Liceo delle Scienze Umane – Prof. B. Gensini Schede relative al programma di Sociologia Auguste Comte È considerato il fondatore della sociologia come scienza empirica (cioè come scienza che impiega gli stessi criteri delle scienze naturali, basandosi sull’osservazione diretta della realtà). Egli è il primo ad usare il termine “sociologia”, in sostituzione di “fisica sociale”, già in uso dal Seicento. Tale termine appare, nel 1839, in un volume del suo Corso di filosofia positiva. Comte è anche l’iniziatore del positivismo – cioè di una filosofia che pone la scienza al centro dell’attenzione, considerandola come lo strumento fondamentale della conoscenza umana e del progresso sociale, nella nascente “età positiva”. La filosofia ha allora il compito di organizzare il sapere scientifico. Comte classifica le scienze disponendole in una sorta di scala, dalla più semplice (la matematica) alla più complessa (la sociologia). Abbiamo così la seguente successione: Matematica → Astronomia → Fisica → Chimica → Biologia → Sociologia. Ciascuna scienza si fonda sulla precedente e giunge al suo stadio maturo più tardi di essa (matematica e astronomia sono già scienze compiute nel mondo antico; fisica e chimica maturano dopo il 1600; la sociologia nel 1800, con lo stesso Comte). Comte nega che la psicologia abbia valore scientifico, in quanto: 1) essa non si occupa di cose visibili (il mondo interiore degli altri non è oggetto di esperienza diretta). 2) il comportamento di una singola persona (a differenza di quello delle grandi masse umane) non è prevedibile. La sociologia si articola, secondo Comte, nella statica sociale (che studia le strutture della società) e nella dinamica sociale (che ne studia invece lo sviluppo storico). Herbert Spencer Propone un modello evoluzionistico della società: quest’ultima è vista come un organismo vivente che si sviluppa da uno stadio semplice a stadi sempre più complessi (più o meno secondo il modello proposto dal naturalista Charles Darwin, per l’evoluzione delle specie). Tutti gli apparati sociali sono simili agli organi di un corpo vivente, e vanno quindi studiati nelle loro relazioni: per tale motivo Spencer (come del resto Comte) non crede che le società umane possano mutare in maniera brusca, tramite processi rivoluzionari, ma ritiene che debbano seguire uno sviluppo graduale: è la natura stessa che guida il progresso della società. Il modello di Spencer porta al cosiddetto “darwinismo sociale”, ossia ad un’ideologia politica che sembra giustificare le differenze di classe ed i rapporti di potere. Karl Marx Crede, come Comte e Spencer, nel progresso storico dell’umanità, ma ritiene che tale progresso si realizzi attraverso rivoluzioni che sostituiscono certi modelli economici1 (ormai vecchi e inefficienti) con nuovi modelli più funzionali all’organizzazione e allo sviluppo del lavoro umano. Nella storia si attua un continuo conflitto tra forze produttive (gli uomini stessi, con la loro capacità di lavorare e di accrescere le loro conoscenze) e rapporti di produzione (le regole e gli apparati sociali che, di volta in volta, organizzano l’attività delle forze produttive). Mentre le forze produttive hanno carattere dinamico, e si evolvono in fretta, i rapporti di produzione sono modelli statici, che cambiano molto lentamente (si potrebbero paragonare le prime ad un bambino che cresce, ed i secondi ad un vestito che finisce per diventare troppo stretto, soffocando chi lo indossa). Ma le forze produttive sono il vero motore della storia, e quindi travolgono via via i vecchi rapporti di produzione. Per questo, secondo Marx, la storia passata è stata caratterizzata dalla lotta fra le classi sociali, ed ha visto le classi più giovani e dinamiche (espressione delle nuove forze produttive) togliere il potere a quelle legate al passato (cioè ai vecchi rapporti di produzione). Ciò è accaduto quando si è passati dall’economia antica (basata sul lavoro degli schiavi) a quella medioevale (basata sul feudalesimo e sulla servitù della gleba), e successivamente quando la borghesia (nel corso dei secoli, ma soprattutto dalla fine del Settecento alla metà dell’Ottocento) ha rovesciato il potere ed i privilegi della classe aristocratica (cioè della nobiltà e del clero) instaurando l’economia capitalistica (fondata sull’accumulazione della ricchezza privata). Ma anche la borghesia, dopo aver guidato l’Europa in una nuova fase del suo sviluppo, ha ormai svolto il proprio compito storico, e dovrà cedere il potere alla nuova classe che è stata messa in moto da tale sviluppo: la classe operaia. Ciò accadrà con una nuova rivoluzione, che tuttavia avrà un carattere diverso da tutte le precedenti: essa infatti non instaurerà più il dominio di una classe sociale sulle altre, ma abolirà la stessa divisione in classi della società, dando vita alla nuova società comunista. In quest’ultima, i mezzi di produzione (fabbriche, conoscenze tecniche, materie prime etc.) non saranno più proprietà di privati, ma apparterranno alla collettività, che non sarà quindi più divisa in “servi” e “signori”, ma sarà una società di uomini liberi ed uguali tra di loro. Marx individua anche un nuovo ruolo dell’intellettuale (cioè dello scienziato sociale), che non è più soltanto quello di capire la realtà, ma anzitutto di cambiarla, guidando gli uomini verso la nuova società. Per questo, Marx dedica gran parte della propria attività a propagandare il modello comunista ed a rendere consapevole la classe operaia del suo compito storico (v. il Manifesto del Partito comunista, del 1848). 