Alessia Pasquali Dottorato in Scienze Umane, XXII Ciclo Tutor: Annalisa Coliva Università di Modena e Reggio Emilia Relazione sull’attività del secondo anno di Dottorato 1. Titolo provvisorio del progetto: Interpretare immaginando. 2. Area di ricerca: filosofia del linguaggio, filosofia della mente, psicologia cognitiva. 3. Stato attuale del progetto di ricerca In questo secondo anno di dottorato il mio obiettivo principale è stato quello di portare a termine la parte iniziale della tesi e di individuarne il proseguimento e la struttura generale. L’oggetto di ricerca della mia tesi, in generale, è un problema noto in Filosofia della mente sotto il nome di problema delle menti altrui, a cui si possono trovare risposte valide studiando e analizzando i meccanismi e i processi attraverso i quali gli esseri umani si comprendono vicendevolmente e interpretano la lingua, le credenze e i desideri dei loro simili. Per quanto riguarda la struttura generale, la tesi di ricerca consisterà di tre differenti capitoli, strettamente connessi l’uno all’altro: il primo è già stato terminato, il secondo è in fase d’elaborazione e il terzo verterà su un argomento affrontato già più volte fin dalla tesi di laurea ma da sviluppare in maniera più approfondita. Come risulta dalla relazione del primo anno, la mia ricerca si sviluppa a partire dalla filosofia di Wittgenstein e, in particolare, si concentra sull’immaginazione e sull’importante ruolo che essa svolge nel pensiero di questo filosofo. Uno dei motivi principali per cui ho scelto Wittgenstein è proprio l’importanza che egli attribuisce all’immaginazione. Wittgenstein, infatti, utilizza l’immaginazione come un metodo di ricerca concettuale attraverso il quale identificare la vera natura dei nostri concetti. La ricerca di Wittgenstein è quindi più improntata sull’identificazione delle nostre strutture concettuali piuttosto che dei processi d’immedesimazione intersoggettivi, ma l’uso che egli fa dell’immaginazione risulta molto utile anche ai fini della mia ricerca, in quanto avere una chiara rappresentazione dei nostri concetti risulta fondamentale anche per capire i limiti e le possibilità di condivisione reciproca di questi. Il metodo utilizzato da Wittgenstein consiste semplicemente nel confronto continuo tra i concetti di cui solitamente facciamo uso nella vita quotidiana e le possibili formazioni che questi avrebbero potuto o potrebbero avere se gli esseri umani si fossero sviluppati in un'altra maniera o se il loro modo di rapportarsi al mondo, cambiasse tutto d’un tratto. Il tentativo di Wittgenstein è infatti quello di caratterizzare l’attività concettuale degli esseri umani tramite paragoni basati sul contrasto tra concetti diversi piuttosto che sulla loro analogia: non è solo attraverso le caratteristiche comuni agli uomini che si può identificare il modo in cui questi ragionano, ma anche tramite le differenze e il confronto con esempi di formazioni concettuali completamente diverse. Per questo motivo, Wittgenstein chiede costantemente ai suoi lettori d’immaginare concetti e pratiche radicalmente diversi dai propri, come per esempio, una comunità che calcolasse il prezzo del legname a seconda dell’area occupata dalla catasta di legno, piuttosto che dal peso, (BGM, I, 149) o un uomo che credesse che la terra esiste da cinque minuti (UG, 92). Indubbiamente, il tentativo di dare un senso a questi esempi, dal nostro punto di vista, non può che fallire, ed è proprio questo che Wittgenstein vuole mettere in luce nella sua ricerca attraverso l’uso dell’immaginazione. Ciò che egli sostiene, e che io condivido pienamente, è che, la nostra forma di vita, come lui la definisce, è tale perché fin dalla nascita seguiamo naturalmente, attraverso il nostro stesso agire, certe pratiche e certi giochi