appunti (in bozza) di diritto penale (da rivedere)

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APPUNTI (IN BOZZA) DI DIRITTO PENALE (DA RIVEDERE)
DIRITTO PENALE. PARTE GENERALE[1]
PARTE PRIMA: DIRITTO PENALE E LEGGE PENALE
CAP. 1. CARATTERISTICHE E FUNZIONI DEL DIRITTO PENALE
PREMESSA
Definizione del diritto penale: (reato, sanzioni penali, leggi penali).
I tre principi-cardine di un moderno diritto penale:
1)
principio cogitationis poenam nemo patitur: c.d. principio di materialità;
2)
c.d. principio di necessaria lesività o offensività;
c.d. principio di colpevolezza.
Necessità del ricorso allo strumento penale: come strumento di tutela, cioè ricorso alla sanzione penale, loro
attitudine preventiva sotto duplice forma:
1)
prevenzione c.d. generale;
2)
prevenzione c.d. speciale.
FUNZIONI DI TUTELA DEL DIRITTO PENALE: LA PROTEZIONE DEI BENI GIURIDICI
Il diritto penale come extrema ratio
Carattere "dinamico" dei beni giuridici: bene giuridico come "unità di funzione" il che pone in evidenza la
specifica funzione strumentale nel processo di interazione sociale (...interesse idoneo a realizzare un
determinato scopo utile per il sistema sociale o parte di esso). La tutela penale è spesso "frammentaria" in
quanto si riferisce solo a determinate forme di aggressione al bene assunto ad oggetto di protezione.
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Ascendenze illuministiche del principio della protezione dei beni giuridici: limiti della "stretta necessità" per cui
la sanzione punitiva viene giustificata soltanto nei casi in cui il ricorso ad essa appare indispensabile[2]:
concezione di fondo risalente al Beccaria, Feuerbach.
Di qui l'importanza per la politica del diritto circa la teoria del bene giuridico[3] ( peraltro v'è la difficoltà
concettuale di determinare i "beni" assumibili a oggetto di tutela penale).
Genesi storica della categoria "bene giuridico". Birnbaum (scritto del 1834: critica la concezione
proto-illuministica del reato come "violazione di un diritto soggettivo": ambiguità).
V.Liszt e l'idea di "scopo" nel diritto penale già teorizzata da Jhering[4]: il diritto penale serve alla
soddisfazione di bisogni sociali che si impongono come dati preesistenti alla disciplina giuridica, si propone un
concetto materiale di bene giuridico basato su interessi "preesistenti" alla valutazione del legislatore (realtà
sociale=disciplina normativa): "il contenuto antisociale dell'illecito è indipendente dal suo giusto
apprezzamento da parte del legislatore. La norma giuridica lo trova, non lo crea". Limite: non riesce a
prospettare precisi criteri per selezionare i dati "pregiuridici" per materializzare il concetto di bene giuridico[5].
Il bene giuridico nella concezione di Arturo Rocco. (scritto del 1913) è uno dei massimi propugnatori
dell'indirizzo c.d. tecnico-giuridico nello studio del diritto penale[6]. Il concetto di bene coincide con l'oggetto di
tutela di una norma già emanata! Triplice distinzione[7]: 1) oggetto giuridico formale (diritto dello Stato
all'obbedienza proprie norme da parte cittadini); 2) oggetto giuridico sostanziale generico (interesse dello Stato
alla sicurezza della propria esistenza..); 3) oggetto giuridico sostanziale specifico (bene o interesse di
pertinenza del soggetto passivo del reato). L'impostazione è sintomatica del processo di "formalizzazione" del
bene[8].
La concezione c.d. metodologica. Origini dottrina tedesca anni '30, riproposta da Antolisei, Pagliaro.
Pregiudiziale disinteresse del sostrato materiale del bene giuridico, che viene ad essere quindi ridimensionato
nel suo ruolo autonomo: assumono invece importanza altri elementi, quali la modalità della condotta
aggressiva, le caratteristiche dell'elemento soggettivo, la qualità dei motivi a delinquere, le considerazioni sulla
funzione della pena, eccetera. Il bene giuridico finisce con ridursi ad una mera formula abbreviatrice del più
ampio concetto di scopo della norma penale che è possibile individuare soltanto attraverso una attenta attività
interpretativa: il bene giuridico è allora il risultato di una interpretazione cosiddetta di scopo (ratio legis?!).
Concezione "nazionalsocialista" ed erosione della teoria del bene giuridico.
Principio di protezione dei beni giuridici e Stato democratico. Ripensamento del bene giuridico, aggiornamento
della concezione di Liszt.
La concezione "liberale". Possono assurgere "legittimamente" a oggetto di tutela soltanto entità dotate di
sostrato reale, come tali materialmente ledibili e corrispondenti a valori suscettivi di consenso diffuso.
Bene giuridico e Costituzione. Teoria costituzionalmente orientata del bene giuridico: il criterio di riferimento è
la Costituzione nella scelta di ciò che può essere legittimamente assurgere a reato. Principio che ammette il
ricorso allo strumento penale nei soli casi di c.d. "stretta necessità":
a)
l'art.25, comma 2° Cost.: solo il Parlamento o il Governo con d.l. o d.lgs....
b)
l'art.27, comma 1° Cost.: principio del carattere personale della responsabilità penale.....
c)
l'art.27, comma 3° Cost.: la pena ha una funzione rieducativa....
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d)
l'art.13 Cost. carattere inviolabile della libertà personale....
e)
gli artt. 2 e 3 Cost. (valori protetti da questi articoli) .........
Beni di rilevanza costituzionale implicita. Nel duplice senso:
1)
ove più beni sono avvinti da un "nesso funzionale di tutela" (es. "fede pubblica" privo di dignità
costituzionale esplicita può essere strumentale rispetto alla tutela altri beni costituzionali come patrimonio,
economia, amministrazione giustizia);
2)
altri beni che rientrano nel sistema sociale dei valori da sfondo alla dimensione effettuale
dell'ordinamento costituzionale: esempio la "pietà dei defunti".
Concezione costituzionalmente orientata e nuove esigenze di tutela.[9]
La rilevanza costituzionale del bene come criterio necessario ma non sufficiente all'attività di penalizzazione. È
soltanto un criterio di legittimazione negativa dell'intervento punitivo (è delimitata l'area di ciò che non potrebbe
costituzionalmente mai assurgere a materia di reato). Ma ove si accerti che il bene è sussumibile nell'ambito
dei valori costituzionali, la scelta del "se e come punire" è condizionata dalla presenza di ulteriori fattori:
a)
criteri della sussidiarietà (la tutela del bene è assicurabile mediante tecniche sanzionatorie extrapenali?)
b) criteri della c.d. meritevolezza della pena (il grado dell'aggressione al bene raggiunge una soglia tale da
far apparire inevitabile il ricorso alla sanzione punitiva?)
Teoria costituzionale del bene giuridico e ordinamento vigente. Il problema della compatibilità con la
Costituzione delle figure di reato contenute nell'attuale ordinamento può porsi sotto un duplice angolo visuale:
1)
si tratta di fattispecie poste a tutela di un bene sufficientemente definito (e in armonia con i valori
costituzionali)?
2)
Controllare conformità ai principi costituzionali delle tecniche di tutela adottate dal legislatore per
garantire la salvaguardia del bene stesso.
Reati privi di bene giuridico? Reati senza bene giuridico (es. pornografia, bestemmia, giuoco d'azzardo,
eccetera).
Lo stato pluralistico, conforme a Costituzione, non è legittimato a imporre ai cittadini adulti una determinata
concezione morale.
L'individuazione del bene giuridico quale entità specifica e facilmente afferrabile, è sempre meno agevole
quando si passi alle fattispecie finalizzate alla protezione di interessi "superindividuali" o ad ampio raggio (es.
economia pubblica, ambiente[10], territorio, interessi diffusi,ecc.)[11]. Il problema si sposta alla corretta tecnica
di strutturazione delle fattispecie incriminatici.
Problematici, sotto il profilo dell'enucleazione di uno specifico bene giuridico quale oggetto di tutela, possono
apparire i delitti omissivi c.d. propri, consistenti nella mera inosservanza di un obbligo di condotta penalmente
sanzionato: tra questi v'è infatti anche quello posto a tutela di un rilevante interesse dello Stato alla percezione
dei tributi.
Tecniche incriminatici costituzionalmente dubbie. Problemi di costituzionalità sui seguenti modelli criminosi:
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a)
reati di sospetto: modello che si discosta maggiormente dal principio di offensività, giustificazione
preventiva (leva sulla presunta pericolosità soggettiva dell'agente);
b)
reati c.d. ostativi: si parla di delitti-ostacolo (es. incriminazione del possesso di sostanze stupefacenti
quale momento prodromico dello spaccio).
c)
Reati di pericolo presunto (in senso stretto):
d)
Delitti di attentato
e)
Reati a dolo specifico con condotta neutra:assume rilevanza penale per il fine soggettivamente
perseguito (dolo specifico) dell'agente, es. reato di associazione sovversiva (art.270).
Teoria del bene giuridico e sindacato di legittimità costituzionale. (art.28 Legge n.87/1953). Il modello di
controllo di legittimità prevalentemente adottato si incentra sul rapporto tra la norma penale denunciata e
l'esercizio di libertà costituzionalmente garantite, tipologie:
a)
sentenze di rigetto: vedi fattispecie di matrice "autoritaria" del codice Rocco;
b) sentenze "manipolative" del bene protetto: paradigmatiche le pronunce "interpretative" in tema di delitti di
religione e di delitti di sciopero.
c)
sentenze di accoglimento: es. reato di eccitamento all'emigrazione per contrasto art.35,4° Cost.
Concezione costituzionalmente orientata a direttive programmatiche di tutela. Vedi depenalizzazione dei cd.
illeciti bagatellari. Vedi salvaguardia di valori collettivi, es. ambiente, che la coscienza sociale odierna vorrebbe
più incisamente protetti.
Funzione "propulsiva" del diritto penale?
Ridimensionamento del ruolo del bene giuridico? Orientamenti teorici:
a)
Hans Welzel: compito primario del D.P. formare gli atteggiamenti etico-sociali dei cittadini, al fine di
favorirne disponibilità psicologica a rispettare le leggi;
b)
Apporti sociologici: Amelung[12], Jakobs[13] per trapiantare nel D.P. la "teoria sistemica" di Luhmann?
c)
Hassemer: integrazione tra teoria del bene giuridico e quella sociologica.
I PRINCIPI DI "SUSSIDIARIETA' " E DI "MERITEVOLEZZA DELLA PENA"
Il principio di "sussidiarietà" (fondamentale criterio di politica criminale) idea del D.P. come extrema ratio, il
ricorso alla pena statuale è giustificato non solo come necessario ma se anche conforme allo scopo: quindi è
una specificazione del più generale principio di proporzione.
Le due accezioni del principio di sussidiarietà:
1)
ristretta: tutela già ottenibile con sanzioni extrapenali? A parità si opta per lo strumento che comprime
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meno i diritti del singolo (jure est civiliter utendum): utilità pratica del ricorso alla pena;
2)
ampia: sanzione (da preferire) con funzione "stigmatizzante" propria della pena utile per riprovazione
comportamento criminoso e riaffermazione importanza bene tutelato: capacità di incidere sugli atteggiamenti
etico-sociali dei cittadini.
Il principio della "meritevolezza di pena". La sanzione penale deve essere applicata solo nei casi in cui
l'aggressione ad un bene degno di tutela raggiunga un tale livello di gravità da risultare intollerabile[14].
IL PRINCIPIO DI FRAMMENTARIETA'
I tre livelli del principio di frammentarietà:
1) alcune fattispecie di reato tutelano il bene oggetto di protezione non contro ogni aggressione proveniente
da terzi, ma soltanto contro specifiche forme di aggressione (es. non semplici violazioni contrattuali,
sottrazione materiale della cosa nel furto o l'induzione in errore nella truffa).
2) La sfera di ciò che rileva penalmente è molto più limitata rispetto alla sfera di ciò che viene qualificato
"antigiuridico" alla stregua dell'intero ordinamento (es. violazioni contrattuali illecite per il diritto civile, di regola
irrilevanti per il penale).
3)
L'area del penalmente rilevante non coincide con quella di ciò che è moralmente riprovevole (es.
omosessualità).
Rapporto osmotico fra il fatto ed il soggetto nel quale il principio di frammentarietà funge tendenzialmente da
antidoto.
Obiezioni in una prospettiva di prevenzione generale: la frammentarietà della tutela contrasterebbe con
l'esigenza di reprimere tutti i comportamenti capaci di ledere il bene protetto, anche se non formalmente
tipizzati[15]. Interpretazioni estensive? Vedi dilatazione significato termine "aiuto" nel reato di favoreggiamento
personale art.378[16].
Dal punto di vista della prevenzione speciale la frammentarietà contrasta con l'esigenza di risocializzazione
che è l'obiettivo dell'esecuzione della pena.
IL PRINCIPIO DI "AUTONOMIA".
Karl Binding funzione secondaria o accessoria e sanzionatoria del D.P.: cioè la sua funzione specifica
consisterebbe nel rafforzare colla propria sanzione i precetti e le sanzioni degli altri rami del diritto. Anche
Grispigni il D.P: ha un carattere ulteriormente sanzionatorio.
Secondarietà o accessorietà non è altro che un equivalente linguistico della sussidiarietà del diritto penale.
Altri profili di autonomia: l'illecito penale si caratterizza come illecito di modalità di lesione.
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PARTIZIONI DEL DIRITTO PENALE
Parte generale e parte speciale.
La parte speciale è organizzata secondo un criterio sistematico che fa capo al concetto di bene giuridico di
categoria.
CARATTERISTICHE DEL CODICE ROCCO
CODICE ROCCO, INTERVENTI RIFORMATORI E LEGISLAZIONE SPECIALE
Ruolo del codice Rocco nel sistema penale complessivo.
I principali interventi riformatori.
Con D.L.L. 01/09/1944, n.288 sono state reintrodotte: a) la scriminante della reazione legittima del cittadino
agli atti arbitrari del pubblico ufficiale; la c.d. exceptio veritatis; c) le attenuanti generiche e cioè quelle non
tipizzate che spetta al giudice individuare (umanizzazione della condanna adeguandola il più possibile alle
peculiarità della vicenda concreta).
Con D.L.L. 10/08/1944, n.222 abolita la pena di morte (poi art.27, comma 4° Cost.).
Con Legge 04 marzo 1958, n.127 riformata disciplina penale della responsabilità per i reati commessi col
mezzo della stampa.
Eccetera
La depenalizzazione. Preoccupazione di combattere l'inflazione del sistema penale: Leggi 03 maggio 1967,
n.317 e Legge 24 dicembre 1975, n.706 depenalizzazione delle contravvenzioni punite con la sola pena
dell'ammenda e previste nella maggior parte dei casi dalle leggi speciali.
Legge 24 novembre 1981, n.689:
il legislatore ha introdotto un sistema di principi destinati a costituire la "parte generale" sia dell'illecito
depenalizzato, sia dell'illecito originariamente amministrativo (con la sola esclusione dell'illecito disciplinare);
il legislatore ha esteso la depenalizzazione agli illeciti puniti con la sola pena della multa, così investendo
anche ipotesi "delittuose" contenute nel C.P.;
introduce sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi (semidetenzione, libertà controllata, pena
pecuniaria) e detta una nuova disciplina della pena pecuniaria e modifica in maniera significativa le pene
accessorie.
Critiche di fondo: il riferimento al criterio della sanzione comminata,come parametro selettivo del processo di
depenalizzazione, appare troppo formale perché trascura l'aspetto sostanziale e ben più decisivo connesso
alla natura e al rango dei beni protetti dalle fattispecie da depenalizzare.
La c.d. novella del 1974. Ovvero D.L. 11/04/1974, n.99 convertito nella Legge 07 giugno 1974, n.220 con la
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quale si introducono:
a) la possibilità del giudizio di comparazione tra tutte le circostanze aggravanti, comunque disciplinate, e
tutte le circostanze attenuanti;
b)
il cumulo giuridico delle pene per il concorso formale di reati;
c)
l'estensione della disciplina del reato continuato fino a comprendervi anche violazioni di "diverse"
disposizioni di legge;
d)
la trasformazione dell'aggravante della recidiva da obbligatoria in facoltativa e la mitigazione dei suoi
effetti;
e)
l'estensione dei limiti della sospensione condizionale della pena anche per il caso di seconda condanna.
Riserve: mal si sovrappone all'originario impianto codicistico. Demanda al giudice (dilatandone il potere
discrezionale) la soluzione di problemi di politica criminale.
Il nuovo ordinamento penitenziario. Legge 26/07/1975, n.354.
Introduzione delle sanzioni c.d. alternative (affidamento in prova, semilibertà e liberazione anticipata), intese a
promuovere la rieducazione secondo forme di trattamento in libertà o proiettate verso la libertà.
Altra miniriforma dell'ordinamento nell'ottobre 1986.
La nuova disciplina delle sanzioni
Gli interventi legislativi sulla parte speciale. Creazione di nuove figure di reato (art.270 bis) con funzione
simbolico-espressiva. Legislazione c.d. dell'emergenza: tendenziale "soggettivizzazione" delle fattispecie
incriminatici, eccetera.
Parte speciale del codice e legislazione penale complementare. Non trova ancora collocazione nel codice,
come corpus dei reati fondamentali, la tutela dei beni collettivi dotati di particolare rilevanza sociale: es. leggi
speciali in materia di tutela dell'ambiente. Ma vi sono anche ragioni di tecnica legislativa: si recide il rapporto
con le disposizioni extra-penali spesso presupposte dalla tutela penale (es. disposizioni amministrative
richiamate dalle norme penali in materia di inquinamento) onde potrebbe risultarne pregiudicata la stessa
comprensibilità della disposizione coinvolta.
Cap. 2. LA FUNZIONE DI GARANZIA DELLA LEGGE PENALE
PREMESSE GENERALI
Il principio di legalità:origini storiche
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Il pensiero illuministico
La giustificazione del principio di legalità nella impostazione di A.Feuerbach: brocardo latino: nullum crimen,
nulla poena sine lege[17], raccordato concettualmente al problema del fondamento della pena, ravvisato nella
"prevenzione generale" attuata mediante coazione psicologica.
Basi normative del principio di legalità.[18]
Art.25, comma 2° Cost. "nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore
prima del fatto commesso" a sua volta art.1 C.P. "Nessuno può essere punito per un fatto che non sia
espressamente preveduto come reato dalla legge, né con pene che non siano da essa stabilite": medesima
estensione del principio di legalità[19]? Si.
art.7 Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali del 04
novembre 1950.
I quattro sotto-principi in cui si articola il principio di legalità:
1)
la riserva di legge;
2)
la tassatività o sufficiente determinatezza della fattispecie penale;
3)
l'irretroattività della legge penale;
4)
il divieto di analogia in materia penale.
LA RISERVA DI LEGGE: FONDAMENTO E PORTATA
Il principio della riserva di legge: è esaustiva: sia norme incriminatici, scriminanti, oppure modificative
o estintive delle conseguenze sanzionatorie, sia per delitti che per contravvenzioni.
Esprime il divieto di punire un determinato fatto in assenza di una legge preesistente che lo configuri come
reato: in particolare esso tende a sottrarre la competenza in materia penale al potere esecutivo. Esigenze di
garanzia più che di certezza.
Riserva di legge (tesi-teorie):
-
del divieto di intervento regolamentare: GALLO, TRAPANI;
-
(opposta) della "disobbedienza come tale": ROCCO, ESPOSITO, PETROCELLI;
-
(mediana) della sufficiente determinatezza).
MARINI opera una sorta di costruzione analogica rispetto al D.Lgs.
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La garanzia del procedimento legislativo.
Riserva assoluta e relativa
Le diverse versioni del principio della riserva assoluta:
1) sufficientemente elastica: non implica necessariamente l'esclusione del concorso del potere normativo
secondario nella configurazione del modello di reato. Espediente: allorché un elemento di fattispecie è
determinato tramite il rinvio ad un regolamento, la fonte regolamentare degrada a mero presupposto di fatto
(PETROCELLI); in altri termini, il regolamento non viene in rilievo quale fonte normativa, ma come fatto tra i
fatti;
2) non è possibile! È più in armonia col fondamento politico del nullum crimen sine lege. Ma il rigore della
riserva assoluta non è da condividere nel contesto di uno standard normativo come quello attuale[20].
Ammissibilità di un apporto "tecnico" da parte di una fonte normativa secondaria.
Teorie della "disobbedienza come tale": non rinunciano all'apporto regolamentare: è oggetto di critica da parte
della prevalente dottrina: sul piano dogmatico per il ricorso improprio alla figura della <presupposizione>
(AMATO); sul piano costituzionale, in quanto riduce la fattispecie ad una mera apparenza, sia dal punto di
vista strutturale, sia da quello contenutistico, venendo di fatto a vanificare le ragioni di quella riserva di legge
che pure si proclama essere assoluta (BRICOLA, MARINUCCI-DOLCINI). Si conclude perciò che la tecnica
della norma penale <in bianco>, sanzionatoria di precetti generali e astratti posti da altre fonti, è
costituzionalmente legittima solo a condizione che la clausola in bianco sia riempita da precetti posti con legge
formale, o comunque da fonti equiparabili ai fini della riserva (PULITANO'), con esclusione del rinvio a norme
secondarie come i regolamenti emanati dall'Esecutivo (M. ROMANO). La legge penale può fare riferimento ad
atti amministrativi concreti quali presupposto da cui dipende la qualificazione di qualche elemento di
fattispecie, ovvero come oggetto di tutela, sanzionando l'inottemperanza di ordini amministrativi individuali e
concreti, sul modello dell'art.650 (PARODI GIUSINO, VICICONTE). L'indirizzo prevalente ritiene che il
provvedimento amministrativo non integra la norma legislativa, ma il suo rapporto con la legge penale è il
medesimo che intercorre tra la legge penale ed ogni altro oggetto di tutela determinato in via di astrazione
tipizzante (PULITANO'): l'ordine o il provvedimento della autorità competente non statuiscono né modificano la
descrizione del fatto (DELITALIA) ma rappresentano l'attuazione storica di un elemento già previsto dalla
fattispecie criminosa, per cui la questione della riserva di legge sarebbe eliminata in radice, non essendovi
alcuna integrazione del precetto penale con apporti extra legislativi (M.ROMANO). L'affermazione del carattere
assoluto della riserva di legge è temperato dalla ammissione di integrazioni sub-legislative del precetto aventi
carattere marginale: l'art.25 esigerebbe statuizioni sufficientemente specifiche, non necessariamente complete
(AMATO), Ciò che occorre è che la legge determini la sfera dei significati di disvalore del tipo di
comportamento che s'intende vietare e punire (BRICOLA, SINISCALCO); il principio di legalità è rispettato
quando la legge individui tutti gli elementi del reato, salvo rinviare ad atti generali ed astratti del potere
esecutivo la specificazione sul piano tecnico di uno o più elementi della fattispecie legale, sulla base di un
criterio tecnico indicato dalla legge stessa (BRICOLA, MARINUCCI-DOLCINI, FIANDACA-MUSCO, PARODI
GIUSINO). La riserva di legge sarebbe, in questo senso, tendenzialmente assoluta[21].
Soprattutto nei settori della legislazione speciale caratterizzati da complessità tecnica e bisognosi di continui
aggiornamento: Decreto Ministero Sanità aggiornamento tabelle sostanze rientranti nel concetto di
"stupefacente" ai fini dell'applicazione normativa in materia.
Tanto tende ad evitare anche l'attività concretizzatrice della giurisprudenza, la quale si affida a parametri di
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valutazione non sempre univoci e/o controllabili: punto di equilibrio tra il profilo della riserva e quello della
"tassatività".
IL CONCETTO DI "LEGGE" NELL'ART.25, COMMA 2°, COST. E NELL'ART. 1 C.P.
Decreti-legge e leggi delegate.
E il diritto di controllo delle minoranze? Inoltre esigenze di ponderazione non eludibili in sede di
criminalizzazione delle condotte umane.
Legge regionale. Esclusa dal novero delle fonti nelle ipotesi sia di competenza esclusiva che concorrente.
Nel nuovo testo dell'art.117 Cost. (introdotto con L. cost. 3/2001) si è espressamente stabilito che lo Stato
abbia <legislazione esclusiva>, tra l'altro (2° comma, lett.l) in materia di <ordinamento civile e penale>. Per
taluno, la preclusione sarebbe derivata dall'art.120/2° Cost. (trasfuso nel 1° comma dello stesso art.120,
modificato dall'art.6, L. cost. 3/2001): se la regione <non può adottare provvedimenti che ostacolino in
qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose tra le Regioni>, risulterebbe esclusa a fortiori
l'ammissibilità di sanzioni penali, destinate ad incidere, direttamente o indirettamente, sulla libertà personale,e
a determinare quindi il massimo ostacolo concepibile alla <libertà di circolazione>.La tesi poteva suscitare
peraltro qualche perplessità, perché il divieto sembra orientato piuttosto nella prospettiva di vincoli di carattere
generale concernenti la libertà di transito, di commercio e così via dicendo (al fine di impedire che la regione
tenda alla costituzione di un ordinamento giuridico esclusivo e separato da quello nazionale). Per lo più si
sottolineava invece come il riconoscimento alle regioni di una competenza penale avrebbe finito con
l'infrangere il principio di uguaglianza (art.3/1° Cost.) in una materia - quella della libertà personale - il cui
peculiare rilievo costituzionale non tollera disparità di trattamento sancite da enti territoriali non sovrani. In
effetti, la competenza penale corre su di un binario storicamente parallelo a quello della sovranità, e denota
sempre la presenza di un'organizzazione statale, nel cui ambito la pluralità di competenze penali
territorialmente distinte è compatibile soltanto con un assetto di tipo federale. Ma la Repubblica italiana è pur
sempre (ed almeno per ora) uno stato unitario (art.5 Cost.), e nonn può quindi tollerare la compresenza di una
pluralità di enti legittimati a prescrivere autonomamente norme di rilevanza penale. Più al fondo - come ha
puntualizzato una fondamentale sentenza della Corte cost. (487/1989) - la riserva di legge in materia penale
deve intendersi come riserva di legge statale per tre basilari ragioni. La prima attinee all'origine stgessa della
riserva: all'epoca della riforma illuministica si ravvisò <nella legge dello Stato, quale unità organica dell'intero
popolo sovrano, il nuovo principio costitutivo, il nuovo fondamento del diritto penale>, perché soltanto
<attraverso il superamento delle varie, numerose fonti, sostanziali e formali, dell'Antico Regime> si poteva
<raggiungere, insieme, la massima garanzia della riacquistata libertà individuale ed il massimo ordinato vivere
sociale>. In secondo luogo, la <statualità> del diritto penale discende dal fatto che <statali sono i particolari
interessi e valori tutelati dal ramo penale e statale è il fine perseguito attraverso le incriminazioni: la tutela di
tutto l'ordinamento giuridico statale e, così, della vita sociale in libertà, uguaglianza e reciproco rispetto dei
soggetti>. In terzo luogo, poiché il diritto penale deve ispirarsi ai principi di sussidiarietà, proporzionalità e
frammentarietà, e l'attuazione di tali principi implica, a sua volta <il possesso d'una visione generale dei beni e
valori presenti nell'intera Comunità statale>, risulta inammissibile l'idea di affidare alla legge regionale una
competenza di natura penale. La preclusine che le regioni incontrano ha una portata generale: essa concerne
le incriminazioni, l'abrogazione di incriminazioni o la deroga alla loro applicazione, così come le cause di
esclusione o di estinzione della responsabilità penale [22].
Vedi sentenza Corte Cost. n.487/1989 "La criminalizzazione comporta, anzitutto, una scelta tra tutti i beni e
valori emergenti nell'intera società: e tale scelta non può essere realizzata dai consigli regionali (ciascuno per
proprio conto) per la mancanza d'una visione generale dei bisogni ed esigenze dell'intera società".
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E' ammissibile l'intervento di una L.R. in funzione "scriminante"? [23]: Es. ipotesi stabilimento industriale
che scarica sostanze ritenute inquinanti dalla legge statale a tutela delle acque, ma rientranti nei limiti di
tollerabilità stabiliti da una successiva legge regionale.
Si deve tuttavia rilevare che una sia pur marginale legittimazione delle regioni a derogare ad una norma
penale è riconosciuta dall'art.9/2°, L. 689/1981. Disciplinando il concorso apparente tra norme penali (statali) e
disposizioni regionali che prevedano sanzioni amministrative, l'art.9/2° cit. fissa la regola della prevalenza <in
ogni caso> della norma penale, <salvaguardando così, implicitamente, il monopolio penale statale dalle
eventuali deroghe disposte dalla norma regionale. A tale regola si sostituisce però la prevalenza della norma
regionale speciale se il concorso si instaura con una norma penale che <sia applicabile solo in mancanza di
altre disposizioni penali>. In pratica, quando la norma penale presenta una clausola di riserva indeterminata
(del tipo: <se il fatto non è preveduto come reato da altra disposizione di legge>, come, ad es., nell'art.616/1°
c.p.), la norma regionale sanzionata in via amministrativa che disciplina un'ipotesi speciale astrattamente
riconducibile anche alla norma penale generale, prevale su quest'ultima. Il fondamento di una simile eccezione
non è del tutto chiaro: la circostanza che la norma penale risulti meramente sussidiaria, e pronta a cedere di
fronte a qualsiasi altra disposizione penale, non sembra in effetti giustificare plausibilmente il potere della
regione di escludere l'applicazione di una norma penale statuale, una volta che si riconosca l'incompetenza
assoluta delle regioni a disporre, anche indirettamente, in materia penale. Se la preclusione all'interno
normativo regionale in ambito penale risulta chiara in linea di principio, la sua delimitazione in concreto
determina situazioni problematiche, originate dall'intreccio applicativo delle varie disposizioni, statali e
regionali, nel contesto unitario dell'ordinamento. Così, non si può escludere che la disposizione regionale
costituisca il supporto necessario per l'applicazione di una norma penale statale, come, ad es., nell'ipotesi in
cui la norma penale statale reprima lo svolgimento di determinate attività senza autorizzazione, e la disciplina
del rilascio di essa spetti alla competenza regionale. In questo caso, poiché la legge regionale concorre a
definire un elemento normativo della fattispecie incriminatrice, la cui delimitazione tipica deriva peraltro
soltanto dalla norma statale, il principio della riserva di legge non può dirsi vulnerato. Più controversa appare
invece la rilevanza scriminante, in base all'art.51 c.p. , della facoltà legittima attribuita da una norma
regionale[24].
Vedi strumento sanzione amministrativa che possono riferirsi a fatti che originariamente nascono come illeciti
amministrativi o altri fatti previsti statalmente e poi depenalizzati : si trasferiscono sul piano regionale gli
accertamenti e le sanzioni su questi fatti.
RAPPORTO LEGGE-FONTE SUBORDINATA: I DIVERSI MODELLI DI INTEGRAZIONE
1) la legge affida alla fonte secondaria la determinazione delle condotte concretamente punibili (c.d. norme
penali in bianco[25]: art.650 c.p.);
2)
la fonte secondaria disciplina uno o più elementi che concorrono alla descrizione dell'illecito penale
(art.659 c.p.[26]);
3) l'atto normativo subordinato assolve alla funzione di specificare, in via "tecnica", elementi di fattispecie
legislativamente predeterminati nel nucleo significativo essenziale;
4)
la legge consente alla fonte secondaria di scegliere i comportamenti punibili tra quelli da quest'ultima
disciplinati.
Norma penale in bianco[27].
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Art.650 c.p. - INOSSERVANZA DEI PROVVEDIMENTI DELL'AUTORITA' - " Chiunque non osserva un
provvedimento legalmente dato all'Autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica, o d'ordine pubblico
o d'igiene, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l'arresto fino a tre mesi o con l'ammenda
fino a € 206".
"è punito colui che non osserva un provvedimento emanato dall'Autorità amministrativa..": la effettiva
determinazione del fatto costituente reato rimane affidata all'Autorità amministrativa. Corte Cost. sent.
n.168/1971 (su art.650 c.p. e art.25/2° Cost.) "la materialità della contravvenzione è descritta tassativamente
in tutti i suoi elementi costitutivi", più in generale, le norme penali in bianco non violano il principio di legalità
quando sia una legge dello Stato a indicare i caratteri, i presupposti, il contenuto e i limiti dei provvedimenti
dell'Autorità amministrativa alla cui trasgressione l'art.650 c.p. riconnette una sanzione penale.
Ma in questo caso l'apporto della fonte normativa inferiore non si limita a specificare gli elementi di un precetto
posto dalla legge, in quanto si estende sino al punto di porre esso stesso la regola di comportamento da
osservare in concreto.
L'art.650 C.P.:
-
il bene giuridico tutelato è l'ordine pubblico (il buon assetto e il regolare andamento del vivere civile);
-
è una norma sussidiaria di carattere generale;
motivazione: non presentazione in questura per "motivi che la riguardano" formula apodittica e non
motivata: Cass. 1023/1995).
Fonte normativa secondaria che partecipa alla configurazione del fatto di reato.Es. art.659 c.p. esercizio di
mestiere rumoroso.... nell'attuale ordinamento l'articolazione della tutela penale si raccorda spesso a discipline
extrapenali di fonte secondaria e una drastica rottura di siffatti intrecci avrebbe come costo di depotenziare la
salvaguardia di interessi di rango tutt'altro che secondario.
Fonte normativa secondaria che si limita a specificare elementi legalmente previsti. Es. specificazione
mediante decreto del Ministero della Sanità degli additivi chimici non autorizzati che non incide sulla
completezza del precetto penale, già integralmente costituito col divieto di far uso degli additivi chimici.
Fonte normativa secondaria che sanziona la violazione di precetti legali. Illegittimo.
Vedi sentenza Corte Cost. n.282/1990 tre indicazioni fondamentali[28]:
1) è compatibile col principio di riserva di legge l'integrazione del precetto rispetto ad elementi suscettivi di
specificazione tecnica (ad esempio la determinazione delle <sostanze psicotrope o stupefacenti> con
D.M.S.[29]);
2)
è altresì compatibile col predetto principio l'ipotesi in cui il precetto penale assume una funzione lato
sensu sanzionatoria rispetto a provvedimenti emanati dall'autorità amministrativa, quando sia la legge ad
indicarne i presupposti, carattere, contenuto e limiti, di modo che il precetto penale riceva "intera la sua
enunciazione con l'imposizione del divieto";
3)
è invece da ritenere generalmente in contrasto col principio di riserva di legge la tecnica del rinvio a fonte
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secondaria per la determinazione di elementi essenziali dell'illecito (es. illegittima disposizione in materia di
prevenzione incendi che individuava i soggetti attivi del reato facendo riferimento ad un regolamento
amministrativo)
RAPPORTO LEGGE-CONSUETUDINE
Consuetudine e funzione incriminatrice
Inattitudine a svolgere funzione incriminatrice o aggravatrice del trattamento punitivo, proprio in forza del
principio di riserva di legge.
Consuetudine e funzione abrogatrice o desuetudine[30].
Consuetudine e funzione integratrice es.ove si afferma che l'obbligo di impedire l'evento ex art.40 cpv. c.p. può
anche scaturire da una fonte consuetudinaria [31] [32]. Ma se ci sono dubbi per la fonte del regolamento,
figurarsi per la consuetudine!
Consuetudine e funzione scriminante. Questa è ammissibile, le norme che configurano cause di giustificazione
non hanno carattere specificatamente penale, per cui le situazioni scriminanti non sono necessariamente
subordinate al principio della riserva di legge: es. esercizio di un diritto quale causa di giustificazione (art.51
C.P.)[33].
RISERVA DI LEGGE E NORMATIVA COMUNITARIA
Principio del primato del diritto comunitario
È da ritenere che la normativa comunitaria possa costituire il parametro oggettivo su cui fondare un giudizio di
colpa (es. inosservanza norme del Trattato di Roma sulla concorrenza).
L'esercizio di un diritto riconosciuto dalla normativa comunitaria potrebbe dar vita poi ad una causa di
giustificazione: es. libertà di stabilimento ex artt.52 e 57 Trattato di Roma che scrimina il reato di esercizio
abusivo della professione in mancanza della apposita "speciale abilitazione dello Stato" di cui all'art.348
c.p..[34]
Più frequente influsso sulla parte speciale.
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IL PRINCIPIO NULLA POENA SINE LEGE
L'art.25, 2° comma Cost. nell'omettere ogni riferimento alla "sanzione" penale, indubbiamente minus dixit
quam voluit.
Predeterminazione legale della sanzione, ma certa discrezionalità dello spazio edittale, nonché nella
possibilità di scegliere tra più tipi di sanzioni legalmente predeterminate: esigenza di adattare la pena al
disvalore del reato commesso e necessità di rispettare i principi costituzionali della individualizzazione della
pena e del finalismo rieducativi (art.27, 3° comma,Cost.).
Il principio di legalità della pena è rispettato se lo spazio edittale oscilli entro minimi e massimi ragionevoli, che
va rapportata al rango del bene protetto e alla gravità dell'offesa arrecata dal fatto incriminato.
La riserva assoluta di legge riguarda non solo le pene principali, ma anche le pene accessorie (anche se
queste invero comprimono i diritti della persona), nonché gli effetti penali della condanna.
La garanzia della legalità si estende anche alla fase della esecuzione della pena, in tal caso il controllo di
legalità è: flessibile in quelle ispirate alla finalità rieducativi, rigoroso per le esigenze della disciplina e della
sicurezza.
IL PRINCIPIO DI TASSATIVITA': PREMESSA
Ratio del principio di tassatività.
Esigenza della tassatività o sufficiente determinatezza della fattispecie penale[35].
Il principio di determinatezza coinvolge la tecnica di formulazione delle fattispecie criminose e tende,
precipuamente, a salvaguardare i cittadini contro eventuali abusi del potere giudiziario[36].
Fa da pendant al criterio della frammentarietà: se cioè la tutela penale è tendenzialmente apprestata soltanto
contro determinate forme di aggressione ai beni giuridici, è necessario che il legislatore specifichi con
sufficiente precisione i comportamenti che integrano siffatte modalità aggressive.
Vedi anche la determinatezza delle fattispecie incriminatici: guida per il cittadino
Proiezioni processuali del principio di tassatività. L'elusione del principio de quo pregiudicherebbe lo stesso
principio dell'obbligatorietà dell'azione penale, posto che farebbe difetto il criterio di verifica dell'osservanza di
tale obbligo. Inoltre risulterebbe menomato il diritto costituzionale alla difesa, data la difficoltà di confrontarsi
con un'imputazione ben precisa in assenza di una puntuale descrizione legale del fatto contestato.
Principio di tassatività e caratteristiche dell'ordinamento penale vigente. [37] Scarto, anche per eccessivo
self-restraint della Corte Costituzionale, per duplice preoccupazione: a) vuoti di tutela; b) di entrare in conflitto
col legislatore. Vedi vari filoni[38]. D'altra parte tendenza compromissoria dell'attuale attività legislativa.
PRINCIPIO DI TASSATIVITA' E TECNICHE DI REDAZIONE DELLA FATTISPECIE PENALE [39]
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Normazione descrittiva e normazione sintetica. Sono le principali tecniche di legiferazione:
1) La normazione descrittiva: descrive il fatto criminoso mediante l'impiego di termini che alludono ai dati
della realtà empirica;
2) La normazione sintetica: (per ovviare ad inconvenienti di un eccesso casistico): adotta una qualificazione
di sintesi mediante l'impiego di elementi normativi (ad esempio atti osceni), rinviando ad una fonte esterna
rispetto alla fattispecie incriminatrice (ad esempio buon costume in materia sessuale) come parametro per la
regola di giudizio da applicare al caso concreto.
Elementi descrittivi. Gli elementi di tecnica legislativa atti a garantire la tassatività della fattispecie sono i c.d.
elementi descrittivi che traggono il loro significato direttamente dalla realtà dell'esperienza sensibile (es. uomo,
cosa, morte, ecc. vedi: art.575 delitti di omicidio, art.582 lesioni personale o art.635 danneggiamento). In taluni
casi sono indeterminati, esempio delitto di plagio dichiarato incostituzionale[40].
Elementi normativi. (giuridici-culturali). Elementi che necessitano per la determinazione del loro contenuto, di
una etero-integrazione mediante il rinvio ad una norma diversa da quella incriminatrice [41]. Se sono elementi
normativi extragiuridici, cioè rinvianti a norme sociali o di costume: incertezza del parametro di
riferimento.....(caso dei c.d. Wertbegriffe[42]: cioè elementi normativo-sociali).
E' vero che gli elementi normativo-sociali sono stati paragonati ad una sorta di "organi respiratori" che
consentono di adeguare costantemente la disciplina penale all'evoluzione della realtà sociale (Marinucci).
IL PRINCIPIO DI IRRETROATTIVITA'
Ratio del principio di irretroattività.[43]
Art.11 disposizioni preliminari "La legge non dispone che per l'avvenire: essa non ha effetto retroattivo".
Art.25, 2° comma Cost. "Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore
prima del fatto commesso" [44].
Principio ispirato alla garanzia della libertà personale del cittadino nei confronti dei detentori del potere
legislativo.
Art.2 C.P. [45]comma primo: ribadisce l'irretroattività della norma incriminatrice
comma secondo e terzo: ispirati al diverso principio della retroattività di una eventuale norma più favorevole,
successivamente emanata (c.d. abolitio criminis).
Principio di irretroattività e legge processuale penale. Il diritto de quo ex art.2 riguarda il diritto penale e
sostanziale, non il diritto processuale penale. Nel diritto sostanziale il divieto di retroattività riguarda tutti gli
elementi dell'illecito penale, comprese le condizioni di punibilità, le modifiche in malam partem degli altri istituti
di parte generale, nonché le conseguenze penali.
LA DISCIPLINA DETTATA DALL'ART.2 DEL CODICE PENALE
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Ipotesi di nuova incriminazione.
A) art.2, primo comma: "Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu
commesso, non costituiva reato": fenomeno della c.d. nuova incriminazione. (es. delitto di usura con codice
Rocco)[46]. Il principio di irretroattività si salda con quello di legalità fondendosi nella formula nullum crimen,
nulla poena sine "previa" lege penali.
B) art.2, secondo comma: "Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non
costituisce reato; e se vi è stata condanna, ne cessano l'esecuzione e gli effetti penali": fenomeno
dell'abolizione(abolitio criminis) di incriminazioni prima esistenti (es. delitti di offesa alla libertà e all'onore del
Capo del Governo: abrogati nel 1944)
Successione di leggi penali. Criteri di individuazione del fenomeno.
Quando nel passaggio dalla vecchia alla nuova norma permane la "continuità del tipo di illecito"[47].
La continuità del tipo di illecito. : parametri di valutazione sono sia l'interesse protetto, sia le modalità di
aggressione al bene, onde si verificherebbe la successione quando, nonostante la novazione legislativa,
permangono identici gli elementi predetti[48].
Il rapporto di continenza.[49] Tra la nuova e la vecchia fattispecie: occorre cioè un rapporto strutturale tra le
fattispecie astrattamente considerate, tale per cui possa tra le stesse instaurarsi una relazione di genere a
specie. E' il criterio che meglio si presta a identificare il fenomeno della successione modificativa (vedi
novazione legislativa del delitto di infanticidio art.578 abrogato: ma si riespande la fattispecie dell'omicidio
comune, con applicabilità della regola del favor rei, art.2, comma 3° che vuol dire applicabilità, nella specie,
della pena prevista per il delitto di infanticidio per causa d'onore).
SEGUE: SUCCESSIONE DI LEGGI E APPLICABILITA' DELLA DISPOSIZIONE PIU' FAVOREVOLE AL
REO
Art.2, terzo comma: "Se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica
quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile".
Il principio della retroattività della norma più favorevole al reo.[50] L'operatività dell'art.2, comma 3°
presuppone che ci si trovi di fronte ad un'autentica ipotesi di successione tra fattispecie incriminatici
accertabile in base al criterio del "rapporto di continenza". Il fenomeno della successione di leggi in senso più
favorevole al reo investe il piano del trattamento sanzionatorio lato sensu inteso, riferito cioè non solo al tipo e
alla misura della sanzione, ma anche al regime giuridico della procedibilità, si pensi al reato di pascolo abusivo
(art.636) divenuto punibile (con Legge 689/1981) soltanto a querela di parte: si pensi ai fatti di pascolo abusivo
commessi antecedentemente alla Legge 689/81 rispetto ai quali non sia stata sporta querela, posto che anche
l'introduzione di una condizione di procedibilità (nella specie: querela) modifica in senso più favorevole al reo il
regime penale.
La teoria della discontinuità del tipo di illecito
Recente messa in discussione dei tradizionali criteri di distinzione degli ambiti di applicazione del 2° e 3°
comma, in relazione all'abrogazione dell'oltraggio (art.341 c.p. abrogato con Legge 205/1999). Qui l'abolitio
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criminis era stata esclusa da un indirizzo che, facendo applicazione dei criteri da sempre ritenuti validi, ha
ritenuto che come i fatti già ricompresi nella fattispecie di oltraggio sarebbero riconducibili alla fattispecie di
ingiuria, rispetto alla quale l'oltraggio era norma speciale; donde l'applicabilità del 3°, e non del 2° comma
dell'art.2, con conseguente irrevocabilità del giudicato. E' prevalsa però la tesi dell'abrogazione Corte
Cassazione SS.UU. 27/06/2001: l'ipotesi della successione di leggi di cui al comma 3° dell'art.2, avrebbe per
presupposto < una diversità di norme incriminatici, di cui una cronologicamente precedente all'altra, o - più
esattamente - presuppone una diversa vigenza temporale delle norme incriminatici >. Questa tesi è in
contrasto con la dottrina per la quale è un caso tipico di successione di leggi quello dell'abrogazione di una
norma speciale con conseguente espansione dell'ambito di applicabilità di una norma preesistente (o
contestualmente introdotta) di portata più generale. La norma generale ricomprende l'ambito prima racchiuso
nella norma speciale, il fatto normativamente qualificato dalla norma speciale è inquadrato nella norma
generale, in ragione dei medesimi requisiti. La tesi delle SS.UU., fondata su un argomento inaccettabile,
poggia su evidenti ragioni equitative: l'effetto è quello di considerare la revoca di condanne passate in
giudicato. Infine, la Corte Cost. n.273/2002 con una pronuncia interpretativa ha abrogato l'oltraggio.
Nell'esperienza italiana recente, l'idea della discontinuità del tipo di illecito ha acquistato una valenza opposta,
di restrizione dell'ambito riconosciuto alla successione di leggi penali e, di allargamento, non già di restrizione
dell'area di ritenuta abolito criminis. Questa versione non disconosce la possibilità di successione di una
norma speciale ad una generale, ma introduce un ulteriore criterio di carattere sostanziale: il rapporto di
specialità potrebbe essere solo apparente, decisivo sarebbe il riferimento al bene giuridico (DONINI) . In
questa prospettiva, viene dato rilievo a differenze fra diverse manifestazioni del rapporto di specialità
(E.MUSCO). Si avrebbe successione di leggi quando la fattispecie successiva abbia operato una selezione
entro fattispecie già formalmente tipiche, o specificato elementi già facenti parte della fattispecie abrogata; per
contro, la continuità fra fattispecie verrebbe meno, quando la specificazione avvenga per aggiunta di elementi
in precedenza non necessari a costituire il tipo di reato. Il senso di questa teoria, che potremmo definire della
discontinuità sostanziale del tipo di illecito, sta dunque nella asserita possibilità di escludere la successione di
leggi, e di affermare invece l'abolitio criminis in relazione ai fatti pregressi, in ipotesi in cui, sul piano formale, la
legge successiva è in rapporto di specialità con la precedente ( PULITANO', in AA.VV. Commentario breve al
codice penale, pag. 21-23).
Carattere concreto del giudizio di individuazione della disciplina più favorevole. In concreto.
SUCCESSIONE DI LEGGI INTEGRATRICI DI ELEMENTI NORMATIVI DELLA FATTISPECIE CRIMINOSA
(MODIFICHE COSIDDETTE "MEDIATE" DELLA FATTISPECIE INCRIMINATRICE).
La disciplina dell'art.2 è applicabile alle modifiche normative che incidono direttamente sugli elementi costitutivi
della fattispecie incriminatrice, ma che vi incidono in maniera soltanto "indiretta" o "mediata": es. ipotesi di
modifica di norme che integrano il contenuto di una norma penale o che disciplinano elementi normativi della
fattispecie.
Appare preferibile la tesi estensiva che riporta tutto all'art.2, comma 2°: tesi dell'incorporazione della
disposizione integratrice dell'elemento normativo (o della norma penale in bianco) nella stessa norma
incriminatrice. Altra via: il concetto di "fatto" ha lo stesso significato nel primo e nel secondo comma dell'art.2:
nell'ipotesi di nuova incriminazione (primo comma art.2) il concetto di fatto ricomprende l'insieme di tutti i
presupposti rilevanti in concreto ai fini dell'applicazione della fattispecie incriminatrice, per cui lo stesso
concetto vale rispetto alle ipotesi di abolizione di incriminazione preesistente (comma secondo art.2): è
evidente allora che l'intervento legislativo posteriore, incidendo su uno dei presupposti di rilevanza del fatto
necessario ai fini della configurabilità dell'illecito, fa sì che esso non costituisca più reato e non possa dunque
più essere punito.
Variazione di norme culturali.
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SUCCESSIONE DI LEGGI TEMPORANEE, ECCEZIONALI E FINANZIARIE
Art.2, comma 4° il principio della retroattività in senso più favorevole al reo è inoperante rispetto alle leggi
temporanee ed alle leggi eccezionali.[51]
Leggi eccezionali e leggi temporanee. Sennò comoda scappatoia...
Leggi finanziarie: idem per "interesse primario alla riscossione dei tributi" (Corte Cost. n.164/1974).
DECRETI-LEGGE NON CONVERTITI
Art. 2 ultimo comma: "nei casi di decadenza, e di mancata ratifica di un decreto-legge e nel caso di un
decreto-legge convertito in legge con emendamento" [52] la disciplina delle successioni di legge si applica: era
l'ordinamento costituzionale dell'epoca, ora
Prevalenza del favor libertatis sulla disciplina dettata dall'art.77 Cost.
Per Fiandaca-Musco: principio di irretroattività della legge penale più sfavorevole, ma vedi sentenza Corte
Cost. 19 febbraio 1985, n.51: problema dei fatti concomitanti: la Corte precisa che l'illegittimità dell'ultimo
comma dell'art.2 va circoscritta soltanto ai casi in cui esso renderebbe applicabile il decreto non convertito ai
fatti "pregressi", commessi cioè anteriormente alla sua entrata in vigore[53]: esula dalla portata della
pronuncia, dunque, la diversa questione dell'applicabilità del decreto non convertito ai fatti "concomitanti",
commessi cioè sotto la sua vigenza. Si tratta di una distinzione di ipotesi che assume importanza decisiva.
L'essere la presa di posizione limitata ai fatti "pregressi" al decreto implica, in verità, che si continui ad
osservare il divieto di retroattività di una legge penale sfavorevole: in seguito alla mancata conversione del
decreto torna infatti ad essere applicata la stessa legge vigente al momento del fatto.
I fatti pregressi restano soggetti alla sola disciplina vigente al momento della loro commissione, ancorché il
decreto ne abbia modificato o abolito la rilevanza.
Il divieto di retroattività della legge più sfavorevole sarebbe, invece, effettivamente violato, nella diversa ipotesi
di fatti "concomitanti", commessi cioè durante la vigenza del decreto più favorevole non convertito: in quanto ai
fatti in questione sarebbe, appunto, applicabile questa volta la norma più rigorosa preesistente al decreto e
alla commissione dell'illecito, con conseguente violazione del principio di irretroattività della norma sfavorevole.
Ancorché la Corte non si pronunci espressamente in proposito (le ordinanze di rimessione prospettavano
infatti la questione di costituzionalità soltanto in rapporto a fatti "pregressi"), dalla lettura della motivazione si
ricava un'implicita propensione per la tesi che fa prevalere, in rapporto ai fatti "concomitanti" al decreto non
convertito, la disciplina di cui ai commi 2° e 3° dell'art.2. Sicchè la ratio dell'art.25, comma 2°, Cost. è fatta
salva proprio con riferimento alla vera ipotesi in cui rischia di essere violato il divieto di retroattività della norma
più sfavorevole[54].
LEGGI DICHIARATE INCOSTITUZIONALI
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Art.136, comma 1° Cost.
Prevalenza del favor liberatatis sulla disciplina della dichiarazione di incostituzionalità delle leggi.
Effetto ex tunc....dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza l'effetto di costituzionalità viene meno
l'efficacia della norma, se però vi è stata condanna ne cessano tutte le conseguenze (per fatti successi primi:
retroattività) anche di ordine penale (legge n.3/1957): quindi efficacia ex tunc,......la legge invalidata si
applicherà comunque ove risulti più favorevole al reo rispetto ad una precedente norma incriminatrice,
altrimenti viene compromesso il principio del favor libertatis: meccanismo di reviviscenza di una norma.
L'incostituzionalità non è abrogazione, non si rientra nell'art.2 del c.p. siamo fuori dall'ambito dell'abolitio
criminis.
SINDACATO DI COSTITUZIONALITA' SULLE NORME PENALI "DI FAVORE"
Leggi penali "di favore" e limiti al sindacato di costituzionalità. Questo sindacato non può essere sottratto alla
Corte (come per art.25, comma 2, Cost. in quanto principio autonomo del diritto penale) "a pena di istituire
zone franche del tutto impreviste dalla Costituzione, all'interno delle quali la legislazione ordinaria diverrebbe
incontrollabile". Il sindacato è da ritenere ammissibile soltanto ad alcune condizioni: cioè quando, una volta
accertato che la scelta legislativa è in linea di principio quella di penalizzare un certo tipo di condotte, appaia
palesemente arbitraria (una sorta di "odioso privilegio") alla stregua del principio di uguaglianza, una eventuale
discriminazione nel trattamento punitivo delle condotte appartenenti allo stesso tipo.
TEMPO DEL COMMESSO REATO
Tempus commissi delicti.
I criteri prospettati in dottrina:
1)
la teoria della condotta;
2)
la teoria dell'evento;
3)
la teoria mista.
Criterio della condotta e ratio dell'art.2 c.p. ( si respingono le altre due teorie): condotta frangente temporale
decisivo anche rispetto alla funzione di prevenzione generale connessa alla minaccia della sanzione punitiva.
Problemi nei reati casualmente orientati c.d. a forma libera, nei quali cioè manca la tipizzazione legislativa di
specifiche modalità di realizzazione dell'evento lesivo[55]. Distinguere tra reati dolosi (il tempo del commesso
reato coincide con la realizzazione dell'ultimo atto sorretto dalla volontà colpevole) e reati colposi (il tempo
coincide con la realizzazione di quell'atto che,nel complesso degli atti casualmente collegati con l'evento, per
primo dà luogo ad una situazione di contrarietà con regole di diligenza, prudenza, eccetera).
Reati c.d. di durata si registrano divergenze di opinione. Nel reato permanente, contraddistinto dal perdurare di
una situazione illecita volontariamente rimovibile dal reo, per la dottrina maggioritaria il tempo del commesso
reato è nell'ultimo momento di mantenimento della condotta antigiuridica (presupposto che la norma penale
può assolvere la sua funzione generalpreventiva fino all'esaurimento della condotta). Ma per il
Fiandaca-Musco è preferibile fissare il tempo nel primo atto che dà avvio alla consumazione del reato
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permanente medesimo[56] (dall'inizio della permanenza).
Nel reato abituale discorso analogo.
Reato continuato (art.81, 2° comma) esso non rappresenta, nell'ottica della successione di leggi, un fatto
unitario: concorso materiale di reati, ciascuno dei quali presenta un proprio tempus commissi delicti.
DIVIETO DI ANALOGIA [57]
Il procedimento analogico. Presupposto di tale procedimento integrativo è costituito dal ricorrere dell'identità di
ratio(ubi eadem legis ratio, ibi eadem legis dispositivo).
Il divieto di analogia in materia penale. Art. 1 "espressamente" e art.199 "fuori dei casi dalla legge preveduti" (è
relativo alle misure di sicurezza).
Costituzionalizzazione implicita del divieto di analogia. Ratio di garanzia della libertà del cittadino sottesa al
nullum crimen sine lege.
Analogia e interpretazione estensiva.[58] Riserve:
a) da un lato il rispetto del carattere frammentario del diritto penale impedisce che, in omaggio ad una più
completa tutela del bene in questione, si forzino i limiti di tipicità prefissati dal legislatore;
b)
dall'altro: l'interpretazione estensiva quale "teleologicamente" orientata nel porre in relazione un
comportamento con il significato di una norma procede per somiglianze, parziali concordanze e discordanze,
onde è sempre latente il rischio di ricadere in un giudizio analogico mascherato.
Violazione del divieto di analogia anche quando tecniche di tipizzazione casistica con formule di chiusura "in
casi simili" "in casi analoghi", eccetera. Es. art.121 TULPS "mestieri analoghi".
Portata del divieto di analogia in materia penale.
L'art.25, comma 2 Cost. sancisce il primato non già dell'esigenza di certezza, ma della garanzia della libertà
del cittadino: la "libertà" è la regola.
Carattere relativo del divieto di analogia. Perché concerne soltanto l'interpretazione delle norme penali
sfavorevoli. In che limiti è consentita interpretazione analogica in bonam partem? Ostacolo nell'art.14 delle
disposizioni preliminari[59]?
Analogia in bonam partem e leggi eccezionali .[60]
Non tutte le norme che prevedono cause di non punibilità lato sensu intese hanno carattere eccezionale. Es. le
cause c.d. di giustificazione o di esclusione della colpevolezza, nella misura in cui contribuiscono a
determinare i presupposti (generali) di applicazione delle norme incriminatici, appaiono senz'altro suscettive di
applicazione analogica[61].
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Il ricorso è escluso rispetto a cause di non punibilità che fanno riferimento a situazioni particolari o riflettono
motivazioni politico-criminali specifiche, risulta di conseguenza inammissibile rispetto:
a) alle c.d. immunità: le quali derogano al principio della generale obbligatorietà della legge penale rispetto a
tutti coloro che si trovano nel territorio dello Stato;
b) alle cause di estinzione del reato e della pena: che derogano alla normale disciplina dell'illecito penale e
delle conseguenze sanzionatorie;
c)
alle cause speciali di non punibilità: che rispecchiano valutazioni politico-criminali legate alle
caratteristiche specifiche della situazione presa in considerazione e perciò non sono estensibili ad altri casi
(come ad esempio il rapporto di famiglia nei reati contro il patrimonio : art. 649).
Infine rispetto alle circostanze attenuanti, il problema appare privo di importanza pratica in seguito introduzione
delle c.d. attenuanti generiche (art.62 bis)
Cap. 3 . L'INTERPRETAZIONE DELLE LEGGI PENALI [62]
PREMESSA
CLASSIFICAZIONI DELL'INTERPRETAZIONE IN BASE AI SOGGETTI TIPICI
LE RAGIONI DELLA "PROBLEMATICITA'" DEL VINCOLO DEL GIUDICE ALLA LEGGE PENALE
L'ideale illuministico del giudice "bocca della legge"
Ideale positivistico e realtà dell'interpretazione.
Pregiudiziali politico-ideologiche dell'attività interpretativa.
Particolarmente laddove la tutela di interessi collettivi di particolare importanza (P.A., economia pubblica,
ambiente, ordine pubblico democratico,ecc.) sollecita i giudici a un'attività di cosiddetta supplenza nei confronti
di un potere politico ritenuto incapace e inefficiente.
LA LETTERA DELLA LEGGE E L'INTENZIONE DEL LEGISLATORE
Art.12 disp. prel.cod. civ. "Nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro significato che quello fatto
palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse e dalla intenzione del legislatore":
maggiore debolezza è nell'omessa esplicitazione di un loro ordine gerarchico.
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I TRADIZIONALI CANONI ERMENEUTICI
a)
criterio semantico;
b)
criterio storico;
c)
criterio logico-sistematico;
d)
criterio teleologico.
Aspetto della "anticipazione di senso" o "precomprensione"...
Problema di coordinamento o gerarchia tra i diversi canoni astrattamente utilizzabili:
a)
criterio semantico: grammaticale "il significato proprio delle parole", linguaggio anche specialistico.
b) criterio storico: ha maggiore coerenza con il principio separazione poteri, senonchè lo stesso concetto di
volontà storica si presta ad essere inteso almeno in due sensi: 1) volontà soggettiva del legislatore del tempo
(riduzione al dato psicologistico); 2) (più corretta) volontà storica obiettivata nella legge. Vedi lavori preparatori,
accordo: sul testo non anche sul significato delle parole. Va bene come criterio concorrente. Ottimo in sede di
ricostruzione di "dettagli" delle fattispecie di parte speciale o per risolvere questioni dogmatico-interpretative
assai controverse.
c)
criterio logico-sistematico: coglie le connessioni concettuali esistenti tra la norma da applicare e le
restanti norme, sia del sistema penale strettamente inteso, sia dell'intero ordinamento giuridico (extrapenale:
esempio riconducibilità - anche sulla base di una interpretazione sistematica - del fenomeno dell'inquinamento
elettromagnetico al termine di "cose" art. 674, per l'art.624, cpv, si considera "cosa mobile" ogni energia che
abbia un valore economico: Cass. 14/10/1999), anche per risolvere le situazioni di conflitto normativo
determinante dalla presenza di cause di giustificazione che possono trovare la loro fonte in tutto l'ordinamento
giuridico (es. scriminante dell'esercizio di un diritto).
d) Criterio teleologico: Radbruch: le legge, una volta emanata, è paragonabile a un nave che giunta in alto
mare cerca, sotto la guida del capitano, la propria rotta. Attualizzare il senso della norma, centrale è la
considerazione del bene o interesse protetto: bene considerato dinamicamente. Interpretazione c.d. orientata
secondo le conseguenze: scegliere la soluzione ermeneutica che provoca l'impatto più favorevole sul reo e/o
sull'ambiente cui la decisione si rivolge.
RECENTI SVILUPPI DELLA TEORIA DELL'INTERPRETAZIONE
Struttura aperta del linguaggio
Interpretazione e procedimento analogico. "incertezze ai margini" (es. "veicolo" divieto di introdurre veicoli nel
parco:biciclette? Si), tertium comparationis.
Processo circolare tra norma e caso.
Creatività dell'interpretazione e principio di stretta legalità. Es. "macchina giocattolo" nel parco.
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Interpretazione "estensiva" in diritto penale?
Il complesso dei principi penalistici (idea del diritto come extrema ratio, criteri di sussidiarietà, meritevolezza di
pena e frammentarietà) ulteriore proiezione sull'attività interpretativa:
a)
esclude dall'area del penalmente rilevante comportamenti che non raggiungono una soglia minima di
offensività;
b)
evitano di estendere, in violazione del principio di frammentarietà, la tutela nei confronti di forme di
aggressione al bene protetto non espressamente tipizzate nella fattispecie incriminatrice;
c)
sceglie tra le diverse interpretazioni possibili, quelle più rispettose della concezione del diritto penale
come extrema ratio.
Esempi: la punibilità del delitto omissivo c.d. improprio presuppone ex art.40 cpv., la violazione di un obbligo
giuridico di impedire l'evento.Ma non basta la violazione di un qualsiasi obbligo giuridico di attivarsi, occorre
piuttosto selezionare obblighi di agire con caratteristiche "speciali": es. genitore che lascia annegare il figlio pur
potendolo salvare e non anche lo spettatore occasionale che si limiti a non soccorrerlo.
Cap. 4. AMBITO DI VALIDITA' SPAZIALE E PERSONALE DELLA
LEGGE PENALE
Sezione I. AMBITO DI VALIDITA' SPAZIALE DELLA LEGGE PENALE
I PRINCIPI CHE PRESIEDONO ALL'APPLICAZIONE DELLA LEGGE PENALE NELLO SPAZIO.
PREMESSA
La nozione penalistica di straniero si determina in via negativa, comprendendo chi non è cittadino.
1)
principio di territorialità: chiunque delinque nel territorio dello Stato;
2) principio di difesa o tutela: legge dello Stato cui appartengono i beni offesi o cui appartiene il soggetto
passivo del reato;
3)
principio di universalità: si applica la legge nazionale, stop;
4)
principio di personalità: legge statuale di appartenza del reo.
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Il nostro diritto accoglie il principio dell'ubiquità.[63]
Art.6 ss. : nessuno dei suddetti principi predomina in modo assoluto:combinazione di principi diversi per
contemperare la tutela di molteplici interessi.
REATI COMMESSI NEL TERRITORIO DELLO STATO: CONCETTO DI
TERRITORIO
Art.6, comma 1: sancisce il principio di territorialità, "chiunque commette un reato nel territorio dello Stato è
punito secondo la legge italiana". Nozione di territorio art.4 "....navi, aeromobili italiani..ovunque si trovino,
salvo che siano soggetti, secondo il diritto internazionale, a una legge territoriale straniera". Principio detto
della bandiera. Per le navi e aeromobili privati è limitata alle sole ipotesi che si trovino in alto mare...
SEGUE: LOCUS COMMISSI DELICTI
Art. 6, comma 2: Principio della ubiquità. "Il reato si considera commesso nel territorio dello Stato, quando
l'azione o omissione che lo costituisce, è ivi avvenuta in tutto o in parte, ovvero si è ivi verificato l'evento che è
la conseguenza dell'azione od omissione".
Azione od omissione in parte avvenuta in Italia : deve integrare gli estremi del tentativo punibile? Preferibile
NO poiché art.56 presuppone pur sempre che "l'azione non si compia o l'evento non si verifichi". L'art.6/2°
prevede ipotesi delittuose che, realizzandosi in tutti gli estremi, pervengono allo stadio dei reati consumati e
come tali vengono puniti: quindi è sufficiente accertare che la parte o la frazione di azione realizzata
rappresenti un anello essenziale della condotta conforme al modello criminoso: va ribaltata la prospettiva di
indagine rispetto al tentativo: mentre cioè nel caso dell'art. 56 l'idoneità e la univocità vanno valutate in base
ad un giudizio ex ante, nel caso in esame, ci si può avvalere di un giudizio a posteriori e in concreto rapportato
ad un delitto interamente perfezionatosi[64]..
Problematica è l'applicabilità del principio al reato continuato: parte della dottrina è per l'applicabilità dell'art.6
....tutte le volte in cui ne derivi un concreto vantaggio all'imputato[65].
REATI COMUNI COMMESSI ALL'ESTERO
Artt.7, 9 e 10 del codice penale contemplano diverse ipotesi di reati comuni commessi all'estero.
a)
Reati commessi all'estero punibili incondizionatamente. (non importa se cittadino italiano o straniero).
Art. 7 - REATI COMMESSI ALL'ESTERO [66]- "E' punito secondo la legge italiana il cittadino o lo straniero
che commette in territorio esterno taluno dei seguenti reati:
1)
delitti contro la personalità dello Stato italiano;
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2)
delitti di contraffazione del sigillo dello Stato e di uso di tale sigillo contraffatto;
3)
delitti di falsità in monete aventi corso legale nel territorio dello Stato, o in valori di bollo o in carte di
pubblico credito italiano;
4) delitti commessi da pubblici ufficiali a servizio dello Stato, abusando dei poteri o violando i doveri inerenti
loro funzioni;
5)
ogni altro reato per il quale speciali disposizioni di legge o convenzioni internazionali stabiliscono
l'applicabilità della legge penale italiana": si fonda sul principio di universalità (ipotesi dei c.d. delicta juris
gentium: genocidio, discriminazione razziale, dirottamento aereo, traffico di stupefacenti, eccetera).
b)
Reati commessi all'estero punibili condizionatamente[67].
Art.9 - DELITTO COMUNE DEL CITTADINO ALL'ESTERO - Il cittadino, che, fuori dei casi indicati nei due
articoli precedenti, commette in territorio estero un delitto per il quale la legge italiana stabilisce l'ergastolo, o la
reclusione non inferiore nel minimo a tre anni, è punito secondo la legge medesima, sempre che si trovi nel
territorio dello Stato".
punibilità del cittadino per delitti comuni commessi all'estero, diversi da quelli dell'art.7, però subordinata alla
presenza di alcune condizioni:
1) che si tratti di delitto per il quale la legge italiana stabilisce l'ergastolo o la reclusione non inferiore nel
minimo a tre anni, ovvero che sussistano gli altri presupposti previsti all'art.9, commi 2° e 3°;
2)
che il cittadino si trovi nel territorio dello Stato[68].
Art.9, secondo comma: ove si tratti di delitti punibili con una pena inferiore a tre anni occorre, oltre alla
presenza del reo nel territorio dello Stato, la richiesta del Ministro di Grazia e Giustizia ovvero l'istanza o la
querela della persona offesa.
Art.9, terzo comma: delitto comune commesso all'estero a danno di uno Stato estero o di uno straniero, il
colpevole è punito a richiesta del Ministro di Grazia e Giustizia, semprecchè l'estradizione non sia stata
concessa o accettata. Ha riguardo solo ai delitti in cui lo Stato straniero assume la posizione di soggetto
passivo specifico.
c) Art.10: ipotesi dello straniero che commette all'estero delitti comuni (diversi da quelli art.7) a danno dello
Stato o di un cittadino italiano (art.10, comma 1°), ovvero a danno di uno Stato estero o di uno straniero
(art.10, comma 2°).
DELITTO POLITICO COMMESSO ALL'ESTERO: NOZIONE
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Concetto di delitto politico
Art.8, comma terzo: "Agli effetti della legge penale, è delitto politico ogni delitto, che offende un interesse
politico dello Stato, ovvero un diritto politico del cittadino. E' altresì considerato delitto politico il delitto comune
determinato, in tutto o in parte, da motivi politici".
E' un concetto molto ampio (in linea con l'ideologia fascista dell'epoca del codice) che si specifica:
a)
in senso oggettivo: in considerazione della natura del bene o interesse leso;
b)
in senso soggettivo: caratterizzato dalla motivazione psicologica che spinge l'autore a commettere il fatto.
L'art.8 si ispira al principio della difesa dello Stato <contemplando con una specie di norma di chiusura la
difesa statale predisposta dall'art.7>: esigenza di tutela però meno intensa (l'instaurazione del processo
presuppone la richiesta al Ministero di Giustizia e, ove sia il caso, anche la querela della persona offesa).
Delitto politico in senso oggettivo. Offende un interesse politico dello Stato, non vi rientrano i delitti che
offendono il potere amministrativo o il potere giudiziario dello Stato medesimo.
Delitto politico in senso soggettivo. "motivo politico" e "motivo sociale" mantenere distinti i due concetti,
concependo come politico quel motivo del reato che determina la condotta in funzione di una concezione
ideologica relativa alla struttura dei poteri dello Stato e sui rapporti tra Stato e cittadino, come sociale quel
motivo che orienta la condotta dell'agente in funzione di una concezione della società che non
necessariamente si riflette in maniera immediata sulla forma politica. Va esclusa l'equivalenza tra motivo e
pretesto politico, ma il motivo politico può coesistere con un movente personale, purchè il primo risulti
prevalente.
Delitto politico e costituzione. Complicazione del concetto di delitto politico con l'art.26 Cost. ( in rapporto
all'estradizione) e l'art.10 della Cost. (in rapporto al diritto di asilo) che non ne forniscono alcuna definizione.
Bisogna vedere il tipo di rapporto intercorrente tra il fatto commesso e le "libertà democratiche garantite dalla
Costituzione italiana".
In tal modo la nozione di delitto politico tende ad acquistare una connotazione "oggettiva".
Sezione II. AMBITO DI VALIDITA' PERSONALE DELLA LEGGE PENALE
PREMESSA
Principio di obbligatorietà della legge penale. Art.3: è proiezione o concretizzazione del più generale principio
d'eguaglianza.
Nozioni di cittadino e di straniero.
Immunità penali. Art.3 C.P. fa salve "le eccezioni stabilite dal diritto pubblico interno o dal diritto
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internazionale": si risolvono nella sottrazione di un soggetto all'applicabilità della sanzione, al potere coercitivo
dello Stato: immunità penali.
Immunità assolute e relative. Assolute: si estendono a tutti i reati. Relative: solo in costanza di carica e
richiedono un'autorizzazione al procedimento penale da parte di organi diversi dal giudice ordinario.
Immunità sostanziali e processuali. Sostanziali: riferite agli atti compiuti, alle opinioni espresse ed ai voti dati
nell'esercizio di funzioni (in diritto interno o internazionale). Processuali: riferite agli atti compiuti fuori
dell'esercizio delle funzioni, e perseguibili al momento della cessazione della carica.
FONTE GIURIDICA DELL'IMMUNITA': IL DIRITTO PUBBLICO INTERNO
Presidente della Repubblica. Art.90 Cost.
Presidente del Senato. Per tutto il periodo supplenza.
Membri del Parlamento. Art.68 Cost.
Giudici della Corte Costituzionale.
Membri del Consiglio superiore della magistratura.
SEGUE: IL DIRITTO INTERNAZIONALE
Sommo Pontefice
Capi di Stato esteri
Ministri degli esteri
Agenti diplomatici
Funzionari internazionali
Parlamentari europei
Consoli, agenti consolari e diplomatici
Giudici Corte dell'Aja
Membri delle forze armate
NATURA GIURIDICA DELLE IMMUNITA'
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Dottrina dominante: tutti i fenomeni di immunità sono riconducibili alla categoria delle cause di esclusione della
pena, delle cause cioè che hanno come effetto la non applicazione della sanzione penale pure in presenza di
un fatto di reato.
Occorre individuare l'effetto tipico della situazione di immunità di volta in volta esaminato, nonché il contesto
nel quale essa si trova ad operare. Es. in relazione all'effetto tipico, tutte le volte in cui è conseguenza
dell'esercizio di funzioni abbiamo una causa di giustificazione. In altri casi, l'immunità va spiegata con il ricorso
alla categoria dell'incapacità penale o processuale (es. Pontefice e Capi di Stati esteri).
Cap. 5. NOZIONI DI TEORIA GENERALE DEL REATO
Sezione I. CONCETTI GENERALI
DEFINIZIONE FORMALE DI REATO [69]
Definizione di reato e principi costituzionali relativi alla materia penale.
La definizione del reato come fatto cui la legge ricollega una sanzione penale (in funzione delle conseguenze
giuridiche) è insufficiente.
Alla luce dei principi l'illecito penale presenta le seguenti caratteristiche:
a)
è di creazione legislativa: omaggio al principio nullum crimen sine lege (art.25/2° Cost.);
b) è di formulazione tassativa perché la legge deve fissare con la maggiore determinatezza possibile i fatti
costituenti reato;
c) ha carattere personale (art.27, comma 1, Cost.): tale carattere va inteso non solo nel senso che è vietata
ogni forma di "responsabilità per fatto altrui", ma anche nel senso che il reato deve atteggiarsi a fatto
tendenzialmente colpevole.
