La balbuzie - Astrazione

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La balbuzie primaria e secondaria:
aspetti psicologici, pedagogici e terapeutici
Introduzione
Il linguaggio verbale è il mezzo di comunicazione al quale diamo maggiore importanza.
Esso deve servire a comunicare, a mettere qualcosa in comune con gli altri, a scambiare
messaggi o informazioni. "viviamo in un oceano di parole, ma, come i pesci nell'acqua,
non ne siamo spesso coscienti". Perché mai questo accada, secondo Chase è difficile da
spiegarsi. L'uomo d'altro canto, benché usi il linguaggio quasi ogni istante della sua vita
quotidiana non ama chiederselo: si comporta come se la questione non lo riguardasse.
Eppure, è ancora Chase che parla, "le parole sono ciò che tiene insieme la società; senza
di esse non saremmo esseri umani".
Considerando il linguaggio e la parola atti costitutivi della sua condizione esistenziale, l'uomo non avverte la necessità di porsi il problema. E così rimangono indefinite, quasi misteriose, non solo la sua natura, ma le sue funzioni nel contesto sociale, i suoi significati, le
sfumature dell'interiorità che attraverso esso si esprimono incessantemente.
Basterebbero queste parole iniziali per introdurci alla trattazione di un problema che, problema, non dovrebbe essere, stante la dimensione spontanea, assolutamente naturale
che il linguaggio e il suo uso hanno o dovrebbero avere per tutti gli esseri umani. Parlare,
d'altro canto, sembra attività così profondamente radicata nell'atto spontaneo di esistere
che sembra destare meraviglia, oltre la naturalità dell'atto, porsi il problema di una parola
che fatica ad uscire e a liberare tutta la sua energia comunicativa.
Eppure bisogna prendere atto che il fenomeno della balbuzie è oggi molto più frequente
che nel passato e si riscontra maggiormente nei paesi più avanzati e a più alto livello culturale. Sconosciuta ai popoli primitivi, rara nelle realtà rurali, la balbuzie è un fenomeno ti pico della civiltà e della cultura: è la reazione naturale ad un ambiente familiare problematico e disgregato, alle richieste competitive di una realtà "virtuale" verticalizzata, perfezionista ed edonistica, ai ritmi stressanti dell'urbanizzazione violenta, alla sempre più difficile
vivibilità dell'ambiente fisico.
Una parola disturbata dalla balbuzie o incerta per uno dei tanti difetti della dizione, una
voce stridula o nasale, una bocca titubante e avara di espressività bastano, d'altra parte,
a bloccare la naturale reattività dell'interlocutore, a lanciare un messaggio d'allarme inva sivo delle normali aspettative di chi ci parla e di chi con occhi attoniti, dinanzi al blocco del l'eloquio, deve decidere in pochi attimi una risposta convincente ad uno stimolo nuovo o
inaspettato. Il moltiplicarsi dei rapporti sociali a tutti i livelli, la continua necessità di comu nicare, di esprimere agli altri i propri desideri, problemi, interessi, condiziona le possibilità
ed il successo di un individuo che deve fare della parola e della capacità di comunicare in
modo convincente lo strumento necessario della relazione e della interazione sociale. La
parola, infatti, oltre che mezzo di comunicazione o valvola di sfogo espressivo, è veste formale del comportamento, rappresentazione plastica e configurata del nostro pensiero e
della nostra personalità: ecco perché chi balbetta, balbetta dentro prima che fuori. Queste
considerazioni ci inducono a rilevare la natura relazionale di un disturbo che si evidenzia
in misura prevalente all'interno della relazione interpersonale.
Per le sue caratteristiche, specie quanto è accompagnata da manifestazioni motorie e
convulsive, la balbuzie viene percepita come un "difetto" o come una "malattia" e comunque come patologia dai contorni inestricabili: percezione che suscita immediatamente ansietà in chi la subisce, particolarmente nei genitori che la vivono con disagio e frustra zione, e umiliazione mista a depressione in chi la vive. Queste ansie sono accentuate dall'agnosticismo in cui si rifugia la medicina con l'unico risultato di enfatizzare la percezione
della balbuzie come evento "misterioso" la cui dimensione "magica" risulta ancora oggi
prevalente. Ansie, sensi di colpa, fantasie e angosce magico-rituali, precedono, così, il
precipitare della balbuzie da "primaria" cioè evolutiva e transitoria in "secondaria", disturbo
consolidato, fissato a livello di personalità.
Intorno a questo disturbo, insomma, esiste una atmosfera enigmatica mista a sottovalutazione, che, non di rado, adulti, medici, insegnanti e genitori si sentono autorizzati o costretti a valutazioni soggettive e ad interventi il più delle volte empirici e improvvisati, che spes so risultano dannosi. Lungi dal volere analizzare questo aspetto del problema, che tuttavia
può non prescindere dalla denuncia della preparazione pressocché nulla di educatori ed
insegnanti, completamente a digiuno dei fondamenti e delle conoscenze di psicologia generale e di quella evolutiva, il presente lavoro vuole evidenziare l'aspetto più squisitamente
relazionale e quindi psicologico della balbuzie. E' un contributo consapevolmente minimo,
perché la ricerca e la clinica in questo campo, cominciano solo oggi ad approfondire e verificare le diverse interpretazioni del fenomeno. Risulterà forse sorprendente verificare la
varietà di aspetti e dinamiche inter e intra-personali che si avverano nell'interiorità profonda, quando la parola, bloccata o incerta, esprime tutta la costellazione di esitazioni, più a
livello di personalità che non di mera espressione linguistica.
Questo è un ulteriore incentivo a ricercare attraverso gli studi e la conoscenza, le cause di
queste inadeguatezze e la comprensione profonda dei meccanismi di quella misteriosa disarmonia tra pensiero e linguaggio che rende problematica la parola.
"Anche a prescindere dalla comunicazione tra uomo e uomo, il parlare è, scrive infatti
Humboldt, una condizione necessaria del pensiero individuale nella sua chiusa
singolarità".
La sua intenzionalità è, pertanto, trascendente oltre se stesso e, insieme, disponibilità ed
attitudine ad riconoscimento della sua realtà profonda.
La Balbuzie come disturbo del linguaggio
La balbuzie è un disturbo della parola, dovuto a spasmi intermittenti dell'apparato fonatorio, che risulta caratterizzato dalla ripetizione convulsiva di una o più sillabe e dalla difficoltà di emettere un fonema, incidendo profondamente sulla espressione della frase che ri sulta interrotta e frammentaria.
Si verifica, cioè, una inibizione o una forte diminuzione della funzione motoria della muscolatura del linguaggio (mascella, lingua, gola, labbra e diaframma) a causa dell'ansia.
Il disturbo diviene spesso il nucleo centrale di una nevrosi fobica che ne rende difficile il
superamento e lo aggrava nel ripetersi di particolari situazioni emotive che possono considerarsi situazioni-stimolo terrifiche soprattutto a contatto con persone o situazioni che incutono soggezione. Sul piano psichico la frustrazione che deriva dalla difficoltà della comunicazione genera sentimenti di inferiorità e persistenti condizioni di malaggiustamento
sociale.
Appare compromessa la capacità di iniziare l'eloquio, così come risulta evidente l'esitazione, l'interruzione o il blocco del ritmo verbale che comporta il prolungamento e la ripetizione insistita delle sillabe. Gli spasmi, spesso prolungati, disarticolati e penosi, investono tut ti gli organi dell'apparato fonatorio così come parti del corpo non direttamente interessate
alla produzione del linguaggio. A questi si accompagna una attività motoria associata, interpretata da alcuni autori come gestualità rituale e regressiva, che comprende una plurali tà di manifestazioni motorie: viso arrossato e braccia alzate all'altezza del petto, piegamento in avanti del tronco, digrignamento dei denti, labbra, dita e bocca a mimare un can to silenzioso, saltellamento sulla punta dei piedi, restringimento della fessura palpebrale,
chiusura dei pugni , colpi di mano sulle cosce, fissarsi repentino dello sguardo nel vuoto,
ondeggiamenti ritmici della mano e del corpo.
Generalmente, la ricerca e la letteratura concordano nel vedere nell'età pre-scolare il periodo più favorevole per il manifestarsi della balbuzie che, in linea di massima, compare
più frequentemente nella popolazione maschile e che si evidenzia tendenzialmente dal terzo al quinto anno di vita, ritenuto periodo critico evolutivo.
E' necessario, a questo punto, fornire un quadro sintetico ma sufficientemente approfondimento della collocazione e della eziologia di un fenomeno che si presenta ancora oggi nell'opinione popolare, come un disturbo misterioso, legato a pratiche magiche e a suggestioni simboliche.
La balbuzie, scientificamente "dislalia sillabica o disfemia", si colloca all'interno di una ampia famiglia comprendente i cosiddetti disordini del linguaggio, entro cui si situano i disturbi
del linguaggio, comprendenti il gruppo delle dislalie che possono essere sillabiche, come
la balbuzie di tipo tonico, quando la difficoltà specifica consiste nel non riuscire a pronunciare la parola o la sillaba iniziale con conseguente spasmo prolungato e stato tensivo che
interessa anche la gestualità (incheccamento), di tipo clonico, quando si attua la ripetizio ne di uno o più fonemi iniziali, interni o finali (tartagliamento) e di tipo palilalico o misto
quando assomma le caratteristiche dei primi due tipi e, letterali, definite al contrario come
difetti di pronuncia. Al di là di queste distinzioni la balbuzie appare come disturbo difficil mente definibile in quanto la sua natura, le sue cause e, ancor di più, i suoi effetti sfuggo no ad una interpretazione univoca.
La sua natura è effettivamente complessa perché, allo stato attuale della ricerca, si presenta più come un fenomeno derivato da disfunzioni psico-emotive che non da deficienze
organiche; è un fatto che il balbuziente è tale in modo discontinuo e che la sua difficoltà si
accentua o diminuisce, svanendo talora del tutto, a seconda dello stato d'animo, della situazione contingente, degli stimoli provenienti dalla realtà, delle persone di cui si entra in
relazione, del funzionamento stesso delle facoltà sensoriali e percettive.
Come tutti i fenomeni complessi, la balbuzie evidenzia una serie di cause e concause che,
in linea molto generale, variano da soggetto a soggetto, il quadro eziologico appare, pertanto, composito, frammentario e comunque ancora al vaglio della ricerca: appartengono
alle cause organiche manifestazioni di immaturità o malformazione del livello prenatale,
parto distocico o strozzamento da cordone ombelicale nel livello natale e neuropatie o
traumi derivati dalla fase post-natale alla quale dobbiamo aggiungere cause come la dominanza degli emisferi e la predominanza dell'ortosimpatico: alcuni autori, infatti, sostengono
che la balbuzie si pone come sintomo atavico di controllo neurologico ambilaterale più che
unilaterale sopra il linguaggio a causa di un arrestato sviluppo neurale, altri ritengono invece che la mancanza di una netta dominanza emisferica produca l'incapacità della muscolatura appaiata, usata nel linguaggio, di ricevere impulsi dal sistema nervoso centrale.
Ancora dobbiamo considerare in questo ambito cause definite foniatriche perché correlate
all'emissione e alla ricezione del suono, spesso correlate all'ansia che sarebbe in grado di
ritardare in alcuni soggetti l'audizione e la sensibilità propriocettiva. Un caso a parte merita il problema della ereditarietà che può essere organica solo nel senso che, se si riproducono le strutture di un genitore disturbato, è naturale parlare di una predisposizione del
soggetto, oppure patologica, nel senso della ripetizione da parte del figlio di caratteristiche
emotive e comportamentali, così come pure possiamo parlare di ereditarietà proiettiva o
ambientale quando il genitore disturbato proietta sul figlio la frustrazione e l'ansia nei confronti dell'espressività del bambino, caricata così di aspettative ansiogene.
