimere il senso di una progettualità
(verso se stessi - decidere sulle terapie, dove stare,
come essere trattato; verso gli altri - sul futuro dei
familiari, attraverso scelte di natura economica e
patrimoniale, rispetto ad eventi e scadenze, etc.);
- di mantenere l’autostima ed il rispetto della dignità
del corpo (di essere curato, trattato con rispetto,etc.);
- di vicinanza emotiva (attraverso la continua richiesta
di presenza fisica, di fare delle cose,di essere aiutato).
I familiari: di cosa hanno bisogno?
- di sentirsi utili e fare abbastanza per il malato;
- di essere rassicurati sul fatto che il paziente non
soffra;
- di essere informati sulla reale situazione;
- di esprimere le emozioni, comunicare ed affrontare
l’esperienza che stanno vivendo;
- di sentirsi supportati dall’equipe curante;
- di dare un senso alla situazione di malattia cronica ed
irreversibile;
- di essere sostenuti nel trovare l’atteggiamento più
adeguato da assumere in un dato momento;
- di sentire la vicinanza reciproca.
L’equipe: di cosa ha bisogno?
- di svolgere adeguatamente il proprio lavoro;
- di gestire efficacemente le situazioni che si
presentano;
- di sentire la collaborazione e la fiducia da parte
del paziente e dei suoi familiari.
Il caregiver in Italia
Nel nostro paese il caregiver è prevalentemente
donna, con una percentuale che supera l’80%
nella fase severa di malattia, confermando
l’eterno ruolo femminile di dispensatrice di
cure.
Tempo impegnato: 20-30 ore/settimana
(aumento nelle fasi avanzate di malattia).
Tempo libero: 5-15 ore/settimana (calo nelle fasi
avanzate di malattia).
Conseguenze del caregiving
Il caregiver subisce conseguenze dalla sua attività.
Dati dallo studio CENSIS del 1999
Per concludere…
Non vogliono lasciarmi sola. La vita “normale”
è finita.
Se qualcuno in questo momento mi chiedesse
cosa è la felicità non avrei dubbi.
Felicità è aprire la porta della camera da letto e
scoprire che dorme.
Una moglie