Schema della lezione su Comte
Tre ordini di questioni:
1° - La sociologia come scienza nasce con Comte.
2° - Nasce in un periodo storico preciso,
3° - Qualsiasi aspetto della vita sociale può divenire oggetto di
studio della sociologia, ma di per sé nessun aspetto della vita sociale è, per così dire,un'entità sociologica.
E' il modo di accostare un fenomeno qualsiasi della vita sociale che fa di questa fenomeno oggetto della sociologia,
La sociologia è, dunque, una maniera di accostare e di visualizzare quei fenomeni che comunemente vengono detti sociali.
Operazioni compiute da A. COMTE (I798-I857)
- A. Formula il termine di sociologia» per distinguere e caratterizzare la nuova scienza rispetto a quella del suo tempo.
- B. La sociologia è una scienza; esiste un unico metodo scientifico.
C, L'indagine sociologica muove:
1. da idea di società (il metodo scientifico è unico, ma gli ambiti e i domini! delle diverse scienze devono essere assunti secondo
definizioni che ne visualizzano l'oggetto) "Un sistema qualunque
di società, fatto per un pugno di uomini o per parecchi milioni, ha
come obiettivo definitivo quello di dirigere verso un fine generale
di attività tutte le forze particolari. Ed invero non c'è società se
non là dove si eserciti un'azione generale ed organizzata. In ogni
altro caso, c'è solo agglomerato di un certo numero di individui su
uno stesso suolo. E' questo che distingue la società umana da quella
degli altri animali che vivono intruppati."
Non solo, ma non si da società senza "l'istituirsi uniforme di un
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sistema qualsiasi di idee generali", "la maggior parte delle idee
generali destinate a diventare consuete potranno essere ammesse (dai
mèmbri) solo per fiducia e non sulla base di dimostrazioni."
"... nessuna società reale e compatta può formarsi e mantenersi senza l'influenza di un qualunque sistema di idee, capace di superare
l'opposizione delle tendenze individuali, così accentuate all'origine, e di farle concorrere ad un ordine costante."
2. da idea di sistema»
- D. La scienza ha un significato prettamente umano, qualsiasi tipo
di ricerca deve sottomettersi a quelli che sono i bisogni dell'umani!
-E. La sociologia è una scienza parziale.
Testo da Padovani, G., Problemi della ricerca in sociologia, QuattroVenti, Urbino,
2001, pp.35- 64
IL SENSO DELLA SOCIOLOGIA PER A. COMTE
Il sorgere della sociologia
Il termine di “sociologia” compare ufficialmente nella lezione quarantasettesima del
Corso di filosofia positiva. In questa lezione Auguste Comte analizza il pensiero di quei
“filosofi” che a suo giudizio hanno tentato “la costituzione della scienza sociale”. Il
termine viene presentato dopo l’esame dell’opera di Montesquieu e prima di quella di
Condorcet. Comte si scusa con il lettore per l’introduzione di questo nuovo termine,
equivalente, nell’uso, al termine di fisica sociale, al fine di “distinguere con un unico
nome quella parte complementare delle filosofia naturale che si riferisce allo studio
positivo dell’insieme delle leggi fondamentali proprie ai fenomeni sociali”.
Nel 1839 Comte propone questo neologismo in sostituzione di quello di “fisica
sociale”, fino allora usato. L’introduzione di questo nuovo termine testimonia in Comte
la consapevolezza di fondare una scienza nuova. Molte e diversificate sono le ragioni
addotte a sostegno, per quanto esse si muovano all’interno di un pensiero unitario che si
qualifica ancora come filosofico. Innanzitutto Comte matura tale convinzione attraverso
un confronto serrato e appassionato con il pensiero a lui contemporaneo e dopo
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un’analisi della situazione socio-politica del suo tempo. Questi due ordini di
considerazioni spingono Comte, dapprima nell’opuscolo giovanile del 1822, Plan des
travaux scientifiques nécessaires pour réorganiser la société, in seguito nel Corso di
filosofa positiva, ad usare i termini di fisica sociale e di sociologia per indicare la nuova
scienza. Nel 1839, quando propose di sostituire il primo termine con il secondo, affinché
la sua opera non fosse confusa con quella di altri Autori che usavano il termine di fisica
sociale, la consapevolezza di voler porre le basi di una nuova scienza raggiunse la piena
maturità.
La sociologia, ultima nata dell’enciclopedia delle scienze positive, come la scienza
“più complessa” e “più difficile”, viene a compiere, ma anche a concludere, lo sforzo
millenario delle “spirito umano” per pervenire alla conoscenza delle leggi che ne
regolano insieme lo sviluppo storico, sociale e politico. La stessa successione delle
scienze, dalla prima, l’astronomia, all’ultima, la sociologia, mostra come l’uomo sia
giunto, infine, ad impostare scientificamente la conoscenza della propria “natura”. Sotto
questo aspetto la sociologia è un’antropologia; essa, nella misura in cui fa dell’uomo,
dell’umanità, l’oggetto del suo studio, si apre inevitabilmente ad altre dimensioni, quali
quelle morali e religiose, per divenire la scienza comprensiva dell’umano. All’interno di
questa “vocazione”, tuttavia, Comte ritaglia uno spazio preciso alla sociologia e ne fissa
lo statuto scientifico.
Fin dai suoi opuscoli giovanili, Comte trova nella nuova scienza della fisica sociale
la base per la costituzione della politica positiva, che doveva, secondo i suoi progetti,
condurre la società fuori dalla crisi che caratterizzava gli anni della Restaurazione.
Nonostante il suo iniziale sodalizio con Saint-Simon, non ricava gli elementi per fondare
la politica positiva dall’economia politica ma dalla legge che regola lo sviluppo della
civiltà umana, vale a dire dalla legge dei tre stati, e dal progresso delle scienze.
Comte non misconosce affatto il ruolo fondamentale svolto dall’economia nella
formazione sociale, nei suoi scritti giovanili stabilisce una specie di equazione tra la
“vera societa” e la “societa industriale”; nell’opuscolo Plan des travaux..., scrive che sul
piano temporale l’industria è divenuta preponderante: “Toutes les relations particulières
se sont établies peu à peu sur des bases industrielles. La société, prise collectivement,
tend à s’organiser de la même manière, en se donnant pour but d’activité, unique et
permanent, la production” (Plan, p. 140).
Non sottovaluta affatto il ruolo dell’economia nella formazione della società
moderna e, nonostante gli elogi all’opera di Adam Smith e di Jean-Baptiste Say, Comte,
nella stessa lezione quarantasettesima del suo Corso, in cui introduce il nuovo termine di
sociologia, critica la economia politica in quanto ancora soggetta allo spirito metafisico.
In particolare nella lezione successiva, Comte rileva che uno”studio isolato dei diversi
elementi sociali”, come è il caso dell’economia politica, è “profondamente irrazionale”.
Infatti i “diversi aspetti generali” che formano gli “studi sociali” sono “razionalmente
inseparabili”. Agli occhi di Comte, gli economisti non sono in grado di fare pervenire
l’economia politica allo statuto di vera scienza positiva
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«perché i più classici fra loro si sono sforzati di rappresentare dogmaticamente, soprattutto ai
nostri giorni l’oggetto generale dei loro studi come interamente distinto ed indipendente dall’insieme
della scienza politica, dalla quale si sforzano sempre più di isolarlo perfettamente» (Corso, vol. 1, p.
186);
inoltre hanno la pretesa di proporre
«il loro modo di procedere come il modello sulla cui base tutte le teorie sociali devono essere
finalmente rigenerate» (ibidem).
Non si rendono conto che la scienza che propongono non si regola
sull’osservazione, che essa è una dottrina deduttiva che muove da entità astratte. Inoltre,
l’economia promuove soprattutto l’egoismo che atomizza i comportamenti individuali,
mentre la società si organizza come un sistema di parti unite tra loro dalla solidarietà e
dal consenso. Gli economisti ponendo l’economia politica a modello della scienza
sociale operano una generalizzazione a partire da certe tendenze e da casi particolari
senza tener conto dell’insieme dell’esistenza sociale.
Comte è consapevole nel fondare la sociologia di dover
«creare un ordine completo di concezioni scientifiche che nessun filosofo precedente ha mai
neppure delineato e la cui possibilità non era mai stata neppure esattamente intravista» (Corso, vol. 1,
p. 44).
“Creare” una scienza nuova, per quanto lo spirito della filosofia positiva sia una
guida sicura, comporta inevitabilmente delle difficoltà legate anche all’impossibilità di
poter stabilire un confronto positivo con altre dottrine e teorie sociologiche. Comte è
perciò consapevole di non potere che stabilire “le basi principali” e di non poter che
limitarsi “alle considerazioni più generali” della nuova scienza: è “tutto ciò che è
permesso di tentare ai giorni nostri”.