Un caso a parte rappresenta, sempre nell'ambito delle possibili cause organiche, l'ipotesi
di una rilevanza del processo di mielinizzazione sull'insorgenza del disturbo.
La mielina, incidendo sullo sviluppo del sistema nervoso centrale e, conseguentemente
sulla formazione delle capacità funzionali, spiegherebbe la maggiore frequenza della balbuzie nei maschi, fruendo questi ultimi di una mielinizzazione ritardata rispetto alle femmine.
Non di rado la letteratura scientifica indica come causa, e sarebbe meglio dire concausa, il
fenomeno del mancinismo.
Effettivamente la predominanza dell'uso di una mano rispetto all'altra cresce con l'età, e il
periodo di tale impianto nel bambino coincide, in genere, con il periodo dell'apprendimento del linguaggio che, a sua volta coincide con il periodo di insorgenza di molte balbuzie.
Si avanza pertanto l'ipotesi che un ritardo nella fase di destralizzazione coincida col ritardo
nella acquisizione di atti abili come quelli correlati al linguaggio.
Questo, tuttavia, non sembra sufficiente a determinare una causalità specifica perché nella
pratica clinica si è osservato che il mancinismo naturale di norma non produce necessariamente disturbi funzionali (e, comunque, non oltre la media) ma solo disagi di natura meccanica derivati dalla impostazione destrimane della società, mentre il mancinismo contrastato, presente ancora oggi anche se in fase calante, attuato da insegnanti o familiari
sprovveduti, provoca una serie di interferenze tra i due emisferi cerebrali che si riverbera no sul soggetto sottoforma di incertezza e discordanza funzionale e comportamentale, capace di fissarsi, perdurando la mancata affermazione di uno dei due emisferi.
Ad un secondo gruppo di cause, che potremmo definire esterne o accidentali, dobbiamo
far risalire tutti quei fattori esterni capaci di produrre nell'individuo uno stato di sospensione
o rallentamento delle funzioni fondamentali; questi sono numerosi e variano da azioni lesive come percosse, traumi, ferite e interventi chirurgici, alle quali devono aggiungersi secondo alcune teorie l'incidenza di malattie con febbri come quelle infettive dell'apparato re spiratorio e quelle nervose come encefaliti, epilessie e convulsioni, a eventi psicoemotivi di
natura traumatica come spaventi, minacce, eventi terrificanti, a fenomeni fisici o calamità
naturali di entità abnormi e inaspettate come terremoti o intense perturbazioni metereologiche.
Questa fenomenologia può talvolta generare uno squilibrio funzionale temporaneo o duraturo mentre una annotazione particolare meritano le modificazioni dell'ambiente geofisico
come una aumentata presenza elettromagnetica e in generale l'influenza metereopatica
che agiscono semplicemente da situazione aggravante del disturbo quando questo però
preesiste.
Un terzo gruppo di cause, quelle cosiddette relazionali comprende tutti quegli eventi e condizionamenti derivati dal processo di interazione con l'ambiente sociale, familiare e culturale. Un fenomeno che abbiamo già ricordato è quello della predisposizione ereditaria che
si realizza quando un nucleo familiare troppo sensibilizzato al linguaggio causa il precipitare di un disagio transitorio in fenomeno patologico reale. Lo stesso accade quando la pre senza di un balbuziente in famiglia funge da agente diffusore di una dizione disturbata che
attrae il bambino in una spirale imitativa di ripetizione, spesso per puro divertimento, raffor zata talora dallo stesso divieto di esprimerla.
Analogamente un genitore balbuziente che agisce fin dalle prime manifestazioni verbali
del figlio nel tentativo di avviarlo alla perfezione espressiva produce spesso in lui una sensibilizzazione ansiogena alla comunicazione capace non di rado di favorire l'insorgere del
disturbo.
L'ambiente culturale ed extra-familiare spesso determina situazioni che favoriscono la balbuzie: condizioni di degrado socio-culturale nella famiglia producono talvolta un imperfetto
e lacunoso apprendimento dei fondamenti del linguaggio così come il fenomeno del bilin guismo può attivare incertezza espressiva capace di sfociare rapidamente in atteggiamento di dubbio intorno alla comunicazione verbale, risolvibili tuttavia facilmente se diagnosticati tempestivamente e ricollocati nella normalità del flusso verbale.
Non v'è dubbio, tuttavia, che nella maggior parte dei casi la balbuzie ha una derivazione
psicologica o relazionale e, pertanto, tra le cause psicologiche, che tuttavia analizzeremo
approfonditamente più avanti, perché questa è la finalità specifica del presente lavoro,
dobbiamo includere una nutrita schiera di situazioni psico-affettive, inconsce, relazionali,
sociali ed emotive, il più delle volte risalenti a traumi o conflitti dell'età infantile, che rinvia no a conflitti acquisiti nell'adattamento all'ambiente, nel rapporto con i genitori, in aspetti
fobici che si instaurano nel soggetto di fronte ai primi ostacoli nella comunicazione e nei
rapporti personali a forte carica ansiogena e che, provocando un arresto nel corso dello
sviluppo affettivo, determinano tratti nevrotici e regressivi della personalità a loro volta rappresentati da una difficoltà più o meno accentuata nella produzione del linguaggio.
In conclusione, il quadro eziologico della balbuzie può essere riassunto come una confluenza casuale che partendo da fattori predisponesti generali evolutivi, associati a fattori
neurologici organici preesistenti, correlati infine a fattori esogeni scatenanti, psicologici,
culturali e sociali, determina una iniziale disfluenza primaria, primary stuttering o balbuzie
primaria-fisiologica-evolutiva, normale transitoria, tipica dell'età infantile all'altezza dell'inizio dell'apprendimento e del consolidamento del linguaggio, capace talvolta di fissarsi patologicamente, in seguito a una inadeguata reazione affettiva, in secondary stuttering o
balbuzie secondaria-patologica, il disturbo vero e proprio caratterizzato dalla coscienza
della non fluenza del linguaggio e dal tentativo di modificarla o evitarla.
Questa distinzione ha oggi valore di indicazione di massima e di utile classificazione in
quanto la ricerca e le osservazioni cliniche hanno evidenziato che il confine che divide
bambini con semplici ed inconsci prolungamenti e ripetizioni di suoni da quelli con sforzi
tesi e complessi appare non sempre definibile. Rimane il fatto, al di là delle diverse collo cazioni teoriche, che la difficoltà della parola ha nei primi anni di vita ha un andamento
transitorio e incostante, scomparendo spesso in modo naturale e spontaneo.
La natura relazionale della balbuzie: aspetti psicologici
La distinzione che abbiamo visto tra balbuzie primaria e secondaria, oltre che una motivazione meramente classificatoria, risponde ad una esigenza di chiarificazione in quanto la
prima, che colpisce quasi tutti i bambini sino al terzo o quarto anno d'età, viene considerata, come si è detto, inconscia perché non viene avvertita dal soggetto come disturbo; la
seconda, invece, è vissuta dal soggetto consapevolmente non solo sul piano fonico ma
anche e soprattutto su quello psichico: la percezione della balbuzie sul piano personale ed
interiore, rappresenta di per sé il fissarsi della stessa nella personalità, più come problema
che come semplice sintomo. In questo senso, si è ormai consolidata la tendenza ad attri buire alla balbuzie una causalità psicologica, non lo stesso si può dire per le interpretazioni
del fenomeno che, come abbiamo già avuto modo di dire, sono innumerevoli, talvolta convergenti su punti nodali, altre volte assolutamente contrastanti.
La balbuzie, come si è visto, sorge normalmente all'interno di quella che abbiamo chiamato confluenza causale in cui un elemento scatenante, accidentale, a prescindere dalla sua
valenza intrinseca e variabile in intensità e percezione da individuo ad individuo, agisce
come detonatore in un contesto in qualche modo predisponente e pre-determinato da cause organiche, psicologiche o socio-ambientali.
A partire da questo elemento iniziale che predispone e scatena il disturbo si realizza un
percorso di cause ed elementi situazionali che dovremmo definire più che determinanti, di rettamente connessi al disturbo; si tratta di una serie di eventi concausali che debbono essere interpretati come continua interazione psico-socio-ambientale e che si intrecciano in
una spirale progressiva capace di fissare progressivamente la difficoltà agli strati profondi
dell'affettività e della personalità.
Parleremo, pertanto, il più delle volte di balbuzie ansiogenica, intendendo con questa clas sificazione un disturbo funzionale e precisamente una temporanea disorganizzazione motoria, causata dalla tensione prodotta dall'ansia di fronte a situazioni ed eventi capaci di al terare l'equilibrio psicologico e funzionale. Due condizioni psico-affettive predisponenti, e
non di rado scatenanti, presenti se non in tutte, nella stragrande maggioranza dei casi di
balbuzie cosiddetta secondaria e determinanti nel consolidare il disturbo negli strati profondi della personalità, sono la carenza affettiva e l'iperprotezione parentale.
Su queste situazioni si innestano rapidamente miriadi di circostanze ambientali negative,
di traumi, di frustrazioni e di eventi stressanti a cui il bambino non sa reagire positivamente.
Nella carenza affettiva, riferita ai primi anni di vita, il bambino vive una situazione di disa gio psichico che si riverbera sul corretto andamento dello sviluppo affettivo nonché sul pro cesso di progressiva sicurizzazione che si dovrebbe ricavare dalla adeguata e puntuale
soddisfazione dei bisogni primari; nella iperprotezione, al contrario, si realizza una spersonalizzazione volta a far evitare al soggetto il normale superamento delle frustrazioni positive rendendo il bambino incapace di rapportarsi serenamente con la realtà e di adeguarsi
alle difficoltà della socializzazione e della relazione con l'ambiente.
Queste realtà fanno il più delle volte da sfondo al sorgere della balbuzie, ma, come si può
facilmente comprendere, potrebbero ugualmente scatenare altre e diverse sintomatologie
di natura relazionale. In questo quadro si innesta tutta una lunga serie di teorie riguardanti
cause, origini e condizioni psicologiche determinanti o concorrenti alla formazione e al
consolidarsi di questo disturbo; sono interpretazioni che riguardano in larga misura, come
si è già detto, la balbuzie secondaria, quella a risultante da elementi relazionali, psicogeni,
affettivi e socio-ambientali, il più delle volte correlati tra di loro.
L'ipotesi di Oliver Bloodstein è che la balbuzie sia una condotta di sforzo anticipatoria e di
evitazione che potrebbe essere dovuta alla coincidenza di due fattori: un grado insolito di
non fluenza per una qualunque causa e un entourage affettivo notevolmente intollerante
della non fluenza. La condizione essenziale è semplicemente che il bambino percepisca la
comunicazione come impresa ardua e difficile da realizzarsi. In questo caso si determina
uno sforzo cosciente di parlare adeguatamente a dispetto della profonda convinzione di
non poterlo fare.
Le osservazioni cliniche hanno evidenziato infatti un contesto familiare con genitori esigenti, super-ansiosi, perfezionisti e troppo proclivi a punire la non ideale condotta verbale del
bambini, altre volte si è palesato invece un eccessivo senso della protezione o la preoccupazione per il ritardato sviluppo del linguaggio. Bloodstein ritiene infatti che molto spesso
la fama di cattivo o ritardato parlatore anticipi la balbuzie in quanto convince il bambino
che una sua difficoltà nella verbalizzazione o addirittura nella lettura lo costringe a reazioni
anticipatorie di sforzo. Si tratterebbe in definitiva di una severa forma di coscienza del lin guaggio.