linguistici, che, nel loro susseguirsi, ci caratterizzano e che, nel loro complesso, costituiscono l’insieme dei nostri concetti e determinano l’unica visione del mondo che siamo in grado di riconoscere. Nell’avere certi concetti e nel seguire certe regole veniamo inevitabilmente consegnati a un sistema concettuale che determina la nostra visione del mondo e limita, contemporaneamente, anche la nostra immaginazione. D’altro canto, l’immaginazione può invece dimostrarsi uno strumento utile e flessibile per comprendere i diversi punti di vista che gli esseri umani possono avere pur condividendo la stessa forma di vita; mi riferisco, in particolare, al confronto tra individui appartenenti a culture diverse e, più in generale, alla condivisione di pensieri tra due esseri umani fisicamente distinti. Per questo motivo, l’ultima parte del capitolo è dedicata al rapporto tra il pensiero di Wittgenstein e l’antropologia. La struttura del primo capitolo della mia tesi è dunque la seguente: L’immaginazione in Wittgenstein: 1.1 Una nuova concezione del linguaggio p. 2; 1.2 La filosofia come descrizione p. 6; 1.3 La funzione terapeutica della filosofia p. 13; 1.4 Seguire una regola p. 22; 1.5 I limiti dell’immaginazione sono i limiti del mio mondo? p. 30; 1.6 Wittgenstein e l’antropologia: la forma di vita p. 40. Il secondo capitolo è invece dedicato all’analisi di alcune teorie psicologiche, filosofiche e neurofisiologiche, raggruppate sotto il nome di teorie della mente, riguardanti la capacità degli esseri umani di comprendere reciprocamente le proprie intenzioni, desideri e le credenze oltre che le proprie emozioni e le azioni. Una volta chiarito se e come mai la nostra immaginazione è limitata dall’appartenenza a una certa forma di vita, il mio obiettivo sarà infatti quello d’investigare i meccanismi attraverso i quali, all’interno di questa particolare forma di vita, avviene la comprensione e l’interpretazione intersoggettiva. L’interesse per questi temi è il motivo per cui mi trovo, da Ottobre 2008, all’Università di Cambridge come Visiting Student, dove rimarrò fino a Marzo 2009 per concludere le mie ricerche su questa parte. Qui, oltre ad avere la possibilità di seguire seminari e lezioni indubbiamente stimolanti e di alto livello, ho l’opportunità di interagire e discutere di questi argomenti con la Professoressa Jane Heal, la quale contribuì, nel 1986, con il saggio “Replication and Functionalism” ad aprire il dibattito tra le diverse teorie della mente, e che può essere ritenuta una delle massime esperte su tali temi. Il dibattito vede come protagonisti, da una parte, i sostenitori della teoria della teoria (Premack, Woodruff, Gopnik, Meltzoff, Wimmer, Perner) e, dall’altra, i sostenitori della teoria della simulazione (Heal, Goldman, Gordon, Currie). Secondo i primi, gli esseri umani possiedono una capacità innata e naturale sia di interpretare le azioni e le intenzioni degli altri attraverso l’applicazione di teorie che, di volta in volta, vengono modificate in base all’esperienza. Uno delle metafore più famose per spiegare la teoria è il paragone tra il bambino e lo scienziato utilizzato da Gopnik and Meltzoff (1997), secondo cui l’attività mentale del bambino è paragonabile a quella dello scienziato poiché entrambi formano teorie sul mondo e ne ipotizzano la validità, per poi successivamente verificarle e modificarle a seconda dei risultati che ottengono. I sostenitori della teoria della simulazione sostengono invece che è grazie alla capacità di empatizzare con l’altro e di simulare le sue azioni e le sue intenzioni che possiamo immedesimarci in lui e guardare il mondo dal suo punto di vista. Fin dalla nascita, infatti, mostriamo la capacità di simulare le azioni altrui imitando le espressioni e i movimenti degli adulti; lo