La creazione della nuova scienza non è resa possibile unicamente dallo sviluppo
dello spirito positivo, ma anche dall’urgenza politica di uscire dalle condizioni di crisi
della società, scossa da una “immensa rivoluzione”. Sin dalle sue opere giovanili Comte
metterà costantemente in luce come il sorgere delle fisica sociale e/o della sociologia sia
da porre in relazione ad un’analisi dettagliata della situazione sociale, culturale e politica
del suo tempo. Non interessa qui ripercorrere i motivi di tale analisi, ma semplicemente
ricordare come il sorgere della sociologia e alcuni suoi contenuti portanti siano
strettamente dipendenti dall’analisi critica che Comte conduce della società del suo
tempo. Coppie di nozioni, quali: ordine e progresso, statica e dinamica sociale,
costituiscono “tipi ideali” dei quali Comte si serve nello stesso tempo per analizzare la
società e per porre le basi della sociologia. Soprattutto l’idea centrale di società opera sia
come elemento critico degli effetti “perversi”, “aberranti” dice Comte, introdotti nella
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politica dal principio del “libero arbitrio”, sia come elemento costitutivo della
sociologia. Il principio del libero arbitrio, da un lato, ha liberalizzato la discussione sulle
forme politiche idonee a riorganizzare la società, da un altro, ha reso vano, e perciò
astratto, ogni tentativo di trovare una soluzione che possa soddisfare le diverse forze
politiche in gioco. Tuttavia, annota Comte, quasi anticipando J. Habermas, le
“aberrazioni”, conseguenti alle libere discussioni, sono destinate a scomparire in forza
dello stesso principio “della libera discussione”, anche se ancora comporta una
situazione politica di crisi e di stallo. Pertanto, per evitare “aberrazioni” e “distruzioni”,
occorre prendere atto che nessuna forma sociale si stabilisce senza “un certo grado di
fiducia reciproca”:
«Nessuna associazione, pur avendo un compito specifico e temporaneo, e pur limitata ad un
piccolissimo numero di individui potrebbe realmente sussistere senza un certo grado di “fiducia
reciproca”, al tempo stesso intellettuale morale, fra i suoi diversi membri» (Corso, vol. 1, p. 74).
La “fiducia reciproca” è “una condizione necessaria all’esistenza di ogni società”;
per essere operante essa deve avere un contenuto, un’idea portante, che sia solutrice
delle forze contrastanti che si identificano nell’ordine e nel progresso: le ragioni degli
uni e degli altri devono essere armonizzate in un’idea unitaria e superiore, che non può
che scaturire dalla stessa realtà dei fatti sociali visti nel loro insieme.
Critica della filosofia sociale
Il grado di imperfezione in cui versa la filosofia sociale deve essere riportato,
secondo Comte, a diverse cause. La principale è da porre in relazione alla stessa
“complessità”, che hanno i fenomeni sociali rispetto a quelli delle altre scienze, la quale
richiede, in base alla legge evolutiva della gerarchia scientifica, che prima si consegua la
padronanza “di tutti i fenomeni più semplici”. La seconda causa invece è da porre in
relazione al fatto che prima dell’epoca attuale non si era ancora pervenuti ad avere “un
insieme di fatti abbastanza esteso” da cui procedere convenientemente per
l’individuazione delle leggi fondamentali dei fenomeni sociali. Era necessario, in altre
parole, che la società uscisse dagli schemi politici delle teorie teologiche, e che
prendesse corpo un’adeguata visione dello sviluppo e del progresso dell’umanità da
parte della filosofia della storia.
Queste sono anche le ragioni che spingono il Nostro a prendere in considerazione
solo quegli Autori le cui teorie soddisfano quelle condizioni, vale a dire il pensiero di
Montesquieu e di Condorcet. Secondo Comte, Montesquieu ha avuto il grande merito di
estendere l’idea di legge ai fenomeni politici e, perciò, di assoggettarli a leggi
invariabili, allo stesso modo in cui procedono le scienze per i fenomeni naturali. Inoltre,
ha proposto l’idea di progresso, seppure in modo vago. Purtroppo non conduce nel corso
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dell’opera un’applicazione puntuale di quelle idee. Così, pur mettendo in luce, ad
esempio, l’importanza sociale dell’infuenza del clima sull’ordinamento politico e sul
progresso dell’umanità, il torto di Montesquieu è stato quello di non averlo visto nel
quadro più generale delle leggi che presiedono al progresso stesso dell’umanità e della
società.
Merito di Condorcet è di aver introdotto, continua Comte, “il concetto scientifico,
veramente primordiale, del progresso sociale dell’umanità”; suo torto, invece, è di aver
ritenuto e prospettato una perfettibilità praticamente illimitata dell’uomo, in questo non
sorretto da una salda conoscenza delle strutture biologiche dell’uomo.
In breve, il contributo scientifico di Montesquieu e di Condorcet è di aver concepito
la sociologia a partire dall’insieme dei fatti storici. Altri Autori, invece, hanno voluto
dedurre la sociologia a partire da una scienza positiva già costituita, come, ad esempio,
Cabanis. Che la sociologia presupponga la biologia non deve affatto portare a ritenere
che essa sia una scienza biologica, altrimenti la sociologia sparirebbe come scienza e
non sarebbe che un corollario della biologia. Comte sostiene l’autonomia e la specificità
della sociologia come scienza positiva, il merito di Montesquieu e di Condorcet sta
appunto nell’avere indicato nell’evoluzione storica dell’umanità il luogo naturale della
sociologia.
L’indeducibilità delle leggi sociologiche dalle leggi organiche è un pensiero
ricorrente in Comte fin dalle sue opere giovanili, nelle quali a più riprese si sofferma a
lungo ad evidenziare l’errore di Cabanis e dei biologi. Smascherare l’errore di Cabanis
significa liberare l’analisi sociologica dalla base organicistica a cui la specie umana è
connessa. Questa critica è tanto più importante se si tiene conto che Comte considera
ancora la sociologia come “fisica sociale”, ossia come “branca della fisiologia”. Tuttavia
l’appartenenza va intesa in un senso preciso; e imprescindibile se si considera che, dal
punto di vista naturale, l’uomo è un animale e che, quindi, la sua vita sociale e la storia
della sua civiltà non sono “altro che il seguito ed il completamento indispensabile della
storia naturale dell’uomo”. Nonostante questa relazione, precisa Comte, “la fisica
sociale deve essere tuttavia considerata e coltivata come una scienza completamente
distinta” che deve la sua positività non alla fisiologia; spiega
«Mi limito, qui, a dire, per prevenire ogni confusione, che intendo per fisica sociale la scienza che
ha per suo oggetto particolare lo studio dei fenomeni sociali, considerati con lo stesso spirito con cui si
considerano i fenomeni astronomici, fisici, chimici e fisiologici, la cui scoperta è l’obiettivo speciale
delle sue ricerche. Così, essa si propone di spiegare, con la maggiore precisione possibile, il grande
fenomeno dello sviluppo della specie umana... (...) Lo spirito di questa scienza consiste soprattutto nel
vedere nello studio approfondito del passato, l’autentica spiegazione del presente e la manifestazione
generale dell’avvenire. Considerando sempre i fatti sociali, non come oggetti di meraviglia o di critica,
ma come oggetti di osservazione, essa si preoccupa unicamente di stabilirne le relazioni reciproche e di
cogliere l’influenza esercitata da ciascuno di essi sull’insieme dello sviluppo umano» (Considerazioni,
pp. 198-199).
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La fisica sociale non va confusa con la fisiologia, come lo studio dello sviluppo
storico della collettività umana non va confuso con quello dell’uomo individuale.
Liberare lo studio dei fenomeni sociali dalla fisiologia e dall’economia politica non
vuol dire identificarli con lo studio dello sviluppo dell’umanità, confonderli con la
storia? Comte considera la storia come il metodo fondamentale della sociologia; il
metodo storico è la traduzione sul piano proprio della sociologia del metodo
comparativo caratteristico della biologia, esso è
«perfettamente adattato alla natura di un soggetto (quello dei fenomeni sociali) in cui la filiazione
graduale deve sostituire sempre più il principale mezzo d’indagine» (Corso, vol. 2, p. 701).
Cosicché, come aveva già argomentato negli Opuscoli, nella ricerca delle leggi
sociali occorre procedere dal generale, ossia dallo sviluppo generale del genere umano,
al particolare che si concretizza sia evolutivamente che socialmente come “il risultato”
di uno stato precedente e come “il motore” del successivo. Del resto la stessa dinamica
sociale si basa sulle osservazioni storiche, tuttavia la sociologia ricorre in modo astratto
alla storia:
«per quanto la storia abbia una funzione indispensabile nella sociologia... per alimentare e per
dirigere le sue principali speculazioni, è chiaro che ad essa si deve ricorrere in senso essenzialmente
astratto».
Vale a dire:
«la sociologia deve limitarsi a trarre dall’incoerente compilazione dei fatti, già impropriamente
qualificata come storia le informazioni atte a mettere in rilievo, secondo i principi della teoria biologica
dell’uomo, le leggi fondamentali della socialità: e ciò richiede quasi sempre, rispetto ad ogni dato in tal
modo ottenuto, una preparazione indispensabile, e a volte scrupolosa, per farla passare dallo stato
concreto allo stato astratto, spogliandola dalle circostanze puramente particolari e secondarie
climatiche, locali, ecc., senza per altro alterarne la parte veramente essenziale e generale
dell’osservazione» (Corso, vol. 1, p. 447 e 449).
La stessa storia, a sua volta, potrà pervenire ad uno statuto scientifico positivo solo
quando “l’intero sistema delle scienze fondamentali non sarà stato prima completato
dalla creazione della sociologia”. La storia viene così a trovarsi all’interno della
sociologia in quanto gli stessi fenomeni sociali sono fenomeni storici che, come tutti i
fenomeni del resto, obbediscono alla legge generale dei tre stati e, grazie alla sociologia,
a far parte dell’enciclopedia delle scienze di cui la sociologia sintetizza lo studio del
fenomeno umano, l’umano nella sociologia diviene oggetto di scienza.