Illecito penale e illecito civile: in campo civile non domina il principio di riserva di legge, con la conseguenza
che una fonte normativa di grado inferiore può creare una figura di illecito. Inoltre non vige il principio di
tassatività; anzi, il diritto civile è il terreno privilegiato della c.d. legislazione per principi e dell'uso delle c.d.
clausole generali. Infine, nell'ordinamento civile sono ammesse forme di responsabilità indiretta (c.d.
responsabilità per rischio) e senza colpevolezza (c.d. responsabilità oggettiva).
Illecito penale e illecito amministrativo maggiore affinità.....
IL PROBLEMA DELLA DEFINIZIONE SOSTANZIALE DEL REATO
Le concezioni tradizionali
Definizione sostanziale di reato, scopi di tutela del diritto penale e criteri costituzionali di politica criminale.
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Ancoraggio al sistema costituzionale: il reato va definito come lesione o messa in pericolo di un bene giuridico;
e, più precisamente, di un bene giuridico che appaia meritevole di protezione penalistica in base alle direttive
di tutela potenzialmente vincolanti desumibili dalla Costituzione.
Occorre però tener conto di altri criteri: i principi di sussidiarietà, di meritevolezza di pena.
Talchè si può dare questa definizione sostanziale di reato:
è reato un fatto[70] umano
che aggredisce un bene giuridico
ritenuto meritevole di protezione da un legislatore che si muove nel quadro dei valori costituzionali
semprechè la misura dell'aggressione sia tale da far apparire inevitabile il ricorso alla pena
e che le sanzioni di tipo non penale siano insufficienti a garantire un'efficace tutela
DELITTI E CONTRAVVENZIONI
Criteri sostanziali di distinzione. Influenza delle concezioni politico-criminali di volta in volta dominanti.
La distinzione è assai rilevante sul piano applicativo, perché il regime giuridico delle due categorie è
notevolmente differenziato: rispetto al criterio di imputazione soggettiva (art.42/2°e 4° c.p.); rispetto al
tentativo (art.56/1° c.p.); rispetto alle cause estintive (art.157/1° nn.5 e 6 c.p.; artt.162 e 162bis c.p.), per
limitarsi soltanto alle indicazioni più significative[71].
Beccaria impostazione giusnaturalistica:
-
delitti[72]: mala in se;
-
contravvenzioni[73]: mala quia prohibita.
Impallomeni (Zerboglio): delitti: offenderebbero le condizioni primarie, essenziali e permanenti del vivere
civile/ contravvenzioni: minaccerebbero le condizioni secondarie e contingenti della convivenza.
Il codice penale vigente ricorre al criterio estrinseco-formale o nominalistico basato sulla specie della pena
comminata ex artt. 17 e 39 c.p.
Ora criterio quantitativo: distinzione soltanto in ragione della maggiore o minore gravità. Ma con
Circolare Presidenza Consiglio dei Ministri del 05 febbraio 1986, la quale - oltre a fissare parametri per una
corretta tipizzazione legislativa dei fatti punibili - stabilisce criteri orientativi per la scelta tra delitti e
contravvenzioni. In particolare, il settore privilegiato della materia contravvenzionale dovrebbe circoscriversi a
due categorie di illeciti (per PADOVANI sono 3 gruppi):
a) fattispecie di carattere preventivo-cautelare, che codificano regole di prudenza, di diligenza, perizia, ecc.
finalizzate alla tutela di beni primari, quali la vita, l'integrità fisica, eccetera (es. art.673 [74]ss.) (volta alla tutela
anticipata di beni giuridici: es. vita);
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b)
fattispecie concernenti la disciplina di attività sottoposte a un potere amministrativo, in vista del
perseguimento di uno scopo di pubblico interesse. (Forme di pericolo indiretto di beni giuridici altrimenti tutelati
sul piano della lesione o del pericolo diretto).
c) (PADOVANI) ipotesi residuali: corrispondenti a contravvenzioni che si caratterizzano per la loro minore
gravità relativa, rispetto a parallele attività delittuose (es. art.712 - acquisto di cose di sospetta provenienza in rapporto all'art.648 - ricettazione -), ovvero perché dirette alla tutela di interessi secondari (ad esempio
art.660 - molestia o disturbo alle persone - e artt.725-726 - commercio di scritti, disegni o altri oggetti contrari
alla pubblica decenza - atti contrari alla pubblica decenza - turpiloquio).
I due nuclei della Circolare Presid. Cons. Min.05/02/1986 risultano interferenti e, sinteticamente, appaiono
tutelare funzioni, piuttosto che interessi, prescrivendo il rispetto delle modalità alle quali di volta in volta si
fa riferimento per la soluzione dei conflitti di interessi suscettibili di scaturire da una particolare attività.
E' con riferimento alle specificità di contenuto degli illeciti predetti, che troverebbe vera giustificazione il
particolare regime giuridico previsto dal legislatore per le contravvenzioni. Quanto innanzitutto all'indifferenza
del dolo e della colpa (art.42, ultimo comma[75]), la circolare osserva che, nelle fattispecie a carattere
preventivo-cautelare, trattandosi di regole volte a disciplinare attività o situazioni pericolose, la loro
inosservanza è egualmente significativa, quale che sia l'elemento psicologico che sorregge l'azione; mentre,
nelle fattispecie concernenti attività soggette a potere amministrativo, l'atteggiamento psicologico rimane
egualmente indifferente, poiché l'illiceità dipende da una valutazione operata dalla pubblica amministrazione.
Circa poi la non punibilità del tentativo essa viene giustificata, nelle fattispecie del primo tipo, con la loro natura
intrinseca di reati di pericolo, mentre, con riguardo alle fattispecie del secondo tipo, ciò che rileva penalmente
non è un'azione diretta a realizzare l'attività sottoposta al potere amministrativo, ma proprio la realizzazione di
quest'ultima attività. In sintesi, la Circolare avverte come il particolare regime giuridico delle contravvenzioni
non presenti univocamente elementi di minore gravità rispetto al regime previsto per i delitti, per cui sarebbe
da escludere che il criterio di distinzione tra illeciti delittuosi e illeciti contravvenzionali possa far sempre leva
sul parametro quantitativo della maggiore o minore gravità dell'illecito. Così ad es., in termini di pena, se la
contravvenzione può risultare assai meno grave del delitto (essendo l'ammenda la più tenue delle sanzioni
penali previste nel nostro sistema), può tuttavia essere anche più grave (l'arresto è pena più incisiva della
semplice pena pecuniaria della multa). Analogamente, l'indifferenza del dolo e della colpa costituisce un
elemento più rigoroso di disciplina, posto che la normale estensione della punibilità alle ipotesi colpose
determina una dilatazione dell'area della rilevanza penale rispetto ai "delitti" dolosi, nel cui ambito la colpa è
punibile solo nei casi espressamente previsti (art.42, comma 2°)[76].
Criterio formale di distinzione. Sul piano del diritto positivo vigente, il criterio più sicuro di distinzione tra delitti
e contravvenzioni rimane quello di natura formale, facente leva sul diverso tipo di sanzioni rispettivamente
comminate.
Alle contravvenzioni si applica solo il principio di territorialità (forse art.7, n.5) per il loro carattere
"specializzato". Limite art.12 cpv. sentenza penale straniera riconoscibile solo per un delitto.
Criterio di imputazione soggettiva delle contravvenzioni art.42, ultimo comma: TEORIE:
1)
purchè sia dolosa o colposa (colpa presunzione iuris tantum che spetta all'imputato vincere);
2) ma alternatività equivalente del dolo e della colpa: è sufficiente sia il dolo che la colpa (almeno uno dei
due coefficienti deve sussistere in concreto).
Pratica coincidenza della colpa con la volontarietà della condotta:
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1)
contravvenzioni di tipo preventivo-cautelare: emergono violazioni di regole comportamentali volte ad
eliminare o ridurre il rischio insito in determinate attività pericolose. La mera volontarietà della condotta
.....=colpa (es. getto cose...);
2)
contravvenzioni amministrative NON consistenti nella trasgressione di una norma cautelare.
Soltanto nei c.d."delitti nani"[77] ...dolo e colpa... contravvenzioni "ontologicamente dolose" es. artt. 660[78],
661[79] e 671[80] C.P.
"Delitti contravvenzionali" violazioni di carattere preventivo-cautelare elevate al rango di delitti: previsione
dolosa si affianca a quella colposa: es. artt. 437[81] e 451[82] C.P.
Errore sul fatto-Errore colposo: punibilità della contravvenzione art.42, ultimo comma: ogni qualvolta la falsa
rappresentazione non sia tale da escludere il carattere colposo della condotta, continua senza dubbio a
sussistere il requisito richiesto per l'imputazione.
Errore di diritto: art.47, ultimo comma"L'errore su una legge diversa dalla legge penale esclude la punibilità,
quando ha cagionato un errore sul fatto che costituisce reato": rilevante se è errore sul fatto (...)pag.21
Circostanze/Tentativo: solo per delitto/Concorso di persone: artt.110 e 113/ Distinzioni sul piano sanzionatorio:
artt.17 e 19 (art.39). Pene parallele/Cause di estinzione del reato e della pena.
Art.39 " i reati si distinguono in delitti e contravvenzioni, secondo la diversa specie delle pene per essi
rispettivamente stabilite da questo codice".
Art.17 "le pene principali stabilite per i delitti sono l'ergastolo, la reclusione e la multa" mentre "le pene
principali stabilite per le contravvenzioni sono l'arresto e l'ammenda".
Libro I (delitti) e Libro III (contravvenzioni), difficoltà per la parte speciale.
Notevolissima importanza rispetto all'elemento soggettivo del reato e al tentativo.
Mentre i "delitti" richiedono, di regola, il dolo e la punibilità a titolo di colpa rappresenta l'eccezione (art.42,
comma 2° [83]), nell'ambito delle "contravvenzioni" si risponde indifferentemente a titolo di dolo o di colpa
(art.42, comma 4° [84]): a meno che non si versi in quei casi eccezionali in cui è la stessa struttura del fatto
contravvenzionale a richiedere di per sé, necessariamente, il dolo (es. il fatto di recare molestia o disturbo alle
persone per petulanza o altro biasimevole motivo art.660) o la colpa (es. la rovina di edifici o di altre
costruzioni art.676).
Quanto al tentativo è di regola configurabile esclusivamente nell'ambito dei "delitti".
Rilievo anche in rapporto alla professionalità e abitualità nel reato, alle misure di sicurezza, alle cause di
estinzione del reato e della pena, ecc.
IL SOGGETTO ATTIVO DEL REATO
Soggetto attivo o autore (reo, agente, colpevole): colui[85] che realizza un fatto conforme ad una fattispecie
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astratta di reato[86].
Capacità penale[87]
Capacità alla pena (imputabilità[88])
Capacità alle misure di sicurezza (pericolosità sociale)
Immunità[89]
Reati comuni e reati propri. Quando soggetto attivo può essere chiunque, il fatto incriminato prende l'etichetta
di reato comune. Altri casi: con speciale qualifica soggettiva[90], requisiti "naturalistici" (madre) o giuridici
(p.u.): reato proprio[91].
IL PROBLEMA DELLA RESPONSABILITA' PENALE DELLE PERSONE GIURIDICHE
Principio individualistico, di origine romanistica, societas delinquere non potest che avrebbe anche avallo
costituzionale art.27 comma 1° Cost.[92].
Art.197 prevede una obbligazione civile di garanzia della persona giuridica per il caso in cui colui il quale ne
abbia la rappresentanza o l'amministrazione commetta un reato o in violazione degli obblighi inerenti alla
qualità rivestita ovvero nell'interesse della persona giuridica, e versi in condizioni di insolvibilità: l'attribuzione
all'ente di tale oggetto di garanzia non si spiegherebbe se l'ente stesso potesse considerarsi soggetto attivo
del reato.
Esigenze di superamento del principio societas delinquere non potest : scelte di politiche di impresa e capro
espiatorio di un altro soggetto?! Figura del corporate crime.
Ma l'ente collettivo come tale è capace di agire con dolo o con colpa? Configurare sanzioni aventi più il
carattere di misura di sicurezza (ad es.confisca, chiusura stabilimento, sospensione attività produttiva, ecc.)
sul presupposto che l'applicazione delle misure di sicurezza implica la pericolosità sociale, e non già la
colpevolezza del destinatario della sanzione. Però difficoltà di apprezzare in termini naturalistici, cioè come
atteggiamenti psicologici effettivi, le manifestazioni dell'ente collettivo. E la risocializzazione connessa al
concetto di pericolosità?
Si propende quindi per modelli sanzionatori alternativi, di tipo amministrativo o civilistico.
Responsabilità amministrativa delle persone giuridiche. Legge 29/09/2000, n.300 di ratifica ed esecuzione di
alcune convenzioni internazionali relative alla lotta alla corruzione dei pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni
economiche internazionali, dei funzionari degli Stati membri dell'U.E. e alla tutela delle finanze comunitarie;
D.Lgs. 8 maggio 2001, n.231 che ha disciplinato la responsabilità degli enti in attuazione della delega
contenuta nella suddetta Legge n.300/2000.
La scelta di qualificare come "amministrativa" anziché "penale" la responsabilità introdotta, sarebbe una sorta
di "frode delle etichette": la responsabilità è infatti strettamente agganciata alla commissione di un fatto di
reato, e la sede in cui essa viene accertata è pur sempre il processo penale con tutto il corredo delle sue
garanzie. Caratteristiche fondamentali e presupposti applicativi essenziali del nuovo istituto:
A) si applica non solo agli enti forniti di personalità giuridica, ma anche alle società e associazioni che ne
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sono prive, non si applicano allo Stato, E.P.Territoriali, E.P.non economici, nonché agli enti che svolgono
funzioni di rilievo costituzionale (art.1);
B) presupposto oggettivo fondamentale è la commissione di un "reato" da parte di determinate p.f.,
normativamente specificate, "nell'interesse o a vantaggio dell'ente" (l'ente non risponde, invece, se il reato è
commesso nell'interesse esclusivo dell'autore materiale o di terzi). Più precisamente autori del reato devono
essere: a) persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell'ente o
.....gestione o controllo; b) persone sottoposte alla direzione o vigilanza di uno dei soggetti precedenti (art.5);
C)
criteri di imputazione soggettiva: modello di colpevolezza sui generis che si ispira al sistema dei
compliance programs: cioè alla colpevolezza concepita pur sempre come rimproverabilità soggettiva, ma
questa volta peculiarmente connessa al fatto che <<il reato dovrà costituire anche espressione della politica
aziendale o quantomeno derivare da una colpa di organizzazione. (..) All'ente viene in pratica richiesta
l'adozione di modelli comportamentali specificatamente calibrati sul rischio-reato, e cioè volti ad impedire,
attraverso la fissazione di regole di condotta, la commissione di determinati reati. Requisito indispensabile
perché dall'adozione del modello derivi l'esenzione da responsabilità dell'ente è che esso venga efficacemente
attuato>>[93]. In altri termini, la specifica colpevolezza della P.G. si configurerà quando il reato commesso da
un suo organo o sottoposto rientra in una decisione imprenditoriale, ovvero esso è conseguenza del fatto che
l'ente medesimo non si è dotato di un modello di organizzazione idoneo a prevenire reati del tipo di quello
verificatosi, o ancora che vi è stata al riguardo omessa o insufficiente vigilanza da parte degli organismi dotati
di potere di controllo, ecc.Ciò premesso, i criteri di imputazione soggettiva del reato all'ente, vengono poi,
normativamente differenziati a seconda che il reato sia commesso da soggetti in posizione apicale ovvero da
persone sottoposte all'altrui direzione.
D) E' espressamente introdotto il principio della "autonomia" della responsabilità dell'ente, nel senso che
quest'ultimo risponde anche quando: a) l'autore del reato non è stato identificato o non è imputabile; b) il reato
si estingue per una causa diversa dall'amnistia.
E) L'introduzione della responsabilità dell'ente non ha allo stato portata generalissima, ma è circoscritto alle
ipotesi di reato per le quali è dal legislatore prevista in modo espresso. Più in particolare, gli artt. 24 e 25 del
decreto legislativo stabiliscono che tale responsabilità può scattare soltanto nei casi di cui agli artt.316 bis, 316
ter, 317,318, 319, 319 ter, commi 1° e 2°, 321,322, 640 bis e 640 ter del codice penale.
IL PROBLEMA DEI SOGGETTI RESPONSABILI NEGLI ENTI O NELLE IMPRESE
Delega all'adempimento di obblighi.
Giurisprudenza[94] che condiziona rilevanza penale della delega alla presenza di talune
condizioni-presupposti- requisiti:
1) la delega deve essere esplicita, non ambigua, in equivoca (esigenze di certezza[95]) deve documentare
presupposti, contenuti e limiti della stessa;
2)
principio della specificità della delega[96];
3)
la delega deve essere accettata dal delegato[97];
4)
la delega deve cadere su una persona idonea e professionalmente affidabile, su una persona
tecnicamente preparata[98];
5)
principio dell'autonomia del delegato: la persona delegata "deve essere fornita di poteri autoritativi
autonomi e decisori pari a quelli dell'imprenditore e idonei a far fronte alle esigenze connesse
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all'apprestamento dei presidi antinfortunistici, compreso l'accesso ai mezzi finanziari" (i collaboratori "delegati"
devono essere dotati dei poteri e dei mezzi necessari per svolgere efficacemente i compiti loro affidati[99]);
6) il delegato deve concretamente poter assolvere ai suoi compiti, non aver incompatibilità con altri compiti
assegnati al soggetto stesso[100];
7) non ingerenza del delegante nell'esecuzione dei compiti del delegato, in modo tale da indurre il delegato
a commettere delle violazioni[101];
8)
se il delegante viene a conoscenza di violazioni da parte del delegato, automaticamente il delegante
deve intervenire per la loro cessazione[102];
9) il delegante non può disinteressarsi del modo in cui il delegato assolve i propri compiti: deve cioè vigilare
sull'operato del delegato[103];
Orientamento c.d. funzionalistico.
Si badi che la delega è indispensabile per esonerare da responsabilità il datore di lavoro, ma non è necessaria
per affermare la responsabilità del dirigente o del preposto[104], i quali rispondono - nell'ambito delle loro
attribuzioni e competenze - in quanto dirigenti o preposti[105]. Se poi questi hanno ricevuto la delega, allora
risponderanno in quanto dirigenti o preposti e in più dovranno rispondere di quegli ulteriori compiti ed obblighi
che gli sono stati conferiti a mezzo della delega.
IL SOGGETTO PASSIVO DEL REATO [106]
Coincidenza tra soggetto passivo e titolare del bene protetto dalla singola fattispecie incriminatrice di
parte speciale: persona offesa dal reato (art.120 [107]).
Distinzione tra soggetto passivo e oggetto materiale quest'ultimo allude invece alla persona o alla cosa sulla
quale materialmente ricade l'attività delittuosa[108].
Distinzione tra soggetto passivo e persona danneggiata. Es. nell'omicidio dove soggetto passivo è la vittima e
danneggiati sono (eventualmente) i familiari.
Reati a soggetto passivo indeterminato. Sono ipotesi nelle quali l'interesse offeso appartiene ad una cerchia
indeterminata di persone (c.d. reati vaghi o vaganti): es. reati contro l'incolumità pubblica[109].
Profili di rilevanza del soggetto passivo. Es. qualità del soggetto minore..
Reati senza vittima. Sono ipotesi di incriminazione dietro le quali non è facile individuare l'offesa ad un bene
giuridico "afferrabile": es. reati contro la moralità pubblica come il delitto di pubblicazioni oscene, cosiddetti
reati ostativi vale a dire figure di illecito a pericolo astratto che incriminano atti che rappresentano soltanto il
presupposto di una concreta aggressione ad un ben definito bene oggetto di protezione.
L'individuazione del soggetto passivo del reato assume rilevanza pratica soprattutto ai fini della presentazione
della querela (artt. 122 ss.[110]) e dell'ammissibilità del consenso scriminante della persona offesa
(art.50[111]): se per la "querela" è sufficiente - in base al principio della c.d. indivisibilità - che la presenti uno
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solo dei soggetti passivi, l'operatività del "consenso" è invece subordinata all'esistenza di una concorde
volontà di tutti i titolari dell'interesse protetto.
Sezione II. STRUTTURA DEL REATO
PREMESSA
Gli obiettivi della teoria generale del processo
Eccessi concettualistici
ANALISI DELLA STRUTTURA DEL REATO
Pietra angolare del reato è un fatto umano corrispondente alla fattispecie obiettiva di una figura criminosa:
a) il giudizio di corrispondenza tra il fatto e lo schema legale di una specifica figura di reato si traduce nel
concetto di tipicità;
b)
ma ci sono situazioni particolari (es. esercizio di un diritto, legittima difesa, ecc.). Quindi il fatto deve
essere anche realizzato contra ius: giudizio di antigiuridicità[112];
c)
il fatto deve essere riconducibile alla responsabilità di un soggetto che ne risulta autore: concetto di
colpevolezza.
Concezione unitaria e concezione analitica del reato.[113]
<<La concezione unitaria del reato muove dal presupposto che l'unità del reato non è frazionabile in
elementi separati suscettibili di analisi separata. Tutt'al più potrebbe parlarsi di <<aspetti>> che il reato
presenta e che evidenziano peraltro soltanto le facce di un prisma prive di valore e di significato autonomo
(...).
Quando tuttavia si tratta di considerare il reato come fenomeno normativo, che deve essere riferito ad un
determinato accadimento, occorre distinguere molteplici profili, ciascuno dei quali assume una sua peculiare
rilevanza: in primo luogo è necessario verificare la corrispondenza del fatto storico, nella sua dimensione
obiettiva, alla fattispecie incriminatrice; in secondo luogo bisogna verificare se esso sia stato o meno
commesso in presenza di una causa di giustificazione; in terzo luogo accertare con quale atteggiamento
psicologico il fatto sia stato commesso e se sussistano particolari circostanze che scusino il soggetto. La
considerazione del reato non può dunque essere che analitica. La considerazione unitaria rappresenta
del resto un momento di decadenza del diritto penale. Essa scaturisce da concezioni irrazionalistiche maturate
negli anni venti e prosperate durante il regime nazista,le quali, svalutando il metodo dell'analisi concettuale,
pretendevano di cogliere il senso giuridico dei fenomeni in termini intuitivi ed emozionali. In questo senso la
considerazione unitaria si ricollega alla concezione soggettiva del reato, inteso quale ribellione
dell'individuo alla superiore volontà dello stato espressa nella norma. Negando il riferimento del reato alla
tutela di un interesse, si intendeva contestare la stessa dimensione oggettiva del fatto (vista come un ostacolo
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alle esigenze repressive dello stato autoritario), per sottolinerare il momento soggettivo della <<ribellione al
comando>>. Questa doveva allora essere colta nella sua <<unitarietà>>, senza gli impacci di categorie
dogmatiche o di vincoli normativi definiti, sino al punto di risalire alla <<condotta di vita>> del soggetto,
cogliendo in essa i sintomi di un atteggiamento ribelle alla volontà statuale.>.
Concezione tripartita e concezione bipartita:
Il reato è quindi un fatto umano , tipico, antigiuridico e colpevole. Concezione tripartita.
Teoria del reato, Digesto, M.DONINI
Concezione tripartita (sistema classico di LISET e BELING)
1)
FATTO TIPICO (TATBESTAND[114]) o come una condotta "conforme al tipo" astratto;
2)
ANTIGIURIDICO (RECHTSWIDRIG): "obiettiva";
3)
COLPEVOLE (SCHULDHAFT).
Sulla premessa della valutazione oggettiva del fatto come antigiuridico, si sviluppa quindi l'idea che la
colpevolezza non si riduca a un puro stato psicologico, ma esprima un momento più personale di valutazione
di antidoverosità dello stato soggettivo dell'autore del fatto illecito, alla luce delle condizioni di normalità che
devono aver accompagnato la formazione del volere.
Scoperta del fatto e della tipicità del fatto di reato teleologica: SCOPO per delimitare i comportamenti
sottoposti alla legge penale in modo tassativo, secondo una logica di tipizzazione opposta a quella civilistica e
con criteri di "frammentarietà" rispetto alle prescrizioni extrapenali pur presupposti. Il luogo sistematico dove si
realizzava il dialogo fra "fatto" e l'intero ordinamento era dato dall'antigiuridicità (: idea del bene giuridico:
antigiuridicità cd. sostanziale o materiale).
Bipartizione: elementi oggettivi e soggettivi.
Il motivo centrale che divide l'analisi bipartita da quella tripartita è costituita dal rapporto fra tipicità e
antigiuridicità (che presuppone, e non precede, la colpevolezza). Per i bipartiti le cause di giustificazione sono
meri elementi negativi del fatto, in presenza delle quali verrebbe meno l'elemento soggettivo, la stessa tipicità
del fatto intesa in senso oggettivistico, pur nel residuare di un danno sul piano solo materiale. Di qui
spiegazione perché l'erronea supposizione di una causa di giustificazione va trattata come se fosse un errore
sul fatto (che esclude il dolo e, se incolpevole, anche la colpa: art.59, ultimo comma [115]) perché sarebbe un
errore anch'esso "sul fatto" (come quello sugli elementi costitutivi art.47 [116]), su quel medesimo concetto di
fatto che definisce gli elementi positivi del fatto tipico: un errore che nel caso delle scriminanti verterebbe,
tuttavia, su un elemento negativo del fatto (la scriminante appunto).
CONCEZIONE BIPARTITA: che definisce il reato quale fatto umano commesso con volontà colpevole.
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<La teoria bipartita classica. Il primo metodo di analisi del reato deriva dal giusnaturalismo ottocentesco , ed
è stato elaborato dai maggiori esponenti della scuola classica del diritto penale (Giovanni CARMIGNANI e
Francesco CARRARA). Partendo dal presupposto che il reato è un <<ente di ragione>> (presenta cioè una
consistenza offensiva che prescinde dalle contingenti valutazioni legislative), i classici distinguono nel reato
due componenti ontologiche denominate <<forze>>: la forza fisica e la forza morale. In linea di massima, esse
corrispondono rispettivamente all'elemento obiettivo ed all'elemento soggettivo della dottrina moderna, anche
se in modo non perfetto (...).Così la forza fisica soggettiva è costituita dalla condotta del soggetto, mentre la
forza fisica oggettiva si risolve nel danno provocato dal reato; la forza morale soggettiva esprime la volontà
dell'agente e la forza morale oggettiva consiste nel <<danno morale>> del reato (e cioè nella intimidazione e
nel cattivo esempio ch'esso produce nei cittadini). Aspetti di pura consistenza ontologica ed aspetti valutativi si
uniscono così nella concezione bipartita secondo il modello delle <<forze>> , senza poter peraltro trovare una
convincente sistemazione dogmatica per le cause di giustificazione, che vengono ricondotte a cause di
esclusione della forza morale come ipotesi di <<coazione>> esercitata sul soggetto. Dall'analisi classica resta
estraneo il diritto positivo. E' ben vero che, per la punibilità del reato, si riconosce necessaria una
<<imputazione civile>> del fatto, consistente nel suo contrasto con le leggi dello stato. Ma tale imputazione
non ha alcuna consistenza ontologica, non condiziona l'esistenza del reato in quanto <<ente di ragione>>;
essa rappresenta una sorta di <<atto dovuto>> da parte del legislatore che è tenuto (razionalmente) a
dichiarare la punibilità dei soli fatti offensivi ontologicamente individuati come tali. In questo senso, la
concezione bipartita si prospetta come un vincolo materiale all'esercizio della potestà punitiva statale.>[117].
Nella struttura del reato si possono individuare due elementi costitutivi fondamentali:
a)
L'elemento oggettivo ( o materiale) del reato, nel quale è ulteriormente possibile distinguere la
CONDOTTA (attiva od omissiva) del soggetto agente, l'EVENTO ed il NESSO CAUSALE che lega il primo al
secondo;
b)
L'elemento soggettivo o psicologico del reato: che esprime il collegamento psicologico che si
stabilisce tra il fatto e il soggetto agente (dolo o colpa), cioè il NESSO PSICHICO.
(manca l'antigiuridicità che è racchiusa nei due elementi, nell'intero fatto)[118].
Vantaggi della concezione tripartita . Prospettiva metodologica teleologicamente orientata, tenendo conto della
specifica funzione delle categorie dogmatiche che assolvono all'interno del settore giuridico considerato.
<La teoria tripartita succede storicamente alla teoria bipartita classica. Sviluppatasi in Germania all'inizio del
secolo, fu recepita in Italia negli anni trenta (soprattutto ad opera di G.DELITALIA) (...). In essa è in realtà
diverso l'approccio analitico iniziale, che muove non già da una prospettiva ontologica, ma dal sistema
giuridico positivo.>[119].
La teoria c.d. della tripartizione scompone la struttura del reato in tre elementi costitutivi essenziali:
1)
fatto (tipico)[120];
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2)
antigiuridicità (obiettiva)[121];
3)
colpevolezza[122].
Le tre categorie infatti assolvono funzioni specifiche (anche a livello delle garanzie formali, nonché sul piano
delle finalità politico-criminali perseguite dal diritto penale quale strumento di controllo sociale): attitudine
"polivalente" del sistema tripartito.
Il terzo elemento dell'\ quale momento di "torto oggettivo" indipendente dall'elemento psicologico dà adeguata
sistemazione alle cause di giustificazione. L'antigiuridicità designa il CONTRASTO TRA IL FATTO E LA
NORMA: consiste in una valutazione che compie il giudice circa il carattere lesivo di un comportamento
umano (BETTIOL)[123]. L'antigiuridicità penale consiste in un GIUDIZIO DI RELAZIONE: quando definiamo
un fatto antigiuridico , non facciamo altro che giudicare quel fatto in relazione alle norme penali, riconoscendo
che esso contrasta con tali norme. Per ROCCO e ANTOLISEI[124] l'antigiuridicità non è un elemento del
reato, ma una qualificazione del fatto considerato nella sua totalità, è l'ESSENZA stessa del reato, l'"in sé" del
reato come dice ROCCO; BETTIOL, al contrario, osserva che è la punibilità che caratterizza il reato, non
l'antigiuridicità la quale ne costituisce , invece, un ELEMENTO. Dall'antigiuridicità deve essere mantenuta
distinta la TIPICITA' per la quale è sufficiente la RISPONDENZA TRA IL FATTO E LA FIGURA LEGALE DI
REATO. Ai fini della sussistenza dell'antigiuridicità, questo elemento positivo deve aggiungersene un altro,
negativo, consistente nella MANCANZA DI CAUSE DI GIUSTIFICAZIONE O SCRIMINANTI che indicano le
ipotesi in cui l'azione dell'uomo pur essendo astrattamente corrispondente ad una figura di reato, non è
sottoposta a pena (es. appropriazione della cosa mobile altrui con il consenso dell'avente diritto).
La concezione tripartita-quadripartita (quest'ultima + punibilità: MARINUCCI-DOLCINI), che ricomprende le
cause di giustificazione nell'autonoma categoria dell'antigiuridicità, ha il merito, separando quest'ultima dalla
tipicità, di favorire la comprensione delle diversità e delle rispettive funzioni politico-criminali e delle ragioni per
cui la previsione del fatto tipico, e non delle cause di giustificazione, richiede il rispetto del principio di legalità:
se il fatto tipico,infatti, costiuendo un'<astratta determinazione di valore> e, prospettando la limitazione della
libertà del singolo in caso di mancato adeguamento, presuppone l'osservanza di definiti vincoli formali, lo
stesso non può valere per le cause di giustificazione, alla base delle cui previsioni <stanno sempre ragioni o
interessi valutati positivamente dal legislatore> (ROMANO).
Per G.FIANDACA, Fatto penale, voce Digesto < La collocazione dell'antigiuridicità su di un piano distinto da
quelo del fatto soddisfa meglio, invero, l'esigenza teleologica di porre in risalto la rispettiva funzione del fatto
tipico e delle scriminanti all'interno del sistema penale. E cioè,mentre la funzione del fatto è di natura
prettamente penalistica, in quanto tale categoria assolve il compito di descrivere i tipi di illecito penalmente
sanzionati, l'antigiuridicità NON ha una funzione strettamente giuridico -penale: le cause di giustificazione o
scriminanti, racchiuse in autonome norme autorizzative o di liceità, integrano infatti il sistema penale
nell'ordinamento giuridico complessivo; ne deriva (tra l'altro) che la disciplina delle situazioni esimenti non è
necessariamente subordinata al principio di riserva di legge e, inoltre, che non ne è esclusa una possibile
estensione analogica. L'autonomia concettuale del ''fatto'' rispetto all'antigiuridicità ha, altresì, (ancorché non
sopravvalutabili) implicazioni pedagogiche: asserire ad esempio ceh anche una uccisione per legittima difesa
integra il fatto tipico di omicidio, può servire a sottolineare che la soppressione della vita umana contraddice
pur sempre l'indicazione di valore implicita nel divieto penale di uccidere potenzialmente rivolto a chiunque>.
Secondo la teoria della bipartizione l'antigiuridicità non può essere considerata un elemento del reato, ma
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piuttosto l'IN SE'DEL REATO, il giudizio di contraddizione tra il fatto e la norma penale mentre le cause di
giustificazione rappresentano gli elementi negativi, cioè gli elementi che devono mancare perché il fatto
costituisca reato[125].
MARINUCCI nel manuale con DOLCINI "quadripartita": 1) fatto umano; 2) antigiuridico; 3) colpevole; 4)
punibile.
FATTO TIPICO
Nozione penalistica di fatto tipico. Va inteso in un'accezione più ristretta, comprendente cioè il complesso degli
elementi che delineano il volto di uno specifico reato, quel particolare modello delittuoso e non un altro.
Fatto tipico e principio di legalità.
Fatto tipico come specifica forma di aggressione al bene protetto. Occorre vedere le particolari modalità di
offesa al bene stesso come legislativamente tipizzate non tutte le condotte comunque idonee a ledere il bene
protetto. Esigenze poste anche dal principio di materialità che esige che il reato si manifesti in un contegno
esteriore accertabile nella realtà fenomenica[126].
Nell'ambito di un diritto penale veramente rispettoso dei principi di legalità, materialità e tassatività, la categoria
del fatto tipico dovrebbe, pertanto, assolvere l'ulteriore funzione di ancorare i modelli delittuosi (e le correlative
forme di offesa) a tipi di comportamenti basati - a loro volta - su ben definite tipologie empirico-criminologiche.
TIPICITA'[127] ED OFFESA DEL BENE GIURIDICO
La categoria del bene ha un ruolo costitutivo o fondante della punibilità quale criterio legislativo di
criminalizzazione, e funge da criterio ermeneutico in una prospettiva teleologica, ma assolve un'altrettanto
importante funzione dogmatica[128].
Per PADOVANI[129] <Soltanto la norma incriminatrice consente di identificare un <<bene giuridico>> (..)
poiché tute le norme incriminatici si propongono un risultato, si può senz'altro affermare che la loro violazione
si risolve sempre ed immancabilmente nella frustrazione di uno scopo: tutti i reati sono pertanto reati di offesa.
La concezione sommariamente esposta è nota sotto il nome di concezione metodologica del bene giuridico:
<<metodologica>>, perché le sue basi concettuali poggiano sulla premessa che soltanto il metodo della
considerazione strettamente giuridico-positiva consente di comprendere e definire il <<bene giuridico>>. La
tesi secondo cui i reati dovrebbero essere distinti in reati di offesa e reati di scopo[130] assume invece come
proprio retroterra una concezione realistica del bene giuridico. In essa, il bene giuridico, pur divenendo
<<giuridico>> soltanto se una norma lo tutela, non perde la propria consistenza <<reale>> (e cioè
<<pregiuridica>>, o meglio: indipendentemente dalla tutela giuridico-penale): la vita, l'integrità fisica, il
possesso dei beni, la salute collettiva, prima di divenire beni giuridici penalmente protetti, sono <<beni>>, e
cioè situazioni reali oggetto di una valutazione positiva.(...). La concezione metodologica non è idonea a
fondare alcuna nozione sostanziale del reato; su questo piano, essa si rivela anzi puramente formale.(...).La
concezione realistica del bene giuridico è invece suscettibile di sviluppi sul piano politico-criminale. Essa è
infatti idonea a prospettarsi come criterio di selezione dei fatti punibili. Di fronte all'esistenza di reati di scopo
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(..) si può (..) ritenere che il legislatore debba utilizzare la sanzione penale soltanto per tutelare beni giuridici, e
non anche per altre ragioni; in questo senso, il bene giuridico diventa criterio deontologico della normazione
penale. L'offesa ad un bene giuridico rappresenta ciò che il reato deve essere, e la nozione sostanziale del
reato costruita sull'offesa è nozione non descrittiva (perché nel sistema sono presenti anche reati di scopo),
ma assiologia (perché indica ciò che è <<degno>> di assumere il carattere di illecito penale: axios, in greco,
significa appunto <<degno>>).>.
<Il reato come offesa di beni giuridici costituzionalmente rilevanti - Secondo una moderna concezione,
l'esigenza che il reato sia ancorato all'offesa di un bene giuridico non dipenderebbe più da un'istanza
razionale, ma si baserebbe su una prescrizione normativa desumibile dalla Costituzione. La tesi è stata
elaborata da F.BRICOLA (...):
a) la sanzione penale incide sulla libertà personale, direttamente nel caso delle pene delle pene detentive o
indirettamente nel caso delle pene pecuniarie, suscettibili di essere convertite in misure restrittive della libertà
quando il condannato sia insolvibile. Essa colpisce il bene che l'art.13/1° Cost. qualifica come <<inviolabile>>
(...);
b) le pene debbono, secondo l'art.27/3° Cost., <<tendere alla rieducazione del condannato>> (..) di ogni
mezo adeguato a consentire l'assimilazione, da parte del condannato, dei valori sociali antagonistici rispetto a
quelli perseguiti con l'attività criminosa (..);
c)
la previsione normativa dei reati è sottoposta al principio della riserva di legge (art.25/2° Cost.) (...);
d)
la responsabilità penale, secondo l'art.27/1° Cost., <<è personale>>. Ciò implica che l'attribuzione
dell'illecito penale sia vincolata non semplicemente a presupposti materiali-obiettivi, ma alla possibilità di
ravvisare, nella realizzazione del fatto illecito, il coinvolgimento del suo autore come <<persona>> (dell'illecito
penale si risponde soltanto se si è imputabili (..), se si è agito con un determinato atteggiamento psicologico, e
così via dicendo). La responsabilità penale è dunque il frutto di una valutazione articolata e complessa, spinta
oltre la soglia del <<foro interno>> del soggetto.
Le premesse indicate ai punti a) e b) postulano un nesso tra <<pena>> e <<beni (o valori) costituzionali>>: un
nesso contenutistico per quanto riguarda il riferimento della pena alla libertà personale, un nesso finalistico per
quanto riguarda lo scopo della pena. Se la pnea colpisce un bene di primaria rilevanza costituzionale, ciò
implica che la ragione sufficiente per comminarla (e cioè il reato) si riferisca all'offesa di un bene dal significato
corrispondente: un'esigenza di proporzione induce a richiedere un rapporto di equiparazione fra il male
minacciato (la privazione della libertà personale) e quello che la minaccia intende evitare (l'offesa contenuta
nel reato). Se la pena deve mirare all'assimilazione dei valori costituzionali, ciò implica ancora una volta, che
siano quelli i valori coinvolti dalla previsione incriminatrice: che senso avrebbe proporsi una rieducazione del
condannato ai valori costituzionali, se la condotta criminosa risulta ad essi estranea? Le premesse indicate ai
punti c) e d) postulano che il ricorso alla sanzione penale debba essere contenuto in limiti assai ristretti,
soltanto quando non sia possibile provvedere diversamente ad una efficace tutela del bene. Il principio di
sussidiarietà (o dell'extrema ratio), che esprime appunto questa esigenza, deriva del resto dai caratteri
intrinseci dell'intervento punitivo penale (...). In definitiva, sembra la conclusione che il reato debba
necessariamente consistere nell'offesa significativa di beni costituzionalmente rilevanti. (...): Perplessità (...):
I: Un'obiezione ricorrente è costitutita dal rilievo che la Costituzione include una serie cospicua ed eterogenea
di beni giuridici (...) il vincolo imposto all'esercizio della potestà punitiva penale rischia di risultare illusorio (...)
modi, forme e limiti della tutela (..) sarebbero peraltro rimessi all'arbitrio del legislatore. A tale obiezione si
replica osservando che la nozione deontologica di reato sostenuta da questa tesi non si limita a richiedere che
il reato rappresenti l'offesa di un qualsiasi bene giuridico di rilevanza costituzionale, ma che tale offesa sia
<<significativa>>: deve quindi trattarsi di un'offesa che per il suo grado o per le sue modalità determini una
compromissione consistente del bene (..).
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II: (..) per quanto vasta e comprensiva, la Costituzione non abbraccia tutti i beni socialmente rilevanti, la cui
tutela può risultare in varia guisa necessaria.(..) si può parlare di beni la cui rilevanza costituzionale è implicita.
Ma in questo modo la tassatività del limite prescritto viene ulteriormente inficiata dal riconoscimento che anche
i beni strumentali alla salvaguardia di beni costituzionalmente rilevanti possono essere oggetto di tutela
penale.
III: (...) La <<significatività>> dell'offesa rappresenta di per sé un'apertura assai consistente alla mera
discrezionalità politica del legislatore, che si sottrae a censure di legittimità costituzionale (salvo il limite
generale della <<ragionevolezza>>, desunto - com'è noto - dall'art.3/1° Cost., per cui non è consentito trattare
in modo uniforme situazioni che ragionevolmente appaiono diverse, o in modo difforme situazioni che
ragionevolmente appaiono uguali) (...).
IV. Più al fondo, occorre chiedersi se sia veramente incompatibile con le premesse costituzionali indicate (sub
a,b,c,d) la previsione di reati di scopo (...i quali ....) sembrano legittimmi, per lo meno quando essi assicurino il
raggiungimento di una finalità consentanea agli orientamenti espressi dalla Costituzione (....). Sempre più
spesso i reati di scopo assumono come oggetto la tutela di una funzione. Si tratta di quei casi in cui la norma
incriminatrice assume come finalità particolare la salvaguardia del modo di risoluzione di un conflitto di beni, la
cui valutazione ed il cui contemperamento sono affidati all'Amministrazione. Così,ad es., la legge non punisce
il fatto in sé di scaricare sostanze inquinanti nelle acque, ma di scaricare senza autorizzazione
(art.59/1°,D.Lgs. 152/1999), affidando all'Amministrazione il compito di stabilire in concreto se un certo scarico
possa essere consentito o meno. Due scarichi perfettamente identici risultano quindi leciti o illeciti in funzione
della presenza o dell'assenza di un provvedimento abilitante. La legge non identifica a priori una situazione di
danno o di pericolo per un determinato bene giuridico,ma stabilisce che sia l'Amministrazione a definire
quando ed in che limiti un danno od un pericolo per la purezza delle acque sia accettabile, in considerazione
non soltanto della portata inquinante delle acque, ma della serie di interessi coinvolti nel fenomeno dello
scarico; interessi della produzione agricola ed industriale, del commercio e del turismo, degli insediamenti
abitativi, e così via dicendo. In questo, come nei numerosissimi casi simili, non si può dunque affermare che la
legge tuteli un bene giuridico: l'autorizzazione rilasciata non esclude invero che lo scarico resti in qualche
misura inquinante, così come il difetto di autorizzazione non esclude che lo scarico sia in concreto privo di
effetti inquinanti significativi. Osservanza ed inosservanza della norma ruotano piuttosto intorno al modo
legalmente definito per la risoluzione di un conflitto di interessi: chi vi si adegua, non è punibile; chi lo elude, è
punibile per ciò solo, ed a prescindere dalla <<intrinseca>> offensività del suo comportamento (...).
Se non è possibile elaborarre dalla Costituzione prescrizioni vincolanti di carattere assoluto circa il contenuto
sostanziale del reato, è tuttavia certo che da essa emergono indubbiamente indicazioni politico-criminali
significative (...) la circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri 19.12.1983 (..) finisce col delineare
una nozione sostanziale di reato, a carattere deontologico (in contrapposizione alla violazione amministrativa
disciplinata dalla Legge 689/1981), le cui premese sono affini a quelle da cui muove la nozione costituzionale
poc'anzi esaminata. Affermando che <<fondamentalmente, la scelta tra sanzione penale e sanzione
amministrativa deve ispirarsi a due principi concorrenti: quello di proporzione e quello di sussidiarietà>> (..). Il
principio di proporzione, postulando che la <<reazione all'illecito corrisponda alla sua gravità>>, è desunto
implicitamente dall'art.27/3° Cost., <<non potendosi perseguire alcuna azione rieducativi mediante un
trattamento sanzionatorio sproporzionato alla gravità del fatto>>. Il principio di sussidiarietà (o dell'extrema
ratio), postulando <<il ricorso alla sanzione penale solo in mancanza di tecniche di controllo sociale provviste
di un analogo grado di efficacia>>, è ricollegato all'art.13/1°Cost., <<che considerando in linea di principio
'inviolabile' la libertà personale, e cioè il bene colpito dalla sanzione penale, offre un'implicita ma significativa
indicazione a favore dell'impiego di questa sanzione come ultima ratio, quando cioè sia esaurita qualsiasi
possibilità di tutela attraverso strumenti sanzionatori che non incidano su un bene di rango così elevato>>.
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Tipicità "apparente". Es. furto di un acino d'uva o di un chiodo arrugginito, o del falso c.d. grossolano o
innocuo.
ANTIGIURIDICITA'
L'antigiuridicità come categoria ricostruita alla stregua dell'ordinamento giuridico. Questo secondo "filtro" del
carattere illecito del fatto tipico è imposto dal principio dell'unità del sistema giuridico. E' un momento di
"riprova" a conferma del carattere illecito del fatto tipico. Vedi anche norme processuali art.652 C.P.P. relativo
ai rapporti tra giudizio penale di assoluzione e azione civile riparatoria. Per converso l'art.651 C.P.P. vincola il
giudice civile e amministrativo al giudicato penale di condanna "quanto all'accertamento della sussistenza del
fatto, nella sua illiceità penale e nell'affermazione che l'imputato lo ha commesso".
L'antigiuridicità come assenza di cause di giustificazione. Il giudizio di antigiuridicità , dunque, si risolve
strutturalmente nella verifica che il fatto tipico non è coperto da alcuna causa di giustificazione o - secondo un
sinonimo - da alcuna esimente. Per converso, la presenza di una causa di giustificazione o esimente annulla
l'antigiuridicità di un comportamento "indiziata" dalla semplice conformità al tipo.
Natura oggettiva dell'antigiuridicità: All'interno della concezione tripartita del reato, la categoria
dell'antigiuridicità intesa nel senso ora precisato ha carattere oggettivo: essa cioè costituisce una qualità
oggettiva del fatto tipico, che come tale prescinde ed è distinta dalla colpevolezza. Questo modo di intendere
l'antigiuridicità corrisponde alla stessa impostazione codicistica: l'art.59 nel fissare la regola della rilevanza
"obiettiva" delle cause di giustificazione (che possono operare anche se non conosciute dall'agente)
presuppone un'antigiuridicità concepita su base puramente oggettiva[131].
La teoria degli elementi negativi del fatto. Di elementi che devono mancare perché l'illecito penale si configuri.
Ragione storica: espedienti concettuali per risolvere il problema dell'errore sull'esistenza di cause di
giustificazione nell'ambito di ordinamenti come quelli tedesco-occidentali privi di norma ad hoc, ma in Italia c'è
l'art.59 [132] che disciplina espressamente l'errore sulle scriminanti.
Vantaggi della configurazione dell'antigiuridicità come requisito autonomo del reato.
Applicazione analogica delle scriminanti. Dal carattere non specificatamente penale delle norme che
configurano le cause di giustificazione derivano, peraltro, importanti conseguenze:
a) la disciplina delle situazioni che integrano scriminanti non è necessariamente subordinata (a differenza
delle norme stricto sensu incriminatici) al principio della riserva di legge[133];
b) essendo le norme sulle scriminanti "autonome" norme "extrapenali" desumibili da tutto l'ordinamento, se
ne deduce senza difficoltà la loro possibile estensione analogica.
Il fatto obiettivamente lecito oltre a non essere sanzionabile non è mai impedibile.
Recuperata così l'autonomia nozionale e funzionale della categoria della "antigiuridicità" rispetto a quella del
"fatto tipico"[134], rimane da puntualizzare che la verifica dell'esistenza (o meno) di cause di giustificazione
poggia su criteri più formali che sostanziali.
Antigiuridicità in senso materiale. Ragioni sostanziale che stanno alla base dell'incriminazione, ravvisate dalla
dottrina in: antisocialità del fatto o lesione del bene penalmente protetto. Per Fiandaca-Musco, come già
visto, il profilo dell'incidenza lesiva del fatto sul bene protetto è già assorbito dal giudizio di tipicità.
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Antigiuridicità speciale. O illiceità speciale. Casi nei quali la stessa condotta tipica è contraddistinta da una
nota di illiceità desumibile da una norma diversa da quella incriminatrice: elemento diverso ed ulteriore rispetto
alla normale antigiuridicità oggettiva intesa come assenza di cause di giustificazione. Indiziata da espressioni
legislative quali: "illegittimamente" "abusivamente" (es. art.348 C.P.[135])"arbitrariamente" "indebitamente"
ovvero "abusando dei poteri e delle qualità", ecc.. Rilevanza pratica sul terreno del dolo e dell'errore: momento
conoscitivo della volontà colpevole, mentre ove un errore sulla illiceità speciale scaturisca dalla erronea
interpretazione di una norma extrapenale, può risolversi in un errore sul fatto che esclude il dolo (art.47,
comma 3° [136]).
COLPEVOLEZZA[137]
Colpevolezza come rimprovero personalizzato.
Colpevolezza e libero arbitrio.
Ratio "liberal-garantistica" del principio di colpevolezza
Corte Cost. sent. 23-24 marzo 1988, n.364 relativa all'efficacia scusante dell'errore inevitabile di diritto. La
Corte ha ravvisato la ratio della colpevolezza nell'esigenza di "garantire al privato la certezza di libere scelte
d'azione: per garantirgli cioè, che sarà chiamato a rispondere penalmente solo per azioni da lui controllabili e
mai per comportamenti che solo fortuitamente producono conseguenze penalmente vietate. Il principio di
colpevolezza, in questo senso, più che completare, costituisce il secondo aspetto del principio garantistico di
legalità, vigente in uno Stato di diritto". Dichiarando illegittimo l'art.5 c.p. nella parte in cui non esclude dalla
inescusabilità dell'ignoranza della legge l'ignoranza inevitabile, ha enunciato una serie di affermazioni e di
principi[138]:
1)
della "illegittimità costituzionale della punizione di fatti che non risultino essere espressione di
consapevole, rimproverabile contrasto con i (o indifferenza ai) valori della convivenza, espressi dalle norme
penali";
2) casi di "mancanza di riconoscibilità della disposizione normativa (ad esempio, assoluta oscurità del testo
legislativo), oppure un gravemente caotico (la misura di tale gravità va apprezzata anche in relazione ai diversi
tipi di reato) atteggiamento interpretativo degli organi giudiziari; ad esempio, qualora l'errore sia stato
determinato da particolari, positive circostanze di fatto, quali assicurazioni erronee di persone istituzionalmente
destinate a giudicare sui fatti da realizzare; precedenti, vari assoluzioni dell'agente per lo stesso fatto, ecc.";
3) in presenza di "reati che non presentino neppure un generico disvalore sociale", vi è l'obbligo del giudice
di "un'attenta valutazione delle ragioni per le quali l'agente che ignora la legge penale, non si è neppure
prospettato un dubbio sull'illiceità del fatto. Ora, se l'assenza di tale dubbio discende, principalmente, dalla
personale non colpevole carenza di socializzazione dell'agente, l'ignoranza della legge penale va, di regola,
ritenuta inevitabile".
Corte Cost. n.364/1988: La legge penale garantisce la libertà di scelta individuale proprio nella misura in cui
rifiuta la responsabilità oggettiva, basata sul puro nesso di causalità materiale, e subordina invece la punibilità
alla presenza di coefficienti soggettivi (dolo e colpa): ed infatti, l'assumere il dolo o la colpa come presupposto
della responsabilità equivale a circoscrivere la punibilità nei limiti di ciò che è prevedibile ed evitabile da parte
del soggetto; e tale possibilità di controllo - a sua volta - permette - appunto, a ciascuno di pianificare la propria
vita senza incorrere in sanzioni penali.
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Colpevolezza, Digesto, di G.MARINI:
Legislatore del 1930 colpevolezza:
-
presenza nel fatto dell'elemento psicologico del dolo e colpa;
-
nonché di quel particolare "momento" soggettivo "coscienza e volontà dell'azione od omissione".
Poi alla colpevolezza fu riferita una serie di "circostanze", presenti le quali l'ordinamento negava la "punibilità"
del materiale autore del fatto conforme al tipo ed (oggettivamente) antigiuridico: soprattutto in funzione
dell'emergere della concezione normativa della colpevolezza che viene ricostruita non più nel suo
contenuto (preteso o effettivo) psicologico-naturalistico, ma sull'atteggiamento assunto, nei confronti della
"volontà dell'agente" manifestatasi nell'illecito, dall'ordinamento.
Imputabilità è mero requisito per l'applicazione della pena (rispetto alla sanzione finalizzata alla prevenzione
speciale).
<Le versioni più recenti della concezione normativa e l'analisi della colpevolezza .- La dottrina più
recente (soprattutto tedesca), pur mantenendosi nel solco della concezione normativa, ne ha profondamente
modificato i contenuti. Non è possibile ripercorrere in questa sede tutti i complessi passaggi della vicenda.
Limitandosi alle linee di fondo emergenti dell'evoluzione, si rileva innanzitutto una importante precisazione
circa l'oggetto del giudizio di colpevolezza, che è in realtà costituito non semplicemente dal fatto tipico
antigiuridico, ma piuttosto dal fatto tipico doloso o colposo (antigiuridico). Dolo o colpa non rappresentano il
criterio del rimprovero, ma il suo oggetto, alla stregua del fatto cui ineriscono; e così come il fatto illecito non fa
ovviamente parte del giudizio di colpevolezza, neppure il dolo e la colpa debbono esservi ricondotti. Nel
giudizio di colpevolezza permangono allora, da questo punto di vista, soltanto i parametri in base ai
quali si può affermare che un fatto illecito doloso o colposo è rimproverabile al soggetto. Quali sono
tuttativa questi parametri? A questo punto, occorre distinguere, perché essi si differenziano in rapporto alle
funzioni specifiche che il giudizio di colpevolezza è chiamato ad assolvere, che sono:
fondare la responsabilità,escluderla e graduarla.
La colpevolezza fonda la responsabilità in rapporto alla capacità di intendere e di volere e alla
possibilità di conoscere il divieto, che debbono essere stimate quindi secondo criteri di riferimento
soggettivizzati.
La colpevolezza esclude la responsabilità in presenza di scusanti[139] espresse (ad es. la minaccia
necessitante dell'art.54/3°c.p.), la cui tipizzazione implica di per sé un riferimento di carattere
tendenzialmente obiettivato (per l'art.54/3° c.p. non si tratta di accertare se la persona minacciata
abbia effettivamente subito una coazione psichica di intensità tale da indurla al reato, ma solo di
stabilire se la minaccia, qualificata dalla norma, abbia condizionato l'agire del soggetto).
La colpevolezza che gradua la responsabilità (ad es., i motivi a delinquere dell'art.133/2° n.1 c.p.)
postula per un verso un oggetto diverso da quello proprio delle altre due funzioni (motivazione,
condizioni personali che non rilevano necessariamente sul piano fondante e scusante),ed implica per
un altro verso il ricorso ad un criterio strettamente basato sulla personalità del reo.
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(...). La maggior parte della dottrina italiana, dal canto suo, pur aderendo alla concezione normativa, è
ancora legata alla concezione unitaria della colpevolezza, senza distinzioni funzionali corrispondenti a
quelle prospettate. Si tratta di una prospettiva che, in linea di principio, merita di essere ancora seguita
(soprattutto sul piano didattico): se è vero che la colpevolezza graduante ha un oggetto più vasto di
quella fondante o delle scusanti, non è men vero che ciascun aspetto di queste ultime è poi
suscettibile di graduazione (così, ad es., la capacità di intendere e di volere può risultare solo
diminuita; la minaccia cogente, anche se nonn raggiunge la soglia della scusa, assume pur sempre
una rilevanza attenuatrice, e così via). La diversità del parametro valutativo deve viceversa indurre ad
una considerazione necessariamente separata delle scusanti (che escludono del resto non solo la
responsabilità, ma anche l'assoggettabilità ad una misura di sicurezza: assumono pertanto un ruolo
sistematico più vasto e comprensivo di quello svolto dalla colpevolezza fondante o graduante,
destinata a incidere solo sulla pena). Anche il mantenimento del nesso psichico nell'orbita della
colpevolezza meriterebbe una riconsiderazione (per le ragioni poc'anzi accennate); ma, in questa sede,
si è preferito aderire alla prospettiva più tradizionale> così PADOVANI, op.cit., pagg.169-171.
La categoria della colpevolezza come principio-cardine del sistema penale.
Colpevolezza come categoria dogmatica.
Colpevolezza come criterio di commisurazione della pena. Distinta a seconda che essa funga:
a)
da elemento costitutivo del reato che si pone accanto alla tipicità e all'antigiuridicità;
b) criterio di commisurazione della pena. In questa accezione la colpevolezza assurge a categoria di sintesi
di tutti gli elementi, imputabili al soggetto, da cui dipende la gravità del singolo fatto di reato.
COSTRUZIONE "SEPARATA" DEI TIPI DI REATO
CLASSIFICAZIONE DEI TIPI DI REATO
Reati di evento.
La fattispecie incriminatrice tipicizza un evento esteriore come risultato concettualmente e fenomenicamente
separabile dall'azione e a questa legato in base ad un nesso di causalità.
Ulteriore distinzione a seconda che il legislatore specifichi o non le modalità di produzione del risultato lesivo.
E' una distinzione importante nell'ambito del procedimento di conversione di un'ipotesi commissiva di reato in
un'ipotesi di mancato impedimento dell'evento ex art. 40 cpv [140]:
a)
reati a forma vincolata: es. art.438 "chiunque cagiona un'epidemia mediante la diffusione di germi
patogeni";
b)
reati di evento "a forma libera" ovvero di "reati causali puri": es. paradigmatico art.575 che punisce
"chiunque cagiona la morte di un uomo".
Reati di azione.
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Semplice compimento dell'azione vietata, senza che sia necessario attendere il verificarsi di un evento
casualmente connesso alla condotta medesima. Es. evasione del carcere nell'ipotesi delittuosa di cui
art.385[141].
Reati commissivi ed omissivi.
Commissivi (o di azione) la condotta tipica è rappresentata da un agire positivo.
Omissivi (o di omissione) "
"
"
"
"
" " omissione.
Omissivi propri: consistono nel semplice mancato compimento di un'azione imposta da una norma penale di
comando,a prescindere dalla verificazione di un evento come conseguenza della condotta omissiva, es.
omissione di soccorso, omissione di referto, omessa denuncia di reato.
Omissivi impropri (o commissivi mediante omissione): quando l'evento lesivo dipende dalla mancata
realizzazione di un'azione doverosa (es. omicidio colposo dovuto alla mancata sorveglianza di un bambino).
Rappresentano un completamento dei reati commissivi costituiti da un'azione positiva e da un evento, art.40
cpv.
Reati istantanei e permanenti.
In questi ultimi il protrarsi dell'offesa dipende dalla volontà dell'autore, qui acquista rilevanza giuridica non
soltanto l'attività del soggetto che realizza la lesione del bene, ma anche quella successiva di
mantenimento[142].
Respinta dalla dottrina dominante la concezione c.d. bifasica del reato permanente: secondo la quale la fase
della c.d. instaurazione si realizza con un'azione e quella del mantenimento con un'omissione: da un lato, si
riconosce che anche la fase di instaurazione può essere realizzata con un'omissione; e , dall'altro, si ammette
che lo stato antigiuridico può essere mantenuto con azioni positive. Il reato permanente cessa nel momento in
cui si mette fine alla condotta volontaria di mantenimento dello stato antigiuridico (ovvero è orami impossibile
porvi fine: es. arresto dell'agente).
Vedi dibattito su natura istantanea o permanente dei reati omissivi propri . Secondo un criterio distintivo molto
diffuso nella prassi applicativa, il reato omissivo sarebbe permanente tutte le volte in cui per l'adempimento
dell'azione doverosa sia previsto un termine puramente ordinatorio; sarebbe istantaneo quando ai fini
dell'adempimento sia previsto un termine di scadenza perentorio, decorso il quale l'obbligato non è più in
grado di far cessare lo stato di antigiuridicità determinato dalla condotta illecita. Senonchè è facile obiettare
che il termine di adempimento, che assume rilevanza penale, non può che essere quello perentorio. In dottrina
più diffusa la tesi secondo la quale i reati omissivi possono, eccezionalmente, assumere natura permanente
ove il dovere di agire imposto dalla norma persista nel tempo anche successivamente al primo manifestarsi
della situazione da cui esso si origina: ad esempio, mentre sarebbe istantaneo il dovere di prestare immediato
soccorso ad una persona in pericolo (art.593); sarebbe perdurante l'obbligo del proprietario di provvedere alla
riparazione di un edificio pericolante (art.677).
Il reato permanente è un reato unico in quanto lesivo di un medesimo bene giuridico. Importanza pratica: al
momento della cessazione della permanenza la legge fa riferimento ai fini della decorrenza del termine di
prescrizione (art.158), dell'applicabilità dell'amnistia, del termine per proporre querela o della flagranza di reato
(art.382 C.P.P.). Per la competenza territoriale l'art.8 C.P.P. indica il luogo in cui ha avuto inizio la
consumazione.
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Reati abituali: (G.LEONE).
quegli illeciti penali, per la cui realizzazione è necessaria la reiterazione nel tempo di più condotte della
stessa specie[143]. Si distingue in:
reato abituale proprio: le singole condotte autonomamente considerate sono penalmente irrilevanti (es.
sfruttamento prostituzione[144]).
reato abituale improprio : ciascun singolo atto integra di per sé altra figura di reato (es. nella relazione
incestuosa art.564/2° il reato di incesto ex art.564/1°), ovvero in cui la condotta singola che concorre ad
integrare il reato è sempre rilevante: così ad es. la relazione incestuosa (art.564/2°c.p.) rispetto all'incesto
(art.564/1°c.p.). Il reato abituale improprio è in sostanza la forma eventualmente abituale di un altro reato, e
più precisamente il concorso materiale omogeneo di più reati valutato unitariamente dalla legge nel contesto di
una diversa figura criminosa[145].
Problemi di abitualità:
1)
contenuto del comportamento di abitualità: se nons i fosse costruito questo paradigma avremmo
CONCORSO MATERIALE per reato abituale improprio. Per quello proprio impossibilità di sanzione....
2)
Modo di presentarsi del dolo, cioè della colpevolezza: dolo come rappresentazione e volontà della
reiterazione? Il dolo investe la consapevolezza delle condotte già avvenute, non di quelle da tenere
(consapevolezza della singola azione).
Anche qui rilevanza pratica sotto vari profili: la prescrizione comincerà a decorrere dall'ultima condotta
integrante il reato, il termine per proporre querela dalla realizzazione di condotte già sufficienti ad assumere
rilievo penale. Quanto all'amnistia e all'indulto è possibile scindere il reato abituale in parti, purchè
autonomamente capaci di integrare i presupposti minimi della punibilità.
Reati comuni e propri:
a seconda che siano realizzati da "chiunque" ovvero da soggetti "qualificati".
Reati propri, ulteriori differenze rilevanti soprattutto ai fini determinazione del dolo e in sede di concorso di
persone:
reato proprio in senso puro: il possesso della qualifica determina la stessa punibilità del fatto (es. omissione di
atti di ufficio).
reato proprio in senso lato: il possesso della qualifica comporta un mutamento del titolo del reato (es.
appropriazione indebita che si trasforma in peculato se commessa da p.u. ai danni della P.A.).
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Reati di danno e di pericolo
A seconda che la condotta criminosa comporti la lesione effettiva ovvero la semplice messa in pericolo o
lesione potenziale [146] del bene giuridico assunto a oggetto di tutela penale[147].
Reati di pericolo concreto e di pericolo presunto.
Reati di pericolo concreto o effettivo: il pericolo viene in genere concepito come rilevante possibilità di
verificazione di un evento temuto, rappresenta un elemento costitutivo della fattispecie incriminatrice, onde
spetta al giudice, in base alle circostanze concrete del singolo caso, accertarne l'esistenza. Es. art.422 delitto
di strage.
Reati di pericolo presunto o astratto: si presume, in base ad una regola di esperienza, che al comportamento
di certe azioni si accompagni l'insorgere di un pericolo.Il legislatore si limita a tipizzare una condotta, al cui
compimento, tipicamente o generalmente, si accompagna la messa in pericolo di un determinato bene. Es.
reato di incendio di cosa altrui art.423/1°.
Revisione della distinzione tradizionale. Questa tradizionale bipartizione dei reati di pericolo ha, però, subito
tentativi di revisione negli ultimi anni. Si è cioè messo in evidenza il carattere della relatività della stessa
contrapposizione tra pericolo astratto e pericolo concreto rilevando come, al riguardo, decisivo non sia soltanto
il coinvolgimento o no del giudice in sede di accertamento: il grado di concretezza (o astrattezza) del pericolo
dipende anche, infatti, sia dalla collocazione che esso riceve nella struttura del tipo delittuoso, sia dai criteri di
accertamento adottati per verificarne l'esistenza, sia infine dal momento del giudizio. Così nell'ambito di quella
specie di pericolo che la dottrina tradizionale definisce "concreto" perché assunto ad oggetto di accertamento
giudiziale, si può distinguere tra più concreto e meno concreto, a seconda che il giudice debba - a sua volta verificare: a) che uno o più soggetti passivi ben determinati abbiano subito una reale minaccia, ovvero b) che
l'azione realizzata sia generalmente idonea a ledere, a prescindere dalla circostanza che qualcuno dei
soggetti titolari del bene protetto sia stato di fatto lambito. Per esemplificare la seconda delle due ipotesi
alternative, si consideri la fattispecie di cui all'art.440 "Chiunque corrompe o adultera acque o sostanze
destinate all'alimentazione, prima che siano attinte o distribuite per il consumo, rendendole pericolose alla
salute pubblica, è punito....", Orbene, in fattispecie come questa il pericolo si atteggia a requisito esplicito del
tipo, e di conseguenza spetta al giudice accertarlo di volta in volta nelle situazioni di fatto che vengono al suo
vaglio: ricorrerebbe, dunque, il tradizionale schema del reato di pericolo concreto. A ben guardare, tuttavia, qui
il pericolo non viene in rilievo nel senso di una minaccia realmente individualizzata nei confronti di una o più
persone; esso assume, piuttosto, rilevanza come attitudine "generica" dell'azione tipica a danneggiare la
salute di quanti (consumatori) in futuro, ed eventualmente, possono venire a contatto delle sostanze
adulterate. Sotto questa angolazione visuale, nonostante il coinvolgimento del giudice nell'accertamento della
pericolosità dell'azione, si può essere indotti a ritenere che corrisponda di più alla sostanza del fenomeno
qualificare "a pericolo astratto" anche tutti i reati che ricalcano lo schema dell'art.440 ora citato.
Problemi di costituzionalità dei reati a pericolo astratto. I reati di pericolo concreto sollevano problemi
soprattutto dal p.d.v. dell'individuazione dei relativi criteri di accertamento. Per i reati a pericolo astratto il
punctum dolens è l'illecito di pericolo presunto strettamente inteso: si rischia di reprimere la mera
disobbedienza dell'agente ...il legislatore finirebbe per disattendere il principio di necessaria lesività,
comprensivo sia della lesione che della (effettiva) messa in pericolo del bene protetto. Il problema sta tutto
nella corretta individuazione dei settori, nel cui ambito appare consigliabile o necessario anticipare la tutela
sino alla soglia dell'astratta pericolosità. Vedi situazioni di pericolo "standardizzate" che tipicamente si
originano da processi tecnologici complessi legati alla produzione di massa (es. sostanze medicinali,
alimentari, ecc.). In quest'ambito, l'incriminabilità delle condotte pericolose in se stesse presenta due
inestimabili vantaggi: a) si pone un argine alla "diffusività" del pericolo insito in questo tipo di condotte; b) si
evita la probatio diabolica dell'attitudine del fatto (es. "talidomide") a provocare una effettiva lesione nel caso
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concreto.
Vi sono poi dei beni collettivi o super-individuali, come l'ambiente o l'economia pubblica che, per loro natura,
possono essere danneggiati soltanto da condotte cumulative, vale a dire da molteplici condotte che si ripetono
nel tempo: ciò rende impossibile provare che una singola condotta tipica sia in concreto idonea, ad es. a
compromettere l'integrità dell'ambiente ovvero a provocare uno squilibrio nella bilancia dei pagamenti e simili.
In questi casi il ricorso allo schema del reato di pericolo astratto appare una scelta pressoché obbligata.
Ulteriori distinzioni.
Figura dei reati aggravati dall'evento: è previsto un aumento di pena se dalla realizzazione del delitto-base
deriva come conseguenza non voluta un evento ulteriore (es. omissione di soccorso aggravata dalla morte
della persona in pericolo).
Delitti di attentato: forme di illecito consistenti nel compiere atti o nell'usare mezzi diretti ad offendere un bene
giuridico.
PARTE SECONDA: IL REATO COMMISSIVO DOLOSO
Cap. 1. TIPICITA'
PREMESSA: LA FATTISPECIE E I SUOI ELEMENTI COSTITUTIVI
Fattispecie di reato: il complesso degli elementi che contraddistinguono ogni singolo illecito penale, variano
quindi in funzione delle diverse tipologie delittuose.
Funzione di garanzia della fattispecie. Abbraccia tutti gli elementi che condizionano la punibilità:
-
i contrassegni oggettivi o materiali di ogni fatto criminoso,ma anche,
-
il criterio di imputazione soggettiva (dolo o colpa) e
-
ogni altro requisito capace di influire sulle conseguenze giuridico-penali.
Si parla anche di fattispecie in un'accezione più ristretta : coincidente con il fatto tipico, quale categoria distinta
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dall'antigiuridicità e dalla colpevolezza.
La concezione classica di fattispecie obiettiva. Beling: designa soltanto gli elementi "descrittivi" ed "obiettivi"
del fatto di reato[148]. Influenza di due ragioni di fondo: a) suggestioni correnti scientifico-positivistiche; b)
preoccupazione di matrice garantistico-liberale, di costruire categoria dogmatica idonea a segnare il discrimine
tra ciò che è lecito e ciò che è punibile[149].
La concezione oggi dominante. Il concetto di fatto tipo va inteso in un'accezione più ampia, perché il fatto in
senso oggettivo o materiale, pur conservando il ruolo di spina dorsale della tipicità, non l'esaurisce
completamente: occorre anche tenere conto di componenti "soggettive", che assolvono funzioni integratrici
della tipicità in senso rigidamente materiale. Il dolo e la colpa finiscono con l'assumere una doppia rilevanza
sistematica: essi cioè appartengono, rispettivamente, sia alla sfera della tipicità sia alla sfera della
colpevolezza.
Ricapitolando abbiamo elementi di natura descrittiva o normativa e a carattere soggettivo.
CONCETTO DI AZIONE
È la base su cui poggia l'intera costruzione dogmatica del reato commissivo doloso.
Dottrina di oltre un ventennio fa, il concetto di azione ha due compiti:
1)
fornire una nozione superiore unitaria (sia per l'azione doloso che colposa, sia all'azione che
all'omissione);
2)
di orientare la stessa collocazione dogmatica degli elementi costitutivi del reato.
Diverse concezioni.
La teoria causale. L'azione è una modificazione del mondo esterno cagionata dalla volontà umana: il dolo non
è (anche) un elemento costitutivo dell'azione ma soltanto come forma di colpevolezza.
La teoria finalistica. Hans Welzel l'azione umana consiste nell'esercizio di una attività orientata verso uno
scopo: il dolo è un elemento costitutivo dell'azione e quindi del fatto tipico, non rappresenta una forma di
colpevolezza. Ma si pensi alle azioni impulsive o automatiche, e come nei reati colposi ed omissivi alla finalità
"reale" si sostituisce una finalità soltanto "potenziale".
La teoria sociale. Fa leva su di una mera possibilità di reagire in modo non coartato agli stimoli dell'ambiente
esterno,ma contenuto assai generico.
Il concetto di azione nel reato commissivo doloso. "i dadi della dogmatica penalistica non si giocano nella
dottrina dell'azione, ma al più presto nella dottrina della tipicità e dell'antigiuridicità" (Schonke-Schroder). In
altri termini, la premessa della costruzione del reato non può essere fornita da un'aprioristica o sedicente
ontologica concezione dell'azione: il modo d'atteggiarsi e i limiti dell'azione penalmente rilevante risultano
soltanto dall'interpretazione delle varie fattispecie e, per certi aspetti, da questioni inerenti alla configurabilità
della stessa colpevolezza. Da questo punto di vista, i criteri che presiedono alla determinazione del concetto di
azione si uniformano ai principi dell'imputazione penale, e non viceversa.
Il punto di partenza è sempre costituito dalla verificazione di un accadimento che lede o pone in pericolo un
bene giuridico: soltanto in un secondo momento ci si preoccupa di stabilire se, e in che modo, l'accadimento
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sia riconducibile al comportamento di qualcuno. Quali siano i criteri di attribuzione della responsabilità, lo
stabilisce l'ordinamento penale di volta in volta considerato: una condotta penalmente rilevante sussisterà
soltanto nelle forme e in presenza delle condizioni richieste dai parametri di responsabilità accolti
nell'ordinamento in questione.
Ora, sul terreno del reato commissivo la condotta criminosa assume la forma di un'azione in senso stretto:
richiamo art.42, primo comma: "Nessuno può essere punito per un'azione (..[150]..) preveduta dalla legge
come reato, se non l'ha commessa con coscienza e volontà": azione come movimento corporeo cosciente e
volontario. Ma la formula "coscienza e volontà" dell'azione NON esprime un'identica realtà psicologia comune
a tutte le forme delittuose: essa richiama dati diversi, a seconda che l'azione acceda ad un reato doloso
ovvero a un reato colposo.[151]
AZIONE DETERMINATA DA FORZA MAGGIORE O DA COSTRINGIMENTO FISICO. CASO FORTUITO
[152]
Manca in partenza la precondizione di un addebito a titolo di dolo o di colpa, non si può considerare l'azione
criminosa come opera propria di un determinato soggetto.
Forza maggiore[153]. Art.45 "non è punibile [154] chi ha commesso il fatto per (caso fortuito o per) forza
maggiore": il soggetto agitur, non agit. Irresistibilità: l'agente ha incontrato una "vis maior cui resisti non potest"
quindi il soggetto "agitur sed non agit"[155].