Joseph Sheehan riassume tutti gli aspetti conflittuali presenti nella balbuzie esprimendo
una serie di ipotesi conosciute come teoria del conflitto di avvicinamento-allontanamento.
Il blocco dell'eloquio si realizzerebbe, secondo questa interpretazione, allorquando gli impulsi conflittuali dell'avvicinamento e dell'allontanamento di equilibrano: il conflitto si presenta in realtà complesso perché le alternative, con elementi positivi e negativi insieme,
sono quelle del parlare e del tacere, espresse nel dilemma tra il parlare e il non parlare e,
in definitiva, tra il silenzio e la comunicazione. La risposta di allontanamento, ancor prima
del timore di balbettare, si realizza come risultante della competizione tra l'eloquio e il silenzio poiché parlare comporta la promessa della comunicazione unita alla relativa soddi sfazione mentre, contemporaneamente, esprime la minaccia della balbuzie con la conseguente frustrazione; il silenzio, allora, elimina insieme la minaccia e la soddisfazione spiegando in tal modo, secondo l'autore, il cattivo rapporto del balbuziente col silenzio e con le
pause nell'eloquio. Il soggetto ha, dunque, un obiettivo vitale, quello di comunicare, ritenuto però fonte di timore, i sintomi primari come la ripetizione e il prolungamento iniziale rap presenterebbero, allora, probabili oscillazioni e fissazioni del conflitto.
Fonte di gran parte del timore e del conflitto è individuato da Sheehan nella colpa, ritenuta
primaria quando è riferita dal balbuziente alla costellazione di sentimenti sottesi alla origi naria apparizione del disturbo e secondaria quando esprime la consapevolezza del potere
ansiogeno che i suoi blocchi attuano più nei confronti delle altre persone che verso se
stesso. Conseguenza diretta è l'assunzione di un ruolo artificiale a cui quasi nessun balbuziente consciamente o inconsciamente si sottrae: manierismi e istrionismi da palcoscenico, fiduciosa indifferenza, finta meraviglia, formazioni reattive di aggressività e iper-attivi smo o ipo-tonicità, moderazione e mansuetudine si attaccano tramite condizionamento
alla personalità e alle relazioni umane modificandole, accentuando nel soggetto la percezione ed il vissuto del sentimento di colpa.
Il conflitto si verifica a cinque livelli diversi. A livello di parola, la balbuzie è un conflitto tra
l'urgenza di pronunciare e non pronunciare una certa parola o sillaba condizionata da particolarità fonetiche determinando vere e proprie aspettative ansiogene nei confronti di consonanti, sillabe o terminologie percepite come terrifiche, a livello di situazione, il conflitto è
tra entrare e non entrare in una situazione temuta o ritenuta difficile come il telefonare, il
partecipare ad una conversazione tra estranei o l'esprimere incondizionatamente le proprie opinioni, determinando anche in questo caso difese di isolamento e di formazione
reattiva volte a negare aspetti reali della personalità che non riescono ad esprimersi, a li vello di contenuto emotivo, il conflitto sorge nel momento di esprimere contenuti fortemente emotivi come la collera o la colpa.
A livello di relazione il conflitto si evidenzia in dipendenza delle persone e del loro ruolo,
reale o simbolico, con cui si entra in contatto: figure autoritarie che riedificano l'Edipo, per sone autorevoli o detentrici di particolare potere attivano il conflitto spiegando come in
questi casi l'assunzione reattiva di un ruolo dominante assicura in linea di massima una
fluenza normale. A livello di protezione dell'ego, infine, la balbuzie serve inconsciamente
all'individuo in chiave difensiva per tenersi lontano da realtà competitive che costituiscono
minaccia di fallimento o diametralmente di successo causando elaborazioni di posiziona -
mento sociale alternative perché condizionate dal bisogno di sicurezza.
Questi dati, anche in relazione alle dinamiche della personalità del balbuziente, autorizzano, secondo l'autore, a ritenere che la balbuzie, una volta sviluppata e consolidata, può di ventare un sistema chiuso come condotta appresa, funzionalmente autonoma e stabile
nella sua coazione ad agire, indipendentemente dalla scomparsa delle forze e dai fattori
causali che, originariamente l'avevano scatenata.
Uno dei maggiori clinici del linguaggio americani, Robert West, pur convenendo sulla im possibilità di evidenziare una precisa eziologia della balbuzie, avanza tuttavia l'ipotesi che
la balbuzie sia un disordine epilettico derivato da disinergie neuromuscolari del linguaggio
orale; gli spasmi sarebbero pertanto scatenati da ansietà sociali correlate alla comunicazione dell'ambiente familiare nei primi anni di vita del bambino, ansietà generate dalle influenze dell'educazione morale che precipiterebbero la balbuzie quando assumono la for ma di sentimenti di colpa intorno a ciò che il balbuziente afferma o al modo in cui lo dice.
Gli spasmi della balbuzie evidenziano due effetti collaterali nell'eloquio del bambino: l'introduzione di una fluenza artificiale e l'adozione di tic associati ai tentativi di comunicazione.
Questi tic assumono varie articolazioni, in parte già ricordate precedentemente: scuotimento del capo, chiusura delle mani e dei pugni, frasi preparatorie e facilitanti all'avvio del la frase, strisciamento dei piedi sul pavimento; essi, elaborati una prima volta per superare
lo spasmo e per questo inseriti nella costellazione delle reazioni comportamentali, sono
progettati per sventare oltre che i blocchi primari (e allora sono al di sotto del livello della
coscienza) anche i blocchi secondari, apparendo pertanto cumulativi e ad un livello consa pevole. West concentra la sua teoria, come si vede, principalmente sulla balbuzie primaria
che viene considerata in stretta relazione con l'entourage familiare ed affettivo del soggetto non potendo apparire al di fuori di tale contesto e differenziandosi pertanto dal piccolo
male epilettico che non è incorporato in un particolare schema o contesto situazionale. In
questo senso, partendo dall'ipotesi di una stretta parentela con la picnolessia, la balbuzie
è un disturbo che cessa con la pubertà, derivando da ciò che la maggioranza delle balbuzie dell'adolescenza e della maturità sono secondarie.
Tra i contributi più significativi circa l'eziologia e la collocazione di questo disturbo dobbiamo ricordare la teoria della perseverazione di Jon Eisenson, secondo il quale la balbuzie si
deve interpretare come un fenomeno di perseverazione che interessa il linguaggio così
come tutto il comportamento. Richiamandosi all'ipotesi di Spearman sull'esistenza di un
fattore generale esprimente un certo grado di inerzia dell'energia mentale, da altri autori
definito disposizione alla rigidità, Eisenson parla di perseverazione come della tendenza di
un atto motorio o mentale a persistere per un tempo più lungo dopo che scompare lo stimolo che lo ha determinato, tendenza che, influenzando tutta la condotta, produce un
comportamento patologicamente condizionato dalla perseverazione. In questo quadro, la
balbuzie è definita come un disturbo transitorio nell'uso del linguaggio comunicativo preposizionale, quello usato in modo significativo e intenzionale, che coinvolge l'eloquio, risul tando lo strumento simbolico del parlare, temporaneamente disturbato.
Il linguaggio preposizionale comporta un insieme di parole formulate da un parlatore indicanti significato e relazione, sempre e comunque in rapporto ad un presunto ascoltatore,
mentre di linguaggio subproposizionale parliamo per indicare quell'eloquio che esclude
normalmente la presenza di un ascoltatore e che evoca espressioni affettive per dar sfogo
a sentimenti, senza correlazione alla situazione e al contenuto dei suoni e dei significati.
In alcune situazioni il balbuziente incontra minori difficoltà: quando parla senza la necessità di destare un'impressione favorevole, quando assume un ruolo, quando canta o recita
in gruppo o quando si rivolge a bambini piccoli che non capiscono, la proposizionalità è ridotta o assente; in questi casi si riduce la responsabilità comunicativa, il contenuto lingui stico è stato pertanto ridotto nel suo valore preposizionale rendendo il parlare più facile e
fluente.
Queste considerazioni convincono Eisenson che il balbuziente esprime le maggiori diffi-
coltà nelle situazioni nelle quali gli è richiesto di comunicare verbalmente se stesso, di
parlare di se stesso senza finzioni o assunzione di ruoli, in tali circostanze il bisogno di
esprimersi e la difficoltà contemporanea di dare verbalmente se stesso provocano uno stato di ambivalenza caratterizzato da un eloquio perseverativo: per il processo di generaliz zazione il balbuziente allarga l'ansietà di dire qualcosa all'atto stesso di parlare. Ne consegue che la balbuzie può essere interpretata come un disturbo della parola caratterizzato
dal problema dell'espressione di sé, quello che, come vedremo tra breve, Wendell Johnson esprime come reazione di anticipazione e di timore volta a evitare la situazione verbale.
Risalgono alla metà di questo secolo le prime interessanti interpretazioni della teoria dell'apprendimento che classificano la balbuzie come un comportamento appreso in risposta
a determinati stimoli. Alla fine degli anni quaranta Wendell Johnson fa rientrare la sua ipotesi nella teoria generale della balbuzie come fenomeno di interazione: la balbuzie è una
reazione ipertonica, timorosa e anticipatoria di evitazione. In altri termini il balbuziente è un
soggetto fondamentalmente normale in quanto balbettare è ciò che un parlatore fa, quando aspetta che il balbettare si verifichi; temendo tale evento il soggetto diventa teso e, nel
tentare di evitarlo, balbetta, nel senso che il tentativo porta a un blocco completo o parzia le del ritmo verbale. La nascita della balbuzie nel bambino dipenderebbe, secondo Johnson, da una distorta interpretazione della normale non fluenza, la quale, enfatizzata dai
genitori ansiosi ed esigenti si riproietta a livello di consapevolezza sul bambino che comin cia a provare ansietà nell'anticipazione del parlare o nell'atto stesso di parlare. In questo
senso la cronicizzazione del disturbo è individuata nel fatto che la balbuzie e le sue conseguenze di presentano al soggetto come eventi spiacevoli e puntivi e che pertanto una ansietà specifica viene associata per condizionamento all'eloquio anche se, in effetti, per il
periodo della prima infanzia la balbuzie viene percepita come premiante e in grado di dispensare il bambino da compiti come la lettura in classe o la ripetizione di una poesia. Tuttavia, quando i vantaggi iniziali spariscono e la condotta balbuziente diviene punitiva, l'atto
di balbettare può essere specificamente rafforzato dalla associazione con la riduzione del l'ansietà accompagnante la rimozione della parola temuta: quando questa è finalmente
evocata c'è una momentanea riduzione della tensione, un momento di piacevole sollievo
che rafforza un intero atto, perpetuando in questo stesso modo la balbuzie. In linea con
l'indirizzo comportamentistico è l'interpretazione di Murphy e Fitzsimons che definiscono la
balbuzie come una reazione autodifensiva, appresa e non integrativa, dinanzi a circostanze minacciose che l'individuo sente di non sapere affrontare. Le radici del disturbo affondano nelle relazioni interpersonali e, specificamente, nei compiti evolutivi in coincidenza
con le crisi di adattamento e in seguito a esperienze della prima socializzazione con adulti
importanti; la condotta disturbata, che investe l'intera costellazione comportamentale, persisterebbe come conseguenza di tali difficoltà esprimendo il timore di fallire nel compiere
qualsiasi atto, compreso il parlare. Questi impulsi alla fuga si materializzano, appunto, con
la balbuzie che risulta, secondo gli autori, la condotta che l'individuo adotta nel tentativo di
affrontare, negandole o reprimendole, circostanze minaccianti esternamente ed interiormente. L'attesa ansiosa di un evento temuto produce pertanto una disorganizzazione del
comportamento e l'adozione di processi autodifensivi finalizzati a ridurre l'ansietà. Queste
interpretazioni della balbuzie come condotta appresa sono state recentemente criticate da
Wingate il quale con argomenti, dati sperimentali e osservazioni appropriate mina la di mensione meramente meccanica della balbuzie. Egli polemizza infatti, in modo particolare,
sui concetti di ansietà specifica per una parola o per una situazione. La tesi sostenuta è
che, se il timore di una parola o di una circostanza, è un fattore significante nella balbuzie,
in letture ripetute di materiali contenente quella parola, o nel ripetere l'approccio ad un
dato evento, si dovrebbe perpetuare o rafforzare il grado di balbuzie scatenato dagli stessi, i dati sperimentali mostrano invece che la balbuzie decresce nella ripetizione, come se
la confidenza con lo stimolo temuto producesse distensione, confermando in tal modo la
teoria della desensibilizzazione; questa, mediante meccanismi operanti, sarebbe in grado
di attivare la diminuzione e addirittura l'estinzione della risposta disturbata.