Il rinnovamento della società
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Comte, nell’opera giovanile Piano delle opere scientifiche necessarie per
riorganizzare la società del 1822, scorge un parallelo tra il rinnovamento teorico di una
scienza e quello politico della società, sebbene, annota, il primo sia un caso
“infinitamente” più semplice, scrive infatti:
«Quando una scienza qualunque si ricostituisce sulla base di una nuova teoria, già
sufficientemente preparata, anzitutto si produce, si discute e stabilisce il principio generale, solo in
seguito, attraverso una lunga catena di operazioni, si giunge a formare per tutte le parti della scienza
una coordinazione che nessuno, all’inizio, sarebbe stato in grado di concepire, neppure l’inventore del
principio». (Piano, p. 82).
Ad illustrazione Comte riporta l’esempio del lungo lavoro che impegnò gli
astronomi alla costituzione dell’astronomia fisica, dopo che Newton scoprì la legge della
gravitazione universale. Ogni “rivoluzione” che interessi una scienza o un’arte tecnica
oppure la ricostituzione politica della società, richiede un principio e una teoria che
siano in grado di procedere al lento e faticoso lavoro di rivolgimento totale dell’assetto
precedente. Così non è possibile procedere ad una “riforma completa del sistema
sociale” senza che inizialmente non sia stabilito “il fine e lo spirito del nuovo sistema”
giacché:
«Un sistema qualunque di società, fatto per un pugno di uomini o per parecchi milioni, ha come
obiettivo definitivo quello di dirigere verso un fine generale di attività tutte le forze particolari. Ed
invero non c’è società se non là dove si eserciti un’azione generale ed organizzata. In ogni altro caso,
c’è solo agglomerato di un certo numero di individui su uno stesso suolo. E’ questo che distingue la
società umana da quella degli altri animali che vivono intruppati» (Piano, p. 85).
Pertanto se si vuole procedere a rivoluzionare realmente la società occorre fissare “il
fine” dal quale la concezione del sistema sociale riceva “il senso” che istituisce l’ordine
sociale. E’ possibile, dunque, rivoluzionare il sistema sociale solo a partire dal fine da
cui muovere nell’organizzazione dell’insieme delle attività sociali. Non si esce dal
vecchio sistema se ci si limita a modificarne delle parti, senza averne la visione
dell’insieme, non è sufficiente separare i poteri politici senza modificare la stessa
concezione e pratica del potere, ecc. Ogni piano di rifondazione della società si compone
“di due serie di opere”:
«L’una, teorica o spirituale, ha come scopo lo sviluppo dell’idea-madre del piano, cioè del nuovo
principio secondo il quale debbono essere coordinate le relazioni sociali e la formazione del sistema di
idee generali destinato a servire di guida alla società. L’altra, pratica o temporale, determina il modo di
ripartizione del potere e l’insieme delle istituzioni amministrative più conformi allo spirito del sistema»
(Piano, p. 84).
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Una volta, fissato il fine, il senso che deve strutturare l’insieme sociale, si procede
alla sua applicazione sistematica, affinché la regolamentazione sociale non si fermi alla
superficie dei comportamenti, ma emani dai convincimenti e dalle motivazioni
interiorizzate. Non è, dunque, sufficiente concepire, “come si deve”, un nuovo sistema
sociale senza che “la massa sociale si appassioni a costituirlo”, precisa Comte.
Il rinnovamento della società passa necessariamente attraverso il rinnovamento
morale degli uomini. Non tutti gli uomini sono coinvolti nel processo con una medesima
consapevolezza; solo pochi, gli scienziati sociali, possono pervenire alla conoscenza
positiva della lunga preparazione storica che ha portato al rinnovamento della società e
dell’uomo; gli altri devono intravedere il quadro dei miglioramenti che il nuovo sistema
“deve apportare nella condizione umana”, affinché essi siano mossi “ad attuare in se
stessi la rivoluzione morale necessaria perché il nuovo sistema possa stabilirsi” (Piano,
p.139). Il rinnovamento sociale passa, dunque, attraverso il rinnovamento degli uomini,
che devono essere sollecitati affinché l’egoismo e l’apatia si trasformino in altruismo e
in attività consone al nuovo stato sociale e al suo mantenimento.
Il parallelismo che Comte stabilisce tra rivoluzione scientifica e rivoluzione sociale
indica che, se si vuole uscire dalla situazione di crisi attraversata dalla società, l’azione
politica deve procedere come la scienza nella sua opera di rinnovamento, ossia deve
procedere dalla conoscenza scientifica della società, da una teoria dello sviluppo sociale,
che possa indirizzare chiaramente la stessa azione delle opere necessarie al
rinnovamento sociale. La conoscenza scientifica si sposa con l’opera di innovamento,
conoscere le leggi dello sviluppo umano vuol dire sapere come occorre agire per guidare
le forze sociali del rinnovamento. Del resto, la stessa conoscenza scientifica ha una
valenza pratica, umana, nella misura in cui essa è opera dell’umanità ed è in funzione
del suo progresso. Il senso della scienza s’inscrive, dunque, nell’evoluzione
dell’umanità, ma affinché questo compito di unificazione sia completato e possa
realizzarsi occorre pervenire ad una conoscenza positiva, scientifica, delle leggi che
regolano lo stesso sviluppo della collettività umana. Occorre in altre parole che la fisica
sociale (sociologia) divenga una scienza positiva. Solo a questo punto, con la
costituzione della sociologia, giunge a compimento la sintesi del sapere umano e diviene
fattibile il reale rinnovamento della società.
La conoscenza scientifica, dapprima della natura umana e poi della sua evoluzione,
insieme storica-sociale e culturale, diviene la base certa dell’innovazione sociale, in
quanto quella porta in sé incorporato il punto di vista dell’umanità, e può prendere con
sicurezza la guida della società, evitando i pericoli di ricadere, da un lato, nella visione
“retrograda” della società, a cui è ancora legata la filosofia teologica, dall’altro, nella
visione “anarchica rivoluzionaria”, a cui porta la filosofia metafisica.
Comte è perfettamente consapevole dell’immenso lavoro che richiede quest’opera di
rinnovamento, che inizia a tratteggiare in questa opera giovanile. Ci limitiamo a
sottolineare come la sua analisi critica della situazione storica della Francia della
restaurazione, sia da intendersi come un’analisi sociologica, essa, infatti, è tributaria di
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ciò che Egli intende per sociologia. Non è possibile, riteniamo, scindere i due momenti:
la sociologia nasce come analisi critica della situazione della società del tempo e,
pertanto, l’analisi della società è già da intendersi come un’esemplificazione sociologica.
E’ compito della sociologia fornire un’analisi della società che possa costituire la base
dell’opera politica di rinnovamento; non è quindi corretto affermare e sostenere che
Comte non abbia mai condotto un’analisi sociologica della società. Anzi, ha inteso
fondare la sociologia come scienza per conferire valore scientifico all’analisi della
società e per liberarla dalle ipoteche del pensiero teologico e metafisico.
L’opera in oggetto contiene altre indicazioni che delineano il campo della
sociologia. Circa l’oggetto, Comte “separa” lo studio dei fenomeni collettivi da quello
dei fenomeni individuali, nel senso che i primi non possono essere dedotti dai secondi,
costituendo due ordini diversi di fenomeni. La sociologia infatti è una scienza “fondata
sull’osservazione diretta dei fenomeni relativi allo sviluppo collettivo della specie
umana, che ha come fine la coordinazione del passato sociale e per risultato la
determinazione del sistema che il progresso della civiltà oggi tende a produrre” (Piano,
p. 172).
La sociologia deve, dunque, conoscere quei fenomeni di civiltà che si muovono a
produrre l’attuale sistema sociale; essa non può essere ridotta, alla stregua di Cabanis, a
fisiologia, per quanto la storia della civiltà sia la continuazione della storia naturale
dell’uomo. Riconoscere questa filiazione è importante tanto quanto riconoscere la netta
distinzione e diversità tra i due campi d’indagine, perché se, da un lato, i fenomeni
collettivi, in quanto prodotti da individui, sono dipendenti dalla natura dell’organismo
umano, dall’altro, “lo stato della civiltà umana, in ogni generazione, dipende
immediatamente solo da quello della generazione precedente e produce immediatamente
solo quello della seguente” (Piano, 166).
Comte stabilisce una dipendenza dell’individuale dall’organico e del collettivo dalla
storia, in quanto ogni stato del progresso o cammino umano della civiltà dipende dallo
stato precedente, ma non dalla natura dell’organico. La distinzione di questi due livelli è
di carattere analitico-metodologico; naturale/sociale, individuale/collettivo costituiscono
un unico campo dell’indagine sociologica. L’esigenza della comprensione dei fenomeni
deve tradursi in una teoria che consenta di condurre osservazioni positive, altrimenti si
cadrebbe nell’empirismo, e i fenomeni resterebbero irrelati e paradossalmente
inosservati: “nessuna vera osservazione è possibile se non in quanto è inizialmente
diretta ed infine interpretata da una teoria qualsiasi” (Corso, vol. 1, p. 268).