Costringimento fisico. Art.46 "non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato da altri costretto,
mediante violenza fisica, alla quale non poteva resistere o comunque sottrarsi.[156] In tal caso, del fatto
commesso dalla persona costretta risponde l'autore della violenza": il soggetto non agit, sed agitur. Occorre
però che la volontà dell'agente sia coartata in maniera assoluta; mentre, se sussistono margini di scelta, si
ricade nella diversa ipotesi della coazione morale o violenza psichica ex art.54 [157]. Si distingue dalla forza
maggiore perché nel costringimento fisico l'annullamento della volontà è determinato dall'opera di un altro
uomo (che risponderà del fatto), mentre nella forza maggiore il fatto è determinato essenzialmente da un
fattore naturale.
Caso fortuito. Art.45 ulteriore causa di esenzione da responsabilità "non è punibile chi ha commesso il fatto
per caso fortuito". Il caso fortuito non sempre esclude l'esistenza dell'azione: esso, in quanto risulta
dall'incrocio tra un accadimento naturale e una condotta umana, da cui deriva l'"imprevedibile" verificarsi di un
evento lesivo[158], impedisce però egualmente che l'agente possa essere chiamato a rispondere dell'evento
cagionato col concorso di fattori che esulano dall'ordine normale delle cose.
L'istituto del caso fortuito è dogmaticamente "polivalente" (FIANDACA) in quanto le diverse ricostruzioni
si possono integrare in quanto capaci di riflettere aspetti differenti del fenomeno: <esclude talvolta la semplice
colpevolezza, talvolta la causalità dell'azione, talvolta addirittura la stessa suitas. Ne sono conferma gli artt.91
e 92 c.p., che si riferiscono al caso fortuito proprio parlando di suitas della condotta. Tre in particolare sono le
tesi circa la sua collocazione: causa di esclusione della colpevolezza, causa di esclusione del nesso causale,
causa di esclusione talvolta di una e talvolta dell'altro[159]>.
1) <La tesi tradizionale soggettiva (giurisprudenza, ANTOLISEI, BETTIOL), parla di esclusione della
colpevolezza, basandosi sull'espressione letterale <ha commesso il fatto>, che presupporrebbe accertato il
nesso di causalità tra atto umano ed evento. La critica a tale impostazione è però che non v'è ragione di
adottare un apposito concetto, quale quello del caso fortuito, per caratterizzare l'esclusione della
responsabilità quando tale esclusione è già il risultato dell'indagine sulla soggettività (ovverosia sulla
mancanza di dolo e colpa). Di più: non perché sia commesso senza dolo o collpa un fatto può dichiararsi
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causale (il fatto lecito non può dirsi frutto del caso)>[160]. Esemplifica una di quelle circostanze che rendono
impossibile l'osservanza del dovere di diligenza richiesto nella situazione concreta [161];
2)
<La tesi oggettiva (MANTOVANI, SANTORO, PECORARO ALBANI) vede invece il caso fortuito
escludere lo stesso rapporto di causalità. Naturalmente, si tratta di causalità giuridica, perché dal punto di vista
logico/scientifico tutto ciò che accade ha la sua causa, e il concetto del fortuito trova la sua giustificazione
come limite alla conoscenza umana, come ciò che non è intelligibile perché straordinario e inatteso>[162]. In
altri casi il caso fortuito potrà assumere invece rilevanza come fattore di esclusione del nesso causale tra
condotta ed evento[163];
<Si discute anche sul rapporto tra caso fortuito e forza maggiore. Per la tesi di MANZINI si tratta di figure
da identificare, non avendo la distinzione ragion d'essere ed essendo "una delle tante tautologie di cui si
compiace il gergo giuridico". Pur se la distinzione è obiettivamente difficile, la prevalente dottrina afferma
invece l'autonomia tra le due figure. Il fortuito abbraccerebbe tutti quei fattori che hanno reso possibile il
verificarsi di un evento che si presenta del tutto inverosimile, secondo la miglior scienza ed esperienza,
rispetto all'azione dell'agente> (risultato imprevedibile). <La forza maggiore si identifica invece con tutte
quelle forze naturali esterne al soggetto che lo determinano in modo inevitabile ad un certo atto: opera quindi
come violenza sulla persona, che agitur non agit, in analogia con lo stato di necessità. In altre parole, il caso
fortuito porta ad un risultato imprevedibile la già formata condotta dell'agente; la forza maggiore
interviene invece sulla condotta dell'agente, e imprevedibile è non il risultato della condotta, quanto la
condotta stessa. A livello di casistica giurisprudenziale, il concetto di caso fortuito è stato spesso utilizzato
nelle vicende relative alla circolazione stradale e la nozione è sempre stata interpretata in modo rigido. E'
infatti stata esclusa la presenza di caso fortuito per: difetto di manutenzione del motore, abbagliamento da
raggi solari o da fari di altro veicolo, blocco del volante, mancato funzionamento dei fremi, colpo di sonno. Nel
caso di dubbio sull'esistenza del caso fortuito, la giurisprudenza esclude la possibilità di assoluzione: se per le
cause di giustificazione l'imputato ha un mero onere di allegazione, incombendo poi al giudice valutare la
fondatezza o meno di quanto dedotto, in questo caso la prova deve essere fornita da chi ne adduce
l'esistenza. Tale orientamento è criticato in dottrina, sulla considerazione che il fortuito non è altro che un
risvolto negativo di elementi costitutivi del reato, colpa o causalità che sia>[164].
PRESUPPOSTI DELL'AZIONE (o del fatto)
Utile in una prospettiva di scomposizione analitica dell'illecito, se circoscritto alle circostanze - di fatto o di
diritto - che in taluni casi devono preesistere o essere concomitanti alla condotta perché questa assuma un
significato criminoso: esistenza di precedente matrimonio nel delitto di bigamia, situazione di pericolo
nell'omissione di soccorso, ecc.
Utilità pratica soprattutto per il dolo: trattandosi di elementi che precedono l'azione criminosa, possono essere
non già voluti, ma soltanto conosciuti dal reo.
OGGETTO MATERIALE DELL'AZIONE
La persona o la cosa sulla quale ricade l'attività fisica del reo. Assume rilevanza quale requisito che concorre
alla determinazione e specificazione del fatto tipico.
Distinguere dall'oggetto giuridico (bene penalmente protetto)[165] e dal soggetto passivo del reato[166].
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EVENTO
L'evento in senso naturalistico. Accezione più tecnica e ristretta rispetto a quella del linguaggio comune, può
consistere anche nella messa in pericolo di un bene protetto, es. art.434 che incrimina chiunque commette un
fatto diretto a cagionare il crollo di una costruzione, se dal fatto deriva pericolo per la pubblica incolumità.
Va inteso come conseguenza dell'azione e consistente in una modificazione fisica della realtà esterna.
Importanza pratica sul terreno del rapporto di causalità: secondo polo del nesso causale e quindi un requisito
del fatto tipico nell'ambito dei reati che lo contemplano nella loro struttura. Ma può rivestire il ruolo di
circostanza aggravante di un reato già perfetto[167] e, in altri casi, quello di condizione obiettiva di
punibilità[168].
La disputa sul concetto di evento. Trae spunto dalla lettura artt. 40 [169],41 [170],43 [171]e 49 [172]che
riconnettono ad ogni reato un "evento dannoso o pericoloso", come risultato dell'azione criminosa.
L'evento in senso giuridico.[173] La lesione (o messa in pericolo) del bene protetto è stata dal legislatore
configurata come un risultato che sempre si aggiunge all'azione delittuosa. Da qui l'identificazione del concetto
di offesa con quello di evento; evento questa volta però concepito, in quanto ritenuto comune a tutti i reati (e
non solo a quelli dotati di evento "naturalistico"), secondo un'accezione diversa da quella prima esplicitata.
Emerge così l'ulteriore concetto di evento in senso giuridico, consistente nell'offesa (sotto forma di effettiva
lesione o esposizione a pericolo) all'interesse protetto dalla norma penale[174].
Ragioni apparenti e motivi reali della disputa teorica. Dal punto di vista tecnico va mantenuta la sola nozione di
evento naturalistico, inteso quale conseguenza dell'azione e consistente in una modificazione fisica della
realtà esterna.
RAPPORTO DI CAUSALITA':PREMESSA
Nesso di causalità che lega l'azione all'evento medesimo.
Il richiamo agli artt.40 e 41 ha impedito agli interpreti di assumere la disciplina codicistica come elemento di
conferma di soluzioni ricavate in via "aprioristica", ma ci sono letture diverse.
LA TRADIZIONALE TEORIA CONDIZIONALISTICA: INSUFFICIENZE[175]
Art.40, comma 1°: "Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l'evento
dannoso o pericoloso, da cui dipende la esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od
omissione": richiede che l'evento dannoso o pericoloso dal quale dipende l'esistenza del reato, sia
conseguenza dell'azione del reo. Ma a quali condizioni l'evento lesivo può essere considerato conseguenza
dell'azione?
Teoria "condizionalistica" o della "equivalenza"[176]: è causa ogni (una) condizione dell'evento, ogni
antecedente senza il quale l'evento non si sarebbe verificato (cd. giudizio controfattuale o della <astrazione
contro il fatto>[177] ).
Il procedimento di eliminazione mentale. (formula della condicio sine qua non): un'azione è condicio sine qua
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non di un evento, se non può essere mentalmente eliminata senza che l'evento stesso venga meno.
Limitata efficacia euristica della formula della "condicio": la sua universalità può essere contestata laddove non
si conoscano in anticipo le "leggi causali" che presiedono ai rapporti tra determinati fenomeni[178].
Regresso all'infinito. Cd.argomento <della madre>.
Causalità alternativa ipotetica. Irrilevanza delle azioni che NON si sono verificate e che avrebbero potuto, se
realizzatesi, determinare l'evento [179].
Causalità addizionale. (Criterio della eliminazione cumulativa: es. due dighe....)
All'obiezione che attraverso il metodo dell'eliminazione mentale non trovano soluzione appagante i casi di
causalità alternativa ipotetica e di causalità addizionale, si ribatte affermando che l'evento giuridico nel
campo della valutazione del nesso eziologico non viene mai in considerazione come dato categoriale
(come <genere> di evento) ma come evento storico concreto (hic et nunc).
Causa sopravvenuta da sola sufficiente. :
art.41 cpv. - CONCORSO DI CAUSE - "Il concorso di cause preesistenti o simultanee o sopravvenute, anche
se indipendenti dall'azione od omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra la azione od
omissione e l'evento.
Le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità quando sono state da sole sufficienti a determinare
l'evento. In tal caso, se l'azione od omissione precedentemente commessa costituisce per sé un reato, si
applica la pena per questo stabilita.
Le disposizioni precedenti si applicano anche quando la causa preesistente o simultanea o sopravvenuta
consiste nel fatto illecito altrui".
SEGUE: CORRETTIVI
a) Il correttivo del dolo o della colpa come fattori che contribuiscono a circoscrivere l'ambito di rilevanza di
tutti i possibili antecedenti del risultato lesivo[180]. La teoria dell'equivalenza appare perciò eccessivamente
rigorosa soprattutto nei casi di cosiddetta responsabilità oggettiva, dove manca la possibilità di ricorrere al
correttivo del dolo o della colpa.
b)
Il correttivo del riferimento all'evento "concreto" che si verifica hic et nunc: ciò che importa è che una
catena causale sussista fra l'azione dell'autore e questo evento concreto, mentre è irrilevante la circostanza
che potrebbero verificarsi eventi analoghi per effetto di altre cause operanti all'incirca nel medesimo momento.
LA TEORIA CONDIZIONALISTICA ORIENTATA SECONDO IL MODELLO DELLA "SUSSUNZIONE
SOTTO LEGGI SCIENTIFICHE".
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Il metodo "individualizzante" di spiegazione causale. L'accertamento del rapporto di causalità si svolge tra
accadimenti singoli e concreti, non importa se unici o riproducibili nel futuro. Post hoc propter hoc! Questo
metodo si affida al giudice quale "storico", al suo intuito o fiuto: il magistrato finisce per fare il produttore più
che il consumatore di leggi causali.
Il metodo "generalizzante" di spiegazione causale. Non già accadimenti singoli e unici ma "ripetibili" per
esigenze di garanzia. E' soprattutto in omaggio al principio di tassatività che il criterio della condicio va inteso
in senso "generalizzante" e non individualizzante: modello della sussunzione sotto leggi scientifiche
(l'accadimento particolare può essere spiegato sulla base di una c.d. legge generale di copertura la quale
permetta di sussumere in se stessa il rapporto azione-evento concepiti non come fenomeni singolari e
irripetibili, bensì come accadimenti riproducibili in presenza del ricorrere di determinate condizioni).
Leggi universali. Quelle in grado di affermare che la verificazione di un evento è invariabilmente
accompagnata dalla verificazione di un altro evento (ad A consegue senz'altro B).
Leggi statistiche. Si limitano ad affermare che il verificarsi di un evento è accompagnato dal verificarsi di un
altro evento soltanto in una certa percentuale di casi[181].
Ai fini dell'accertamento giudiziale della causalità è sufficiente che il giudice faccia ricorso a leggi statistiche.
Il caso del talidomide.(pag.212-213)
Il caso delle macchie blu (pag. 213)
<Anticipata dalla più recente dottrina (STELLA, MANTOVANI, FIANDACA-MUSCO), anche la
giurisprudenza si è ultimamente allineata alla teoria della causalità scientifica. Per MANTOVANI, l'azione è
causa dell'evento quando, secodo la miglior scienza ed esperienza del momento storico, l'evento è
conseguenza certa o altamente probabile dell'azione, in quanto senza di essa l'evento non si sarebbe
verificato con certezza o con alto grado di probabilità. Similmente, FIANDACA-MUSCO parla di causalità se il
fatto umano poteva produrre l'effetto alla stregua di leggi scientifiche di copertura, che sono tanto le leggi certe
e universali quanto le leggi statistiche (....). Due sono i vantaggi che produce una ricostruzione che si richiama
alla scienza umana: dinamicizzare e obiettivizzare i parametri di giudizio. Dal primo punto di vista, la scienza è
una categoria dinamica, storicamente soggetta a continue evoluzione e ampliamenti in corrispondenza dei
continui progressi della scienza stessa (...). Secondariamente, la causalità viene oggettivizzata, così da
presentarsi eguale per tutti i soggetti, a prescindere dalla diversità di intelligenza, cultura e scienza, e a
prescindere dalla diversità di previsione dei singoli individui agenti. La ricerca del nesso di causalità non viene
allora più fondata su un giudizio ex ante di probabilità (come nella causalità adeguata e nella causalità
umana), ma su elementi oggettivi ex post. Altro e diverso sarà poi il giudizio sull'eventuale colpevolezza, che
nella logica dell'accertamento giudiziale è secondario e successivo, e dà per presupposta la sussistenza del
nesso causale. Quanto al concetto di scienza, il grado di conoscenza umana richiesto per stabilire quand'è
che un evento è conseguenza dell'azione è NON quello della scienza ed esperienza personale dell'agente;
NEPPURE quello della scienza ed esperienza umana media; ma solo quello della miglior scienza ed
esperienza del momento storico, che può coincidere anche con quella di un solo uomo, magari dell'agente.
Infatti, i primi due criteri vanno respinti perché confondono la causalità con la colpevolezza. Il primo degrada
inoltre la causalità a relativismo soggettivistico, compromettendo lo stesso principio di tassatività, dovendosi
ammettere tante causalità quanti sono i diversi modelli di conoscenza umana: una identica condotta dovrebbe
considerarsi causa o meno di un evento a seconda che sia stata posta in essere da uno scienziato o da un
pastore incolto. Triplice è il vantaggio di tale ricostruzione: 1) obiettivizzare la causalità, distinguendola
dalla colpa; 2) soddisfare adeguatamente il principio di tassatività e di certezza giuridica; 3) ridurre
conseguentemente la discrezionalità del giudice. Per quello che concerne invece il concetto di possibilità, il
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grado di successione tra azione ed evento deve essere non quello della certezza (che restringerebbe troppo il
campo della causalità giuridica), né quello della possibilità (che lo allargherebbe troppo), bensì quello della
probabilità relativa quale rilevante grado di possibilità. Non è neppure necessario conoscere il
meccanismo causale che ha portato all'evento, e le leggi utilizzabili si è detto essere tanto quelle universali di
certezza quanto quelle statistiche della probabilità. L'unico problema della teoria della causalità scientifica è
allora quello della individuazione della percentuale minima di possibilità idonea a fondare il nesso di causalità.
Il fatto è che la giurisprudenza valuta caso per caso (....). In giurisprudenza, la sentenza di svolta della
Cassazione è stata quella numero 1362/1986 sull'eruzione dell'Etna, ove per la prima volta si parla di causalità
ancorandosi a principi oggettivi, anche se il giudizio, pur se oggettivo, non viene ancora ancorato al particolare
evento storico di cui si tratta. La pronuncia che ha invece recepito con grande chiarezza e in modo
inappuntabile la tesi della causalità scientifica è quella di Cass. 06/12/1990 sul disastro di Stava. >[182].
<L'adozione in tutti i reati di evento o casualmente orientati (commisivi ed omissivi impropri) del paradigma
unitario di imputazione dell'evento ispirato al c.d. modello condizionalistico orientao secondo leggi
scientifiche di copertura è ormai oggetto di generale riconoscimento dottrinale e giurisprudenziale e non solo
in Italia. La Cassazione indica oramai questo metodo come il più valido secondo una visione
costituzionalmente orientata sensibile ai fondamentali principi di tassatività e legalità della fattispecie penale,
personalità della responsabilità penale, delimitazione dell'area dell'intervento penale in termini di
frammentarietà, motivazione e verificabilità logica delle decisioni penali. Ed invero il ricondurre la valutazione
del nesso causale a modelli di spiegazione generali (generalizzazioni scientificamente valide) nei quali la
successione tra i fenomeni (azione/evento) viene ricondotta ad un quadro di consequenzialità regolare,
verificato e verificabile empiricamente e/o statisticamente, sottrae alla motivazione quei margini di soggettività,
discrezionalità ed indeterminatezza che la renderebbero altrimenti arbitraria ed insindacabile. Nello stesso
codice di procedura penale è d'altra parte possibile rinvenire indicazioni legislative precise circa la preferibilità
delle opzione interpretative che privilegino e rendano attuabile una verifica a posteriori del rigore
logico/argomentativi profuso dal giudice nella motivazione. Ad esempio l'art.192, comma 1°°, c.p.p., così
recita "il giudice valuta la prova dando conto nella motivazione dei risultati acquisiti e dei criteri adottati">[183].
LA TEORIA DELLA CAUSALITA' ADEGUATA ( tesi di VON KRIES e di BETTIOL[184])
All'origine è un correttivo alla teoria condizionalistica nella sfera dei delitti c.d. aggravati dall'evento nei quali
cioè l'evento aggravante è addossato all'agente in base al semplice nesso di causalità materiale col fatto
integrante il reato-base. Opera una selezione tra i diversi antecedenti.
Casi di decorso causale atipico. Caratterizzati cioè da una successione degli eventi che fuoriesce dagli schemi
di un'ordinaria prevedibilità[185].
Modello generalizzante di spiegazione causale. È considerata causa, nel senso del diritto penale, quella
condizione che è tipicamente idonea o adeguata a produrre l'evento in base ad un criterio di prevedibilità
basato sull'id quod plaerumque accidit. Da questo p.d.v., la teoria in esame propone un modello
generalizzante di spiegazione della causalità: sostenere che l'azione è causa soltanto quando è tipicamente
idonea a cagionare l'evento significa, infatti, richiedere una "generale" attitudine dell'azione a cagionare eventi
del tipo di quello verificatosi in concreto. La connessione azione-evento, per essere casualmente rilevante,
deve dunque porsi come una "connessione di generalizzazione" e non deve rappresentare soltanto una
"peculiarità del caso concreto".
La formulazione più recente della teoria della causalità adeguata. La teoria va costruita in termini negativi: il
rapporto di causalità sussiste tutte le volte in cui non sia improbabile che l'azione produca l'evento.
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Il criterio della prognosi postuma. Circa il giudizio di probabilità si concorda nel ritenere che esso vada
effettuato sulla base delle circostanze presenti al momento dell'azione e conoscibili ex ante da un
osservatore avveduto, con aggiunta di quelle superiori eventualmente possedute dall'agente concreto
(criterio di c.d. prognosi postuma o ex ante in concreto).
Obiezioni alla teoria della causalità adeguata.
La dottrina dominante ritiene che, nel nostro ordinamento, il requisito dell'adeguatezza sia estraneo al
concetto di causa penalmente rilevante. In effetti, nella disciplina del rapporto causale, racchiusa negli
artt. 40 e 41 , NON è reperibile alcun riferimento, per quanto lontano ed indiretto, alla idoneità o
adeguatezza <in generale> di un tipo di condizione rispetto ad un tipo di evento, ad un giudizio
causale ex ante , ad una analisi della causalità in termini di prognosi postuma sulla probabilità
delle'vento, sull'adeguatezza causale dell'azione (sulla <normalità> o <prevedibilità> dello sviluppo
causale); l'imputazione causale è al contrario concepita come imputazione di questo evento concreto e
questa causa concreta, come frutto esclusivo di un giudizio ex post.
Non risolve i casi in cui l'azione criminosa appare ex ante idonea a cagionare l'evento e questo,
tuttavia, si verifica per il sopraggiungere di circostanze del tutto imprevedibili. La ragione di tale
incapacità è dovuta - si sostiene - al fatto che la teoria dell'adeguatezza fallisce nella descrizione
dell'evento. In altri termini ci si chiede: l'evento lesivo, quale secondo polo del rapporto causale, va
considerato come evento astratto (cioè evento-morte così come genericamente descritto nella norma
incriminatrice), ovvero come evento concreto (ad es. morte come conseguenza dell'incendio in
ospedale)?
Scindere il giudizio di adeguatezza in due fasi, una anteriore e l'altra successiva al verificarsi dell'evento:
a) in base ad un giudizio ex ante occorre verificare se non appaia improbabile che all'azione consegua un
evento del genere di quello contemplato dalla norma;
b) in base ad un giudizio ex post bisogna altresì verificare se l'evento concreto realizzi il pericolo tipicamente
o generalmente connesso all'azione delittuosa.
Quindi, esempio: l'azione di colui il quale infligge con dolo una grave ferita si rivela ex ante idonea a cagionare
l'astratto evento-morte; ma la morte del ferito per l'incendio dell'ospedale (evento concreto) non rappresenta
una concretizzazione del rischio tipicamente connesso all'azione del ferire, onde il nesso di causalità è da
escludere.
Obiezioni (difficilmente superabili) alla teoria:
1)
non è agevole conciliare il requisito della prevedibilità ex ante dell'evento con l'accertamento della
causalità che dovrebbe invece basarsi su giudizi ex post e di natura rigorosamente oggettiva (cioè che
prescindono dalle capacità di previsione sia dell'agente-modello che dell'agente concreto);
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2) sul terreno della dottrina generale del reato, la teoria dell'adeguatezza finisce per includere nell'ambito
della causalità considerazioni più appartenenti alla sfera della colpevolezza;
3) lo stesso concetto di adeguatezza, in quanto fondato su giudizi di probabilità propri della vita sociale, è
inevitabilmente soggetto ad applicazioni incerte.
TEORIE MINORI: LA CAUSALITA' UMANA (ANTOLISEI[186]).
Possono considerarsi causati dall'uomo soltanto i risultati che egli può "dominare in virtù dei suoi poteri
conoscitivi e volitivi" che rientrano cioè nella sua "sfera di signoria" (Antolisei)[187].
Esulano dal rapporto causale i fattori eccezionali. Cioè quel fattore che ha una "probabilità minima" di
verificarsi: ma si ribadisce il criterio dell'adeguatezza! Ed il criterio di eccezionalità è relativo[188].
Obiezioni alla teoria in esame. Il riferimento al concetto di signoria o dominabilità del fatto in virtù dei poteri
conoscitivi e volitivi dell'uomo, rimanda ad un tipo di valutazione che caratterizza, più propriamente, la
categoria della colpevolezza[189]. Si sovrappone causalità e colpevolezza!
LA RECENTE TEORIA DELL'IMPUTAZIONE OBIETTIVA DELL'EVENTO
Il nesso causale costituisce presupposto indispensabile della responsabilità, in quanto è ordinariamente in
grado di riflettere la signoria dell'uomo sul fatto: esso comprova quel che più conta per il diritto penale, cioè
che l'evento cagionato è "opera" dell'agente. Non sempre, tuttavia, alla sussistenza di un nesso causale in
senso condizionalistico, si accompagna la capacità umana di governare e controllare il decorso
eziologico[190].
E' uno sviluppo aggiornato della teoria della causalità adeguata, si sforza di individuare ulteriori parametri di
attribuzione giuridica, di natura non strettamente causale, atti a giustificare nei casi nevralgici l'imputazione
oggettiva dell'evento lesivo.Due criteri:
1)
La teoria dell'aumento del rischio. L'azione in questione ha di fatto aumentato la probabilità di
verificazione dell'evento dannoso.
2)
Lo scopo della norma violata. L'imputazione viene meno tutte le volte in cui il fatto che si verifica, pur
essendo casualmente riconducibile alla condotta dell'autore, non costituisce concretizzazione dello specifico
rischio che la norma in questione tende a prevenire[191]: incertezze al momento di individuare la ratio delle
norme incriminatici o delle norme da queste presupposte.
Riserve critiche sulla teoria:
è stata elaborata all'interno di un ordinamento, come quello tedesco, privo di un'esplicita disciplina della
causalità;
contro il criterio del rischio: si asseconda una trasformazione surrettizia degli illeciti di danno in
corrispondenti ipotesi di illecito di pericolo, con la ulteriore conseguenza di ribaltare il principio "in dubio pro
reo" nel suo esatto contrario. Peso diverso a seconda che si parli di illeciti commissivi [192]ovvero degli illeciti
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omissivi[193].
CONCAUSE
Premesso che nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l'evento non è
conseguenza della sua azione od omissione (art.40), l'art.41 stabilisce una presunzione di pari valenza nel
concorso di una pluralità di cause che appaiono idonee a provocare l'evento (comma 1 art.41); tale
presunzione viene vinta solo dalla dimostrazione che una di essa sia stata da sola idonea a far realizzare
l'evento (comma 2 art.41), sì da far degradare le altre "cause" a mere "occasioni" dell'evento, senza alcuna
propria autonoma efficienza.
Cause preesistenti, simultanee o sopravvenute.
Art.41, primo comma: - CONCORSO DI CAUSE - "Il concorso di cause preesistenti o simultanee o
sopravvenute, anche se indipendenti dall'azione od omissione del colpevole, non esclude il rapporto di
causalità fra la azione od omissione e l'evento.". Superflua riaffermazione della teoria condizionalistica già
verosimilmente accolta nell'art.40, primo comma. Sancisce il principio della equivalenza delle cause[194].
Art.41, terzo comma: "Le disposizioni precedenti si applicano anche quando la causa preesistente o
simultanea o sopravvenuta consiste nel fatto illecito altrui". La causa (concorrente) può anche essere costituita
da un fatto illecito altrui[195].
Art.41, secondo comma, più problematica: " Le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità quando
sono state da sole sufficienti a determinare l'evento. In tal caso, se l'azione od omissione precedentemente
commessa costituisce per sé un reato, si applica la pena per questo stabilita.". Le cause sopravvenute da sole
sufficienti a produrre l'evento escludono il rapporto di causalità[196]. Infelice formulazione[197]. C'è art.40,
primo comma, in base al principio ermeneutico della conservazione delle norme la norma va interpretata come
norma che tende a "temperare" gli eccessi punitivi derivanti da una rigorosa applicazione del criterio
condizionalistico. In questo senso l'art.41, secondo comma, rappresenta l'unica sede normativa che, nel nostro
diritto positivo, può dare legittimazione a teorie causali diverse dalla condicio sine qua non. Dai lavori
preparatori l'art.41, secondo comma, è stata pensata con riferimento ai casi di c.d. decorso causale atipico.
L'articolo dà ingresso a teorie causali che esigono qualcosa in più del nesso condizionalisticio in senso stretto:
un nesso causale penalmente rilevante va escluso allorchè l'evento lesivo - ancorché legato da un nesso
condizionalistico alla condotta tipica - non inquadrabile in una successione normale di accadimenti.
Dal concorso di cause, in tema di reati colposi, va tenuta distinta l'ipotesi di COOPERAZIONE NEL DELITTO
COLPOSO (art.113). L'elemento differenziante va ricercato, per la cooperazione, nel collegamento delle
volontà dei diversi soggetti agenti. Mentre infatti nella cooperazione la volontà dei soggetti devono tutti
confluire consapevolmente all'interno della condotta dalla quale deriva l'evento non voluto,nel caso di
concorso di cause indipendenti, l'evento consegue ad una mera coincidenza di azioni od omissioni, non
collegate da alcun vincolo subiettivo.
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Cap. 2. ANTIGIURIDICITA' E SINGOLE CAUSE DI
GIUSTIFICAZIONE
PREMESSA
Definizione delle cause di giustificazione o di esclusione dell'antigiuridicità (ovvero anche
"scriminanti", "giustificanti", "esimenti"): quelle situazioni normativamente previste, in presenza delle
quali viene meno il contrasto tra un fatto conforme ad una fattispecie incriminatrice e l'intero
ordinamento giuridico.
Esse vanno distinte dalle cause di esclusione della pena (o cause di non punibilità) che sono quelle situazioni che non escludono il reato, ma
in presenza delle quali l'ordinamento ritiene per ragioni di mera opportunità, che non si debba applicare la pena né ogni altra forma di
sanzione penale (es. le immunità). Il fondamento dell'operatività delle cause di giustificazione va ricercato nell'assenza di "tipicità" del fatto
scriminato, il quale quindi non integra la fattispecie in astratto punita dalla legge penale. Circa la collocazione delle cause di giustificazione
nella struttura del reato (v. Libro I, Titolo III), secondo i sostenitori della teoria della tripartizione, le scriminanti escludono l'antigiuridicità del
fatto; secondo i sostenitori della teoria della bipartizione esse costituiscono elementi negativi del fatto e cioè circostanze che devono
mancare perché il fatto risulti punibile.
L'art.59 - CIRCOSTANZE NON CONOSCIUTE O ERRONEAMENTE SUPPOSTE - Le circostanze che
attenuano o escludono la pena sono valutate a favore dell'agente anche se da lui non conosciute, o da lui per
errore ritenute inesistenti.
Le circostanze che aggravano la pena sono valutate a carico dell'agente soltanto se da lui conosciute ovvero
ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato da colpa.
Se l'agente ritiene per errore che esistano circostanze aggravanti o attenuanti, queste sono valutate contro o a
favore di lui.
Se l'agente ritiene per errore che esistano circostanze di esclusione della pena, queste sono sempre valutate
a favore di lui. Tuttavia, se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa, quando il fatto è
preveduto dalla legge come delitto colposo.".
: ha preferito parlare di "circostanze che escludono la pena"[198]: contenitore, esemplificativamente vedasi le
disposizioni che dichiarano "non punibile chi agisce per legittima difesa" (art.52) o nell'esercizio di un diritto
(art.51), quelle che affermano la non punibilità dell'incapace di intendere e di volere (art.85) e quelle,infine che
ad es. escludono la punibilità di chi commette un delitto contro l'amministrazione della giustizia per evitare la
condanna di un prossimo congiunto (art.384), ovvero del figlio che ruba ai danni di un genitore (art.649).
Le ragioni che spiegano l'esclusione della punibilità in tutti questi casi sono riconducibili a tre piani di
valutazione distinti (diverse categorie dogmatiche):
1)
cause di giustificazione o esimenti (o giustificanti);
2)
cause di esclusione della colpevolezza o scusanti;
3)
cause di non punibilità in senso stretto.
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La distinzione tra tali categorie è importante:
1) soltanto le cause di giustificazione in senso stretto, elidendo l'antigiuridicità o illiceità come contrasto
tra il fatto e l'intero ordinamento giuridico, rendono inapplicabile qualsiasi tipo di sanzione (anche civile o
amministrativa); esse inoltre si estendono a tutti coloro che eventualmente prendono parte alla commissione
del fatto medesimo, e operano in forza della loro obiettiva esistenza, quindi anche se sconosciute o per
errore ritenute inesistenti[199]. Esempio: il consenso dell'avente diritto, la legittima difesa, lo stato di necessità.
2)
Le cause di esclusione della colpevolezza o scusanti lasciano invece integra l'antigiuridicità o illiceità
oggettiva del fatto, e fanno venir meno soltanto la possibilità di muovere un rimprovero al suo autore
(colpevolezza) [200]. Sono tutte le situazioni nelle quali il soggetto agisce sotto la pressione di circostanze
psicologicamente coartanti che rendono difficilmente esigibile un comportamento diverso conforme al
diritto[201]. Attengono all'elemento soggettivo: operano solo se conosciute dall'agente e solo a vantaggio dei
soggetti cui si riferiscono[202] e non sono estensibili ad eventuali concorrenti[203].
3)
Le cause di esenzione da pena in senso stretto o limiti istituzionali della punibilità, consistono in
circostanze che - a differenza delle precedenti - lasciano sussistere sia l'antigiuridicità sia la
colpevolezza. Specifica ragion d'essere: valutazioni di opportunità circa la necessità o la meritevolezza di
pena, avuto riguardo anche all'esigenza di salvaguardare contro-interessi (non estensibilità ad eventuali
concorrenti nel reato)[204].
Cause di giustificazione comuni[205] e speciali.
FONDAMENTO SOSTANZIALE E SISTEMATICA DELLE CAUSE DI GIUSTIFICAZIONE
Il modello esplicativo monistico: tutte le scriminanti andrebbero ricondotte ad uno stesso principio del "mezzo
adeguato per il raggiungimento di uno scopo approvato dall'ordinamento giuridico", ovvero della "prevalenza
del vantaggio sul danno", o del "bilanciamento tra beni in conflitto", oppure di un "giusto contemperamento tra
interesse e controinteresse".
Il modello esplicativo pluralistico [206]: riconduce le esimenti a principi diversi. Principi:
1)
dell'interesse prevalente : spiega le scriminanti nell'esercizio del diritto, dell'adempimento del dovere,
della difesa legittima e dell'uso legittimo delle armi.
2) dell'interesse mancante: spiega, invece, le altre due scriminanti generali del consenso dell'avente diritto e
dello stato di necessità.
DISCIPLINA DELLE CAUSE DI GIUSTIFICAZIONE
a)
Rilevanza puramente obiettiva: Art. 59, comma 1° "Le circostanze che...escludono la pena sono
valutate a favore dell'agente, anche se da lui non conosciute o da lui per errore ritenute inesistenti". Piano
meramente oggettivo, operano a prescindere dalla consapevolezza dell'agente. Possono esservi dei
coefficienti "soggettivi", individuare quando ciò avvenga è compito dell'interprete[207].
b)
Rilevanza del putativo[208]: art.59, ultimo comma: "se l'agente ritiene per errore che esistano
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circostanze di esclusione della pena, queste sono sempre valutate a favore di lui"[209]. Figura della
scriminante putativa: equipara situazione di chi agisce effettivamente in presenza di una causa di
giustificazione a quella di chi confida erroneamente nella sua esistenza. L'errore, per spiegare efficacia
scusante, deve investire:
1) I presupposti di fatto che integrano la causa di giustificazione stessa (ad es. Tizio, a causa di un errore di
percezione, crede di essere aggredito da Caio e reagisce difendendosi).
2) Una norma extrapenale integratrice di un elemento "normativo" della fattispecie giustificante. Si esclude
la rilevanza esimente di un errore di diritto[210].
c) Errore colposo: sempre art.59, ultimo comma, se l'errore sulla presenza di una scriminante è dovuto a
colpa dell'agente, la punibilità non è esclusa, quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo.
Disciplina analoga all'art.47, comma 1° [211]. E' applicabile anche alle contravvenzioni.
d) Eccesso colposo: art.55 "quando, nel commettere alcuno dei fatti preveduti dagli artt. 51,52,53 e 54, si
eccedono colposamente i limiti stabiliti dalla legge o dall'ordine delle autorità ovvero imposti dalla necessità, si
applicano le disposizioni concernenti i delitti colposi, se il fatto è preveduto dalla legge come delitto
colposo"[212].
La situazione si distingue da quella di erronea supposizione di una scriminante: in quest'ultima la causa di
giustificazione non esiste nella realtà, ma soltanto nella mente di chi agisce. Nell'eccesso colposo la
scriminante di fatto esiste ma l'agente supera colposamente i limiti del comportamento consentito.[213]
Violazione dei parametri normativi dell'art.43 circa la natura colposa del superamento dei limiti nell'agire
consentito[214].
Si è fuori dai limiti dell'eccesso colposo se l'agente, essendo ben a conoscenza della situazione concreta e dei
mezzi necessari al raggiungimento dell'obiettivo consentito, superi volontariamente i limiti dell'agire
scriminato[215]. Estensibile anche alla scriminante del "consenso dell'avente diritto" e di quella "putativa".
Condizioni per l'applicabilità dell'art.55 sono:
a)
l'attività deve essere iniziata in presenza di una scriminante effettivamente esistente ex artt.51,52,53,54;
b)
si siano superati per colpa (vedi art.42/2° e art. 43) i limiti dell'agire consentito dalla scriminante;
c) inoltre, la volontà dell'agente deve essere sempre diretta a realizzare quel fine (es. proteggere la vita)
che, a fronte della determinata situazione di fatto esistente (es. aggressione), rende giustificato quel
comportamento lesivo (es. reazione), al contrario, se il fine è diverso non è applicabile la figura in esame[216].
Struttura oggettiva dell'eccesso colposo:
per la TESI BIFASICA si ha un fatto articolato in due fasi.....si parla poi di eccesso colposo intensivo
(superamento della misura della necessità di difesa o di proporzione) e di eccesso colposo estensivo
(superamento dei limiti cronologici dell'attualità dell'offesa).
E' però maggioritaria la TESI MODALE secondo la quale, sin dall'origine, si ha un eccesso: c'è una sorta di
concorso formale tra un fatto in ordine al quale esiste una causa di giustificazione e un fatto eccessivo che
esorbita completamente dalla sfera di operatività della medesima causa di giustificazione.
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Struttura soggettiva, 2 forme:
1)
errore di valutazione: riconducibile al paradigma dell'art.47 c.p. (errore-motivo);
2)
errore di esecuzione: errore-inabilità; allorché l'agente valuta correttamente la situazione ma erra
nell'esecuzione e pertanto non vuole il più grave evento cagionato.
Natura giuridica soggettiva dell'eccesso colposo: dottrina maggioritaria (MANTOVANI,
FIANDACA-MUSCO, PAGLIARO, MARCELLO GALLO, MARINI, MANZINI) non si ha dolo, perché il dolo è
coscienza e volontà di tutti gli elementi del reato, mentre qui si ritiene il fatto un non reato. Il rimprovero è
quindi quello di non aver voluto la diligenza per evitare di credere esistente una scriminante che non c'è.
CONSENSO DELL'AVENTE DIRITTO
Art.50 "Non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto, col consenso della persona che può validamente
disporne": tradizionale principio volenti et consenzienti non fit iniuria.
Ambito di operatività dell'art.50 c.p. : bisogna vedere il requisito costitutivo del fatto materiale correlato al
consenso [217]cioè le ipotesi dove il dissenso dell'avente diritto non costituisce un esplicito requisito del fatto
di reato[218].
Natura giuridica del consenso. E' un semplice atto giuridico[219], cioè un permesso col quale si attribuisce al
destinatario un potere di agire, che non crea alcun vincolo obbligatorio a carico dell'avente diritto e non
trasferisce alcun diritto in capo all'agente.
d)
Requisiti di validità: il consenso deve essere libero cioè immune da violenza, errore o dolo[220];
spontaneo e informato; effettivo (non espresso per scherzo, riserva mentale, simulazione); determinato;
attuale e perdurante (esistente al momento del fatto e perdurante per la durata del fatto); riconoscibile (non
è richiesta alcuna forma particolare ma la volontà dev'essere comunque riconoscibile all'esterno).
Consenso tacito: purchè sussista al momento del fatto.
Consenso putativo: se il soggetto agisce nell'erronea supposizione della sua esistenza (art.59, 4° comma).
Consenso presunto: il consenso dell'offeso è tale quando si può fondatamente ritenere che il titolare del bene
lo avrebbe concesso se fosse stato a conoscenza della situazione di fatto[221].
e) La legittimazione a prestare il consenso: spetta innanzitutto, al titolare del bene penalmente protetto; nel
caso di più titolari, occorrerà il consenso di tutti i cointeressati.
Capacità del consenziente: c.d. capacità naturale, salvo quando il legislatore fissa un'età minima, ad es, 14
anni in relazione alla materia di corruzione di minorenne (art.609-quinquies).
Diritti disponibili.: sono i beni che non presentano una immediata utilità sociale e che lo Stato riconosce
esclusivamente per garantire al singolo il libero godimento. Diritti patrimoniali. Attributi della personalità (onore,
libertà morale e personale, libertà sessuale,libertà di domicilio) comunque non atti contrari alla legge, al buon
costume e all'ordine pubblico. Possiamo avere i diritti assolutamente disponibili ( i diritti patrimoniali o
all'inviolabilità dei segreti privati, corrispondenza, professionale, scientifico, industriale) e diritti parzialmente
disponibili: in ordine ai quali il consenso scrimina nei limiti di cui all'art. 5 c.c. (l'integrità fisica, la libertà
sessuale, l'onore e la dignità)[222] e qui distinguiamo ancora tra atti dispositivi:
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leciti: che possono essere al più svantaggiosi per la propria salute, il proprio onore, la propria dignità e
la propria libertà, ma tali comunque da non cagionare una diminuzione permanente, una menomazione
irrevocabile,una diminuzione notevole della libertà e della dignità dell'individuo (es. taglio della barba, dei
capelli, tatuaggio sul braccio, asportazione di pezzi di pelle...);
vietati: perché contrari alla legge, all'ordine pubblico, al buon costume e dunque offensivi anche di
interessi estranei (es. sfregio permanente, mutilazione, contagio di malattia grave o insanabile, intervento
transessuale al di fuori di ipotesi terapeutiche, sterilizzazione permanente, lesioni per mano altrui al fine di
frodare l'assicurazione, alterare le proprie sembianze per sottrarsi alla giustizia, riduzione in schiavitù,
plagio.....).
Diritti indisponibili: tutti gli interessi che fanno capo allo Stato, agli enti pubblici e alla famiglia[223].
Per l'estensione analogica della scriminante abbiamo: il consenso nell'attività sportiva violenta[224]; il
consenso informato all'atto medico[225].
ESERCIZIO DI UN DIRITTO
Ratio della scriminante. Art.51 "L'esercizio di un diritto (...) esclude la punibilità" (qui suo jure utitur neminem
laedit). Ragione nella prevalenza dell'interesse di chi agisce esercitando un diritto rispetto agli interessi
eventualmente confliggenti. Esigenza di rispettare il principio di non contraddizione all'interno di uno stesso
ordinamento giuridico.
Il concetto di "diritto" ai fini dell'art.51 c.p.: come ogni potere giuridico di agire, non importa quale sia la
corrispondente denominazione legislativa o dogmatica (diritto soggettivo, potestativo, potestà, facoltà
giuridica), non interessi semplici.
Fonti del diritto: varia.
Criteri di soluzione del conflitto tra norma autorizzativa e norma incriminatrice.[226]
Modalità di esercizio del diritto. Deve essere esercitato dal suo titolare.
Limiti all'esercizio del diritto: interni[227] ed esterni[228].
Ipotesi particolarmente significative di esercizio del diritto.
a)
diritto di cronaca giornalistica;
b)
diritto di sciopero;
c)
Jus corrigendi;
d)
Offendicula.
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ADEMPIMENTO DI UN DOVERE
Ratio della scriminante. L'art.51 stabilisce altresì che "l'adempimento di un dovere imposto da una norma
giuridica o da un ordine legittimo della pubblica Autorità, esclude la punibilità".
Fonti del dovere.
a)
dovere imposto da una norma giuridica: es. poliziotto che esegue un arresto.
b)
dovere imposto da un ordine dell'autorità: manifestazione di volontà che un superiore rivolge ad un
subordinato, in vista del compimento di una data condotta.
Natura pubblicistica del rapporto di subordinazione.
Il concetto di "Pubblica Autorità"
Presupposti formali[229] e sostanziali [230] di legittimità.
Il sindacato sulla legittimità dell'ordine. Art.51, comma 2°: del fatto commesso risponde sempre chi ha dato
l'ordine e al 3° comma, risponde altresì chi ha eseguito l'ordine.
Limiti alla responsabilità dell'esecutore dell'ordine illegittimo.
1)
se, per errore di fatto, ha ritenuto di obbedire ad un ordine legittimo (art.51, comma 3°);
2)
se la legge non gli consente alcun sindacato sulla legittimità dell'ordine (art.51, ult. comma)[231].
Manifesta criminosità dell'ordine. CP militare...
LEGITTIMA DIFESA
Ratio dell'esimente. Art.52 "Non è punibile chi ha commesso il fatto, per esservi stato costretto dalla necessità
di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di un'offesa ingiusta, sempre che la difesa sia
proporzionata all'offesa". Vim vi repellere licet.
A) caratteristiche dell'aggressione: deve provenire da una condotta umana[232], anche omissiva.
Anche se l'aggressore sia un soggetto immune o non imputabile.
Oggetto della aggressione. Un diritto altrui[233].
L'attualità del pericolo. Minaccia di lesione incombente al momento del fatto. Pericolo perdurante.
Situazione di pericolo volontariamente creata e ammissibilità della legittima difesa: verrebbe infatti meno o il
requisito della necessità della difesa o quello dell'ingiustizia dell'offesa, ovvero difetterebbero entrambi i
requisiti testè menzionati: l'art.52 è inapplicabile al provocatore, a chi accolga una sfida o affronti una
situazione di rischio prevista ed accettata, in caso di rissa , posto che i partecipanti sono spinti da un reciproco
intento aggressivo. Il fatto che il legislatore abbia menzionato l'involontarietà del pericolo tra i requisiti del solo
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stato di necessità (art.54), costituisce la migliore riprova dell'intenzione di non attribuire ad essa rilievo
nell'ambito dell'art.52.
L'"ingiustizia" dell'offesa.E' ingiusta l'offesa provocata contra jus, antigiuridica : cioè arrecata in violazione delle
norme che tutelano l'interesse minacciato, non deve essere espressamente facoltizzata dall'ordinamento.
B)
Caratteristiche della reazione: La reazione è giustificata soltanto in presenza di due requisiti:
Il requisito della necessità. Che equivale a inevitabilità della reazione: è un giudizio relativo. Distinzione tra
fuga e commodus discessus: tener conto del principio-cardine del bilanciamento degli interessi.
Il requisito della proporzione tra difesa e offesa. Occorre assumere a termine del giudizio di proporzione il
rapporto di valore tra i beni o interessi in conflitto: in questo senso, occorre operare un bilanciamento (degli
interessi) tra il bene minacciato e il bene leso, con la conseguenza che all'aggredito che si difende non è
consentito di ledere un bene dell'aggressore marcatamente superiore a quello posto in pericolo dall'iniziale
aggressione illecita.Bisogna tener conto del rispettivo grado di messa in pericolo o di lesione cui sono esposti
gli interessi dinamicamente configgenti nella situazione concreta[234]. Criteri di valutazione invocabili per
stabilire la proporzione:
-
beni omogenei: raffronto tra il rispettivo grado di lesività dell'azione aggressiva e difensiva.
beni eterogenei: fuori del rapporto gerarchico (vita sovra al patrimonio) ricorso all'ausilio di altri
indicatori: eventuale rilevanza costituzionale del bene, l'entità della sanzione prevista, eccetera.
USO LEGITTIMO DELLE ARMI
Art.53, comma 1° stabilisce che, ferme le disposizioni contenute nei due articoli precedenti, "non è punibile il
pubblico ufficiale che, al fine di adempiere un dovere del proprio ufficio, fa uso ovvero ordina di far uso delle
armi o di un altro mezzo di coazione fisica, quando vi è costretto dalla necessità di respingere una violenza o
di vincere una resistenza all'Autorità, e comunque di impedire la consumazione dei delitti di strage, di
naufragio, sommersione, disastro aviatorio, disastro ferroviario, omicidio volontario, rapina a mano armata e
sequestro di persona".
Ratio della scriminante e della sua autonoma previsione. Legislatore del '30, quindi interpretare la causa di
giustificazione in modo restrittivo, cioè conforme ai principi del nuovo ordinamento democratico.
Natura sussidiaria della scriminante: "clausola di riserva" dell'art.53 "ferme le disposizioni contenute nei due
articoli precedenti" è invocabile solo qualora difettino i presupposti della legittima difesa e dell'adempimento di
un dovere.
Soggetti che possono beneficiare della scriminante: qualità di p.u. (agenti di p.s. o di p.g.).
Ragioni legittimanti il ricorso ai mezzi di coazione fisica. Necessità come extrema ratio.
Caratteristiche della violenza: comportamento attivo tendente a frapporre ostacoli all'adempimento del dovere
di ufficio.
Caratteristiche della resistenza. Più controvertibile: l'art.53 non distingue tra resistenza passiva e resistenza
attiva, sicchè l'uso delle armi è ammissibile anche se vi è una condotta passiva che mira a contrastare
l'intervento dell'autorità, la quale in ogni caso deve rispettare il criterio della proporzione[235].
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Le modifiche introdotte dall'art.14 l. n.152 del 1975.
STATO DI NECESSITA'
Art. 54, comma 1 "non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di
salvare[236] sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente
causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo"[237].
Differenze rispetto alla legittima difesa: qui si agisce per sottrarsi al pericolo di un danno grave alla persona e
l'azione difensiva ricade non già su di un aggressore, bensì su di un terzo estraneo, vale a dire su di una
persona che non ha provocato la situazione di pericolo[238].
Ratio della scriminante. c.d. soccorso di necessità. Mancanza di interesse dello Stato a salvaguardare l'uno o
l'altro dei beni in conflitto, posto che nella situazione data un bene è in ogni caso destinato a soccombere. In
base al principio del bilanciamento degli interessi, è però necessario che il bene sacrificato sia di rango
inferiore o equivalente o di poco superiore rispetto a quello salvato.
Forti analogie con la legittima difesa, ma se ne differenzia per due elementi fondamentali:
1) l'azione si dirige non contro l'autore di un'aggressione ingiusta, ma contro un individuo "innocente" perché
non responsabile della situazione di pericolo che si viene a creare;
2) l'azione giustificata non deve tendere a salvaguardare un qualsiasi diritto come nella difesa legittima,ma
deve mirare a scongiurare "il pericolo attuale di un danno grave alla persona".
Il requisito della attualità del pericolo. L'art. 54 richiede però che il pericolo sia inoltre non volontariamente
causato,né altrimenti evitabile.
Il requisito della involontarietà del pericolo.
Il requisito della inevitabilità-altrimenti del pericolo. L'esplicita menzione della inevitabilità-altrimenti come
requisito rafforzativo della "necessità" di salvare sé od altri da un danno grave alla persona sta a indicare che
qui bisogna scriminare la condotta che arreca il minore danno al terzo coinvolto senza sua colpa, ma anche
che la valutazione di questa inevitabilità deve essere effettuata con criteri più rigorosi rispetto la legittima
difesa[239].
Stato di necessità e bisogno economico. Scrimina quando si concreti in un grave pericolo di danno alla salute.
Portata della locuzione "danno grave alla persona". Anche personalità morale. La gravità può esser
determinata mediante un duplice indice:
1)
criterio c.d. qualitativo: considerando l'evento rango del bene minacciato es. bene-vita;
2)
criterio c.d. quantitativo: tenendo consto del "grado" di pericolo che incombe sul bene.
Rapporto di proporzione fra fatto e pericolo.
Criterio di accertamento del rapporto di proporzione. Criterio-base : quando il rischio maggiore è quello
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gravante sull'interesse del terzo innocente, il rapporto di valore tra i beni (configgenti) dev'essere
proporzionalmente a vantaggio di quello da salvaguardare; quando invece il bene di maggior peso è quello
aggredito, il rapporto tra i rischi deve essere proporzionalmente a vantaggio di quello salvaguardato.
Stato di necessità e operato degli organi pubblici.
Il c.d. soccorso di necessità.
Stato di necessità e dovere di esporsi al pericolo.
Le ipotesi di c.d. coazione morale. Art.54 ultimo comma, estende l'ambito di operatività della causa di
giustificazione de qua ai casi in cui "lo stato di necessità è determinato dall'altrui minaccia; ma, in tal caso, del
fatto commesso dalla persona minacciata risponde chi l'ha costretta a commetterlo"[240].
Responsabilità civile per le conseguenze dell'azione necessitata. Art. 2054 c.c. al danneggiato è dovuta una
indennità (equo apprezzamento del giudice)....
Cap. 3. LA COLPEVOLEZZA
Sezione I. NOZIONI GENERALI
PREMESSA[241]
La colpevolezza come principio-cardine del sistema penale
Colpevolezza e principio della "personalità" della responsabilità penale: rilevanza costituzionale art.27, comma
1° Cost. il principio della personalità della responsabilità penale in essa fissato va, infatti, inteso non soltanto
nel significato minimo di "divieto di responsabilità per fatto altrui", ma nel senso ben più pregnante di
responsabilità per fatto proprio colpevole: è espresso un principio secondo cui l'applicazione della pena
presuppone l'attribuibilità psicologica del singolo fatto di reato alla volontà antidoverosa del soggetto[242].
Colpevolezza e principio di rieducazione: collegamento sistematico tra art.27, primo comma e terzo comma, Cost.: finalismo
rieducativo della pena[243].
Punti minimi oggetto di convergenza in dottrina.
L'idea di colpevolezza presuppone il rifiuto della responsabilità per l'evento (responsabilità c.d. oggettiva): il
rimprovero di colpevolezza implica che si presupponga come esistente una possibilità di agire diversamente
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da parte del soggetto cui il fatto viene attribuito.
Deve esistere un rapporto di proporzione tra forme di colpevolezza e intensità della risposta sanzionatoria: la
reazione penale deve cioè essere proporzionata o commisurata al grado della partecipazione interiore del
soggetto.
Inammissibilità della figura della "colpa d'autore"[244]
Colpevolezza e pericolosità sociale:
il concetto di colpevolezza concerne soltanto i soggetti capaci di intendere e di volere, esprime un rimprovero
per la commissione di un fatto delittuoso[245]: è presupposto della applicazione della pena in senso stretto.
il concetto di pericolosità sociale privilegia la personalità dell'autore e fa riferimento, più che a un fatto di reato
già commesso, alla probabilità che l'autore continui a delinquere in futuro: giustifica la applicazione di una
misura di sicurezza[246].
CONCEZIONI DELLA COLPEVOLEZZA: LA CONCEZIONE PSICOLOGICA
Ispirazione liberal-garantistica della concezione psicologica : relazione psicologica tra fatto e autore,
la categoria così intesa assolve essenzialmente due funzioni:
1)
Colpevolezza come concetto di genere ricomprendente dolo e colpa: la colpevolezza è "il rapporto
psicologico tra l'agente e l'azione che cagiona un evento voluto, o non voluto, ancorché preveduto, ma
prevedibile" (Bellavista).
2)
Colpevolezza e retribuzione per il singolo fatto criminoso: esigenza di circoscrivere la colpevolezza
all'atto di volontà relativo al singolo reato.
Per la concezione illuministico-liberale della concezione psicologica la diversa gravità del reato, che incide sul
quantum della punibilità, va piuttosto valutata sulla base di criteri "oggettivi", e cioè facendo soprattutto leva
sull'entità del danno obiettivamente arrecato alla società[247]. Sicchè la pena assolve fondamentalmente la
funzione di retribuire il singolo fatto commesso secondo una misura proporzionata alla sua oggettiva e
specifica gravità.
Obiezioni alla teoria in esame
Ad integrare la colpa ci sono anche atteggiamenti psicologici potenziali non solo effettivi come per il dolo
quindi non si riesce sul piano dogmatico a fornire un concetto superiore ricomprendente dolo e colpa.
Sul piano funzionale non vengono valorizzate tutte le potenzialità della colpevolezza come elemento di
graduazione della responsabilità penale (non si tiene conto delle diverse motivazioni che inducono a
delinquere).
SEGUE: LA CONCEZIONE NORMATIVA[248]
La colpevolezza come criterio di graduazione della responsabilità in rapporto ai motivi e alle circostanze
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dell'agire: istanza di riportare all'idea di colpevolezza il peso che assumono i motivi dell'azione e le
circostanze in cui essa si realizza: concetto di colpevolezza idoneo a fungere anche da criterio di
commisurazione giudiziale della pena. Ponte tra i due piani della concezione sistematica del reato
(colpevolezza=elemento costitutivo dell'illecito penale, accanto a tipicità e antigiuridicità) e della valutazione
della gravità del fatto criminoso ai fini determinazione concreta della sanzione (colpevolezza= criterio di
commisurazione della pena).[249]
Sia nel dolo che nella colpa c'è un atteggiamento antidoveroso della volontà [250] : al contempo il concetto di
rimproverabilità consente di esprimere giudizi "graduati" di disvalore penale in rapporto alla qualità
dell'elemento psicologico che lega il fatto all'autore.
La colpevolezza come rimprovero[251] per un'azione socialmente dannosa: anche contro un fatto moralmente
indifferente.
ORIENTAMENTI ATTUALI
L'attuale frattura tra l'idea di colpevolezza e la teoria retributiva della pena[252].
L'odierno nesso tra la colpevolezza e la teoria preventiva della pena: qual è la funzione della colpevolezza
all'interno di un diritto penale orientato verso la prevenzione (generale e speciale)?
La pena non è la conseguenza indefettibile di un'accertata colpevolezza: quest'ultima è condizione necessaria,
ma non già sufficiente della punibilità: infatti, una volta accertata la colpevolezza, in tanto ha senso punire, in
quanto ciò serva a distogliere altri dal commettere reati (prevenzione generale) ovvero a impedire che lo
stesso autore del fatto torni a delinquere (prevenzione speciale).
La tradizionale categoria della colpevolezza ha una vera ragion d'essere all'interno di un diritto penale della
prevenzione, ovvero la sua sopravvivenza è il risultato di una sorta di provvisorio compromesso col vecchio
diritto penale "retributivo"? Distinguere se:
a) colpevolezza quale criterio presupposto della punibilità (cioè elemento costitutivo del reato): rapporto di
"strumentalità" rispetto alla funzione preventiva della pena[253]. Vedi nesso di funzionalità intercorrente con la
prevenzione speciale rieducatrice. Ma il fatto che il legislatore penale subordini la punibilità alla presenza di
coefficienti di colpevolezza può spiegarsi anche sul terreno della prevenzione generale o deterrenza. Una
legge penale che punisse anche fatti "incontrollabili" difficilmente potrebbe fungere da appello rivolto alla
volontà dell'agente per distoglierlo dal commettere illeciti penali.
b)
colpevolezza quale criterio di misura della pena.
La colpevolezza come presupposto e garanzia della libertà di scelta individuale: se è astrattamente
ipotizzabile che, almeno in certi casi, il ricorso a forme di responsabilità "oggettiva" sia idoneo a rafforzare la
funzione general-preventiva della pena, ne deriva allora questa importante conseguenza: la prevenzione
generale non implica, come condizione indefettibile, la colpevolezza quale presupposto del reato. Prospettiva
che si dischiude: il bilanciamento tra le rispettive esigenze:
a)
della tutela preventiva dei beni giuridici;
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b)
della salvaguardia delle fondamentali libertà del singolo.
Il principio di colpevolezza è inderogabile, nell'ambito del nostro diritto penale costituzionalmente orientato,
perché esso funge da argine garantistico a presidio della "certezza di libere scelte d'azione" del privato: in altri
termini l'assumere il dolo o la colpa come presupposto indefettibile della responsabilità penale, equivale a
circoscrivere la responsabilità stessa nei limiti di ciò che rientra nel potere di controllo finalistico del soggetto; e
questa possibilità di controllo - a sua volta - consente, tendenzialmente, a ogni individuo di pianificare la
propria esistenza al riparo da ingiustificati rischi penali.
b) Il grado di colpevolezza come limite alla prevenzione in sede di commisurazione della pena: fase in cui il
giudice stabilisce il concreto trattamento punitivo da infliggere al condannato. Problema: la prospettiva della
prevenzione rappresenta l'unico criterio guida del giudice? Sino al punto di trascurare o di considerare
secondario il rapporto di adeguatezza che dovrebbe sempre sussistere tra l'entità della pena, da un lato,e il
grado della colpevolezza insita nel singolo fatto di reato, dall'altro.
Il principio di colpevolezza assolve una funzione limitativa della punibilità - in sede di commisurazione
giudiziale della pena - perché il rispetto a esso dovuto vieta, pur nel perseguire scopi di prevenzione generale
e/o speciale, di infliggere pene di ammontare superiore al limite massimo corrispondente all'entità della
colpevolezza individuale. La colpevolezza come criterio che funge, in sede di commisurazione della pena, da
limite a un eventuale eccesso di reazione penale, equivale a sinonimo di "fatto colpevole": in questo senso,
essa si atteggia cioè a categoria di sintesi che include tutti gli elementi dai quali dipende la gravità del singolo
reato e rispetto ai quali può essere mosso all'agente un rimprovero, compreso i motivi a delinquere (esulano,
perciò, dal giudizio di colpevolezza il carattere del reo e le condotte anteriori e successive al reato).
Colpevolezza e possibilità di agire diversamente: riferimento allo "uomo medio"?
STRUTTURA DELLA COLPEVOLEZZA
La concezione normativa oggi dominante afferma che è colpevole un soggetto imputabile,il quale abbia
realizzato con dolo o colpa la fattispecie obiettiva di un reato, in assenza di circostanze tali da rendere
necessitata l'azione illecita. E' quindi un concetto complesso, i cui presupposti sono così riassumibili:
a)
imputabilità;
b)
dolo o colpa;
c)
conoscibilità del divieto penale;
d)
assenza di cause di esclusione della colpevolezza.
Rapporto tra colpevolezza e imputabilità.
Per Antolisei l'imputabilità rappresenterebbe un modo di essere, uno status della persona necessario perché
l'autore del reato sia assoggettabile a pena; la mancanza di imputabilità, di conseguenza, opererebbe
semplicemente come causa personale di esenzione da pena[254], ma non della colpevolezza!
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Per Pagliaro l'imputabilità è un aspetto della capacità giuridica penale, e precisamente, quell'aspetto di essa
che fa da presupposto all'attribuzione di un illecito sanzionato con pena.
La giurisprudenza e questa impostazione teorica fa leva sulle norme del codice penale (cfr. in particolare
artt.222 [255] e 224 [256]) che ricollegano i minimi di durata delle misure di sicurezza dell'ospedale psichiatrico
giudiziario e del riformatorio giudiziario alla gravità dei reati commessi, contengono un implicito riferimento anche attraverso l'indiretto richiamo dell'art.133 [257] - alla "intensità del dolo e al grado della colpa" allora
anche il dolo e la colpa sono riferibili (per il legislatore) ai "non imputabili"! Quindi l'imputabilità non è
presupposto della colpevolezza[258], bensì uno stato soggettivo che decide della sola assoggettabilità a pena
in senso stretto.
Ma per Mantovani, Romano, Padovani, Fiore, Marinucci-Dolcini va recuperata la diversa prospettiva di
fondo che riconduce l'imputabilità all'alveo concettuale della colpevolezza: in tale prospettiva è proprio
l'imputabilità, intesa come maturità psicologica del reo, che consente di muovere un rimprovero all'autore del
reato. In altri termini: un rimprovero in tanto ha senso in quanto il destinatario abbia la maturità mentale per
discernere il lecito dall'illecito e, dunque, per conformarsi alle aspettative dell'ordinamento giuridico. Peraltro
all'interno dell'impostazione sin qui seguita, non si contesta che il nostro sistema penale riferisce il dolo e la
colpa anche alla condotta degli incapaci di intendere e di volere.
Piuttosto, è innanzitutto da osservare che:
1) Il dolo e la colpa di per sé non esauriscono il concetto di colpevolezza in senso normativo che richiede
ulteriori elementi nella prospettiva del rimprovero.
2)
Il dolo e la colpa del soggetto inimputabile non possono coincidere col dolo o la colpa del soggetto
capace di intendere e di volere. A ben vedere essi sono meri stati psichici: il dolo, come volontarietà psichica
del fatto nella sua materialità, può non ricomprendere la consapevolezza del suo significato offensivo; inoltre
l'errore di fatto condizionato proprio dalla malattia mentale può non escludere la pericolosità del non imputabile
e può perciò pur sempre comportare l'applicabilità, nei suoi confronti, di una misura di sicurezza. Quanto poi
alla colpa del non imputabile, questa nella stragrande maggioranza dei casi consisterà verosimilmente nella
violazione di una semplice misura oggettiva di diligenza, mentre sarà fuori discussione un rimprovero da
muovere sulla base di una misura soggettiva e più specializzata.
Pur concepita come presupposto o elemento della colpevolezza, l'imputabilità si distingue dalla "coscienza e
volontà" dell'azione di cui all'art.42, comma 1°: queste ultime costituiscono condizioni dell'attribuibilità psichica
di una singola azione od omissione al suo autore; mentre l'imputabilità, come capacità di intendere e di volere,
rispecchia una qualità personale dell'autore che permette di qualificare "colpevole" un comportamento già
ascrivibile a lui come cosciente e volontario[259].
Distinguendosi sia dall'IMPUTABILITA' quale status personale, come capacità di intendere e di volere,
costituisce una qualità, un modo di essere dell'individuo, riferendosi alla sua maturità psichica e alla sua sanità
mentale.
sia dal DOLO E COLPA
COSCIENZA E VOLONTA' sono attributi della condotta criminosa, esprimendo le condizioni minime richieste
dall'ordinamento perché un comportamento dello uomo, modellato su un'astratta fattispecie penale, gli possa
essere "normalmente" riferito, sia cioè "proprio" di costui (Cass.SS.UU., 14/06/1980). La coscienza e volontà
dell'azione od omissione è un requisito del fatto di reato.
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La COSCIENZA E VOLONTA' E LA COLPEVOLEZZA in senso stretto si riferiscono alla volontà concreta del
fatto, considerato nel momento della sua attuazione.
Sezione II. IMPUTABILITA'[260]
PREMESSA
L'imputabilità come primo presupposto del rimprovero di colpevolezza. Se la colpevolezza presuppone una
consapevole capacità di scelta tra diverse alternative di azione, allora l'imputabilità - che fornisce il criterio
minimo dell'attitudine ad autodeterminarsi - costituisce, necessariamente, la prima condizione per esprimere la
disapprovazione soggettiva del fatto tipico e antigiuridico commesso dall'agente.
Il codice penale all'art.85 definisce l'imputabilità come capacità di intendere e di volere[261].
Fondamento dell'imputabilità. È rinvenibile sul terreno delle funzioni della pena[262].
Crisi del tradizionale concetto di imputabilità
LA CAPACITA' DI INTENDERE E DI VOLERE
Il concetto di imputabilità è, al tempo stesso, "empirico"[263] e "normativo"[264].
Il codice penale all'art.85 fissa i presupposti dell'imputabilità nella "capacità di intendere e di volere" che deve
sussistere ( comprensiva di entrambe le attitudini[265]) al momento della commissione del fatto che costituisce
reato.
La capacità di intendere e di volere va tenuta distinta dalla c.d. suitas cioè dalla coscienza e volontà
dell'azione od omissione (v.art.42): l'imputabilità attiene ad un MODO DI ESSERE DELLA PERSONA
riferendosi alla sua maturità psichica e alla sua sanità mentale; la SANITAS concerne il RAPPORTO TRA IL
VOLERE DEL SOGGETTO ED UN DETERMINATO ATTO, consente cioè di verificare L'ATTRIBUIBILITA' o
meno di un determinato comportamento alla volontà dell'agente. Ciò spiega perché anche il soggetto
imputabile può agire senza coscienza e volontà come ad esempio nei casi di forza maggiore (v. art.45) o di
costringimento fisico (v. art.46).
Art. 85 - CAPACITA' DI INTENDERE E DI VOLERE - "Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla
legge come reato, se, al momento in cui lo ha commesso,non era imputabile.
E' imputabile chi ha la capacità d'intendere e di volere".
Altri parametri legalmente predeterminati (cause che escludono o diminuiscono la imputabilità[266]):
-
l'età del soggetto (artt.97-98);
-
l'assenza di infermità mentale (art.88);
-
l'assenza di altre condizioni (sordomutismo, cronica intossicazione alcolica, ecc.) capaci di incidere
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sull'autodeterminazione responsabile dell'agente (artt.95-96).
Ma le cause codificate di esclusione dell'imputabilità non sono tassative: cioè la capacità dell'art.85 può essere
esclusa anche da fattori diversi da quelli legislativamente previsti[267].
Come accade in generale per i concetti "disposizionali", anche il concetto di imputabilità si precisa meglio
attraverso il riferimento alle sue condizioni d'uso nella prassi applicativa e, dunque alle cause patologiche che
la escludono o diminuiscono.
Capacità d'intendere: è l'attitudine ad orientarsi nel mondo esterno secondo una percezione non distorta della
realtà, e quindi come la capacità di comprenderne il significato del proprio comportamento e di valutarne le
possibili ripercussioni sui terzi. Rendersi conto del valore delle proprie azioni.
Capacità di volere: è il potere di controllare gli impulsi ad agire e di determinarsi secondo il motivo che appare
più ragionevole o preferibile in base a una concezione di valore: in altri termini, è attitudine a scegliere in
modo consapevole tra motivi antagonistici. Da questo p.d.v. la capacità di volere presuppone
necessariamente la capacità di intendere il significato dei propri atti (nihil volitum nisi praecognitum).E' la
facoltà di volere ciò che si giudica doversi fare.
MINORE ETA'
L'art.97 - MINORE DEGLI ANNI QUATTORDICI - dispone che "non è imputabile chi, al momento in cui ha
commesso il fatto, non aveva compiuto i quattordici anni": presunzione di incapacità di natura assoluta perché
non è ammessa la prova in contrario[268].
L'art.98 [269], comma 1, per i minori tra 14 e 18 anni dispone che "E' imputabile chi, nel momento in cui ha
commesso il fatto, aveva compiuto i quattordici anni, ma non ancora i diciotto, se aveva capacità di intendere e
di volere; ma la pena è diminuita". Non c'è alcuna presunzione legale, ma è il giudice a dovere in concreto
accertare volta per volta se il minore sia imputabile o no.
Presunzione relativa di imputabilità rispetto ai diciottenni.[270]
INFERMITA' DI MENTE
L'art.88 - VIZIO TOTALE DI MENTE - stabilisce "Non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il
fatto, era, per infermità[271], in tale stato di mente da escludere la capacità d'intendere o di volere". Indirizzo
"biopsicologico" del nostro legislatore: occorre appurare anche se e in quale misura la malattia comprometta la
capacità di intendere e di volere.
Complessi problemi interpretativi e di accertamento giudiziale.
Concetto di infermità. Equivale al concetto di malattia? No, è più ampio. Interessa che il disturbo del soggetto
abbia in concreto l'attitudine a compromettere gravemente la capacità sia di percepire il disvalore del fatto
commesso, sia di recepire il significato del trattamento punitivo.
Infermità di cui agli artt. 88-89: anche malattia fisica a carattere transitorio, purchè produttiva di vizio di
mente[272]. Perché esso rilevi occorre che sussista al momento in cui il soggetto ha commesso il fatto.
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Segue: gli orientamenti giurisprudenziali: modello "medico". Esigenza di fondo:
1)
ancoraggio alla nosografia psichiatrica ufficiale che garantisce meglio il valore della certezza giuridica;
2)
questo ancoraggio impedisce un'eccessiva dilatazione dei casi di ritenuta in imputabilità.
Psicopatie[273].
Stati emotivi e passionali: art.90 "non escludono né diminuiscono l'imputabilità" vedi assunto dominante
all'epoca Codice Rocco: a) infermità=malattia; b) preoccupazione politico-criminale di evitare di dichiarare
incapace di intendere e di volere ogni autore di delitto "impulsivo". Può essere ammessa soltanto in presenza
di due condizioni essenziali[274] (eccezionalmente vengono in rilievo):
1)
che lo stato di coinvolgimento emozionale si manifesti in una personalità per altro verso già debole;
2)
che lo stato emotivo o passionale assuma, per particolari caratteristiche, significato e valore di
infermità, sia pure transitoria (es. squassi emotivi, reazioni da panico, reazioni esplosive, reazioni a corto
circuito, discontrolli episodici, raptus, ecc.)[275].
Vizio totale di mente: diversi gradi:
totale se l'infermità, di cui il soggetto soffre al momento della commissione del fatto, è tale da escludere del
tutto la capacità di intendere e di volere. Proscioglimento la misura di sicurezza del ricovero in un ospedale
psichiatrico giudiziario può essere applicata soltanto previo accertamento concreto della sua pericolosità
sociale.
Vizio parziale di mente[276]: la capacità d'intendere e di volere è diminuita in presenza di un vizio
parziale di mente: art.89 " Chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità, in tale stato
di mente da scemare grandemente, senza escluderla, la capacità d'intendere o di volere, risponde del
reato commesso; ma la pena è diminuita". Criterio quantitativo (non qualitativo): investe tutta la mente,
ma in misura meno grave[277]. E' compatibile con le aggravanti della premeditazione (a meno che
quest'ultima non sia essa stessa manifestazione della malattia) e dei motivi abietti e futili, come pure
con l'attenuante della provocazione e con le circostanze attenuanti generiche.
UBRIACHEZZA E INTOSSICAZIONE DA STUPEFACENTI
Trattamento articolato:
a)
Ubriachezza accidentale (o <incolpevole>): se dovuta a caso fortuito o forza maggiore, se è piena
l'ubriachezza esclude l'imputabilità[278]. Art.91 - UBRIACHEZZA DERIVATA DA CASO FORTUITO O DA
FORZA MAGGIORE - "Non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva la capacità
di intendere e di volere, a cagione di piena ubriachezza derivata da caso fortuito o da forza maggiore.
Se l'ubriachezza non era piena, ma era tuttavia tale da scemare grandemente, senza escluderla, la capacità
d'intendere o di volere, la pena è diminuita".
Idem per la intossicazione accidentale da stupefacenti di cui art.93 - FATTO COMMESSO SOTTO L'AZIONE
DI SOSTANZE STUPEFACENTI - "Le disposizioni dei due articoli precedenti si applicano anche quando il
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fatto è stato commesso sotto l'azione di sostanze stupefacenti".
b)
Ubriachezza volontaria o colposa: non fa scemare invece né esclude l'imputabilità: art.92 UBRIACHEZZA VOLONTARIA O COLPOSA OVVERO PREORDINATA - "L'ubriachezza non derivata da caso
fortuito o da forza maggiore non esclude né diminuisce la imputabilità.
Se l'ubriachezza era preordinata [279] al fine di commettere il reato, o di prepararsi una scusa, la pena è
aumentata".