Charles Van Riper preferisce, invece, riformulare l'insieme delle differenti istanze sin qui
rappresentate, come spesso accade nella ricerca, all'interno di quella che viene comunemente ricordata come teoria dell'origine multipla o eclettica. La sua impostazione prevede
una multicausalità della balbuzie che appare diversamente spiegata, a seconda degli indi vidui: può emergere da un terreno di conflitti emotivi o di bassa tolleranza alle frustrazioni,
può risultare effetto di un primo ambiente linguistico disorganizzato o eccessivamente ansiogeno in virtù di familiari perfezionisti e intolleranti della non fluenza, può, ancora, evidenziarsi come conseguenza della combinazione di tutti questi fattori.
La difficoltà emerge, in genere, tra i due e i quattro anni, periodo evolutivo critico per l'ac quisizione della capacità linguistica, spesso vissuto con ansietà dall'ambiente familiare;
normalmente i bambini sorpassano agevolmente questo passaggio senza danni apprezzabili mentre altri, incapaci di fronteggiare tali richieste e pressioni, si candidano alla balbu zie, precipitata il più delle volte da un incidente improvviso e traumatizzante. Una volta
consolidato il disturbo viene a fissarsi, come si è già detto per altre teorie, da una erronea
valutazione che il soggetto opera della sua difficoltà: a causa della riduzione del timore
che segue il blocco nell'eloquio, il balbuziente decide di ripetere la sua condotta esitante
per riottenere il rilassamento dell'ansietà.
L. E. Travis, partendo dall'ipotesi dell'esistenza di una variante somatica specifica del bal buziente, vale a dire una tendenza degli emisferi centrali ad essere più strettamente uguali
nel potenziale e nel controllo del linguaggio, avanza una teoria psicosomatica della balbuzie. Egli considera questo sostrato patofisiologico, biologicamente determinato, incapace
da solo di determinare la balbuzie che, diversamente, sarebbe la conseguenza della diffi coltà del bambino a trattare con successo richieste tipiche della cultura occidentale. Tale
incapacità, secondo Travis, porta l'individuo a perpetuare modelli infantili di condotta che
alterano la sua capacità di adattamento: gli impulsi infantili penetrano a forza nel repertorio
comportamentale così come nella sintomatologia del balbettare determinando il sintomo
stesso della balbuzie, compromesso tra espressione e inibizione di tali bisogni insiti nel
proprio essere.
Diversi ricercatori tra i quali ricordiamo il già citato Sheehan, Cherry e Sayers, Yates, si
soffermano su un importante fattore condizionante le dinamiche e l'andamento della balbuzie: le forme di distorsione del feedback sensoriale. Il feedback visivo e quello uditivo ap paiono in tal senso determinanti; il primo è fondamentale per qualsiasi rapporto interperso nale, così come nella balbuzie, perché rappresenta il canale principale attraverso il quale
sono percepite le reazioni degli altri, il secondo si osserva nell'effetto rumore-mascherante
che riduce la balbuzie, oppure come strumento per indurre balbuzie nel parlatore normale
o per normalizzare l'eloquio balbuziente, variando o ritardando l'entrata uditiva.
In quanto disturbo di natura relazionale, la balbuzie non può escludere una serie di deter minanti psicodinamiche che ricaviamo da contributi e osservazioni cliniche di diversa ispi razione. Per comodità, data la vastità della trattazione, ricorderemo i principali orientamenti psicoanalitici della balbuzie. In questo quadro sembra ormai generalmente accettato il
dato che la balbuzie deve essere inclusa nel quadro delle nevrosi di conversazione, quelle
che esprimono la trasposizione di un conflitto psichico, unitamente al tentativo di risolverlo,
in sintomi somatici motori o sensori. Ciò che caratterizza la conversione è che la libido, distaccata dalla rappresentazione rimossa, è trasformata in energia di innervazione, ma ciò
che la specifica, è che i suoi sintomi esprimono simbolicamente, mediante il corpo e i suoi
organi, rappresentazioni rimosse.
Il sintomo del blocco nell'eloquio e del balbettare si rivelano come il risultato di un conflitto
tra tendenze antagonistiche; il soggetto vuole e non vuole parlare, vuole e non vuole dire
qualcosa o comunque proporsi.
Questo modo di comportarsi è dovuto necessariamente a qualche significato inconscio del
parlare, o della particolare cosa che sta per essere detta o dell'attività del parlare in gene re, la funzione stessa della parola rappresenta un impulso istintuale riprovevole, ma questo viene spesso correlato a desideri sadico-anali come se parlare implicasse l'espressione di parole oscene, di carattere specialmente anale, o un atto aggressivo diretto contro
chi ascolta. Qui le parole sono equiparabili con i pericolosi prodotti anali che possono uccidere l'oggetto, esse, pertanto, debbono essere trattenute e come ogni oggetto pericoloso,
trattate con cura, precauzione e circospezione. Quando tali atti o fantasie sono proiettate
sull'apparato fonatorio, ne può risultare il blocco, si può in questo senso parlare per la bal buzie di uno spostamento verso l'alto delle funzioni degli sfinteri anali. Due condizioni, infatti, aumentano o determinano la balbuzie in correlazione con il suo significato sadico: un
particolare desiderio di inserirsi in un argomento che cela, dietro lo zelo apparente, una
tendenza ostile e distruttrice dell'oppositore per mezzo della parola e la presenza di per sone illustri, autoritarie o paterne contro le quali l'ostilità inconscia è più intensa. Per molti
balbuzienti ogni conversazione è un tentativo inconscio di usare parole oscene o volgari,
che tendono ad aggredire chi ascolta, con violenza o sessualmente.
Intorno a questa componente sadico-anale dominante altri impulsi ed erotismi, appaiono
caratteristici e partecipano più o meno marginalmente al sintomo del balbettare. Gli impulsi
fallici si rivelano quando la funzione del parlare è inconsciamente connessa con quella genitale, specialmente maschile: parlare significa essere potente mentre l'inabilità a questa
funzione significa castrazione, i ragazzi sostituiscono fantasticamente la concorrenza fallica parlando bene come il padre, le ragazze, invece, hanno il desiderio inconscio di funzionare genit almente come gli uomini.
Gli impulsi orali si esprimono, invece, nel significato del parlare come piacere erogeno,
erotismo orale respiratorio. Tali impulsi potrebbero infatti rappresentare una regressione
ad un livello precedente quello sadico-anale con conflitti intorno a desideri per l'incorporazione di oggetti oppure intorno a desideri autoerotici orali. I. H. Coriat, studioso attento di
molti casi di balbuzie, mette l'accento sul significato dell'autoerotismo orale in relazione
alla persistenza delle attività infantili dell'allattamento, visibili negli stessi spasmi del sintomo, affermando che il balbuziente invece di usare la parola per parlare la utilizza per otte nere sensazioni piacevoli negli organi fonatori, una sorta di eccessiva concentrazione libidinale nella bocca, il che confermerebbe una intensa ambizione nel campo del parlare da
parte di soggetti disturbati nel linguaggio, reazione ipercompensatoria alla penosità e alle
limitazioni del balbettare. L'esistenza di un rapporto, appena evidenziato, tra balbuzie e
ambizione confermerebbe indirettamente l'esistenza di impulsi esibizionistici capaci di attivare nel soggetto la credenza di poter influire magicamente un uditorio per mezzo della
parola onnipotente. Parlare significa affascinare, ottenere l'applauso che sconfigge ogni timore: la reazione dell'uditorio è necessaria per vincere la paura o per soddisfare bisogni
narcisistici così come per dominare la platea negandosi ad un confronto reale. Questa in terpretazione non è priva di relazione al piacere perverso dell'esibizionismo: esibire se
stesso, come abbiamo detto, ha il significato di essere rassicurato contro gli onnipresenti
timori di castrazione o di essere amato.
Accade allora che questi stessi mezzi per forzare razioni rassicuranti appaiono inaccettabili al soggetto che pure li adopera inconsciamente, si produce allora l'inibizione dell'esibizionismo, che si manifesta con la balbuzie. Molti, infatti, balbettano solo quando il loro disturbo li mette in posizione svantaggiosa come se utilizzassero il sintomo per soddisfare le
esigenze di un super-Io ultrasevero. In definitiva la balbuzie è espressione di un Io che
deve difendersi contro gli istinti le cui rappresentazioni possono minacciare il sé e gli altri,
così come deve difendersi da un super-Io particolarmente minacciante e perfezionista.
Alla luce di queste diverse interpretazioni il sintomo della balbuzie esprime, come si vede,
una miriade di significati. In questo senso, e per concludere, possiamo evidenziare come
la parola bloccata, la difficoltà ad esprimersi e a comunicare, il blocco e l'interruzione del l'eloquio rappresentino situazioni talora diversissime dell'interiorità e della interazione del-
l'individuo. Molto spesso il balbettare rivela una debolezza dell'Io dinanzi alla realtà, una
inadeguatezza di fronte all'evoluzione adattiva, ai suoi dinamismi e alle relazioni interpersonali, altre volte consente una regressione difensiva e utilitaristica per sottrarsi a responsabilità e frustrazioni positive contro il naturale processo di adattamento, non di rado esprime benefici secondari offerti dalla dimensione infantile da cui appare difficile e penoso
uscire. La famiglia stessa "produce", il più delle volte, il sintomo sotto forma di esigenze
proiettive costringendo il vissuto del bambino ad una anticipazione innaturale della verba lizzazione, altre volte, ancora, l'incertezza deriva dalla reale incapacità di proporsi nella relazione inter e intra-personale; il sintomo è, comunque, certamente espressione di sensi di
colpa, angosce e desideri che si annidano nella profondità interiore rivelando spinte affettive oscure e inestricabili per lo stesso soggetto disturbato.
Questa pluralità di elementi di consente ancora di tracciare sinteticamente le linee della
personalità balbuziente, i cui tratti affondano le radici nei conflitti tipici del dubbio sul posizionamento e sull'aggiustamento sociale di cui il sintomo del balbettare è espressione. Il
balbuziente presenta condotte fortemente conflittuali nei confronti della stessa situazione,
così come nei confronti del parlare e, comunque, in generale nei confronti del proporsi in
modo attivo e proposizionale. Così egli sviluppa atteggiamenti ambivalenti verso gli adulti
e, di conseguenza, verso gli altri intesi come ambito della relazione interpersonale: ha il bisogno e il desiderio di porsi e insieme teme di essere respinto o punito.
Conseguenza di questo atteggiamento è la tendenza alla supergeneralizzazione in quanto l'individuo generalizza da una situazione, con la quale la difficoltà o il conflitto originari
furono associati, a molte altre situazioni, aventi solo rassomiglianze casuali con l'originaria. Ne deriva che diviene vittima di questa tendenza generalizzatrice reagendo a stimoli
nuovi in termini di perseverazione di risposte passate.