Il compito della teoria è quello di consentire la delimitazione del campo dei
fenomeni oggetto di osservazione e di stabilire, pertanto, i criteri logici della loro
osservabilità empirica. Ciò che rende “le osservazioni sociali così vaghe ed incoerenti” è
la mancanza di una teoria positiva. La loro “sterilità” non discende dal fatto che siano
poche le osservazioni che si possono avere a disposizione per formulare una teoria,
quanto dal fatto che esse sono prive di una teoria sociologica. Sebbene, precisa Comte,
ci si trovi nella condizione di dover “creare simultaneamente le osservazioni e le leggi”,
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dovendo stabilire la sociologia come scienza, e tenuto conto della complessità dei
fenomeni sociali, l’osservazione sociologica non sarebbe efficace se non fosse guidata
da “una conoscenza, almeno schematica, delle leggi essenziali”. La teoria ha, dunque,
una funzione anticipatrice, essa consente di accostare i fenomeni in quanto conferisce ad
essi lo statuto scientifico di oggetto di conoscenza della sociologia. Del resto, ripete
Comte, è la stessa complessità dei fenomeni sociali che richiede la formulazione di
teorie che consentano di condurre osservazioni e di far assurgere l’osservazione
spontanea dei fatti a materiale di una possibile verifica scientifica. Inoltre la teoria
spiega i fatti connettendoli gli uni agli altri sotto una legge secondo il duplice asse della
sincronia e della diacronia:
«la fisica sociale considera dunque ogni fenomeno dal duplice punto di vista elementare della sua
armonia con i fenomeni coesistenti e del suo legame con lo stato anteriore e posteriore dello sviluppo
umano. Essa si sforza, per l’uno e l’altro motivo, di scoprire per quanto possibile le vere relazioni
generali che legano tra di loro tutti i fatti sociali; ognuno di essi le sembra spiegato, nell’eccezione
veramente scientifica del termine, quando ha potuto essere convenientemente collegato, sia all’insieme
della situazione corrispondente, sia all’insieme del movimento precedente, mettendo sempre da parte
con cura ogni vana ed inaccessibile ricerca della natura intima e del modo essenziale del prodursi di
qualsiasi fenomeno» (Corso, vol. 1, p. 263).
L’idea di umanità, espressione di quella visione d’insieme, che a giudizio di Comte
caratterizza il punto di vista sociologico, è lo schema entro il quale pensare all’individuo
quale oggetto della sociologia, perché non sia ridotto altrimenti, sciolto da ogni relazione
sociale, alla oggettività della scienza biologica. L’idea di umanità è l’orizzonte
concettuale entro il quale è possibile pensare insieme l’uomo come soggetto della storia
sociale e come oggetto del sapere corrispondente. Comte perviene a definire con
chiarezza la “natura” dei fenomeni sociali:
«per la loro stessa natura, tutte le classi dei fenomeni sociali si sviluppano simultaneamente e sotto
l’influenza le une delle altre, di modo che è assolutamente impossibile spiegarsi il procedimento
seguito da ciascuna di esse, senza aver preliminarmente e generalmente compreso il modo di procedere
dell’insieme» (Piano, p. 178).
Come oggi, esemplifica Comte, si riconosce che i rapporti reciproci tra gli stati
europei sono divenuti talmente importanti che è impossibile concepire le loro storie
nazionali come separate, così, allo stesso modo, occorre guardare ai fenomeni sociali
che si osservano in una società, di modo che, ad esempio, lo sviluppo di una scienza o di
un’arte deve essere analizzato in relazione a quello delle altre scienze ed arti; in generale
il progresso della conoscenza della natura e quello corrispondente dell’azione umana
sulla natura dipendono l’uno dall’altro, e questi, a loro volta, sono connessi
all’organizzazione sociale. Come è possibile conseguire una conoscenza che tenga
insieme conto delle diverse classi dei fenomeni sociali e delle loro connessioni nel tutto
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sociale? Occorre, risponde Comte, innanzitutto “comprendere nella sua più grande
generalità il fenomeno dello sviluppo della specie umana, cioè di osservare e di
concatenare tra loro i progressi più importanti che essa ha fatto successivamente nelle
principali e diverse direzioni” (Piano, p. 179). In seguito si lavorerà a conferire “a
questo quadro” una maggiore precisione, man mano che progredirà lo studio si
delineeranno con sempre maggiore precisione di dettagli la filiazione storica dei
fenomeni, prenderanno forma i diversi stati, considerati sia nello “insieme del corpo
sociale” che nelle diverse classi dei fenomeni.
Da un lato Comte è consapevole che sia “assurdo” che, per conoscere una qualsiasi
parte del sociale, occorra conoscere con la stessa precisione tutte le altre; ciò che della
totalità sociale va dapprima conosciuta è la processualità storica dei suoi elementi
generali, per coglierne le tendenze d’insieme sia secondo la connessione della
successione che della contemporaneità. Dall’altro lato, tuttavia, la visione d’insieme,
vale a dire la prospettiva secondo la quale i fenomeni vanno visti nelle loro connessioni
reciproche all’interno della processualità della totalità, costituisce l’oggetto proprio della
scienza sociale.
Del resto, precisa Comte, se guardiamo ai metodi che sono seguiti dalle scienze
inorganiche e da quelle organiche (biologia e sociologia), possiamo constatare che “In
una parola, nei due casi, lo spirito umano procede dal noto all’ignoto, ma, nel primo,
esso si eleva, anzi tutto, dal particolare al generale, poiché la conoscenza dei particolari
è, per lui, più immediata di quella dell’insieme, mentre nel secondo comincia col
discendere dal generale al particolare, perché conosce più direttamente l’insieme che le
parti” (Piano, pp. 174-175). La ragione dei due diversi procedimenti va ricercata nella
“natura” degli stessi fenomeni oggetto delle scienze, nel fatto, ad esempio, come si
accennava prima, che i fenomeni sociali si connettono gli uni agli altri, di modo che
resterebbero incomprensibili per l’analisi scientifica se fossero presi gli uni
separatamente dagli altri al di fuori di una visione d’insieme.
Il senso della sociologia
Lo scopo di queste annotazioni è di ricostruire la prospettiva all’interno della quale
Comte istituisce la sociologia come scienza. Il modo con cui Comte istituisce la
sociologia e il suo dominio disciplinare non è indifferente né alla costituzione della
sociologia come scienza, né alla storia della medesima; non tanto perché la sociologia
successiva abbia dovuto confrontarsi con quella quanto perché in questa sono
rintracciabili alcuni parametri che la sociologia successiva non è stata in grado di
scrollarsi di dosso, sebbene si sia liberata del pensiero sociologico di Comte. Comte è
artefice di una duplice operazione teoretica: costituisce una nuova scienza, la sociologia,
che, nello stesso tempo, concepisce come scienza. Come scienza, la sociologia
condivide con tutte le scienze della enciclopedia lo stesso metodo, unicità del metodo
12
scientifico, ma se ne differenzia in ottemperanza al “principio dell’unità tra dottrina,
logica e metodo”. All’origine della costituzione della sociologia come scienza troviamo
una prospettiva che è sociologica, che “stabilisce il principio generale” che presiedere
alla formazione della scienza: la legge dei tre stati. Se ripercorriamo brevemente il
pensiero di Comte possiamo distinguervi i seguenti momenti: la sociologia viene
“creata” dopo le altre scienze, vale a dire essa viene “creata” nello spirito della filosofia
positiva; ma la ‘scoperta’ dello stesso spirito positivo è dovuta ad una legge di carattere
sociologico, sebbene il medesimo spirito positivo sia identificabile in un principio
epistemologico: la filosofia positiva rinuncia a ricercare la natura dei fenomeni dei quali
ricerca invece le leggi che li relazionano gli uni agli altri, rinunciando ad una
spiegazione del tipo causa-effetto. Di conseguenza, la natura dei fenomeni sociali è
relazionale; essi, infatti, si connettono gli uni agli altri in modo da esibire
un’organizzazione, o un sistema; la loro analisi presuppone una visione d’insieme che
sia in grado di guidare, orientare, l’osservazione dei fenomeni, la ricerca delle relazioni e
delle influenze reciproche. Lo “spirito d’insieme” offre al ricercatore quella prospettiva
sociologica che gli permette di costruire teorie, ipotesi, congetture che, da un lato,
devono consentire l’osservazione e, dall’altro, grazie alle stesse osservazioni dei
fenomeni così visualizzati, di verificare le teorie, le ipotesi. Solo a questa condizione la
sociologia è una scienza deduttiva, vale a dire in grado di fare previsioni, come qualsiasi
altra scienza. Il sociologo opera come qualsiasi altro scienziato, unicità del metodo
scientifico; ma il suo operare presuppone una prospettiva che è propria della sua scienza.
La sociologia, infatti, si distingue dalle altre scienze. Tanto è che la sua metodologia ha
peculiarità specifiche non riconducibili in toto a quelle delle altre scienze. In ogni
scienza le concezioni relative al metodo sono inseparabili da quelle relative alla dottrina,
dovendo adeguarsi alle esigenze imposte dall’oggetto di studio. Sappiamo che la
maggiore complessità dei fenomeni sociali non va vista solo in relazione ai fenomeni
oggetto di studio delle altre scienze dell’enciclopedia, ma discende anche dal principio
della filosofia positiva secondo il quale:
«Nessun fatto sociale potrebbe avere significato veramente scientifico senza essere
immediatamente riferito a qualche altro fatto sociale: puramente isolato, esso resta inevitabilmente allo
stato sterile di semplice aneddoto, suscettibile tutt’al più di soddisfare una varia curiosità, ma che non
permette alcun uso razionale» (Corso, vol. 1, p. 272).