Il dolo o la colpa dell'ubriaco vanno accertati con riferimento al momento nel quale il reato in questione viene
commesso...opinabile perché art.92, comma 1° introduce una "finzione di imputabilità"[280] che si traduce in
una "finzione di elemento soggettivo" del reato commesso: nella sostanza, un'ipotesi di responsabilità
oggettiva occulta o mascherata[281]. L'agente si è ubriacato intenzionalmente oppure per imprudenza o
negligenza: non esclude,né diminuisce l'imputabilità[282].
c)
Ubriachezza preordinata: (comporta un aumento di pena) quando è provocata al fine di commettere il
reato o di prepararsi una scusa. Art.92, comma 2°, costituisce una esemplificazione del principio contenuto
nell'art.87 (actio libera in causa)[283]: il principio cioè secondo cui l'incapacità "preordinata" deroga alla regola
della coincidenza temporale tra imputabilità e commissione del fatto criminoso, senza peraltro disattendere la
sostanza del principio di colpevolezza.
d)
Ubriachezza abituale: (=abituale intossicazione da stupefacenti) non solo non esclude o diminuisce
l'imputabilità,ma addirittura comporta un aumento di pena (art.94, commi 1° e 3° [284]), nonché la possibilità
di applicare la misura di sicurezza della casa di cura e di custodia ovvero della libertà vigilata (art.221).
L'abitualità è subordinata al ricorrere dei due presupposti:
1)
dedizione all'uso eccessivo di bevande alcoliche[285];
2)
frequente stato di ubriachezza (o di intossicazione).
e)
Cronica intossicazione da alcool o da stupefacenti: possono escludere o fa scemare grandemente la
capacità di intendere e di volere, soltanto nel caso estremo di cronica intossicazione[286] art.95: si applicano
disposizioni artt.88 e 89.
SORDOMUTISMO
Accertamento concreto dell'imputabilità. Art.96 tanto l'incapacità, quanto la capacità devono formare oggetto di
concreto accertamento in giudizio. Se la capacità di intendere e di volere non sussiste, è parificato all'individuo
affetto da totale vizio di mente.
Devono sussistere entrambe le affezioni.
ACTIO LIBERAE IN CAUSA[287]
Art.87 "la disposizione della prima parte dell'art.85[288] non si applica a chi si è messo in stato d'incapacità
d'intendere e di volere al fine di commettere il reato, o di prepararsi una scusa".
Esemplificazione codicistica nella disciplina dell'ubriachezza preordinata art.92, comma 2°, analogamente
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art.93 per il caso di uso preordinato di "stupefacenti".
Paradigma delle actiones liberae in causa escogitato dalla teologia morale con specifico riferimento alle
condotte peccaminose poste in essere senza libera volontà al momento della loro realizzazione, ma pur
sempre riconducibili ad un precedente atto di volontà dello stesso soggetto: l'azione è libera in causa appunto
perché l'agente aveva il potere di porsi o di non porsi in condizione d'incapacità[289].
Come si spiega che il soggetto risponde ugualmente del reato commesso se, al momento del fatto, era in
imputabile?
Congruenza tra fatto programmato e realizzato.
Si riconduce all'alveo della colpevolezza anche le ipotesi d'incapacità procurata: al soggetto può cioè essere
mosso un rimprovero per essersi liberamente posto in quella condizione d'incapacità, che gli ha reso possibile
o più agevole la realizzazione del reato programmato: ai fini della punibilità occorre che il reato concretamente
posto in essere sia del tipo di quello inizialmente programmato[290].
Sezione III. STRUTTURA E OGGETTO DEL DOLO
IL DOLO: FUNZIONI E DEFINIZIONE LEGISLATIVA
Il dolo come normale criterio di imputazione soggettiva: lo si desume in generale dalla prima parte
dell'art.42, comma 2° "nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come delitto se
non l'ha commesso con dolo". Gli altri criteri di imputazione soggettiva (cioè la "colpa" e la
"preterintenzione") operano soltanto nei casi espressamente previsti dalla legge: art.42, comma 2°,
seconda parte.
Le diverse funzioni del dolo nel processo di imputazione penale.:
1)
rappresenta un elemento costitutivo del fatto tipico;
2)
connota la forma più grave di colpevolezza.
La definizione legislativa: Art.43 - ELEMENTO PSICOLOGICO DEL REATO - comma 1° "Il delitto: è doloso,
o secondo l'intenzione, quando l'evento dannoso o pericoloso, che è il risultato della azione od omissione e da
cui la legge fa dipendere l'esistenza del delitto, è dall'agente preveduto e voluto come conseguenza della
propria azione od omissione".
La definizione si incentra su 3 elementi:
1)
previsione (el. di natura strutturale[291]);
2)
volontà (el. di natura strutturale)[292];
3) evento dannoso o pericoloso[293]: attiene allo "oggetto" che deve riflettersi nella rappresentazione e
nella volizione.
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Teoria della rappresentazione: concepiva la volontà e la rappresentazione (o previsione) dell'evento quali
fenomeni psichici distinti, come tali riferibili a dati diversi[294].
Teoria della volontà: privilegiava l'elemento volitivo del dolo nel convincimento che potessero costituire
oggetto di volontà anche i risultati della condotta. Non rinuncia al requisito della previsione,ma lo considera
assorbito in quello della volontà[295].
La definizione del dolo contenuta nell'art.43 è in ogni caso parziale: la disciplina normativa del dolo infatti si
ricava dal complesso delle disposizioni che, in positivo o in negativo, attribuiscono rilevanza alla conoscenza
(o mancata conoscenza) di determinati elementi costitutivi di fattispecie (v. artt. 5, 47 e 59). La definizione
legislativa del dolo è una formula di compromesso tra le due teorie.
IL DOLO E' TUTTO QUESTO!
Elementi oggetto di rappresentazione:
materialità e offesa:
A) elementi rappresentati e voluti: 1) condotta tipica[296]; 2) evento; 3) rapporto causale; 4)
offesa[297];
B) elementi naturalistici del fatto (scelta luogo, mezzi,uso, ecc.) solo rappresentati (rappresentazione
o coscienza);
C) mancanza di scriminanti: solo rappresentazione.
Volontà in quanto realizzazione (non in senso psicologico): deve abbracciare la condotta tipica fino
all'ultimo atto <al momento>.
STRUTTURA DEL DOLO: RAPPRESENTAZIONE[298] E VOLONTA'
Sono due categorie concettualmente distinguibili, ma vanno considerate in reciproco rapporto, dal momento
che una volontà non accompagnata dall'elemento intellettivo finirebbe con l'essere cieca (nihil volitum nisi
praecognitum). La tesi di fondo che assegna al dolo una duplice dimensione intellettiva e volitiva, continua a
costituire un punto fermo nell'ambito della dottrina penalistica italiana.[299] Dottrina tedesca ultimi anni sposta
il fulcro del dolo sul momento rappresentativo, come progressivo ridimensionamento del ruolo della volontà.
Il dolo rappresenta non soltanto un fondamentale requisito della colpevolezza,ma l'elemento costitutivo di essa
maggiormente dotato di coefficienti psicologici effettivi. E sul terreno psicologico, il requisito che può
ancora oggi meglio marcare la differenza fra il dolo e la colpa - specie rispetto alla figura contingua
dalla c.d. colpa cosciente[300] - è l'elemento volontaristico.
L'elemento intellettivo: consta della rappresentazione o conoscenza degli elementi che integrano la
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fattispecie oggettiva: se il soggetto non conosce o si rappresenta erroneamente un requisito del fatto
tipico, la punibilità è esclusa per mancanza di dolo; da questo punto di vista, dolo ed errore (o
ignoranza) sono concetti specularmene antitetici.
La componente conoscitiva del dolo si atteggia diversamente a seconda che abbia come punto di riferimento:
1) elementi descrittivi di fattispecie: è sufficiente che il soggetto sia a conoscenza degli elementi del mondo
esterno così come appaiono nella loro dimensione "naturalistica" (es.uomo, morte, cosa mobile, ecc.)[301];
2) elementi normativi di fattispecie: (es. altruità della cosa, documento, pubblico ufficiale,ecc.) non basta che
l'agente sia a conoscenza di meri dati di fatto: deve piuttosto rappresentarsi anche gli aspetti che fondano la
rilevanza giuridica delle situazioni di fatto richiamate dalla fattispecie. E' sufficiente che egli abbia dell'elemento
normativo "una conoscenza parallela nella sfera laica" (Mezger).
Previsione dell'evento. La rappresentazione o conoscenza si atteggia più precisamente a "previsione" con
riferimento agli accadimenti futuri che si prospettano come risultato della condotta criminosa (ad es. l'evento
letale come conseguenza di una condotta omicida). E' appena il caso di sottolineare che nella previsione deve
anche rientrare il nesso causale tra azione ed evento, prefigurato nei tratti essenziali.
Lo stato di dubbio. La rappresentazione sufficiente ai fini del dolo è compatibile, in linea di principio, con uno
stato di dubbio in ordine ad uno o più elementi di fattispecie: il dubbio infatti non equivale né ad ignoranza né
ad erronea conoscenza, in quanto il soggetto si rappresenta contemporaneamente il duplice possibile modo di
essere di una cosa: ad es. Tizio, nel dubitare che l'oggetto di cui si impossessa possa essere di altri, ben si
rappresenta la possibilità di commettere un furto; agendo nonostante lo stato di incertezza, egli finisce con
l'accettare il rischio che la cosa sia veramente in proprietà di altri, e ciò giustifica un'imputazione a titolo di
dolo. La sufficienza dello stato di dubbio a integrare il dolo è tuttavia da escludere, laddove sia la particolare
struttura della fattispecie incriminatrice a esigere, invece, la piena conoscenza di uno o più elementi del fatto di
reato: es. fattispecie di calunnia (art.368) la quale si realizza a condizione che l'agente sappia senza
incertezze che l'incolpato è in realtà una persona innocente.
Occorre una rappresentazione "attuale" in relazione a tutti i requisiti del fatto delittuoso, o basta, di determinati
elementi della fattispecie, una conoscenza soltanto "potenziale" o implicita?
Il "grado minimo" di attualità del contenuto rappresentativo. Se il dolo è fenomeno psicologico reale, il punto
relativo al grado minimo di attualità del suo contenuto rappresentativo non può che essere affrontato alla
stregua delle più recenti conoscenze scientifiche. In questo senso è da respingere, perché astratta e
razionalistica, la pretesa che il dolo presupponga che l'agente si soffermi col pensiero su ogni singolo
elemento costitutivo del reato. Così ad es. è da respingere che l'autore di una corruzione di minorenni debba,
nel praticare l'atto sessuale, pensare di compierlo proprio in presenza di un minore "infraquattordicenne". Se
su ciò si concorda, si disputa invece su quale debba essere la "soglia" di consapevolezza sufficiente per
imputare il fatto a titolo di dolo. L'uomo può essere considerato "cosciente" di una circostanza se questa,
anche se non assunta ad oggetto di un pensiero esplicito al momento dell'azione, fa parte di un complesso di
circostanze che gli sono precedentemente note. Bisogna, tuttavia, intendersi sulla portata e i limiti di tale
consapevolezza potenziale. Per rilevare in sede di imputazione dolosa, la colpevolezza implicita si deve riferire
ad elementi rientranti in un insieme di circostanze non solo note all'agente, ma che egli potrebbe
immediatamente richiamare alla mente se vi riflettesse per un attimo. Il dolo esulerebbe, invece, se il
passaggio da una rappresentazione potenziale ad una rappresentazione attuale presupponesse, non già un
attimo di attenzione, ma un processo di deduzione logica del dato (attualmente) ignoto dalle circostanze
(precedentemente) note[302].
L'elemento volitivo: Il dolo non è semplicemente rappresentazione degli elementi costitutivi della fattispecie
delittuosa, ma volontà consapevole di realizzare il fatto tipico[303]. La volontà intesa in senso ampio investe
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l'azione come movimento corporeo, e il fatto complessivo colto nella sua unità significativa: nell'ambito del
fatto di reato concepito come entità unitaria, la volontà finisce, dunque, con l'abbracciare anche tutti gli altri
elementi del fatto diversi dalla condotta. Se manca la volontà di realizzare il fatto, non bastano a integrare il
dolo desideri, speranze, proponimenti, tendenze, inclinazioni e simili. Il dolo come volontà del fatto non va
confuso con il motivo o movente dell'azione delittuosa: quest'ultimo infatti consiste nell'impulso o stimolo di
natura affettiva che spinge il soggetto ad agire (ad es. odio, vendetta, cupidigia, ecc.)[304] per cui il dolo quale
volontà del fatto può coesistere con le motivazioni psicologiche più disparate.
Volontà in quanto realizzazione: L'imputazione a titolo di dolo, in omaggio al principio cogitationis poenam
nemo patitur, presuppone che la volontà si traduca in realizzazione, almeno nello stadio del tentativo punibile
(art.56). Proprio perché la volontà rileva come espressione di un potere di conformazione della realtà, e non
come mero dato psicologico, è privo di rilevanza tanto il dolo antecedente quanto il dolo susseguente: occorre
in realtà che il dolo sussista al momento del fatto, e perduri per tutto il tempo in cui la condotta rientra nel
potere di signoria dell'agente; sicchè, ai fini della configurabilità del dolo, la volontà deve abbracciare la
condotta tipica fino all'ultimo atto[305].
Intensità del dolo: può presentare un'intensità diversa, in rapporto al rispettivo grado di consistenza della
componente rappresentativa e/o volitiva: di tale graduazione deve tener conto il giudice ai fini della
commisurazione della pena, posto che l'art. 133 rapporta la gravità del reato (fra l'altro) all'intensità del dolo.
Intensità del momento volitivo rapportata al grado di adesione psicologica del soggetto al fatto, nonché alla
complessità e alla durata del processo deliberativo: vedi dolo c.d. d'impeto[306]; dolo c.d. di proposito[307]; la
c.d. premeditazione[308]. (cronologico e psicologico chiuso a resipiscenza).
OGGETTO DEL DOLO
Già visto l'art.43, comma 1° che riferisce la volontà colpevole all'"evento dannoso o pericoloso": formulazione
poco felice perché la nozione di evento è controversa, difatti varie tesi per i quali l'art.43 allude allo:
a)
evento in senso naturalistico: risultato lesivo casualmente riconducibile all'azione tipica: ma allora la
definizione di dolo lascia fuori i reati di mera condotta;
b)
evento in senso giuridico: lesione o messa in pericolo del bene protetto: ma nei reati specie c.d. a
creazione legislativa[309] la consapevolezza del carattere lesivo del fatto non può prescindere dalla
conoscenza effettiva del divieto penale, ma c'è l'art.5!
Il "fatto tipico" come oggetto del dolo. Soltanto da questa tesi consente di ricostruire l'oggetto del dolo tenendo
contemporaneamente presenti le diverse caratteristiche strutturali dei reati di azione e dei reati di evento.
Quindi oggetto del dolo è costituito da tutti gli elementi obiettivi positivamente richiesti per l'integrazione delle
singole figure di reato: riscontro nell'art.47 [310] ove il dolo è escluso dall'errore sul "fatto" che costituisce
reato, quindi la rappresentazione e la volontà devono avere ad oggetto il fatto tipico. Di conseguenza il dolo
deve più precisamente abbracciare le diverse componenti in cui il fatto tipico può articolarsi: e cioè la condotta,
le circostanze antecedenti o concomitanti all'azione tipizzate dalla norma incriminatrice, l'evento naturalistico.
Più in particolare, perché l'azione sia imputabile a titolo di dolo distinguere tra reati a "forma vincolata" ovvero
a "forma libera". Ed invero, nell'ambito dei primi è necessario che la coscienza e volontà abbiano ad oggetto
proprio le specifiche modalità di realizzazione del fatto tipizzate dalla fattispecie incriminatrice. Nei secondi,
invece, posto che il legislatore attribuisce rilevanza penale a qualsiasi modalità di aggressione al bene
protetto, il dolo deve normalmente accompagnare l'ultimo atto compiuto prima che il decorso causale sfugga
alla capacità di dominio personale dell'agente.
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Per quanto attiene al nesso causale, tra la decisione e l'attuazione della condotta criminosa, basta di regola
che l'agente se ne prefiguri lo svolgimento nei tratti essenziali rilevanti ai fini della valutazione penalistica...
Dolo ed elementi normativi: La rilevanza dell'esatta interpretazione degli elementi normativi della fattispecie è
normativamente desumibile dall'art.47, ultimo comma: "l'errore su una legge diversa dalla legge penale
esclude la punibilità, quando ha cagionato un errore sul fatto che costituisce il reato". Analoga situazione per
ipotesi di c.d. antigiuridicità o illiceità speciale[311].
Dolo e qualifiche soggettive. Occorre avere conoscenza dei substrati di fatto della qualifica soggettiva, esula
dal dolo la conoscenza della fonte giuridico-penale delle qualifiche stesse, essendo detta conoscenza
irrilevante ex art.5.
<L'oggetto del dolo.- Per definire l'oggetto del dolo, il punto di partenza normativamente rilevante è
l'art.47 c.p., che, disciplinando l'errore sul fatto, individua in negativo ciò cui deve necessariamente
riferirsi l'atteggiamento psichico del soggetto. Se "l'errore sul fatto che costituisce il reato esclude la
punibilità dell'agente" (art.47/1° c.p.), lasciando residuare solo una eventuale responsabilità a titolo di
colpa, ne consegue che il dolo deve assumere a proprio oggetto, per l'appunto, il "fatto che costituisce
reato", e cioè il fatto tipico, prescindendo dunque:
a)
dalle circostanze (art. 59/1° e 2°c.p.);
b)
dalle condizioni obiettive di punibilità (art.44 c.p.).
Ma, in effetti, quando il soggetto agisce, agisce ovviamente non su una fattispecie normativa astratta,
ma su elementi della realtà empirica: il dolo deve quindi investire gli aspetti della realtà che risultano
rilevanti per l'integrazione della fattispecie tipica. Non occorre, ad es,., che l'autore del furto sia
consapevole che la cosa sottratta è di Tizio piuttosto che di Caio: è sufficiente sappia ch'essa è
<<altrui>> (art.624 c.p.).(..) Questo vale anche per l'identità della persona offesa, l'errore sulla quale è
irrilevante se non costituisce (eccezionalmente, come, ad es., negli artt.276 ss.) elemento della
fattispecie (c.d. error in persona, regolato dall'art.60 c.p. ai soli fini dell'applicazione delle circostanze).
(..). Nel senso poc'anzi precisato costituiscono pertanto oggetto del dolo: i presupposti della condotta;
la condotta; l'evento naturalistico. In particolare, nei reati omissivi propri l'oggetto del dolo si identifica
nei presupposti del dovere di attivarsi (ad es., il rinvenimento di un corpo inanimato nell'omissione di
soccorso: art.593/2° c.p.), e nel mancato compimento dell'azione doverosa; nei reati omissivi impropri
a tali elementi deve aggiungersi: l'obbligo giuridico extrapenale di attivarsi e l'evento non impedito.
Assai discusso è se l'offesa faccia parte dell'oggetto del dolo; in altri termini, se l'agente debba essere
consapevole del disvalore insito nel fatto commesso. Se si muove dall'idea che l'offesa costituisce un
requisito immanente alla tipicità, la risposta è evidentemente positiva (...). Sembra allora necessario
intendere l'"l'evento dannoso o pericoloso" dell'art.43/1° c.p. in modo tale da poterne postulare la
presenza in qualsiasi reato; ed una tale nozione può essere solo quella giuridica, che concepisce per
l'appunto l'evento come offesa all'interesse protetto dalla norma. Lo stesso art.43/1° c.p. richiamando
l'evento "da cui la legge fa dipendere l'esistenza del delitto", conforterebbe ulteriormente questa
interpretazione: l'evento naturalistico, non essendo previsto in tutti i reati, non <<fa dipendere>> la
loro esistenza dal suo verificarsi; mentre l'evento giuridico, comune, come offesa, a tutte le fattispecie
incriminatici, ne condiziona in ogni caso la sussistenza. Contro questa ricostruzione si profilano
tuttavia consistenti obiezioni:
a)
l'intrinseca ambiguità dell'art.43/1° c.p.,che riferisce all'evento anche l'attributo di <<risultato
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dell'azione o dell'omissione>>, esigendo ch'esso sia previsto e voluto <<come conseguenza della
propria azione od omissione>>: chiare indicazioni in favore dell'evento naturalistico;
b) l'impossibilità di ritenere che l'evento giuridico (offesa) sia, come pure esige l'art.43/1°c.p., oltre
che preveduto, anche <<voluto>>: il disvalore del fatto consta di una valutazione normativa che
l'agente può conoscere, ma non <<volere>>, perché non dipende da lui ch'essa sussista o meno;
c)
la difficoltà di fondare l'autonoma rilevanza dell'offesa rispetto ai requisiti di tipicità del fatto.
In realtà, lo sforzo di ricondurre l'offesa all'oggetto del dolo era determinato soprattutto dall'esigenza
di temperare il draconiano rigore dell'art.5 c.p., che, precludendo ogni rilevanza scusante all'errore
sulla legge penale, nonn consentiva di apprezzare l'atteggiamento personale del soggetto verso i
valori tutelati: così, avrebbe dovuto ritenersi responsabile di incesto (art.564/1° c.p.) lo straniero che,
da poco giunto nel nostro Paese, intrattenesse rapporto sessuale con un affine in linea retta, mentre
nel suo ordinamento di origine un tale fatto sarebbe stato penalmente lecito. Il difetto di coscienza
dell'offesa, rilevante sul piano del dolo, avrebbe potuto, in casi di questo genere, supplire all'asperità
della preclusione sancita dall'art.5 c.p.. Ma questa disposizione è stata dichiarata parzialmente
incostituzionale (Corte Cost. 364/1988), in termini tali da svuotare il dibattivo sulla riconducibilità
dell'offesa all'oggetto del dolo delle sue implicazioni pratiche più significative.
Nell'oggetto del dolo rientra invece l'antigiuridicità obiettiva, in quanto rappresenta una qualificazione
normativa del fatto tipico. Ma questo inserimento assume un carattere particolare, sul quale conviene
soffermare l'attenzione. L'antigiuridicità obiettiva è infatti un concetto negativo, interamente risolto nel
difetto di cause di giustificazione; in quanto tale, esso può riflettersi sul dolo non in termini positivi,
ma negli stessi termini negativi che ne definiscono la natura: non occorre cioè che il soggetto si
rappresenti l'assenza delle cause di giustificazione, ma è sufficiente che non si rappresenti la loro
presenza. Così, ad es., chi cagiona la morte di un uomo non deve necessariamente essere
consapevole che sta commettendo il fatto in assenza di un adempimento del dovere, difesa legittima,
stato di necessità, e così via; basta che non si raffiguri che lo sta commettendo per difendersi dal
pericolo attuale di un'offesa ingiusta, o per salvarsi da un danno grave alla persona, ecc.>, così
PADOVANI, op.cit., pagg. 182-185.
DOLO E COSCIENZA DELL'OFFESA
Oltre alla coscienza e volontà del "fatto materiale" il dolo include la c.d. coscienza dell'offesa?
Offesa: antigiuridicità o illiceità penale del fatto valutata alla stregua della norma incriminatrice....
L'offesa come illiceità penale esula dall'oggetto del dolo: l'art.5 esplicitamente stabilisce che "Nessuno può
invocare a propria scusa l'ignoranza della legge penale"[312].
L'offesa rileva nel dolo in senso fattuale o sostanziale: come pregiudizio effettivo o potenziale, ad interessi
protetti percepiti nella loro dimensione sociale (e non strettamente giuridico-penale).
FORME DEL DOLO. CENNI SULLA PROBLEMATICA DELL'ACCERTAMENTO
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Dolo intenzionale: (o diretto) quando reato di azione o reato di evento: ruolo dominante della volontà:
intensità massima[313].
Dolo diretto: (di primo grado) al quale appartiene sia lo scopo per cui si agisce che la scelta dei mezzi per il
conseguimento dello scopo.
Dolo diretto: (di secondo grado) L'evento costituisce un effetto secondario ma altamente probabile della
volontà di azione dell'autore[314].
Dolo eventuale: (o indiretto)[315] si situa in una zona-limite con la colpa di previsione o cosciente che
secondo l'art.61, n.3, comporta un aggravamento di pena. Presupposto che il soggetto agisca senza il fine di
commettere il reato, altrimenti agirebbe con dolo intenzionale. Momento conoscitivo: occorre requisito minimo:
che l'agente preveda la concreta possibilità del verificarsi di un evento lesivo[316]:
a)
teoria della possibilità: agisce già dolosamente...
b)
c.d. teoria della probabilità:
c)
c.d. teoria del consenso: approvazione interiore della realizzazione dell'evento preveduto come
possibile[317];
d)
c.d. teoria dell'accettazione del rischio: perché il soggetto agisca con dolo eventuale non basta la
rappresentazione mentale della concreta possibilità di verificazione dell'evento: è altresì necessario che egli
faccia seriamente i conti con questa possibilità e, ciononostante, decida di agire anche a costo di provocare un
evento criminoso. Per contro, ove il soggetto si rappresenti la possibilità dell'evento lesivo, ma confidi nella sua
concreta non verificazione, si avrà colpa cosciente o con previsione[318].
Le figure del dolo diretto e del dolo eventuale si distinguono in base al diverso grado di possibilità o
probabilità di verificazione dell'evento ulteriore, non avuto direttamente di mira dal soggetto, riservandosi la
definizione di dolo eventuale solo al caso in cui la conseguenza ulteriore si presenti solo possibile e non anche
probabile o certa (Cass. S.U. 12 aprile 1996, n.3571)[319]. In altri termini il c.d. dolo diretto non
intenzionale ricorre ogniqualvolta la realizzazione dell'evento si presenti all'agente come altamente probabile
o certa conseguenza della sua azione, e si colloca tra la forma meno intensa di cd. dolo eventuale (che ricorre
quando la realizzazione, non perseguita, del fatto si presenti all'agente solo come possibile) e quella più
intensa di c.d. dolo intenzionale (che ricorre quando la realizzazione del fatto è addirittura lo scopo perseguito
dall'agente).
In ordine alle conseguenze possibili occorre valutare l'atteggiamento del soggetto che potrebbe aver agito
nella convinzione che l'evento non si sarebbe verificato perché è convinto di poterlo evitare. In questo
caso,infatti, è ravvisabile piuttosto COLPA COSCIENTE. La linea di demarcazione tra dolo eventuale e
colpa con previsione (o cosciente: art.61, n.3 c.p.) è individuata nel diverso atteggiamento psicologico
dell'agente che, nel primo caso, accetta il rischio che si realizzi un evento diverso non direttamente voluto,
mentre nella seconda ipotesi nonostante l'identità di prospettazione, respinge il rischio, confidando nella
propria capacità di controllare l'azione. Comune è,pertanto, la previsione dell'evento diverso da quello voluto
mentre ciò che diverge è l'accettazione o l'esclusione del rischio relativo. Trattasi di atteggiamenti psicologici
che vanno ricostruiti affidandosi agli elementi sintomatici evidenziati dal comportamento del soggetto,
riconoscendo significato dirimente al rapporto tra lo scopo principale perseguito e l'evento diverso realizzato
onde stabilire se esso sia di accessorietà o di alternatività poiché solo nel primo caso permarrà il quesito sulla
eventuale accettazione del secondo mentre nell'altro essa dovrà essere senz'altro esclusa per incompatibilità
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(Cass. 10 ottobre 1996, n.11024).
Dolo alternativo: quando l'agente prevede, come conseguenza certa (dolo diretto) o possibile (dolo
eventuale) della sua azione, il verificarsi di due eventi [320], ma non sa (e gli è indifferente) quale si
realizzerà in concreto.
Dolo generico e dolo specifico: Il dolo generico consiste nella coscienza e volontà di realizzare gli elementi
costitutivi di un reato[321]: congruenza tra volontà e realizzazione senza che rilevi il fine perseguito
dall'agente. Il dolo specifico consiste invece in uno scopo o in una finalità particolare e ulteriore che l'agente
deve prendere di mira, ma che non è necessario si realizzi effettivamente perché il reato si configuri. Es.
art.416[322]. La previsione di un dolo specifico può assolvere diverse funzioni:
1) può restringere l'ambito della punibilità,ma questo effetto restrittivo opera realmente se il dolo specifico si
aggiunge a un fatto base già illecito, che potrebbe essere dal legislatore incriminato come tale[323];
2)
può determinare la punibilità di un fatto che risulterebbe altrimenti lecito[324];
3)
produrre un mutamento del titolo del reato[325];
4) Varie funzioni. Il soggetto ha agito per un fine particolare la cui realizzazione non è però necessaria per
l'esistenza del reato: SCOPO dell'azione.
Dolo di danno e di pericolo. Di danno: se il soggetto volesse ledere il bene protetto dalla norma. Di pericolo: se
il soggetto volesse solo minacciare il bene.
L'accertamento del dolo:l'organo giudicante deve tener conto di tutte le circostanze che possono assumere un
valore sintomatico ai fini dell'esistenza della volontà colpevole. Ricorso ad apposite regole di esperienza
(diversamente la prova del dolo si trasformerebbe in una probatio diabolica)
Inammissibilità del ricorso a schemi presuntivi: vedi fattispecie legali c.d. soggettivamente pregnanti (es.
bancarotta fraudolenta) e orientamento giurisprudenziale che presume il dolo nella commissione del fatto,
salva la prova contraria (c.d. dolus in re ipsa[326]).
Sezione IV. LA DISCIPLINA DELL'ERRORE
PREMESSA
Errore, Digesto, FLORA.
L'errore viene in rilievo come causa di esclusione dell'elemento soggettivo del reato (dolo e colpa) ed
anche della colpevolezza intesa come requisito autonomo per la sussistenza della responsabilità e
consistente nel rimprovero di aver agito nella coscienza e nella evitabile ignoranza (ed erronea
conoscenza) del precetto (Corte Cost. 364/1988)
CAUSE DI ESCLUSIONE COLPEVOLEZZA O SCUSANTI [327]: ERRORE.
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SCRIMINANTI O CAUSE DI GIUSTIFICAZIONE: il reato viene meno dal p.d.v. oggettivo.
ESIMENTI escludono la sola punibilità.
Errore di fatto e di diritto: Error facti: mancata o errata percezione della realtà esterna[328]. Error Juris:
ignoranza o erronea interpretazione di una norma giuridica, penale o extrapenale[329].
Dal Manuale Simone:
Ma una simile distinzione non consente di tener conto che anche un errore di diritto può risolversi in un errore
sulla situazione di fatto[330]. E' per tali motivi che la più recente dottrina (MANTOVANI, FIORE) preferisce
distinguere tra errore SUL fatto ed errore SUL divieto. In particolare, quando la falsa rappresentazione della
realtà giuridica determina una falsa conoscenza della realtà di fatto, benché l'errore derivi da una errata
valutazione di una situazione giuridica, incidendo sulla esatta rappresentazione della realtà[331], si risolve in
un errore sul fatto di reato e quindi esclude il dolo.
Tale tipo di errore di regola ricorre quando la fattispecie di reato presenta accanto ad elementi descrittivi,
anche ELEMENTI NORMATIVI[332].
Viceversa, quando la situazione di fatto è esattamente percepita dall'agente, ma egli erroneamente
interpretando una norma ritiene che il fatto sia lecito, tale suo errore non avrà efficacia scriminante[333].In tal
caso l'errore non ha efficacia scriminante vertendosi in ERRORE SUL DIVIETO irrilevante per il nostro
ordinamento ai sensi dell'art.5.
In definitiva verte in ERRORE SUL FATTO (anche se determinato da una falsa conoscenza della realtà
giuridica) che esclude il dolo, colui il quale NON SA QUEL CHE FA; viceversa verte in ERRORE SUL
DIVIETO, senza efficacia scriminante, colui il quale SA QUEL CHE FA, ma erroneamente ritiene che non sia
reato (FIORE). Si può anche dire che erra sul fatto chi vuole un fatto diverso da quello che costituisce reato,
erra sul precetto colui che vuole un fatto identico a quello che costituisce reato credendo per errore che non lo
sia (MANTOVANI).
Ignoranza: equiparata all'errore, in quanto sia la mancanza di conoscenza, sia l'erronea conoscenza di un dato
elemento provocano il medesimo effetto psicologico: cioè di impedire che l'agente si renda conto di
commettere un fatto integralmente corrispondente ai requisti previsti da una fattispecie incriminatrice.
Dubbio.
Problema del trattamento dell'errore di diritto che si distingue in:
a)
errore sul precetto penale: ricade sulla norma incriminatrice, ha ad oggetto l'illiceità penale del
fatto[334]: di regola è irrilevante (art.5) a meno che non si tratti di errore "inevitabile" e perciò scusabile.
b) errore su una norma extrapenale: ha ad oggetto norma diversa da quella penale incriminatrice[335],
perché questo errore scusi è necessario, conformemente al disposto art.47, comma 3° [336], che esso si
risolva o converta in un errore sul "fatto" di reato: occorre cioè che l'agente ne risulti fuorviato al punto tale da
non essere consapevole di compiere un fatto materiale conforme a quello previsto dalla legge come reato.
L'erronea determinazione di quale sia la qualificazione normativa penalmente rilevante, sarebbe un
errore di interpretazione della norma penale (MANTOVANI) rientrante nell'art.5; mentre l'errore sulle
fattispecie extrapenali, in base alle quali si applica la qualifica ai casi concreti, costituirebbe lo
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specifico ambito di applicabilità dell'art.47 ultimo comma, in conformità ai principi generali sul dolo come
<conoscenza del significato tipico della condotta>, che in presenza di elementi normativi non può ridursi a
conoscenza del loro substrato fattuale, di per sé neutro, ma deve appuntarsi sul significato culturale o
giuridico extrapenale, che solo ne fonda la tipicità e la rilevanza rispetto al contenuto della tutela. Vedi
valutazione parallela dell'elemento normativo. (così in Commentario, pag.213).
ERRORE DI FATTO SUL FATTO
E' il "rovescio" della componente conoscitiva del dolo. Può derivare da ignoranza o falsa
rappresentazione della situazione di fatto nella quale il soggetto si trova ad agire.
"Fatto" come punto di riferimento dell'elemento soggettivo. Incompleta definizione legale dell'art. 43 che
incentra la previsione e la volizione dell'agente sul solo evento lesivo. Ai fini della ricostruzione dell'oggetto
del dolo l'interprete deve in realtà fare riferimento all'insieme delle disposizioni che, in positivo o in negativo,
concorrono alla disciplina dell'elemento soggettivo. Tra queste disposizioni, assume un ruolo centrale l'art.47
c.p. che nel disciplinare l'errore di fatto quale fenomeno speculare rispetto alla componente
conoscitiva del dolo, stabilisce che <l'errore sul fatto che costituisce reato esclude la punibilità
dell'agente>. A CONTRARIO, dunque, si ricava che l'oggetto del dolo è costituito dal fatto storico
corrispondente alla figura criminosa che viene di volta in volta in questione. Così inteso, il fatto viene
evidentemente assunto in una accezione più ristretta: esso appunto abbraccia soltanto gli elementi
essenziali delle singole figure criminose, meno quelli imputabili a titolo di responsabilità obiettiva
(condizioni obiettive di punibilità e circostanze). G.FIANDACA, Fatto penale, voce Digesto.
A seconda del momento dell'iter criminis cui l'errore incide, si distingue:
Errore-motivo[337]: influisce sul momento ideativi, sul processo formativo della volontà e impedisce a chi
agisce di rendersi conto del significato della sua condotta. Cade nel momento ideativo del fatto
(rappresentativo-formativo della volontà).
Errore-inabilità: si verifica durante l'esecuzione materiale del fatto criminoso e assume rilevanza nei casi di
reato c.d. aberrante. Fase di esecuzione.
Errore sugli elementi essenziali del fatto: Art.47, comma 1°: "l'errore sul fatto che costituisce il reato esclude la
punibilità dell'agente. Nondimeno, se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa,
quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo".
Per l'identità di effetti all'errore va equiparata l'ignoranza. Devono vertere su elementi essenziali del fatto.
"Error in persona" ed "error in obiecto": sono di regola irrilevanti, rivestono una posizione equivalente sul piano
della fattispecie incriminatrice. Dove occupano un rango diverso, l'effetto può essere di far venire meno il
reato[338], ovvero di far scattare l'applicabilità di una diversa figura criminosa[339], o di incidere sul regime
delle circostanze aggravanti o attenuanti[340].
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Errore sul decorso causale: è irrilevante almeno finchè la divergenza tra decorso causale prefigurato e
decorso causale effettivo non sia tale, da far escludere che l'evento costituisca pur sempre realizzazione dello
specifico rischio insito nell'iniziale azione del soggetto.
Errore determinato da colpa: responsabilità a titolo di colpa, purchè ne sussistano i presupposti (seconda
parte dell'art.47, comma 1° "Nondimeno, se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa,
quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo".):
a)
che l'errore di percezione sia rimproverabile[341], cioè dovuto ad un'inosservanza delle norme
precauzionali di condotta imputabile all'agente;
b)
che il fatto sia espressamente preveduto dalla legge come delitto colposo.
Errore del soggetto inimputabile: distinguere tra "errore condizionato"dalla infermità mentale (non ha rilevanza
scusante[342]) ed "errore non condizionato" cioè del tutto indipendente dalla causa dell'infermità (ha efficacia
scusante se determinato da circostanze di fatto che avrebbero presumibilmente tratto in inganno anche una
persona capace[343]).
"Error aetatis": per l' art.47, comma 2°: "l'errore sul fatto che costituisce un determinato reato non esclude la
punibilità per un reato diverso".
Errore sui c.d. elementi degradanti il titolo del reato: omicidio semplice (art.575) ovvero omicidio del
consenziente (art.579)? Prevalenza dell'ipotesi criminosa meno grave in quanto riflette meglio l'effettivo
atteggiamento psicologico dell'autore.
ERRORE SUL FATTO:
DI FATTO art.47,1° comma: deriva da errore sulla realtà
naturalistica;
In riferimento al MOMENTO in cui si realizza la falsa rappresentazione della realtà, si distingue:
1) un errore che incide sulla formazione della volontà ERRORE-MOTIVO errore su legge extrapenale
richiamata, convertitosi in errore sul fatto materiale e non rimasto sul
precetto
art.47, 3°;
2) da un errore che incide invece sulla sua attuazione C.D. ERRORE INABILITA',
ERRORE O "SVIAMENTO" della condotta in fase esecutiva (c.d.
ABERRATIO DELICTI O ERRORE INABILITA'( art.83 [344])
Rispetto all'OGGETTO su cui cade la falsa rappresentazione si distingue un errore che cade SUL fatto
(ad es., un viaggiatore scambia la propria valigia con quella, assai simile, di un altro viaggiatore), da un errore
SUL diritto (ad es., il musulmano contrae in Italia un secondo matrimonio, ignorando che la bigamia
costituisce reato).
Tale distinzione non va peraltro confusa con quella tra ERRORE DI FATTO ed ERRORE DI DIRITTO,
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che si riferisce piuttosto alla CAUSA della falsa rappresentazione, a seconda ch'essa derivi da
un'erronea percezione della realtà naturalistica o di quella giuridica. Un errore DI FATTO può risolversi
anche in un errore SUL DIRITTO (ad es. Tizio ignora l'esistenza di una norma, perché il testo ch'egli consulta
non la riproduce esattamente) e, per converso, un errore DI DIRITTO può risolversi anche in un errore SUL
FATTO (ad es., Tizio male interpretando le norme sulla successione ereditaria, ritiene che la cosa di cui ha il
possesso sia divenuta di sua proprietà, e la rivende: la falsa rappresentazione cade sul presupposto della
condotta di appropriazione indebita).
ERRORE SUL FATTO: e cioè che cade su uno (o più) degli elementi costitutivi del fatto tipico, ovvero
degli elementi richiesti per l'esistenza del reato: può derivare sia da un errore di fatto (cui
implicitamente allude l'art.47/1° c.p.)[345] sia da un errore di diritto (cui si riferisce espressamente
l'art.47/3°c.p.).
Quando non si trata di un errore di fatto, occorrerà solo accertare che l'agente NON si sia
rappresentato il dato della realtà naturalistica rilevante per l'integrazione della fattispecie[346].
-
di regola esclude il dolo del fatto realizzato;
può esserci responsabilità per colpa[347] per il fatto realizzato quando l'errore sia dovuto a colpa e la
legge preveda punibilità nella forma colposa : art.47, 1° comma, II^ parte; art.83, 2° comma.
-
però lascia residuare responsabilità a titolo di dolo per reato diverso da quello realizzato:
• per il reato voluto (art.47, 2° comma) quando il reato realizzato sia in rapporto di specialità "apparente"
con il reato voluto (es. voglio realizzare l'ingiuria e invece realizzo un oltraggio: responsabilità a titolo di
dolo per ingiuria);
• per il reato realizzato (art.47, 3° comma) se questo è in rapporto di specialità "attenuante" (voglio
realizzare l'oltraggio e realizzo invece ingiuria: responsabilità a titolo di dolo per ingiuria).
Specularmene, non è reato la commissione di un fatto nell'erronea convinzione della sussistenza, per errore di
fatto o su legge extrapenale, di un elemento richiesto come essenziale dalla fattispecie incriminatrice (art.49,
1° comma: reato putativo[348] per errore sul fatto [349]).
Il problema si presenta più delicato quando l'ERRORE sia DI DIRITTO. L'art.47/3°c.p. postula infatti che
l'errore su una legge "diversa dalla legge penale" si sia risolto in un errore "sul fatto": l'errore che,pur
consistendo in un errore sulla legge penale (e cioè sul divieto,anziché sul fatto), ricadrebbe nella
disciplina dell'art.5 c.p.[350]. Il criterio distintivo tra errore sul fatto ed errore sul divieto va individuato
nell'essere, rispettivamente, indotti da una falsa rappresentazione della legge extrapenale per un
orientamento diffuso in giurisprudenza si tratta di distinguere a seconda che la norma extrapenale sia
"richiamata" o meno nella norma penale (teoria dell'incorporazione). L'approccio ermeneutico finisce
col risolversi in una vera e propria interpretatio abrogans dell'art.47/3°c.p.[351].In realtà l'art.47/3°c.p.
si riferisce agli elementi normativi, e cioè agli elementi del fatto tipico, la cui percezione assume
carattere valutativo ed implica il necessario riferimento ad un parametro normativo, ad una "legge
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diversa dalla legge penale" sulla quale deve cadere l'errore. Esso si risolverà in un errore SUL FATTO
ogni qual volta la falsa rappresentazione del parametro normativo abbia determinato la
rappresentazione di un FATTO DIVERSO da quello tipico; si risolverà invece in un errore SUL DIVIETO
quando abbia determinato la rappresentazione di un FATTO CORRISPONDENTE A QUELLO TIPICO, e
solo diversamente qualificato (come lecito anziché come illecito) da parte dell'agente[352].
<La soluzione adottata dalla Corte allinea il nostro sistema penale agli ordinamenti più avanzati, nei
quali la rilevanza dell'errore sul divieto si basa sulla sua scusabilità. Il diverso trattamento rispetto
all'errore sul fatto che è sempre, di per sé, preclusivo del dolo (anche se inescusabile), risulta
perfettamente giustificato. L'errore sul fatto dipende infatti dalle circostanze materiali dell'agire:
conoscere o non conoscere una certa realtà dipende da un dato di fatto che, nella stessa
considerazione e con gli stessi mezzi, può riguardare chiunque; è logico quindi che esso escluda
sempre il dolo. L'errore, sul divieto dipende invece dall'atteggiamento personale verso i valori
giuridici: chiunque può, in linea di principio, conoscere la legge penale, ma non è detto che questa
possibilità riguardi anche il singolo soggetto; è logico quindi che l'errore sul divieto, che di per sé non
esclude il dolo, escluda la colpevolezza quando, e soltanto quando, sia inevitabile.(..)La Corte ritiene
che debbano intervenire criteri <<oggettivi puri>> e criteri <<misti>> (...).L'errore scusabile sulla legge
penale può allora realisticamente prospettarsi non già per i reati c.d. <<naturali>>, ma per i reati c.d.
<<artificiali>>(...). Ma non si può escludere a priori che anche rispetto ai reati <<naturali>> particolari
situazioni rendano inconoscibile il precetto[353].> PADOVANI, op.cit., pagg.224-225.
Non sono ipotesi di errore sul fatto e NON escludono il dolo:
l'ERROR IN PERSONA : art.60 [354]: rilevante in relazione alle circostanze, si realizza ciò che in
concreto si voleva, pur essendo il bersaglio mal identificato (errore nella rappresentazione)[355].
l'ABERRATIO ICTUS: art.82 [356] (resp. oggettiva? Divergenza tra voluto realizzato), per cause
incidenti sulla fase esecutiva della volontà, c'è un errore esecutivo, colpendo una persona diversa da quella
individuata.
-
l'ABERRATIO CAUSAE [357]
-
l'errore sull'età della persona;
-
la realizzazione di un reato diverso da quello voluto da uno dei concorrenti art.116 [358];
l'errore sulla qualifica soggettiva posseduta da uno dei concorrenti che comporti un mutamento
del titolo del reato realizzato (art.117 [359]).
Differenza tra errore sul precetto e sul fatto[360]:
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Sul precetto: si erra nella qualificazione del fatto commesso: identità del fatto voluto rispetto a quello
incriminato dalla norma (sa quel che fa);
Sul fatto: si erra sulla corrispondenza tra fatto commesso e fattispecie legale: diversità del fatto voluto rispetto
a quello incriminato dalla norma (non sa quel che fa).
ERRORE SUL FATTO DETERMINATO DA ERRORE SU LEGGE EXTRAPENALE
L'art.47, comma 3°, stabilisce "l'errore su una legge diversa dalla legge penale[361] esclude la punibilità,
quando ha cagionato un errore sul fatto che costituisce il reato".
Il problema del rapporto tra l'art.47, comma 3° e l'art.5 c.p.: Come mai un errore vertente su di una norma
extrapenale si converte in un errore sul "fatto materiale" idoneo a escludere il dolo? Se dà luogo ad una ipotesi
di errore di diritto c'è il problema del rapporto tra i due articoli. Orientamenti interpretativi diversi: distinguere tra
norme extrapenali che integrano la norma penale incriminatrice, in quanto ne costituiscono un necessario
presupposto, e finiscono perciò con l'incorporarsi in questa ultima, per cui l'errore che le coinvolge non scusa
allo stesso modo di un errore sul precetto penale, e norme extrapenali che non integrando la norma
incriminatrice, rimangono distinte dal quest'ultima per cui un errore su di esse scusa come un qualsiasi altro
errore sul fatto. La Cassazione ha quasi sempre sostenuto la integrazione, negando quindi la scusante
all'errore (preoccupazione di politica criminale per far prevalere il principio dell'obbligatorietà incondizionata
della legge penale): di fatto sostanziale abrogazione art.47, comma 3°. Parziale temperamento a questo
orientamento con sentenza cost. n.364/1988 che ha attribuito rilevanza scusante ai casi di ignoranza o errore
"inevitabile" sulla legge penale.
Orientamento dottrinale (Gallo, Grosso, Palazzo) per il quale le norme extrapenali richiamate dalla norma
penale integrano sempre la fattispecie incriminatrice: l'errore su legge diversa dalla penale finirebbe,
indirettamente, col trasformarsi in un vero e proprio errore sulla legge penale, cionostante l'errore predetto
avrebbe efficacia scusante in quanto art.47, comma 3° introdurrebbe una deroga espressa al principio
dell'inescusabilità dell'errore sul precetto penale sancito dall'art.5: la ragione politico-criminale di siffatta deroga
risiederebbe nella "natura marginale" delle ipotesi di errore su legge extrapenale, e nel "minor valore
sintomatico e sociale" del fatto commesso in conseguenza di tale forma di errore. Ma per Fiandaca-Musco ci
sono altre ipotesi[362], per spiegare l'ipotesi di errore del terzo comma dell'art.47 . La verità è che, per
spiegare l'ipotesi di errore contemplata dal terzo comma dell'art.47, non v'è bisogno di ricorrere all'idea che la
disposizione predetta introdurrebbe una deroga espressa al principio dell'inescusabilità dell'errore di diritto. A
mettere in forse la tesi che, in mancanza di una disposizione come quella di cui all'art.47, comma 3° , sarebbe
stato sempre operante il principio ignorantia legis non excusat ex art.5, basta infatti ricordare questo dato:
durante l'esperienza applicativa del previgente codice penale del 1889, all'errore su legge extrapenale veniva
pacificamente riconosciuta efficacia scusante, nonostante che in quel codice mancasse una disposizione
analoga a quella di cui all'art.47, comma 3° e fosse, nello stesso tempo, già esplicitamente riconosciuto il
principio della inescusabilità dell'errore su legge penale. Se ci si chiede allora come mai si giungesse a
riconoscere efficacia scusante all'errore su legge extrapenale, la risposta è semplice: ad un simile risultato si
perveniva facendo coerente applicazione dei principi generali che presiedono alla responsabilità dolosa. Un
simile modello esplicativo è, in verità, valido ancora oggi.
Art.47, comma 3° c.p. e principi generali relativi alla responsabilità dolosa: Posto infatti che il dolo
presuppone la conoscenza di tutti gli elementi del fatto corrispondenti alla fattispecie astratta, ove sia la stessa
fattispecie astratta a contenere elementi giuridicamente qualificati da norme extrapenali (elementi c.d.
normativi) è giocoforza, allora, concludere che tali elementi debbano riflettersi nelle mente dell'agente nel loro
esatto significato giuridico (sia pure - giova ribadirlo - secondo la c.d. valutazione parallela-laica). Da questo
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p.d.v., la situazione di chi incorre in un errore sul fatto determinato - a sua volta - dalla inesatta interpretazione
di una legge extrapenale (qualificatrice di un elemento del fatto di reato) è psicologicamente identica, nelle
conseguenze, a quella di chi agisce sulla base di una falsa percezione di un dato reale; ciò che cambia è solo
la fonte dell'errore, originato nell'un caso da una errata valutazione giuridica, nell'altro da una falsa
rappresentazione della realtà materiale. Se così è, il terzo comma dell'art.47 finisce col collocarsi nello stesso
alveo del primo comma art.47: trattasi, in entrambi i casi, di un errore sul fatto che costituisce reato.
Significato di "legge extrapenale"
Le quattro tipologie dell'errore su legge extrapenale:
a) l'errore su legge extrapenale avrà sempre efficacia scusante ove si converta in un errore sui c.d. elementi
normativi della fattispecie penale, cioè elementi per la definizione dei quali soccorre il rinvio ad una norma
diversa da quella incriminatrice considerata (es. norma civile "altruità" per delitto di furto);
b) la soluzione adottata per gli elementi normativi di natura giuridica deve essere estesa al trattamento degli
elementi normativi di natura "etico-sociale";
c) l'errore può escludere la responsabilità anche quando ricada su di una norma extrapenale integratrice di
una norma penale in bianco;
d) l'errore può infine ricadere su di una norma extrapenale che in concreto rileva ai fini della valutazione del
significato di un elemento costitutivo del fatto, pur non instaurandosi però sul piano della fattispecie astratta un
rapporto di richiamo "espresso"[363].
ERRORE DETERMINATO DALL'ALTRUI INGANNO
L'art.48 stabilisce "Le disposizioni dell'articolo precedente si applicano anche se l'errore sul fatto che
costituisce reato è determinato dall'altrui inganno: ma, in tal caso, del fatto commesso dalla persona ingannata
risponde chi l'ha determinata a commetterlo". Figura dell'autore mediato.
La disciplina dell'art.48 non è difforme da quella generale dettata dall'art.47 c.p., né assegna all'errore
un'efficacia scusante di ambito più vasto da quello consentito dall'art.47. Pertanto, l'errore determinato
dall'altrui inganno, è idoneo ad escludere il dolo SOLO se ricade sul fatto e non anche quando investa il
precetto.
Dal p.d.v. strutturale, considerato anche il richiamo all'art.47 in tutta la sua interezza, l'errore deve ricadere su
di un elemento costituivo del reato: altrimenti esso non escluderebbe il dolo e la responsabilità, di
conseguenza, permarrebbe. Sono dunque privi di efficacia scusante gli errori vertenti sui motivi, sulle
circostanze e simili.
L'inganno, come fonte dell'errore, consiste nell'impiego di mezzi fraudolenti sostanzialmente assimilabili agli
"artifici" e ai "raggiri" del delitto di truffa: ciò che conta è che l'inganno provochi nel deceptus (ingannato) una
falsa rappresentazione della realtà. La legge ammette la possibilità che l'inganno del decipiens e la colpa del
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deceptus concorrano nel provocare la falsa rappresentazione e che, di conseguenza, quest'ultimo debba
eventualmente rispondere a titolo di colpa del fatto commesso. Basta la sola condotta ingannatrice[364].
REATO PUTATIVO
Art.49, comma 1: "non è punibile chi commette un fatto non costituente reato[365], nella supposizione erronea
che esso costituisca reato": fatto criminoso immaginato da chi agisce, ma di fatto inesistente. L'esclusione
della rilevanza penale del reato putativo sarebbe comunque derivata dall'orientamento "oggettivistico" che
informa il nostro sistema penale. Questa ipotesi va distinta dall'ABERRATIO DELICTI in cui la commissione di
un fatto diverso trae origine da un errore nell'esecuzione del reato e non da un errore motivo intervenuto nella
fase ideativa, cioè da una falsa rappresentazione della realtà[366].
Sezione V. IL REATO ABERRANTE
ERRORE-INABILITA'[367]
a) Aberratio ictus « monolesiva »: la divergenza tra voluto e realizzato può dipendere anche da un errore
nell'uso dei mezzi di esecuzione del reato o da un errore dovuto ad altra causa. L'art.82, comma 1° stabilisce
che "quando, per errore nell'uso dei mezzi di esecuzione del reato o per un'altra causa, è cagionata offesa a
persona diversa da quella alla quale l'offesa era diretta, il colpevole risponde come se avesse commesso il
reato in danno della persona che voleva offendere, salve, per quanto riguarda le circostanze aggravanti e
attenuanti, le disposizioni dell'art.60". Normativamente equivalente: non muta il titolo del reato[368].
Il problema del criterio di attribuzione della responsabilità. Per l'indirizzo dominante, l'art.82, comma 1°
sarebbe superfluo in quanto conforme ai principi generali dell'elemento psicologico del reato. Ma ove si
privilegi ricostruzione del dolo che ne esalti la concreta dimensione psicologica la tesi è contestabile: vedere la
reale congruenza fra "voluto" e "realizzato". Se si fa propria questa concezione incline a ricostruire il dolo in
base all'esatta corrispondenza tra ciò che è voluto e ciò che di fatto si realizza, ne consegue che il primo
comma dell'art.82 finisce, in realtà, col mascherare una ipotesi di "responsabilità oggettiva": opportunità di un
intervento riformatore per eliminare discrasia tra l'attuale disciplina dell'aberratio ed i principi dell'imputazione
dolosa.
b)
Aberratio ictus « plurilesiva » : art.82 capoverso "qualora, oltre alla persona diversa, sia offesa anche
quella alla quale l'offesa era diretta, il colpevole soggiace alla pena stabilita per il reato più grave, aumentata
fino alla metà": situazioni nelle quali l'errore-inabilità provoca un evento lesivo ulteriore rispetto a quello preso
di mira dall'agente, anche in presenza di un semplice tentativo in rapporto ad una o ad entrambe le persone
colpite.
I criteri di attribuzione della responsabilità. Mentre si risponde a titolo di dolo nella offesa arrecata alla vittima
designata, l'ulteriore offesa nei confronti della persona erroneamente colpita viene attribuita a titolo di
responsabilità oggettiva.
Il trattamento sanzionatorio nel caso di lesione di più persone.
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ABERRATIO DELICTI[369]
Art.83, comma 1° "Fuori dei casi preveduti dall'articolo precedente, se, per errore nell'uso dei mezzi di
esecuzione del reato, o per un'altra causa, si cagiona un evento diverso da quello voluto, il colpevole risponde,
a titolo di colpa, dell'evento non voluto, quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo". Il rinvio
alla colpa vale solo sul piano delle conseguenze giuridiche, e l'inciso va letto "come se il reato fosse
colposo" pertanto la responsabilità per l'evento diverso è di natura puramente oggettiva.
L'agente per inabilità nell'esecuzione, finisce col realizzare un reato che lede beni o interessi diversi rispetto a
quelli inerenti al reato originariamente preso di mira.
Criterio di attribuzione della responsabilità.: l'imputazione dell'evento non voluto si fonda sul criterio della
responsabilità oggettiva: da questo p.d.v. l'art.83 ricomprende sia ipotesi in concreto negligenti o imprudenti
ecc., sia ipotesi in cui l'evento non voluto sia una conseguenza meramente "accidentale" dell'erronea condotta
dell'agente.
Aberratio delicti con pluralità di eventi. Art.83 capoverso "Se il colpevole ha cagionato altresì l'evento voluto, si
applicano le regole sul concorso di reati" per cui l'agente risponde di due reati, uno doloso e uno colposo.
Caso art.586 il quale contempla l'ipotesi che da un fatto preveduto come delitto doloso derivi, come
conseguenza non voluta, la morte o la lesione di una persona.
Anche qui la colpa concerne non il fondamento della responsabilità che rimane ancorato al criterio della
responsabilità oggettiva, ma il piano delle sole conseguenze sanzionatorie (come se il reato fosse colposo). La
responsabilità per l'evento diverso è di natura puramente oggettiva.
Sezione VI. LA COSCIENZA DELL'ILLICEITA'
LA POSSIBILITA' DI CONOSCERE IL PRECETTO PENALE [370]
Coscienza dell'illiceità come elemento costitutivo autonomo: cioè quale requisito distinto che si aggiunge
all'imputabilità, al dolo o alla colpa e all'assenza di cause di discolpa.
Non esiste colpevolezza senza coscienza dell'illiceità: portata e limiti dell'affermazione.
Il tradizionale fondamento del principio ignorantia legis non excusat.
L'efficacia scusante della "buona fede" nelle contravvenzioni
L'interpretazione correttiva dell'art.5 c.p. alla luce dell'art.27, commi 1° e 3° Cost.. L'art.27, comma 1° Cost.
sancendo il carattere personale della responsabilità penale, impedisce per ciò stesso di ritenere irrilevante la
mancata percezione del disvalore penale inerente al fatto commesso.
Nello stesso tempo perché risulti attuabile e credibile la funzione rieducativi assegnata alla pena dall'art.27,
comma 3°, Cost. la risposta punitiva deve operare nei confronti di un soggetto che si trovi in condizione di
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avvertire il disvalore penale del fatto realizzato. Per soddisfare l'esigenza costituzionale di una maggiore
"compenetrazione" tra fatto e autore, mediata dalla coscienza del disvalore penale, non è però necessario
richiedere la effettiva conoscenza da parte dell'agente del carattere criminoso del comportamento. In una
prospettiva di compromesso, bilanciante il principio di colpevolezza con le esigenze generalpreventive, ci si
può accontentare di richiedere la possibilità di conoscenza ( o conoscibilità) dell'illiceità che rende evitabile e,
perciò, inescusabile l'ignoranza o l'errore in cui il soggetto eventualmente cada. Si richiamano due coppie
concettuali simmetriche e opposte:
a)
"evitabilità-inescusabilità" dell'ignoranza, con conseguente riconoscimento della colpevolezza e
affermazione della responsabilità penale;
b) "inevitabilità-scusabilità" dell'ignoranza medesima, cui consegue l'assenza di colpevolezza e l'esclusione
della punibilità.
Sentenza Cost. n.364/1988[371]: dichiara parzialmente illegittimo l'art.5 nella parte in cui non escludeva dal
principio della inescusabilità dell'ignoranza della legge penale i casi di ignoranza "inevitabile" e perciò
"scusabile". Valorizzazione del collegamento sistematico tra 1° e 3° comma dell'art.27 Cost. Definire i c.d.
doveri strumentali che incombono sui privati, in vista dell'osservanza dei precetti penali: "doveri
d'informazione e di conoscenza" aventi finalità strumentali in quanto, appunto, intesi a prevenire la
trasgressione delle leggi penali, tali doveri hanno fondamento costituzionale quale "diretta esplicazione dei
doveri di solidarietà sociale, di cui all'art.2 Cost.".
Inevitabilità-scusabilità dell'ignoranza. [372] Sono prospettabili:
a) criteri soggettivi cosiddetti puri,che fanno cioè prevalentemente leva sulle caratteristiche personali del
soggetto agente (livello di intelligenza, maturazione della personalità, grado di scolarizzazione e di cultura,
ambiente sociale di provenienza, il criterio dell'homo ejusdem professionis et condicionis, ecc.). Circoscritto ad
ipotesi marginali per rischio esiti giudiziari manipolati per eccesso di indulgenzialismo....
b) criteri oggetti puri: assoluta oscurità del teso legislativo, repentino mutamento giurisprudenza, indicazioni
(fuorvianti) fornite dalle autorità competenti, le autorizzazioni amministrative o le prassi di abituale tolleranza
della pubblica amministrazione, l'emanazione di più sentenze, in contrasto l'una con l'altra, ecc..
c)
criteri "misti".
Modelli di accertamento dell'inevitabilità-scusabilità e concezioni della colpevolezza.
Compromesso tra colpevolezza e prevenzione. Carattere "ibrido" del giudizio di colpevolezza, un misto di dolo
e colpa: nei casi di ignoranza evitabile-inescusabile (più frequenti) il rimprovero penale assume infatti a
fondamento: a) il "dolo" riferito al fatto tipico; b) un elemento di colpevolezza riferito alla mancata conoscenza
del divieto penale che assume, strutturalmente, i caratteri della "colpa", più precisamente della culpa juris: al
soggetto si muove,in altri termini, l'addebito di non aver evitato un'ignorantia legis che poteva e doveva evitare.
Questo atteggiamento psicologico complessivamente "doloso-colposo" sembra configurare una forma
intermedia di responsabilità soggettiva che si colloca per gravità tra il dolo e la colpa: legislatore futuro
introdurre "circostanza attenuante" obbligatoria o facoltativa per i casi di ignoranza evitabile caratterizzati da
dolo del fatto e culpa juris .
Nella legislazione speciale esistono non poche fattispecie, persino "delittuose", a condotta neutra e infarcite di
elementi normativi in misura tale, da rendere del tutto aleatoria la configurabilità di un "dolo del fatto" scisso da
una conoscenza effettiva e attuale della stessa illiceità penale. Orbene, il legislatore futuro potrebbe prendere
in considerazione un modello alternativo di disciplina con riferimento al diritto penale extracodicistico, la c.d.
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"teoria del dolo" (Vorsatztheorie), secondo la quale il dolo viene appunto a ricomprendere la coscienza
"attuale" dell'illiceità.
Sezione VII. CAUSE DI ESCLUSIONE DELLA COLPEVOLEZZA
DOLO E NORMALITA' DEL PROCESSO MOTIVAZIONALE; LA COSIDDETTA INESIGIBILITA'.
La categoria della c.d. inesigibilità cioè l'impossibilità di pretendere, in presenza delle circostanze concrete in
cui l'agente si è trovato ad operare, un comportamento diverso da quello effettivamente tenuto.
Ipotesi esemplificative legalmente previste ovvero prospettate in via analogica.
a)
lo stato di necessità e la coazione morale
b)
principio di inesigibilità "valvola che permette ad un sistema di norme di respirare in termini umani"
canone extra-legislativo di giudizio, cioè come categoria valida ad escludere la colpevolezza pure in ipotesi
non esplicitamente previste dalla legge, purchè meritevoli di essere prese in considerazione dall'ordinamento
giuridico: es. medico condotto che si rifiuta di notte di recarsi a visitare un infermo per stanchezza fisica....,
1922 ragazza siciliana e corte di New York.
c)
Applicazione analogica del principio di inesigibilità configurabile nelle situazioni caratterizzate da
insolubile conflitto di doveri.
d)
Conflitto tra norme di condotta appartenenti a sfere normative diverse e autonome, es. ordinamento
giuridico e quello morale e/o religioso (es. testimoni di Geova trasfusioni sangue).
Obiezioni al criterio della inesigibilità quale causa generale di esclusione dalla colpevolezza. "clausola vuota":
sapere perché non si sarebbe potuto agire diversamente? Nei reati colposi e nei reati omissivi più ampio
spazio all'inesigibilità: in entrambi i casi l'osservanza del precetto penale presuppone il possesso di determinati
requisiti psico-fisici da parte del soggetto titolare dell'obbligo di condotta.
Circostanze anormali e concomitanti e attenuazione della colpevolezza. Nell'ambito dei reati dolosi la
considerazione di queste circostanze vale ad attenuare la misura del rimprovero e incide quindi sulla
graduazione della pena.
SCUSANTI LEGALMENTE RICONOSCIUTE
Le cause di esclusione della colpevolezza o scusanti si differenziano dalle cause di giustificazione (o
scriminanti o giustificanti) perché lasciano integra l'antigiuridicità obiettiva del fatto e fanno venire meno
soltanto la possibilità di muovere un rimprovero all'autore. Di conseguenza esse hanno efficacia scusante
soltanto in rapporto ai soggetti cui si riferiscono e non sono estensibili ad eventuali concorrenti. Situazioni:
a)
lo stato di necessità scusante (o cogente) e la coazione morale;
b)
l'ordine criminoso insindacabile della Pubblica Autorità;
c)
l'ignoranza (o errore) inevitabile-scusabile della legge penale, a seguito della sentenza
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costituzionale n.364/1988.
Sezione VIII. LA COLPEVOLEZZA NELLE CONTRAVVENZIONI
I CRITERI DI IMPUTAZIONE SOGGETTIVA: DOLO E COLPA
Art.42, comma 4°: "Nelle contravvenzioni ciascuno risponde della propria azione od omissione cosciente e
volontaria, sia essa dolosa o colposa"
Art.43,ultimo comma: "la distinzione tra reato doloso e reato colposo, stabilita da questo articolo per i delitti, si
applica altresì alle contravvenzioni, ogni qual volta per queste la legge penale faccia dipendere da tale
distinzione un qualsiasi effetto giuridico".
L'interpretazione dell'art.42, comma 4° c.p.. : è indifferente la presenza del dolo o della colpa (dell'una o
dell'altra specie di colpevolezza). Ciò vuol dire ancora che, mentre nel campo dei delitti il dolo rappresenta il
criterio tipico di imputazione e la colpa l'eccezione, con la conseguenza che di colpa si risponderà soltanto nei
casi espressamente preveduti dalla legge (art.42,comma 2°), rispetto alle contravvenzioni sarà sufficiente la
sola "colpa"[373].
L'accertamento dell'elemento soggettivo. Sono vigenti i normali principi relativi all'accertamento dell'elemento
psicologico.
Ma vi è di più, l'art.43, ultimo comma: "La distinzione tra reato doloso e reato colposo, stabilita da questo
articolo per i delitti, si applica altresì alle contravvenzioni, ogni qualvolta per queste la legge penale faccia
dipendere da tale distinzione un qualsiasi effetto giuridico". Attribuendo rilevanza alla distinzione tra dolo e
colpa anche sul terreno delle contravvenzioni tutte le volte che da tale distinzione derivino conseguenze
giuridiche, ammette che dell'intensità del dolo e del grado della colpa il giudice debba tenere conto ai fini della
commisurazione della pena: ne discende che il giudice, per potere compiere tale valutazione, deve prima
accertare se l'illecito contravvenzionale sia stato commesso con dolo o con colpa[374].
Alcune contravvenzioni possono essere commesse solo con dolo[375] o con colpa [376].
La distinzione dolo/colpa rileva anche agli effetti dell'abitualità, dell'amnistia limitata ai reati colposi, ecc.
Cap. 4. CIRCOSTANZE DEL REATO
PREMESSA
Circum stant: che stanno intorno o accedono ad un reato già perfetto nella sua struttura, e la cui presenza
determina soltanto una modificazione (qualitativa o quantitativa) della pena.
Si parla anche di accidentalia delicti: sono elementi contingenti.
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Circostanze attenuanti comuni e aggravanti speciali, ma anche c.d. aggravanti comuni.
Funzione delle circostanze: a) meglio adeguare la pena ai singoli e variegati casi criminosi; b) tale
adeguamento sanzionatorio non rimanga affidato al puro potere discrezionale del giudice.
Fattispecie semplice e fattispecie circostanziate: rilevanza pratica hanno invece due problemi:
1)
la determinazione dei criteri idonei a distinguere, sul piano ermeneutica, tra elementi essenziali e
circostanze del reato;
2)
rapporto tra le circostanze in senso stretto e i criteri di commisurazione della pena ex art.133.
<In termini positivi le circostanze debbono dunque implicare una modificazione della pena, o in modo
proporzionale (aumento o diminuzione fino ad un certo limite, normalmente fino ad un terzo, della pena inflitta
per il reato), ovvero anche mediante una nuova cornice edittale, e cioè nuovi limiti minimi e massimi correlati al
verificarsi delle circostanze (ad es., art.625 c.p.). Esse non devono peraltro essere confuse con i coefficienti di
graduazione della pena previsti dall'art.133 c.p. (c.d. circostanze <<improprie>>) (..) ma si distinguono
nettamente dalle circostanze del reato, perché: a) le circostanze consentono di superare i limiti massimi e
minimi previsti dalla legge per il reato, mentre i coefficienti dell'art.133 c.p. esplicano la loro funzione all'interno
di questi limiti; b) i coefficienti dell'art.133 sono di natura <<neutra>>: possono cioè orientare la pena tanto
verso il minimo quanto verso il massimo, a seconda del valore che assumono in concreto (il grado della colpa:
art.133/1° n.3 c.p., può, ad es., deporre a favore del reo o contro di lui); mentre le circostanze rivestono un
significato univoco o attenuante, o aggravante, secondo la valutazione normativa del loro contenuto intrinseco
(la colpa con previsione è, ad es., sempre aggravante: art.61 n.3 c.p.).
In termini negativi, le circostanze si caratterizzano per il fatto di non dovere e non potere essere elementi
costitutivi del reato (così, ad es., la circostanza aggravante, art.61 n.10 c.p. non può essere riferita al delitto di
resistenza, art.337 c.p., perché il contenuto della circostanza è assunto come requisito essenziale del reato).
Ciò pone il problema della distinzione tra circostanze ed elementi costitutivi> PADOVANI, op.cit. pag.231.
CLASSIFICAZIONE DELLE CIRCOSTANZE
a)
Circostanze aggravanti e attenuanti : aggravanti comportano per lo più un aumento della pena
comminata per il reato-base (variazione c.d. quantitativa); ma vi sono dei casi, in cui la presenza
dell'aggravante ha per effetto di modificare qualitativamente la sanzione[377]. Attenuanti: comportano
viceversa una diminuzione quantitativa della pena prevista per il reato-base, oppure una modifica qualitativa
che però, questa volta, ridonda a vantaggio del reo[378].
b) Circostanze comuni e speciali: Comuni sono le circostanze (aggravanti o attenuanti) prevedute nella
parte generale del codice, perché potenzialmente applicabili a un insieme non predeterminabile di reati
(artt.61[379],62[380],112[381],114[382]). Speciali: le circostanze prevedute dal legislatore soltanto in rapporto
a specifiche figure di reato (es. artt.625 e 625bis).
c)
Circostanze oggettive e soggettive: Art.70 sono oggettive quelle "che concernono la natura, la
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specie, i mezzi, l'oggetto, il tempo, il luogo e ogni altra modalità dell'azione, la gravità del danno o del pericolo,
ovvero le condizioni o le qualità personali dell'offeso"; sono soggettive quelle che riguardano "la intensità del
dolo o il grado della colpa, o le condizioni e le qualità personali del colpevole, o i rapporti tra il colpevole e
l'offeso, ovvero che sono inerenti alla persona del colpevole". E, precisamente, sono "inerenti alla persona del
colpevole" l'imputabilità e la recidiva.[383]
d)
Circostanze tipiche e generiche: dipende dal diverso grado di determinatezza raggiunto in sede di
tipizzazione legislativa delle situazioni assunte ad elementi circostanziali.
Aggravanti indefinite: deficit di tassatività censurabile nelle ipotesi dove il giudice deve concretizzare
elementi circostanziali indicati dal legislatore genericamente es. espressione fatto di "rilevante gravità"
contenuta nella norma che incrimina l'abusiva riproduzione di opere cinematografiche (art.11 Legge
n.400/1985)
CRITERI DI IDENTIFICAZIONE DELLE CIRCOSTANZE
Oggi tende a prevalere un criterio discretivo che fa leva sull'esistenza di un rapporto di specialità tra
l'ipotesi circostanziata[384] e l'ipotesi semplice di reato[385].
Nei casi più dubbi ci sono criteri c.d. ausiliari: nomen juris, precedenti storici, rubrica legislativa, ecc. Il
problema va risolto da caso a caso.
CRITERIO DI IMPUTAZIONE DELLE CIRCOSTANZE [386]
Circostanze aggravanti e principio di colpevolezza. Legge 07/02/1990, n.19 "modifiche in tema di circostanze,
sospensione condizionale e destituzione dei pubblici dipendenti": regime di imputazione "soggettiva" nuovo
testo art.59, comma 2° "le circostanze che aggravano la pena sono valutate a carico dell'agente soltanto se
da lui conosciute ovvero ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato da colpa": il principio
nulla poena sine culpa è stato legislativamente esteso anche alle circostanze che aggravano la pena: perché
queste possano essere accollate occorre un coefficiente soggettivo, rispettivamente costituito o dalla loro
effettiva conoscenza ovvero dalla loro colpevole ignoranza. E' rimasta inalterata l'imputazione obiettiva delle
circostanze "attenuanti": il che si spiega considerando che esse incidono in ogni caso favorevolmente sul
trattamento punitivo e che, pertanto, non sollevano alcun problema di rispetto del principio di colpevolezza.
Introducendo la nuova disciplina in esame, il legislatore del '90 sembra aver accolto i suggerimenti di quella
parte della dottrina che, in prospettiva di riforma, ha proposto una regola di imputazione soggettiva
differenziata, a seconda che la circostanza aggravante acceda ad un reato doloso ovvero a un reato
colposo: 1) l'effettiva conoscenza dell'elemento circostanziale sarebbe richiesta soltanto rispetto a un
illecito-base attribuito a titolo di dolo;2) mentre rispetto al reato colposo (nel cui ambito l'effettiva
rappresentazione non è neppure pretesa per gli elementi costitutivi essenziali) sarebbe sufficiente ai fini
dell'attribuibilità dell'aggravante che il reo, pur potendola conoscere, non ne abbia conosciuto per colpa
l'esistenza. La lettura del nuovo testo dell'art.59 ammette però, una ulteriore interpretazione, la quale si è in
realtà finora imposta come dominante: 3) ai fini dell'imputazione della circostanza aggravante, basta in ogni
caso che il reo ne abbia ignorato per colpa l'esistenza, non importa se la circostanza acceda ad un reato-base
doloso ovvero ad un reato-base colposo. Se così è, la specifica colpevolezza relativa alle circostanze
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aggravanti esige in tutti i casi, come coefficiente minimo di imputazione, la "colpa".
Errore sulla persona offesa. L'art.60 dispone "nel caso di errore sulla persona offesa da un reato, non sono
poste a carico dell'agente le circostanze aggravanti, che riguardano le condizioni o qualità della persona
offesa, o i rapporti tra offeso e colpevole. Sono invece valutate a suo favore le circostanze attenuanti,
erroneamente supposte, che concernono le condizioni, le qualità o i rapporti predetti"[387]. Error in persona:
disciplina di favore.