stesso processo ha luogo in età adulta e coinvolge, oltre che la capacità di simulare le azioni, l’abilità nel mettersi nei panni altrui e riconoscerne credenze e desideri. Personalmente, da un lato, non trovo convincente l’idea del possesso di una teoria da parte degli esseri umani nel processo di comprensione intersoggettiva, ma dall’altro condivido con Jane Heal l’idea che una simulazione genuina difficilmente possa avere luogo poiché si rivelerebbe una semplice proiezione delle nostre credenze su quelle altrui. Come Heal sostiene, è più sensato parlare di co-cognizione e porre l’accento sulla nozione di razionalità, piuttosto che sulla capacità di simulare l’altro. Ciò che ci permette di comprendere le menti altrui diventa allora il possesso comune della razionalità, intesa come la capacità di ragionare e di derivare conclusioni allo stesso modo e di rapportarci concettualmente al mondo in modo simile. Il mio scopo in questo capitolo sarà dunque quello di dare una panoramica del dibattito tra le diverse teorie della mente e di appoggiare quest’ultima posizione, giustificandone i motivi a favore difendendola dalle possibili obiezioni e offrendone un’analisi dal punto di vista wittgensteiniano. Il terzo capitolo si svilupperà anch’esso intorno alla nozione di razionalità, in particolare, sul ruolo che essa svolge all’interno della teoria dell’interpretazione di Donald Davidson nella versione che egli offre del Principio di Carità. Essendo un tema che ho già trattato in parte durante la tesi di laurea e che l’anno passato è stato oggetto della relazione che ho presentato XIV Congresso della Società Italiana di Filosofia del Linguaggio, ritengo di avere già una certa conoscenza dell’argomento. D’altra parte, ritengo opportuno approfondirlo e inserirlo nella tesi di dottorato perché credo che la nozione di razionalità giochi un ruolo importante nella comprensione intersoggettiva e poiché ritengo che, tuttavia, non ne sia ancora stata raggiunta una comprensione chiara e utile ai fini della formazione di una valida teoria dell’interpretazione. Se davvero ciò che ci permette di condividere credenze sul mondo e di interpretarci reciprocamente è la condivisione di determinati principi universali secondo i quali ragioniamo e categorizziamo la realtà che ci circonda, il mio interesse sarà quello di identificare tali principi e di analizzarli sia alla luce delle conclusioni precedentemente ottenute sia alla luce della teoria di Davidson. Davidson ritiene, infatti, che la compatibilità e, quindi, la condivisibilità delle nostre credenze derivi dal fatto che facciamo tutti parti di uno stesso mondo e che ci relazioniamo ad esso e ai nostri simili, in termini di percezioni, reazioni e concettualizzazioni, in modo simile. Personalmente ritengo che non sia la compatibilità tra credenze il requisito principale per riconoscere un individuo come razionale, quanto piuttosto il possesso di una rete di credenze e desideri tra loro connessi. Tale critica sarà l’oggetto principale della mia discussione. 4. Attività svolte In conclusione, ci tengo a elencare alcune importanti attività svolte durante quest’anno che ritengo siano state stimolanti e che mi abbiano aiutato a proseguire nel mio lavoro di ricerca. - Maggio 2008: “Wittgenstein Uncertainties”. Convegno organizzato da A. Coliva e P. Leonardi, Modena, Dip. di Scienze del Linguaggio e della Cultura – Bologna, Dip. Di Scienze della Comunicazione, 9-10 Maggio 2008. - Giugno 2008: Siena Summer School in Mind&Language su “Teorie del riferimento”, Siena, Collegio Santa Chiara, 9-10-11-12 Giugno 2008. - Giugno 2008: Archè Summer School in “Language, Epistemology and Methodology”, St. Andrews, Scotland, 30 Giugno-1-2-3-4-5- Luglio 2008 - Ottobre 2008- Marzo 2009: Visiting Student, University of Cambridge