E’ in forza di questa ragione che la sociologia richiede una revisione dei metodi
seguiti normalmente, in particolare richiede metodi di osservazione più estesi e vari di
quelli seguiti dalle altre scienze positive. In sociologia, dal momento che lo “spirito
d’insieme” è “essenzialmente preponderante”, condurre osservazioni è più difficile,
perciò occorre una preparazione e un’educazione adeguate. Se da un lato l’osservazione
è teoreticamente guidata, dall’altro essa deve avvalersi di tanti altri “mezzi”
d’osservazione, che sono prodotti da conoscenze specifiche (come quelle relative alla
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conoscenza dei monumenti delle abitudini di vita, delle lingue, ecc.); solo in
ottemperanza di queste condizioni si possono, ad esempio, “dopo un sufficiente
esercizio”, “convertire... in preziose indicazioni sociologiche le impressioni spontanee”
che si ricevono, da quasi tutti gli avvenimenti che la vita sociale può offrire, avendo
l’accortezza di connetterli con gli altri aspetti del sociale. E’ appunto questa peculiare
caratteristica dei fenomeni sociali, precisa Comte, che fa difficoltà all’osservazione e
alla quale si può far fronte con il variare i procedimenti dell’indagine scientifica.
Tuttavia, per Comte, non è possibile accostare i fenomeni sociali senza aver prima
maturato una qualche idea del modo con cui essi vanno considerati, uniti gli uni agli
altri: solamente il possesso di una teoria consente di dare un’impostazione scientifica al
discorso sociologico. Comte non sostiene che la conoscenza delle parti del sistema
sociale debba procedere dalla conoscenza della totalità sociale, ma che occorre “scoprire
per quanto possibile le vere relazioni generali che legano tra loro tutti i fatti sociali” e
che queste sono fondamentalmente di due ordini, uno statico e l’altro dinamico. La
conoscenza delle relazioni generali mette il sociologo in condizione di conoscere quegli
aspetti del sociale che uniscono e legano tra loro i fenomeni e che, pertanto, soddisfano
all’esigenza di procedere dalla visione dell’insieme, che deve costantemente guidare
l’opera scientifica del sociologo. Il fatto che Comte con frequenza sostenga che,
sull’esempio della biologia, conosciamo ‘meglio’ gli organismi, vale a dire gli insiemi,
che le parti componenti, oppure che l’umanità deve essere considerata come se
costituisse un unico uomo, deve essere interpretato nell’ottica della prospettiva entro la
quale deve venir considerato il senso dei fenomeni sociali e deve venirne ricercata la
spiegazione. Le osservazioni sociologiche vanno condotte secondo lo spirito d’insieme,
ossia esse devono essere condotte a partire dalla concezione della società come un
sistema di parti ad essa omogenee. Questa prospettiva richiede che il sociologo sia
munito di una educazione scientifica che lo “prepari razionalmente a vedere” e a
formulare “valutazioni” idonee alla complessità sociale.
Il sistema sociale
Abbiamo visto come per Comte la sociologia sia una scienza in quanto è un modo
particolare di guardare a quella realtà e/o a quei fenomeni che chiamiamo sociali. A
monte, dunque, dello stesso statuto scientifico della sociologia come scienza vi è un
certo modo di accostare la realtà sociale, la quale è formalmente in dipendenza da quello
e dal quale riceve il suo senso. E’ questo il significato delle critiche di Comte alle
concezioni sociali della filosofia teologica e metafisica. Lo stesso disegno costitutivo
della sociologia come scienza richiede la formulazione di una visione sociologica che
possa trasformare le nostre spontanee osservazioni e concezioni relative al sociale in
fenomeni sociali, oggetto di studio della sociologia. Diversamente le nostre osservazioni
rimarrebbero impigliate nella particolarità e frammentarietà delle impressioni, che
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restano così invischiate nell’empirico. Si ha conoscenza sociologica nella misura in cui
questa è guidata da un’idea relativa a ciò che bisogna intendere per sociale e che offra le
modalità o i criteri del riconoscimento. L’idea guida è, in breve, che i fenomeni sociali
per loro natura sono fenomeni relazionali che costituiscono un sistema di connessioni
generali secondo gli assi della sincronia e della diacronia, che esibiscono un consenso e
forme simboliche e materiali di unione e coesione, come la religione, la morale, la
fiducia interpersonale, il potere politico, ecc. La società è un sistema, non un
“agglomerato” di individui, composto da parti omogenee le cui molteplici e diversificate
“forze” o “attività” sono guidate da un “fine generale”, che “fissa il senso in cui tutto il
sistema deve essere concepito”. Infatti le “classi dei fenomeni sociali” si sviluppano e
s’influenzano reciprocamente di modo che è impossibile poter spiegare “il
procedimento” di una di esse senza tener conto delle altre e senza aver compreso il
modo di procedere dell’insieme, seppure nelle sue relazioni generali. Il sistema esibisce
un “ordine”, una struttura, frutto “di una certa solidarietà” o “consenso”:
«ogni società, anche la più ristretta, presuppone, per un’evidente necessità, non soltanto diversità,
ma anche disuguaglianza di qualsiasi genere: infatti non potrebbe aversi vera società senza il concorso
permanente ad un’operazione generale, perseguita con mezzi distinti, convenientemente subordinati gli
uni agli altri» (Corso, vol. 1, p. 346).
Molteplici sono i passi in cui Comte riprende e sviluppa nelle sue opere questa idea
portante di sociologia, qui ci limitiamo a porne in luce alcuni aspetti. La società è un
sistema formato da “elementi che gli siano essenzialmente omogenei, lo spirito
scientifico non permette di considerare la società umana come realmente composta
d’individui” (Corso, vol. 1, p. 350). Comte non vuol affatto dire che la società non sia
formata da individui, ma sostenere che non sono gli individui in quanto tali a formare
l’idea di società: non si arriva al concetto di società a partire dagli individui. I fenomeni
sociali appartengono ad una classe di fenomeni diversa da quella a cui appartiene ciò che
è prettamente individuale, perché coinvolgono ciò che è collettivo, come l’umanità e la
sua storia.
La dimensione storica del sociale sta ad indicare che gli individui sono insieme i
produttori e i prodotti della storia e che in quanto tali essi sono gli artefici del sociale.
L’agire dei soggetti sociali è reso possibile dall’insieme delle relazioni che il loro agire
mette in atto nella connessione sistemica della società. Non è, dunque, l’individuo in
quanto tale, l’individuo astratto o separato, quasi sciolto dai legami sociali e storici,
l’elemento omogeneo al sistema sociale. A questo proposito Comte offre una corretta
impostazione sociologica quando si chiede se le innovazioni siano da considerarsi
unicamente come opera dell’individuo considerato in sé: “sono, di solito, - risponde - gli
inesauribili desideri dettati dai raffronti sociali, e l’inquieto guardare avanti delle nostre
intelligenze che suggeriscono principalmente il bisogno e il pensiero di cambiamenti
graduali della condizione umana” (Corso, vol. 1 p. 345, nota). La spinta all’innovazione,
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il “desiderio” dell’innovazione, non è attribuibile alla natura dell’individuo, concepito in
sé, isolato, ma è indotto, risvegliato, nell’individuo dalla condizione sociale e dal
“raffronto sociale”. Del resto, precisa Comte, un individuo isolato non sarebbe spinto
all’innovazione, sarebbe un “conservatore”, come l’animale. Questa convinzione è
conseguente alla prospettiva enunciata precedentemente: il desiderio ha una matrice
sociale, passa attraverso una mediazione sociale, un “raffronto sociale”; solo i “primi
bisogni” materiali sorgono nell’individuo come appetito che deve essere soddisfatto.
Comte vede “l’unità” del sistema sociale nella famiglia:
«Dovendo un sistema qualsiasi essere formato necessariamente d’elementi che gli siano
essenzialmente omogenei, lo spirito scientifico non permette di considerare la società umana come
realmente composta da individui. La vera unità sociale consiste certamente nella sola famiglia, almeno
ridotta alla coppia elementare che ne costituisce la base principale» (Corso, vol. 1, p. 345).
La famiglia, da un lato, è vista come l’unità base della società perché ne è il germe,
le famiglie, infatti, si evolvono in tribù e queste ultime in nazioni; dall’altro lato, essa
realizza la mediazione tra individuo e società, presentando le “diverse disposizioni
essenziali che caratterizzano l’organismo sociale”. La famiglia costituisce un
“intermediario” tra individuo e società in quanto essa è già una forma sociale che media,
“prepara” nella vita domestica alla vita sociale; essa è una forma di “transizione” in cui
viene interiorizzata “la prima base essenziale dello spirito sociale”. Nella famiglia
l’individuo apprende i primi germi dello spirito sociale, che lo portano ad essere un
membro attivo della società, un essere sociale. Tuttavia la famiglia non va confusa con
la società, essa realizza un “legame” particolare, intimistico, che è diverso da quello
sociale che è piuttosto di tipo associazionistico; la famiglia
«compone una vera unione, attribuendo a questo termine tutta la sua intrinseca energia. A causa
della sua profonda intimità, il legame domestico è, dunque, di tutt’altra natura del legame sociale. Il suo
vero carattere è essenzialmente morale, è solo accessoriamente intellettuale” (Corso, vol. 1, p. 361).