La personalità risente, pertanto, dal carattere pervasivo della balbuzie che, piuttosto che
rimanere confinata alla situazione scatenante e originaria, si estende a tutta la costellazione comportamentale.
Tratti tipici di questa personalità sono, ancora, la repressione, la formazione reattiva, la rimozione e l'isolamento. Il balbuziente viene descritto come individuo che reprime sentimenti, pensieri e parole che potrebbero rappresentarlo se fossero liberate, abituandosi a
mantenere segreta ed inaccessibile una parte della sua reattività e della sua personalità.
Come abbiamo visto, l'interiorità diventa addirittura pericolosa in quanto oggetto di continua censura da parte di una coscienza severa e dominante. Allo stesso modo il rifiuto per
la intrinseca debolezza dell' Io, espressa inequivocabilmente dal sintomo, conduce il bal buziente a forme compensatorie e reattive, a volte clamorose, che incanalano la personalità verso tratti di iper-aggressività finalizzati ad esorcizzare, in una continua negazione-reazione, quel senso di inadeguatezza alla realtà percepito dallo stesso come invalidante a livello di relazione.
Talvolta si rende necessaria, invece, un'opera di rimozione non solo a livello dei conflitti
sottesi al sintomo, ma pure dello stesso sintomo. Il soggetto sviluppa allora una condotta
verbale artificiale ed impostata, volta all'evitamento sistematico delle situazioni e delle parole terrifiche, una condotta spesso manieristica, istrionesca, il più delle volte negata co scientemente, che diviene grottesca quando la sostituzione o l'artificio risulta palesemente
innaturale.
Nei casi più gravi il balbuziente appare sopraffatto dal disturbo che diviene percepito come
totalmente invalidante delle relazioni e della espressività: la frustrazione, la continua mortificazione dei suoi tentativi di normalità ed il senso della umiliazione conseguenti avviano il
soggetto ad un isolamento progressivo dalla realtà e ad una pericolosa interiorizzazione
che, più frequentemente di quanto si crede, può addirittura trovare esito nel suicidio.
Tali considerazioni, che in buona sostanza riassumono i diversi contributi interpretativi della balbuzie come disturbo relazionale ci fanno capire come il capitolo della rieducazione e
del ripristino della normale fluenza risenta fortemente della diversificazione degli approcci.
La natura particolarissima di questo disturbo, in sé non gravissimo e teoricamente eliminabile, con i suoi significati simbolici e con le sue ripercussioni a livello di immagine e di protezione del sé, produce una nevrotizzazione del momento della verbalizzazione che si rinforza quotidianamente con le dinamiche interpersonali, i vissuti della relazione e le continue delusioni derivate da una difficile espressività. Tutto questo, come vedremo, riduce
fortemente la possibilità di una risoluzione definitiva e radicale dei meccanismi del comportamento comunicativo ancor prima della mera fluenza linguistica.
Terapia e psicoterapia nella balbuzie
Nel tracciare le linee di una azione terapeutica della balbuzie non bisogna dimenticare il
complesso intreccio di aspetti sociali, psicologici, relazionali, fonetici, neurologici e ambientali fin qui analizzati, che rendono questa patologia particolarmente composita e difficilmente trattabile. Questo quadro influenza necessariamente l'obiettivo e le tecniche terapeutiche ed evidenzia un dilemma, quello tra terapia sintomatica e psicoterapia, che ad
oggi non trova apprezzabile composizione se non nella inevitabile coesistenza dei due ap procci.
L'esistenza di varie teorie circa l'eziologia della balbuzie è presupposto di molteplici conce zioni e interpretazioni per il suo trattamento in quanto si configura, per ogni trattamento terapeutico, una stretta dipendenza dagli schemi teorici relativi. In questa ottica l'approccio
delineato da Bloodstein, in sintonia con la formulazione della balbuzie come condotta anticipatoria di sforzo, si concentrava inizialmente sulla attività di anticipazione. La preoccupazione veniva neutralizzata con verbalizzazioni artificiali o suggestive che, tuttavia, evidenziavano efficacia limitata nel tempo. Più solidi appaiono, invece, altri metodi per affrontare
l'anticipazione, quello del ri-orientamento semantico di Johnson e quello del cambiamento
dell'atteggiamento preparatorio suggerito da Van Riper. Johnson ritiene che l'attesa che
perpetua il sintomo della balbuzie rappresenta uno di quei pregiudizi che, secondo Korzybski, incorporano resti stratificati di concezioni primitive intorno alla realtà. In questo caso il
linguaggio che il balbuziente usa parlando della sua difficoltà incoraggia lo stesso blocco
dell'eloquio: le descrizioni delle dinamiche del disturbo vengono enfatizzate quasi a volere
rappresentare gli organi fonatori come dotati di attività autonoma, indipendente ed estranea al soggetto, fuori dal suo controllo. Più che concentrarsi sulla balbuzie egli esagera la
sua dimensione di balbuziente a livello di personalità drammatizzando, in tal modo, la propria percezione del disturbo che, pertanto, inizierà a considerare inevitabile.
Compito della terapia sarà, quindi, quello di convincere il paziente che non esistono balbuzienti ma solo balbuzie e di liberarlo da fantasie fondamentalmente animistiche.
Van Riper sostiene che le prove silenziose del soggetto durante il momento cruciale dell'anticipazione appaiono determinanti per l'attuazione del blocco; con una immagine efficace egli rappresenta il balbuziente come il corridore in attesa dello starter, incapace di altre
condotte se non quella dell'avvio.
E' necessario allora, partendo da questo momento, imparare ad attuare forme differenziate
di preparazione; il balbuziente dovrà preparare se stesso a pronunciare la parola temuta
predisponendo l'apparato fonatorio-articolatorio in stato di distensione, con la bocca preferibilmente aperta e protesa all'emissione del fiato; il primo suono dovrà essere espresso
con movimento portante entro il resto della parola e, ancora, dovrà essere preformato si lenziosamente mettendo l'apparato fonatorio in posizione del suono prima dell'emissione
vera e propria della voce. Questi tentativi, secondo Bloodstein, difficilmente intervengono
in modo efficace sull'anticipazione perché incapace di ridurre l'aspetto punitivo e mortificante della balbuzie che, pertanto, dovrà essere vissuta in maniera meno invalidante. Se il
balbuziente non sarà in grado di ammettere francamente la propria condizione evidenzierà
il mancato riconoscimento di se stesso, condizione fondamentale per ogni forma di adat tamento. Obiettivo primario della terapia è, dunque, quello di lavorare sul riconoscimento e
sull'accettazione. La presunzione di apparire parlatori normali, a dispetto della realtà balbuziente, agisce come deterrente per ogni forma di accettazione: la paura di essere scoperti è fonte permanente di ansietà e a nulla vale la considerazione che l'ascoltatore sia
comunque in grado di percepire chiaramente il disturbo del parlante anche se, il più delle
volte, finge di non accorgersene. Annunciando la sua condizione il balbuziente crea una
conoscenza generale circa la sua difficoltà, in tal modo, pur avendo qualche esitazione,
non ha più bisogno di temere l'improvviso silenzio conseguente la sorpresa che è, in assoluto, l'evento più temuto.
Questo accade perché il balbuziente tende normalmente a esagerare lo svantaggio del
suo disturbo anziché valutare realisticamente le reazione dell'ascoltatore. Conseguenza di
questa ansietà è, come si è detto, la condotta di evitazione, tipica risposta balbuziente,
sulla quale la terapia deve agire massicciamente poiché spesso sono l'ansietà e l'evitamento che, caricandosi di ansie e simboli tensiogeni, aumentano l'intensità di un disturbo
che rientrerebbe oggettivamente entro limiti accettabili, anche per lo stesso soggetto disturbato.
Un intervento di decondizionamento sul comportamento di evitazione agisce sulle stesse
situazioni ansiogene: l'attività scolastica, l'uso del telefono, l'interazione sociale con le sue
relazioni dovranno essere affrontate primariamente anziché evitate; il repertorio di eventi
temuti dovrà poi essere addirittura incrementato puntando direttamente sull'abitudine al
confronto in luogo della consolidata reazione di evitamento; chiedere informazioni ai passanti, prendere appuntamenti e relazionarsi con estranei devono divenire eventi abituali a
dispetto della difficoltà.
Tali strategie, tuttavia, risultano modestamente efficaci se non si interviene sull'elemento
cardine della personalità balbuziente: il riconoscimento. Balbettare deliberatamente diviene, così, lo strumento ideale per decondizionare la percezione di se stesso come di un
soggetto inesorabilmente svantaggiato, agendo nello stesso tempo sul rinforzo rappresentato dall'aumentata autonomia perché il soggetto, bloccandosi spontaneamente e coscientemente, acquisisce il controllo della sua verbalizzazione fino ad allora ritenuta magicamente sfuggente e inestricabile, la finalità di queste strategie terapeutiche è evidentemente quella di fornire al soggetto disturbato una occasione di riaggiustamento sociale tramite
l'acquisizione di uno spirito e un atteggiamento obiettivo circa la sua dimensione reale a
partire dalla difficoltà finalmente riconosciuta ed accettata. Si potrebbe paradossalmente
ritenere, anche sulla base di casi risolti definitivamente, che lo stesso riconoscimento della
balbuzie provoca talvolta la scomparsa del disturbo: la balbuzie sarebbe semplicemente la
materializzazione del timore della non fluenza, eliminato il timore, il sintomo non avrebbe
più ragione di esistere.
In tal senso, nel trattamento della famiglia in casi di balbuzie primaria, la psicoterapia induce i genitori ad abbandonare qualsiasi pressione e aspettativa sulla fluenza del bambino
decondizionando l'abitudine perniciosa di rinforzare le occasioni di un corretto eloquio tramite ricompense o gratificazioni esagerate che, generalmente, debbono essere interpretate come nevrotizzazioni proiettive della imago genitoriale.
Come si vede, queste esperienze terapeutiche agiscono al livello della risposta inadeguata
e della percezione della propria personalità disturbata nel confronto con la realtà esterna;
è un approccio basato sull'attività di decondizionamento e desensibilizzazione nei confronti di atteggiamenti verbali-comportamentali stratificati nel tempo e perciò difficili da
smantellare. Appare evidente che tale metodologia psicoterapeutica agisce attivamente
nella misura in cui il sintomo è espressione di lievi conflitti interiori che sottendono, in
modo non severo, a una verbalizzazione disturbata, prevalentemente nei suoi aspetti tec nico-fonetici.
Glauber sostiene, invece, che la balbuzie è una nevrosi narcisistica e che pertanto solo un
trattamento psicoanalitico di profondità può risolverlo adeguatamente. Questo approccio
presuppone naturalmente una relativa maturità del soggetto analizzato e pertanto non appare applicabile a tutti i soggetti.
Nei casi di balbuzie infantile, difficilmente trattabile analiticamente, Glauber suggerisce
una tecnica definita therapeutic team, un approccio implicante diversi livelli di intervento:
psicoterapia della madre, psicoterapia della madre e del bambino insieme, del bambino e
della madre separatamente. Lo scopo è dichiaratamente quello di eliminare i legami della
madre con oggetti d'amore narcisistici e il suo indirizzarsi verso oggetti d'amore reali;
questa tecnica, così, più che puntare a risolvere il sintomo, mira a normalizzare l'atmosfera psicologica della famiglia liberando le energie intrapsichiche dei singoli membri, in modo
che la balbuzie smetta di essere una fobia familiare, eliminando gli investimenti ansiogeni
dei singoli membri della famiglia circa le interruzioni o le esitazioni dell'eloquio.