1 Per Marx, l’economia non è semplicemente una delle tante attività umane, ma è la base concreta dell’esistenza dell’uomo e della società. “Economia” significa infatti: “gestione dell’ambiente (oikos)”: è l’attività stessa dell’uomo in quanto produttore di risorse. Alexis de Tocqueville Quasi contemporaneo di Marx e di Spencer, non condivide il loro ottimismo e la loro assoluta fiducia nel progresso umano: egli è piuttosto scienziato che filosofo, ossia non si occupa di grandi modelli e progetti per il futuro dell’umanità, ma cerca soprattutto di descrivere empiricamente la realtà sociale, senza dare giudizi definitivi di valore sui “pregi” e sui “difetti” di tale realtà. Aspetti “positivi” e “negativi” sono tali in relazione ad una particolare situazione storica, ed anche alla disposizione culturale dell’osservatore. Ad esempio, nella sua opera fondamentale, La democrazia in America (1835 – ‘40) egli si limita a confrontare la società americana con quella europea, individuando ed ammirando il maggiore dinamismo ed equilibrio della prima, ma mostrando anche il proprio attaccamento alla seconda. Per questi motivi, Tocqueville appare più vicino ai sociologi della seconda metà dell’Ottocento e dell’epoca contemporanea, che tendono più a descrivere la realtà di fatto che a rapportarla a certi modelli ideali. Per quanto riguarda la società americana, Tocqueville nota come, in America, i diritti acquisiti (cioè quelli che si ottengono con l’iniziativa personale) prevalgono su quelli ascritti (che si ereditano per nascita), il che ha come conseguenze una maggiore motivazione a migliorare il proprio status sociale, ed una parità di fondo di tutti i membri della collettività. Quest’ultimo aspetto, che è il carattere fondamentale della democrazia (cioè di un sistema in cui tutti i cittadini hanno le stesse prerogative e detengono, almeno in teoria, lo stesso potere) è anche alla base della solidarietà sociale, che in America sembra molto più forte che nei paesi europei: i cittadini americani si sentono legati tra di loro proprio per il loro sentirsi uguali2. Altri aspetti di questa situazione sono la minore dipendenza dei figli dall’autorità paterna (la parità e la scarsità di diritti ascritti sono uno stimolo all’indipendenza dei giovani dalla famiglia) e lo scarso formalismo dei rapporti, cioè la mancanza di rigide regole di comportamento e di ossequio ai valori tradizionali. Infine, Tocqueville nota come la società americana sia amministrata in maniera non centralizzata, con ampio spazio per le autonomie locali (il che è l’opposto di quanto avviene in Europa nella prima metà dell’Ottocento) – ed anche in questo caso si può dire che la società americana abbia una struttura assai meno autoritaria di quella europea. Tale carattere è accentuato dalla divisione dei poteri (legislativo, esecutivo, giudiziario)3 che si equilibrano e si controllano a vicenda. 2 Questo spiegherebbe anche l’anacronistica insensibilità degli americani di fronte alla questione della schiavitù, istituzione già abolita da decenni in Europa, che resta invece funzionale all’organizzazione economica degli Stati Uniti – o di una certa parte di essi. 3 L’opportunità di questa distinzione e divisione era già stata proposta nel Seicento dal filosofo inglese John Locke, e successivamente perfezionata – ed esposta nella forma attuata in America – dal pensatore illuminista Charles-Louis de Montesquieu. Èmile Durkheim Si può considerare un continuatore del discorso di Comte, soprattutto per quanto riguarda l’estraneità della sociologia alle questioni di tipo psicologico: secondo Durkheim, i “fatti sociali” che sono l’oggetto specifico della sociologia, non vanno ricondotti alle motivazioni ed alle emozioni degli individui, perché sono appunto fenomeni di massa, che condizionano l’agire individuale e che possono essere studiati e spiegati soltanto come meccanismi collettivi. È in quest’ottica che egli studia, ad esempio, il fenomeno del suicidio (Le suicide, 1897), rinunciando ad ogni indagine di tipo psicologico, e cercando di stabilire una relazione causale tra questo fenomeno e l’appartenenza ad un certo gruppo sociale. Attraverso l’esame di un vasto materiale statistico, egli nota che i suicidi sono più frequenti tra le persone più ricche e fornite di maggiore cultura, rispetto a chi appartiene a classi sociali più basse. Inoltre gli appartenenti alla religione protestante si suicidano più frequentemente dei cattolici, e questi ultimi più spesso degli ebrei. Durkheim pensa di poter individuare una caratteristica comune a tutti i gruppi