Non interessa ripercorre le idee di Comte sulla famiglia, ma il modo con il quale
argomenta il suo discorso. Il suo pensiero muove da un’idea precisa: gli elementi che
costituiscono il sistema sociale devono essere omogenei alla natura del sistema, in altre
parole essi devono costituire e/o riprodurre una forma elementare di socialità. Gli
elementi del sistema sociale hanno o partecipano della stessa natura del sistema, perché
ne hanno gli stessi attributi in quanto interagendo tra loro all’interno del sistema portano
e realizzano quello “spirito sociale” che unifica, seppur secondo modalità diversificate,
la molteplicità sociale. Sotto quest’aspetto la famiglia, come esemplifica ad esempio
nella lezione quinta del secondo volume di Système de politique positive ou Traité de
sociologie, ha rapporti interattivi con l’ambiente sociale e si evolve con questo, pur
conservando ciascuno di essi una specifica funzione: “la società domestica, fondata sulla
comune simpatia, è diretta dall’amore. Essa fornisce l’elemento naturale della società
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politica, più vasta sebbene meno intima, avente per principio l’attività collettiva”
(Système, vol. 2, p. 304).
In armonia alla sua prospettiva, Comte vede gli elementi base della società non tanto
negli individui, quanto nelle forme sociali della loro unione (come la famiglia, le città, le
classi sociali, ecc.). Egli vede nelle forme connettive, nelle modalità con le quali gli
individui si uniscono tra loro, l’unità base dell’organizzazione sociale. Così, per
riprendere l’esempio della famiglia, le famiglie nei loro reciproci rapporti formano non
già un “agglomerato”, ma una “vera associazione” che si regge e regola sulla distinzione
dei compiti o funzioni, di modo che man mano che “l’associazione si estende e si
perpetua, ciascuno dei suoi elementi dipende maggiormente da tutti gli altri, e le
influenze che le distinguevano si indeboliranno gradualmente” (Système, vol. 2, p. 264).
Tra le famiglie si viene a istituire un tipo di associazione diverso da quello proprio che
regge i rapporti domestici e, di conseguenza, i rapporti si reggono e si regolano sulla
distinzione dei compiti o delle funzioni secondo modelli diversificati di unione, che
dipendono non più dalle influenze dei singoli elementi considerati, ma dall’insieme dei
loro rapporti di modo che si registra un indebolimento dell’influenza tra i singoli con
l’accrescersi dell’interdipendenza funzionale. Questo schema esplicativo gioca su due
livelli, il primo che potremmo chiamare teorico in quanto offre, a livello di statica
sociale, “la base necessaria dello studio diretto dell’esistenza collettiva la più
complicata”; il secondo, metodologico, in quanto vieta di estendere lo studio “fino
all’ordine puramente individuale”, giacché inevitabilmente si dovrebbero analizzare
un’infinità di influenze dalle quali sarebbe quasi impossibile poter ricavare delle
regolarità. Inoltre, Comte perviene a stabilire con chiarezza il duplice carattere dei
fenomeni sociali che per loro natura sono collettivi, mentre sono individuali
nell’esercizio o funzione: “Sebbene tutte le funzioni sociali siano collettive a causa della
loro natura, il loro esercizio è sempre personificato (personnié’), se non
sistematicamente, almeno spontaneamente” (Système, vol. 2, p. 266)
Nello stesso tempo, nella misura in cui si personifica (individualizza) nell’azione
degli individui, il sociale presenta i due caratteri della soggettività e dell’oggettività e, di
conseguenza, qualsiasi dimensione dell’esistenza umana si trova coinvolta nel sociale,
sebbene vi partecipi secondo forme e gradi molto diversificati. Tuttavia non si può
comprendere appieno questa specie di compenetrazione se non la si riconduce alla sua
dimensione dinamica, vale a dire evolutiva, storica. Lo stato dell’organizzazione sociale
dipende dallo stato corrispondente della sua evoluzione storica, espressa essenzialmente
dalla legge dei tre stati:
«Lo stato della civiltà determina necessariamente quello dell’organizzazione sociale, sia spirituale
che temporale, sotto i due aspetti più importanti. Anzi tutto, ne determina la natura, perché fissa il fine
di attività della società; in più, ne prescrive la forma essenziale, poiché crea e sviluppa le forze sociali
temporali e spirituali destinate a dirigere questa attività generale. E’ chiaro, infatti, che l’attività
collettiva del corpo sociale, essendo solo la risultante delle attività individuali di tutti i suoi membri,
rivolti ad un fine comune, non può essere di una natura diversa da quella dei suoi elementi, che sono
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evidentemente determinati dallo stato più o meno avanzato delle scienze, delle belle arti e
dell’industria” (Piano, p. 115)
Questa citazione dell’opera giovanile, dalla quale abbiamo preso le mosse, chiarisce
come la compenetrazione tra società e individuo sociale sia storica, e come l’esistenza
sociale designi un’entità particolare, che si configura, a livello di sistema, come formata
da una collettività unita da un fine comune, che insieme rispecchia il grado
corrispondente di civiltà raggiunto, mentre, a livello delle parti componenti, come
formata da individui intesi come soggetti storico-sociali.
La legge dei tre stati
Fin dalla prima pagina del suo Corso di filosofa positiva Comte enuncia quella che
egli ritiene la più importante delle sue scoperte: la legge dei tre stati. Invero non esiste
opera in cui Comte nell’iniziare o nel riprendere il suo cammino speculativo non
esponga sempre di nuovo questa “grande loi fondamentale”. Nell’economia della
filosofia positiva la legge dei tre stati occupa una posizione centrale insieme alla
classificazione delle scienze. La stessa classificazione delle scienze è resa, del resto,
possibile dalla loi des trois états: la classificazione e la gerarchia delle scienze si
regolano sullo sviluppo naturale della ragione umana, ma nello stesso tempo le scienze
nel loro sviluppo esemplificano e attuano la stessa legge.
Tuttavia il Corso di filosofa positiva non è affatto un corso di scienza, ma un corso
di filosofia e, pertanto, il discorso sulle scienze va ricompreso nelle sue relazioni con “le
système positif tout entier”, che abbraccia qualsiasi fenomeno sia appartenente
all’ordine naturale, oggettivo, che umano, soggettivo.
La legge dei tre stati è stata “creata” da Comte con lo scopo di ordinare ed
illuminare un insieme di conoscenze, di fenomeni, di avvenimenti, di fatti, ecc., che
altrimenti sarebbero rimasti immersi in una completa “anarchia” intellettuale, pratica e
politica. Essa è innanzitutto una legge connettiva di fenomeni, una legge positiva, è una
legge epistemologica; in una parola: filosofica. Essa sintetizza le due proprietà che
caratterizzano, da un lato, la conoscenza scientifica, la positività, dall’altro la filosofia,
l’universalità. La legge dei tre stati va letta e interpretata nello spirito della filosofia
positiva, essa, infatti, è una legge che, come tutte le leggi, ordina secondo una teoria i
fenomeni, e che trova negli stessi il criterio della propria validità scientifica.
“Lo sviluppo totale dell’intelligenza umana”, così come questo si mostra nelle sue
diverse attività, è soggetto a passare in tre stati successivi che ne scandiscono il relativo
progresso:
«Questa legge consiste in questo: che ognuna delle nostre principali concezioni, ogni branca delle
nostre conoscenze, passa successivamente per tre stati teorici differenti: lo stato teologico, o fittizio, lo
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stato metafisico, o astratto, lo stato scientifico, o positivo. In altre parole, lo spirito umano, per sua
natura, fa uso successivamente in ciascuna delle sue ricerche di tre metodi di filosofare il cui carattere è
essenzialmente differente e persino radicalmente opposto: dapprima del metodo teologico, poi del
metodo metafisico, e infine del metodo positivo. Ne conseguono tre tipi di filosofia, o di sistemi
generali di concezioni sull’ insieme del fenomeni che si escludono reciprocamente: il primo è il punto
di partenza necessario dell’intelligenza umana, il terzo, il suo stato stabile e definitivo; il secondo è solo
transitorio» (Comte 1864, p. 9).
Il terzo stato, lo stato positivo, è lo stato definitivo, in quanto la conoscenza umana
consegue lo stato teorico scientifico secondo il quale si danno conoscenze reali che si
basano sui fatti osservati. Tuttavia, per condurre una qualsiasi osservazione occorre una
teoria adeguata, un’ipotesi che consenta di compiere delle osservazioni:
«se, da un lato, ogni teoria positiva deve necessariamente fondarsi sulle osservazioni, è
ugualmente evidente, dall’altro, che per condurre osservazioni il nostro spirito ha bisogno di una teoria
qualsiasi» (ibidem).
Sul rapporto tra teoria - osservazione
Su questo principio si regola non solo la conoscenza scientifica, ma qualsiasi tipo di
conoscenza, giacché non sarebbe possibile condurre alcuna osservazione se non si
avesse una qualche nozione, giusta o errata che sia, di ciò che deve essere osservato.