Sheehan partendo dalla teoria del conflitto avvicinamento-allontanamento sostiene che il
trattamento della balbuzie deve mirare a eliminare ogni tendenza di allontanamento e questo può avvenire solo su due piani terapeutici, separati ma paralleli: decondizionare logoterapeuticamente gli aspetti conflittuali di superficie e agire con un approccio psicoterapeutico sui vissuti, sentimenti, relazioni e difese che fanno da sfondo al sintomo.
Le tappe di questo percorso sono in larga misura quelle che abbiamo già evidenziato: percepire la propria balbuzie rivelandola senza complessi e mascheramenti, interpretare cor rettamente le reazioni degli ascoltatori, ridurre le tendenze di allontanamento da parole e
situazioni terrifiche, balbettare deliberatamente divenendo padroni del proprio eloquio,
rompere il legame tra colpa e silenzio. Proprio sul silenzio e sul suo valore simbolico rite niamo utile soffermarci brevemente. Non v'è dubbio che la specificità della balbuzie risieda
nell'ansietà che il soggetto prova circa l'interruzione della verbalizzazione; il silenzio, in tal
senso, diviene lo stimolo killer capace di detronizzare qualunque tipo di approccio correttivo, proprio perché assume un significato simbolico correlato ai vissuti personali del soggetto. Può esprimere colpa, inadeguatezza, può materializzare un conflitto o evidenziare
un desiderio inaccettabile a livello istintuale o, ancora, rievocare vissuti penosi di abbandono o di assenza delle figure genitoriali, può infine esprimere conflitti tra l'immagine ideale e
quella reale, tra aggressività e passività; il silenzio, insomma, viene costantemente combattuto prima a livello inconsapevole col timore e con le relative previsioni negative, e poi,
a un livello reale con la spasmodica anticipazione della fluenza.
Ecco perché oltre alla riorganizzazione e alla re-integrazione del soggetto in un ruolo nuovo, quello del self-accepting in prospettiva della definizione degli obiettivi vitali, abbandonando tutti i benefici secondari del disturbo, la terapia deve contemplare un approccio più
squisitamente psicoterapeutico volto alla espressione dei sentimenti, dei conflitti e dei carichi emotivi materializzati dal sintomo. La psicoterapia deve agire su alcune componenti
basilari: liberare i sentimenti e i vissuti, promuovere la ristrutturazione del concetto di sé su
un piano di realtà eliminando le fantasie di onnipotenza che il soggetto aveva alimentato
se non fosse stato ostacolato dalla balbuzie, attaccare fattori secondari come vergogna,
mimetizzazione, allontanamento e autoconservazione.
Uno schema terapeutico che potremmo definire multidimensionale è quello elaborato da
Robert West, in quanto finalizzato a trattare diversi livelli e stadi della balbuzie. Egli infatti
non pone un obiettivo unico, la risoluzione della balbuzie, ma una serie di approcci relativi,
a seconda della severità e del tipo di disturbo. Il trattamento della balbuzie primaria può
essere radicale e facilmente raggiungibile, anzi per questo tipo di difficoltà West prevede
addirittura una profilassi che prevede una serie di importanti postulati: adottare un ritmo
lento e facilitante nella conversazione col bambino, evitare di criticare la fluenza disturba ta, evitare di correggere la parola interrotta o di interrompere l'eloquio, evitare di rendere
colpevole il soggetto del disturbo. Molto diverso è l'approccio alla balbuzie secondaria:
piuttosto che porsi come finalità la guarigione completa, occorre prima ottenere un eloquio
senza timore di blocchi e senza una consapevole attenzione a come si parla.
La terapia vera e propria deve indirizzarsi a una serie di componenti come l'ascoltatore, se
stesso come interlocutore e se stesso come balbuziente. Quando il balbuziente è impegnato in una conversazione la sua attenzione è rivolta all'ascoltatore per cercare i segni
della reattività rispetto alla sua fluenza, la terapia deve liberare il soggetto da questa ansietà egocentrica circa l'opinione dell'ascoltatore. West indica, a questo proposito, oltre
che un approccio più aggressivo verso l'interlocutore, capace di neutralizzare questa ansietà e di far convergere le energie del balbuziente sulle tensioni dell'ascoltatore piuttosto
che sulle proprie, un intervento definito terapia occupazionale volto a rinforzare gli aspetti
morali del soggetto disturbato; questi dovrà intraprendere una attività, preferibilmente correlata col linguaggio, nella quale poter primeggiare. Obiettivo centrale del terapeuta è
quello di smantellare l'atteggiamento e il sentimento di onta morale, caratteristico di questi
soggetti, enfatizzato al punto di costruire un moralismo irrealistico fatto di divieti incomben ti e di profondi sensi di colpa. Il balbuziente si arrovella sul suo aspetto fisico, sulle sue
abitudini, sul contesto familiare, sulla religione e sulle consuetudini; carica di significato
morale esagerato i comportamenti sessuali, la masturbazione, le sue amicizie con i coetanei, le sue relazioni affettive e presenta, non di rado, profondi scrupoli di coscienza circa i
suoi doveri verso l'interazione sociale in genere. Uno strumento efficace per riequilibrare il
puritanesimo morboso di questi soggetti è l'umorismo: il terapeuta dovrà indirizzare il soggetto a ridere serenamente dei suoi modelli irrealistici e delle eccessive preoccupazioni
circa il suo eloquio e le reazioni che questo suscita. Utile in questo senso appare esercitare la drammatizzazione in un contesto di soli balbuzienti che, creando un ambiente protetto, permette di sperimentare nuove risposte e nuove strategie. Altro approccio esperito al
fine di rompere il circolo vizioso del balbuziente che più balbetta, più teme di farlo, precipitando in una balbuzie ancora maggiore è, ancora, la terapia della distrazione. Questa consiste nel deviare l'attenzione del paziente dal suo linguaggio anche se la sua efficacia si ri duce nel momento stesso in cui viene automatizzata poiché gli espedienti distrattivi rappresentano una azione inibente il solo sintomo. John Eisenson polemizza con l'approccio
psicoanalitico classico sostenendo che il trattamento della balbuzie deve avvenire su un
piano sintomatico finalizzato a far esprimere piuttosto che reprimere il sintomo. La terapia
si esprime con diversi interventi: il metodo della pratica negativa che consiste nel dirigere il
balbuziente ad imitare la sua balbuzie rendendolo cosciente su un piano di realtà del proprio modo di parlar e incoraggiandolo ad approvare se stesso, la tecnica della balbuzie volontaria, perfezionata oltre che da Eisenson, da Berry, Bryngelson e Van Riper, consistente
non nel raggiungere una fluenza normale ma il controllo del balbettare attraverso un bal bettare modificato, sostituendo il vecchio modello di balbuzie con una forma di balbuzie
più fluente. L'intervento è finalizzato ad abituare il balbuziente a parlare in modo ripetitivo
allorquando egli percepisce il sopraggiungere del blocco, favorendo in tal modo un cam bio di approccio, andare incontro piuttosto che evitare la difficoltà, e riducendo insieme la
condotta di sforzo anticipatorio. In sostanza la balbuzie volontaria deve convincere il balbuziente che può parlare con una certa fluenza anche se balbetta. Agiscono come supporto sintomatico una serie di altri interventi: le tecniche di cancellazione di Van Riper che
consistono nel fare attuare una serie di pause dopo il blocco e di ripetere il blocco deliberatamente, l'adattamento e il controllo della rapidità di Eisenson consistenti il primo in ripetute letture delle stesso materiale a conferma che la confidenza con la parola o situazione difficile determina rilassamento, il secondo nel rallentare l'eloquio in prossimità del bloc co dimostrando la non volontà di esitamento dello stesso.
Un originale apporto terapeutico è quello dello psicolinguista americano Leon Jakobovits
definito saziazione semantica.
Egli parte dall'assunto che la condotta del balbuziente è parzialmente causata o mantenuta da una risposta di significato affettivo negativo evocata da segnali linguistici semantici
determinati, così che la ripetuta presentazione delle stesse parole o situazioni, provocherà una saziazione semantica dei segnali negativi e delle situazioni associate. Elementi
centrali di questa tecnica, ripresa con alcune variazioni da Wolpe circa la saziazione degli
stati ansiogeni, sono la ripetuta immersione entro lo stesso quadro situazionale, la ripetuta presentazione di materiali verbali terrifici e il meccanismo di generalizzazione tra i materiali adoperati e situazioni similari, questi, tramite l'individuazione preventiva per ogni soggetto di aree semantiche a valenza negativa, determinano una sazietà semantica che opera con effetti desensibilizzanti e decondizionanti nonché un indebolimento della risposta
balbuziente. La saziazione semantica, così come la stessa psicoterapia, appare come un
processo di cambiamento di significato.
Queste considerazioni ci introducono all'esame del trattamento psicoanalitico della balbuzie. E' stato, credo, sufficientemente evidenziato il complesso di impulsi e desideri che
concorrono a determinare il background di contenuti istintuali che sottendono il blocco del
linguaggio, così come la balbuzie, generalmente, si configuri come tipica nevrosi di conversione. Impulsi fallici, impulsi orali e impulsi esibizionistici determinano la costruzione di
un Io balbuziente che, come l'Io del nevrotico coatto, deve combattere ora un Es riprovevole, ora un Super-Io sadico e arcaico a causa della regressione. Tutto questo determina
numerosi vantaggi secondari che fissano la balbuzie a livello di personalità prima che a li vello di sintomo. Compito primario dell'analisi è dunque quello di penetrare questo intrec cio di significati simbolici, talvolta inestricabile e doloroso, che, pertanto, emerge a fatica, e
solo a condizione che si combini con la determinazione del soggetto disturbato a districare
i meccanismi coattivi che lo conservano e lo alimentano. A questo si aggiunge che la terapia psicoanalitica per i balbuzienti, presenta una difficoltà reale nel senso che la funzione
comunicativa è disturbata e il parlare è lo strumento proprio della psicoanalisi; tuttavia
questo non è il solo ostacolo da superarsi. I balbuzienti, essendo regrediti al livello sadico
anale, presentano le stesse difficoltà nell'analisi dei nevrotici coatti. Quando il balbettare
rappresenta " uno "stato inibito" piuttosto semplice, la prognosi è più favorevole e si evidenziano casi di guarigione molto rapida mentre i casi profondamente pregenitali di balbu zie sono molto difficili da curare. Il trattamento psicoanalitico della balbuzie, come si è det to, presenta infatti le difficoltà caratteristiche di ogni nevrosi coatta o regressiva pregenita le; la regressione pregenitale rende il risultato più dubbio anche perché casi in cui la rigidi tà è stata abbattuta sono più favorevole dei casi, come quella del blocco dell'eloquio di
tipo tonico, che abbiano un equilibrio, artificiale e sovrastrutturale quanto si vuole, ma relativamente stabile e solidificato. Controindicazioni varie complicano, poi, il quadro dell'inter vento: una età adeguata a responsabilizzare il lavoro analitico, sfavorevoli condizioni economiche o contingenti, l'urgenza di guarire, gravi ed invalidanti disturbi della parola, come
già detto, mancanza di un Io realmente cooperante, utili secondari stratificati nel tempo.
Ecco perché il trattamento psicoanalitico della balbuzie dovrebbe comunque consigliare
una analisi di prova che consenta all'analista una diagnosi dinamica circa le reali motivazioni e possibilità della terapia in rapporto ai vissuti della personalità del balbuziente.