sociali in cui è più diffuso il suicidio, e la chiama “anomia”. Si tratta del relativo isolamento e della relativa indipendenza dagli altri membri del gruppo: una “mancanza di norme”, un allentamento dei legami col resto della società, che favorirebbe le tendenze autodistruttive (nell’America descritta da Tocqueville, l’anomia presentava ad es. valori molto bassi, dato il forte senso di solidarietà). Durkheim distingue anche fra le società antiche (semplici e caratterizzate da una limitata divisione del lavoro) e quelle moderne (molto complesse e con una distribuzione molto articolata dei compiti). Nelle prime dominerebbe la “solidarietà meccanica” – fondata appunto sull’uguaglianza e sulla comunanza dei valori; nelle seconde la “solidarietà organica” – basata sulla complementarità dei ruoli. La seconda forma di solidarietà è tuttavia più debole, e deve essere affiancata da un sistema di regole e di valori morali promossi dalla società tramite l’istruzione. Ferdinand Tönnies Estende lo studio sociologico anche ai piccoli gruppi (come la famiglia, il quartiere…), che egli definisce come “comunità” (Gemeinschaft) e la cui coesione si basa su elementi affettivi, su abitudini e su regole di tipo naturale e non formale. Ad essi si contrappone la “società” (Gesellschaft) che è invece costituita da grandi masse umane ed è caratterizzata da regole formali ed artificiali e da rapporti di pura efficienza (su cui si definiscono razionalmente i compiti di tutti i membri). Questo secondo ambito caratterizza la “civiltà”, ed è tenuto in vita dal potere dello Stato (che necessariamente limita la libertà degli individui – secondo un’ottica che negli stessi anni è proposta anche da Freud, e da sociologi come Simmel e Weber). La visione di Tönnies è pessimistica: nella civiltà industrializzata delle grandi metropoli, gli uomini vivono in concordia solo perché costretti da regole esterne. Georg Simmel Condivide il pessimismo di Tönnies sullo sviluppo storico della società, e ritiene che quest’ultima si attui in una serie di regole (Giochi sociali)4 che sono necessariamente in conflitto con la libertà individuale. Le regole che la società impone hanno del resto un duplice aspetto: da un lato limitano la spontaneità naturale dell’individuo e lo inseriscono in una rete di relazioni artificiali ed anonime, ma dall’altro gli garantiscono uno spazio privato, libero da ingerenze esterne. È un po’ quello che accade agli animali forniti di guscio o corazza: l’elemento ingombrante che ne limita i movimenti, garantisce loro anche una protezione. I rapporti con gli altri membri della società (milioni di persone, che sarebbe impossibile, oltre che insopportabile, conoscere e frequentare) restano così limitati alla sfera anonima delle regole burocratiche e degli scambi economici. Secondo Simmel (v. Filosofia del Denaro, 1900 – 1907), il denaro è il principale strumento che mantiene in relazione tra loro i membri della società contemporanea: esso circola dovunque, si scambia con qualunque merce (anche se di per sé non ha alcuna qualità, consiste in un puro numero), passa indifferentemente da un proprietario all’altro. Insomma, il denaro rispecchia proprio il carattere anonimo delle relazioni sociali. Max Weber Fa parte della stessa corrente di pensiero cui appartiene Simmel (lo Storicismo tedesco) ed è altrettanto convinto che la scienza non possa dare giudizi di valore (a-valutatività del sapere scientifico). A differenza di Durkheim, Weber pensa che le scienze umane abbiano il compito non solo di “spiegare” i fenomeni sociali, ma anche di “comprendere” le motivazioni umane che li attivano. Riguardo all’agire umano, Weber distingue tra comportamenti automatici, azioni private ed azioni sociali. Questi tre atteggiamenti rappresentano dei casi limite, e si possono rappresentare come i vertici di un triangolo: ogni atto umano risulta sempre composto in varia misura da ciascuno di questi aspetti, e si può quindi collocare in una qualche posizione intermedia, all’interno del triangolo. Le azioni sociali, poi, si suddividono a loro volta in: 1) affettive, basate su impulsi e sentimenti; 2) tradizionali, basate appunto su abitudini collettive; 3) razionali rispetto ad uno scopo, che servono come strumenti per ottenere qualcos’altro e 4) razionali rispetto ad un valore, che si esauriscono in se stesse perché rispondono ad un’esigenza morale. La razionalità è per Weber, come per Tönnies e Simmel, la caratteristica essenziale della società contemporanea: essa porta alla burocratizzazione dei rapporti umani, ed è connessa al disincanto del mondo (passaggio dal mito e dalla poesia alla scienza). 4 Il termine “Gioco” sta ad indicare la convenzionalità di queste regole: come ritiene anche Weber, la nostra scienza è ormai incapace di scorgere il senso della realtà umana, e di stabilire in via definitiva che cosa è bene e che cosa è male (Marx è uno degli ultimi pensatori che ritengono di poterlo fare). Sicché restano i fatti storici, che le scienze umane (sociologia, economia, psicologia…) possono descrivere, ma non giudicare.