Tuttavia, l’applicazione di questo assunto, che comporta un equilibrato rapporto tra
teoria e osservazione, richiede una genesi, insieme storica e individuale, inscritta nello
stesso ordine organico, che spinga quasi spontaneamente l’intelligenza umana fin
dall’inizio del suo cammino storico a darsi una teoria qualsiasi per potersi muovere nel
mondo. La possibilità di condurre osservazioni è possibile in dipendenza da
un’evoluzione genetica e da mediazioni pre-teoriche. Vediamo separatamente questi due
aspetti dell’unica evoluzione:
«Se, nel contemplare i fenomeni, non li riferissimo immediatamente a qualche principio non
solamente ci sarebbe impossibile combinare quelle osservazioni isolate e, di conseguenza, ricavarne
qualche frutto, ma saremmo inoltre del tutto incapaci di ricordarli; e, quasi sempre, i fatti resterebbero
non visti sotto i nostri occhi» (Comte 1864, p. 12).
Secondo il metodo positivo le osservazioni sono tali in funzione di una teoria, per
osservare occorre una teoria; ma, nello stesso tempo, per formulare una teoria occorre
condurre delle osservazioni. In qualsiasi momento, o stadio e/o stato, dello sviluppo
umano, per quanto si riesca a risalire nel passato, troviamo che l’osservazione è guidata
teoricamente, troviamo che lo spirito umano esplica il bisogno di formulare una
qualsiasi teoria per collegare tra loro i fatti e portarli allo stato di fenomeni di
osservazione. Ma se risaliamo allo stato originario della formazione delle conoscenze,
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dobbiamo ammettere che lo spirito umano dovette trovarsi nella necessità di dover
creare una teoria qualsiasi per poter condurre delle osservazioni:
«Così, pressato tra la necessità di osservare per formarsi delle teorie reali e la necessità non meno
imperiosa di crearsi delle teorie qualsiasi per dedicarsi a delle osservazioni coerenti, lo spirito umano,
alla sua origine, si sarebbe trovato imprigionato in un circolo vizioso dal quale non avrebbe mai trovato
il modo di uscire se non si fosse fortunatamente aperta una soluzione naturale grazie allo sviluppo
spontaneo delle concezioni teologiche, che hanno fornito un punto di unificazione dei suoi sforzi e
fornito stimolo alla sua attività» (ibidem).
Se all’origine l’immaginazione teologica per sua forza spontanea e naturale non
avesse rotto il circolo costituito dal “fatale antagonismo logico”, in cui si trova
astrattamente impigliata la ragione scientifica, l’umanità non sarebbe pervenuta allo
stato positivo
«Tale è dunque, dal semplice punto di vista logico, - scrive Comte nella cinquantunesima lezione
del suo Corso - l’indispensabile ufficio primordiale, destinato esclusivamente alla filosofia teologica,
nell’evoluzione fondamentale della nostra intelligenza, di cui il progresso dell’immaginazione deve
sempre procedere necessariamente, in qualunque campo, quello dell’osservazione, per la specie come
per l’individuo» (Corso, vol. 1, p. 402).
Tale priorità non è solamente logica e epistemologica ma anche genetica; essa è
nello stesso tempo logica e genetica: l’una sta all’altra e il progresso dell’una sta al
progresso dell’altra: naturalmente, nello stato teologico o primitivo dell’umanità il
progresso è provocato dal confronto tra i fenomeni esterni e gli atti umani interni:
«Questo fatale antagonismo logico non poteva evidentemente comportare altra soluzione che
quella provocata naturalmente dall’inevitabile progresso primitivo della filosofia teologica,
paragonando, per quanto possibile, tutti i fenomeni qualsiasi agli atti umani, sia direttamente con la
finzione originaria che anima in particolare ogni corpo di una vita più o meno simile alla nostra sia, in
seguito, indirettamente con l’ipotesi, insieme più durevole e più feconda, che sovrappone, all’insieme
del mondo visibile, un mondo abitualmente invisibile, popolato di agenti sovrumani più o meno
generali, la cui sovrana attività determina continuamente tutti i fenomeni apprezzabili, modificando a
suo piacimento una materia destinata senza di essa ad una totale inerzia» (Corso, vol. 1, p. 403).
Nello stato originario, lo spirito umano spiega i fenomeni confrontandoli “agli atti
prodotti dalle volontà umane”, animandoli di una “vita analoga alla propria”, trasferendo
all’esterno la conoscenza che ha di se stesso.
Ma in questo inizio, per quanto fantasiose o chimeriche possano essere le
concezioni, è racchiuso tutto il progresso successivo. Il lento progresso, giocato tra il
confronto delle teorie, sempre meno impregnate di immaginazione, con l’osservazione
dei fenomeni, unito alla conseguente depurazione dei tentativi di spiegazione della realtà
esterna dalle componenti psicologiche (l’uomo naturaliter, come abbiamo visto, è
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spinto a trasferire all’esterno “il sentimento di esistenza di cui interiormente è
penetrato”), ha portato l’umanità allo stato ultimo, quello della filosofia positiva.
Critica della psicologia
La legge dei tre stati, come fa osservare Henri Gouhier, presuppone la critica della
psicologia. Del resto lo stesso Comte offre diverso materiale in base al quale lo sviluppo
individuale, che ripete quell’intero dell’umanità, può essere caratterizzato in termini di
cognitivismo genetico. La genesi della scienza presuppone, dunque, un lungo periodo di
preparazione che coincide con lo sviluppo stesso dell’organismo umano. L’uomo stesso
come l’umanità nel suo sviluppo attraversa tre stati, nell’infanzia uno stato feticistico in
base al quale “spontaneamente dagli impulsi affettivi sorgono le prime ipotesi capaci di
legare e di dirigere le osservazioni, d’altronde sprovviste di ogni guida razionale”.
(Comte 1870, p. 88). In questo primordiale stato mentale l’uomo non può che costruire
delle “sintesi”, “interamente soggettive”, necessarie per coordinare i pensieri e le azioni.
Senza questa preponderanza spontanea, la ragione non avrebbe avuto modo di sorgere e
di svilupparsi. In questo primo stato dell’intelligenza, in cui non esiste ancora
un’armonia tra l’esterno e l’interno, tra l’immaginazione e l’osservazione, tra il
soggettivo e l’oggettivo, tra la ragione pratica e la ragione teoretica, ecc., si viene ad
“istituire direttamente il metodo soggettivo”, il cui sviluppo è reso possibile dalla
mancanza di ogni riferimento a fenomeni oggettivi; in esso si realizza una “filosofia
intuitiva” che ricerca le cause e le essenze assolute dei fenomeni, e che al posto della
legge colloca “la volontà”. Il mondo esterno diviene una proiezione di quello interiore:
le cose vengono spiegate attribuendo loro delle volontà analoghe a quelle che animano
l’uomo e che l’uomo sente agire imperiosamente in se stesso. L’uomo primordiale,
feticista, interpreta “la natura morta in base alla natura vivente”. Tuttavia, da questo
inizio, che segue il “metodo soggettivo”, lentamente prenderà corpo il “metodo
oggettivo”, che caratterizza la scienza positiva, lo stato maturo dell’umanità. Il
conseguimento di quest’ultimo stato, a sua volta, metterà in luce che “l’oggettività non
può mai costruire una sintesi qualsiasi”: “ogni sintesi deve essere soggettiva, sebbene sia
reale secondo una base oggettiva”, il metodo scientifico attinge così la piena filosofia
positiva.
Lo spirito umano inizialmente procede, da sé al mondo, poi dal mondo a se stesso,
per approdare, infine, ad un’armonica sintesi soggettiva.
Gli stati, di cui Comte descrive la struttura logica, sono invero gli stati dello
sviluppo dell’intelligenza umana: conosciamo la nostra intelligenza nelle sue operazioni,
nelle sue opere, nelle sue attività. Essa, nella sua concrescita e nel suo sviluppo,
manifesta costantemente la sua logica operativa nella costruzione di teorie che
consentono di cogliere e di unire i fatti e, quindi, di spiegarli: inizialmente ricorrendo
alle cause, poi ad entità astratte e, infine, a leggi.
21
I tre stati sono innanzitutto stati teorici, sono dei “metodi di filosofare”, sono
filosofie. Nello stato teologico l’intelletto spiega i fenomeni ricercandone le cause prime
ed ultime, nello stato metafisico risalendo ad entità naturali, nello stato positivo, in cui
rinuncia ad una conoscenza assoluta o astratta, l’intelligenza spiega i fenomeni tramite
leggi, che hanno la funzione di legarli tra loro ponendoli in relazione gli uni agli altri.
Inizialmente la conoscenza delle cose è una specie di riflesso delle conoscenze che
l’uomo ha di se stesso, quasi che nelle cose l’uomo conosca se stesso. La conoscenza di
sé, proiettata nelle cose, non è già frutto di una meditazione filosofica, perché nel suo
lungo periodo iniziale l’uomo deve risolvere problemi estremamente pratici, legati alla
sopravvivenza; pertanto ciò che egli proietta nelle cose è la conoscenza che egli ha della
propria esistenza, delle sue azioni, dei suoi sentimenti. I sentimenti, il sentire interiore, il
sentimento di esistenza, servono immediatamente “da base uniforme all’interpretazione
assoluta di tutti i fenomeni esteriori”. (Corso, vol. 1, p. 462).