L'art.60 prospetta dunque rispetto ai casi di errore sulla persona offesa una regola di imputazione soggettiva
delle circostanze aggravanti, che risulta per il reo più favorevole di quella prevista oggi dall'art.59, comma 2°.
Conclusione analoga vale rispetto alla rilevanza che l'art.60 altresì accorda alla supposizione erronea
dell'esistenza di una circostanza attenuante (in deroga alla regola generale)[388].
L'ultimo comma dell'art.60 ripristina, invece, i criteri generali di imputazione dell'art. 59, comma 2°.
CRITERI DI APPLICAZIONE DEGLI AUMENTI O DELLE DIMINUZIONI DI PENA
Circostanze ad efficacia comune e ad efficacia o effetto speciale. Ad efficacia comune: caratterizzate dal
fatto che l'aumento o la diminuzione di pena è dipendente dalla pena ordinaria (si effettua una variazione
frazionaria, fino a 1/3, della pena prevista per il reato semplice). A efficacia o ad effetto speciale[389]:
art.63, comma 3° "quelle che importano un aumento o una diminuzione della pena superiore ad un terzo":
vale per esse la regola secondo cui l'aumento o la diminuzione per le altre circostanze non opera sulla pena
ordinaria del reato, ma sulla pena stabilita per la circostanza speciale.
Le modifiche legislative dell'84. Per alleggerire il carico di lavoro dei tribunali, riformulazione art.63, comma 3°
"Quando per una circostanza la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato o si
tratta di circostanza ad effetto speciale, l'aumento o la diminuzione per le altre circostanze non opera sulla
pena ordinaria del reato, ma sulla pena stabilita per la circostanza anzidetta. Sono circostanze ad effetto
speciale quelle che importano un aumento o una diminuzione della pena superiore ad un terzo". Non
menziona più le circostanze c.d. indipendenti, e cioè che determinano la misura della pena in modo
indipendente dalla pena ordinaria: è allora da ritenere che esse, in difformità dalle circostanze c.d. autonome
che vi sono a tutt'oggi menzionate, non siano più sottoposte alla speciale disciplina dell'art.63, comma 3°?
Parte della dottrina (condivisa da FIANDACA-MUSCO) escludendo che il legislatore dell'84 abbia potuto avere
il consapevole intento di sconvolgere il precedente assetto normativo delle circostanze, propende per la tesi
che "tutte" le circostanze indipendenti (determinino o non un aumento di pena superiore a un terzo)
continuano , sia pure implicitamente e tacitamente, a essere soggette alla speciale disciplina dell'art.63,
comma 3°. Se così è, la vera novità della modifica introdotta dal legislatore dell'84 consiste nell'aver risolto in
senso positivo il dubbio relativo alla possibilità di far rientrare, nella categoria delle circostanze a "effetto
speciale", anche quelle che comportano una variazione frazionaria della pena-base superiore a un terzo.
CONCORSO DI CIRCOSTANZE AGGRAVANTI E ATTENUANTI
A) concorso omogeneo[390]: ipotesi nelle quali sono compresenti più circostanze della stessa specie
(o tutte aggravanti o tutte attenuanti). Se sono ad efficacia "comune" l'art.63, comma 2° se concorrono
più circostanze aggravanti ovvero più circostanze attenuanti, l'aumento o la diminuzione si opera sulla
quantità di pena risultante dall'aumento o dalla diminuzione precedente. Sempre salvi, beninteso, i
limiti espressamente previsti: infatti l'art.66 dispone che se concorrono più circostanze aggravanti , la
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pena non può superare il triplo del massimo stabilito dalla legge e comunque non superiore ad anni 30
(se reclusione) o 5 (se arresto). Nell'ipotesi di concorso di circostanze attenuanti pena non inferiore a
10 anni se pena prevista per il delitto è ergastolo, altri casi non inferiore a ¼ (art.67).Se sono ad
efficacia "speciale": l'art.63, comma 4° stabilisce che, se concorrono più circostanze aggravanti si
applica la pena stabilita per la circostanza più grave (ma il giudice può aumentarla); mentre al comma
5° stabilisce che se concorrono più attenuanti, si applica soltanto la pena meno grave stabilita per le
circostanze predette (ma il giudice può diminuirla). Per quanto riguarda il concorso omogeneo tra
circostanze a efficacia comune e quelle a effetto speciale vedi l'art.63, comma 3°. Infine l'art.68 (ipotesi
della c.d. circostanza complessa) dispone che "fuori dai casi di specialità" ex art.15 "quando una
circostanza aggravante comprende in sé un'altra circostanza aggravante,ovvero una circostanza
attenuante comprende in sè un'altra circostanza attenuante, è valutata a carico o a favore del
colpevole soltanto la circostanza aggravante o la circostanza attenuante, la quale importa,
rispettivamente, il maggiore aumento o la maggiore diminuzione di pena": l'assorbimento opera in
base a un giudizio di valore, posto che si tratta di ipotesi che prescindono dal rapporto di
"specialità"[391].
B) concorso eterogeneo: quando ad un medesimo fatto di reato accedono, contemporaneamente,
circostanze aggravanti e attenuanti. Art.69 il giudice deve procedere ad un giudizio di prevalenza o
equivalenza tra le circostanze eterogenee.
La riforma novellistica del '74. art.69, comma 4°, oggi le disposizioni che consentono il giudizio di prevalenza o
di equivalenza "si applicano anche alle circostanze inerenti alla persona del colpevole ed a qualsiasi altra
circostanza per la quale la legge stabilisce una pena di specie diversa o determini la misura della pena in
modo indipendente da quella ordinaria del reato".
Per Fiandaca-Musco eccessiva dilatazione del potere discrezionale del giudice.
Il problema dei criteri del giudizio di bilanciamento. Parametri art.133 [392]che disciplina il potere
discrezionale del giudice nella commisurazione della pena[393]. Ma l'art.133 si limita ad enunciare una serie di
elementi di cui tenere conto in sede di commisurazione della pena, senza fissare alcuna gerarchia
nell'eventualità di un conflitto tra tali elementi.
Il giudizio di comparazione andrebbe effettuato mettendo a reciproco confronto le circostanze eterogenee,
considerate però non nella loro dimensione astratta, bensì nella loro specifica "intensità" accertata in
concreto. Il giudizio di bilanciamento, come da attuale art.69, dà spazio ad un potere discrezionale libero da
criteri-guida di fonte normativa[394].
Disciplina del reato circostanziato[395]. Concorso eterogeneo: giudizio di bilanciamento:
1)
se prevalenti sono le circ. aggravanti si applicano solo quelle;
2)
se prevalenti sono le circ. attenuanti idem;
3)
se circostanze equivalenti: si applica la pena per il reato base.
Giudizio di bilanciamento: novità del Codice Rocco. E' un giudizio DISCREZIONALE MA OBBLIGATORIO
DI VALORE NON DI QUANTITA', ove le circostanze non si "contano" ma si "pesano". Tre orientamenti circa i
criteri che devono guidare tale giudizio:
1)
dottrina e giurisprudenza maggioritaria: riferimento art.133 C.P.;
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2)
altri: occorre valutazione in concreto delle circostanze contrapposte;
3)
BOSCARELLI: completa discrezionalità del giudice.
Ambito OGGETTIVO di applicazione del giudizio: la prevalenza o la equivalenza operano soltanto agli effetti
della pena, e non anche ad altri effetti (ad es. per trasformare la procedibilità, la competenza, la disciplina di
arresto e le misure cautelari, la prescrizione, ecc.).
Ambito SOGGETTIVO di applicazione del giudizio: tutte le circostanze diventano bilanciabili (anche quelle
inerenti alla persona del colpevole - afferenti all'imputabilità, recidiva, minore età -, quelle ad effetti speciali art.
63 e quelle indipendenti) e sono bilanciabili anche per le attenuanti generiche, che vanno considerate a tutti gli
effetti come una sola.
Sono esclusi dalla comparazione:
gli aumenti di pena derivanti dal concorso formale di reato; dal reato continutato ex art.81;
dall'aberratio ictus plurilesiva art.82/2°; le condizioni economiche del reo art.133 bis;
-
le diminuzioni di pena conseguenti al tentativo art.56 che è figura autonoma di reato.
Deroga al bilanciamento (si aumenta la pena poi si bilanciano le altre circostanze): aggravante finalità
terrorismo e legge antimafia.
La distinzione tra circostanze ed elementi costitutivi del reato, due conseguenze pratiche:
1) elemento soggettivo (muta): l'elemento costitutivo deve essere imputabile con dolo nei reati dolosi, con
colpa in quelli colposa. Ai sensi dell'art.59 c.p. le circostanze sono invece imputabili oggettivamente se
attenuanti, colposamente se aggravanti;
2) disciplina sanzionatoria (muta): se l'aumento di pena deriva da una circostanza è bilanciabile, se da un
nuovo titolo di reato, ovviamente no (es. per lesioni gravissime è ipotesi circostanziale di lesione quindi
bilanciabile).
impostazione di VASSALLI: indagine sulla VOLUNTAS LEGIS: si ha circostanza quando una situazione
di fatto, anche se eterogenea rispetto agli elementi di struttura di un reato semplice, si aggiunge per volontà
della norma al reato base, senza comunque incidere sulla struttura essenziale di esso.
Impostazione di MANTOVANI: criterio di SPECIALITA' e condizione necessaria pur se non sufficiente.
Diversa è la funzione tra elementi costitutivi e circostanziati: i primi caratterizzano il tipo di reato, i secondi non
immutano il tipo di reato, ma ne graduano soltanto la gravità.
In giurisprudenza si opera una sorta di presunzione relativa a favore delle circostanze: qualora non concorrano
elementi chiari e univoci per stabilire che il legislatore, nonostante la presenza del reato base, abbia voluto
creare una nuova e autonoma figura di reato, occorre optare per l'esistenza di una circostanza e non di un
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nuovo reato.
APPLICAZIONE DELLE CIRCOSTANZE E COMMISURAZIONE DELLA PENA
Divieto di doppia valutazione delle medesime circostanze.
Vedi struttura bifasica del meccanismo di determinazione della pena in concreto: una volta ex art.133 ed una
seconda volta a titolo di circostanza in senso tecnico (ma cozza contro il principio del ne bis in idem
sostanziale): uno stesso elemento di fatto è da computare in sede di determinazione della pena, una sola
volta.
LE SINGOLE CIRCOSTANZE AGGRAVANTI COMUNI
Art.61: - CIRCOSTANZE AGGRAVANTI COMUNI -Aggravano il reato, quando non ne sono elementi
costitutivi o circostanze aggravanti speciali, le circostanze seguenti:
1)
"l' avere agito per motivi abietti[396] o futili [397]": distinguere il motivo[398] dallo scopo[399];
2) "L'aver commesso il reato per eseguirne od occultarne un altro, ovvero per conseguire o assicurare a sé
o ad altri il prodotto o il profitto o il prezzo ovvero l'impunità di un altro reato"[400]. Tre distinte ipotesi, non si
arretra di fronte alla commissione di un reato-mezzo.
3) "L'avere, nei delitti colposi, agito nonostante la previsione dell'evento": ipotesi della colpa cosciente o con
previsione[401];
4)
"L'avere adoperato sevizie, o l'aver agito con crudeltà verso le persone": controverso se attenga alle
modalità dell'azione ed abbia dunque natura "oggettiva" o, per contro, denoti una maggiore criminosità
dell'agente e possegga carattere "soggettivo";
5) "L'avere profittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona tali da ostacolare la pubblica o privata
difesa". Minorata difesa: presuppone che l'agente abbia consapevolezza della situazione di vulnerabilità in cui
versa il soggetto passivo: circostanza di natura "oggettiva" perché attiene alle modalità dell'azione;
6)
"L'avere il colpevole commesso il reato durante il tempo in cui si è sottratto volontariamente alla
esecuzione di un mandato o di un ordine di arresto o di cattura o di carcerazione, spedito per un precedente
reato". Latitanza, inapplicabile ai reati commessi dall'evaso. Natura "soggettiva".
7)
"L'avere, nei delitti contro il patrimonio, o che comunque offendono il patrimonio, ovvero nei delitti
determinati da motivi di lucro, cagionato alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di rilevante
gravità"[402].
La capacità economica del danneggiato come criterio "sussidiario" di valutazione del danno. Cui si ricorre
soltanto quando la valutazione intrinseca del danno non consente, per se stessa, di stabilire con certezza se
esso sia di rilevante gravità.
8) "L'avere aggravato o tentato di aggravare le conseguenze del delitto commesso". Natura controversa:
"soggettiva" se si pone l'accento sul profilo relativo alla persistenza del proposito criminoso; "oggettiva" se si
valorizza il profilo inerente alla gravità del danno o del pericolo.
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9)
"L'avere commesso il fatto con abuso di poteri, o con violazione dei doveri inerenti ad una pubblica
funzione o a un pubblico servizio, ovvero alla qualità di ministro di un culto". E' necessario che la qualifica
stessa abbia in qualche modo agevolato l'esecuzione del reato, Questa aggravante esula in tutti i casi, nei
quali l'abuso costituisce elemento integrante il reato-base. L'aggravante si applica solo se effettivamente
conosciuta e voluta. Opinione dominante natura "soggettiva" perché concerne qualità personali del colpevole.
10) "L'avere commesso il fatto contro un pubblico ufficiale o una persona incaricata di pubblico servizio, o
rivestita della qualità di ministro del culto cattolico o di un culto ammesso nello Stato, ovvero contro un agente
diplomatico o consolare di uno Stato estero, nell'atto o a causa dell'adempimento delle funzioni o del servizio".
Tutela privilegiata a determinati soggetti in considerazione dello speciale ruolo rispettivamente rivestito: onde,
si richiede sì che il reato sia commesso nell'atto o a causa delle funzioni svolte dai soggetti passivi , ma non è
necessaria l'esistenza di un rapporto di omogeneità tra il reato stesso e le funzioni in questione.Natura
"oggettiva" perché riguarda la persona dell'offeso.
11) "L'avere commesso il fatto con abuso di autorità o di relazioni domestiche che, ovvero con abuso di
relazione di ufficio, di prestazione d'opera, di coabitazione o di ospitalità".
Tendenza verso una interpretazione estensiva. Natura "soggettiva" perché riguarda i rapporti tra colpevole e
offeso.
LE SINGOLE CIRCOSTANZE ATTENUANTI COMUNI
L'art.62 contiene il catalogo - CIRCOSTANZE ATTENUANTI COMUNI - Attenuano il reato, quando ne sono
elementi costitutivi o circostanze attenuanti speciali, le circostanze seguenti:
Rapporto tra ragionevolezza dei motivi e meritevolezza dell'azione
1)
"L'avere agito per motivi di particolare valore morale o sociale". Fra l'azione delittuosa e il motivo
apprezzabile deve sussistere un rapporto di congruenza esteriormente accertabile: cioè l'azione commessa
deve rappresentare, non solo nell'opinione dell'agente ma anche per il suo contenuto oggettivo, una risposta
riconoscibile e non incongrua rispetto al motivo allegato: applicabile nei casi di obiezione di coscienza,
manifestini pacifistiche, investigatori Dozier, eccetera. Natura "soggettiva" e può concorrere con la
premeditazione.
2)
"L'avere reagito in stato d'ira, determinato da un fatto ingiusto [403] altrui".E' l'attenuante della c.d.
provocazione, caratterizzata da due momenti: soggettivo e oggettivo. Può concorrere con quella dei motivi di
particolare valore morale e sociale e col vizio parziale di mente[404], ma è incompatibile con la
premeditazione.
3) "L'avere agito per suggestione di una folla in tumulto, quando non si tratta di riunioni o assembramenti
vietati dalla legge o dall'Autorità, e il colpevole non è delinquente o contravventore abituale o professionale, o
delinquente per tendenza". Natura soggettiva.
4) "L'avere, nei delitti contro il patrimonio, o che comunque offendono il patrimonio, cagionato alla persona
offesa dal reato un danno patrimoniale di speciale tenuità, ovvero, nei delitti determinati da motivi di lucro,
l'avere agito per conseguire o l'avere comunque conseguito un lucro di speciale tenuità, quando anche
l'evento dannoso o pericoloso sia di speciale tenuità[405]". Nell'ipotesi di reato continuato, la valutazione deve
essere compiuta in relazione ai singoli episodi delittuosi. Natura "oggettiva" è simmetrica all'aggravante di cui
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all'art.61, n.7.
5) "L'essere concorso a determinare l'evento, insieme con l'azione o l'omissione del colpevole, il fatto doloso
della persona offesa". Necessaria la presenza di due elementi: 1) materiale: l'inserimento dell'azione
dell'offeso nella serie delle cause che determinano l'evento ; 2) psichico: rappresentato dalla volontà di
concorrere alla produzione dell'evento medesimo. Il concorso del fatto doloso dell'offeso , pur costituendo una
concausa dell'evento, non deve atteggiarsi a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrlo, se così fosse
in base al disposto dell'ultimo comma art.41, si interromperebbe il nesso causale tra l'evento e l'azione del
colpevole. Attenuante esclusa nei delitti sessuali commessi in danno dei minori (che non sono in grado di
apportare un contributo volontario alla verificazione dell'evento). Natura "oggettiva".
6) "L'avere, prima del giudizio, riparato interamente il danno, mediante il risarcimento di esso, e, quando sia
possibile,mediante le restituzioni; o l'essersi, prima del giudizio e fuori del caso preveduto nell'ultimo
capoverso dell'art.56, adoperato spontaneamente ed efficacemente per elidere o attenuare le conseguenze
dannose o pericolose del reato". Due distinte circostanze, fondate sulla comune ratio del ravvedimento del
colpevole:
1)
risarcimento o riparazione del danno: presuppone che il ristoro del danno medesimo sia effettivo ed
integrale, in modo da compensare sia il danno patrimoniale che quello non patrimoniale. Natura "oggettiva"
Corte Cost. sent. interpretativa di rigetto n.138/1998;
2) adoperarsi in modo spontaneo ed efficace al fine di elidere o attenuare le conseguenze del reato, intese
non in senso patrimoniale. Natura "soggettiva"[406].
CIRCOSTANZE ATTENUANTI GENERICHE [407]
Art.62bis " Il giudice, indipendentemente dalle circostanze prevedute nell'art.62, può prendere in
considerazione altre circostanze diverse, quando le ritenga tali da giustificare una diminuzione della pena.
Esse sono considerate, in ogni caso (...) come una sola circostanza, la quale può anche concorrere con una o
più delle circostanze indicate nel predetto articolo 62".
Natura e funzione delle attenuanti generiche. Permette al giudice di cogliere un valore positivo del fatto, nuovo
o diverso rispetto ai valori espressamente presi in considerazione dall'art.62: valore nuovo e diverso non
tipicizzabile a priori in linea generale ed astratta, ma desumibile soltanto dai casi concreti considerati nelle loro
infinite sfumature. Circostanze in senso tecnico, ancorché non tipicizzate, applicabili anche in presenza di un
solo valore attenuante, indipendentemente dalla valutazione complessiva del fatto e dalla personalità
dell'agente.L'art.62-bis può essere applicato anche allorché la pena-base sia irrogata in misura superiore al
minimo, il fatto criminoso sia obiettivamente grave ed il reo abbia precedenti penali.
Divieto di doppia valutazione. Se un valore attenuante si presta ad essere preso in considerazione in sede di
giudizio sulla concessione delle circostanze ed in sede di quantificazione della pena base, sia come criterio di
commisurazione ex art.133, sia come circostanza generica ex art.62-bis, lo si dovrà valutare una sola volta in
ossequio al principio del ne bis in idem sostanziale.
Le circostanze generiche si considerano sempre come una sola circostanza[408] e sono soggette al principio
del bilanciamento ex art.69, commi 2° e 3°.
LA RECIDIVA[409] [410]
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Art.99 aumento della pena a "chi, dopo essere stato condannato per un reato, ne commette un altro".
Possibile nesso col concetto di capacità a delinquere, ex art.133, comma 2°.
L'art.99 prevede tre forme di recidiva, che si distinguono sia nei presupposti, sia negli effetti giuridici:
1)
Recidiva semplice: consiste nella commissione di un reato a seguito della condanna
irrevocabile[411] per un altro reato (aumento di pena fino a 1/6 della sanzione da infliggere per il nuovo
reato: art.99, comma 1°).
2) Recidiva aggravata. Se il nuovo reato è della stessa indole (art.101) (recidiva c.d. specifica), o è stato
commesso entro 5 anni dalla condanna precedente (recidiva c.d. infraquinquennale), ovvero è stato realizzato
durante o dopo l'esecuzione della pena, oppure ancora durante il tempo in cui il condannato si sottrae
volontariamente all'esecuzione della pena stessa (pena aumentata fino a 1/3, sino alla metà se concorrano più
di una fra le circostanze menzionate: art.99, commi 2° e 3°).
Reati della stessa indole. Art.101 "agli effetti della legge penale, sono considerati reati della stessa indole non
soltanto quelli che violano una stessa disposizione di legge, ma anche quelli che, pure essendo preveduti da
disposizioni diverse di questo codice ovvero da leggi diverse, nondimeno, per la natura dei fatti che li
costituiscono o dei motivi che li determinarono, presentano, nei casi concreti, caratteri fondamentali comuni".
Le note comuni vanno desunte da un confronto dei reati sotto un duplice aspetto:
a) dal p.d.v. della natura dei fatti che li costituiscono: occorre accertare non già un'omogeneità di astratte
fattispecie legali, bensì una sostanziale omogeneità dei fatti concreti considerati nelle effettive modalità di
realizzazione e nei risultati lesivi che ne conseguono (es. tra ingiuria, diffamazione e il vilipendio, oppure tra la
truffa, la frode in commercio,la bancarotta fraudolenta,ecc.);
b)
la medesimezza dell'indole (od omogeneità) può essere ricavata dai motivi che determinarono la
commissione dei reati: identica o analoga motivazione psicologia alla base dei diversi fatti criminosi: es.
danneggiamento e omicidio determinati dall'intento di realizzare una vendetta mafiosa.
3) Recidiva reiterata: allorché il nuovo reato è commesso da chi è già recidivo. L'aumento di pena è fino a
metà se la precedente recidiva è semplice, fino a 2/3 se la precedente recidiva è aggravata specifica o
infraquinquennale, infine da 1/3 a 2/3 se la precedente recidiva si riferisce ad un reato commesso durante o
dopo l'esecuzione della pena, ovvero durante il tempo in cui il condannato si sottrae volontariamente
all'esecuzione della pena stessa (art.99, comma 4°). Effetti: la recidiva comporta, oltre agli accennati aumenti
di pena, ulteriori conseguenze giuridiche minori in rapporto all'amnistia, all'indulto, alla sospensione
condizionale, all'estinzione della pena, al perdono giudiziale, alla riabilitazione, ecc.. Ultimo comma art.99 "In
nessun caso l'aumento di pena per effetto della recidiva può superare il cumulo delle pene risultante dalle
condanne precedenti alla commissione del nuovo reato".
Facoltatività dell'aumento di pena:
Natura giuridica dell'istituto. Integra la circostanza in senso tecnico[412] o è una sorta di indice di
commisurazione della pena di natura analoga agli indici previsti dall'art.133[413]? Conseguenze pratiche[414].
La giurisprudenza è orientata al fatto che la recidiva integri la circostanza in senso tecnico, in quanto ritiene
obbligatoria la contestazione della recidiva e ammette il giudizio di comparazione e, dall'altro, limita la
facoltatività al solo aumento di pena (contra: PADOVANI, PALAZZI).
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Cap. 5. DELITTO TENTATO
PREMESSA: LA CONSUMAZIONE DEL REATO
Tutte le volte in cui il fatto concreto corrisponde interamente al modello legale delineato dalla norma
incriminatrice in questione (tecnicamente: compiuta realizzazione di tutti gli elementi costitutivi di una
fattispecie criminosa).
Nei reati di mera condotta: la consumazione coinciderà con la compiuta realizzazione della condotta vietata.
Nei reati di evento, invece, la consumazione presuppone, oltre al compimento dell'azione, anche la produzione
dell'evento.
Rilevanza del momento consumativo.:
1)
individuazione della norma da applicare nel caso di successione di leggi penali nel tempo (art.2);
2)
rispetto all'inizio della decorrenza del termine di prescrizione (art.158);
3)
ai fini dell'amnistia e dell'indulto, di solito concessi limitatamente ai fatti commessi fino al giorno
precedente la data della legge (art.151, comma 3° e art.174);
4)
ai fini della competenza territoriale (art.8 c.p.p.);
5)
per l'applicazione della legge penale italiana rispetto alla legge penale straniera (art.6).
DELITTO TENTATO: IN GENERALE
L'agente non riesce a portare a compimento il delitto programmato, ma gli atti parzialmente realizzati sono tali
da esteriorizzare l'intenzione criminosa; diversamente, ci si troverebbe di fronte ad un mero proposito
delittuoso, irrilevante in base al già più volte sottolineato principio cogitationis poenam nemo patitur.
Fondamento della punibilità. Esigenza di prevenire l'esposizione a pericolo dei beni giuridicamente protetti :
teoria c.d. oggettiva che è preferibile, rispetto a quelle soggettive e a quelle miste[415], perché si collega in
maniera più coerente con gli irrinunciabili presupposti di un diritto penale del fatto. Significative indicazioni nel
ns. diritto positivo:
art.56 che menziona un requisito, quello dell'"idoneità" dell'azione, che trova spiegazione nell'ambito di
una concezione oggettivistica: l'idoneità infatti non può che essere rapportata all'attitudine della condotta
materiale ad aggredire il bene tutelato;
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art.49 [416], a contrario, parlando di reato impossibile per "inidoneità dell'azione",conferma che nel
nostro ordinamento il tentativo inidoneo non ha diritto di cittadinanza.
Art.49, 2° comma REATO IMPOSSIBILE: tesi
1)
abrogativa: non è figura autonoma ma inutile doppione in negativo del delitto tentato, art.56
(FIANDACA-MUSCO);
2) valorizzatrice: art.49 principio cardine dell'ordinamento: non vi può essere reato senza offesa (GALLO,
VASSALLI, NEPPI- MODONA, BRICOLA).
Diversità art.56 da art.49:
-
tentativo: solo delitti;
reato impossibile: ai reati (atti idonei a commettere contravvenzioni sono penalmente irrilevanti e non
danno luogo all'applicazione di misura);
-
tentativo: "atti", "inidoneità";
-
reato impossibile: "azione", altrimenti "inidoneità dell'azione", "inesistenza dell'oggetto";
-
tentativo: evento in senso naturalistico;
reato impossibile: evento in senso giuridico, come lesione o messa in pericolo del bene giuridico
tutelato.
Diversità art.49, 2° comma e art.115: "quasi reati": si è sanzionati solo con misura di sicurezza,
indipendentemente dalla commissione di un reato.
Diversità art.49, 2° comma e art.49, 1° comma (putativo):
-
l'art.49, secondo comma prevede misure di sicurezza, è collegato alla tematica del tentativo;
-
l'art.49, primo comma: non prevede misura è collegato alla tematica dell'errore.
Il reato impossibile è tale sia con riferimento a reati materiali (di danno o di pericolo) sia a reati di mera
condotta (ove l'evento è giuridico): problema di connotare le distinte ipotesi di inidoneità della condotta e
inesistenza dell'oggetto.
<Prima della consumazione (o dell'inizio di essa, nei reati permanenti) la commissione del reato
(doloso) è normalmente caratterizzata da una sequenza di atti che vanno dall'ideazione (concepimento
del proposito), alla preparazione (predisposizione dei mezzi e ricerca delle occasioni), all'esecuzione
(realizzazione del progetto criminoso). La fase puramente ideativi è sempre irrilevante (cogitationis
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poenam nemo patitur) mentre tra la preparazione e l'esecuzione si colloca il tentativo, che secondo
l'art.56/1°c.p. consiste nel compimento di <<atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere un
delitto>>, non seguiti appunto dalla consumazione (<<se l'azione non si compie o l'evento non si
verifica>>).
Dal punto di vista sistematico, la norma sul tentativo ha carattere accessorio: la sua applicazione
implica il riferimento ad una fattispecie incriminatrice (di natura delittuosa: il tentativo non può riferirsi
alle contravvenzioni). Essa <<duplica>> ciascuna di queste fattispecie , nel senso che ad ogni norma
che prevede un delitto si affianca una norma che prevede la corrispondente forma tentata (..).In questo
modo, la soglia di punibilità risulta anticipata, nei delitti ad uno stadio che, per definizione, precede la
loro consumazione. Il tentativo costituisce senza dubbio un titolo autonomo di reato, e nonna forma
circostanziata del delitto consumato (anche se la pena del tentativo è commisurata a quella del delitto
consumato): infatti, esso presuppone il mancato compimento dell'azione o la mancata verificazione
dell'evento, e quindi un requisito negativo che non solo non è speciale rispetto alla forma consumata,
ma è addirittura incompatibile con essa>. PADOVANI, op.cit., pagg.249-250.
Il tentativo come messa in pericolo del bene protetto. Dal p.d.v. degli interessi penalmente tutelati:
consumazione =lesione effettiva; tentativo=lesione potenziale del bene oggetto di protezione: ed è il minor
grado di aggressione al bene che giustifica, nella logica di un diritto penale del fatto, la minore severità del
trattamento penale del tentativo.
Il tentativo come titolo autonomo di reato. E' un minus rispetto al delitto consumato, una sorte di delitto di
"minore grado". Dal p.d.v. strutturale il tentativo è invece un delitto perfetto perché presenta tutti gli elementi
necessari per l'esistenza di un reato: a) fatto tipico; b) antigiuridicità; c) colpevolezza.
Sul piano normativo è titolo autonomo di reato, caratterizzato da un profilo offensivo ad esso proprio, pur
conservando lo stesso nomen juris della figura delittuosa (consumata) cui di volta in volta si riferisce. In questo
senso, la configurazione del tentativo come illecito autonomo nasce dall'incontro o combinazione di due
norme:
a)
la norma incriminatrice di parte speciale, che eleva a reato un determinato fatto;
b) l'art.56 che disciplinando i requisiti del tentativo punibile, svolge una funzione estensiva della punibilità
perché consente, appunto, di reprimere penalmente fatti che non pervengono alla soglia della
consumazione[417].
Presupposti del tentativo:
1)
intenzione criminosa;
2)
incompiutezza: a) tentativo compiuto "se l'azione non si compie"; b) tentativo incompiuto "se
l'evento non si verifica" (p.es. nei reati di mera condotta abbiamo solo questo);
3)
inidoneità;
4)
univocità degli atti.
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L'"INIZIO" DELL'ATTIVITA' PUNIBILE
La soglia della punibilità sarà raggiunta soltanto in coincidenza con la messa in pericolo del bene protetto.
Atti preparatori ed atti esecutivi. Ottocento liberale:prospettiva garantistica, codice Zanardelli 1889 identificava
col "cominciamento dell'esecuzione" del delitto programmato: irrilevanti tutti gli atti preparatori in quanto non
ancora aggressivi del bene protetto.
Diversi criteri:
1)
Francesco Carrara: atti preparatori quelli contrassegnati da perdurante equivocità, esecutivi quelli
univoci...problemi...
2) F. Carrara in un'altra fase del pensiero: preparatori: atti che rimangono nella sfera del soggetto attivo;
esecutivi quelli che invadono la sfera personale del soggetto passivo: genericità concetto di sfera che peraltro
manca fin dall'inizio nell'ambito dei reati a soggetto passivo pubblico o indeterminato....
3)
Dell'azione tipica o "teoria formale oggettiva" (Liszt, zu Dohna, Hippel, Alimena, Battaglini, ecc.)
esecutivi: gli atti che danno inizio all'esecuzione della condotta descritta nella fattispecie di parte speciale....
Restringe troppo l'ambito di punibilità del tentativo e con reati causali quando inizia l'azione tipica?[418]
4) "teoria materiale oggettiva" (Frank, Mayer, Mezger, Vannini, ecc.): anche gli atti prossimi o contigui a
quelli tipici ovvero gli atti strettamente connessi od omogenei e coerenti rispetto a quelli tipici...difficile
applicazione....
Idoneità e univocità degli atti. L'art.56 "Chi compie atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere un
delitto, risponde di delitto tentato, se l'azione non si compie[419] o l'evento non si verifica[420]". Duplice
requisito: idoneità e univocità degli atti: superamento della distinzione tra atti preparatori ed esecutivi.
Il vero punctum dolens della incriminazione del tentativo sta nella preoccupazione di evitare che l'istituto si
presti, nella sua applicazione concreta, ad essere manipolato in senso illiberale.
IDONEITA' DEGLI ATTI
Tentativo compiuto e incompiuto.
Art.56, comma 1°, si ha tentativo se "l'azione non si compie[421]o l'evento non si verifica"[422]:
contrapposizione tra tentativo incompiuto e tentativo compiuto[423].
Concetto di idoneità.: L'idoneità è riferita all'atto[424], e non al mezzo[425] (differenza con codice del 1889).
Natura "oggettiva" del requisito dell'idoneità. Non è efficienza causale perché nel delitto tentato l'evento del
corrispondente delitto consumato non c'è [426]. L'idoneità va riferita alla commissione del delitto che viene di
volta in volta in questione. L'idoneità NON va valutata con riferimento al pericolo di produzione dell'evento, ma
al PERICOLO DI CONSUMAZIONE del delitto.[427]
Il criterio di accertamento dell'idoneità: la c.d. prognosi postuma: il parametro oggi di accertamento
dell'idoneità consiste in un giudizio ex ante e in concreto (criterio della c.d. prognosi postuma)[428] : il
giudice cioè, collocandosi idealmente nella stessa posizione dell'agente all'inizio dell'attività criminosa, deve
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accertare - alla stregua di una valutazione operata in base alle conoscenze dell'uomo medio, eventualmente
arricchite delle maggiori conoscenze dell'agente concreto[429] - se gli atti erano in grado, tenuto conto delle
concrete circostanze del caso, di sfociare nella commissione del reato.[430]
Questo criterio va applicato effettuando il giudizio di idoneità su base parziale o su una base totale.
Orientamento dominante base parziale: tiene conto soltanto delle circostanze[431] conosciute o
conoscibili al momento dell'azione, da un uomo avveduto pensato al posto dell'agente concreto (non
tiene conto di circostanze eccezionali oggettivamente presenti sin dall'inizio, ma conosciute
dopo)[432].
Meglio optare (dottrina classica e giurisprudenza coeva) per base totale di giudizio: per accertare l'idoneità
dell'azione, occorre prendere in esame tutte le circostanze già presenti al momento del fatto, anche se
conosciute in un momento successivo.
Il grado di sufficienza dell'idoneità. Spostare il discorso sul piano delle considerazioni teleologiche: fondamento
sostanziale della punibilità del tentativo: esigenza di impedire la messa in pericolo del bene giuridico. Il grado
di sufficienza dell'idoneità non coincide con la semplice "non impossibilità" di consumazione del fatto
delittuoso: ed invero, posto che il "pericolo" presuppone la "probabilità" di verificazione dell'evento lesivo, per
potere plausibilmente sostenere che gli atti di tentativo realizzati pongono in pericolo il bene protetto è
necessario accertarne la rilevante attitudine a conseguire l'obiettivo: la loro idoneità, in altri termini, deve
essere più vicina alla "probabilità" che alla mera "non impossibilità".(probabilità di commissione).
UNIVOCITA' DEGLI ATTI [433]
L'art.56 richiedendo questo ulteriore requisito tende a impedire quella eccessiva dilatazione dell'istituto del
tentativo. Ma quando si può dire che un atto è "diretto in modo non equivoco" a commettere un reato? Più
orientamenti:
L'univocità come criterio di prova del proposito criminoso. Concezione c.d. soggettiva, il requisito in esame
fa riferimento ad un criterio di prova: l'univocità degli atti indicherebbe l'esigenza, in sede processuale, che sia
raggiunta la prova del proposito criminoso (prova desunta anche aliunde). Sorta di interpretatio abrogans.
L'univocità come caratteristica oggettiva della condotta. Criterio di essenza: l'univocità va considerata come
una caratteristica oggettiva della condotta, nel senso che gli atti posti in essere devono in se stessi possedere,
riguardati nel contesto in cui sono inseriti, l'attitudine a denotare il proposito criminoso perseguito.
Ulteriore prospettiva: cosiddetta teoria materiale oggettiva individuale che nel ricostruire l'univocità attorno
al concetto di tipicità degli atti, fa nel contempo riferimento al concreto piano criminoso dell'agente.
ELEMENTO SOGGETTIVO [434]
Nel nostro ordinamento il tentativo è punibile solo se commesso con dolo.
Tentativo e dolo eventuale: sono incompatibili per la dottrina maggioritaria e giurisprudenza più recente che
sposa concezione soggettiva dell'univocità: si riduce l'univocità all'esigenza di provare in giudizio l'intenzione
criminosa dell'agente, la non equivocità della condotta finisce col coincidere con la prova di una volontà
intenzionalmente diretta a commettere il reato; ma, appunto perché si richiede una volontà "intenzionale", è
giocoforza escludere la compatibilità tra tentativo e dolo "eventuale".
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Altri argomenti vincenti fuori della predetta teoria:
il dolo nel tentativo assume una connotazione peculiare proprio per l'autonomia strutturale della
fattispecie tentato/consumato;
rimane ferma incompatibilità strutturale tra il dolo eventuale e il requisito della "univocità" della condotta,
pur se se ne accolga una concezione "oggettiva"...
La direzione finalistica dell'atto dev'essere certa tanto sul piano materiale che su quello psicologico: tra i due
aspetti deve esservi piena corrispondenza o congruenza.
IL PROBLEMA DELLA CONFIGURABILITA' DEL TENTATIVO NELL'AMBITO DELLE VARIE TIPOLOGIE
DELITTUOSE.
1)
Il tentativo non è ammissibile nelle contravvenzioni : l'art.56 si riferisce esplicitamente ai soli "delitti".
2)
Dipende invece da ragioni strutturali l'inammissibilità del tentativo, innanzitutto, nell'ambito dei delitti
colposi (la mancanza di volontà delittuosa è incompatibile con la idoneità e la univocità degli atti in cui si
sostanzia il delitto tentato);
3) Rispetto alla controversa configurabilità del tentativo nei reati omissivi. Reati omissivi propri: NO però
esempio di chi si reca all'estero per non compiere.....Reati omissivi impropri: SI tentativo incompiuto (e quindi
la desistenza) e il tentativo compiuto (e quindi il recesso attivo): oscillazioni in giurisprudenza[435].
4) Nel delitto preterintenzionale il tentativo non è ammissibile perché, nell'eventualità che il soggetto passivo
sopravviva, la responsabilità rimane circoscritta (in assenza di volontà omicida) al delitto di lesione o percosse,
in quanto la sua volontà non era diretta alla realizzazione dell'evento ulteriore;
5)
Il tentativo si esclude rispetto ai reati c.d. unisussistenti (cioè quelli qui uno actu perficiuntur), dal
momento che non consentono la frazionabilità del processo esecutivo in più atti[436].
6) Il tentativo non è ammissibile nei delitti di attentato e nei delitti c.d. a consumazione anticipata, duplice
rilievo:
-
il tentativo equivale già a consumazione[437];
-
sarebbe un non senso ipotizzare atti idonei diretti in modo non equivoco a commettere "atti diretti a....."
7) Reati di pericolo: da condividere tesi della non configurabilità del tentativo: punire il tentativo di un reato
di pericolo equivale a reprimere "il pericolo di un pericolo"[438].
8)
Reati aggravati dall'evento è ipotizzabile tutte le volte in cui l'evento ulteriore può realizzarsi
indipendentemente dall'esaurimento della condotta vietata [439].
9)
Reati condizionati:dipende dalla possibilità del verificarsi della condizione obiettiva di punibilità
indipendentemente dal perfezionarsi della condotta tipica.
10) Reati abituali: escluso [440].
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11) Reati permanenti: la configurabilità del tentativo è possibile a condizione che la condotta positiva sia
frazionabile [441].
TENTATIVO E CIRCOSTANZE[442]
Tentativo circostanziato di delitto [443] e tentativo di delitto circostanziato [444]. Le riserve cominciano,
invece, ad apparire giustificate già a partire dalle ipotesi di tentativo circostanziato di delitto caratterizzate da
una realizzazione soltanto parziale delle circostanze[445]. Ma suscita a maggior ragione riserve la figura del
tentativo di delitto circostanziato, riconosciuta dalla giurisprudenza (peraltro, a prescindere da una
corrispondente ed esplicita etichettatura) soprattutto a proposito delle circostanze attenuanti del danno
patrimoniale di speciale tenuità, in base alla valutazione prognostica che l'iter consumativi del reato avrebbe
realizzato con certezza gli elementi costitutivi della circostanza.
Principio di legalità e limiti ontologici. Le riserve accennate trovano fondamento in un duplice ordine di
considerazioni. Da un lato, non si vede quale sia la ragione nel ritenere che in questo settore le esigenze
connesse al principio di legalità ad imporre infatti che le circostanze vengano applicate soltanto in presenza di
presupposti esplicitamente previsti dalla legge. Dall'altro, esistono invalicabili limiti di ordine ontologico o
strutturale: così, le circostanze relative all'evento consumativi del reato (ad es. proprio l'entità del danno nei
reati contro il patrimonio, per richiamare il contrario e ingiustificabile orientamento della giurisprudenza!)
risultano compatibili soltanto con la compiuta realizzazione dell'illecito penale. Dai rilievi che precedono
discende, dunque, una conclusione pressocchè obbligata: le uniche circostanze compatibili col tentativo sono
quelle che si realizzano compiutamente nello stesso contesto dell'azione tentata.
DESISTENZA E RECESSO ATTIVO [446]
Natura giuridica:
DESISTENZA: (Art.56, comma 3°) causa di estinzione o causa sopravvenuta di non punibilità del tentativo?
E' una esimente di carattere speciale che trova fondamento nella considerazione utilitaristica di politica
criminale, ecc. Cass. 08 aprile 1997, n.5037.
RECESSO: circostanza attenuante soggettiva e bilanciabile.
Art.56, commi 3° e 4°: "Se il colpevole volontariamente desiste dall'azione, soggiace soltanto alla pena per gli
atti compiuti, qualora questi costituiscano di per sé un reato diverso".
"Se volontariamente impedisce l'evento, soggiace alla pena stabilita per il delitto tentato, diminuita da un terzo
alla metà".
Fondamento politico-criminale. Teoria del c.d. ponte d'oro : l'ordinamento, al fine di prevenire l'offesa ai beni
giuridici, farebbe assegnamento sulla promessa di impunità (o riduzione pena nel caso recesso attivo) come
controspinta psicologica alla spinta criminosa ("al nemico che fugge ponti d'oro!").
Il tradizionale criterio discretivo tra desistenza e recesso. Tentativo incompiuto (cioè prima del compimento
dell'azione tipica: DESISTENZA) e tentativo compiuto (e cioè una volta compiuta l'azione tipica: RECESSO
ATTIVO): criterio ex post che fa leva sull'esaurimento o no dell'azione esecutiva.
Desistenza volontaria: finchè l'agente recede da un'azione che non ha ancora completato il suo iter esecutivo.
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Nella normalità dei casi si realizza mediante un comportamento negativo consistente nel non continuare nella
azione intrapresa; tuttavia nei reati omissivi impropri occorre che il soggetto si attivi compiendo l'azione
doverosa; così la madre che ha sospeso l'allattamento del figlioletto per farlo morire, per desistere dall'azione
criminosa dovrà attivarsi e riprendere l'allattamento[447].
Recesso attivo: tutte le volte in cui l'azione criminosa si è compiutamente realizzata,ma l'agente riesce a
impedire il verificarsi dell'evento lesivo[448].
Il soggetto qui dovrà attivarsi per bloccare il processo causale che porterebbe da solo alla produzione
dell'evento, determinato con la sua precedente condotta; tuttavia a volte il recesso può richiedere una condotta
negativa come nel caso di chi, rivolte minacce estorsive ad un commerciante, non si presenti a ritirare il
denaro estorto[449]. Nei reati omissivi impropri per distinguere se vi sia desistenza o recesso attivo occorre
guardare alla azione che deve intraprendere il soggetto per evitare la consumazione del reato: se è sufficiente
porre in essere l'azione dovuta si avrà desistenza; se invece per impedire l'evento occorre porre in essere
un'azione diversa da quella dovuta si avrà invece recesso attivo: così, nel caso della madre che abbia sospeso
l'allattamento del figlio per farlo morire, se il processo causale non è già innescato, dimodochè sarà sufficiente
riprendere ad alimentare il bambino, si avrà desistenza: se invece, per evitare il decesso, occorre sottoporlo a
cure mediche presso un ospedale, si avrà invece recesso attivo (MANTOVANI). Il recesso attivo si differenzia
dal RAVVEDIMENTO POST DELICTUM in quanto in quest'ultimo caso il soggetto si attiva per eliminare o
attenuare gli effetti dannosi o pericolosi già verificati[450].
Il requisito della "volontarietà". Che non equivale a spontaneità poiché la legge, quando esige quest'ultima, lo
richiede espressamente (art.62, n. 6 C.P.). Ne deriva che è irrilevante qualsiasi considerazione sui motivi che
inducono il soggetto a desistere o a recedere.
La rilevanza della desistenza e del recesso attivo nel concorso di persone.
Perché il soggetto vada esente da pena, è sufficiente che elida l'efficienza causale del suo contributo prima
prestato alla realizzazione concorsuale del reato. Si è tuttavia precisato che, in concreto, occorre guardare al
ruolo rivestito dal soggetto che desiste: se si tratta di un semplice complice dovrà elidere il suo contributo e ciò
accadrà quando la commissione del reato da parte degli ex correi non possa essere più minimamente
ricondotta al contributo arrecato dal ricorrente che non potrà definirsi neppure agevolatore del reato.
Avendo la desistenza natura soggettiva, secondo la previsione dell'art.119 c.p. opera soltanto nei confronti
della persona cui si riferisce e non anche dei concorrenti.
Necessità di una revisione dell'impostazione tradizionale.
TENTATIVO E ATTENTATO
I delitti di attentato si caratterizzano per il fatto che il legislatore ha considerato reato perfetto il compimento di
"atti diretti a" offendere un bene ritenuto meritevole di protezione anticipata perché di rango particolarmente
elevato.
Omogeneità strutturale tra tentativo e attentato. Formula "fatto diretto a"; "fatto idoneo diretto a"; "chiunque
attenta a" come equivalente dell'altra "chiunque compie atti idonei diretti a", valorizzando così il requisito
dell'idoneità presente nella struttura del tentativo e ritenuto un criterio concernente l'intera materia penale.
Oggi l'opinione dominante ritiene che vi sia omogeneità strutturale fra tentativo e attentato e che, per la
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punibilità dell'attentato, occorre che l'attività sia anch'essa idonea a ledere il bene protetto (con esclusione
quindi delle mere attività preparatorie).
REATO IMPOSSIBILE
Art.49, comma 2°: la punibilità è esclusa "quando, per la inidoneità dell'azione o per la inesistenza dell'oggetto
di essa[451], è impossibile l'evento dannoso o pericoloso", l'ultimo comma dello stesso articolo aggiunge che
"il giudice può ordinare che l'imputato prosciolto sia sottoposto a misura di sicurezza" (nella specie, la libertà
vigilata ex art.215 ult.comma).
Art.49, comma 2° c.p. e concezione realistica dell'illecito penale. Art.49 cpv.: principio non limitato al tentativo
ma estensibile all'intero sistema penale: funge da criterio ispiratore della concezione per la quale non può
esservi reato, senza una lesione o una messa in pericolo "effettiva" del bene protetto (concezione c.d.
realistica) [452].
C.D. CONCEZIONE REALISTICA DELL'ILLECITO. Scarto tra tipicità ed offensività: l'art. 49, 2° comma nel
porre quindi il principio di necessaria offensività della condotta, ha la funzione di escludere la punibilità quando
una condotta tipica non sia tuttavia offensiva, non sia cioè idonea a ledere o mettere in pericolo l'interesse
protetto. Tale teoria è criticata in quanto in contrasto con il principio di legalità perché ricostruendo l'offesa
come autonoma rispetto alla tipicità porta a far riferimento a criteri extralegislativi. Il fine pratico cui tende,
quello cioè di evitare la punibilità nei casi di scarto tra tipicità ed offensività, viene d'altra parte soddisfatto
tenendo presente che nei casi riportati di azione tipica ma non offensiva la tipicità in realtà è solo apparente:
c'è difetto di tipicità tout court. In altri termini, se la condotta posta in essere non lede né pone in pericolo il
bene protetto non ricorrono gli scopi cui tende la norma incriminatrice.
L'art.49, comma 2° non rappresenterebbe il semplice "aspetto negativo" o "rovescio" dell'art.56, comma 1°,
ma si caratterizzerebbe per la presenza di elementi "autonomi"[453]. Ed invero si argomenta:
a) l'idoneità di cui all'art.49 non è riferita, come nell'art.56, agli "atti" bensì all'azione, per cui implicherebbe
l'esaurimento dell'azione delittuosa;
b)
non si spiega come mai gli atti diretti in modo non equivoco a commettere una "contravvenzione"
rimangano impuniti se idonei a produrre l'evento, posto che il tentativo non è configurabile nelle
contravvenzioni, mentre possono portare all'applicazione di una misura di sicurezza (l'art.49 è infatti
applicabile anche alle contravvenzioni e l'art.56 solo ai delitti).
Due obiezioni :
1)
l'art.49 cpv., non informando in alcun modo sulla natura degli interessi tutelati non è di ausilio nello
stabilire quando sussiste la lesione o la messa in pericolo del bene protetto, per cui vedere le singole
fattispecie incriminatici;
2)
contraddizione logica: se il bene protetto deve essere desunto dalla "intima struttura della fattispecie"
allora riesce impossibile ipotizzare un fatto conforme a quest'ultima ma non lesivo del bene protetto.
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Inoltre grave pericolo per lo Stato di diritto: corrispondenza fatto e modello legale secondo giudizio?!
La vera funzione assolta dall'art.49, comma 2° c.p. all'interno del sistema penale. Ragioni storiche. Il tentativo
esula quando un fatto astrattamente idoneo, al momento dell'azione, a raggiungere l'obiettivo criminoso
perseguito, non potrebbe in ogni caso sfociare in un delitto consumato per la presenza di circostanze che ne
rendono in concreto impossibile la realizzazione. Ora, per accertare se il bene in questione abbia corso un
reale pericolo occorre:
1)
il giudizio prognostico su base parziale ex art.56 nella sola ottica del soggetto agente;
2) ma anche aggiungere una seconda verifica compiuta su base totale nell'ottica della vittima come titolare
del bene posto in pericolo.
Quindi si tiene conto di tutte le circostanze presenti nella situazione data, quale che sia, il momento in cui
vengono conosciute. Le medesime considerazioni valgono rispetto al tentativo impossibile per "inidoneità"
della condotta.
Cap. 6. CONCORSO DI PERSONE
PREMESSA
Concorso di persone e associazione a delinquere
I diversi tipi di associazione a delinquere presuppongono un "vincolo stabile" tra più soggetti e un "programma
criminoso" riferito ad un insieme indeterminato di fatti delittuosi.
Il concorso di persone nel reato (o la partecipazione criminosa) determina, invece, un vincolo "occasionale" tra
più persone circoscritto alla realizzazione di uno o più reati determinati (entità collettiva contingente).
Concorso "eventuale" e concorso "necessario". Quest'ultima figura ricorre quando è la stessa fattispecie
incriminatrice di parte speciale a richiedere la presenza di più soggetti per la integrazione del reato: ad es. si
pensi ai reati di rissa art.588), associazione per delinquere (art.416),corruzione (artt.318 ss.).
IL PROBLEMA DEI MODELLI DI DISCIPLINA DEL CONCORSO CRIMINOSO
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La funzione "integratrice" delle norme sul concorso criminoso
Le norme sul concorso di persone nel reato assolvono la funzione di rendere punibili anche comportamenti
che non lo sarebbero in base alla singola norma incriminatrice: in questo senso, le norme sul concorso
integrano le singole disposizioni di parte speciale, così contribuendo alla salvaguardia dei medesimi beni
protetti dalle varie fattispecie incriminatici costruite sull'autore singolo.
I diversi modelli di disciplina del concorso criminoso: tipizzazione "differenziata" e tipizzazione "causale". In
astratto sono prospettabili non uno, ma più modelli di disciplina del concorso criminoso. Dal punto di vista della
fattispecie concorsuale, il legislatore fondamentalmente si trova di fronte all'alternativa di scegliere tra un
modello differenziato[454] e un modello unitario[455] di tipizzazione del fatto.
Le ragioni della scelta, da parte del legislatore del '30[456], del modello della tipizzazione c.d. causale.
Scelta del modello della tipizzazione unitaria basata sul criterio dell'efficienza causale della condotta di ciascun
concorrente: dogma della causalità. L'art.110 [457] lungi dall'operare distinzioni tra diversi "ruoli" di
concorrente, si limita a stabilire che "quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse
soggiace alla pena per questo stabilita": concorre a pari titolo chi apporta un contributo qualsiasi, purchè
dotato di rilevanza causale nell'ambito della realizzazione collettiva del fatto.
La distinzione tra compartecipazione primaria e secondaria, uscita dall'art.110 è rientrata dall'art.114 dove si
legge "Il giudice, qualora ritenga che l'opera prestata da talune delle persone che sono concorse nel reato a
norma degli artt.110 e 113 abbia avuto minima importanza nella preparazione o nell'esecuzione del reato, può
diminuire la pena"[458]. Orbene: parlare di contributo di minima importanza non equivale - in contrasto con la
premessa della "pari responsabilità" fondata sull'efficienza causale - a respingere il principio dell'appiattimento
delle responsabilità individuali e a recuperare, in maniera più o meno "mascherata", la distinzione tra partecipi
"primari" e "secondari"?
Inconvenienti della vigente disciplina: eccessiva dilatazione delle responsabilità a titolo di concorso favorita da
una certa tendenza giurisprudenziale a sorvolare sui requisiti oggettivi minimi di una legittima responsabilità
concorsuale.
LE TEORIE SUL CONCORSO CRIMINOSO.
a)
La teoria della accessorietà: la condotta atipica del semplice partecipe non ha rilevanza penale
autonoma, ma l'acquista nella misura in cui accede alla condotta principale o tipica dell'autore[459] [460]. Due
obiezioni di parte della dottrina italiana: 1) giustifica punibilità dei concorrenti nei casi di c.d. esecuzione
frazionata, nei quali cioè nessuno realizza un'azione qualificabile come "principale",mentre l'azione tipica (ai
sensi della fattispecie incriminatrice) risulta soltanto dall'incontro dei diversi contributi dei singoli
compartecipi[461]; 2) ipotesi di concorso nel reato proprio (art.117 [462]): posto infatti che in queste ipotesi
(es. peculato) la condotta principale non potrebbe che essere realizzata dal soggetto che riveste la qualifica
soggettiva (ad es. pubblico ufficiale), si dovrebbe rinunciare all'incriminazione a titolo di reato proprio ove per
avventura a porre in essere la condotta esecutiva fosse l'extraneus privo di qualifica (ad es. inserviente che
materialmente si appropria di denaro pubblico d'accordo col superiore, capo dell'ufficio)[463].
b) La teoria della fattispecie plurisoggettiva eventuale: "la sintesi tra l'art.110 c.p. ed una delle disposizioni
(anche autonomamente) incriminatici di parte speciale non soltanto qualifica penalmente condotte irrilevanti ai
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sensi delle singole disposizioni di parte speciale, ma ben prima crea un'entità nuova, una forma (unitaria)
nuova, nella quale le singole condotte perdono la loro autonomia per divenire parti di un tutto" (Dell'Andro,
analogamente Gallo M.). Nuovo concetto di tipicità rapportato all'intero fatto realizzato in concorso: ciascuna
condotta sarà considerata tipica o atipica rispetto alla nuova fattispecie (concorsuale non solo di parte
speciale) risultante dall'incontro dell'art.110 con la singola norma incriminatrice[464].
c) La teoria delle fattispecie plurisoggettive differenziate: dall'incontro delle norme di parte speciale con le
norme sul concorso discenderebbero tante fattispecie plurisoggettive differenziate, quanti sono i soggetti
concorrenti: con medesimo nucleo di accadimento materiale, ma si distinguerebbero tra loro "per
l'atteggiamento psichico (...) e per taluni aspetti esteriori (...)" Pagliaro. Ognuno dei correi porrebbe a sua volta
in essere una azione tipica diversa da quella posta in essere dagli altri.
I limiti della disputa dogmatica sulla natura della partecipazione.
La teoria della fattispecie plurisoggettiva spiega meglio, sul piano logico-formale, il fenomeno della punibilità
delle condotte atipiche. Resta però insoluto il problema dei criteri idonei a determinare la rilevanza delle
semplici condotte di partecipazione nei confronti della fattispecie concorsuale come fattispecie autonoma e
diversa rispetto alla fattispecie monosoggettiva. Insomma: quand'è che una condotta di partecipazione,
"atipica" riguardo alla fattispecie incriminatrice di parte speciale, potrà invece dirsi "tipica" rispetto alla
fattispecie concorsuale? Inconvenienti della vigente disciplina del concorso criminoso: in mancanza di una
tipizzazione legale delle varie forme di concorso, il compito di fissare i requisiti minimi di una partecipazione
penalmente rilevante resta in definitiva affidato alla dottrina e alla giurisprudenza. Insomma, e per concludere:
la soluzione dei problemi cruciali dell'istituto del concorso di persone non può essere ricavata da opzioni
dogmatiche astratte e aprioristiche. Occorre, piuttosto, orientare la ricostruzione dogmatica in base alle
effettive caratteristiche strutturali delle varie forme di concorso: da un lato, rinunciando alla sovrapposizione di
artificiosi schemi unitari; dall'altro, cercando di valorizzare il più possibile le indicazioni contenute nella
disciplina positiva.
STRUTTURA DEL CONCORSO CRIMINOSO: PLURALITA' DI AGENTI
I requisiti strutturali del concorso di persone nel reato sono 4:
1)
la pluralità di agenti;
2)
la realizzazione della fattispecie oggettiva di un reato: la commissione di un reato.
3)
il contributo di ciascun concorrente alla realizzazione del reato comune;
4)
l'elemento soggettivo.
Il numero minimo di agenti .[465]
Concorso criminoso e concreta punibilità dei singoli concorrenti: distinguere il carattere plurisoggettivo della
fattispecie concorsuale dalla diversa questione della concreta punibilità dei singoli concorrenti: il concorso si
configura anche se taluno dei concorrenti non è punibile per ragioni inerenti alla sua persona (es. per difetto di
dolo o per mancanza di imputabilità). L'assunto trova riscontro nella disciplina positiva del concorso, e in
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particolare negli artt.112 e 119 del codice:
L'art.112, ultimo comma: gli aggravamenti di pena da esso stesso previsti si applicano anche se "taluno dei
partecipi al fatto non è imputabile o non è punibile": da ciò si desume che, ai fini della sussistenza del
concorso criminoso, si prescinde dalla punibilità di qualcuno dei concorrenti.
L'art.119, comma 1°: "le circostanze soggettive, le quali escludono la pena per taluno di coloro che sono
concorsi nel reato, hanno effetto soltanto riguardo alla persona cui si riferiscono"[466].
Ipotesi riconducibili al concorso criminoso[467].
1)
costringimento fisico a commettere un reato (art.46);
2)
reato commesso per un errore determinato dall'altrui inganno (art.48);
3)
costringimento psichico a commettere un reato o coazione morale (art.54, ult. comma);
4)
determinazione in altri dello stato di incapacità allo scopo di far commettere un reato (art.86);
5)
determinazione al reato di persona non imputabile o non punibile (art.111 c.p.).
SEGUE: REALIZZAZIONE DELLA FATTISPECIE OGGETTIVA DI UN REATO[468].
Elemento oggettivo e di un elemento soggettivo.
E' sufficiente che la realizzazione comune si traduca in atti idonei diretti in modo non equivoco a commettere
un delitto: si avrà in questo caso un concorso di persone in un delitto tentato.
Esigenza minima, desumibile dall'art.115: salvo infatti che la legge disponga diversamente[469], nessuno è
punibile:
a) per il semplice fatto di essersi accordato con altri qualora all'accordo non segua la messa in atto del fatto
programmato;
b) per il semplice fatto di avere istigato altri (tanto nel caso che l'istigazione sia accolta, quanto in quello che
non lo sia), qualora il reato non sia stato commesso. Poiché tuttavia sia l'accordo che l'istigazione possono
assurgere a indici di pericolosità sociale, l'art.115 attribuisce al giudice la facoltà di applicare la misura di
sicurezza della libertà vigilata (salvo che si tratti di istigazione non accolta a commettere una
contravvenzione).
SEGUE. CONTRIBUTO DI CIASCUN CONCORRENTE: A) CONCORSO MATERIALE.
La partecipazione al reato con il proprio contributo può avvenire o nella fase ideativa (CONCORSO MORALE)
o nella fase esecutiva del reato (CONCORSO MATERIALE). Il concorso materiale ricorre quando il correo
interviene materialmente nella serie di atti che danno vita all'elemento materiale del reato.
I diversi ruoli di concorrente.
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-
autore: colui il quale compie gli atti esecutivi del reato;
-
coautore: chi interviene insieme con altri nella fase esecutiva.
ausiliatore o complice: quel partecipe che si limita ad apportare un (qualsiasi) aiuto materiale nella
preparazione o nella esecuzione del reato.
Il fondamento della punibilità del complice[470]:
a) la teoria condizionalistica: (opinione tradizionale) l'azione del compartecipe costituisce condicio sine qua
non del fatto punibile ( e, più precisamente, dell'"azione" tipica nell'ambito di reati di mera condotta;
dell'"evento" nei reati casualmente orientati)[471].
Obiezioni: inconveniente di restringere eccessivamente l'area del concorso, vedi ipotesi di c.d. partecipazione
non necessaria.
b)
la teoria della causalità c.d. agevolatrice o di rinforzo: penalmente rilevante non è solo l'ausilio
necessario, ma anche quello che si limita ad agevolare o facilitare il conseguimento dell'obiettivo finale[472].
Obiezioni: vi sono ulteriori casi di partecipazione non necessaria sempre meritevoli di pena, nonostante
manchi ogni influsso causale[473]. In funzione correttiva si è allora affermato che il giudizio sulla attitudine
agevolatrice della condotta del complice andrebbe fatto non ex post ma ex ante secondo il criterio della
prognosi postuma che si utilizza in materia di tentativo (vedi TEORIA DELLA PROGNOSI).
c) la teoria della prognosi o dell'aumento del rischio: basta che l'azione del partecipe appaia ex ante idonea
a facilitare la commissione del reato, accrescendone la probabilità di verificazione. L'art.56 confermerebbe
che, ai fini della tipicità, i giudizi causali possono essere formulati non solo nell'ottica di un legame effettivo fra
una certa condotta ed un determinato evento,ma anche sul piano di una pura attitudine causale ("idoneità"
degli atti per la loro giuridica rilevanza).
Obiezioni: Ma tanto sarebbe sufficiente soltanto in sede di tentativo,ma proprio la disposizione dell'art.56 non è
invocabile: gli atti di partecipazione, invece, si inseriscono in una realizzazione collettiva che giunge a
compimento[474].
Applicazione dei principi generali in tema di causalità: ciò che importa - ai fini dell'esistenza del nesso
eziologico - è che una catena causale sussista tra un antecedente (o una serie di antecedenti) e un evento
concreto che si verifica hic et nunc. I medesimi criteri valgono in sede di accertamento del contributo
causale della condotta di partecipazione.
SEGUE: B) CONCORSO MORALE.
Il contributo del partecipe si risolve in un impulso psicologico al reato materialmente commesso da altri
Le forme del concorso morale: figure:
determinatore: compartecipe che fa sorgere in altri (autore) un proposito criminoso prima
inesistente[475];
istigatore: colui il quale si limita a rafforzare o eccitare in altri un proposito criminoso già esistente (per il
nostro legislatore è comprensiva di ogni forma di partecipazione psichica: art.115,comma 3° che stabilisce la
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non punibilità dell'istigazione rimasta sterile, tale norma riconosce implicitamente che, quando l'istigazione
viene accolta ed il reato è commesso, l'istigatore ne risponde a titolo di concorso.
In entrambi i casi occorre che l'attività del concorrente morale abbia avuto una effettiva efficienza causale
nella commissione del reato[476]; la prova della c.d. CAUSALITA' PSICOLOGICA risulta alquanto ardua
perché non sempre la partecipazione psichica assume connotati facilmente percepibili come accade ad
esempio nel caso del mandato a delinquere o dell'incitamento; a volte, infatti, la stessa può celarsi dietro forme
subdole quali il consiglio o addirittura l'apparente dissuasione[477].
La causalità "psicologica": occorre effettiva influenza sulla psiche dell'esecutore materiale del reato, non
criteri di idoneità ex ante.
Divergenza tra le rispettive modalità concrete del fatto "istigato" e del fatto "realizzato":
L'agente provocatore: colui il quale provoca un delitto al fine di assicurare il colpevole alla giustizia. Vedi
art.97 T.U. in materia di sostanze stupefacenti: non punibilità degli ufficiali di p.g. addetti alle unità
specializzate antidroga, che per acquisire elementi di prova in ordine allo spaccio di droga, procedono
all'acquisto. Art.12 Legge n.306/1990 in tema di criminalità organizzata per D.I.A. riciclaggio e impiego di
denaro di provenienza illecita....Inquadramento sotto il paradigma della causa di giustificazione, più in
particolare come ipotesi speciali di adempimento di un dovere (tali disposizioni, infatti, recano la formula
"fermo quanto disposto dall'art.51 c.p. non sono punibili, ecc...."
L'ELEMENTO SOGGETTIVO DEL CONCORSO CRIMINOSO.
Le componenti costitutive dell'elemento soggettivo.:
1) coscienza e volontà del fatto criminoso, che quanto a contenuto in nulla differisce dal dolo del reato
monosoggettivo;
2) da un quid pluris rappresentato dalla volontà di concorrere con altri[478] alla realizzazione di un
reato comune.
Oggi basta che la coscienza del contributo fornito dall'altrui condotta esista unilateralmente[479].
E' controversa l'ammissibilità di un:
Concorso doloso a delitto colposo?[480]: c'è la possibilità che più partecipi rispondano al medesimo
fatto a titoli diversi? Ostacoli: l'art.110, stabilendo che il fenomeno concorsuale si riferisce al
medesimo reato, parrebbe legittimare una concezione "unitaria" della partecipazione criminosa. Se
così è, la possibilità di imputare il medesimo fatto a titoli soggettivi diversi sarebbe da escludere
perché porterebbe, all'opposto, ad accogliere una concezione del concorso come istituto costituito da
una pluralità di reati (concezione c.d. pluralistica). Altro argomento, sempre di carattere
giuridico-positivo. Laddove il legislatore ha voluto riconoscere la possibilità che più partecipi
rispondano del medesimo reato a titoli diversi, lo ha fatto in maniera esplicita: si pensi all'art.116 che
considera concorrenti soggetti che rispondono, rispettivamente, a titolo di dolo e di responsabilità
oggettiva (almeno nella disciplina codicistica originaria). Da questa previsione espressa di un'ipotesi
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di concorso a titoli soggettivi diversi sembra lecito a contrario desumere che il fenomeno della
diversità di titoli, lungi dal costituire la regola, rappresenti l'eccezione. Al di là delle stesse
argomentazioni testuali, rimane comunque un rilievo di fondo: sembra lecito cioè dubitare che le
ipotesi inquadrabili nella controversa figura della partecipazione dolosa a delitto colposo, acquistino
davvero una rilevanza penale tale da far apparire come un intollerabile vuoto di tutela la rinuncia alla
loro incriminazione.
Concorso colposo a delitto doloso? Alle argomentazioni già accennate se ne aggiungono altrre relative al
carattere specifico di questa presunta forma di concorso. Secondo un principio generale del nostro
ordinamento, non derogabile nell'ambito della partecipazione, la responsabilità colposa presuppone una
espressa previsione legislativa (art.42, comma 2°): ne costituisce conferma proprio la disposizione di cui
all'art.113 del codice, la quale, ammettendo espressamente la sola "cooperazione nel delitto colposo", sembra
escludere implicitamente la cooperazione colposa nel delitto doloso[481]. Si aggiunga ancora che
l'inammissibilità di principio di un concorso colposo a fatto doloso sembra ricevere ulteriore conferma dalla
previsione "espressa" di ipotesi tassative di agevolazione colposa di un altrui fatto doloso (ad es. artt.254,
259,350)[482].
IL CONCORSO NELLE CONTRAVVENZIONI.
Sono indifferentemente punibili a titolo di dolo o di colpa (art.42, ultimo comma).
Contravvenzioni dolose: art.110 termine "reato"=delitti e contravvenzioni imputabili a titolo di dolo.
Contravvenzioni colpose: l'art.113 disciplina la cooperazione con esclusivo riferimento ai "delitti". Secondo
l'orientamento prevalente anche le contravvenzioni colpose rientrerebbero nell'ambito di disciplina dell'art.110,
il termine "reato" implicherebbe il richiamo dei criteri soggettivi di imputazione delle contravvenzioni art.42,
ultimo comma.
All'interno di questa ottica interpretativa, l'art.113 menzionerebbe i soli delitti non già per escludere le
contravvenzioni, bensì per estendere ai delitti medesimi quella disciplina del concorso colposo già
implicitamente attribuibile alle contravvenzioni in base all'art.110. Infatti per potere assumere rilevanza rispetto
ai delitti, la colpa deve essere espressamente prevista come titolo di incriminazione in conformità al disposto
dell'art.42, comma 2°; mentre ciò non occorre per le contravvenzioni,le quali in base all'art.42, comma 4°
sono indifferentemente punibili a titolo di dolo o di colpa.
Però altre ragioni per escludere il concorso colposo nelle contravvenzioni, in particolare
politico-criminale, si estenderebbe punibilità di comportamenti atipici ben maggiore di quello riscontrabile
nell'ambito del concorso nei "delitti" colposi, e ciononostante che gli illeciti (colposi) contravvenzionali siano
tendenzialmente caratterizzati da un minore disvalore: si affiderebbe una così vasta portata incriminatrice ad
una norma "implicita", dedotta in via interpretativa dall'art.110, mentre, per giungere a risultati talmente rigorosi
in termini di criminalizzazione, sarebbe più che legittimo pretendere una disciplina espressa.
LE CIRCOSTANZE AGGRAVANTI [483]
Applicazione "obbligatoria" delle aggravanti: art.112 che stabilisce un aggravamento di pena "la pena da
infliggere per il reato commesso è aumentata" per:
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1) l'ipotesi in cui "il numero delle persone, che sono concorse nel reato, è di cinque o più, salvo che la legge
disponga altrimenti": ratio nel maggior allarme sociale e nella maggiore capacità a delinquere dimostrata dai
concorrenti che agiscono in gruppi di 5 o più membri;
2)
a chi ha promosso, organizzato o diretto la partecipazione al reato (art.112, comma 1, n.2)[484];
3)
a "chi, nell'esercizio della sua autorità, direzione o vigilanza ha determinato a commettere il reato
persone ad esso soggette" (art.112, comma 1°, n.3);
4) chi "ha determinato a commettere il reato un minore di anni diciotto, o una persona in stato di infermità o
deficienza psichica, ovvero si è comunque avvalso degli stessi nella commissione di un delitto per il quale è
previsto l'arresto in flagranza" (art.112,comma 1°, n.4). Tale circostanza integra la disciplina prevista
dall'art.111 (determinazione al reato di persona non imputabile o non punibile) in quanto si applica ai soggetti
affetti da vizio parziale di mente. Due nuovi commi art.112 "La pena è aumentata fino alla metà per chi si è
avvalso di persona non imputabile o non punibile, a cagione di una condizione, o qualità personale, nella
commissione di un delitto per il quale è previsto l'arresto in flagranza.
Se chi ha determinato altri a commettere il reato o si è avvalso di altri nella commissione del delitto ne è il
genitore esercente la potestà, nel caso previsto dal n.4 del primo comma la pena è aumentata fino alla metà e
in quello previsto dal secondo comma la pena è aumentata fino a due terzi".
LE CIRCOSTANZE ATTENUANTI ED IN PARTICOLARE IL CONTRIBUTO DI "MINIMA IMPORTANZA".
Applicazione "facoltativa" delle attenuanti: Art.114 ne prevede due:
1)
primo comma: il giudice può diminuire la pena qualora ritenga che l'opera prestata da taluno dei
concorrenti "abbia avuto minima importanza nella preparazione o nell'esecuzione del reato" (semprechè non
ricorra taluna delle circostanze aggravatici previste dall'art.112). Si tratta di una sorta di "clausola generale" di
concretizzazione non sempre agevole di fronte alla notevole varietà tipologica delle condotte di partecipazione.
Concetto di contributo di "minima importanza":ricorre soltanto quando l'azione del correo può essere
facilmente sostituita con l'azione di altre persone, ovvero con una diversa distribuzione di compiti[485].
L'interpretazione abrogratrice della giurisprudenza: dell'attenuante de qua:
2) Art.114, comma 3° detta della minorazione psichica ed è stabilita a favore di chi è stato determinato a
commettere il reato a cooperare nel reato, quando concorrono le condizioni della coercizione esercitata da un
soggetto rivestito di autorità oppure della minorità o infermità mentale.
LA RESPONSABILITA' DEL PARTECIPE PER IL REATO DIVERSO DA QUELLO VOLUTO. [486]
Art.116 disciplina espressamente una particolare ipotesi di aberratio delicti in ragione della sua frequente
verificabilità nell'ambito del fenomeno concorsuale.
"Qualora il reato commesso sia diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti, anche questi ne risponde,
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se l'evento è conseguenza della sua azione od omissione" [487]; nel capoverso si aggiunge che "Se il reato
commesso è più grave di quello voluto" la pena è diminuita riguardo a chi volle il reato "meno grave" [488].
Due differenze con l'aberratio delicti in senso stretto:
1) nell'aberratio delicti l'evento diverso che si realizza deve essere il risultato (art.83) di un errore nell'uso
dei mezzi di esecuzione del reato o effetto di altra causa, nel caso preveduto dall'art.116 l'evento deve essere
"voluto" da taluno dei concorrenti (che devia dall'originario progetto criminoso);
2)
nell'ipotesi di cui all'art.83 non si richiede che l'evento diverso sia "prevedibile" (c'è uno sbaglio).
L'art.116 c.p. configura e disciplina una particolare ipotesi di ABERRATIO DELICTI, tuttavia l'art.116 c.p.
assoggetta, tenendo conto della maggiore pericolosità della delinquenza associata, la deviazione individuale
dal piano concordato da parte di uno dei concorrenti, ad una DISCIPLINA PIU' SEVERA di quella predisposta
dall'art.83 tra voluto e realizzato che si verifica in regime di esecuzione monosoggettiva; ed infatti nel primo
caso il soggetto risponde del reato diverso e non voluto a titolo di dolo e non di colpa. Va però tenuto presente
che nell'ipotesi di cui all'art.116 c.p. la divergenza tra voluto e realizzato si realizza per una SCELTA
CONSAPEVOLE dell'esecutore del reato. Nel caso previsto dall'art.83 c.p. invece, la divergenza tra voluto e
realizzato si verifica per un errore nei mezzi di esecuzione del reato.