Nella psicoanalisi come nella psicoterapia la relazione tra terapeuta e paziente è il fattore
più importante poiché una interazione terapeutica non può che realizzarsi in base ad un
rapporto affettivo. Tale considerazione va rapportata al fatto che il balbuziente si presenta
di regola come un insicuro, un timido, un ansioso. Associata al disturbo vi è tutta una costellazione di atteggiamenti disturbati che tendono ad inibire l'iniziativa nel contesto socia le. Il rapporto terapeutico deve pertanto differire nettamente dalle esistenti relazioni quotidiane invalidanti e neutralizzanti, nelle prime sedute il balbuziente prova emozioni e sentimenti contrastanti nei confronti del terapeuta: paura e insicurezza nei bambini, scetticismo
e indifferenza negli adolescenti. La positiva percezione del rapporto è dunque condizione
essenziale per un favorevole decorso della terapia.
A prescindere dai differenti indirizzi, la terapia coi bambini o con gli adolescenti, come si è
detto, presenta interazioni, metodologie e significati diversi.
Nella terapia coi bambini l'orientamento generale è quello di non fissare limiti cronologici e,
in genere, di non trattare la balbuzie (primaria) direttamente. Circa l'età si è venuto elabo rando, con la pratica clinica e terapeutica, che il trattamento può attivarsi efficacemente
solo se il bambino è già scolarizzato. Normalmente durante le prime sedute si osservano
alcune situazioni tipiche: l'instabilità motoria è accentuata, più nei maschi che nelle femmine, la pressione dei genitori circa l'esito degli incontri è notevole, le resistenze differiscono ugualmente tra i due sessi nel senso che il bambino si mostra più motivato e autocritico
mentre la bambina appare passiva e desiderosa di non ammettere il suo disturbo. Gene ralmente la terapia continua, dopo una fase iniziale individuale, in gruppi di tre o quattro
bambini. Dinamiche evidenti e riscontrabili in questi gruppetti sono: la comparsa del lin guaggio lezioso con significato regressivo-difensivo e una maggiore resistenza delle bam bine a formare gruppi omogenei. Spesso lo psicodramma appare strumento utile alla
esplorazione dei vissuti del bambino: i temi e l'ambientazione, la fedeltà al testo con relati -
va aderenza ai ruoli, l'omogeneità affettiva dei gruppi di attori, l'autonoma distribuzione dei
ruoli da parte degli stessi bambini, consentono all'immaginazione di agire a livello collettivo. Il gioco, al contrario, ha una dimensione individuale e consente al bambino disturbato
nel linguaggio una espressione più immediata e incondizionata. Secondo la nota interpretazione di Melanie Klein infatti la terapia del gioco ha una stretta analogia con le libere associazioni del trattamento analitico classico.
Nella terapia con l'adolescente domina, come è facilmente prevedibile, una costellazione
di vissuti e percezioni fortemente invalidanti sul piano della socializzazione.
Il fissarsi della balbuzie a livello di personalità determina una serie di difficoltà circa la capacità di inserirsi nel gruppo e di prendere iniziative, verbali e non, con i coetanei e con gli
adulti in genere. Il timore di essere "scoperto" balbuziente lo isola e lo porta ad una evitazione sistematica e strutturata di tutte quelle situazioni che possono metterlo in difficoltà.
L'adolescente, che vive normalmente un periodo critico della sua esistenza, vive la balbuzie come un difetto fisico di fronte al quale la strategia relazionale "ottimale" è quella della
ritirata. Smantellare questa imago negativa e demotivante, penalizzante perché agisce a
livello dei vissuti profondi e stratificati, costituisce il compito primario di una adeguata psi coterapia che nei casi più gravi, si presenta lunga e difficile.
Il primo obiettivo del trattamento è senz'altro quello più difficile da realizzare: condurre il
balbuziente a parlare liberamente del proprio disturbo, il che equivale a riconoscerlo.
D'altra parte l'accettazione di se stesso è la condizione fondamentale di ogni tipo di adattamento e dunque dell'equilibrio e della maturità personale. Anche in questo caso smantellare manierismi, finzioni e mascheramenti rappresenta un impegno notevolissimo in quanto
l'alterazione di atteggiamenti e di percezioni di sé da parte del balbuziente non è facilmen te attuabile, ma determina effettivamente la tappa del trattamento, senza la quale non ci
può essere reale progresso terapeutico. La maggior parte degli autori che abbiamo analiz zato concorda, infatti, nel ritenere che la abituale condotta del balbuziente è responsabile
della perpetuazione del disturbo stesso. E' facilmente comprensibile, d'altro canto, come il
self-concept sia fortemente compromesso da una fluenza imperfetta: livello di aspirazione
personale, percezione di sé, iper-compensazione dei sentimenti di inferiorità , ideazione
fantastica e simbolica, iper-moralismo e un severissimo super-Io, costituiscono le componenti principali di questa personalità.Le prime sedute sono sempre scoraggianti perché rivelano un substrato di scetticismo e palese mancanza di fiducia nel trattamento. Il soggetto fatica a percepirsi come una persona normale e, deluso da una interazione sociale pe nosa e stressante, manifesta diffidenza e scarsa abitudine all'approfondimento della sua
personalità, sfuggendogli del tutto il legame profondo tra il sintomo e gli aspetti del suo atteggiamento comportamentale. Egli canalizza sul sintomo, assolutilizzandolo, tutti gli esiti
negativi della sua esistenza e le cause dei suoi insuccessi, rivelando un atteggiamento di
passività-staticità che rappresenta il vero ostacolo al cambiamento e al trattamento. Inoltre, affrontare una franca discussione sul proprio modo riparlare significa quasi sempre la
perdita di tutti i benefici secondari correlati al disturbo e, contemporaneamente, richiede
una presa di posizione di impegno attivo sul piano della socializzazione che costituisce, a
questo punto, la vera trincea esistenziale per il recupero della normalità. Spesso la rispo sta a tutto questo è la ritirata che porta il soggetto a disertare la terapia e, non di rado, ad
abbandonarla. Si può capire, allora, come al stesa figura del terapeuta e la sua capacità di
analisi e comunicazione profonda, rappresentino la condizione del buon esito della terapia:
al di là degli elementi tecnici dell'indirizzo terapeutico e della capacità interpretativa personale, la qualità del transfert costituisce la pietra angolare di questo tipo di trattamento.
Non riuscire a stabilire un transfert adeguato, sbagliando l'approccio e la comunicazione,
significa aggravare la percezione del disturbo, consolidare il vissuto negativo del balbuziente e compromettere definitivamente le possibilità di recupero. Questo risulta evidente
qualora si consideri che in terapia il balbuziente porta automaticamente uno dei suoi vis suti principali: la distorta percezione delle reazioni altrui. La paura di suscitare ilarità o di
non essere ascoltati e la paura di "stancare" l'ascoltatore devono essere riorientati dall'aiuto psicoterapeutico agendo su una realistica considerazione dell'altro in generale e della
sua reattività. In conclusione risulta evidente che il trattamento della balbuzie si presenta
complesso, lungo e disagevole, per tutti i motivi che abbiamo cercato di evidenziare. Non
ci stanchiamo infatti di ricordare che l'intrinseca specificità pluridimensionale del disturbo
aggrava e conferma, di per sé, i sintomi oltre che i vissuti, e che questi interagiscono, compenetrandosi vicendevolmente. In questa situazione di unicità l'obiettivo della terapia, lo ripetiamo, non può essere quello primario della normalizzazione dell'eloquio ma quello del
riaggiustamento globale della personalità e degli atteggiamenti del balbuziente, a partire
dal suo stesso riconoscimento. Non si può, dunque, non concordare, con quello che è forse il più importante patologo americano del linguaggio, il più volte citato Van Riper, quando afferma che "ciò che non può essere curato deve essere rafforzato". Basta questo,
probabilmente, per comprendere profondamente la natura della balbuzie.
Villa Benia: psico-logoterapia di gruppo residenziale
Il metodo rieducativo di ogni disturbo disfemico, conseguenza di una alterazione psichica
e fonica, non può che essere psicofonico. Su questa base concettuale e pratica, partendo
dalla premessa di una serie di successi conseguiti nell'arco di più di quarant'anni, l'Istituto
Villa Benia di Rapallo, vicino Genova, ha maturato un consolidato amalgama dei trattamenti psicologici e delle tecniche fonetiche, elaborato dal suo fondatore Vincenzo Mastrangeli, che viene generalmente ricordato come terapia psicofonica. Al contrario della
teoria, la terapia è condizionata dal caso singolo e dalla necessità di applicare positivamente al paziente il metodo più adatto per aiutarlo. Le differenze che esistono, infatti, nella
pratica metodologica trovano giustificazione nella casistica dei pazienti, nella diversa ma turazione cerebrale, nell'età e nella preparazione scolastica. Questo comporta una diffe renziazione della metodologia dell'Istituto che ha una applicazione per i maggiorenni, riservata ai soggetti che hanno concluso la scuola dell'obbligo, e per i minorenni da attuare
coi bambini in età scolare e , in alcune applicazioni sperimentali, anche in età pre-scolare.
Per i bambini più piccoli non è, ovviamente, possibile un intervento diretto ma solo una logoterapia di prevenzione per impedire un aggravamento della balbuzie primaria ed una
sua definitiva fissazione. A questo proposito nel trattamento dei bambini è spesso correlata
la presenza di un genitore, quando non di entrambi, al fine di sensibilizzarli, oltre che sulle
tecniche logoterapeutiche, anche sui meccanismi psicologici essenziali, per non aggravare la difficoltà di fluenza. La terapia, di gruppo e residenziale, si svolge a Villa Benia, un
complesso residenziale formato da una serie di piccole costruzioni situate nel verde in frazione S. Maria del Campo, sulle alture di Rapallo in direzione Ruta di Camogli. Essa viene
imposta ed applicata in tempi ciclici di dodici giorni, chiamati "corsi", al mattino dalle 8,30
alle 13,00 e al pomeriggio dalle 17,30 alle 20,00, che prevedono 66 ore di impegno verba le diretto, 6 ore al giorno di lezione, e altrettante ore di sollecitazioni indiretti come contatti
individuali e generici con gli altri soggetti presenti in sede, attività sociali, escursioni e gite
nei dintorni, conversazioni incidentali con i membri dell'equipe terapeutica. Differenze sostanziali esistono nel trattamento di gruppi di adulti o di bambini in quanto mentre l'impostazione fonetica e logopedistica è immutata, la parte psicoterapeutica viene proporzionata e orientata alle diverse possibilità di ricezione dei soggetti e ai vissuti tipici delle perso nalità interessate. In genere l'obiettivo dell'intervento psicologico è quello di approfondire
la conoscenza della personalità per gli adulti e la sicurizzazione emotiva per i bambini. Oltre alle lezioni e alle dinamiche relazionali che avvengono di regola in gruppo sono previ sti, come momenti essenziali dell'intero ciclo, alcuni colloqui formali, in numero di tre,
quello iniziale, alla presenza ei genitori per conoscere il contesto di partenza sul quale agire, quello intermedio, finalizzato all'analisi e allo sblocco in cui il soggetto partecipa attivamente maturando la necessità di una serie di cambiamenti formali e sostanziali e quello finale, utile a tracciare il programma del futuro in rapporto alla espansione della personalità.
A questi si aggiungono, come già detto, colloqui informali derivati dalla continua interazione tra ospiti e terapeuti, i quali, in qualche caso ex-balbuzienti e quindi in grado di testimo niare direttamente e autorevolmente con l'esempio la validità educativa dell'impostazione
rieducativa, alloggiano insieme ai pazienti e sono così in grado di stabilire rapidamente
con loro un rapporto privilegiato di fiducia e di intesa. Questo conferma uno dei pilastri della metodologia che oltre ad una serie di regole formali prevede un intervento spontaneo
anche la di fuori di schemi codificati.