Tuttavia, l’uomo non potrà mai, secondo Comte, pervenire ad una conoscenza
riflessa della propria coscienza; all’uomo è preclusa l’autosservazione, la conoscenza
diretta e/o riflessa dei propri atti intellettuali; può invece osservare gli organi e i risultati
delle sue operazioni intellettuali. Ciò non vuol affatto dire che l’uomo non abbia
coscienza e che non sia capace di atti di riflessione. In ottemperanza al dettato del
metodo scientifico secondo cui l’uomo “può osservare solo ciò che gli è esterno”, Comte
sostiene che all’uomo
«è evidentemente impossibile osservarsi nei suoi atti intellettuali; ed invero, dal momento che
l’organo osservato e l’organo che osserva sono, in questo caso, identici, da chi sarebbe fatta
l’osservazione?» (Esame, p. 291).
Le leggi fondamentali dello spirito umano, ribadisce Comte nella prima lezione del
Corso, si conoscono nello studio fisiologico degli organi mentali e nell’osservazione dei
processi razionali che dirigono la ricerca e la scoperta scientifica. Dall’esterno, tramite
l’osservazione, non è possibile osservare i processi intellettuali, essi possono essere
studiati solo a partire dalle cause organiche e dagli effetti, ossia dalle opere, in ispecie
scientifiche.
Non è che l’uomo non possa condurre un’autosservazione dei propri atti, sentimenti
e passioni: è che tali autosservazioni non avrebbero “una grande importanza scientifica”.
All’uomo è “impossibile analizzare i fenomeni intellettuali nel momento in cui si
attuano” (“quant à observer de la même manière les phénomènes intellectuels pendant
qu’ils s’exécuhént, il y a impossibilité manifeste”); l’uomo che pensa non può scindere
in due la sua attività: mentre ragiona osservare il processo della ragione, in quanto è
identico il processo. Comte ritiene che l’autosservazione dei processi intellettuali non sia
possibile, perché l’organo che osserva è identico all’organo osservato; occorrerebbero
due organi, come avviene per le passioni morali che affettano lo spirito umano, perché,
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in questo caso, gli organi in cui hanno sede la passione sono diversi da quelli
dell’osservazione.
Comte, ripetiamo, non dice che non sia possibile riflettere su ciò che pensiamo o che
facciamo, dice che non è possibile scoprire tramite l’introspezione le leggi intellettuali
nel momento stesso in cui si svolge l’attività intellettuale: se penso, penso qualcosa; se
mi rivolgo all’atto stesso nel medesimo attimo in cui attuo l’introspezione non penso
nulla, perché pensare è essere rivolti a qualcosa: nello stesso atto intellettuale in cui si è
rivolti a qualcosa non si può essere rivolti, a sua volta, a se stessi.
E’ questo, a giudizio di Comte, il sofisma della psicologia metafisica, giacché
“l’osservazione interiore genera tante diverse opinioni, quante sono le persone che la
coltivano”. Del resto non potrebbe essere diversamente, data l’impossibilità di ottenere
tramite l’osservazione interiore, dal di dentro, la conoscenza delle leggi che regolano
l’attività intellettuale dell’uomo. La conoscenza di tali leggi è possibile tramite una
filosofia che ricerchi le leggi dello spirito umano nelle sue operazioni già compiute e
che, tramite una psicologia consequenziale, a partire dall’agente e dall’atto, risalga al
soggetto.
Lo stato positivo
Abbiamo già visto come tramite l’attività spontanea lo spirito umano nel suo primo
stadio filosofico sia volto alle cose esterne; come il sentimento, la natura affettiva
dell’uomo, muovi l’umanità verso la vita intellettuale; come l’uomo “primitivo” spieghi
i fenomeni assimilandoli ai propri atti, costituendo queste diverse attività spontanee una
specie di “espediente fondamentale” al quale, aggiunge Comte, l’uomo non ha mai
rinunciato e forse non potrà mai rinunciare. Infatti, “ancor oggi”, “il genio umano”,
privo della “disciplina positiva”, quando cerca di superare i limiti della conoscenza
«ricade involontariamente di nuovo, anche riguardo ai fenomeni meno complicati, nel cerchio
primitivo delle aberrazioni spontanee, poiché riprende necessariamente uno scopo ed un punto di
partenza essenzialmente analoghi attribuendo la produzlone dei fenomeni a volontà particolari interiori
o esteriori» (Corso, vol. 1, p. 400).
E’ quanto è accaduto, esemplifica Comte, a Malebranche “nella spiegazione
dell’urto elementare dei corpi solidi”, il quale, nello spiegare la causa prima di un evento
qualsiasi, fa ricorso all’intervento diretto e permanente di un’azione soprannaturale. Il
pensiero di Malebranche è assunto come modello della “inevitabile tendenza della nostra
intelligenza verso una filosofia” teologica “tutte le volte che vogliamo penetrare, per un
qualunque motivo, fino alla natura intima dei fenomeni”.
Tutte le volte che si vuole ricercare la causa e la natura intima dei fenomeni si
finisce con trasporre il proprio “sentimento” interno all’esterno e spiegare così i
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fenomeni come se fossero animati da entità sovrannaturali e/o naturali. Tutte le volte che
ricerchiamo la causa dei fenomeni, o la natura intima delle cose, operiamo una
trasposizione che testimonia l’attività originaria e spontanea del nostro spirito volto ad
assumere il proprio sentimento interno come modello di spiegazione dei fenomeni
esterni; in questi casi si confonde ciò che è fisico con ciò che è psichico. A questo esito
non sfugge neppure la filosofia metafisica, che caratterizza il secondo stato
dell’evoluzione dell’umanità. La filosofia metafisica invece di servirsi di entità
sovrannaturali si serve di entità naturali o di “astrazioni personificate” nella spiegazione
dei fenomeni:
«Come la teologia, infatti la metafisica tenta soprattutto di spiegare la natura intima degli esseri,
l’origine e la destinazione di tutte le cose, il modo essenziale di produzione di tutti i fenomeni; ma,
invece di servirsi degli agenti soprannaturali propriamente detti, li sostituisce via via con entità o
astrazioni personificate, il cui uso, veramente caratteristico, ha spesso consentito di designarla col nome
di ontologia» (Esame, p. 312).
Nella prima lezione del Corso, Comte illustra il trapasso dallo stato teologico a
quello metafisico come una attività logica in cui le entità di pensiero si sostituiscono agli
agenti soprannaturali nella spiegazione dei fenomeni. Grazie allo stadio metafisico o
intermedio, in cui s’esercita nell’osservazione dei fatti corrispondenti alle entità astratte,
l’uomo giungerà infine a rigettare quelle entità in quanto semplici nomi astratti dei
fenomeni:
«Infine, nello stadio positivo, lo spirito umano nel riconoscere l’impossibilità di ottenere delle
nozioni assolute, rinuncia ad investigare sull’origine e la finalità dell’universo, e a conoscere le cause
intime dei fenomeni, per applicarsi unicamente alla scoperta attraverso un uso proporzionato del
ragionamento e dell’osservazione, le loro leggi effettive, ossia le loro relazioni invariabili di
successione e di similitudine. La spiegazione dei fatti ridotta allora in termini reali, non è che ormai il
legame stabilito tra i diversi fenomeni particolari e qualche fatto generale, di cui il progresso della
scienza mira a ridurne il numero» (Corso, lez. 1°, p. 3).
Lo stato positivo non viene meno al bisogno, che caratterizza ogni stadio
dell’evoluzione dell’umanità, di ricercare, quasi di “creare”, una teoria in grado di legare
tra loro i fatti osservati. Nello stesso tempo, però, rinuncia alla ricerca delle cause e della
natura ultima dei fenomeni come “absolument inaccessible et vide de sens”: l’ambizione
della filosofia positiva è di scoprire unicamente la legge dei fenomeni, ossia le relazioni
di successione o di somiglianza, che non sono altro che le relazioni che i fenomeni
stabiliscono tra loro nei due assi della diacronia e della sincronia. La teoria consente di
visualizzare i fatti in fenomeni di osservazione di modo che questi ultimi possano
soddisfare “le simple désir de confirmer ou d’infirmer une théorie”.
Avendo rinunciato ad analizzare le cause dei fenomeni, la spiegazione positiva si
applica allo studio delle circostanze della produzione dei fenomeni ponendoli tra loro in
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relazione. Cosicché la filosofia positiva perviene a conoscenze dei fenomeni sempre
relative, da un lato, alla stessa struttura organica della natura umana e, dall’altro, alle
circostanze del loro sorgere. Sciolti da queste relazioni non è possibile conoscere i
fenomeni; così, non è possibile conoscere la natura umana “contem-plandola in se
stessa”, ossia senza tener conto delle “cause” e degli “effetti”, della organicità e delle
opere, secondo i due rapporti fondamentali di “atto ad agire” e di “agente di fatto”. La
psicologia è “illusoria” perché pretende di conoscere le leggi dei fenomeni intellettuali,
lo spirito umano, astratto dai suoi rapporti esemplificati dal loro reale svolgersi.
Bibliografia di riferimento
Comte, A., 1967, Corso di filosofia positiva, tr. it. Parziale, UTET, Torino. Ed or. Cours
de philosophie positive, 1830-1842, Rouen, Paris.
Comte, A., 1969, Opuscoli di filosofia sociale, a cura di A. Negri, Sansoni, Firenze.
Comte, A., 1970, Système de Politique Positive, Anthropos, Paris. Ed. or. 1852, Paris.
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