La "responsabilità oggettiva" quale originario criterio di imputazione.
La responsabilità oggettiva dell'art.116: con l'attribuire al concorrente la responsabilità per l'evento diverso non
voluto sulla base del mero nesso condizionalistico configura - almeno in origine - una indubbia ipotesi di
responsabilità oggettiva, cioè che prescinde dal dolo e dalla colpa. In forza della previsione dell'art.116 del
reato diverso commesso dal concorrente che sia andato oltre i limiti dell'accordo prendendo di sua iniziativa
una decisione autonoma, il compartecipe nolente risponde sulla base del MERO NESSO DI CAUSALITA'
MATERIALE con la sua condotta di partecipazione.
L'interpretazione "correttiva" della Corte Costituzionale: contrasto con art.27, comma 1° Cost.? No, la
responsabilità ex art.116 poggia sulla "sussistenza non soltanto del rapporto di causalità materiale, ma anche
di un rapporto di causalità psichica": quest'ultima concepita nel senso che "il reato diverso più grave
commesso dal concorrente debba potere rappresentarsi alla psiche dell'agente, nell'ordinario svolgersi e
concatenarsi dei fatti umani, come uno sviluppo logicamente prevedibile di quello voluto, affermandosi in tal
modo anche la necessaria presenza di un coefficiente di colpevolezza".
La prevedibilità è il fattore eccezionale del rapporto di causalità. Altri anche sul piano della colpevolezza: la
prevedibilità non è solo elemento del rapporto causale, ma anche della costruzione della colpa che è
prevedibile ed evitabile: nell'art.116 c.p. l'evento diverso da quello voluto non è prevedibile ed attribuibile agli
altri correi quando viene meno o quando esiste il fattore eccezionale (es. ladri di quadri di cui uno di loro sia
maniaco sessuale che entrando in caso per rubare quadri trova la padrona di casa e...). L'accertamento si
sposta, per intero, sul piano della colpevolezza, quindi non più fattore prevedibile, in quanto eccezionale.
Violazione della regola doverosa nella scelta del concorrente da parte degli altri correi.
In tal modo la responsabilità ex art.116 c.p .perde i suoi connotati rigidamente oggettivi per trasformarsi in una
sorta di RESPONSABILITA' ANOMALA nella quale il concorrente nolente risponde, a titolo di dolo, di un
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evento non voluto, sulla base di un atteggiamento della volontà sostanzialmente colposo. Nella
responsabilità di cui all'art.116 c.p. il soggetto che non volle il reato diverso e più grave, pur non
avendolo previsto e anzi ritenuto evitabile, risponde comunque di un reato doloso sulla base di un
atteggiamento qualificabile come colposo, consistente appunto nell'essersi affidato, per realizzare
l'altra condotta dolosamente prevista e voluta, anche all'attività di altrui, che può non essere
suscettibile di controllo (Cass. 15 giugno 1998, n.9323).
Occorre tener presente che il soggetto non deve neppure avere accettato il rischio del verificarsi
dell'evento diverso, della commissione di un diverso reato, altrimenti risponde ex art.110 per averlo
voluto, a titolo di dolo eventuale senza alcuna possibilità di diminuzione di pena qualora esso sia più
grave del reato concordato[489].
L'essenza della responsabilità anomala ex art.116 consiste nel fatto che il concorrente, che volle il
reato diverso e meno grave, risponde, sulla base di un atteggiamento colposo, di un reato doloso: la
colpevolezza si sostanzia nell'inosservanza di regole di prudenza consistenti nell'essersi affidato, per
realizzare il proposito criminoso, anche alla condotta altrui, la quale, come tale, sfugge completamente
al dominio finalistico del soggetto e sulla quale quest'ultimo non può esercitare quel controllo che è
possibile esercitare sulla propria condotta per evitare, nei limiti in cui ciò è consentito, la causazione
di fatti offensivi non voluti. (Cass. 9 febbraio 1989).
Nel solco di questa presa di posizione la giurisprudenza ordinaria propende oggi per la tesi che i presupposti
della responsabilità ex art.116 siano due:
1)
il rapporto di causalità tra l'azione di ogni partecipe e il reato diverso da quello programmato;
2) la prevedibilità di tale reato diverso non voluto. Qui abbiamo due varianti interpretative: a) è sufficiente la
prevedibilità in astratto[490]; b) la "prevedibilità in concreto" dell'evento occorre cioè tener conto di tutte le
circostanze relative alla singola vicenda concreta.
In virtù di questa reinterpretazione correttiva o adeguatrice, la responsabilità ex art.116 perde i suoi connotati
rigidamente oggettivo-causali tendendo ad orientarsi secondo il modello dell'imputazione colposa, pur non
integrandone tutti i requisiti (non si richiede infatti la prova della violazione del dovere obiettivo di diligenza).
L'art.116 si applica altresì quando insieme col reato concordato se ne commetta un altro che costituisce un
prevedibile sviluppo del primo.
La disciplina del primo comma art.116 si applica a prescindere dalla maggiore o minore gravità del reato non
voluto rispetto a quello voluto; tuttavia nel caso di minore gravità del reato diverso, il giudice deve
obbligatoriamente applicare una diminuzione di pena rispetto a chi volle il reato meno grave. Si tratta di una
vera e propria circostanza attenuante.
CONCORSO NEL REATO PROPRIO E MUTAMENTO DEL TITOLO DEL REATO PER TALUNO DEI
CONCORRENTI. [491]
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Il concorso nel reato "proprio".
Un soggetto privo della qualità personale (c.d. extraneus) può concorrere alla commissione di un reato
realizzabile (monosoggettivamente) soltanto da un soggetto qualificato (c.d. intraneus)[492].
Disciplina art.110. Ai fini della responsabilità concorsuale piena ex art.110 c.p. in omaggio ai principi della
imputazione dolosa, l'extraneus, per rispondere di reato proprio, deve avere la consapevolezza di concorrere
ad un reato proprio, il che presuppone che conosca la qualifica dell'intraneus.
Ma ove l'estraneo ignori la qualifica posseduta?
Funzione dell'art.117 c.p. [493]"Se per le condizioni o le qualità personali del colpevole, o per i rapporti fra il
colpevole e l'offeso, muta il titolo del reato per taluno di coloro che vi sono concorsi, anche gli altri rispondono
dello stesso reato [494]. Nondimeno, se questo è più grave, il giudice può, rispetto a coloro per i quali non
sussistano le condizioni, le qualità o i rapporti predetti, diminuire la pena". [495]
L'art.117 c.p. trova applicazione proprio con riferimento ai REATI PROPRI NON ESCLUSIVI in relazione ai
quali la qualifica soggettiva determina solo un mutamento del titolo del reato, un diverso inquadramento di una
condotta che comunque costituirebbe illecito penale.La norma, quindi, riguarda solo i fatti commessi
dall'estraneo, che costituirebbero comunque reato anche in mancanza della qualifica di pubblico ufficiale,
rivestita dall'autore principale; quando, invece, l'azione del concorrente è di per sé lecita e l'illiceità dipende
dalla qualità personale di altro concorrente trova applicazione la norma generale di cui all'art.110 c.p. (Cass.
22 aprile 1989).
Pertanto presupposto per l'applicazione dell'art.117 e, conseguentemente per la concessione della
diminuzione di pena (rimessa, a differenza di quella prevista dall'art.116 c.p. alla discrezionalità del
giudice) è che l'extraneus ignori la qualifica soggettiva dell'intraneus perché, altrimenti, troverebbe
applicazione l'art.110 c.p. con conseguente esclusione di qualunque diminuzione di pena. E' evidente
che l'affermazione della responsabilità per un reato più grave in capo ad un soggetto del tutto ignaro della
qualifica soggettiva del concorrente, e che determina il mutamento del titolo del reato nel quale il primo voleva
concorrere, cela una ipotesi di RESPONSABILITA' OGGETTIVA: "non è infatti conforme ai principi della
imputazione dolosa che un partecipe debba rispondere di concorso in un reato' proprio', pur ignorando la
qualifica posseduta dal soggetto o dai soggetti rispetto ai quali muta il titolo del reato" (FIANDACA-MUSCO).
L'art.117 regola in maniera espressa una ipotesi di reato diversa dovuta non già (come nell'art.116) ad una
divergenza dal reato programmato, bensì alla particolare posizione soggettiva di taluno dei concorrenti. E
analogamente alla disciplina prevista dall'art.116, anche la norma in esame finisce con l'introdurre una forma
di responsabilità oggettiva[496].
La "responsabilità oggettiva" quale originario criterio di imputazione nell'ipotesi prevista dall'art.117 c.p..
L'interpretazione "correttiva": per parte della dottrina si esclude che la norma deroghi ai normali principi del
concorso nel reato proprio ex art.110.
Il rispettivo ruolo dell'intraneo e dell'estraneo nell'esecuzione del fatto: L'art. 117 omette di specificare quali
siano le circostanze nelle quali ha luogo il mutamento del titolo del reato a causa delle particolari qualità del
colpevole o dei suoi rapporti con l'offeso: farsi guidare dall'interpretazione delle fattispecie di parte speciale di
volta in volta considerate[497].
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Per la giurisprudenza (condivisa da Fiandaca-Musco) la circostanza attenuante facoltativa a favore di chi volle
il reato meno grave è applicabile soltanto al soggetto ignaro della qualifica.
LA COMUNICABILITA' DELLE CIRCOSTANZE
Art.118 "Le circostanze che aggravano o diminuiscono le pene concernenti i motivi a delinquere, l'intensità del
dolo, il grado della colpa e le circostanze inerenti alla persona del colpevole[498] (id est: imputabilità e
recidiva ex art.70 ult. comma) sono valutate soltanto riguardo alla persona cui si riferiscono". [499]
Regola della inestensibilità agli altri compartecipi delle circostanze: nel silenzio dell'art.118 a quale tipo di
disciplina soggiacciono le circostanze diverse? Ovvero: dette circostanze si estendono automaticamente a tutti
i concorrenti; ovvero soggiacciono anch'esse alla nuova regola di imputazione soggettiva introdotta in via
generale dal riformato art.59 del codice?
Soluzione corretta: è applicabile il regime generale di imputazione, il nuovo art.59 ha mirato all'obiettivo di
affermare anche su questo terreno il principio di colpevolezza.
L'art.118 ricomprende alcune specifiche circostanze strettamente personali (aggravanti e attenuanti)
soggettive, che sono valutate solo con riguardo alla persona cui si riferiscono anche se conosciute o
conoscibili dagli altri concorrenti. Tutte le circostanze oggettive e quelle soggettive non ricomprese
nell'art.118 c.p. rientrano invece nell'ambito applicativo dell'art.59 c.p., con imputazione oggettiva se attenuanti
e almeno colposa se aggravanti.
In applicazione dell'art.59 vale la regola della persistente rilevanza "oggettiva" delle circostanze
attenuanti e, dunque, della conseguente loro estensibilità a tutti i compartecipi (eccettuate, beninteso,
quelle a carattere soggettivo menzionate nell'art.118).
Con riferimento invece alle circostanze aggravanti, l'art.59 oggi fissa la regola che esse possono
essere applicate soltanto in quanto conosciute o conoscibili dal reo[500].
LA COMUNICABILITA' DELLE CAUSE DI ESCLUSIONE DELLA PENA
Art. 119 Valutazione delle circostanze di esclusione della pena.-
1. Le circostanze soggettive[501] le quali escludono la pena per taluno di coloro che sono concorsi nel
reato hanno effetto soltanto riguardo alla persona cui si riferiscono[502].
2. Le circostanze oggettive[503] che escludono la pena hanno effetto per tutti coloro che sono concorsi
nel reato.
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Circostanze soggettive: non si comunicano, ma si applicano soltanto ai correi cui personalmente si
riferiscono,le cause soggettive di esclusione della pena (cause di esclusione della colpevolezza e le cause di
esclusione della sola punibilità).
Circostanze oggettive: di esclusione della pena (art.119, comma 2°): sono tali le "cause di giustificazione" o
"scriminanti" (art.50 ss.) la cui presenza dal suo contributo prima prestato alla realizzazione concorsuale del
reato elide l'antigiuridicità obiettiva del fatto criminoso[504].
DESISTENZA VOLONTARIA[505] E PENTIMENTO OPEROSO
Forme di manifestazione della desistenza e ruolo del correo: ove il soggetto che desiste rivesta la posizione di
"esecutore"[506] il recesso si manifesterà in forma "negativa" (effetto di impedire la consumazione del reato).
Posizione del semplice complice, più problematica: il partecipe dovrà necessariamente attivarsi per
neutralizzare le conseguenze della collaborazione già prestata.
Presupposti minimi della desistenza del complice: proprio in aderenza al principio della "personalità" della
responsabilità penale, è da ritenere che la desistenza del partecipe sia configurabile anche allorché egli si
limiti a neutralizzare la condotta già realizzata, elidendone gli effetti rispetto alla produzione collettiva
dell'evento. Nella misura in cui riesce a privare la realizzazione comune del proprio apporto, il complice si
emancipa infatti dalla commissione di un fatto che, in quanto viene posto in essere soltanto dagli altri correi,
non può più essere considerato "opera sua"[507].
Pentimento operoso: presuppone che l'azione collettiva sia giunta ad esaurimento e che uno dei concorrenti
riesca ad impedire il verificarsi dell'evento lesivo: ad es. A e B infliggono coltellate a C con volontà omicida, ma
B colto da pentimento porta C in ospedale riuscendo a impedirne il decesso. Natura di circostanza attenuante
"soggettiva".
ESTENSIBILITA' DELLA DISCIPLINA DEL CONCORSO "EVENTUALE" AL CONCORSO "NECESSARIO".
Reati plurisoggettivi "propri" e "impropri":
propri: contraddistinti dalla circostanza che vengono assoggettati a pena tutti i coagenti (ad es.
associazione per delinquere, rissa, ecc.);
impropri: la norma incriminatrice dichiara punibili soltanto uno o alcuni dei partecipanti al fatto[508] (es.
corruzione impropria susseguente, usura, corruzione di minorenni, ecc.).
Nei reati plurisoggettivi impropri può porsi il problema se il concorrente necessario, esentato da sanzione dalla
norma incriminatrice di parte speciale, possa essere invece ritenuto responsabile in base alle norme (art.110
ss.) che disciplinano il concorso eventuale.
Parte della dottrina ritiene che tale problema andrebbe risolto alla stregua della voluntas legis, cioè verificando
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se l'esenzione da responsabilità del concorrente necessario corrisponda o no allo scopo della norma
incriminatrice violata e alle direttive generali dell'ordinamento giuridico[509].
Per Fiandaca-Musco è preferibile l'opinione tradizionale che nega la punibilità del concorrente non
espressamente (expressis verbis) incriminato dalla norma incriminatrice di parte speciale: precisa scelta
legislativa a favore dell'impunità, altrimenti si disattende al principio del nullum crimen sine lege.
Applicabilità ai concorrenti necessari, punibili in base alla norma incriminatrice di parte speciale, dalle norme
sul concorso eventuale relative alle circostanze aggravanti e attenuanti (artt.112 e 114), nonché alla
comunicabilità sia delle circostanze medesime sia delle cause di esclusione della pena (artt.118 e 119).
Un concorso eventuale è ammissibile anche nella realizzazione di un reato necessariamente
plurisoggettivo[510].
CONCORSO EVENTUALE E REATI ASSOCIATIVI
Responsabilità dei "capi" per i reati-scopo: presupposti minimi da accertare in concreto, caso per caso, perché
i vertici delle organizzazioni criminose assumano il ruolo di determinatori o istigatori dei vari illeciti rientranti nel
programma criminoso delle associazioni stesse. E' necessario che le direttrici generali del programma
criminoso dell'associazione contengano già in nuce, sufficientemente predeterminati, almeno i tratti
"essenziali" dei singoli comportamenti delittuosi realizzati dai compartecipi.
Il c.d. concorso "esterno": attiene alla configurabilità di un concorso eventuale nel reato associativo (c.d.
concorso "esterno") da parte di soggetti "estranei" all'associazione criminosa: cioè di soggetti che, pur non
facendo parte integrante di un'organizzazione criminale in qualità di partecipi "interni" alla sua struttura,
intrattengono tuttavia rapporti di collaborazione con l'organizzazione medesima in modo da contribuire alla sua
conservazione o al suo rafforzamento. Si pensi, per esemplificare, al politico o al professionista che, pur non
essendo formalmente "affiliato" all'associazione mafiosa realizzi in modo stabile o sistematico comportamenti
che ridondano a vantaggio dell'associazione stessa (es. garantendo assegnazione appalti, ecc.). Vuoti di
tutela penale colmabili con l'ipotesi del concorso eventuale esterno ex art.110 e ss. nel reato associativo che di
volta in volta viene in questione (associazione per delinquere, associazione di tipo mafioso, banda armata,
eccetera). Senonchè, proprio la configurabilità di detto concorso esterno risulta controversa. Ed invero, mentre
sembra meno controvertibile un concorso eventuale nella forma statisticamente meno frequente di un
concorso morale (si pensi ad esempio ad un genitore che istighi il figlio a costituire o a entrare a far parte di
un'associazione criminosa), molto dubbia appare l'ammissibilità di un concorso esterno nei termini - più
rilevanti nella prassi - di un concorso materiale.
Non si può partecipare o concorrere nel reato associativo se non facendo parte tout court dell'associazione:
viceversa, il soggetto che rimane "estraneo" all'associazione non può, per ciò stesso, prender parte
(dall'esterno) a un illecito che, come quello associativo, richiede per definizione l'assunzione del ruolo di
partecipe "interno".
PARTE TERZA: IL REATO COMMISSIVO COLPOSO
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Cap. 1. IL REATO COMMISSIVO COLPOSO
E' un reato che presenta caratteristiche strutturali proprie che emergono già sul piano dell'elemento oggettivo
(condotta, evento e nesso di causalità) cioè della tipicità per riflettersi poi sul piano della colpevolezza.
Sezione I. TIPICITA'
PREMESSA
Sviluppo tecnologico e incremento della criminalità colposa.
Il reato colposo come modello "specifico" di illecito penale.
IL FATTO COMMISSIVO COLPOSO TIPICO: AZIONE
L'evento lesivo deve essere del tipo di quello che la norma cautelare tendeva ad evitare. Se così non fosse la
responsabilità colposa si trasformerebbe in responsabilità oggettiva basata sul mero VERSARI IN RE
ILLICITA.
La rilevanza "pratica" del concetto di azione: funzione "selettiva" dei comportamenti penalmente rilevanti, nel
senso che tale concetto serve ad escludere le "non azioni" dall'area del penalmente sanzionabile. Terreno
nevralgico il delitto colposo (vedi colpa c.d. incosciente).
Cosa significa azione "cosciente e volontaria" (art.42) nel delitto colposo?
Atti riflessi, istintivi, automatici, incoscienti.
"Azione" e "colpa" stanno e cadono insieme: Vi è azione penalmente rilevante finchè è possibile muovere un
rimprovero per colpa.
Il concetto di "coscienza e volontà" dell'azione ex art.42 va differenziato:
-
nei reati dolosi consiste in un coefficiente psicologico effettivo;
nei reati colposi consiste in un dato psicologico (colpa c.d. cosciente[511]) o con un dato
normativo (colpa c.d. incosciente)[512]. All'agente si rimprovera di non aver attivato quei poteri di
controllo che doveva e poteva attivare per scongiurare l'evento lesivo: il giudizio di volontarietà
assume in tali casi un contenuto normativo proprio perché il rimprovero si fonda, essenzialmente, sul
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fatto che l'agente non ha osservato, pur potendolo, lo standard di diligenza richiesto nella situazione
concreta.
INOSSERVANZA DELLE REGOLE PRECAUZIONALI DI CONDOTTA
L'inosservanza del dovere oggettivo di diligenza quale elemento della "tipicità"
L'art.43 definisce il delitto "colposo, o contro l'intenzione, quando l'evento, anche se preveduto, non è voluto
dall'agente, e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia ovvero per inosservanza di leggi,
regolamenti, ordini o discipline". [513]
Ci sono requisiti di natura psicologica e a carattere normativo. Per quanto riguarda quest'ultimi la
violazione delle norme a contenuto precauzionale caratterizza il reato colposo sotto un duplice p.d.v.:
a)
integra una specifica forma di colpevolezza;
b) rileva già sul piano della tipicità: ogni illecito colposo si conforma sulla base del rapporto intercorrente fra
la trasgressione del dovere oggettivo di diligenza e i restanti elementi della fattispecie incriminatrice. Sicchè, il
contenuto del dovere di diligenza muta in funzione del tipo di fattispecie che viene in questione.
L'inosservanza del dovere obiettivo di diligenza tra gli elementi della tipicità del fatto colposo consente di
raggiungere tre importanti obiettivi:
a)
riequilibra la criticabile tendenza ad attribuire, sul terreno della colpa, peso decisivo alla "causazione
materiale dell'evento", quasi che si trattasse di una forma "mascherata" di responsabilità oggettiva.
b) Rafforza la funzione di tutela dei beni giuridici tipicamente spettante alla norma penale: pretendere una
norma oggettiva equivale ad esigere da parte di tutti i consociati un livello minimo ed irrinunciabile di cautele
nello svolgimento della vita sociale.
c)
Evita che possano pretendersi dal singolo comportamenti che vanno al di là delle normali capacità di
prestazione proprie dell'uomo medio: ne deriva come ulteriore vantaggio il rispetto del principio di uguaglianza
fra tutti i cittadini.
CRITERI DI INDIVIDUAZIONE DELLE REGOLE DI CONDOTTA: "PREVEDIBILITA'" ED "EVITABILITA'"
DELL'EVENTO. IL LIMITE DEL CASO FORTUITO.
Criterio della PREVEDIBILITA' O PREVENIBILITA' secondo la migliore scienza ed esperienza del momento
storico (MANTOVANI).
Le regole di diligenza vigenti nei vari contesti sociali di riferimento rappresentano la "cristallizzazione" di giudizi
di prevedibilità ed evitabilità ripetuti nel tempo.
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Le regole cautelari consolidate e la verifica della loro persistente validità: Ove la regola di condotta si riveli
inadeguata a far conseguire l'obiettivo precauzionale preso di mira, l'agente non dovrà limitarsi ad adottare
cautele tradizionalmente suggerite dagli usi sociali, ma dovrà di volta in volta emettere un rinnovato giudizio di
prevedibilità ed evitabilità, inteso a verificare la persistente validità della regola cautelare che dovrebbe essere
osservata.
Regole cautelari e attività di sperimentazione. escluso[514].
Regole cautelari e attività socialmente utili. Non pregiudicare nei suoi aspetti essenziali il comportamento
autorizzato, altrimenti si annullerebbe utilità sociale, in vista della quale determinati comportamenti rischiosi
risultano consentiti dall'ordinamento.
Colpa c.d. specifica: inosservanza di regole scritte di condotta: in questo caso il giudizio prognostico sul
pericolo, e sui mezzi atti ad evitare l'evento dannoso, è compiuto dall'autorità che pone la norma scritta.
Colpa e caso fortuito. Il caso fortuito esclude la colpa perché consiste in un accadimento imprevedibile, che
fuoriesce dal novero di quegli accadimenti preventivamente rappresentabili cui soltanto possono riferirsi le
regole di condotta a contenuto precauzionale.
FONTI E SPECIE DELLE QUALIFICHE NORMATIVE RELATIVE ALLA FATTISPECIE COLPOSA.
a)
Fonte sociale: negligenza[515]; imprudenza[516], imperizia[517] (secondo la colpa c.d. generica[518]);
b) Fonte giuridica: art.43 quando parla di inosservanza di "leggi, regolamenti, ordini o discipline" (colpa c.d.
specifica).
Leggi a specifica finalità precauzionale:nel ns.ordinamento la colpa consiste nella trasgressione di una norma
avente una specifica finalità cautelare, più precisamente di una norma avente a contenuto l'impedimento di
eventi involontari connessi allo svolgimento di attività lecite:nel concetto di "leggi" art.43, comma 3° rientra
non una qualsiasi legge penale, ma soltanto quella legge penale che abbia una specifica finalità precauzionale
nel senso anzidetto[519].
Le altri fonti normative
Vantaggi e inconvenienti della positivizzazione delle regole precauzionali[520]
Norme "rigide"[521] ed "elastiche"[522]
CONTENUTO DELLA REGOLA DI CONDOTTA
Obbligo di astensione
Obbligo di adottare misure cautelari
Obbligo di preventiva informazione
Obbligo di controllo sull'operato altrui
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STANDARD OGGETTIVO DEL DOVERE DI DILIGENZA
Il parametro dell"homo eiusdem professionis et condicionis": la misura della diligenza, della perizia e
della prudenza dovute sarà quella del modello di agente che svolga la stessa professione, o stesso
mestiere, lo stesso ufficio, la stessa attività dell'agente reale.
Pluralità di agenti-modello: es. per l'espletamento di attività medico sanitaria: cattedratici, specialisti, generico.
L'agente dotato di conoscenze superiori:
LIMITI DEL DOVERE DI DILIGENZA: A) RISCHIO CONSENTITO
Attività pericolose socialmente utili: il giudizio di colpa presuppone che sia oltrepassato un limite:
quello dell'"adeguatezza sociale" o "rischio consentito".
Responsabilità per il "tipo di produzione": c.d. rischio consentito però vedi vicenda Seveso. Criteri
meramente fattuali: si ritiene consentito ciò che di fatto viene - anche a torto - tollerato dalla comunità
sociale.
Autorizzazioni amministrative[523]: rendono esplicitamente lecito lo svolgimento di determinate attività,
subordinandone l'esercizio al rispetto di precise norme cautelari.
SEGUE: B) PRINCIPIO DELL'AFFIDAMENTO E COMPORTAMENTO DEL TERZO
Scopo della disposizione scritta trasgredita
Violazione di regole generiche di diligenza: a) mancato impedimento del fatto colposo del terzo: distinguere a
seconda che la condotta del terzo dia, a sua volta, luogo ad una forma di responsabilità colposa o dolosa.
Principio dell'affidamento: ogni consociato può confidare che ciascuno si comporti adottando le regole
precauzionali normalmente riferibili al modello di agente proprio dell'attività che di volta in volta viene in
questione.
Eccezioni al principio dell'affidamento:
1)
nei casi in cui particolari circostanze lascino presumere che il terzo medesimo non sia in grado di
soddisfare le aspettative dei consociati[524] (es.persona senza patente).
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2)
ipotesi nelle quali l'obbligo di diligenza si innesta su di una "posizione di garanzia" nei confronti di un
terzo incapace di provvedere a se stesso[525] (es. pazzo).
Attività medica d'équipe
b) mancato impedimento del fatto doloso nel terzo: vale il principio dell'autoresponsabilità: ciascuno risponde
delle proprie azioni deliberate in modo libero e responsabile.
Eccezioni al principio dell'autoresponsabilità:
1)
casi ove il soggetto riveste una posizione di garanzia avente a contenuto la difesa di un bene rispetto
anche alle aggressioni dolose di terzi che intendono minacciarlo[526].
2)
Controllo di fonti di pericolo (armi, veleni, esplosivi, ecc.) di cui un terzo possa far uso al fine di
commettere un illecito doloso, ecc.
CAUSAZIONE DELL'EVENTO
Causalità e imputazione obiettiva dell'evento nei reati colposi
Qui il rapporto di causalità sempre alla stregua della teoria condizionalistica orientata secondo il modello della
sussunzione sotto leggi scientifiche.L'attribuzione dell'evento lesivo al soggetto presuppone tuttavia, un quid
pluris rispetto all'esistenza del nesso causale strettamente inteso: l'evento deve cioè rappresentare la
conseguenza non tanto della semplice azione materiale, quanto di una azione connotata dalla specifica
caratteristica di contravvenire al dove oggettivo di diligenza.
L'evento deve apparire come una CONCRETIZZAZIONE DEL RISCHIO, che la norma violata tendeva a
prevenire. L'accertamento del giudice avviene in due fasi:
1)
stabilire se l'azione ha materialmente cagionato l'evento;
2) vedere se l'osservanza della condotta conforme al dovere di diligenza sarebbe valsa a impedire l'evento:
giudizio di tipo ipotetico.
Ricorso al CRITERIO DEL COSIDDETTO AUMENTO DEL RISCHIO (per non ridimensionare lo spazio della
prevenzione).
L'evento lesivo come concretizzazione del rischio prevenibile mediante la norma cautelare: l'evento lesivo di
fatto cagionato deve appartenere al tipo di quelli che la norma di condotta mirava a prevenire. Ove così non
fosse, la responsabilità colposa si ridurrebbe a mera responsabilità oggettiva basata sul semplice nesso di
causalità materiale. Contrasta con:
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art.42 che distingue i casi di responsabilità colposa da quelli in cui l'evento è posto "altrimenti" a
carico dell'agente[527];
art.43 che nel fornire la definizione legislativa del delitto colposo, delinea con assoluta immediatezza una
relazione interna fra l'evento e la condotta inosservante delle regole generiche o scritte di diligenza.
Dubbio: la prevedibilità dell'evento, conforme al tipo di quelli che la norma precauzionale mirava ad impedire,
deve essere verificata in astratto o in concreto?
1) in astratto: ragioni di certezza, presunzione assoluta che l'osservanza della norma cautelare sarebbe
valsa ad impedirne l'evento (funzione preventiva della norma): rischio di degradare la responsabilità colposa a
quella "oggettiva" più o meno occulta[528].
2)
La prevedibilità in concreto dell'evento: per mettere al bando il principio "qui in re illicita versatur
tenetur etiam pro casu" è preferibile la tesi che richiede la prevedibilità "in concreto" dell'evento. Modelli di
soluzione[529]:
L'obiezione del c.d. comportamento alternativo lecito e le relative giustificazioni dogmatiche: La
giurisprudenza e la dottrina tedesca per attribuire efficacia liberatoria all'obiezione del c.d.
comportamento alternativo lecito (cioè del comportamento omesso conforme al dovere di diligenza ma
inidoneo ad impedire l'evento), ricorrono a spiegazioni dogmatiche diverse e non riconducibili a criteri
di valutazione omogenei[530]. Secondo un'ulteriore opinione che sembra ricevere crescenti consensi,
l'imputazione dell'evento nei casi nevralgici in discorso deve essere effettuata in base al criterio de
L'aumento del rischio: cioè ai fini dell'affermazione della responsabilità, sarebbe sufficiente accertare che
l'inosservanza della regola di condotta ha determinato un rilevante aumento del rischio di verificazione
dell'evento. L'impiego di questo criterio sarà tanto più appagante, quanto più "controllabile" risulterà il giudizio
ipotetico sull'attitudine della condotta alternativa lecita a prevenire l'evento: l'esclusione della responsabilità
potrà essere adeguatamente motivata quando sussistano elementi di fatto, empiricamente verificabili, che
lasciano apparire come altamente improbabile l'impedimento dell'evento mediante l'osservanza della condotta
doverosa.
Sezione II. ANTIGIURIDICITA'
PREMESSA
La tipicità ha una funzione "indiziante" rispetto all'antigiuridicità concepita come assenza di cause di
giustificazione: onde, se si accerta l'esistenza di un'esimente, il fatto commesso non costituisce reato.
CONSENSO DELL'AVENTE DIRITTO
La giurisprudenza tende ad escludere l'efficacia scriminante del consenso nei reati colposi:
1) il consenso non scriminerebbe a causa della natura indisponibile dei beni della vita e dell'integrità fisica:
portata pratica assai limitata.
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2) sussiste l'incompatibilità tra il consenso concepito come volontà di lesione e il carattere involontario del
reato colposo: di consenso dell'avente diritto si può parlare soltanto in rapporto ad un reato doloso.
Limitato ambito di operatività dell'art.50 c.p.[531]
LEGITTIMA DIFESA
qui manca la volontà di aggredire
STATO DI NECESSITA'
Ricorre veramente soltanto quando l'azione necessitata viola il dovere obiettivo di diligenza[532].
Azione necessitata che adempie al dovere di diligenza:
La suddetta distinzione si ripercuote sul fatto tipico: non potrà riconoscersi il diritto all'indennità fissato
dall'art.2045 C.C. quando il fatto tipico viene a mancare per la conformità del comportamento necessitato alla
regola precauzionale.
Sezione III. COLPEVOLEZZA
STRUTTURA PSICOLOGICA DELLA COLPA
La c.d. misura "soggettiva" del dovere di diligenza e le cause di esclusione della colpevolezza. Dal p.d.v.
psicologico la colpa presuppone, innanzitutto, l'assenza della volontà diretta a commettere il fatto: la
realizzazione della fattispecie colposa deve, dunque, essere non voluta.
Colpa propria e impropria:
-
propria: manca la volontà dell'evento;
impropria: l'evento è voluto ma l'agente non risponde di reato colposo (casi di eccesso colposo nelle
cause di giustificazione art.55, di erronea supposizione colposa di una scriminante art.59 ult. comma e di
errore di fatto determinato da colpa art.47). In realtà anche i fatti in questione sono strutturalmente
colposi: il dolo non è configurabile perché manca la coscienza e la volontà dell'intero fatto tipico,
stante l'erronea rappresentazione di elementi non corrispondenti alla realtà. Inoltre, ciò che si
rimprovera all'agente non è di aver voluto l'evento, bensì di averlo provocato con negligenza o
imperizia[533].
Colpa cosciente:non v'è incompatibilità tra colpa e previsione dell'evento (art.43, comma 3°): si parla infatti di
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colpa cosciente o colpa con previsione rispetto alle ipotesi nelle quali l'agente non vuole commettere il reato,
ma si rappresenta l'evento come possibile conseguenza della sua condotta. (art.61, n.3: si tratta di circostanza
aggravante).
Colpa incosciente:[534] casi statisticamente più frequenti. Quando il soggetto non si rende conto di potere
con il proprio comportamento ledere o porre in pericolo beni giuridici altrui. In questi casi il rimprovero che si
muove al soggetto è di non aver prestato sufficiente attenzione alla situazione pericolosa. La gran parte dei
casi di colpa inconsapevole difetta di coscienza e volontà come coefficienti psicologici reali: si pensi alle azioni
impulsive o automatiche o a certe ipotesi di omissione dovute a pura dimenticanza. Giudizio di natura
schiettamente normativa.
LA MISURA "SOGGETTIVA" DEL DOVERE DI DILIGENZA
La "doppia" misura del dovere di diligenza : una volta accertata in sede di tipicità la violazione del
dovere obiettivo di diligenza enucleato alla stregua dell'homo eiusdem condicionis et professionis , il
rimprovero di colpevolezza viene fatto dipendere dall'accertamento dell'attitudine del soggetto che ha
in concreto agito ad uniformare il proprio comportamento alla regola di condotta violata: tale verifica
dovrebbe tener conto del livello individuale di capacità, esperienza e conoscenza del singolo agente
(c.d. misura soggettiva).
Il vero oggetto della disputa tra "oggettivisti" e "soggettivisti": Il vero problema sta nella scelta delle qualità
personali che devono rientrare sulla base del giudizio per la determinazione della "possibilità di agire
altrimenti" dell'agente concreto. Occorre stabilire se, ai fini del giudizio di colpa, assumano rilevanza le
caratteristiche fisiche e/o intellettuali .
IL "GRADO" DELLA COLPA
L'art.133 menziona, fra gli indici di commisurazione della pena, il "grado della colpa".
No distinzioni civilistiche: finalità diverse.
Il grado di divergenza tra la condotta tenuta e la condotta doverosa : individuare criteri di graduazione coerenti
con l'essenza della colpa penale: occorrerà accertare la misura di divergenza tra la condotta effettivamente
tenuta e la condotta che era invece da attendersi in base alla norma cautelare cui ci si doveva attenere nel
caso di specie. Soccorrerà un criterio di valutazione oggettivo ed un criterio di valutazione
soggettivo[535].
CAUSE DI ESCLUSIONE DELLA COLPEVOLEZZA
Le circostanze anormali concomitanti all'agire : possono giungere sino ad incidere sullo stesso an della
punibilità[536].
Necessità di una loro espressa tipizzazione legislativa: così è, per qualche autore, per gli artt.45 e 46? No,
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sono circostanze scusanti legalmente tipizzate che il giudice è comunque costretto a tener conto.
La rilevanza pratica delle circostanze anormali "non tipizzate": le quali possono inibire le capacità psico-fisiche
dell'agente, senza tuttavia integrare tutti gli estremi delle circostanze tipizzate: si pensi ad es. alla stanchezza
eccessiva, allo stordimento, al terrore, alla costernazione, alla paura,ecc., cioè a quell'insieme di situazioni che
producono un grave perturbamento psichico ma che non possono essere tecnicamente ricondotte al
costringimento fisico, alla forza maggiore ovvero al caso fortuito.
Scusante si desume da un'avveduta interpretazione dell'art.42, comma 1°, la formula "nessuno può essere
punito per un'azione od omissione preveduta dalla legge come reato, se non l'ha commessa con coscienza e
volontà" è, infatti, idonea a fungere da clausola generale ricomprendente tutte le circostanze anormali
non tipizzate o innominate: cioè quelle circostanze, come appunto gli stati di terrore, stati ipnotici,
obnubilamenti improvvisi, ecc. che escludono la colpevolezza perché inibiscono i poteri di orientamento
cosciente e volontario dell'agente.
Sezione IV. LA COOPERAZIONE COLPOSA
LA DISCIPLINA PREVISTA DALL'ART.113 C.P.
L'art.113 del codice dispone "Nel delitto colposo, quando l'evento è stato cagionato dalla cooperazione di più
persone, ciascuna di queste soggiace alle pene stabilite per il delitto stesso.[537]
La pena è aumentata per chi ha determinato altri a cooperare nel delitto, quando concorrono le condizioni
stabilite nell'art.111 e nei numeri 3 e 4 dell'art.112".[538]
Ratio dell'art.113 c.p. : è definita cooperazione colposa (istituto del concorso di persone nel reato colposo per
distinguerlo dall'ipotesi di concorso personale nel reato doloso).
Cooperazione colposa e concorso di cause colpose indipendenti , criteri per discriminare:
orientamento dogmatico nell'ambito dottrina tradizionale: esistenza o no di un legame psicologico tra i
diversi soggetti agenti[539]. Altre posizioni (interne all'orientamento): -) è sufficiente che questo legame
psicologico consista nella consapevolezza di collaborare con la propria condotta all'azione materiale altrui
(beninteso senza volontà di cagionare l'evento lesivo); -) è necessaria l'ulteriore consapevolezza del
carattere colposo della condotta altrui. L'art.113 assolverebbe non solo ad una funzione di disciplina
ma anche ad una funzione incriminatrice[540].
Per potersi parlare di cooperazione colposa (l'art.113 non parla di concorso) occorre un legame
psicologico tra le varie condotte costituito dalla COSCIENZA E VOLONTA' DI CIASCUNO DI
CONCORRERE CON ALTRI [541]; chiaramente, trattandosi di reato colposo caratterizzato dalla non volontà
dell'evento, i compartecipi non avranno la volontà di concorrere alla commissione di un reato ma solo ALLA
CONDOTTA VIOLATRICE di norme cautelari. E la necessità di questo legame psichico determina la
differenza tra la cooperazione colposa ed il CONCORSO DI CAUSE INDIPENDENTI: mentre nella
cooperazione le volontà devono tutte confluire consapevolemente all'interno della condotta dalla quale deriva
l'evento, nei casi di concorso di cause indipendenti l'evento consegue ad una mera coincidenza di azioni od
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omissioni non collegate da alcun vincolo subiettivo. Pertanto nella cooperazione l'agente ha la consapevolezza
di contribuire con la propria condotta, sommata a quella di altri, alla realizzazione dell'evento non voluto; nel
concorso di cause, invece, l'evento è cagionato da una mera coincidenza fortuita di azioni non collegate tra
loro da alcun vincolo morale. Nella cooperazione colposa si realizza una unità di reato con pluralità di soggetti;
nel concorso di cause indipendenti si realizza, invece, una pluralità di reati nonostante l'unicità dell'evento.
Come in ogni reato colposo anche nella cooperazione occorre la violazione di norme cautelari che potrà
consistere:
1) nella inosservanza della regola cautelare propria del concorrente: es. prestare la macchina al soggetto
privo di patente;
2) nella inosservanza comune ai concorrenti: si pensi al tipico esempio dei due cacciatori che accendono un
falò nel bosco arido determinando per negligenza un incendio;
3)
nel concorso nella inosservanza altrui: es. istigazione a superare il limite di velocità.
Infine occorre la PREVEDIBILITA'-EVITABILITA' dell'evento non voluto (MANTOVANI).
Limiti dell'orientamento tradizionale. Sul piano delle ragioni politico -criminali/ sul piano dogmatico (sfasatura
tra l'istituto de quo e la più recente evoluzione della teoria della colpa penale). Come sappiamo il concetto di
colpa è squisitamente normativo, e la violazione del dovere oggettivo di diligenza rileva già sul piano della
tipicità del fatto colposo. Da questa irrinunciabile premessa dogmatica consegue che la "colposità" delle
singole condotte di cooperazione deve essere accertata già sul terreno dell'elemento materiale e, quindi, in
uno stadio che precede quello dell'elemento psicologico. Inoltre, ove si esiga nel concorrente atipico anche la
consapevolezza della colposità della condotta dell'autore principale, ci si espone alla ulteriore obiezione che
l'art.113 potrebbe operare soltanto nell'ambito della colpa c.d. cosciente.
Reati casualmente orientati e funzione di disciplina dell'art.113 c.p. : Appunto valorizzanto la struttura
prettamente normativa della colpa, ci si avvede che la supposta funzione incriminatrice (nel senso anzidetto)
dell'art.113 può essere fortemente posta in dubbio almeno in relazione alla categoria degli illeciti c.d.
casualmente orientati. Come già sappiamo, nell'ambito di questo tipo di reati il disvalore penale si accentra
tutto nella causazione dell'evento lesivo, mentre appaiono indifferenti le specifiche modalità comportamentali
che innescano il processo causale:onde, la condotta assume rilevanza penale innanzitutto per il fatto di
contribuire - direttamente o indirettamente - alla produzione dell'evento. E, nella forma colposa di
realizzazione, sarà tipica se, oltre ad esplicare efficacia causale, si porrà in contrasto col dovere obiettivo di
diligenza. Ne deriva allora che, in presenza delle suddette condizioni, l'istituto della cooperazione può apparire
superfluo, essendo ciascun fatto casualmente orientato punibile alla stregua della normativa incriminatrice di
parte speciale incentrata sull'autore singolo. Alla stregua di queste premesse si valuti il caso di un proprietario
di autovettura che affida a persona che egli sa priva di patente il proprio mezzo: l'affidatario, a causa
dell'inesperienza nella guida, provoca lesioni a terzi: il comportamento del proprietario è etichettabile come
"incauto affidamento" ed ha senz'altro rilevanza causale rispetto alle lesioni materialmente provocate
dall'affidatario, perché il prestito dell'automobile rappresenta una conditio sine qua non dell'incidente: lo stesso
comportamento è però colposo in se stesso, in quanto contrasta con la specifica regola cautelare che impone
di non affidare l'automobile a terzi non abilitati alla guida. Ma, se così è, sussistono tutti i requisiti per
incriminare il comportamento del proprietario in base alla fattispecie monosoggettiva delle lesioni personali
colpose preveduta dall'art.590: non c'è, dunque, alcuna necessità di ricorrere ad una norma ad hoc quale
l'art.113 per reprimere un tale comportamento a titolo di cooperazione colposa.
D'altro canto, se il comportamento del proprietario non disattendesse in se stesso una regola di condotta a
contenuto cautelare, a nulla varrebbe far leva sulla colposità della condotta del conducente dell'automobile:
perché vi sia responsabilità colposa di tutti i soggetti che eventualmente cooperano alla (involontaria)
produzione di un evento, occorre che ciascuna condotta di cooperazione violi una regola a contenuto
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precauzionale. Da quanto fin qui osservato consegue, dunque, che l'art.113 possiede, rispetto alle fattispecie
casualmente orientate o c.d. causali pure, soltanto la funzione di sottoporre le eventuali ipotesi di
collaborazione ad un regime penale diverso da quello che si avrebbe applicando le sole fattispecie
monosoggettive di parte speciale. Per recuperare la funzione incriminatrice dell'art.113 sul terreno degli stessi
reati casualmente orientati si sono, però, di recente addotte nuove argomentazioni: sarebbero ipotizzabili
comportamenti che , seppure casualmente rilevanti rispetto alla produzione dell'evento e seppure in contrasto
con obblighi di natura cautelare, non risulterebbero tipici rispetto alle fattispecie monosoggettive colpose di
parte speciale. Questi comportamenti atipici di cooperazione contrasterebbero - si sostiene - con "obblighi
cautelari di natura secondaria", cioè obblighi "che assumono ad oggetto non il proprio, ma l'altrui
comportamento, nel senso che impongono di verificare, controllare, impedire eventuali attività colpose da
parte di terzi" direttamente produttive dell'evento lesivo (e si fa - tra l'altro - proprio l'esempio dell'incauto
affidamento del veicolo ad un soggetto privo di patente): è con riferimento alla violazione di obblighi cautelari
aventi ad oggetto l'impedimento di condotte colpose altrui che l'art.113 manterrebbe, nell'ambito dei reati
casualmente orientati, una funzione incriminatrice di condotte altrimenti non punibili (COGNETTA). A ben
vedere, neppure questa impostazione risulta convincente: anzi, essa finisce paradossalmente per confermare
la validità dell'assunto che pretenderebbe di confutare. Ed invero, il disvalore connesso alla violazione di
obblighi cautelari c.d. secondari - e cioè,obblighi di controllo o sorveglianza nei confronti di un contegno altrui è quello che tipicamente connota la condotta omissiva: in altri termini, il rimprovero penale si riferisce ad
un'omissione di controllo o di vigilanza che ha per effetto il mancato impedimento del reato del terzo che si
doveva impedire. Ricorre dunque, lo schema del reato omissivo improprio colposo: cioè di un modello di fatto
delittuoso direttamente riconducibile alla fattispecie monosoggettiva di parte speciale (sia pure in virtù del
disposto dell'art.40,cpv.), senza che al riguardo muti qualcosa a seconda che l'obbligo di condotta disatteso
abbia a contenuto il diretto impedimento dell'evento lesivo, ovvero l'impedimento di una condotta altrui
causativa a sua volta dell'evento da evitare.
Reati a forma vincolata e funzione incriminatrice dell'art.113 c.p. : soltanto le fattispecie colpose c.d. a forma
vincolata vale a dire fattispecie che reprimono non già un'offesa comunque prodotta, bensì un'offesa realizzata
soltanto mediante specifiche modalità comportamentali.
Se il legislatore per la tutela di certi beni ha preferito ricorrere alla creazione di fattispecie (monosoggettive) a
forma vincolata, segno è che egli stesso ha inteso tutelarli non ad oltranza contro ogni possibile offesa (il che
invece avviene nell'ambito delle fattispecie casualmente orientate), bensì in maniera frammentaria, cioè
soltanto contro quelle specifiche modalità di offesa contemplate dalla norma incriminatrice: ma, se così è, il
ricorso a norme - come quella di cui all'art.113 - che finiscono, in sede di concorso, col conferire una tipicità
indiretta a forme di collaborazione "comunque" prestate, rappresenta una sorta di "deviazione teleologica"
rispetto al piano di tutela dei beni giuridici tracciato dallo stesso legislatore nelle fattispecie di parte speciale".
PARTE QUARTA: IL REATO OMISSIVO
Cap. 1. IL REATO OMISSIVO
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Sezione I. NOZIONI GENERALI
PREMESSA
Il carattere "eccezionale" della responsabilità omissiva negli ordinamenti vetero-liberali [542]
Nuove tendenze solidaristiche[543] e incremento dei reati omissivi a cavallo tra l'Ottocento e il Novecento
Autonomia dogmatica e specifica funzionalità politico-criminale dei reati omissivi
DIRITTO PENALE DELL'OMISSIONE E BENE GIURIDICO
Problema politico criminale della compatibilità tra la punibilità delle omissioni e l'idea della protezione dei beni
giuridici: mentre il diritto penale dell'"azione"[544] reprimerebbe la modificazione in peggio di una situazione
preesistente, e cioè la lesione di un (preesistente) bene giuridico, il diritto penale dell'"omissione"[545]
tenderebbe, invece, a promuovere il progresso e il benessere collettivo: sulle orme del Binding parte della
dottrina degrada il reato omissivo puro a illecito di pura disobbedienza. In termini sostanzialmente analoghi, v'è
chi sostiene che il disvalore dell'illecito omissivo proprio consista non tanto nella lesione di un bene giuridico
preesistente, quanto nella mancata produzione di un bene o di una utilità futura: in questa prospettiva si
auspica, dal p.d.v. criminale, la trasformazione degli illeciti di pura omissione in semplici illeciti amministrativi.
Ma bisogna distinguere[546], il vero problema è di verificare se l'interesse tutelabile con la creazione di una
fattispecie omissiva abbia, nella stessa coscienza sociale, raggiunto un tale livello di consolidamento da far
apparire necessario e legittimo il ricorso alla tutela penale.
Omissione (diritto penale) voce Digesto di G.Fiandaca
L'omissione assume significato in un'ottica socio-normativa; essa infatti presuppone un rapporto
<interazionistico> tra soggetti che genera aspettative di comportamento e dà vita a regole di condotta a
contenuto positivo. In questo senso, quello di omissione è un concetto tipicamente normativo: essa invero
consiste -per riproporre l'esatta definizione di GRISPIGNI - nel mancato compimento, da parte di un
soggetto, di una determinata azione che era da attendersi in base a una norma qualsivoglia (religiosa,
morale, sociale o di costume, giuridica, ecc.).
Mentre l'illecito commissivo ha alla base un'azione in senso stretto, il reato omissivo si risolve nel mancato
compimento di un'azione doverosa. Correlativamente, la norma penale che configura il reato di azione si
atteggia a divieto, in quanto vieta di realizzare la condotta positiva legislativamente descritta; il precetto
sotteso al reato omissivo funge invece da comando , dal momento che impone di compiere l'azione che
l'ordinamento fa obbligo di intraprendere[547].
LA BIPARTIZIONE DEI REATI OMISSIVI IN "PROPRI" E "IMPROPRI" [548]
Il tradizionale criterio di distinzione: due gruppi con caratteristiche diverse:
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1) reati omissivi propri (o di pura omissione): per la cui sussistenza è necessario e sufficiente la semplice
condotta negativa del reo: a) presupposto; b) condotta omissiva; c) termine.
2)
reati omissivi impropri (o impuri) o commissivi mediante omissione: che causa un evento.
Vari criteri per demarcare le due forme di illecito omissivo:
a)
più tradizionale: necessità della presenza o no di un evento come requisito strutturale del fatto di reato:
propri: delitti omissivi che consistono nel mancato compimento di un'azione che la legge penale
comanda di realizzare (a prescindere dal fatto che ne derivino o meno eventi dannosi quali risultati
concettualmente separabili dal contegno omissivo)[549];
impropri: delitti omissivi che consistono nella violazione dell'obbligo di impedire il verificarsi di un
evento tipico ai sensi di una fattispecie commissiva-base[550]; in altri termini sono i reati omissivi che non si
esauriscono nel mancato compimento di un'azione doverosa, occorrendo altresì che l'omissione si traduce
nel mancato impedimento di un evento lesivo che si aveva lo specifico obbligo giuridico di impedire.
La fattispecie omissiva impropria nasce da un processo di assimilazione tra il cagionare e il non impedire un
evento lesivo, che l'interprete compie in base al combinato disposto della norma di parte speciale che
configura il reato commissivo convertibile e della norma generale di cui all'art.40, 2° comma, c.p.. [551]
b)
rilevanza decisiva per Fiandaca-Musco al fatto che questo tipo delittuoso è carente di una previsione
legislativa espressa, quindi è preferibile - per rimanere fedeli all'origine storica della categoria dogmatica del
reato omissivo improprio - operare la distinzione in funzione, piuttosto che alla presenza o all'assenza di
un evento naturalistico, della diversa tecnica di tipizzazione adottata dal legislatore[552]. Una simile
scelta classificatoria appare, a ben vedere, preferibile proprio perché mette meglio in risalto la
specifica problematica del reato omissivo improprio quale figura criminosa priva (almeno in parte) di
tipizzazione normativa espressa e, perciò di dubbia compatibilità con i principi di legalità e di
sufficiente determinatezza della fattispecie:
propri: reati omissivi direttamente configurati come tali dalla singola disposizione incriminatrice (sia o
meno presente un evento naturalistico nella loro struttura)[553];
improprio: illeciti omissivi carenti di previsione legislativa espressa e ricavati dalla conversione[554] di
fattispecie create, in origine, per incriminare comportamenti positivi[555].
Il reato omissivo improprio, che è caratterizzato da cinque elementi tipici:
1)
l'obbligo di garanzia;
2)
il pericolo per il bene da proteggere;
3)
l'astensione dall'azione impeditiva[556];
4)
la realizzazione dell'evento (che si doveva impedire);
5)
il nesso di causalità tra l'omissione e l'evento[557].
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Sezione II. LA STRUTTURA DEL REATO OMISSIVO
1. I.
TIPICITA'
1. A.
LA FATTISPECIE OBIETTIVA DEL REATO OMISSIVO PROPRIO
SITUAZIONE TIPICA
Cioè dall'insieme dei presupposti da cui scaturisce l'obbligo di attivarsi, es. delitto di omissione di soccorso
art.593, delitto di omessa denuncia da parte del cittadino art.364, ecc.
Vedere anche il "fine" cui deve tendere il compimento dell'azione comandata, talvolta è specificato (es. fare
"referto" ex art.365), talaltra è stabilito in forma generica es. art.593, comma 2° che impone di prestare
"l'assistenza occorrente", rinviando così alle particolarità dei casi concreti per la specificazione del tipo di
soccorso richiesto.
Si può far uso di elementi descrittivi (rinvianti alla realtà naturalistica: es. omissione di soccorso) o elementi
normativi giuridici (es. caso dell'omessa denuncia di reato): aumento di questa seconda tecnica normativa
(con richiami a dati tecnici e a concetti giuridici anche di matrice extrapenale): di qui una certa artificiosità
dell'illecito omissivo proprio....
CONDOTTA OMISSIVA TIPICA E POSSIBILITA' DI AGIRE
L'omissione come concetto "normativo"
Teoria c.d. normativa: per Grispigni l'omissione è "non compimento - da parte di un soggetto - di una
determinata azione, che era da attendersi in base ad una norma".
La possibilità "materiale" di agire
Sul piano della tipicità della condotta omissiva tale possibilità di agire va intesa nel senso minimo di
possibilità materiale di adempiere al comando: esclusa ove assenti le necessarie attitudini
pscio-fisiche[558], dalla mancanza di condizioni esterne indispensabili [559].
1. B.
LA FATTISPECIE OBIETTIVA DEL REATO OMISSIVO IMPROPRIO
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PREMESSA: AUTONOMIA DELLA FATTISPECIE OMISSIVA IMPROPRIA E PRINCIPIO DI LEGALITA'
"Problematicità" del reato omissivo improprio.
A differenza dei reati di mera omissione, che contravvengono ad un comando di agire, i reati omissivi impropri
violerebbero pur sempre il divieto di cagionare l'evento che dà vita alla fattispecie commissiva:l'unica
particolarità consisterebbe nel fatto che questa volta il divieto si specifica nel divieto di cagionare, con la
propria omissione, l'evento tipico.
Assenza di puntuale tipizzazione legislativa: per Fiandaca-Musco erroneità di siffatta impostazione!
La clausola generale di equivalenza di cui all'art.40 cpv. c.p.: "non impedire un evento che si ha l'obbligo
giuridico di impedire, equivale a cagionarlo": in tal modo il reato omissivo improprio finisce con
l'essere ricostruito dall'interprete in base all'innesto della disposizione di cui all'art.40 cpv. sulle norme
di parte speciale che prevedono le ipotesi di reato commissivo suscettive - a loro volta - di essere
"convertite" in corrispondenti ipotesi omissive.
Autonomia strutturale della fattispecie omissiva impropria nascente dall'innesto dell'art.40 cpv. c.p. sulle norme
di parte speciale: sorge una nuova fattispecie incentrata sul mancato impedimento dell'evento che ha
carattere autonomo imperniata su di una norma di comando. I "divieti" esigono l'omissione, i "comandi" il
compimento di un'azione. Orbene: se si ammette pacificamente che il mancato impedimento dell'evento
integra una condotta di natura omissiva, è giocoforza anche riconoscere che la norma violata da una tale
condotta non può essere un divieto, ma soltanto un comando di azione.
Tensione conflittuale tra la punibilità delle omissioni improprie e l'osservanza del principio di legalità. Gli
elementi di cui si compone la nuova e autonoma fattispecie omissiva impropria che, per effetto dell'operatività
dell'art.40 cpv, viene ad "affiancarsi" all'originaria fattispecie commissiva di parte speciale, vengono in gran
parte ricostruiti dal giudice...[560]
LA SFERA DI OPERATIVITA' DELL'ART. 40 CPV. C.P.
L'art.40 cpv. stabilendo una regola di equivalenza tra il "non impedire un evento che si ha l'obbligo giuridico di
impedire" e il "cagionarlo", dà luogo ad un fenomeno di estensione della punibilità.
Le tipologie delittuose "non convertibili" in illeciti omissivi impropri : funzione alla quale l'art.40 cpv. intende
assolvere: invero se detta disposizione serve a giustificare l'incriminazione di alcuni comportamenti omissivi
non espressamente tipizzati nelle fattispecie di parte speciale, ne viene che il suo impiego è escluso quando la
stessa norma incriminatrice fa menzione della condotta omissiva o in via esclusiva (ipotesi dei reati omissivi
c.d. propri), ovvero accanto all'azione in senso stretto (ad es. artt.450 [561] e 659 [562]). Ciò posto, occorre
selezionare quei tipi legali, la struttura dei quali, già a prima vista, sembra ostacolare una loro integrazione
mediante inattività. Si allude, innanzitutto, ai delitti c.d. di mano propria: cioè a quei delitti, la cui fattispecie
presuppone un atto positivo di carattere necessariamente personale (ad es. incesto). Ebbene: nell'ambito di
questi modelli di reato, la configurabilità del fatto mediante omissione sembra esclusa per la ragione evidente
che il reo deve commettere positivamente il reato a mezzo della sua persona. Poi sono da annoverare quei tipi
delittuosi, i quali presuppongono una determinata condotta di vita risultante da una reiterazione di
comportamenti positivi: è il caso dei reati c.d. abituali (es. sfruttamento della prostituzione).
In determinati casi però la norma incriminatrice, in luogo di tipizzare la condotta mediante note
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naturalistico-descrittive, impernia tutta la formulazione del fatto su concetti "normativi". In queste ipotesi, per
stabilire se assuma rilevanza la condotta omissiva non sarà necessario richiamare la disposizione dell'art.40
cpv., ma si dovrà avere riguardo al contenuto degli obblighi comportamentali desumibili dalle norme di
condotta richiamate dagli elementi normativi contenuti nella norma incriminatrice. Proprio in
applicazione di questo criterio, si scopre che vi sono fattispecie indifferentemente realizzabili
mediante azione o mediante omissione, e ciò si spiega considerando che a fondamento dell'incriminazione
sta in questi casi la violazione di obblighi comportamentali che si riconnettono al ruolo sociale disimpegnato
da un determinato soggetto. Per esemplificare, si consideri l'art.380 che incrimina il patrocinatore o il
consulente tecnico che, "rendendosi infedele ai suoi doveri professionali, arreca nocumento agli interessi della
parte da lui difesa, assistita o rappresentata dinanzi all'Autorità giudiziaria": ora, l'infedeltà ai doveri
professionali, con conseguente nocumento per la parte difesa, può ad es. manifestarsi anche mediante la
dolosa astensione del patrocinatore da una doverosa attività processuale.
Le tipologie delittuose suscettive di conversione[563]
L'art.40 cpv è inserito nella rubrica del "rapporto di causalità": indice del riconoscimento, a livello di
normazione positiva, che la regola di cui all'art.40 cpv. è applicabile soltanto ai reati di evento, ma vanno
scartati quelli caratterizzati da elementi strutturali che possono accedere soltanto ad una condotta
positiva (es. delitto di truffa: qui l'induzione in errore che rappresenta l'"evento" costitutivo del reato, deve
essere cagionata mediante artifici o raggiri, cioè secondo modalità comportamentali che presuppongono, per
potersi manifestare, un effettivo attivarsi diretto a ingannare la vittima presa di mira).
Segue: i reati causali "puri" e la loro prevalente finalizzazione alla tutela dei beni della vita e dell'integrità
fisica: I reati di evento si circoscrivono attorno a due ipotesi tipiche[564]:
a)
classici delitti contro la vita e l'incolumità individuale (delitto di evento per antonomasia: omicidio);
b)
determinati reati contro l'incolumità pubblica (artt.422 [565],423 [566],426 [567],428 [568],430 [569],ecc.)
Responsabilità per omesso impedimento dell'evento e tutela di beni di natura "patrimoniale"?
L'ambito di operatività dell'art.40 cpv. c.p. nel concorso mediante omissione
Secondo un'opinione dottrinale e giurisprudenziale per "evento" ex art.40 cpv. deve intendersi il "reato"
oggetto di volontà comune materialmente posto in essere da taluno dei compartecipi e "non impedito" da chi,
fra questi ultimi, aveva l'obbligo di impedirlo[570].
SITUAZIONE TIPICA
Intesa come il complesso dei presupposti di fatto che danno vita ad una situazione di pericolo per il bene da
proteggere e che, pertanto, rendono "attuale" l'obbligo di attivarsi del "garante".
OMESSO IMPEDIMENTO DELL'EVENTO ED EQUIVALENTE NORMATIVO DELLA CAUSALITA'
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Ulteriori elementi della fattispecie omissiva impropria sono:
a)
la condotta omissiva di mancato impedimento;
b)
l'evento[571] non impedito.
La differenza tra il "cagionare" e il "non impedire":art.40, comma 1° "Nessuno può essere punito per un fatto
preveduto dalla legge come reato, se l'evento dannoso o pericoloso da cui dipende l'esistenza del reato, non è
conseguenza della sua azione od omissione": sforzo (vecchio) di dimostrare che anche il "non impedire"
rappresenti una "categoria realistica della causalità". In una delle versioni più aggiornate assunto che la vera
causa dell'evento non è il non fare, ma l'aliud factum.
La verità è che il primo comma dell'art.40 va letto in rapporto al secondo comma, il quale appunto dispone che
"non impedire un evento, che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo":
nei reati commissivi si tratta di stabilire un nesso di derivazione tra dati reali del mondo esterno (e cioè,
tra l'azione come dispiegamento di energia causale e il risultato dannoso);
nell'ambito delle fattispecie omissive improprie il problema è di verificare se e in che modo l'eventuale
compimento dell'azione dovuta avrebbe inciso sul corso degli accadimenti e, in particolare, se sarebbe valso a
evitare la verificazione dell'evento lesivo.
Il giudizio prognostico orientato secondo il modello della "sussunzione sotto leggi":
Nei reati omissivi, per determinare il nesso omissione-evento, si emette dunque un giudizio ipotetico o
prognostico: cioè l'organo giudicante suppone mentalmente come realizzata l'azione doverosa omessa e si
chiede se, in presenza di essa, l'evento lesivo sarebbe venuto meno: il modello è quello della sussunzione
sotto leggi[572].
La formula della "condicio sine qua non" applicata all'illecito omissivo improprio: l'omissione è causa
dell'evento quando non può essere mentalmente sostituita dall'azione doverosa, senza che l'evento venga
meno[573]. Causalità ipotetica o in senso normativo.
Il "grado di certezza" in sede di accertamento
L'azione doverosa, ove compiuta, vale ad impedire l'evento con una probabilità vicina alla certezza. Dai giudizi
prognostici esula per definizione ogni certezza assoluta: essa però diventerebbe poco accettabile, se la si
intendesse nel senso che l'accertamento della causalità omissiva dispenserebbe il giudice dal fare ricorso a
criteri veramente attendibili. D'altra parte possono prospettarsi dei casi di responsabilità omissiva, nei quali lo
stesso giudizio prognostico sull'attitudine dell'azione doverosa a impedire l'evento non ha bisogno di
accontentarsi di una "probabilità confinante con la certezza"[574]. Ma vi è di più. Invero, se si accoglie la tesi
che la stessa spiegazione del nesso causale nei reati commissivi ha struttura probabilistica, stante la rilevanza
ai fini della decisione anche di leggi statistiche, ci si accorge che le differenze nel livello di certezza del
rispettivo accertamento della causalità reale e della causalità omissiva finiscono forse col ridimensionarsi
(GRASSO, DONINI cit. da FIANDACA-MUSCO)[575].
La causalità omissiva esemplificata attraverso l'esame del caso 57: i genitori di una bambina affetta da
"thalassemia omozigote", per non violare un divieto religioso del culto dei testimoni di Geova di cui sono
seguaci, interrompono la terapia emotrasfusionale cui la figlia veniva periodicamente sottoposta; quest'ultima,
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in seguito al sopraggiungere di uno stato di grave anemia, perde la vita. Il punto decisivo non è di stabilire se
la terapia emotrasfusionale avrebbe in futuro garantito la sicura sopravvivenza della bambina: ai fini della
responsabilità penale dei genitori, basta che l'omissione della terapia abbia favorito la mera accelerazione del
decesso, anche se non è da escludere che la morte si sarebbe comunque verificata in un momento diverso.
La terapia "avrebbe impedito che in così breve tempo le condizioni generali della bambina, lo stato dei suoi
organi vitali si deteriorassero a causa dell'anemia così come invece si sono deteriorati, avrebbe impedito
quindi quella morte".
LA POSIZIONE DI GARANZIA
La tradizionale concezione "formale" dell'obbligo giuridico di impedire l'evento
Perché la Causazione = Mancato impedimento[576] di un evento occorre un altro elemento cioè la violazione
di un obbligo giuridico di impedire l'evento: bisogna rifarsi alla dottrina e alla giurisprudenza: limiti incerti.
c.d. teoria formale dell'obbligo di impedire l'evento[577]: inclina a individuare le situazioni tipiche di obbligo
penalmente rilevanti (c.d. posizioni di garanzia) in base alla fonte formale della loro rilevanza giuridica;
rilevanza,peraltro, determinata alla stregua dell'intero ordinamento giuridico. Per la teoria in esame le fonti
giuridiche dell'obbligo di attivarsi (inizialmente tre: c.d. trifoglio)[578]:
a)
la legge (penale: art.40 cpv.artt.673,677; extrapenale: diritto di famiglia, diritto pubblico);
b)
il contratto: es. baby sitter;
c)
la "precedente azione pericolosa"..[579]
In seguito estensione delle possibili fonti:
d)
negotiorum gestio[580];
e)
consuetudine.
Rilievi critici: non è in grado di spiegare perché il diritto penale assimili l'omissione non impeditiva
all'azione causale. Infatti, non ogni obbligo extrapenale di attivarsi è automaticamente suscettivo di convertirsi
in un obbligo di impedire l'evento (rectius: obbligo di garanzia) rilevante ai sensi di una fattispecie omissiva
impropria: altrimenti si finirebbe col subordinare il giudizio di rilevanza penalistica ex art.40 cpv al richiamo di
criteri di valutazione facenti parte ad altre branche dell'ordinamento[581] . Di più, anche quando l'obbligo di
garanzia si rinviene nel penale es. art.677, la sua rilevanza ai sensi di una fattispecie omissiva impropria va
vagliata alla luce della specifica funzione espletata dall'art.40 cpv.
La nuova concezione "contenutistico-funzionale": caratteristiche e limiti:
Approcci che tendono ad integrare i tradizionali criteri giuridico-formali di individuazione degli obblighi di
garanzia con criteri materiali (o contenutistici) desunti dalla specifica funzione attribuibile alla responsabilità
per omesso impedimento dell'evento nel nostro sistema penale. Serve un intervento legislativo sennò
amplissimi margini di "discrezionalità.
Funzione di tutela dell'art.40 cpv. c.p.: necessità riconosciuta dall'ordinamento, di assicurare a
determinati beni una tutela rafforzata, stante l'incapacità - totale o parziale - dei titolari a proteggerli
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adeguatamente: di qui l'attribuzione a taluni soggetti, diversi dai titolari, della speciale posizione di
garanti dell'integrità dei beni che si ha interesse a salvaguardare[582].
Concetto di "posizione di garanzia": nei confronti del bene protetto: speciale vincolo di tutela tra
soggetto garante ed un bene giuridico: riequilibra una situazione di inferiorità di determinati soggetti,
attraverso l'instaurazione di un "rapporto di dipendenza" a scopo protettivo[583].
Carattere "speciale" degli obblighi di garanzia: perché incombono soltanto su alcuni soggetti (i c.d.
garanti): è per questo, ad es., che da una fattispecie omissiva propria, realizzabile da "chiunque" come
l'omissione di soccorso (art.593), non può mai scaturire un obbligo di attivarsi (rectius, un obbligo di garanzia)
rilevante ai sensi dell'art.40 cpv. Invece art.677, comma 3° l'omissione di lavori in edifici o costruzioni che
minacciano rovina, qui l'obbligo non è imputabile a "chiunque", bensì soltanto al "proprietario" dell'edificio o
della costruzione.
Bipartizione funzionale delle posizioni di garanzia: posizione di protezione[584] e posizione di
controllo[585]:
Posizioni di garanzia "originarie"[586] e "derivate"[587]:
I presupposti di rilevanza degli obblighi di garanzia di fonte "contrattuale"[588]
L'assunzione "volontaria" della posizione di garanzia: quel che conta è che l'intervento del garantedetermini o
accentui un'esposizione a pericolo del bene da proteggere[589].
La posizione di protezione: ipotesi esemplificative:
a) genitori e figli minori art.30 Cost. e art.147 c.c. che non sussiste in modo reciproco. Coniugi art.143 c.c.
obbligo di reciproca assistenza. Ordinamento penitenziario, obbligo tutela della vita e incolumità personale dei
detenuti e internati negli istituti di pena.
b)
Contratto: baby sitter, bagnino, guida alpina.
La posizione di controllo: ipotesi esemplificative:
1) le posizioni di controllo su fonti di pericolo, due condizioni:
a)
che il titolare si trovi nell'impossibilità di proteggere il bene medesimo;
b) che il "garante" tenga sotto la sua sfera di signoria la sorgente - e cioè l'oggetto materiale o l'attività - da
cui si origina la situazione di pericolo a carico di terze persone.
2) casi nei quali il garante è obbligato ad impedire l'agire illecito di un terzo. Due condizioni:
a) che il terzo (es. per malattia mentale, per minorità, ecc.) sia carente dei requisiti necessari a governare in
modo responsabile il proprio comportamento;
b)
che proprio a causa di tal stato di incapacità naturale, egli debba sottostare al potere di controllo e di
vigilanza di un garante.
3) esistenza di un potere giuridico: artt.2392 e 2403 c.c..
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vedere appartenenti alle forze dell'ordine ove fuori delle ipotesi nelle quali la condotta omissiva sia davvero
diretta ad agevolare la commissione di un reato, l'agente potrà tutt'al più rispondere di mancato adempimento
di un dovere funzionale.
LA DISTINZIONE TRA "AGIRE" ED "OMETTERE" NEI CASI PROBLEMATICI
La componente "omissiva" insita nella colpa
L'impedimento di azioni soccorritrici altrui
L'interruzione di un personale intervento soccorritore
1. II.
ANTIGIURIDICITA'
Esplica nel reato omissivo - non diversamente da quanto avviene in quello commissivo - la funzione di
"convalidare" l'ìlliceità "indiziata" dalla conformità al tipo: onde, se sussiste una causa di giustificazione,
l'omissione tipica non risulta antigiuridica e la punibilità viene meno. E' anche vero, tuttavia, che le cause di
giustificazione più frequentemente applicate sul terreno dei reati di azione (come ad es. legittima difesa, ecc.)
non accedono altrettanto facilmente alla realizzazione di un reato omissivo: lo possono soltanto in presenza di
circostanze assai particolari, suscettive forse più di essere immaginate che non di verificarsi nella realtà: es.
reazione difensiva giustificabile ex art.52. Più facile è configurare omissioni giustificate dallo stato di necessità:
esemplificando, si pensi ad un soggetto che omette di prestare soccorso perché l'azione di salvataggio
porrebbe in pericolo la sua persona; ovvero al casellante che non abbassa all'orario prestabilito le sbarre del
passaggio a livello, ecc..
1. III.
COLPEVOLEZZA
PREMESSA
DOLO OMISSIVO
Reati omissivi "propri": è l'essenza tutta normativa del reato a creare problemi di interferenza tra il
dolo e la conoscenza della legge penale. In altri termini, fino a che punto è possibile avere la coscienza
e volontà di omettere, senza conoscere previamente la legge penale che impone di attivarsi in un
determinato modo?
Distinguere i reati omissivi propri in due categorie:
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a)
fattispecie con situazione tipica pregnante: l'obbligo di attivarsi ha per presupposto una realtà
naturalistica o sociale immediatamente percepibile dal soggetto,a prescindere dalla conoscenza che egli abbia
dell'obbligo giuridico di agire[590].
b)
fattispecie con situazione tipica neutra: riflettono fattispecie di pura creazione legislativa[591].
Perché l'omittente risponda a titolo di dolo in generale occorre non solo la conoscenza dei
presupposti (c.d. situazione tipica) del dovere di attivarsi, ma anche la consapevolezza della
"possibilità di agire" nella direzione voluta dalla norma[592].
Reati omissivi "impropri": Entra a far parte del dolo la conoscenza dell'obbligo "extrapenale" di agire,
derivante, ad esempio, da un contratto o da un altro atto negoziale: tale conoscenza però a sua volta
costituisce un presupposto indispensabile perché il soggetto si renda conto di rivestire una posizione
di garanzia, sicchè un errore in proposito, convertendosi in un errore sulla situazione tipica, è in grado
di dispiegare efficacia scusante ex art.47, ult. comma. Ai fini della configurabilità del dolo non si
richiede che l'omittente sappia che la violazione dell'obbligo di garanzia è penalmente sanzionata: ciò
in applicazione della regola generale, secondo cui non è richiesta la conoscenza (attuale) della norma
penale trasgredita.
COLPA
Il difetto di diligenza può riferirsi al mancato riconoscimento della situazione tipica da parte dell'omittente: es.
datore di lavoro che, per indifferenza o superficialità, non si accorga che la natura del processo di lavoro
produttivo impone di adottare determinate misure di sicurezza (art.451), ma il rimprovero di colpa può anche
riferirsi (specie nell'ambito delle omissioni improprie) all'errata scelta dell'azione doverosa da compiere.