Propedeutica alla trattazione di ogni altro aspetto della terapia di Villa Benia è la conoscenza della tecnica di rieducazione fonetica. Mutuata dal canto, questa tecnica consiste
nell'insegnamento e nella realizzazione concreta di quattro regole fondamentali: tenere la
bocca preventivamente aperta e distesa, prolungare la sillaba iniziale enfatizzando il suono vocalico e sorvolando quello consonantico, addolcire il suono delle consonanti presenti
nella frase, legare l'emissione delle parole tra di loro senza interruzioni. L'attuazione di
queste regole avviene in tre gradi distinti: quello della cantilena, mutuata dalla liason fran-
cese, che consiste in un salmodiare cadenzatissimo e profondamente innaturale, quello
della cadenza, in cui le code tonali e la salmodia appaiono attenuate, quello della dizione
quasi-normale, in cui sono avvertibili le sole quattro regole "purgate" degli elementi musicali. Crediamo di non sbagliare nel dire che, decisamente, questa tecnica e la sua attuazione in gruppo, con ripetuti esercizi e letture-ombra, costituisce il cardine della attività dell'Istituto. Non potrà pertanto sfuggire che la pratica attuazione di questa tecnica pone più
di un problema ad un soggetto afflitto proprio dal complesso di una fluenza non normale. Il
significato profondo di questa tecnica è tuttavia proprio quello di agire sul riconoscimento
del soggetto del proprio disturbo e quindi del proprio essere balbuziente, ostacolo fondamentale, come abbiamo visto al raggiungimento della normalità verbale. L'intervento psicoterapeutico è concentrato, almeno nei primi giorni, a rinforzare l'uso di questa tecnica e
a favorire la sua piena accettazione. E' un compito non facile perché più di una volta il
soggetto rifiuta sistematicamente l'adozione di questo metodo rimanendo in tal modo ai
margini del meccanismo terapeutico, oppure perché, al contrario, l'individuo abbraccia incondizionatamente l'uso di queste regole e la sua realizzazione più estrema sostituendo
un artificio, la balbuzie, con un altro, la tecnica. Tralasciando per il momento questi aspetti
generali sui quali torneremo in conclusione, riteniamo utile ora, al fine di una esatta comprensione dell'impostazione di Villa Benia passare alla esposizione dettagliata del programma terapeutico, giorno per giorno.
Il giorno dell'arrivo. Il giorno dell'arrivo è caratterizzato, in apparenza, da elementi esclusi vamente logistici anche se in realtà permette al soggetto di prendere confidenza con l'ambiente e i suoi significati e ai terapeuti di ricavare utili indicazioni. Come abbiamo già detto,
all'arrivo il soggetto, spesso accompagnato dai familiari, affronta il colloquio iniziale con te rapeuta incaricato di seguirlo e, successivamente, viene avviato alla sistemazione nelle residenze in camere di due o tre letti. Molto spesso questa operazione ed il modo in cui viene vissuta dal paziente forniscono utili indicazioni su atteggiamenti e aspetti della personalità, nonché sulle sue capacità di adattamento.
Primo giorno: Il primo giorno è fondamentale perché è quello della esposizione della tecnica fonatoria e della sua prima applicazione. Al mattino al pomeriggio le ore della giornata
sono caratterizzate dall'esercizio intensivo della tecnica e dall'atteggiamento che i pazienti
palesano nei confronti di tale impostazione verbale. Da questo momento in poi, i giorni
successivi sono organizzati con una serie di esercitazioni fonetiche e la trattazione in un
unico gruppo dei temi centrali del corso, al mattino, e, dopo alcune ore di riposo, il più del le volte utilizzate in attività ricreative o escursioni defatiganti nei dintorni, con altre esercitazioni e l'approfondimento degli aspetti trattati nella mattinata, entro gruppi più ristretti organizzati in base a criteri di omogeneità dall'equipe terapeutica, al pomeriggio.
Secondo giorno. Oltre alle ore di esercitazione fonetica al livello di cadenza salmodiale
con eventuali correzioni circa la interpretazione personale di ognuno, vengono affrontate le
prime lezioni sulle cause della balbuzie e sui tipici meccanismi della personalità balbuzien te. Vengono inoltre somministrati dei reattivi della personalità i cui risultati debbono però
essere valutati con molta elasticità a causa dell'atteggiamento fortemente proiettivo del
soggetto in questi primi giorni.
Terzo giorno. Continua l'esercitazione fonetica, ancora al ritmo di cantilena, mentre in
sede di grande gruppo vengono affrontate le prime classificazioni teoriche di balbuzie e al
pomeriggio vengono formati i gruppi ridotti che si manterranno inalterati fino alla fine del
corso. Questi hanno il compito di approfondire il tema della giornata e di sviluppare interazioni terapeutiche più profonde.
Quarto giorno. La tecnica e il suo esercizio passano gradualmente alla cadenza mentre si
affrontano i tempi più specifici della personalità balbuziente e dei conflitti tipici ad essa sot tesi.
Quinto e sesto giorno. Vengono presentati i temi del rapporto con la madre e col padre e,
contestualmente, prosegue l'esercitazione tecnica nella cadenza.
Settimo e ottavo giorno. Comincia la fase finale e scorrevole della tecnica, quella della
quasi normalità e prende l'avvio la trattazione dei progetti di costruzione di una positiva
immagine di sé, dell'abbandono delle abituali difese e dei vantaggi secondari, della accettazione dell'Io balbuziente e della definizione dei possibili obiettivi realizzabili.
Nono, decimo e undicesimo giorno. Prosegue l'esercitazione fonetica e viene presentato
l'uso dei mezzi di conferma, audiocassette e fascicoli con gli esercizi effettuati durante il
corso, utili a proseguire la rieducazione. Contestualmente si affrontano i temi del rientro a
casa, della nuova percezione di sé, del confronto con gli altri e del "ricominciare da capo"
a partire dalle nuove consapevolezze raggiunte.
Giorno della partenza. I terapeuti sono a disposizione delle famiglie eventualmente presenti per il commiato e le ultime indicazioni sul rientro nel proprio ambiente.
Su questo schema base si inseriscono differenze evidenti nella metodologia e nella termi nologia a seconda che il corso sia per bambini, e allora nel pomeriggio, particolarmente,
dominano le attività ludiche, di psicodramma, incontri tra terapeuti e genitori, il riposo, o
per adulti, e allora lo schema segue i contenuti già evidenziati.
Al di là di questa impostazione occorre tuttavia tracciare le linee di una serie di meccanismi, apparentemente secondari, che caratterizzano però fortemente tutta l'esperienza di
Villa Benia.
Innanzitutto l'intuizione geniale di questa istituzione è quella di riunire insieme soggetti motivati nella stessa direzione che fanno dell'isolamento e del pessimismo circa la possibilità
di socializzazione un caposaldo della loro esistenza. Trovarsi insieme ad altri balbuzienti
vuol dire trovarsi con persone che, vivendolo, capiscono immediatamente il travaglio e la
sofferenza che il disturbo comporta. Ciò che appare difficile abitualmente, e cioè essere
capiti dall'ambiente umano "normale" avviene ora in modo naturale e protetto; tutto questo
determina il formarsi di un senso di appartenenza e di solidarietà profonda che, di per sé,
agisce terapeuticamente. La consapevolezza di non essere soli a soffrire tutti i tormenti tipici dell'esperienza balbuziente riduce la risposta di isolamento e riavvia la reattività e l'iniziativa. Si apre il confronto e la verbalizzazione di quei vissuti rimasti a volte per anni nascosti nell'interiorità dell'animo del paziente: liberare la sofferenza ed essere finalmente
capiti nonché sentirsi integralmente accettati è una realtà nuova che nemmeno in famiglia
si era potuta esperire. Conseguenza di queste dinamiche è la possibilità finalmente reale
del riconoscimento e dell'accettazione del disturbo, condizione indispensabile per il suo
superamento. La stessa vita di relazione all'interno dell'Istituto risente allora di questi cambianti e, proprio la convivenza stretta tra i membri del gruppo di pazienti e i membri dell'equipe terapeutica, libera l'interazione sociale che era stata una delle componenti fino ad
allora più inibite. Questo consente osservazioni cliniche privilegiate e interventi mirati su
una serie di transfert reali, capaci di sbloccare relazioni e atteggiamenti consolidati nel
tempo. La fiducia rinata si esprime anche nelle relazioni esterne alla terapia; nelle gite e
nei contatti umani occasionali in paese e durante le uscite diurne i pazienti sperimentano
la nuova impostazione verbale e la reattività della gente, rinforzati dalla complicità del
gruppo, la cui solidarietà ammortizza gli eventuali insuccessi. A ciò si aggiunge l'atmosfera rilassante e tranquilla del luogo che facilita un contatto più sereno con se stesso e un
approfondimento più autentico.
Naturalmente a fronte di tali vantaggi si evidenziano limiti strutturali che, tuttavia, non infi ciano la validità di questa esperienza. La tecnica fonatoria, innanzitutto, si presenta difficile
da realizzarsi anche all'interno delle stesse ore di esercitazione; le sue cadenze innaturali
e lo sforzo profondo per interpretare un ritmo verbale, almeno inizialmente artificiale e manieristico, scoraggiano la sua attuazione spesso entro gli stessi limiti del corso. L'esercizio
logoterapeutico lascia, poi, rapidamente spazio alla ritrovata energia relazionale compromettendo l'acquisizione di quei meccanismi verbali che risultano efficaci solo se esercitati
con una continuità certosina. Lo stesso vissuto di queste verbalizzazioni è fortemente
compromesso dai conflitti di profondità che determinano in realtà la balbuzie; paradossal-
mente nel momento in cui il paziente accettasse incondizionatamente la tecnica fonatoria
e la esprimesse liberamente non avrebbe più ragione di balbettare essendo la tecnica
semplicemente un "balbettare meglio", un sostituto del blocco, un parlare in un modo comunque non proprio, sentito come estraneo alla propria personalità. Il ritorno alla propria
realtà ambientale, lontano dalla serenità protetta dell'Istituto determina inoltre uno stacco
brusco e repentino che vanifica non di rado i vissuti positivi del ciclo terapeutico. Anche il
lavoro più squisitamente psicoterapeutico che l'equipe può attuare in pochi colloqui non
raggiunge un adeguato livello di profondità e di efficacia anche se risulta, tuttavia, utile a
sbloccare risposte e costellazioni comportamentali intorpidite da anni di passività. I risultati
migliori, a nostro parere, si ottengono nei bambini della terza infanzia, già maturi per capire l'importanza dell'intervento senza tuttavia drammatizzarlo eccessivamente, mentre i
bambini piccoli ancora totalmente inconsapevoli o gli adolescenti e, maggiormente, gli
adulti necessitano, per il buon esito della terapia, di una applicazione e di una determina zione non comuni. Ciò non toglie che in tanti anni una moltitudine di balbuzienti abbiano ritrovato se non la assoluta normalizzazione della parola, che pure avviene in una percen tuale significativa di casi, almeno una consapevolezza nuova circa la propria dimensione
personale.
L'esperienza è tuttavia certamente positiva e senz'altro consigliabile, anche ripetuta a distanza di mesi o anni, poiché al di là dei limiti evidenziati, agisce in modo profondo sul car dine dell'azione di riabilitazione, il riconoscimento e l'accettazione del proprio essere balbuziente. Non vi è dubbio che attraverso la accettazione di un lungo e non sempre facile
percorso di approfondimento e ri-orientamento personale, il ciclo terapeutico di Villa Benia
può schiudere, in tempi significativamente contenuti, prospettive esistenziali che difficilmente potrebbero realizzarsi spontaneamente.
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