Adempimento del dovere di diligenza e presupposti della "possibilità di agire": requisiti:
a)
conoscenza o riconoscibilità della situazione tipica;
b)
possibilità obiettiva di agire;
c)
conoscenza o riconoscibilità del fine dell'azione doverosa.
d)
conoscenza o riconoscibilità dei mezzi necessari al raggiungimento del fine medesimo.
"Modello" di agente avveduto
Dovere di diligenza e obbligo di impedire l'evento: coincidono, ma concettualmente le due entità vanno tenute
distinte, infatti "l'obbligo di diligenza deve basarsi sulla posizione di garanzia dell'omittente, che la
misura di diligenza imposta non può oltrepassare quella, cui egli è obbligato come garante".
COSCIENZA DELL'ILLICEITA'
Possibilità di conoscenza del comando penale: ovvero del comando di agire penalmente sanzionato, accertare
questa possibilità di conoscenza del comando con criteri particolari: l'obbligo di agire di regola non è percepito
con la stessa immediatezza con la quale si coglie l'obbligo di non agire.
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Onde, nel campo dei reati omissivi, la possibilità di non conoscere il precetto penale va sempre presa in
considerazione, mentre in quello dei reati commissivi tale possibilità è da tenere in conto soltanto in presenza
di circostanze oggettive.
1. IV.
TENTATIVO
IL TENTATIVO
La tradizionale soluzione "differenziata": è stata generalmente ammessa la possibilità di ipotizzare il tentativo
con riguardo ai reati "commissivi mediante omissione", lo stesso non è avvenuto in relazione ai delitti omissivi
"puri", ciò perché i primi (delitti omissivi impropri) strutturalmente si atteggiano a reati di evento. Sicchè è ben
possibile ipotizzare il tentativo in tutti i casi, nei quali la condotta omissiva volontaria non è seguita per
circostanze fortuite dalla verificazione dell'evento.
La recente tendenza ad ammettere il tentativo anche nei reati omissivi "propri": es. p.u. che si reca
all'estero al fine di non essere presente nel tempo e nel luogo in cui dovrebbe compiere un atto
d'ufficio. Ove il termine per adempiere non sia decorso, ci si troverà di fronte ad un'ipotesi di tentativo
tutte le volte che un soggetto obbligato precostituisca una situazione tale da rendere impossibile
l'ottemperanza alla pretesa normativa. Fare ricorso, come ausilio, il ricorso ai principi generali.
1. V.
PARTECIPAZIONE CRIMINOSA
PARTECIPAZIONE NEL REATO OMISSIVO
Concorso mediante omissione: il fenomeno è ammissibile allorché più soggetti obbligati decidano, di comune
accordo, che ciascuno non adempirà al suo obbligo di condotta: ad es. più persone convengono di non
prestare soccorso ad un ferito nel quale si sono per caso imbattute.
Concorso mediante azione: es. Tizio istighi Caio a non soccorrere una persona in pericolo.
PRESUPPOSTI E LIMITI NELLA PARTECIPAZIONE MEDIANTE OMISSIONE NEL REATO COMMISSIVO
Si può concorrere mediante omissione alla realizzazione di un reato commissivo soltanto a condizione che
l'omittente sia "garante" dell'impedimento dell'evento: evento questa volta costituito, appunto, dal "reato"
direttamente commesso da terzi soggetti. In tal modo, il problema della partecipazione mediante omissione
finisce in parte col risolversi in quello dell'individuazione dei presupposti, in presenza dei quali si possa
affermare che sussiste a carico di un determinato soggetto l'obbligo di impedire un evento-reato.
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Perplessità: posto che nel caso di realizzazione monosoggettiva dell'illecito omissivo improprio, il giudizio di
equivalenza ex art.40 cpv. va limitato alle fattispecie con evento naturalistico, v'è da chiedersi se debba darsi
per scontato che tale regola possa essere legittimamente disattesa, allorché il garante sia chiamato a
rispondere a titolo di concorso. Si tratta di un interrogativo che va al di là del piano strettamente dogmatico,
perché quanto più si estende l'ambito tipologico dei fatti di reato suscettivi di costituire oggetto di un obbligo di
impedimento, tanto più si dilata la gamma degli interessi tutelabili: e, nello stesso tempo, tende a divenire
ancora più complesso lo stesso processo di selezione degli obblighi di garanzia e dei rispettivi soggetti titolari.
Oscillazioni nella prassi applicativa: sulla c.d. posizione di protezione si ritiene che il soggetto che è titolare sia
vincolato all'impedimento di eventi lesivi (del bene oggetto di protezione) cagionati sia da fatti naturali, sia
dall'aggressione di un terzo. Nella prassi applicativa oscillazioni di orientamento: vedi due esempi: 1) violenza
carnale ai danni minore anni 16 e madre inerte che tollera il compimento di una congiunzione illecita; 2)
prostituzione di una minore di fronte al comportamento non impeditivo della madre ove si affermò che "il
dovere di generica sorveglianza dei minori, attribuito a chi su di loro esercita la patria potestà, non è sufficiente
per farne derivare una responsabilità penale" ex art.40 cpv. per i reati di induzione alla prostituzione e
corruzione: la posizione di garante del genitore inclina facilmente ad assumere coloriture di stampo
eticizzante.
Obiezioni al rigorismo della giurisprudenza . Vedi celebre sentenza Corte Cassazione 01 febbraio 1935: un
padre fu condannato a titolo di concorso in omicidio doloso per avere assistito, senza spiegare alcuna attività
benché contraria al proposito criminoso, ad una specie di consiglio di famiglia, dal quale era emersa la
decisione (subito dopo attuata) di uccidere il più giovane dei figli, nel convincimento che il sangue
dell'innocente avrebbe fatto scoprire un tesoro. Per evitare condanne ritenute aberranti, una parte della
dottrina propone di introdurre correttivi sul piano dell'elemento psicologico: cioè, un limite
all'equiparazione tra il non impedire l'evento e il cagionarlo concernerebbe i reati commessi con dolo
indiretto od eventuale. Senonchè già la dottrina meno recente ha opportunamente segnalato l'inefficacia dei
rimedi circoscritti all'elemento soggettivo, considerando oltretutto la enorme difficoltà (quasi una probatio
diabolica) di accertare se l'omittente sia stato animato da volontà intenzionale, ovvero sia rimasto inerte per
mero compiacimento. Il fatto è che le riserve in proposito, avanzate da una parte della dottrina, sono anche
suscettive di essere rilette come un'implicita critica alla stessa equiparazione attuata sul piano "oggettivo" della
fattispecie concorsuale. Ora, è vero che in un contesto dottrinale vicino a quello italiano va facendosi strada la
tesi, secondo cui nella partecipazione criminosa non sarebbe possibile distinguere il ruolo dell'omittente
"autore" da quello dell'omittente "complice" (la distinzione risulterebbe poco agevole per la difficoltà di
graduare il contributo materiale di un quid - l'omissione , appunto - privo di dimensione fisica). Tuttavia, se
confrontate con un simile orientamento dogmatico, le accennate riserve della dottrina italiana sembrano
piuttosto implicitamente aderire proprio alla tesi opposta: e cioè alla tesi secondo la quale il garante che si
limiti a non impedire un reato riveste, in rapporto all'esecutore materiale, una posizione secondaria assimilabile
più a quella del "complice" che non a quella del "coautore". Da qui, con ogni probabilità, l'accusa di eccessivo
rigorismo mossa alla giurisprudenza per non avere, in decisioni del tipo di quella poc'anzi ricordata,
riconosciuto opportune graduazioni di responsabilità: ma la critica andrebbe rivolta, ancor prima che alla
giurisprudenza, allo stesso legislatore penale del '30, il quale ha, in tema di concorso criminoso, introdotto il
principio della pari responsabilità di tutti i concorrenti (art.110 ss.)[593].
PARTE QUINTA: LA RESPONSABILITA' OGGETTIVA
CAP.1 - LA RESPONSABILITA' OGGETTIVA.[594]
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PREMESSA
Dopo il comma secondo dell'art.42, che indica i criteri di imputazione costituiti dal dolo, colpa e
preterintenzione, il terzo comma stabilisce che "la legge determina i casi nei quali l'evento è posto
altrimenti[595] a carico dell'agente, come conseguenza della sua azione od omissione".
Il rapporto di causalità materiale come criterio di imputazione non si richiede né dolo, né colpa, es. l'aberratio
delicti, la responsabilità del partecipe per il reato diverso da quello voluto, ecc.
L'agente è chiamato a rispondere a prescindere da qualsiasi legame psicologico con l'evento di cui
trattasi[596]: quindi vistose eccezioni al principio di colpevolezza. Sono giustificabili?
Funzioni politico-criminali della responsabilità oggettiva: ipotesi tradizionalmente fatte risalire al vecchio
principio, di matrice canonistica-medioevale, qui in re illicita versatur tenetur etiam pro casu[597]: prospettiva
tendenziale identificazione delitto=peccato, il delinquente-peccatore doveva rispondere di "tutte" le
conseguenze oggettivamente cagionate dalla sua precedente azione criminosa, non importa se volute o non
volute, prevedibili o fortuite. Influenza oggi soprattutto nelle ipotesi del delitto "preterintenzionale" e dei reati
"aggravati" dall'evento.
Responsabilità oggettiva e prevenzione generale : in epoca illuministica il suddetto principio veniva
reinterpretato in chiave di prevenzione generale[598]. Ma ciò è più presunto che dimostrato, inoltre (salvo
forse per i casi di criminalità economica) è difficile per la maggior parte dei potenziali rei la sottile distinzione
tra responsabilità "colpevole" e quella "obiettiva".
Responsabilità oggettiva e difficoltà probatorie : Le ragioni che indussero il legislatore del '30 a rinunciare a
esplicite deroghe alla colpevolezza erano motivate da esigenze di economia probatoria. La tendenza
processuale a "presumere" il dolo o la colpa, per eliminare complessi accertamenti probatori, si manifesta in
misura talora eccessiva nella prassi giurisprudenziale, dando luogo a forme di responsabilità oggettiva
"occulta"[599]. Né ragioni di prevenzione generale, né ragioni di semplificazione probatoria possono costituire
motivi decisivi per giustificare, sul piano politico-criminale, deroghe al principio di colpevolezza. Nella
manualistica corrente, la trattazione della responsabilità oggettiva come istituto autonomo è collocata nella
stessa sede riservata alla colpevolezza (precisamente, dopo il dolo e la colpa). Qui l'argomento viene
affrontato dopo la trattazione dei tipi di illecito, in base alla considerazione che la responsabilità oggettiva non
configura un modello delittuoso autonomo, e nel nostro ordinamento si innesta strutturalmente nelle diverse
tipologie delittuose: reati dolosi e colposi, commissivi ed omissivi.
LA RESPONSABILITA' OGGETTIVA E PRINCIPI COSTITUZIONALI
Il problema della compatibilità tra la responsabilità oggettiva e il principio sancito dall'art.27, comma 1°, Cost.
. Interpretazioni:
1)
fino poco tempo fa sentenze Corte Costituzionale: si limita a bandire la sola responsabilità per fatto altrui.
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Quindi la responsabilità oggettiva sarebbe perfettamente costituzionale perché pur sempre ancorata,
attraverso il rapporto di causalità materiale, alla condotta dello stesso soggetto destinatario della
sanzione. Ma per Pagliaro il principio della personalità dell'illecito richiederebbe qualche cosa di più della
causalità materiale, ma anche qualche cosa di meno di un vero e proprio nesso psichico nei confronti del fatto
attribuito: per affermare l'appartenenza "personale" del fatto all'autore, sarebbe sufficiente esigere "la
possibilità del controllo finalistico sul divenire causale", onde la responsabilità oggettiva finirebbe col
presupporre "la prevedibilità ed evitabilità" dell'evento lesivo;
2)
per l'interpretazione dominante[600] le obiezioni di incostituzionalità sollevate dall'istituto de quo
prendono invece corpo se il principio della personalità ex art.27, comma 1°, Cost. lo si interpreta nella sua
espansione massima, cioè come sinonimo di responsabilità personale colpevole. Se per fondare un
rimprovero di colpevolezza è infatti necessaria almeno la presenza di una condotta contraria al dovere di
diligenza (colpa), di colpevolezza non può certo parlarsi nel caso della responsabilità oggettiva basata sul
semplice nesso di causalità materiale: insanabile contraddizione.
Segue: la incompatibilità col principio sancito dall'art.27, comma 3° Cost.: la stessa funzione rieducativa della
pena,[601] comunque concepita, postula che il fatto addebitato sia psichicamente riportabile, almeno nella
forma della colpa, al soggetto da rieducare.
Sentenze Corte Cost. n.364/88 [602]e n.1085/88 : elementi "significativi" (o più significativi) di fattispecie - in
rapporto all'esigenza di un coefficiente soggettivo di imputazione - quelle componenti del fatto di reato che
contribuiscono a caratterizzarne il disvalore (o il maggior disvalore) penale. Quindi sono costituzionalmente
illegittime pressoché tutte le principali ipotesi codicistiche di responsabilità obiettiva, comprese le condizioni di
punibilità cosiddette "intrinseche" nella misura in cui accentrano in sé - almeno in parte - le ragioni
fondamentali dell'incriminazione.
Tentativi di interpretazione "adeguatrice" art.27, comma 1°, Cost.: respinge il tradizionale assunto che la
preterintenzione sia un misto di dolo e responsabilità oggettiva e afferma, invece, che essa dia luogo ad
un'ipotesi di dolo misto a colpa[603]. Coerenza impone di tentare una rilettura adeguatrice di tutte le attuali
ipotesi di responsabilità oggettiva.
Esigenze di riforma
CASI DI RESPONSABILITA' OGGETTIVA "PURA"
La responsabilità oggettiva si manifesta in origine nel codice Rocco secondo combinazioni strutturali diverse:
si distinguono casi di responsabilità oggettiva pura da casi di responsabilità oggettiva mista a dolo o a colpa.
I casi del primo tipo sono:
Art.83 c.p.
A) Aberratio delicti.[604] L'art.83 stabilisce che, "se per errore nell'uso dei mezzi di esecuzione del reato, o
per un'altra causa, si cagiona un evento diverso da quello voluto, il colpevole risponde,a titolo di colpa [605],
dell'evento non voluto [606], quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo"[607].
Art.116 c.p.
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B) Responsabilità del partecipe per il reato diverso da quello voluto:[608] l'art.116 stabilisce che,
"Qualora il reato commesso sia diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti, anche questi ne risponde,
se l'evento è conseguenza della sua azione od omissione" [609] [610]: fatta sempre salva la possibilità di
un'azione correttiva, il legislatore attribuisce il diverso reato realizzato anche al partecipe che non lo ha voluto,
in base al semplice nesso di causalità materiale.
SEGUE: REATI DI STAMPA
L'art.57 c.p. nella formulazione originaria.
La vigente disciplina: la "colpa" quale criterio di imputazione: La Corte Cost. sent. n.3/56 aveva
sollecitato la riforma dell'art.57, che avvenne con Legge 4 marzo 1958, n.127 per cui l'attuale art.57
dispone "Salva la responsabilità dell'autore della pubblicazione, e fuori dei casi di concorso, il
direttore o il vicedirettore responsabile, il quale omette di esercitare sul contenuto del periodico da lui
diretto il controllo necessario ad impedire che col mezzo della pubblicazione siano commessi reati, è
punito, a titolo di colpa, se un reato è commesso, con la pena stabilita per tale reato, diminuita in
misura non eccedente un terzo". Parte della dottrina sostiene che questo articolo continui a
configurare un'ipotesi di responsabilità oggettiva: a sostegno dell'assunto, si osserva che l'inciso "a
titolo di colpa", per come è stato collocato all'interno della disposizione, si riferisce non già al
fondamento della responsabilità (e quindi alla colpa come effettivo elemento di struttura della
fattispecie), bensì alla disciplina del fatto come se fosse colposo (PISAPIA, PAGLIARO cit. da
FIANDACA-MUSCO). La dottrina e la giurisprudenza prevalente considerano oggi, invece, la figura di
reato prevista dall'art.57 come colposa a tutti gli effetti (DELITALIA, GROSSO C.F., PADOVANI,
MUSCO, cit. da FIANDACA-MUSCO). Secondo questa interpretazione non basta accertare che il
direttore ha obiettivamente violato l'obbligo di controllo, ma è necessario verificare se tale omissione
sia dovuta ad un atteggiamento di negligenza: accoglie questa interpretazione
FIANDACA-MUSCO[611].
Contenuto del dovere di controllo: prospettiva di bilanciamento[612] per evitare il rischio di pretendere una
diligenza eccessiva, per la quale l'ambito dei doveri di controllo del direttore (o vice) dovrà essere circoscritto
tenendo conto almeno di un duplice aspetto: da un lato, delle modalità di funzionamento, della struttura e
dell'articolazione dei ruoli all'interno delle moderne aziende giornalistiche; dall'altro, della natura "informativa" o
"valutativa" dello scritto da controllare. La responsabilità omissiva del direttore dà luogo a una forma autonoma
di responsabilità in quanto lo stesso art.57 reca la dizione testuale "fuori dei casi di concorso"; in secondo
luogo, mentre l'art.58 bis stabilisce che la querela (o istanza o richiesta) presentata contro il direttore (o vice)
ha effetto anche nei confronti dell'autore dello scritto, esso non prevede un'analoga estensione nei confronti
del direttore responsabile; infine, nei decreti di amnistia emanati negli ultimi anni si è fatto riferimento al reato
previsto dall'art.57 come reato autonomo.
CASI DI RESPONSABILITA' OGGETTIVITA' "MISTA": LA PRETERINTENZIONE
Art.42, il legislatore considera la preterintenzione come un criterio autonomo di iscrizione di responsabilità,
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diverso da un lato dal dolo e dalla colpa e, dall'altro, dalla responsabilità oggettiva: infatti, di delitto
preterintenzionale si parla nel secondo comma "Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge
come delitto, se non l'ha commesso con dolo, salvi i casi di delitto preterintenzionale o colposo espressamente
preveduti dalla legge" [613], mentre alla responsabilità oggettiva ("la legge determina i casi nei quali l'evento è
posto altrimenti a carico dell'agente") si fa riferimento nel terzo. Le ipotesi nel ns. ordinamento sono due:
1)
omicidio preterintenzionale (art.584 c.p.);
2)
aborto preterintenzionale (Legge 22 maggio 1978, n.194)
La preterintenzione come misto di dolo e responsabilità oggettiva
Art.43, comma 2°: il delitto è "prerintenzionale o oltre l'intenzione, quando dall'azione od omissione deriva un
evento dannoso o pericoloso più grave [614] di quello voluto dall'agente" [615]. Ci troviamo di fronte alla
combinazione tra una azione diretta a commettere un delitto meno grave e la realizzazione di un evento più
grave di quello voluto: l'azione diretta a provocare l'evento meno grave, in quanto tale evento è voluto, è
certamente dolosa. Quanto all'evento più grave non voluto, la legge si limita ad affermare che dev'essere
conseguenza della sua condotta, ma non richiede espressamente che sia commesso con colpa: l'evento più
grave viene accolto sulla base del semplice nesso di causalità materiale e, dunque, in base al criterio della
responsabilità oggettiva.
La preterintenzione come filiazione del "dolo indiretto": vale a dire di una concezione del dolo da molto tempo
giustamente abbandonata.
SEGUE: I REATI AGGRAVATI DALL'EVENTO
Aggravati o qualificati dall'evento sono i reati che subiscono un aumento di pena per il verificarsi di un evento
ulteriore rispetto ad un fatto-base che già costituisce reato. Sono delitti in cui è indifferente il fatto che l'evento
ulteriore sia o meno voluto dall'agente (es. nel caso art.378[616] la condanna conseguente al reato) e quelli in
cui l'evento più grave NON deve essere voluto dall'agente in quanto, in caso contrario, si configura una
diversa fattispecie criminosa.
Fenomeno riscontrabile soprattutto nell'ambito dei reati commissivi dolosi: es. il reato di avvelenamento di
acque o di sostanze alimentari è punito più gravemente (cioè con l'ergastolo), se dal fatto deriva la morte di
qualcuno (art.439); analogamente si applica un aggravamento di pena se dall'aborto deriva come
conseguenza un evento lesivo o letale.
Non mancano però ipotesi di reati omissivi (es. omissione di soccorso art.593, ult.comma[617]), di delitti
colposi (es. art.452 [618]), o di contravvenzioni (es. art.689, comma 2°[619]) parimenti aggravati dal verificarsi
di un evento più grave.
In questi casi l'evento aggravatore viene accollato all'agente in base al mero nesso causale, e perciò a
prescindere da qualsiasi requisito di colpevolezza.
Tradizionalmente si distinguono due gruppi di reati aggravati dall'evento a seconda che sia indifferente che
l'evento aggravante sia voluto o no, ovvero che la volontà dell'evento più grave comporti l'applicabilità di una
diversa fattispecie penale[620]:
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1) delitto di calunnia (art.368) che rimane a prescindere dalla circostanza che l'evento aggravante sia voluto
o no; i delitti in falsità in valori pubblici di cui agli artt. 453 e 455, che rimangono tali a prescindere dalla
volizione o dalla mancata volizione dell'evento aggravatore, costituito nella specie dalla diminuzione del prezzo
della valuta o dei titoli di stato, ecc.
2) in cui l'evento non deve essere voluto (neppure in forma di dolo eventuale) perché altrimenti si configura
una diversa fattispecie di reato, es. delitti di abuso dei mezzi di correzione o disciplina (art.571) o di
maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli (art.572), oppure al delitto di aborto non consentito, che si
trasformano in omicidi o lesioni personali ove i rispettivi eventi aggravatori siano voluti ( o lambiti dalla volontà
dell'agente in forma di accettazione del rischio della loro verificazione).
Natura giuridica: al momento emanazione codice rientravano nel paradigma della responsabilità oggettiva, se
si privilegia il terreno di maggiore rilevanza sostanziale dei criteri di attribuzione della responsabilità, i reati de
quibus tendono ad essere il più possibile compatibili col principio di colpevolezza. In realtà, secondo
un'opinione prevalente nel passato (PANNAIN, RICCIO) una tale soluzione consiste nel ricondurre i reati
aggravati dall'evento al modello dei reati circostanziati (l'evento aggravatore non sarebbe che una
circostanza aggravante): a seguito della riforma del '90,come già sappiamo, il regime di imputazione
delle circostanze aggravatici non risponde più alla logica della responsabilità obiettiva, ma
presuppone qualcosa di simile alla colpa come coefficiente minimo di responsabilità, sotto forma di
conoscenza o conoscibilità del fatto integrante la circostanza. E a questo nuovo regime di imputazione
soggettiva non si sottraggono neppure le circostanze che consistono in eventi futuri successivi alla
realizzazione della condotta, come tipicamente accade - appunto - nel caso dei delitti aggravati
dall'evento[621]: rispetto a questi eventi futuri, dovrà più correttamente richiedersi come requisito soggettivo
di imputazione (in luogo della conoscenza o conoscibilità) la rappresentazione o rappresentabilità ovvero la
previsione o prevedibilità. Ciò non toglie, beninteso, che l'inquadramento predetto possa, sotto altri profili,
suscitare perplessità: si allude alla conseguente applicabilità anche ai reati in esame della regola del
bilanciamento contenuta nell'art.69 (si potrebbe avere, ove ci fosse eccesso indulgenzialista, l'incongruenza di
equiparare circostanze qualitativamente molto differenti tra loro, ad esempio annullando con una circostanza
attenuante come lo stato d'ira o simili il disvalore di eventi aggravatori di particolare gravità come l'evento
morte o le lesioni gravi).
Esigenze di riforma. Si auspica la creazione legislativa di un nuovo modello di reato aggravato dall'evento,
strutturato però in guisa tale da eliminare o ridurre i possibili contrasti col principio di colpevolezza[622].
SEGUE: CONDIZIONE OBIETTIVE DI PUNIBILITA'[623]
A norma dell'art.44 "Quando, per la punibilità del reato, la legge richiede il verificarsi di una condizione, il
colpevole risponde del reato, anche se l'evento, da cui dipende il verificarsi della condizione, non è da lui
voluto".
Il codice non definisce le condizioni obiettive di punibilità, ma si limita a fissare due caratteri di esse:
1)
debbono consistere in un AVVENIMENTO DEL MONDO ESTERNO,che non deve necessariamente
essere voluto dall'agente;
2)
debbono essere ESTRANEE alla condotta illecita.
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Le condizioni obiettive (oggettive) di punibilità
Perché il reo possa essere punito non basta che abbia posto in essere il reato, ma occorrono anche
altri 3 elementi:
1)
la verificazione, se richiesta, delle condizioni oggettive di punibilità;
2)
l'assenza di cause di esclusione della pena;
3)
la non sopravvenienza di cause estintive.
E' un avvenimento futuro e incerto, successivo o concomitante (non antecedente) al fatto di reato, distinto
perciò sia dalla condotta criminosa che dall'evento tipico e che può essere causato da azione
volontaria o involontaria del colpevole, oppure di terzi. Il reato è già perfetto, ma per motivi di
opportunità e di convenienza, il legislatore ne subordina la punibilità al verificarsi di una determinata
valutazione, fatta in astratto e una volta per tutte.
-
Misure di sicurezza, prescrizione, locus commissi delicti;
-
Irrisarcibilità del danno morale (per vittima reato);
-
L'ammissibilità del tentativo.
Criteri di individuazione delle condizioni:
1)
letterale: utilizzo di vocaboli come "se", "semprechè", "qualora";
Inoltre doppio criterio sostanziale (NEPPI MODONA):
a) ogni qualvolta un elemento inserito nel modello legale della norma delinea un piano di interessi non solo
ESTERNO, ma anche qualitativamente diverso rispetto all'offesa contenuta nel reato;
b) può essere anche quantitativo cioè quando l'offesa agli interessi tutelati dal reato raggiunga una certa
intensità, ovvero quando venga cagionata da una lesione ulteriore e più grave ma inscindibilmente connessa
con quella espressa dagli elementi costitutivi del reato.
E' la SITUAZIONE DELLA PROGRESSIONE CRIMINOSA SUL TERRENO DELL'OFFESA, nella quale il
legislatore è libero di costruire la maggiore gravità della lesione come condizione obiettiva di punibilità.
ESTRINSECHE: consistono in un fato estraneo alla sfera dell'offesa, cui la punibilità si vuole subordinata per
ragioni di mera opportunità. Sono estranee all'offensività del fatto, ma si limitano a riflettere valutazione
contingenti del legislatore, dettate da ragioni di opportunità punitiva,totalmente estranee all'offesa del bene
protetto. Es. annullamento matrimonio nell'induzione al matrimonio mediante inganno (art.558), la sorpresa in
flagranza prevista negli artt. 260,707, 720, la presenza del reo nel territorio dello Stato nei casi contemplati
dagli artt.9 e 10.
INTRINSECHE: sono partecipi dell'offensività del fatto-reato e concorrono ad attualizzare l'offesa in quanto
comportano un ulteriore aggravamento, una progressione dell'offesa tipica: es. pericolo di malattia nell'abuso
di mezzi di correzione (art.571)[624], es. il pubblico scandalo nei delitti di incesto (art.564). Concorrono a
qualificare ed attualizzare l'offesa.
Per la concezione dominante (MAGGIORE, GRISPIGNI, ANTOLISEI, FIANDACA-MUSCO) le condizioni
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obiettive di punibilità devono esser POSTE AL DI FUORI DEL REATO e lo presuppongono già perfetto.
In tal senso le condizioni obiettive di punibilità non integrano il reato, ma rendono soltanto applicabile
la pena: sono richieste cioè dalla legge affinché possa esercitarsi in concreto il potere statuale di
punire. Esse, in pratica, corrispondono ad alcuni casi eccezionali nei quali il reato, pur essendo
perfetto, non viene assoggettato a pena, se non si verifica un avvenimento non solo futuro e incerto,
ma anche estrinseco al fatto che costituisce reato.
L'interferenza tra la responsabilità obiettiva e le condizioni obiettive di punibilità è dovuta alla circostanza che
l'evento-condizione può verificarsi a prescindere da qualsiasi relazione psicologica col soggetto. E' da
precisare, però, che la predetta interferenza sussiste veramente in presenza di due condizioni:
1)
[625]di punibilità casualmente ricollegabili all'azione tipica;
2)
[626]di punibilità non estrinseca, cioè intrinseca, ma che incide sulla lesione del bene protetto;
Tutto ciò premesso, è da ritenere che anche l'attribuzione a titolo puramente oggettivo delle condizioni
intrinseche di punibilità finisca col contrastare col principio della responsabilità personale colpevole ex art.27,
comma 1°, Cost..
Ed infatti, dette condizioni rientrano certamente nell'ambito degli elementi significativi di fattispecie, e pertanto,
in applicazione dei principi fissati dalla Corte Cost. nelle sentenze n.364/88 e n.1085/88, dovrebbero essere
subiettivamente imputabili all'agente, almeno a titolo di colpa.[627]
PARTE SESTA: CONCORSO DI REATI E CONCORSO DI NORME
Cap.1. CONCORSO DI REATI
PREMESSA
Concorso materiale[628] e concorso formale(o ideale)[629]: stesso fenomeno:esistenza pluralità di
reati, ma la disciplina è diversa.
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Concorso apparente di norme:[630]
<L'inquadramento sistematico.(..) La teoria del concorso di reati tocca per un verso il problema dell'unicità
della condotta costitutiva del reato, inserendosi quindi nella dottrina del fatto tipico, mentre per un altro verso
essa investe il problema delle conseguenze sanzionatorie, dato che il problema pratico più significativo del
concorso di reati è costituito dal suo trattamento punitivo. Tuttavia, secondo l'orientamento prevalente, il
concorso di reati rappresenta una forma di manifestazione del reato; ciò che appare peraltro discutibile: il fatto
che un soggetto debba rispondere di più reati non implica infatti alcuna variazione strutturale della fattispecie
(come, ad es., nel caso del delitto tentato o del concorso di persone).> PADOVANI, op.cit.,pag.351.
UNITA' E PLURALITA' DI AZIONE
Quando si è in presenza di un'unica azione?
Necessità del riferimento alla "fattispecie legale": da questo p.d.v., si avrà una azione[631] allorché si
realizzano i presupposti minimi che integrano la fattispecie incriminatrice, anche se la condotta tipica ad una considerazione naturalistica - risulta dal compimento di più atti: si pensi ad esempio ad
un'azione omicida che rimane, per il diritto, unitaria anche se in concreto commessa con una pluralità
di pugnalate. Vera difficoltà distinzione azione unica/plurima è pei casi di reiterazione della stessa
azione tipica entro un breve lasso temporale.
Il criterio della contestualità degli atti e dell'unicità del fine: approccio di tipo normativo-sociale.
Segue: ricognizione del significato normativo della fattispecie incriminatrice: congiuntamente al suddetto
criterio[632].
UNITA' DI AZIONE NEI REATI COLPOSI E NEI REATI OMISSIVI
Nei reati colposi sussiste unità di azione se, nonostante la violazione di più obblighi di diligenza, l'evento tipico
si è verificato una sola volta. Laddove si siano verificati più eventi tipici, o lo stesso evento si sia verificato più
volte, si tratta di stabilire se l'autore, tra un evento e l'altro, fosse o no in grado di adempiere all'obbligo di
diligenza. Nel primo caso abbiamo "pluralità",nel secondo "unità" di azione.
Criteri analoghi valgono pei reati omissivi. Per quelli impropri è da ritenere che sussista una sola omissione se
il garante poteva impedire i diversi eventi soltanto attivandosi contemporaneamente; si configurano diverse
omissioni se, invece, dopo il verificarsi del primo evento, gli altri potevano ancora essere impediti. Nell'ambito
dei reati omissivi propri,si verifica una pluralità di omissioni se l'omittente viola contemporaneamente più
obblighi di condotta, ma i diversi obblighi potevano essere adempiuti uno dopo l'altro.
CONCORSO MATERIALE
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Si ha allorquando un soggetto con più azioni od omissioni compie una pluralità di reati: la risposta
sanzionatoria si esprime nella formula del C.D. CUMULO MATERIALE DELLE PENE.
Concorso materiale "omogeneo"[633] ed "eterogeneo"[634]:
Al concorso materiale si riferiscono due norme del c.p.:
l'art.71 [635] che tratta dell'ipotesi in cui con una sola sentenza o con un solo decreto si deve
pronunciare condanna per più reati contro la stessa persona;
l'art.80 [636]che fa riferimento all'ulteriore ipotesi in cui, dopo una sentenza o un decreto di condanna, si
deve giudicare la stessa persona per un altro reato commesso anteriormente o posteriormente alla condanna
medesima, ovvero quando contro la stessa persona si debbono eseguire più sentenze o più decreti di
condanna.
Il regime del cumulo materiale delle pene: A differenza del codice Zanardelli del 1889, che prevedeva il
regime del c.d. cumulo giuridico[637], il codice Rocco ha reso più rigoroso il trattamento sanzionatorio del
concorso materiale introducendo il diverso principio del tot crimina, tot poenae (cumulo materiale): si
cumulano cioè le pene previste per ciascuno dei delitti commessi[638].
Segue: temperamenti[639]: diretti a stabilire dei limiti invalicabili di pena: si riferiscono
al concorso di reati che comportano l'ergastolo e di reati che comportano pene detentive temporanee
(art.72);
al concorso di reati che comportano pene detentive temporanee o pene pecuniarie della stessa specie
(art.73);
-
al concorso di reati che comportano pene detentive di specie diversa (art.74);
-
al concorso di reati che comportano pene pecuniarie di specie diversa (art.75);
-
ulteriori limiti sono previsti dagli artt.76-79.
A seguito della riforma novellistica del 1974, che ha esteso la figura del "reato continuato" anche alle ipotesi di
violazione di norme incriminatici eterogenee, l'area di operatività del concorso materiale di reati tende di fatto a
ridursi rispetto al passato. Infatti, se i diversi reati commessi dallo stesso soggetto sono avvinti da un
medesimo disegno criminoso, in luogo della disciplina del cumulo materiale delle pene subentra il più mite
regime del cumulo giuridico, previsto dal "nuovo" art.81. Ciò premesso, va condiviso l'orientamento oggi
prevalente che tende a negare al concorso materiale di reati una specifica rilevanza come autonomo
istituto di diritto sostanziale; in altri termini, il concorso di reati è considerato dal legislatore soltanto
nella ristretta ottica dell'unificazione, in via esecutiva, delle sanzioni applicabili al soggetto (MARINI).
Di qui il giustificato dubbio circa la possibilità di continuare a considerare - secondo l'orientamento
dogmatico tradizionale - il concorso di reati come "forma di manifestazione" del reato medesimo
accanto al delitto tentato, al delitto circostanziato e al concorso di persone (ANTOLISEI, MANTOVANI,
ecc. cit. da FIANDACA-MUSCO).
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CONCORSO FORMALE: REQUISITI
Concorso formale "omogeneo" ed "eterogeneo"[640]
Si ha concorso formale di reati nei casi in cui uno stesso soggetto commette una pluralità di violazioni della
legge penale (più reati) con una sola azione od omissione[641]. Anche il concorso formale si distingue in:
-
omogeneo: la pluralità di violazioni ha per oggetto la stessa disposizione incriminatrice;
-
eterogeneo: la pluralità di violazioni riguarda diverse disposizioni incriminatici[642].
Unicità di azione e pluralità di reati:
a)
nel concorso formale eterogeneo:
la confluenza di più fattispecie verso la condotta deve, perché si configuri un concorso formale eterogeneo,
essere effettiva.
Segue: b) nel concorso formale "omogeneo": occorre, invece, verificare quante volte una medesima
azione violi una stessa disposizione incriminatrice. In proposito appare decisiva la distinzione tra
fattispecie incriminatici che tutelano beni altamente personali (vita, integrità fisica, libertà personale,
onore, ecc.) e fattispecie che proteggono beni di natura diversa.
Rispetto alle prime è fuori di dubbio che si configura una pluralità di reati se con una medesima azione si
ledono soggetti passivi diversi.
Rispetto alle seconde in presenza di una sola azione pur lesiva di soggetti passivi diversi non sempre è invece
configurabile una pluralità di reati[643].
SEGUE: DISCIPLINA GIURIDICA
Art.81 [644], comma 1°: "E' punito con la pena che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave aumentata
sino al triplo chi con una sola azione od omissione viola diverse disposizioni di legge ovvero commette più
violazioni della medesima disposizione di legge".[645]
Il regime del cumulo giuridico introdotto dalla riforma novellistica del '74: al regime del cumulo materiale (tot
crimina tot poenae) della vecchia formulazione è subentrato il regime del cumulo giuridico, consistente
appunto nella applicazione della pena prevista per il reato più grave con un aumento corrispondente
non già alla somma delle altre pene, ma ad una quota proporzionale prefissata dalla legge (nella
specie: sino al triplo).[646]
I motivi ispiratori della riforma: due ordini:
1)
il peso umano della sofferenza, almeno nel caso della pena detentiva, si accresce progressivamente con
la durata delle pene e pertanto si violerebbe quel rapporto di proporzione tra numero dei reati ed entità delle
pene implicito nella stessa idea ispiratrice del cumulo materiale delle sanzioni;
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2)
si osserva che chi compie più reati con una sola azione attua una sola risoluzione criminosa e perciò
dimostra una minore pericolosità sociale.
REATO CONTINUATO: PREMESSA
Reato continuato è reato complesso (sottratto cioè al meccanismo
ordinario del concorso materiale di reati). L'origine tradizionale
della continuazione è legata all'esigenza di questa complessità:
nasce nel diritto medioevale per evitare sproporzione sul piano
sanzionatorio (diritto germanico e diritto barbaro[647]). Requisiti
strutturali (anticipazione):
-
Pluralità di reati (nel senso precisato per il concorso materiale);
-
In esecuzione di un <medesimo disegno criminoso>[648] è il cemento dei fatti.
-
Violazione di pluralità di norme di legge.
Ratio dell'istituto: la pluralità dei reati commessi dalla stessa persona appare emanazione di un
"medesimo disegno criminoso": ciò dimostrerebbe una minore riprovevolezza complessiva dell'agente
e, di conseguenza, giustificherebbe un trattamento penale più mite che non nei normali casi di
concorso materiale di reati.
La modifica introdotta dalla riforma novellistica del '74: l'attuale art.81 cpv. ammette la continuazione dei
reati anche in presenza della violazione di norme incriminatici eterogenee: detta norma infatti
identifica il reato continuato nel fatto di "chi, con più azioni od omissioni [649]esecutive di un
medesimo disegno criminoso, commette anche in tempi diversi più violazioni della stessa o di diverse
disposizioni di legge". Esigenza di reagire all'artificiosa frammentazione delle fattispecie legali di
reato riscontrabili specialmente in determinati settori.
L'unicità del "disegno criminoso" come elemento caratterizzante l'istituto: si comprende come a delimitare i
reali confini del reato continuato, rispetto ai casi di concorso materiale di reati, contribuisca il modo di
intendere il concetto di disegno criminoso: in altri termini, quanto più si sarà propensi a estendere la nozione di
disegno criminoso, tanto più si restringeranno i confini del concorso materiale di reati, e viceversa.
ELEMENTI COSTITUTIVI DEL REATO CONTINUATO
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In sintesi, gli elementi costitutivi del reato continuato sono tre:
1)
Pluralità di azioni od omissioni: cui fa riferimento l'art.81 cpv. deve intendersi come pluralità di
condotte "autonome", che danno luogo ad altrettanti episodi criminosi[650], anche se commesse "anche in
tempi diversi".Il legame temporale è indice dell'esistenza di un legame logico tra i reati nel momento che
"...esiste una stretta interdipendenza tra la persistenza dell'identico disegno criminoso ed il decorrere del
tempo" (MANTOVANI). Per cui più ampio sarà l'intervallo di tempo tra le condotte illecite e più ardua risulterà
la prova del loro inserimento in un identico disegno criminoso.
2) Pluralità delle disposizioni di legge violate: l'art.81 cpv. ammette la configurabilità dell'istituto anche in
presenza della commissione di reati diversi, non importa se dotati di "caratteri fondamentalmente comuni" o,
per contro, del tutto eterogenei tra di loro (es. omicidi, rapine, falsità, corruzione,ecc.): sicchè è forse più
corretto oggi parlare, piuttosto che di "reato continuato", di "continuazione di reati".
3) Unicità del disegno criminoso come: interpretazione del requisito della "medesimezza" del disegno
criminoso, che è rimasto il solo elemento caratterizzante il reato continuato. Due orientamenti ermeneutici,
inclini rispettivamente ad ampliare o a restringere il significato del medesimo disegno criminoso.
a) rappresentazione anticipata dei singoli episodi delittuosi: il requisito in esame sarebbe stato assunto dal
legislatore in un'accezione puramente intellettiva: "stesso disegno criminoso" equivarrebbe ad una mera
rappresentazione mentale anticipata dei singoli episodi delittuosi poi di fatto commessi dallo stesso agente.
Segue come : b) unicità di scopo: ulteriore elemento "finalistico" costituito dall'unicità dello scopo: in
altri termini, per aversi reato continuato occorre che i diversi episodi delittuosi costituiscono
attuazione di un preciso e concreto programma diretto alla realizzazione di un obiettivo unitario. Ne
deriva che i diversi reati devono porsi in un rapporto di interdipendenza funzionale rispetto al
conseguimento di un unico fine; e tale interdipendenza deve - a sua volta - obiettivarsi in una trama di segni
esteriormente riconoscibili.
Le norme sulla continuazione risultano inapplicabili ai reati colposi. Siccome il medesimo disegno può
avere ad oggetto soltanto fatti criminosi sorretti dalla "volontà" di commetterli. Alla programmazione
dell'attività delittuosa si aggiunge la volizione delle singole condotte criminose, la qual cosa rende ictu oculi
incompatibile la disciplina del reato continuato con i reati colposi. Invece, non è da escludere che il
vincolo della continuazione ricomprenda anche le contravvenzioni, purchè connotate dall'elemento
psicologico del dolo.
SEGUE: REGIME SANZIONATORIO
Cumulo giuridico: l'art.81 cpv. stabilisce che al reato continuato e per il concorso formale di reati, si
applica la pena che dovrebbe infliggersi per il reato più grave, aumentata fino al triplo; è lo stesso
regime del cumulo giuridico previsto dal primo comma della disposizione ora richiamata, anche per il
concorso formale di reati.
Ultimo comma art.81 la pena non può essere comunque superiore a quella che sarebbe applicabile
sommando le singole pene previste per i reati in concorso.
A) Concetto di "violazione più grave": determinazione in astratto o in concreto? Due orientamenti contrapposti:
1)
per accertare quale sia la violazione più grave occorre fare riferimento alla astratta previsione
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legislativa, e cioè alla qualità e alla entità delle sanzioni applicabili per i singoli reati in continuazione[651].
2)
Determinazione in concreto della violazione più grave: occorre fare riferimento non soltanto al
titolo di reato e alle rispettive pene edittali, ma a tutti gli altri elementi (compresi tutti gli indici di
commisurazione della pena ex art.133) che possono incidere sulla valutazione dei singoli episodi in
continuazione; per cui violazione più grave è quella che, ad un esame complessivo dei vari fatti
coinvolti nella vicenda concreta, risulta più gravemente (non già punibile, ma) punita.
Per Fiandaca-Musco è preferibile la tesi più tradizionale che ravvisa la violazione più grave in quella più
gravemente punibile in astratto.
B) Cumulo giuridico e pene eterogenee: (reclusione e arresto; multa e ammenda). Si assiste al conflitto
tra due esigenze egualmente meritevoli di considerazione:
-
quella di salvaguardare il principio della legalità delle pene;
quella di rendere operante nella prassi l'intento legislativo di attribuire all'istituto della continuazione la
massima espansione, al di là di ogni lacuna tecnica, riscontrabile nell'attuale disciplina dell'istituto.
Segue: pene di specie diversa: (es. reclusione e arresto, ovvero multa e ammenda) la Corte Cost. con
sentenza interpretativa n.312/1988 ha avallato l'orientamento estensivo, affermando che non esiste
alcuna ragione di principio per non dare massima espansione all'istituto del reato continuato e ai relativi
benefici. E' pena legale anche quella "risultante dalla applicazione delle varie disposizioni incidenti sul
trattamento sanzionatorio; perciò la pena unica progressiva, applicata come cumulo giuridico ex art.81, è pena
legale essa pure perché preveduta dalla legge".
Segue: pene di genere diverso: rimane a tutt'oggi controversa, invece, l'ammissibilità della continuazione nel
caso di reati puniti con pene di genere diverso, cioè di reati puniti, rispettivamente , con pene detentive
(arresto o reclusione) e con pene pecuniarie (multa o ammenda). Il problema attiene alla individuazione dei
criteri alla cui stregua operare l'aumento della pena prevista per il reato ritenuto più grave. Più soluzioni per le
quali è auspicabile intervenga il futuro legislatore [652].
Continuazione e giudicato: possibilità di ammettere la continuazione fra reati già giudicati con sentenza
irrevocabile e reati ancora sub judice. Corte Cost. sentenza interpretativa n.115/87 ha avvallato la tesi
favorevole alla configurabilità della continuazione, fondamentalmente sulla base di due rilievi: a) ciò
che veramente conta, ai fini della unificazione, è soltanto la unicità del disegno criminoso; b) il
principio dell'intangibilità del giudicato, lungi dal dover pretendere una assoluta osservanza, è
suscettivo di deroga tutte le volte in cui dalla sua intangibilità derivi un ingiusto sacrificio dei diritti del
condannato.[653]
SEGUE: NATURA GIURIDICA
Reato "unico" o "plurimo" in funzione degli effetti più favorevoli al reo.
Il reato continuato, in applicazione del prefato criterio, va ritenuto come reato unico ai fini:
-
dell'applicazione della pena;
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-
della dichiarazione di abitualità e professionalità;
-
della decorrenza del termine iniziale della prescrizione.
Esso va, invece, considerato come reato plurimo ai fini:
-
dell'amnistia propria;
-
del computo della durata del tempo necessario a prescrivere;
-
della responsabilità dei concorrenti nell'ambito del concorso di persone;
-
dell'applicabilità delle circostanze, ecc.
Cap. 2. CONCORSO APPARENTE DI NORME
PREMESSA
Presupposti del concorso apparente: medesima situazione di fatto e convergenza di più norme[654]:
1)
l'esistenza di una medesima situazione di fatto;
2)
la convergenza di una pluralità di norme che sembrano prestarsi a regolarla.
Per identificare i casi di concorso apparente sono stati da tempo escogitati tre criteri:
1)
specialità: esplicito riconoscimento art.15 c.p.;
2)
sussidiarietà;
3)
consunzione (o assorbimento).
SPECIALITA'
Art.15 " Quando più leggi penali o più disposizioni della medesima legge penale regolano la stessa
materia[655], la legge o la disposizione di legge speciale deroga alla legge o alla disposizione di legge
generale, salvo che sia altrimenti stabilito[656]".
Schema logico del rapporto di specialità. Principio della prevalenza della legge speciale rispetto alla legge
"generale"[657] [658].
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<Indiscusso e indiscutibile è che l'art.15 c.p. si riferisca senz'altro a tutte le ipotesi in cui una fattispecie si
prospetti in rapporto di specialità c.d. unilaterale rispetto ad un'altra, nel senso che i suoi requisiti costitutivi
rappresentano, in tutto o in parte, una specificazione di requisiti contenuti nell'altra (specialità per
specificazione) o nel senso che essa include elementi aggiuntivi non ricompresi nell'altra (specialità per
aggiunta)[659].In pratica, per accertare la specialità unilaterale, è sufficiente ipotizzare che la fattispecie
supposta speciale sia eliminata: se l'ambito della sua previsione normativa è destinato a rifluire
automaticamente nella fattispecie supposta generale, non v'è dubbio che tra le due fattispecie intercorre un
rapporto di specialità unilaterale [660]. (.. Abbiamo poi..Ndr) una specialità bilaterale o reciproca, così, come,
ancora esemplificando,nel rapporto tra l'art.501 c.p.(aggiotaggio comune) e l'art.2620 c.c. (aggiotaggio
societario): quest'ultimo è speciale per specificazione quanto al soggetto attivo ("amministratore", etc., rispetto
a "chiunque")e quanto all'oggetto materiale della condotta (titoli della società, rispetto a merci o valori
negoziabili), mentre l'art.501/1°c.p. è a sua volta, speciale per aggiunta essendo nella sua fattispecie incluso
un dolo specifico (<fine di turbare il mercato interno...>) estraneo a quello dell'art.2628 c.c. (..). La
giurisprudenza è in genere restia, se non addirittura ostile, a ricondurre questo fenomeno alla disciplina
dell'art.15 c.p. e opta per lo più per il concorso formale di reati. La dottrina è invece in massima parte orientata
a ricondurlo al concorso apparente di norme, ma con una profonda frattura tra coloro che ritengono trattarsi in
effetti di un'ipotesi di specialità riconducibile alla disciplina dell'art.15 c.p. e coloro che postulano invece il
ricorso a criteri di soluzione del concorso apparente diversi dalla specialità, e precisamente: il criterio di
sussidiarietà e il criterio di consunzione (quest'ultimo considerato talvolta unica alternativa alla specialità).>
PADOVANI, op.cit., pagg. 351-353.
Il concetto di "stessa materia": Secondo un orientamento diffuso in giurisprudenza e parte della dottrina
(BETTIOL-PETTOELLO MANTOVANI, SPIEZIA) questo concetto non solo alluderebbe all'esistenza di un
"medesimo fatto[661]", ma presupporrebbe anche alla identità od omogeneità del bene protetto, con la
conseguenza che il rapporto di specialità intercorrerebbe soltanto fra norme poste a tutela di un
medesimo bene giuridico[662].
Senonchè, tale interpretazione pretende di inserire, tra i presupposti di operatività dell'art.15, un elemento che
ne stravolge la funzione: infatti il rapporto di specialità ha natura logico-formale! E, pertanto, sono ad
esso estranei apprezzamenti di valore del tipo di quelli che è invece necessario emettere in sede di
individuazione dell'oggettività giuridica[663].
La specialità c.d. in concreto: obiezioni: Altro indirizzo interpretativo: il concetto di "stessa materia" fa
riferimento anche alle ipotesi in cui un medesimo fatto concreto è riconducibile a due o più figure criminose,
pur se tra le medesime non sussiste "in astratto" un rapporto di genere a specie: per qualificare questo nuovo
fenomeno si parla, appunto, di specialità c.d. in concreto[664]. Il rapporto di specialità in concreto
andrebbe risolto applicando la norma che meglio si adatta al caso di specie, normalmente ravvisata in
quella che prevede il trattamento più severo. Non-senso!
La specialità c.d. reciproca o bilaterale: obiezioni: tale relazione sussisterebbe allorché nessuna norma è
speciale o generale, ma ciascuna è ad un tempo generale e speciale, perché entrambe presentano,
accanto ad un nucleo di elementi comuni, elementi specifici ed elementi generici rispetto ai
corrispondenti dell'altra[665].
"Stessa materia" come medesima situazione di fatto: sussumibile, a prima vista, sotto più norme[666].
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SUSSIDIARIETA'
Stadi diversi di offesa di un medesimo bene.
Il principio di sussidiarietà intercorrerebbe tra norme che prevedono stadi o gradi diversi di offesa di
un medesimo bene: in modo tale che l'offesa maggiore assorbe la minore e, di conseguenza,
l'applicabilità dell'una norma è subordinata alla non applicazione dell'altra (lex primaria derogat legi
subsidiariae)[667]. In taluni casi, è lo stesso legislatore ad indicare un rapporto di sussidiarietà tramite
l'utilizzo di una "clausola di riserva"[668]: si pensi ad es. al reato di abuso di ufficio (art.323), il quale è
applicabile soltanto ove non risultino applicabili altre fattispecie più gravi poste sempre a tutela della
pubblica amministrazione.
Casi di sussidiarietà "tacita".
ASSORBIMENTO[669]: "NE BIS IN IDEM" SOSTANZIALE
Il principio dell'assorbimento come criterio di valore: esso è invocabile per escludere il concorso di
reati in tutte le ipotesi nelle quali la realizzazione di un reato comporta, secondo l'id quod plelumque
accidit, la commissione di un secondo reato, il quale perciò finisce, ad una valutazione
normativo-sociale, con l'apparire assorbito dal primo.
Caratteristiche essenziali del principio dell'assorbimento sono:
1)
esso non poggia su di un rapporto logico tra norme, ma su di un rapporto di valore, in base al
quale l'apprezzamento negativo del fatto concreto appare tutto già compreso nella norma che prevede
il reato più grave, con la conseguenza che la contemporanea applicazione della norma che prevede il reato
meno grave condurrebbe ad un ingiusto moltiplicarsi di sanzioni;
2)
esso richiede non la identità naturalistica (come il principio di specialità), bensì la unitarietà
normativo-sociale del fatto.
La norma c.d. prevalente
Normalmente il criterio del trattamento penale più severo, oppure comparazione del rango e della qualità dei
beni tutelati.
L'"artificiosa proliferazione" delle fattispecie incriminatici.
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PROGRESSIONE CRIMINOSA[670], ANTEFATTO[671] E POSTFATTO[672] NON PUNIBILI
Reato progressivo: unica condotta progressiva, quando una fattispecie legale ne contiene un'altra
attraverso la quael passare per realizzarla (p.es. lesioni rispetto a morte). Per la prevalente
giurisprudenza il reato progressivo va inquadrato come specie del reato complesso in senso lato: il
reato progressivo comprende infatti quei reati che contengono come elemento costitutivo o eventuale
un reato minore, onde la commissione del maggiore implica il passaggio attraverso il minore. Mentre
nel reato complesso basta che il reato sia contenuto in un altro, nel progressivo occorre l'offesa
crescente di uno stesso bene (es. riduzione in schiavitù rispetto al sequestro).
Paradigma del reato progressivo: è reato eventualmente complesso: non è necessario che un reato ne
racchiuda un altro (o per elementi di costituzione o per circostanze) ma ciò è eventuale. Se non si
applica l'art.84 si applica il concorso di reati. Se si applica (interpretazione sostanziale e analogica in
bonam partem) art.84 si sottrae....
Con l'art.84 l'ordinamento sceglie di sottrarre al concorso di reati dei fatti o perchè considerati elementi
costitutivi di un altro reato o perché circostanze aggravanti REATO COMPLESSO IN SENSO STRETTO[673].
Ove si racchiuda un altro reato, ma non solo quello, ma ulteriori elementi che NON sono reati, es.
congiunzione carnale violenta = REATO COMPLESSO IN SENSO LATO[674].
Non sono punibili l'antefatto e postfatto, in quanto vanno ricondotti alla logica dell'assorbimento che permea il
principio di consunzione: secondo tale principio, il reato più grave esaurisce in sè l'intero disvalore penale.
Esemplificazioni del principio dell'assorbimento:
REATO COMPLESSO
Unificazione legislativa di più reati stabilendo una espressa deroga alla disciplina del concorso.
Art. 84 [675] le disposizioni sul concorso di reati "non si applicano quando la legge considera come elementi
costitutivi, o come circostanze aggravanti di un solo reato, fatti che costituirebbero, per se stessi, reato".[676]
E' il reato complesso: il quale consiste in una unificazione legislativa sotto forma di identico reato di due o più
figure criminose, i cui rispettivi elementi costitutivi sono tutti compresi nella figura risultante dall'unificazione.
Dal p.d.v. strutturale, uno dei reati assorbiti può anche assumere, all'interno della fattispecie unificata, la
posizione di circostanza aggravante[677].
La funzione pratica cui assolve l'art.84, è quella di evitare che l'interprete sia indotto ad applicare il regime del
concorso di reati laddove il legislatore ha proceduto ad una unificazione normativa di fatti che integrerebbero
autonome fattispecie incriminatici.
Alla figura del reato complesso fanno riferimento alcune norme di disciplina contenute nel c.p.:
secondo comma art.84 "qualora la legge, nella determinazione della pena per il reato complesso, si
riferisca alle pene stabilite per i singoli reati che lo costituiscono, non possono essere superati i limiti massimi
indicati negli artt.78 e 79".
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art.131 "nei casi preveduti dall'art.84, per il reato complesso si procede sempre di ufficio, se per taluno
dei reati che ne sono elementi costitutivi o circostanze aggravanti, si deve procedere di ufficio".
Art.170, comma 2°: "la causa estintiva di un reato, che è elemento costitutivo o circostanza aggravante
di un reato complesso, non si estende al reato complesso"[678]: così, ad es., se un'amnistia è applicabile ai
reati di furto, essa sarà inapplicabile alla rapina, della quale il furto stesso è un elemento costitutivo.
La ratio che presiede all'unificazione legislativa di singoli fatti implica necessariamente un punto comune di
incidenza fra gli stessi: RAPPORTO DI MEZZO A FINE CHE AVVINCE I DISTINTI FATTI DELITTUOSI e che
attribuisce agli stessi un significato nuovo ed unitario e tale quindi da giustificare <la loro confluenza
in un'unica fattispecie legale> (ZUCCALA', MORO, MANTOVANI, PAGLIARO) per i quali si può trattare
anche di uno <stretto legame ideologico>, come ad es. per gli omicidi nel caso di strage.
PARTE SETTIMA: LE SANZIONI
Cap. 1. I PRESUPPOSTI TEORICI E POLITICO-CRIMINALI DEL SISTEMA SANZIONATORIO VIGENTE
PREMESSA
Scopi della pena e concezioni della società e dello Stato[679]
Evoluzione delle tecniche punitive
Il concetto di sanzione penale si estende alle c.d. misure di sicurezza: cioè ad una misura ulteriore che
consegue pur sempre alla commissione di un reato,ma la cui funzione (almeno negli intenti) si differenzia da
quella delle pene in senso stretto: scopo precipuo delle misure di sicurezza sarebbe, infatti, quello di
risocializzare l'autore di un reato in quanto soggetto socialmente pericoloso.
Le tre idee-guida del dibattito sulla pena: retribuzione[680]; prevenzione generale; prevenzione speciale:
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LE ORIGINARIE SCELTE SANZIONATORIE DEL CODICE ROCCO
Ideologia dello Stato forte e crisi degli strumenti penalistici ottocenteschi
Riorganizzazione del sistema sanzionatorio attorno ai poli della prevenzione generale (attuata anche
attraverso il momento retributivo) e speciale, rispettivamente affidate a strumenti sanzionatori di natura
diversa. Questa scelta offre anche il destro al nostro legislatore per cercare di conseguire un importante
obiettivo, quello cioè di sanare il contrasto tra la Scuola classica[681] e la Scuola positiva: compromesso.
Il sistema del c.d. doppio binario il quale prevede, accanto e in aggiunta alla pena tradizionale inflitta ai
soggetti imputabili o semimputabili, sul presupposto della colpevolezza, una misura di sicurezza
(prevista per i soggetti socialmente pericolosi), vale a dire una misura fondata sulla pericolosità
sociale del reo e finalizzata alla sua risocializzazione.
Prevenzione generale e pena: dalla relazione ministeriale al codice: funzione di prevenzione generale e
funzione c.d. satisfattoria della pena[682].
Prevenzione speciale e misure di sicurezza: le quali misure dirette a neutralizzare la "pericolosità sociale" del
reo, hanno infatti come scopo di evitare che un medesimo soggetto incorra nella commissione di futuri reati.
All'interno del genus "misura di sicurezza" si distinguono poi, diverse specie di misure (casa di lavoro, casa di
cura e di custodia, manicomio giudiziario, riformatorio giudiziario) rapportate alle caratteristiche tipologiche del
delinquente (recidivo, abituale, infermo di mente, minorenne, ecc.).
CONTRADDIZIONI E INSUFFICIENZE DEL SISTEMA DEL DOPPIO BINARIO
Contraddizioni teoriche: L'applicabilità ad un medesimo soggetto di una pena e di una misura di sicurezza,
aventi come presupposto l'una (pena) la libertà del volere e la colpevolezza, l'altra (misura di sicurezza) la
tendenza deterministica a delinquere e la conseguente pericolosità sociale, sembra supporre una concezione
dell'uomo come essere "diviso in due parti" (Nuvolone).
Interferenze di disciplina: l'art.133 nel regolare il potere discrezionale del giudice nella
commisurazione della pena, stabilisce che si deve tener conto anche della "capacità a delinquere del
colpevole", desunta da una serie di indici relativi alla sua personalità e al suo ambiente di provenienza.
L'art.203 [683]relativo all'accertamento della pericolosità quale presupposto della misura di sicurezza,
dispone che la qualità di persona socialmente pericolosa si desume dalle stesse circostanze indicate
nell'art.133. Ciò significa, dunque, che per il giudizio di pericolosità rilevano quegli stessi elementi che
servono per la quantificazione della pena: ma, se così è, finiscono con lo sfumare le differenze di
presupposti applicativi tra pene e misure; e, di conseguenza, diventa artificioso lo stesso principio del
doppio binario.
Identità di contenuto afflittivo nella concreta prassi esecutiva: tra pene e misure di sicurezza esiste, sul piano
del trattamento, una sostanziale identità di contenuto afflittivo, dovuta anche al fatto che alla strategia
legislativa differenziata non è mai seguito l'apprestamento di corrispondenti strutture che consentissero, in
concreto, un'effettiva diversificazione dell'esecuzione delle pene e delle misure: "frode delle etichette".
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LA PENA SECONDO LA COSTITUZIONE
L'art.27, comma 3°, Cost. e la portata innovativa del principio di rieducazione: "Le pene non possono
consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato": la
dottrina coeva all'emanazione della Carta cost. ha espresso orientamenti ermeneuti rivolti a restringerne la
portata. Verbo "tendere" : la rieducazione è uno scopo "eventuale" della pena e, considerato l'ordine di
successione dei due enunciati contenuti nel 3° comma art.27 Cost. se ne è dedotto che scopo necessario
della prima rimane la "retribuzione", mentre la funzione rieducativi resterebbe confinata alla fase esecutiva
(Petrocelli, Spasari, Grosso, Bettiol).
Critici Fiandaca-Musco per i quali la rieducazione[684] dice di più dell'emenda ed inclina verso il concetto di
"risocializzazione"[685].
Limiti della presa di posizione costituzionale sullo scopo della pena:
1) la prevenzione speciale sub specie di rieducazione non è da sola sufficiente a esaurire tutte le funzioni
cui oggi la sanzione penale assolve. Se la rieducazione assume un ruolo primario nelle due fasi
dell'esecuzione e della commisurazione giudiziale della pena, altrettanto non può dirsi nella fase della
minaccia: l'obiettivo perseguito in questa fase è quello della "prevenzione generale", proprio perché la
minaccia della pena serve a distogliere la generalità dei consociati dalla commissione di fatti penalmente
illeciti.
2) "genericità" del concetto di rieducazione, sia pure assunto a criterio ispiratore non di tutte, ma di alcune
funzioni soltanto della sanzione penale: ciò sollecita l'interprete ad un impegno rivolto a precisare portata e
limiti della rieducazione alla stregua dell'insieme dei principi che caratterizzano il nostro sistema costituzionale.
SIGNIFICATO E LIMITI DELL'IDEA RIEDUCATIVA
Idea rieducativa e durata delle sanzioni:
L'idea retributiva momento logico ineliminabile della pena?: considerata non come idea astratta ma che vive
nella realtà con spessore socio-psicologico, la retribuzione esprime le istanze emotive di punizione emergenti
nei contesti storico-sociali di volta in volta considerati.
Rieducazione e diritto penale del fatto: interpretazione dell'art.27, comma 3°, Cost. non come norma isolata,
bensì come norma posta in relazione all'art.25, comma 2°, Cost.[686].
Il principio di proporzione: è uno dei criteri-guida che presiedono allo stesso funzionamento dello Stato di
diritto: parametro essenziale di qualsiasi teoria razionale e moderna sulla funzione della pena[687]. Da un
lato, all'interno di un'ottica di prevenzione generale (sentimenti di insofferenza nel potenziale trasgressore per
pena eccessivamente severa e alterazione nei consociati della percezione della corretta scala di valori di cui al
rapporto tra singoli reati e le sanzioni corrispondenti).
Dall'altro (e complementare) lato della prevenzione speciale ispirata al modello della rieducazione (trattamento
rieducativo correttamente inteso: consapevolezza del torto commesso,ecc.e proporzionatezza tra fatto e
sanzione, avvertita come tale dal reo, è premessa ineliminabile dell'accettazione psicologica...).
I contenuti della rieducazione: escludere dall'art.27, comma 3°, Cost. l'idea rieducativa in un'accezione
squisitamente eticizzante, qual è quella sottesa al concetto di emenda morale, piuttosto l'art.27 Cost. postula
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un modello di risocializzazione come processo inteso a favorire la (ri-) acquisizione dei valori basilari della
convivenza, in una dimensione che supera il piano meramente naturalistico della normalità in senso fisico e/o
psicologico.
Rieducazione e complesso dei principi ispiratori del sistema costituzionale: per delineare il "volto" della
rieducazione, bisogna operare un collegamento tra l'art.27, comma 3° Cost e il complesso dei principi
ispiratori del ns. sistema costituzionale. Non bisogna identificare la funzione rieducativa della pena col
"recupero sociale" tout court, altrimenti che dire per la c.d. criminalità dei colletti bianchi, la quale tipicamente
si manifesta nella commissione di reati ai danni dell'economia pubblica e di altri beni collettivi come l'ambiente,
eccetera.
Distinzione tra l'obiettivo della rieducazione e le diverse tecniche del processo rieducativi:
Il consenso del destinatario: dal momento che non può essere coercitivamente imposta, occorre che vi sia
disponibilità psicologica di quest'ultimo: di qui il vero significato di "tendere" (comma 3° art.27 Cost.), è
necessario rispettare un altro valore dotato di rilevanza costituzionale l'autonomia morale dell'individuo.
RIEDUCAZIONE E PRASSI LEGISLATIVA
Le più importanti concretizzazioni legislative del principio di rieducazione (iter espositivo storico-cronologico):
Ergastolo: modifica nel 1962 dell'art.176 "il condannato all'ergastolo può essere ammesso alla
liberazione condizionale quando abbia scontato almeno ventisei anni di pena". Successivamente, la
"miniriforma" penitenziaria dell'86 ha esteso anche agli ergastolani la possibilità di beneficiare della
semilibertà e della liberazione anticipata.
Sospensione condizionale:al fine ridurre gli effetti desocializzanti della pena carceraria, modifica nel 1974
[688] e nel 1981 [689].
Ordinamento penitenziario: riforma con Legge 26/07/1975, n.354: i punti qualificanti di tale riforma consistono:
1)
ricezione dell'ideologia del trattamento rieducativo;
2)
introduzione di misure alternative alla detenzione ispirate all'idea del probation.
Sanzioni sostitutive: Legge 24/11/1981, n.689 [690]introduzione delle sanzioni sostitutive delle pene detentive
brevi: consolidato convincimento che queste producano effetti più desocializzanti (se non addirittura
criminogeni!) che rieducativi.
Pena pecuniaria: Legge 689/1981: nuovo sistema di commisurazione della pena in base alle condizioni
economiche del reo: art.133 bis per far avvertire al reo la pena come più giusta e proporzionata: agevolazione
del processo di riacquisizione del rispetto dei valori offesi.
L'EVOLUZIONE PIU' RECENTE DEL DIBATTITO SULLE FUNZIONI DELLA PENA: A) LA PREVENZIONE
GENERALE
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La recente tendenza a rivalutare la prevenzione generale: a partire dalla seconda metà anni sessanta:
1)
per il crescente e preoccupante aumento della criminalità;
2)
esiti sconfortanti prassi attuativa ideologia della risocializzazione e messa in crisi dell'idea rieducativa.
La prevenzione generale secondo la teoria della coazione psicologica: Protagora, Seneca... minaccia della
pena come controspinta psicologica alla spinta criminosa[691].
La funzione di orientamento culturale: la minaccia della pena adempie una funzione morale-pedagogica o di
orientamento culturale dei consociati (prevenzione generale c.d. positiva)[692].
La diversa rilevanza della prevenzione generale nelle tre fasi della fenomenologia punitiva: Se opera nel
triplice momento:
1)
della minaccia: funzioni di deterrenza e di orientamento culturale rispetto alla generalità dei cittadini;
2)
dell'inflizione: vincola il giudice a infliggere una pena di ammontare tale che non superi la colpevolezza
insita nel singolo fatto di reato;
3)
dell'esecuzione della pena: qui domina la preoccupazione per il trattamento rieducativo, mentre
l'efficacia deterrente per i consociati in genere rimane affidata alla natura inevitabilmente affittiva di ogni
trattamento punitivo.
B) LA RETRIBUZIONE
Definitivo superamento delle vecchie concezioni retribuzionistiche: la tesi che la pena serva a
compensare o retribuire il male arrecato alla società con l'atto criminoso ha le sue radici da un lato
nella concezione di stampo vetero-cattolico, dall'altro nella filosofia idealistica.
L'idea retributiva come odierno equivalente del principio di proporzione
Le recenti tendenze "neoretribuzionistiche": l'idea retributiva troverebbe una base empirica nei bisogni emotivi
di punizione esistenti nella società e in ciascun individuo di fronte alla perpetrazione dei reati (ispirazione alla
psicoanalisi)
Riserve critiche: il recente recupero di una funzione satisfattorio-stabilizzatrice della pena intesa in senso
retributivo, desta grave e giustificato allarme. I bisogni emotivi di punizione proprio perché irrazionali e
contingenti , lasciano il trattamento punitivo in balia delle spinte più incontrollabili: rischio di punizioni
terroristiche non proporzionate all'obiettiva gravità del reato commesso: tendenze regressive.
C) LA PREVENZIONE SPECIALE
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Le diverse tecniche della prevenzione speciale:
neutralizzazione del soggetto potenzialmente pericoloso con impiego coazione fisica.
Forme di interdizione giuridica: es. divieto di contrattare con la p.a.
Forma di condizionamento della personalità del reo: emenda morale del delinquente[693].
Rieducazione concepita come risocializzazione[694].
La "crisi" dell'ideologia rieducativa: dominante fino prima metà anni '60 ora "mito" della
risocializzazione.
Riserve critiche
IL PROBLEMA DEL SUPERAMENTO DEL DOPPIO BINARIO
Negli anni immediatamente successivi all'emanazione della Costituzione emersione di due orientamenti:
1)
sollecitava l'unificazione della pena e della misura di sicurezza in un'unica sanzione, che fosse
contemporaneamente in grado di assolvere le finalità dell'una e dell'altra misura;
2) giurisprudenziale: sotto l'etichetta "fungibilità di pene e misure" tendeva a detrarre il periodo di privazione
della libertà personale sofferta senza causa (o perché alla carcerazione preventiva non seguiva la condanna
ovvero perché il condannato risultava successivamente innocente) dell'ammontare della misura di sicurezza
da applicarsi dopo la pena.
La Costituzione, lungi dall'aver legittimato il sistema del cumulo di pene e misure di sicurezza nei confronti di
un medesimo soggetto, ha implicitamente prefigurato un sistema monistico di sanzioni: per esso ad un
reato deve corrispondere una sola sanzione orientata in senso rieducativo.Se tale sanzione unica debba poi
rivestire i caratteri della pena[695] o della misura di sicurezza, è una scelta da operare in funzione delle
caratteristiche soggettive dei destinatari della sanzione: in questo senso, le pene andrebbero applicate ai
delinquenti psicologicamente normali; le misure di sicurezza ai delinquenti affetti da turbe psicologiche
(inimputabili o semi-imputabili), in quanto tali bisognosi di terapia.
ATTUALITA' E PROSPETTIVE DELLA PENA NELLA REALTA' DELL'ORDINAMENTO
A partire dalla metà anni '70 si era andata affermando una tendenza incline a rimpiazzare la pena carceraria
attraverso misure (lato sensu) alternative alla detenzione. Questa tendenza, potenziata nell'86 dalla c.d. legge
Gozzini che ha puntato a obiettivi di ulteriore "decarcerizzazione" ha prodotto anche effetti negativi: fenomeno
di "fuga" dalla pena detentiva, determinata da orientamenti in realtà eccessivamente "indulgenzialistici" o
clemenziali nella concessione - in particolare - della misura dell'affidamento in prova al servizio sociale.
Ancora: perdita di certezza della pena inflitta in sede di condanna.
Ultimi anni reazione di segno contrario: rinnovata tendenza al massiccio ricorso al carcere. Ulteriori effetti
destabilizzanti sul sistema sanzionatorio sono derivati dall'introduzione, nel nuovo sistema processuale, dei
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cosiddetti "riti alternativi" (rito abbreviato e patteggiamento sulla pena: artt. 442 e 444 c.p.p.): cioè
procedimenti speciali affidati all'iniziativa e all'accordo delle parti (imputato e p.m.), che comportano una
sensibile riduzione della pena che sarebbe altrimenti applicabile all'esito del giudizio normale. Meccanismi
processuali concepiti in un'ottica pragmatica di deflazione e di decongestionamento della macchina giudiziaria,
ma con forti implicazioni sostanziali: sono compatibili con gli scopi di prevenzione generale e speciale che le
pene in teoria dovrebbero perseguire? Nonostante il successivo intervento correttivo della Corte
Costituzionale, che impone al giudice di valutare la "congruità" rieducativa della pena patteggiata, rimane
invero la oggettiva difficoltà di orientare in senso preventivo-rieducativo una pena la cui scelta rimane in larga
misura affidata alle parti (Corte costit. n. 313 del 1990).
Cap. 2. LE PENE IN SENSO STRETTO
LE PENE PRINCIPALI
Art.17[696] le pene principali stabilite per i "delitti" sono:
-
la pena di morte,
-
l'ergastolo,
-
la reclusione,
-
la multa.
Le pene principali stabilite per le "contravvenzioni" sono:
-
l'arresto;
-
l'ammenda.
Art.20 precisa che le pene principali sono inflitte dal giudice con sentenza di condanna, e quelle accessorie
conseguono di diritto alla condanna, come effetti penali di essa.
La pena di morte: prima l'art.17.... è oggi assorbita nell'ergastolo. Art.27, comma 4° Cost., "non è ammessa
la pena di morte se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra"[697].
L'ergastolo: Art.22 "la pena dell'ergastolo è perpetua, ed è scontata in uno degli stabilimenti a ciò destinati,
con l'obbligo del lavoro e con l'isolamento notturno.- Il condannato all'ergastolo può essere ammesso al lavoro
all'aperto". Corte Costituzionale la funzione della pena "non è soltanto il riadattamento sociale dei delinquenti,
ma pure la prevenzione generale, la difesa sociale, e la neutralizzazione a tempo indeterminato di determinati
delinquenti". La natura perpetua dell'ergastolo è andata ridimensionandosi vedi art.176, comma 3° dopo 26
anni....liberazione condizionale.
Corte Cost. 27/09/1983, n.274 che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo il divieto di ammettere i
condannati all'ergastolo al godimento degli sconti di pena consentiti dall'istituto della liberazione "anticipata",
con conseguente riduzione dei tempi necessari ai fini della liberazione condizionale. Successivamente, agli
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artt.14 e 18 della Legge n.663/86 hanno esteso espressamente agli ergastolani l'applicabilità dei due istituti
della semilibertà (col limite dell'espiazione di almeno venti anni di pena) e della stessa liberazione anticipata.
Più in particolare la legge 663/86 consente che, ai fini del computo dei vent'anni di pena espiata che fanno da
presupposto all'ammissibilità al regime di semilibertà, possano venir detratti 45 giorni per ogni semestre di
pena scontata se il condannato partecipa all'opera di rieducazione. Ma vi è di più. E cioè dopo 10 anni (che
possono essere ridotti di ¼ per l'ultimo beneficio citato) sono altresì concedibili permessi-premio per non più di
45 giorni l'anno. Nuovo art.53 bis dell'ordinamento penitenziario stabilisce che il tempo trascorso in permesso
(o licenza) è computato a ogni effetto nella durata della pena espiata, può in atto persino accadere che un
ergastolano venga rimesso in libertà dopo 15 anni avendo già beneficiato di 225 giorni di permesso e venga
liberato condizionalmente dopo 19 anni e sei mesi, avendo già usufruito di 428 giorni di permesso.
Minorenni imputabili: sentenza Corte Cost. 28/04/1994, n.168: incompatibilità insanabile tra la pena perpetua e
la minore età, vedi anche art.31 Cost.
Ergastolo profilo di possibile illegittimità costituzionale per la sua natura di pena "fissa"
La reclusione: stabilisce l'art.23 che "la pena della reclusione si estende da 15 gg a 24 anni[698], ed è
scontata in uno degli stabilimenti a ciò destinati, con l'obbligo del lavoro e con l'isolamento notturno.- Il
condannato alla reclusione, che ha scontato almeno un anno della pena, può essere ammesso al lavoro
all'aperto". La reclusione è la pena temporanea per i delitti.
Il giudice può fissare liberamente tali limiti ..
L'esecuzione della reclusione è oggi disciplinata dalla legge sull'ordinamento penitenziario (Legge 26/07/1975,
n.354) sulla base dei seguenti principi:
1)
reclusione solo nelle case di reclusione;
2)
obbligo lavoro e isolamento notturno;
3)
il trattamento penitenziario deve rispondere ai particolari bisogni della personalità del condannato;
4)
il trattamento si fonda sull'istruzione, sul lavoro, sulla religione, sulle attività culturali ricreative e sportive;
5)
sono agevolati i rapporti con il mondo esterno e con la famiglia;
6) il lavoro non deve avere carattere affittivo e deve essere remunerato in misura non inferiore a 2/3 delle
tariffe sindacali.
Il codice prevede poi alcune cause di differimento dell'esecuzione della reclusione: obbligatoriose
l'esecuzione deve aver luogo contro donna incinta o contro donna che ha partorito da meno di sei mesi, o
contro persona affetta da infezione di HIV, nei casi di incompatibilità con lo stato di detenzione ai sensi
dell'art.286 bis, comma 1, c.p.p. (art.146). Facoltativo se è stata presentata domanda di grazia, se il soggetto
si trova in condizioni di grave infermità fisica e se la donna ha partorito da più di sei mesi e da meno di un
anno e non vi è modo di affidare il figlio ad altro che alla madre (art.147).
L'arresto art.25 "la pena dell'arresto si estenda da 5 gg. a 3 anni, ed è scontata in uno degli stabilimenti a ciò
destinati o in sezioni speciali degli stabilimenti di reclusione, con l'obbligo del lavoro e dell'isolamento notturno.
- Il condannato all'arresto può essere addetto a lavori anche diversi da quelli organizzati nello stabilimento,
avuto riguardo alle sue attitudini e alle sue precedenti occupazioni". L'arresto è la pena detentiva temporanea
per le contravvenzioni.
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La multa Art.24 "la pena della multa consiste nel pagamento allo Stato di una somma non inferiore a lire
diecimila, né superiore a dieci milioni. - Per i delitti determinati da motivo di lucro, se la lege stabilisce soltanto
la pena della reclusione, il giudice può aggiungere la multa da lire diecimila a lire quattromilioni". La multa è la
pena pecuniaria prevista per i delitti (vedi art.133 ter): è prevista in modo fisso o in modo proporzionale. Se
non viene eseguita per insolvibilità del condannato, si converte in una sanzione c.d. di conversione[699]:
libertà controllata [700] ed il lavoro sostitutivo[701].
L'ammendaart.26 "la pena dell'ammenda consiste nel pagamento allo Stato di una somma non inferiore a lire
quattromila né superiore a lire due milioni". L'ammenda è la pena pecuniaria prevista per le contravvenzioni.
LE PENE ACCESSORIE: PREMESSE GENERALI
Sono considerate sanzioni che "per il loro intrinseco carattere mancano di un'efficienza tale, per cui possano
riuscire, per sé medesime, sufficienti a realizzare gli scopi intimiditivi ed afflittivi della repressione. Di qui la
evidente necessità di comminarle sempre congiuntamente ad altre pene, rispetto alle quali esse sono
complementari e accessorie".
Le singole pene accessorie. Art.19:
Per i delitti sono:
1)
interdizione dai pubblici uffici;
2)
l'interdizione da una professione o da un'arte;
3)
l'interdizione legale;
4)
l'interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese;
5)
l'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione;
6)
la decadenza o la sospensione dall'esercizio della potestà dei genitori.
Per le contravvenzioni sono:
1)
la sospensione dall'esercizio di una professione o di un'arte;
2)
la sospensione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese.
Una pena accessoria è poi "comune" sia ai delitti che alle contravvenzioni:
-
pubblicazione della sentenza penale di condanna.
Numero "aperto" delle pene accessorie non numerus clausus, vedi altri settori es. cancellazione albi costruttori
e fornitori della p.a., ecc.
La caratteristica della complementarietà astratta[702]: per le pene accessorie automaticità di applicazione
esse conseguono di diritto alla sentenza di condanna, casi però in cui la loro applicazione è rimessa alla
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discrezionalità del giudice della cognizione (es. art.32, 3° comma).
La loro funzione. Opinione tradizionale (e lavori preparatori) obiettivo di prevenzione generale o di difesa
sociale. Recentemente dottrina evidenzia una funzione di prevenzione speciale, nel senso che esse fungono
da misure volte ad evitare che il reo ricada nel delitto.
La distinzione in "perpetue" e "temporanee" La mancata osservanza delle pene accessorie è sanzionata
penalmente dall'art.389 c.p..
LE SINGOLE PENE ACCESSORIE
Per i delitti sono:
L'interdizione dai pubblici uffici Art. 28. Si tratta della più importante sanzione interdittiva del nostro sistema
penale: sentenze Corte Cost. che hanno ridotto il suo contenuto affittivo: illegittima la privazione di stipendi,
assegni e pensioni a carico dello Stato e di enti pubblici. Priva il condannato:
1)
del diritto di elettorato attivo e passivo e di ogni altro diritto politico;
2)
di ogni pubblico ufficio e di ogni incarico,non obbligatorio, di pubblico servizio;
3)
di gradi e dignità accademiche, titoli, decorazioni e diritti onorifici;
Perpetua: consegue ipso iure alla condanna all'ergastolo o alla reclusione per un tempo non inferiore a cinque
anni, come pure alla dichiarazione di abitualità o professionalità nel delitto e alla dichiarazione di tendenza a
delinquere (art.29).
Temporanea: ha una durata non inferiore ad un anno né superiore a cinque. L'interdizione per la durata di
anni cinque consegue alla condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a tre anni (art.29).
L'interdizione temporanea consegue pure alla condanna per un reato realizzato con abuso dei poteri o con
violazione dei doveri inerenti alla pubblica funzione o al pubblico servizio (art.31).
L'interdizione da una professione o da un'arte (art.30) non inferiore ad un mese non superiore a 5 anni.
L'interdizione legale (art.32) è la pena accessoria per i delitti di maggiore gravità....segue ope legis alla
condanna alla pena dell'ergastolo (art.32), nonché alla condanna alla reclusione per un tempo non inferiore ai
cinque anni (art.32, comma 3°). La condanna produce altresì, durante la pena, la sospensione della potestà
dei genitori, salvo che il giudice disponga altrimenti (art.32, comma 3°).
L'interdizione degli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese (vedi art.32 bis)
L'incapacità di contrarre con la pubblica amministrazione (art.32 ter) "importa il divieto di concludere
contratti con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio.-Essa
non può avere durata inferiore ad un anno né superiore a tre anni". Riguarda solo la persona fisica del
condannato. Consegue ipso iure alla commissione dei delitti espressamente e tassativamente previsti dalla
legge: concussione, corruzione per atto d'ufficio, corruzione per atto contrario ai doveri d'ufficio, la turbata
libertà degli incanti, l'inadempimento di contratti di pubbliche forniture,la frode nelle pubbliche forniture,
l'associazione per delinquere, la rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro,
l'aggiotaggio, le manovre speculative su merci, la truffa a danno dello Stato o di altro ente pubblico o col
pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare (art.32 quater).
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La decadenza o sospensione dall'esercizio della potestà dei genitori(art.34) Consegue ipso iure alla
condanna all'ergastolo e di determinati delitti (in particolare contro moralità pubblica, il buon costume: artt. 541,
564,comma 3°, 569, 671). La sospensione consegue invece alla condanna alla reclusione per un periodo di
tempo non inferiore a cinque anni.
Le pene accessorie previste per le "contravvenzioni" sono:
1) la sospensione dall'esercizio di una professione o di un'arte (art.35): non comporta la decadenza del
permesso, dell'abilitazione o della licenza, ma si limita a sospendere, per il periodo di tempo fissato, la
capacità di esercitare la professione, l'arte, il mestiere, ecc. Non inferiore a 15 gg. né superiore a 2 anni.
2) La sospensione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese (art.35 bis). Consegue
ad ogni condanna all'arresto per contravvenzioni commesse con abuso dei poteri o violazione dei doveri
inerenti all'ufficio e non può avere una durata inferiore a 15 gg. né superiore a 2 anni.
PUBBLICAZIONE DELLA SENTENZA PENALE DI CONDANNA
Pena accessoria "comune" ai delitti e alle contravvenzioni: ordinata dal giudice, pubblicazione di
regola per estratto e una sola volta, in uno o più giornali, a spese condannato. Anche sentenza di
condanna all'ergastolo è pubblicata mediante affissione nel comune ove è stata pronunciata, in quello
in cui fu commesso il delitto ed in quello in cui il condannato aveva l'ultima residenza.
LE PENE SOSTITUTIVE: GENERALITA'
Tali misure possono incidere soltanto nella fase esecutiva della pena principale.
Fondamento politico-criminale: inefficacia, desocializzazione e criminogeneità delle c.d. pene shock
ovvero delle pene detentive di breve durata.
Funzione politico-criminale: efficacia dissuasiva ed evita i tipici effetti desocializzanti della carcerazione breve.
La "semidetenzione" e la "libertà controllata" sono sanzioni autonome collocabili sullo stesso piano
delle pene principali ex art.17.
I presupposti applicativi condizioni:
1)
la pena in concreto irrogata dal giudice, vedi art.53 Legge 689/1981;
2)
di carattere obiettivo, fissata dall'art.60 della Legge 689/1981;
3)
di natura soggettiva e di tipo negativo: art.59 Legge 689/1981.
LE SINGOLE PENE SOSTITUTIVE
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La semidetenzione (art.55 Legge 689/1981) è la misura sostitutiva della pena detentiva fino a un anno.
Comporta in ogni caso: l'obbligo di trascorrere almeno dieci ore al giorno negli istituti penitenziari, il divieto di
detenere a qualsiasi titolo armi, munizioni ed esplosivi, la sospensione della patente di guida, il ritiro del
passaporto, nonché la sospensione della validità, ai fini dell'espatrio, di ogni altro documento equipollente,ed
infine, l'obbligo di conservare e di presentare agli organi di polizia l'ordinanza contenente le prescrizioni
imposte.
La libertà controllata (art.56 Legge 689/1981) è la misura sostitutiva delle pene detentive fino a sei
mesi.Divieto di allontanarsi dal comune di residenza, salvo autorizzazione.........ecc. sospensione
patente ed altro.... Obbligo presentare agli organi di polizia l'ordinanza contenente le prescrizioni
imposte. Contenuto variabile: determinate in concreto dal giudice di sorveglianza.
La pena pecuniaria: è la sanzione sostitutiva delle pene detentive fino a tre mesi.
Applicazione delle sanzioni sostitutive e potere discrezionale del giudice: (art.58 Legge 689/1981) si
riferisce sia all'an della sostituzione, sia al quomodo della stessa. In ordine all'an, la legge fornisce al
giudice due criteri guida: il primo, di ordine positivo, costituito dagli indici di cui all'art.133; il secondo,
di carattere negativo, consistente nella prognosi di probabile inadempimento, da parte del soggetto,
delle prescrizioni relative alle sanzioni sostitutive. In ordine al quomodo della sostituzione, l'aver
assunto a criterio di scelta giudiziale la maggiore idoneità al "reinserimento sociale" del condannato,
presta il fianco a riserve proprio perché è estranea alla semidetenzione, alla libertà controllata e alla pena
pecuniaria, la prospettiva del recupero sociale strettamente inteso: piuttosto il giudice dovrà prescegliere la
sanzione dotata di maggiore efficacia dissuasiva e, al tempo stesso, meno pregiudizievole per il condannato.
Concessione e revoca: l'inosservanza delle prescrizioni imposte al condannato (o anche di una sola di esse)
comporta la conversione della restante parte della sanzione sostitutiva nella pena detentiva sostituita (art.66
Legge 689/1981). La revoca si verifica in due ipotesi:
a) sopraggiungere di una delle condanne che ex art.59, comma1° e comma 2° lett. a) avrebbero impedito
l'applicazione della pena sostitutiva;
b) dipende dal verificarsi di una condanna a pena detentiva per un fatto commesso successivamente alla
sostituzione della pena detentiva (art.72 Legge 689/1981). Medesimo effetto: di convertire la parte di pena
sostitutiva non eseguita in pena detentiva.
Ammissibilità di una sospensione condizionale? Si ex art.57, comma 3° legge 689/81 ove si fa riferimento "ai
casi in cui è concessa la sospensione condizionale della pena": il termine "pena" viene infatti inteso come
sanzione sostitutiva. A ben vedere la natura delle sanzioni sostitutive dovrebbe invece indurre a negare la loro
sospendibilità: infatti, dal punto di vista politico-criminale, la sospendibilità delle sanzioni sostitutive
rappresenta una soluzione incongrua perché cancella i vantaggi socialpreventivi della sostituzione delle pene
detentive brevi e, in ultima analisi, indebolisce ulteriormente il sistema sanzionatorio.
Il c.d. patteggiamento l'applicazione su richiesta dell'imputato. Istituto "ibrido".
Patteggiamento e nuovo processo penale nuova regolamentazione artt. 444, 445,446 e 447 del nuovo codice
di rito ed abrogatrice della previgente disciplina: amplia il limite di pena entro cui è ammissibile il
patteggiamento (Art.444). Ulteriori benefici per rendere più conveniente la richiesta di patteggiamento;
l'esclusione dell'applicabilità di pene accessorie e di misure di sicurezza (ad eccezione confisca nei casi
espressamente previsti dall'art.240, comma 2°, c.p.); l'esenzione dal pagamento delle spese processuali; la
possibilità di beneficiare di un'ulteriore sospensione condizionale della pena qualora sia stata applicata una
pena sostitutiva o una pena pecuniaria.
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La nuova disciplina privilegia il potere dispositivo delle parti, con conseguente restrizione dei poteri d'intervento
del giudice.
LE MISURE ALTERNATIVE DELLA DETENZIONE
Fondamento politico-criminale: mira a creare delle forme alternative di esecuzione della pena detentiva, le
quali, agevolando il contatto del condannato con il mondo esterno, rendano più efficace l'opera di
risocializzazione: alla base c'è forte esigenza di razionalizzazione del sistema penale. Prima c.d. Legge
Gozzini n.663/1986 è intervenuta lungo due direttive: a) ha ampliato la gamma delle misure; b) ha esteso la
possibilità di applicazione delle misure già esistenti nell'ottica della progressione del trattamento penitenziario.
Ulteriore riforma Leggi 168/1998 e n.231/1999 ulteriori ritocchi al sistema delle misure alternative alla
detenzione: novità di maggior rilievo consiste nella concedibilità dell'affidamento in prova al servizio sociale
senza che sia necessaria l'osservazione della personalità in istituto. Vedi il novellato art.656, comma 5°,
C.P.P.[703].
Affidamento in prova al servizio sociale (si ispira all'istituto del probation[704] ma è, per la sua natura
ibrida, un probation penitenziario).Art. 47 ord. Penit. : il condannato a pena detentiva non superiore a
tre ann[705]i può essere affidato al servizio sociale fuori dell'istituto per un periodo uguale a quello
della pena da scontare (art.47, comma 1°).
Prescrizioni imposte all'affidato costituiscono il contenuto della sanzione alternativa de qua: pongono problemi
sia di legalità che di tassatività ex art.25, comma 2°, Cost.[706].
Revoca della misura. L'affidamento è revocato qualora il comportamento del soggetto, contrario alla legge o
alle prescrizioni dettate, appaia incompatibile con la prosecuzione della prova (art.47, comma 11°, ord. Penit.).
Intervento della Corte Costit. con tre sentenze[707]. L'esito positivo del periodo di prova estingue la pena e
ogni altro effetto penale (art.47, ult. comma, ord. Penit.).
Affidamento per tossico-dipendenti: si è di fatto equiparato l'affidamento in prova terapeutico a quello
c.d. ordinario, con un'unica differenza relativa al diverso limite di pena irrogata o da scontare solo in
parte: quattro anni piuttosto che tre.
Detenzione domiciliare: art.47 ter ord. penit.
Revoca
Semilibertà: consiste in una parziale limitazione della libertà personale, alternata con un periodo di
libertà. Art.48 ord. Penit. Il giudice dispone "in relazione ai progressi compiuti nel corso del trattamento,
quando vi sono le condizioni per un graduale reinserimento del soggetto nella società" art.50, comma 4°, ord.
Penit.
Revoca: se il soggetto si dimostra "inidoneo al trattamento",obbligatoriamente revocata per il delitto di
evasione o se il condannato rimane assente dall'istituto oltre 12 ore.
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Innovazioni dell'istituto: surrogato della sanzione penale.
Liberazione anticipata: Art.54 ord. penit., carattere "premiale"....
Revoca: solo se la condotta del soggetto, in relazione alla condanna subita, appare incompatibile con il
mantenimento del beneficio.
Permessi premio:art.30 bis ord. pen. "ai condannati che hanno tenuto regolare condotta ai sensi del
successivo comma 8 e che non risultano socialmente pericolosi, il magistrato di sorveglianza, sentito il
direttore dell'istituto, può concedere permessi premio di durata non superiore ogni volta a quindici giorni per
consentire di coltivare interessi affettivi, culturali o di lavoro". La durata dei permessi non può superare
complessivamente quarantacinque giorni in ciascun anno di espiazione (art.30 ter, comma 1°), eccetera.
L'istituto si differenzia nettamente dal permesso c.d. di necessità già introdotto dalla Legge 26 luglio 1975,
n.354 ed avente finalità essenzialmente umanitarie[708].
Doppio binario per condannati comuni e condannati appartenenti alla criminalità organizzata:
Cap. 3. LA COMMISURAZIONE DELLA PENA
PREMESSA: IL POTERE DISCREZIONALE DEL GIUDICE
L'art. 132 c.p. [709] Si definisce commisurazione della pena la determinazione , da parte del giudice,
della quantità di pena da infliggere in concreto al reo tra il minimo ed il massimo edittali; come pure la
scelta del tipo di sanzione da applicare per il reato commesso. Potere discrezionale del giudice "deve
indicare i motivi che giustificano l'uso di tale potere discrezionale".
Carattere "libero" e "vincolato" del potere discrezionale del giudice? Opinione che si tratti di una
discrezionalità vincolata:
1)
nel quadro edittale della pena[710];
2)
nelle previsione esplicita degli indici di commisurazione della pena di cui all'art.133[711];
3)
nell'obbligo di motivazione contemplato dall'art.132.
La Corte Cost. ha affermato il principio della "tendenziale" illegittimità delle pene fisse: l'individuazione della
pena in rapporto alle specifiche esigenze del caso concreto costituisce infatti una naturale conseguenza tanto
del principio di uguaglianza, quanto dei principi della responsabilità personale e del finalismo rieducativo che la
Costituzione prevede con specifico riguardo alla materia penale.
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CLASSIFICAZIONE SISTEMATICA DEI CRITERI DI COMMISURAZIONE[712]
Criteri finalistici: l'individuazione dei fini da raggiungere mediante la irrogazione della pena. Esigenza di
istituire una gerarchia tra i diversi scopi della pena.
Criteri fattuali una volta chiarite le finalità dell'irrogazione della sanzione, il giudice deve preoccuparsi di
selezionare le circostanze di fatto che assumono rilevanza alla stregua dei criteri finalistici preventivamente
individuati: tali circostanze sono definibili criteri fattuali di commisurazione della pena[713].
Criteri logici l'ultima fase di questo articolato iter sarà caratterizzata dalla valutazione del rispettivo peso degli
indici fattuali ai fini di un giudizio sulla complessiva gravità del reato e di un corrispondente dosaggio della
sanzione fra il massimo e il minimo edittali: i criteri che presiedono a questa valutazione finale sono definibili
criteri logici di commisurazione.
GLI INDICI DI COMMISURAZIONE PREVEDUTI DALL'ART.133 C.P.: A) LA GRAVITA' DEL REATO [714]
L'art.133, comma 1°, c.p. « Nell'esercizio del potere discrezionale[715] indicato nell'articolo precedente, il
giudice deve tener conto della gravità del reato, desunta:
1)
dalla natura, dalla specie, dai mezzi, dall'oggetto, dal tempo, dal luogo e da ogni altra modalità
dell'azione";
2)
dalla gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato [716];
3)
dalla intensità del dolo o dal grado della colpa" [717].
Gli indici "fattuali" di commisurazione hanno riguardo alla gravità del reato considerato nelle rispettive
componenti materiale e psicologica: onde nella prima fase del complesso iter commisurativi predomina la
valutazione di tutti gli aspetti capaci di incidere sul disvalore della condotta e dell'evento, nonché sulla natura e
l'intensità dell'elemento soggettivo.
Disvalore dell'azione: può desumersi in via analogica da quelle circostanze di fatto, che il legislatore valuta,
rispettivamente, come aggravanti o attenuanti[718].
Gravità del danno e del pericolo punto di riferimento l'offesa tipica intesa nell'accezione penalistica (non le
conseguenze dannose dal p.d.v. civilistico).Il pericolo "concreto" è più grave di uno astratto.ecc.
Intensità del dolo e grado della colpa .
L'intensità del dolo si misura considerando la forma in cui esso si manifesta: la volontà colpevole appare di
intensità maggiore nel dolo intenzionale e progressivamente meno grave nel dolo diretto e nel dolo eventuale.
Il grado della colpa, per accertarlo fare riferimento ad una serie di criteri, quali il quantum rispettivo di esigibilità
della condotta doverosa e di divergenza tra la condotta tenuta e la regola precauzionale applicabile nel caso
concreto, ecc.. Il riferimento alla gravità del reato va integrato con la valutazione della "capacità a delinquere",
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cioè di un indice ulteriore di commisurazione che amplia lo spettro dei criteri "fattuali" e sulla cui portata si
registrano in dottrina opinioni divergenti.
SEGUE: B) LA CAPACITA' A DELINQUERE
L'art.133, comma 2°, c.p.:nell'esercizio del potere discrezionale in sede di commisurazione della pena « Il
giudice deve tener conto, altresì, della capacità a delinquere del colpevole, desunta:
1)
dai motivi a delinquere[719] e dal carattere del reo[720];
2)
dai precedenti penali[721] e giudiziari[722] e, in genere, dalla condotta e dalla vita del reo,
antecedenti al reato[723];
3)
dalla condotta contemporanea o susseguente al reato;
4)
dalle condizioni di vita individuale, familiari e sociale del reo"[724].
Si estende la valutazione giudiziale dal fatto oggettivo alla personalità del reo. In questo senso, il primo
comma dell'art.133 rappresenta un segno manifesto del "compromesso" raggiunto, all'epoca dell'emanazione
del codice, tra le opposte scuole di diritto penale.
L'"ambiguità" della nozione di capacità a delinquere il comma secondo sembra tener conto delle istanze del
positivismo criminologico, orientato a considerare l'attitudine a delinquere ai fini di una prognosi di
pericolosità sociale: "l'art.133 si è trovato a metà strada fra le opposte teorie, ed è divenuto un loro campo di
battaglia": "equivocità" del concetto di capacità a delinquere.
Il dibattito teorico: la "proiezione nel passato" della capacità a delinquere: Problema del rapporto
temporale tra capacità a delinquere e reato:
alcuni autori la capacità a delinquere la proiettano nel passato, facendola consistere in una sorta di
"attitudine al reato commesso" nel quadro (ma non necessariamente) del giudizio di colpevolezza; mentre altri
tendono a proiettarla nel futuro, identificandola con l'"attitudine a commettere nuovi fatti delittuosi" e, dunque,
con una nozione vicina a quella di "pericolosità" quale presupposto dell'applicazione delle misure di sicurezza;
altri autori si sforzano di riportare la capacità criminale sul terreno della colpevolezza.. giudizio di
riprovevolezza sufficientemente individualizzato (Bettiol).
Segue: la sua "proiezione nel futuro" [725]distinzione "quantitativa" tra i due concetti di capacità a
delinquere e pericolosità sociale: differenza nello spartiacque costituito dalla diversità di grado
intercorrente tra la mera "possibilità" e la "probabilità" che il medesimo soggetto violi in futuro la
legge penale (Antolisei)[726].
Segue: la tesi della sua "duplice" funzione: 1) una funzione di graduazione della colpevolezza, sul
presupposto che tanto più riprovevole è il fatto, quanto maggiore è l'attribuibilità morale del fatto stesso
all'autore; e 2) una funzione prognostica, diretta ad accertare la potenzialità criminosa del soggetto in una
prospettiva di prevenzione speciale (Nuvolone, Mantovani[727]).
Per Fiandaca-Musco in mancanza di indicazioni univoche ricavabili dall'art.133 si è costretti a ricostruire il
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significato della capacità a delinquere mediante il richiamo di elementi esterni, i quali rinviano alle
concezioni di fondo proprie di ciascun autore: meglio agganciarsi ad una prospettiva costituzionale.
QUADRO DELLE RESPONSABILITA'
-
con la IMPUTABILITA': il SE della responsabilità;
-
con la CAPACITA' CRIMINALE: il QUANTUM della responsabilità;
-
con la RECIDIVA: un QUANTUM della capacità criminale.
PERICOLOSITA' CRIMINALE (non sociale: misure di polizia)
Caratteri propri:
1)
rilevante probabilità di commissione di reati;
2)
precedente commissione di reati.
Elementi di responsabilità:
-
imputabilità (art.85);
-
capacità criminale (art.203);
-
recidiva (art.90).
Negazione della responsabilità: attraverso ipotesi tassative di incriminazione o riduzione della
capacità di intendere, attraverso le ipotesi negative dell'imputabilità.
INDIZIO DI PERICOLOSITA': vanno accertate (Lex 663/1986):
1)
DELINQUENTE ABITUALE: per certi tipi di reato e nel tempo;
2)
DELINQUENTE PROFESSIONALE: a vivere o proprio sostentamento con reati;
3)
REO O DELINQUENTE PER TENDENZA: mancanza di senso morale o commissione di più reati.
AMBIGUITA' E INSUFFICIENZE DEL MODELLO DI DISCIPLINA CONTENUTO NELL'ART.133 C.P.
Non è chiaro in quale rapporto gerarchico stiano il primo e il secondo comma dell'art.133: quindi?
L'art.133 c.p. "tace" sui criteri finalistici di commisurazione della pena: "non brilla per cristallina chiarezza"
(Nuvolone). La fondamentale equivocità della norma dipende dal fatto che essa si limita a enumerare
indici "fattuali" di commisurazione, omettendo però di prendere esplicita posizione sui criteri finalistici
che dovrebbero presiedere all'irrogazione concreta della sanzione. La conseguenza è che rimane poco
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chiaro quale ruolo nella fase irrogativa sia rispettivamente da attribuire alla retribuzione, alla
prevenzione generale e/o alla prevenzione speciale.
Il "fallimento" dell'art.133 c.p. in sede di prassi applicativa obbligo di motivazione ex art.132 sostanzialmente
eluso col ricorso a "formulette pigre"..arbitrium..
ESIGENZA DI UNA RILETTURA COSTITUZIONALMENTE ORIENTATA DELL'ART.133 C.P.
Se si lamenta il fatto che il legislatore ha taciuto sugli scopi della pena nello stadio dell'irrogazione, per
saperne di più è legittimo tornare a prendere le mosse proprio dalle enunciazioni costituzionali relative alla
materia penale, in quanto potenzialmente in grado di fornire indicazioni vincolanti rispetto all'intera
fenomenologia punitiva.
Commisurazione della pena e principio di colpevolezza
a) L'art.27, comma 1°, Cost. avendo implicitamente riconosciuto il principio della responsabilità non solo
personale ma anche colpevole, riflette un orientamento del sistema penale diretto alla valorizzazione
dell'elemento soggettivo del reato: una volta che si muova dal presupposto dell'avvenuta
costituzionalizzazione del principio nulla poena sine culpa, coerenza impone di ritenere che il requisito della
colpevolezza debba svolgere una funzione preminente anche nello stadio della commisurazione della pena.
Conseguenze interpretative art.133: tra gli indici della "gravità del reato" il giudice dovrà considerare
prevalenti "l'intensità del dolo" o il "grado della colpa": onde, il peso attribuito alla "gravità del danno o del
pericolo cagionato alla persona offesa dal reato" non potrà spingere l'organo giudicante ad infliggere una pena
superiore a quella proporzionata al grado della colpevolezza. Nell'ambito del primo comma dell'art.133, è
dunque alla colpevolezza che spetta il ruolo di criterio-guida per la determinazione della misura
massima della pena.
Commisurazione della pena e divieto di responsabilità per fatto altrui: le pene c.d. esemplari: vedi il
problema dall'angolazione del divieto di responsabilità per fatto altrui: da questo ulteriore p.d.v. si
tratta cioè di scoraggiare l'eventuale valorizzazione giudiziale dell'indice della "gravità del danno o del
pericolo" per far prevalere, al momento della concreta irrogazione della pena, preoccupazioni di
prevenzione generale[728]. Orbene, la scelta di irrogare pene esemplari, che fungano da ammonimento
verso tutti i consociati,finisce in verità col cozzare col divieto di responsabilità per fatto altrui ex art.27,
comma 1, Cost., perché esaspera il ruolo di capro espiatorio del singolo delinquente: il reo viene infatti
a scontare una pena di misura eccedente la sua colpevolezza in vista dell'esigenza di impedire la
reiterazione di fatti analoghi da parte di terzi soggetti.
Commisurazione della pena e principio di rieducazione.
b) Proietta luce anche il terzo comma dell'art. 27 Cost. il quale afferma il fondamentale principio secondo cui
le pene devono tendere alla rieducazione del condannato.Sarebbe infatti illusorio confidare nell'efficacia
rieducativa della pena nella fase della stessa esecuzione - cioè in quello stadio finale del fenomeno punitivo
nel quale nessuno contesta che vi sia spazio per la rieducazione - se già prima, cioè a livello di irrogazione, il
giudice non si preoccupasse di scegliere una sanzione idonea sia nel tipo che nella misura a favorire la
risocializzazione del reo.
La necessaria operatività del principio di rieducazione nella fase irrogativi produce conseguenze sul
piano dell'interpretazione del secondo comma dell'art.133. Invero, l'esigenza di realizzare il finalismo
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rieducativo sollecita una ricostruzione della categoria della capacità a delinquere in chiave di
prevenzione speciale: il giudizio sull'attitudine del reo a commettere reati dovrà essere cioè proiettato
nel futuro e fungerà da criterio di scelta e/o dosaggio di una pena (tipo, misura) in vista del
reinserimento sociale dell'agente, ma con l'importante precisazione del limite del rispetto del principio
del carattere personale della responsabilità penale (art.27, comma 1°), quindi non potrà spingersi oltre
la misura della colpevolezza. Le esigenze di prevenzione speciale potranno rilevare soltanto in bonam
partem.
Rapporto tra il primo e il secondo comma dell'art.133 c.p. Il primo comma indica al giudice di stabilire
il massimo edittale di pena entro i limiti della colpevolezza relativa al fatto oggetto di giudizio. Il
secondo comma svolge un ruolo subordinato, come peraltro è dimostrato dalla stessa lettera della
legge che, nell'introdurre il riferimento alla "capacità a delinquere",usa l'avverbio "altresì": il giudizio
sulla capacità a delinquere infatti può indurre il giudice a ridurre la pena al di sotto del limite massimo
segnato dalla gravità del fatto colpevole.
I TERMINI DELL'ATTUALE DIBATTITO TEORICO
La "prevenzione generale" quale autonomo criterio finalistico di commisurazione della pena? [729]
Rilievi critici: in uno Stato di diritto, il soddisfacimento delle istanze di prevenzione generale spetta al
legislatore: il problema dell'impedimento della commissione di reati, da parte dei cittadini in genere, costituisce
infatti una questione di politica criminale e di politica sociale, come tale di precipua pertinenza degli organi
legislativi e amministrativi.In base al principio della divisione dei poteri, ai giudici spetta soltanto di scegliere la
pena adeguata al caso concreto oggetto di giudizio: ma il fatto di infliggere una pena in giudizio equivale ad
un'operazione dotata anche di valenze generalpreventive: nel senso che risulta così avvalorata la credibilità
della minaccia di pena contenuta nei precetti penali astratti.
Va precisato che quanti propendono per una irrogazione in chiave generalpreventiva della sanzione, non per
questo escludono che il livello massimo della pena debba pur sempre orientarsi al grado della colpevolezza:
Orbene, grazie al comune riconoscimento di tale invalicabile limite, si può affermare che le divergenze tra i
due contrapposti orientamenti risultano sul piano pratico meno marcate di quanto a prima vista potrebbe
sembrare: finchè la pena concretamente irrogata non fuoriesca dai limiti massimi della colpevolezza,
l'eventuale irrigidimento di pena determinato da preoccupazioni generalpreventive non presenterà proporzioni
così macroscopiche da far apparire la scelta irrogativa come una vera e propria exemplary sentence.
Esigenze di una riforma
LA COMMISURAZIONE DELLA PENA PECUNIARIA (ART.133 BIS C.P.)
Le condizioni economiche del reo quale criterio "aggiuntivo" di commisurazione della pena pecuniaria
. Nuovo art.133 bis, primo comma "Nella determinazione dell'ammontare della multa o dell'ammenda il
giudice deve tener conto, oltre che dei criteri indicati nell'articolo precedente, anche delle condizioni
economiche del reo"[730] : già all'interno degli spazi edittali.
La pena pecuniaria sacrifica un bene di fatto assai disomogeneo come il patrimonio: un identico ammontare di
pena pecuniaria, quale conseguenza sanzionatoria di un identico fatto di reato, colpisce evidentemente in
maniera tanto più diseguale quanto maggiore è la sproporzione rilevabile nella situazione economica dei
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condannati.
In aggiunta significa che il legislatore, tra i modelli di pena pecuniaria in astratto adottabili, ha continuato a
prescegliere quello più tradizionale c.d. della somma complessiva: nel quale cioè gli indici di
commisurazione sono quelli generali della gravità del reato e della capacità a delinquere. La più consapevole
dottrina propende per il modello (scandinavo) dei "tassi giornalieri": per un sistema cioè che separi in due
autonomi momenti la fase della commisurazione. Nel primo momento viene, in altri termini, fissato il numero
dei tassi sulla base dei criteri generali,mentre nel secondo momento si determina l'ammontare (o quota) del
tasso giornaliero sulla base delle condizioni economiche del reo. Il legislatore dell'81 si è rifiutato ad adottare
questo sistema: malcelato intento di eludere i problemi dell'accertamento del reddito degli imputati!
Gli indici di valutazione delle condizioni economiche: reddito dell'autore del reato al momento della
condanna. Più complesso è il discorso rispetto alla determinazione dell'incidenza del patrimonio all'interno
della situazione economica del reo[731]: tener conto soltanto di beni patrimoniali il cui valore superi uno
"standard" medio?[732] Sottratte le obbligazioni pecuniarie gravanti sul reo[733]. L'accertamento del reddito
non può che essere rimesso ai poteri di indagine del giudice (generici accertamenti p.g.): ma un ruolo rilevante
deve essere attribuito alle dichiarazioni fornite dallo stesso condannato.
L'"inefficacia" della misura o l'"eccessiva gravosità" della misura minima Art.133 bis cpv. "il giudice può
aumentare la multa e l'ammenda stabilite dalla legge sino al triplo o diminuirle sino ad un terzo quando, per le
condizioni economiche del reo, ritenga che la misura massima sia inefficace ovvero che la misura minima sia
eccessivamente gravosa". L'inefficacia e l'eccessiva gravosità vanno determinate in funzione degli
scopi di afflizione e intimidazione-ammonimento che sono tipici della sanzione pecuniaria.
Non c'è violazione del principio di uguaglianza art. 3 Cost. anzi concreta e positiva attuazione, realizzando
quel "trattamento differenziato dei distinti".
POTERE DISCREZIONALE DEL GIUDICE NELLA SOSTITUZIONE DELLE PENE DETENTIVE BREVI
Art.58, comma 1°, della Legge n.689/1981 dispone che "Il giudice, nei limiti fissati dalla legge e tenuto conto
dei criteri indicati nell'art.133 del codice penale, può sostituire la pena detentiva e tra le pene sostitutive sceglie
quella più idonea al reinserimento sociale del condannato".
Prognosi sull'effetto negativo della pena detentiva breve. Nel pronunciarsi sull'an della sostituzione, gli indici
forniti dall'art.133 dovranno essere valutati al fine di stabilire se la personalità del reo possa risultare
danneggiata dall'applicazione di una pena detentiva breve. Da questo p.d.v. la sostituzione dovrebbe costituire
l'ipotesi regolare, tenuto conto dei rigorosi limiti esterni imposti dalla sostituzione (art.53, commi 1°,4°, 54, 59
e 60).
Scelta della sanzione sostitutiva idonea ad "ammonire" e a "non desocializzare": nel pronunciarsi sul
quomododella sostituzione, il giudice dovrebbe secondo il dettato della norma de qua, seguire come criterio
l'idoneità a favorire il "reinserimento sociale del condannato". Ma le caratteristiche delle pene sostitutive sono
diverse, il loro effetto specialpreventivo si manifesta piuttosto in forma di ammonimento-intimidazione e non
desocializzazione (anziché di risocializzazione stricto sensu intesa): il giudice dovrà pertanto accertare quale
sanzione sostitutiva sia più idonea ad ammonire e non desocializzare il reo (Paliero).
Il secondo comma preclude all'organo giudicante la possibilità di sostituire la pena detentiva breve "quando
presume che le prescrizioni non saranno adempiute dal condannato".
Ultimo comma art. 58 cit. obbliga il giudice a "specificatamente indicare i motivi che giustificano la scelta del
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tipo di pena irrogata"
POTERE DISCREZIONALE E MISURE ALTERNATIVE ALLA DETENZIONE
Criteri finalistici legislativamente predeterminati ma "elastici" : il "tribunale di sorveglianza" istituito presso ogni
Corte d'Appello (art.70 ord.penit.) deve esercitare in base a criteri "finalistici" legislativamente predeterminati:
caratterizzati peraltro da una certa elasticità....per risocializzazione.
Rispetto all'affidamento in prova al servizio sociale, l'art.47, comma 2°, ord.penit. stabilisce che il
provvedimento può essere disposto nei casi in cui possa presumersi che "il provvedimento stesso anche
attraverso le prescrizioni... contribuisca alla rieducazione del reo e assicuri la prevenzione del pericolo che egli
commetta altri reati".
Dispone poi l'art.50, comma 4° ord. penit. che l'ammissione al regime di semilibertà è disposta "in relazione ai
progressi compiuti nel corso del trattamento quando vi sono le condizioni per un graduale reinserimento del
soggetto nella società".
Con riguardo all'istituto della liberazione anticipata l'art.54, comma 1°, ord. penit. subordina la concessione del
beneficio alla condizione che il condannato a pena detentiva "abbia dato prova di partecipazione all'opera di
rieducazione".
Per la concessione dei permessi premio, l'art.30 ter. Ord. penit. richiede che il magistrato di sorveglianza
accerti che i condannati abbiano tenuto "regolare condotta" e, inoltre, non risultino "di particolare pericolosità
sociale".
Infine l'art.47 ter, ord. penit., indica le ipotesi cui può farsi luogo alla concessione del beneficio della
detenzione domiciliare.
Cap. 4. LE VICENDE DELLA PUNIBILITA'
CONDIZIONI OBIETTIVE DI PUNIBILITA'[734]
La punibilità[735] è una conseguenza del reato e può considerarsi quale elemento di esso: è un "posterius"
rispetto al reato. Per il sorgere della punibilità occorrono tre elementi:
1)
commissione di un reato (elemento positivo);
2)
assenza di cause personali di esclusione della pena (immunità, non imputabilità)[736];
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3)
presenza di eventuali condizioni obiettive di punibilità.
Il codice (art.44) non definisce le condizioni obiettive di punibilità[737], ma si limita a fissare DUE
CARATTERI di esse e cioè:
1)
debbono consistere in AVVENIMENTI DEL MONDO ESTERNO (non necessariamente voluto
dall'agente);
2)
debbono essere ESTRANEE alla condotta illecita.
In altri termini: le condizioni obiettive di punibilità debbono essere POSTE AL DI FUORI DEL REATO e
lo presuppongono già perfetto. NON INTEGRANO IL REATO, MA RENDONO SOLO APPLICABILE LA
PENA. In pratica corrispondono ad alcuni casi eccezionali nei quali il reato, pur essendo perfetto, non
viene assoggettato a pena, se non si verifica un avvenimento non solo futuro e incerto, ma anche
estrinseco al fatto che costituisce il reato.
Esempi di condizioni obiettive di punibilità:
-
pubblico scandalo nel delitto di incesto (art.564);
-
annullamento del matrimonio nell'induzione al matrimonio mediante inganno (art.588).
Art.44 c.p. "Quando, per la punibilità del reato, la legge richiede il verificarsi di una condizione[738], il
colpevole risponde del reato, anche se l'evento, da cui dipende il verificarsi della condizione, non è da lui
voluto"[739].
Esse devono consistere in eventi futuri e incerti, concomitanti o successivi rispetto alla condotta dell'agente:
non anche "antecedenti" perché altrimenti si dovrebbe ammettere la possibilità che la prescrizione del reato
cominci a decorrere ancor prima della sua consumazione, posto che l'art.158, comma 2°, stabilisce per i reati
condizionati la decorrenza del termine prescrizionale a partire dal momento in cui si verifica la condizione
stessa.
Le questioni problematiche che si agitano concernono:
a)
la funzione politico-criminale dell'istituto;
b)
la posizione delle condizioni obiettive nella struttura del fatto di reato; e, più in particolare,
c)
il loro rapporto con l'offesa tipica insita nel reato, o detto altrimenti: il rapporto tra l'interesse al cui
soddisfacimento mira la previsione della condizione e il bene oggetto di tutela penale;
d)
la compatibilità delle condizioni con il principio di colpevolezza,
e)
i criteri di individuazione delle condizioni stesse.
Le ragioni giustificative dell'istituto: necessità di conciliare esigenze contrapposte:
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a) ragioni di convenienza pratica e di opportunità politico-criminale, che inducono a subordinare l'effettiva
punibilità di alcuni tipi di comportamento al verificarsi di determinate circostanze[740]: funzione di delimitazione
o riduzione della rilevanza penale di determinati comportamenti.
b)
da quando vige il principio di stretta legalità le predette valutazioni non possono più essere affidate al
potere discrezionale del giudice: funzione di garanzia connessa al rispetto del principio di legalità.
Il momento in cui si verifica la condizione acquista rilevanza decisiva , in base all'art.158, comma 2°, ai fini
della decorrenza del termine di prescrizione.
La posizione delle condizioni obiettive di punibilità rispetto al fatto di reato: art.44 il colpevole
risponde anche se l'evento che integra la condizione obiettiva di punibilità "non è da lui voluto":
l'evento condizione può in concreto anche essere lambito dalla volontà del reo, ma che l'esistenza di
un tale nesso psichico non costituisce requisito indispensabile ai fini della punibilità del fatto[741].
Le condizioni obiettive di punibilità costituiscono avvenimenti futuri ed incerti, che fanno sì parte della
fattispecie astratta, ma che sono estranei sia al fatto materiale, sia alla colpevolezza.
I criteri di individuazione della categoria: escludere l'univocità dei criteri grammaticali [742], ricorso ad
un contemperamento di indici strutturali (relativi cioè alla collocazione dell'elemento in questione
all'interno della fattispecie astratta) e di parametri sostanziali (relativi cioè alla determinazione
dell'interesse tutelato dalla norma). Quindi per i criteri di tipo strutturale vanno esclusi gli eventi legati
da un rapporto di causalità necessaria con l'azione tipica, ovvero da un rapporto psicologico
necessario con l'agente. Per i criteri sostanziali dovrebbero escludersi dalle condizioni di punibilità
(quindi elementi costitutivi del fatto) quegli eventi nei quali si incentra l'offesa all'interesse
protetto[743].
Condizioni "intrinseche" ed "estrinseche": le prime incidono sull'interesse protetto (nel senso di
approfondire una lesione già implicita nella commissione del fatto[744]). Le seconde si limitano a
riflettere valutazioni di opportunità connesse ad un interesse "esterno" al profilo offensivo del
reato[745].
Condizioni di punibilità e principio di colpevolezza: Se è vero che non di rado l'introduzione di una
condizione obiettiva (specie se "intrinseca") si spiega con l'intento di superare le insormontabili difficoltà di
accertamento del dolo rispetto all'evento-condizione (Neppi Modona), proprio questa circostanza deve indurre
a riflettere sui limiti di compatibilità di una simile scelta legislativa col principio della responsabilità penale
personale, intesa nell'accezione di responsabilità per un fatto proprio colpevole. Comodo alibi? Ripensamento
soprattutto dopo la "storica" sentenza costituzionale n.364/1988: ha sancito il fondamentale principio secondo
cui la colpevolezza, almeno nella forma minima della "colpa", deve coprire tutti gli elementi significativi del
fatto, e cioè quelli dai quali dipende il disvalore (o il maggior disvalore) dell'offesa tipica. Non possono quindi
sottrarsi al principio di colpevolezza le condizioni di punibilità cosiddette intrinseche, quali accadimenti capaci
appunto di incidere sull'offesa insita nel fatto tipico: e il principio di colpevolezza potrà considerarsi rispettato
ove le condizioni predette siano, sul piano soggettivo, coperte quantomeno dalla colpa. Infatti, l'art.44, al canto
suo, ammettendo che l'evento condizionale possa essere anche "non voluto", esclude soltanto che il "dolo"
costituisca il necessario presupposto di imputazione dell'evento medesimo; ma nulla dice sulla "colpa", e ciò
non impedisce che l'interprete ne richieda la presenza in una prospettiva di ricostruzione in chiave
costituzionale dell'istituto.
LE CAUSE DI ESTINZIONE DEL REATO
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Nozione: il codice penale distingue:
a) le cause di estinzione del reato (capo I): operano antecedentemente all'intervento di una sentenza
definitiva di condanna e incidono sulla c.d. punibilità astratta [746], estinguendo la stessa potestà
statale di applicare la pena minacciata. Lo Stato non applica la sanzione penale prevista dalla norma.
b)
dalle cause di estinzione della pena (capo II): presuppongono invece l'emanazione di una
sentenza di condanna ed estinguono la c.d. punibilità in concreto [747], paralizzando l'esecuzione
della sanzione inflitta dal giudice. Non è eseguita la pena inflitta dal giudice.
Ma questo criterio distintivo non è perfettamente aderente alla sistematica del c.p. che colloca tra le cause
estintive del reato l'"amnistia impropria" e la "sospensione condizionale", ancorché si tratti di due cause che
operano successivamente alla sentenza di condanna: per taluni, quindi, le predette cause sono "(solo) cause
di esclusione o estinzione di effetti penali del reato" (Romano M.,Grasso, Padovani).
Per Fiandaca-Musco meglio parlare di cause estintive del reato [748] per ragioni di convenzione, con
l'avvertenza che è improprio - a rigore - parlare di estinzione del reato. Ed invero se si ha riguardo al
fatto storico, vale il principio quod factum est infectum fieri nequit. Se si ha invece riguardo alla
valutazione giuridica, il reato "estinto" continua a produrre alcuni effetti anche dopo l'avvenuta
estinzione: di esso si tiene infatti conto ai fini della dichiarazione di abitualità e professionalità nel
reato (art.106 [749]); come pure l'estinzione del reato presupposto non comporta l'estinzione del reato
che lo presuppone (art.170 [750]), né fa venir meno l'aggravante di pena dipendente dalla connessione
(art.170, ult.comma),ecc.
Classificate: generali/speciali; condizionate/incondizionate; fatti naturali/atto di clemenza/comportamento dello
stesso autore.
Le regole comuni possono così enuclearsi:
a)
hanno efficacia personale, nel senso che operano solo nei confronti della persona cui si
riferiscono, salvo che la legge non disponga diversamente;
b)
devono essere dichiarate immediatamente dal giudice (art.129 c.p.p.) in ogni stato e grado del
processo, salvo sia evidente il proscioglimento nel merito;
c) sottostanno al principio del favor rei nell'ipotesi di concorso tra più cause estintive, nel senso che
l'effetto estintivo del reato o della pena dovrà essere prodotto dalla causa comparativamente più
favorevole.
Natura giuridica: per il codice Rocco natura sostanziale e non più processuale.
Le singole cause estintive:
morte del reo prima della condanna;
la remissione della querela;
l'amnistia propria;
la prescrizione;
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l'oblazione nelle contravvenzioni;
la sospensione condizionale della pena dopo il decorso di 5 anni (delitti) o di 2 anni (contravvenzioni).
il perdono giudiziale.
LA MORTE DEL REO
Art.150 "La morte del reo, avvenuta prima della condanna, estingue il reato". Mors omnia solvit: ma non tocca
le obbligazioni civili nascenti dal reato. Controverso se la morte del soggetto prima della condanna definitiva
renda applicabile la misura della confisca[751].
L'AMNISTIA PROPRIA
E' un provvedimento generale ed astratto, con il quale lo Stato rinuncia a punire un determinato numero di
reati[752].
Art.151 "L'amnistia estingue il reato e, se vi è stata la condanna, fa cessare l'esecuzione della condanna e le
pene accessorie".
propria:si verifica allorché il provvedimento di clemenza giunga prima della condanna definitiva,
rappresenta una causa estintiva del reato[753].
-
impropria: presuppone la condanna definitiva, è una causa di estinzione della pena[754].
Le funzioni dell'amnistia e gli inconvenienti della sua frequente applicazione manifestazione dell'indulgentia
Principis...... funge da surroga di mancata riforma sia da forma di decriminalizzazione surrettizia, funzione di
pacificazione sociale. La Corte Cost. ha sostenuto che la ragionevolezza di un provvedimento di clemenza
dipende dal rapporto strumentale che si instaura fra esso e le finalità proprie della legislazione generale del
settore cui si riferisce.
Il procedimento di concessione: riscritto l'art.79 Cost. al comma 1° "L'amnistia e l'indulto sono concessi con
legge deliberata a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna camera, in ogni suo articolo e nella
votazione finale": Parlamento, garanzia 2/3 ...
Secondo comma la legge di concessione dell'amnistia e dell'indulto deve stabilire il termine di efficacia del
provvedimento.
Tempus commissi delicti e amnistia a seconda del tipo di reato preso in considerazione...:
per il reato consumato: (sia di mera condotta o di evento, attivo od omissivo): momento della
realizzazione della condotta o della verificazione dell'evento ovvero del mancato compimento dell'azione
dovuta.
delitto tentato: momento in cui si sono realizzati gli atti idonei inequivocabilmente diretti a commettere il
delitto.
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reato permanente: controverso se momento in cui cessa la permanenza,ovvero quello antecedente in
cui il reo dà vita all'azione illecita.
reato continuato: le singole violazioni di legge riacquisteranno la loro autonomia e quindi avranno un
"proprio" tempo, da individuare secondo la regola generale.
Criteri di individuazione dei reati amnistiati: numero dell'articolo, nomen juris o il tetto di pena entro il quale è
concedibile il beneficio.
Esclusione dei delinquenti [755]qualificati: art.151, ultimo comma: recidivo aggravato o reiterato ex
art.99, comma 2° (la recidiva semplice non costituisce ostacolo alla concessione del beneficio);ovvero
delinquente abituale, professionale o per tendenza.
Rinunciabilità.
L'amnistia propria impedisce l'inflizione della pena principale, delle pene accessorie e delle misure di sicurezza
(art.210), ma non estingue le obbligazioni civili derivanti dal reato, salvo che si tratti delle obbligazioni
di cui agli artt.196 e 197 (Art.198).
LA PRESCRIZIONE
Ratio dell'istituto: decorso del tempo senza che alla commissione del reato segua una sentenza di
condanna irrevocabile. Vengono a cadere le esigenze di prevenzione generale che presiedono alla
repressione dei reati.Essa estingue la punibilità in astratto: ha, dunque, portata sostanziale, in quanto
elimina la punibilità in sé e per sé.
Rinunciabilità
Per alcuni reati è prevista l'imprescrittibilità: quelli per i quali è prevista la pena (di morte) dell'ergastolo.
I termini preveduti dall'art.157 c.p.:
157 - PRESCRIZIONE. TEMPO NECESSARIO A PRESCRIVERE. - "La prescrizione estingue il reato:
1)
in venti anni, se si tratta di delitto per cui la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore a
ventiquattro anni;
2) in quindici anni, se si tratta di delitto per cui la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore a
dieci anni;
3) in dieci anni, se si tratta di delitto per cui la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore a cinque
anni;
4) in cinque anni, se si tratta di delitto per cui la legge stabilisce la pena della reclusione inferiore a cinque
anni, o la pena della multa;
5)
in tre anni, se si tratta di contravvenzione per cui la legge stabilisce la pena dell'arresto;
6)
in due anni, se si tratta di contravvenzione per cui la legge stabilisce la pena dell'ammenda.
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Per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo al massimo della pena stabilita dalla legge
per il reato, consumato o tentato, tenuto conto dell'aumento massimo di pena stabilito per le circostanze
aggravanti e della diminuzione minima per le circostanze attenuanti.
Nel caso di concorso di circostanza e aggravanti e di circostanze attenuanti si applicano anche a tale effetto le
disposizioni dell'art.69.
Quando per il reato la legge stabilisce congiuntamente o alternativamente la pena detentiva e quella
pecuniaria, per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo soltanto alla pena detentiva.".
Computo della pena: si prende come punto di riferimento la pena edittale prevista nel massimo per il reato
tentato o consumato, e su questa pena-base si deve tenere conto delle circostanze aggravanti[756] o delle
circostanze attenuanti[757]. Nel caso di concorso tra esse, si procede al giudizio di prevalenza o di
equivalenza ex art.69.
Decorrenza del termine della prescrizione: art.158 [758]:
a)
per il reato consumato il termine della prescrizione decorre dal giorno della consumazione;
b)
per il reato tentato dal giorno in cui è cessata l'attività criminosa[759];
c)
per il reato permanente dal giorno in cui è cessata la permanenza;
d)
per il reato continuato dal giorno in cui è cessata la continuazione[760].
Sua sospensione: è un effetto giuridico - che si verifica in presenza di alcune cause ostative del procedimento
penale - per il quale la decorrenza del termine della prescrizione si arresta per il tempo necessario a rimuovere
l'ostacolo, in modo che la porzione di tempo già trascorsa rimanga valida e si possa sommare al periodo di
tempo successivo decorrente dal giorno della cessazione della causa sospensiva (art.159).
La prescrizione rimane sospesa (art.159):
a)
nei casi di autorizzazione a procedere (artt.313 c.p., 68 Cost.);
b)
nelle ipotesi di questioni deferite ad altro giudizio (artt.3,479 c.p.p.);
c) nei casi in cui la sospensione del procedimento penale è imposta da una particolare disposizione
di legge (ad es. artt.69-73 c.p.p.).
Sua interruzione è un effetto giuridico per il quale, in presenza di alcuni atti giuridici, il termine di prescrizione
già decorso viene meno e comincia a decorrere ex novo et ex integro. Cause: art.160 c.p. . In nessun caso,
però, i termini stabiliti per la prescrizione possono essere prolungati oltre la metà (art.160, ult. comma).
Nell'ipotesi di concorso di reati, ciascuno di essi segue la sua strada indipendentemente da ogni
considerazione relativa agli altri, salvo che si proceda congiuntamente per più reati connessi (art.161 cpv.) : in
quest'ultimo caso, la sospensione o l'interruzione della prescrizione per taluno di essi ha effetto anche per gli
altri.
L'OBLAZIONE NELLE CONTRAVVENZIONI
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Con l'istituto della oblazione si tende a deflazionare il carico di lavoro delle aule di giustizia, consentendo una
rapida definizione dei procedimenti relativi ai reati di minore gravità. Oggi, con l'art.162 bis [761], l'oblazione è
CAUSA DI ESTINZIONE DEL REATO tanto per le contravvenzioni punite con la sola pena dell'ammenda
quanto - e qui sta la novità - per quelle punite alternativamente con arresto o ammenda, purchè sussistano
date condizioni. Essa consiste nel pagamento, a domanda dell'interessato, di una somma di denaro (che ha
l'effetto di degradare il reato in illecito amministrativo e, quindi, di estinguerlo) prima dell'apertura del
dibattimento o prima del decreto di condanna.
Due forme:
L'oblazione comune: art.162 c.p. "nelle contravvenzioni, per le quali la legge stabilisce la sola pena
dell'ammenda, il contravventore è ammesso a pagare, prima dell'apertura del dibattimento, ovvero prima del
decreto di condanna, una somma corrispondente alla terza parte del massimo della pena stabilita dalla legge
per la contravvenzione commessa, oltre le spese del procedimento": ratio esigenza dello Stato di definire con
economia e sollecitudine i procedimenti concernenti i reati di minima importanza. Non confondere questa
oblazione (giudiziale) con quella in via amministrativa, che va eseguita presso l'autorità
amministrativa, né confondere con l'oblazione in via breve prevista dal C.d.S. e da alcune leggi
finanziarie. L'oblazione giudiziale si applica in presenza di queste condizioni:
a)
che si tratti di contravvenzione per la quale la legge stabilisce la sola pena dell'ammenda di
qualsiasi ammontare;
b)
che il contravventore presenti domanda di ammissione all'oblazione prima dell'apertura del
dibattimento o del decreto penale di condanna;
c) che il contravventore adempia tempestivamente all'obbligo di pagamento assunto, obbligo che
ammonta ad un terzo del massimo dell'ammenda previsto dalla legge.
In presenza di queste condizioni l'applicazione dell'oblazione è automatica. L'oblazione equivale ad
una depenalizzazione di fatto.
L'oblazione speciale: l'art.162 bis (legge 689/81) è da un lato prevista per le contravvenzioni punite con
la pena alternativa dell'arresto o dell'ammenda e, dall'altro, deve essere applicata discrezionalmente
dal giudice.
Somma : pari alla metà del massimo dell'ammenda prevista, oltre alle spese del procedimento. La domanda di
oblazione (a differenza di quella dell'oblazione comune) può essere riproposta sino all'inizio della discussione
finale del dibattimento di primo grado. Ipotesi di esclusione art.162 bis,comma 3° e art.162 bis, comma 4°.
Si risolve in una "depenalizzazione giudiziale" cioè in una depenalizzazione affidata al personale "gusto" del
pretore.
LA SOSPENSIONE CONDIZIONALE DELLA PENA
Natura,origine ed evoluzione dell'istituto: processo di snaturamento che l'ha trasformata in una misura
clemenziale applicata autonomamente dal giudice: fenomeno di inammissibile fuga dalla sanzione. Essa
sorge nel mondo anglosassone come forma di probation, cioè come sospensione della pronuncia di
condanna, intesa a recuperare imputati giovani ancora emendabili con l'aiuto e l'assistenza di tutori. Europa
continentale : forma di sospensione dell'esecuzione della condanna[762]. E' un mezzo di lotta alle pene
detentive brevi: piuttosto svolge una generica funzione di prevenzione speciale fondata sulla presunzione di
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sufficienza della sola pronuncia di condanna e sulla minaccia della sua futura esecuzione.
Suoi presupposti e limiti di applicazione sono due:
1)
una sentenza di condanna a pena detentiva, ovvero a pena pecuniaria che, sola o congiunta a pena
detentiva, non superi un determinato limite[763];
2)
una prognosi favorevole sulla personalità del condannato[764].
Condizioni ostative: art.164, comma 2°:
1) a chi ha riportato una precedente condanna a pena detentiva per delitto, anche se è intervenuta la
riabilitazione;
2)
al delinquente o contravventore abituale;
3)
a delinquenti o contravventori professionali;
4) a chi è stata inflitta, in aggiunta alla pena, una misura di sicurezza personale poerchè persona che
la legge presume socialmente pericolosa (abrogazione delle presunzioni di pericolosità: quindi non
più rilevanza).
a) Obblighi del condannato:il giudice può subordinare l'istituto all'adempimento dell'obbligo delle restituzioni,
al pagamento della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno o provvisoriamente assegnata
sull'ammontare di esso e alla pubblicazione della sentenza a titolo di riparazione del danno; nonché, salvo che
la legge disponga altrimenti, all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, seconda le
modalità indicate dal giudice nella sentenza di condanna (art.165)[765].
La seconda concessione del beneficio: ipotesi in cui il giudice, nell'infliggere una nuova condanna, irroghi una
pena che, cumulata con la precedente condanna per delitto, non superi i limiti oggettivi di cui all'art.163
(art.164, ult.comma): è subordinata, salva l'impossibilità, all'adempimento di almeno uno degli obblighi lato
sensu risarcitori già enumerati.
Revoca:
a) di diritto: se nei termini durante i quali la condanna rimane sospesa, il condannato:
1)
commetta un delitto ovvero una contravvenzione della stessa indole, per cui venga inflitta una pena
detentiva, o non adempia agli obblighi impostigli;
2)
riporti un'altra condanna per un delitto anteriormente commesso a pene che, cumulate a quelle
precedentemente sospese, superino i limiti stabiliti dall'art.163 (art.168).
b) dal giudice: se il condannato riporta un'altra condanna per delitto anteriormente commesso a pena che,
cumulata a quella precedentemente sospesa, non superi i limiti stabiliti dall'art.163, avuto riguardo all'indole e
alla gravità del reato.
Circa gli effetti la concessione della sospensione condizionale sospende la pena principale per il periodo di
cinque anni, se la condanna è per "delitto"; e di due anni, se la condanna è per "contravvenzione".
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Se nei termini stabili il condannato non commette un delitto ovvero una contravvenzione della stessa indole ed
adempie agli obblighi imposti, il reato è estinto. L'effetto estintivo concerne la pena, mentre cessa l'esecuzione
delle pene accessorie. Restano però in vita gli altri effetti penali della condanna. Sono sospendibili
condizionalmente anche le pene accessorie[766].
IL PERDONO GIUDIZIALE E ALTRI ISTITUTI MINORILI
Ratio dell'istituto: spiccate esigenze di prevenzione speciale: art.169 C.P. Estingue la punibilità in
astratto in quanto costituisce una causa estintiva del reato.
Suoi presupposti di applicazione: art.169 C.P.
1)
che il colpevole, al tempo della commissione del reato, abbia compiuto i 14 anni ma non i 18;
2) che non sia stato già condannato a pena detentiva per delitto, anche se è intervenuta riabilitazione, né
che sia stato dichiarato delinquente o contravventore abituale o professionale;
3) che il tribunale dei minorenni ritenga di poter applicare, in concreto, una pena detentiva non superiore a
due anni, ovvero una pena pecuniaria non superiore a lire tre milioni anche se congiunta a detta pena;
4) che il giudice, avuto riguardo alle circostanze indicate nell'art.133, presuma che il colpevole si asterrà dal
commettere ulteriori reati.
Presuppone accertamento del fatto e della responsabilità del minore. Il reato viene estinto. La concezione del
perdono è sempre incondizionata ed irrevocabile. Impedisce l'applicazione delle misure di sicurezza, ad
eccezione della confisca obbligatoria.
Non luogo a procedere per irrilevanza del fatto: art.27 del d.p.r. 22 settembre 1988, n.448 stabilisce che, se
nell'ambito delle indagini preliminari risulta la "tenuità del fatto e la occasionalità del comportamento" il P.M.,
quando ritenga che l'ulteriore corso del procedimento pregiudichi "le esigenze educative del minorenne", è
tenuto a richiedere all'organo giudicante sentenza di non luogo a procedere. Se la richiesta viene accolta, per
il fatto commesso dal minore non si procede. Questo nuovo istituto del non luogo a procedere per
irrilevanza del fatto, opera in presenza di tre condizioni: due oggettive e concorrenti,la tenuità del
fatto[767] e l'occasionalità del comportamento[768]; ed una soggettiva, il pregiudizio educativo
derivante dall'ulteriore corso del processo[769].
Sospensione del processo con messa alla prova: viene disposta dal giudice quando ritiene di dover valutare la
personalità del minorenne all'esito di una prova,nel corso della quale il minorenne stesso viene affidato ai
servizi minorili dell'amministrazione della giustizia per lo svolgimento, anche in collaborazione con i servizi
locali, delle opportune attività di osservazione, trattamento e sostegno. La messa in prova persegue lo
specifico obiettivo di consentire la formulazione di un serio giudizio prognostico sul reinserimento sociale del
minore, attraverso la interiorizzazione di modelli di comportamento socialmente apprezzabili.Poi dichiarazione
giudiziale di estinzione del reato.
LE CAUSE DI ESTINZIONE DELLA PENA
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Nozione: (capo II del titolo VI C.P.)
Le singole cause estintive
MORTE DEL REO DOPO LA CONDANNA
L'AMNISTIA IMPROPRIA
LA PRESCRIZIONE DELLA PENA
Ratio dell'istituto
Anche essa è una rinuncia dello Stato a far valere la propria pretesa punitiva, e porta alla estinzione della
punibilità in concreto; può verificarsi solo dopo una sentenza o decreto irrevocabile di condanna non eseguiti.
Ha per oggetto solo le pene principali, è sempre esclusa per l'ergastolo.
I termini di prescrizione
La Corte Costituz. con sentenza 31 maggio 1990, n.275, ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell'art.157
nella parte in cui non prevede che la prescrizione del reato possa essere rinunziata dall'imputato. Ammessa,
dunque, la rinunciabilità della prescrizione, viene soddisfatto l'interesse sostanziale dell'imputato ad
ottenere una sentenza di merito, dimostrando la propria innocenza.
L'INDULTO
Nozione e ratio
E' un atto di clemenza generale che non opera sul reato, ma esclusivamente sulla pena principale
[770]che è in tutto o in parte condonata o commutata in altra specie di pena.
Indulto "proprio" e "improprio"
Proprio: interviene durante l'esecuzione della pena rispetto ad una sentenza irrevocabile.
Improprio: quando è applicato dal giudice di cognizione con la sentenza.
L'indulto estingue la pena ma non estingue le pene accessorie, a meno che il decreto non preveda
diversamente. Non estingue gli effetti della condanna.
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LA GRAZIA
Atto di indulgentia principis
E' un atto di clemenza del Capo dello Stato. Il suo fondamento è da individuarsi nell'avvenuta risocializzazione
del reo, che rende inutile il proseguimento dell'esecuzione della pena.
Caratteristiche, presupposti ed effetti dell'istituto
-
particolare: essenzialmente individuale;
-
presuppone una sentenza irrevocabile di condanna;
-
rimesso ex art.87 Cost. al potere discrezionale del Presidente della Repubblica;
-
opera solo sulla pena principale, condonandola in tutto o in parte.
LA LIBERAZIONE CONDIZIONALE
La concessione di tale liberazione rappresenta un premio, concesso al condannato che durante il periodo di
detenzione abbia dato prova costante di buona condotta.
Ratio dell'istituto duplice:
-
premiare il detenuto che ha dato prova di ravvedimento;
-
incitare gli altri detenuti a seguirne l'esempio.
I presupposti della sua applicazione
LA RIABILITAZIONE
Tale istituto estingue le pene accessorie e ogni altro effetto penale della condanna.
Funzione dell'istituto
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I presupposti della sua applicazione
LA NON MENZIONE DELLA CONDANNA NEL CERTIFICATO DEL CASELLARIO GIUDIZIALE
Funzione dell'istituto
Di favorire la risocializzazione del condannato, mediante l'eliminazione che può subire il suo buon nome
dall'annotazione della condanna sul certificato del casellario giudiziale che è rimessa all'apprezzamento
discrezionale del Giudice, il quale la concederà avendo riguardo alle circostanze indicate nell'art.133 (gravità
del fatto e capacità a delinquere)[771].
I presupposti della concessione del beneficio
Cap. 5. LE MISURE DI SICUREZZA
Sono mezzi di prevenzione individuali della delinquenza: pertanto la loro funzione essenziale è la prevenzione
speciale e la difesa sociale.
La dottrina moderna (ANTOLISEI, PAGLIARO, DE MARSICO, FIANDACA-MUSCO) ritiene che le misure
di sicurezza siano SANZIONI PENALI[772], in quanto anche esse presuppongono un fatto costituente
reato, sono disciplinate dal codice penale e, alla pari delle pene, sono mezzi di lotta contro il reato e
conseguenze giuridiche della commissione di un reato. Dalle pene differiscono quindi soltanto perché
in esse l'emenda ha funzione prevalente e perché la loro durata è predeterminata solo nel minimo
(contenuto e durata).
Si differenziano dalle MISURE DI POLIZIA (tali sono: il foglio di via obbligatorio, la sorveglianza speciale della
P.S., il divieto di soggiorno o l'obbligo di soggiorno in un determinato Comune) per elementi che concernono:
a) presupposti: le misure di sicurezza si applicano solo ad individui che hanno commesso un fatto previsto
come reato (salvo due eccezioni); le misure di polizia sono adottate solo sulla base di indizi o sospetti e non
presuppongono la commissione di un illecito penale;
b) scopo: le misure di sicurezza hanno anche lo scopo di impedire nuovi reati; le misure di polizia, invece,
hanno solo scopo preventivo, tendono ad evitare fatti che si reputano dannosi o pericolosi;
c)
procedimento: le misure di polizia sono applicate dal Tribunale su proposta del Questore. Il Tribunale
provvede in camera di consiglio e decide con decreto, contro cui è possibile solo far ricorso - e non appello alla Corte di Appello entro 10 giorni. Il ricorso non ha effetto sospensivo.
Ai fini dell'applicazione delle misure di sicurezza occorre (presupposto OGGETTIVO E SOGGETTIVO):
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a) la commissione di un FATTO PENALMENTE RILEVANTE (reato o "quasi reato"[773]). Affinché la
misura di sicurezza sia applicabile, occorre che il fatto commesso sia conforme ad una figura di reato descritta
dal legislatore; è necessario che non esistano cause di giustificazione; si esige l'attribuibilità dell'atto alla
volontà dell'autore; è indispensabile, inoltre, il concorso del dolo o della colpa. In due casi che la dottrina
chiama di quasi reato, si applicano le misure di sicurezza (libertà vigilata) senza che sussista reato:
-
il c.d. reato impossibile (art.49);
-
l'istigazione a commettere un reato e l'accordo per commetterlo (art.115)
b) la PERICOLOSITA' SOCIALE DEL SOGGETTO.[774] La pericolosità deve essere accertata sempre, di
volta in volta, dal giudice e non si presume mai. La durata delle misure di sicurezza è indeterminata. Ciò in
quanto ogni misura ha un minimum stabilito dalla legge secondo le varie specie di delinquenti e la gravità del
reato. Decorso tale periodo minimo il giudice procede al riesame della pericolosità (art.208), per accertare se
l'individuo è ancora pericoloso. Se risulta che la pericolosità è cessata, il giudice procede alla revoca della
misura di sicurezza. Altrimenti il giudice fissa un nuovo termine per un ulteriore esame della pericolosità.
L'applicazione e l'esecuzione delle misure di sicurezza. Sono regolate dal principio di legalità. L'art.199
(SOTTOPOSIZIONE A MISURE DI SICUREZZA: DISPOSIZIONE ESPRESSA DI LEGGE) stabilisce infatti
che "nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza che non siano espressamente stabilite dalla legge
e fuori dei casi dalla legge stessa preveduti"[775].
art.200 APPLICABILITA' DELLE MISURE DI SICUREZZA RISPETTO AL TEMPO, AL TERRITORIO E ALLE
PERSONE - Le misure di sicurezza sono regolate dalla legge in vigore al tempo della loro applicazione.
Se la legge del tempo in cui deve eseguirsi la misura si sicurezza è diversa, si applica la legge in vigore al
tempo della esecuzione.
Le misure di sicurezza si applicano anche agli stranieri, che si trovano nel territorio dello Stato.
Tuttavia l'applicazione di misure di sicurezza allo straniero non impedisce l'espulsione di lui dal territorio
dello Stato, a norma delle leggi di pubblica sicurezza.
Scelta della specie di misure di sicurezza: se la legge non indica la specie di misure di sicurezza, il giudice
dispone per la libertà vigilata (art.205).
Autorità da cui sono ordinate (art.205): sono ordinate dal giudice nella stessa sentenza di condanna o di
proscioglimento. Ad eccezione della confisca, possono essere ordinate con provvedimento successivo del
magistrato di sorveglianza (art.669 c.p.p. e 69 Legge 26 luglio 1975, n.354):
1) nel caso di condanna, durante l'esecuzione della pena o durante il tempo in cui il condannato si sottrae
volontariamente all'esecuzione della pena;
2) nel caso di proscioglimento, qualora la qualità di persona socialmente pericolosa sia presunta e non sia
decorso un tempo corrispondente alla durata minima della relativa misura di sicurezza;
3)
in ogni tempo, nei casi stabiliti dalla legge (es. art.109).
Durante le indagini o il giudizio è ammessa l'applicazione provvisoria della misura di sicurezza; essa è
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disposta dal giudice su richiesta del pubblico ministero (artt.312 e 313 c.p.p.).
Momento dell'esecuzione: avviene:
1)
immediatamente, se applicate con sentenza di proscioglimento;
2)
dopo che la sentenza è divenuta irrevocabile, se aggiunte a pena non detentiva;
3)
dopo che la pena è stata scontata o è altrimenti estinta, se aggiunte a pena detentiva.
Modalità dell'esecuzione: in appositi stabilimenti (art.213).
Concorso di misure di sicurezza (art.209): trattandosi di misure di sicurezza della stessa specie ne è disposta
una sola: se esse, invece, sono di specie diversa il giudice valuta la pericolosità della persona e applica una o
più delle misure di sicurezza stabilite dalla legge.
Effetti dell'estinzione della punibilità (art.210):
1) le cause che estinguono il reato impediscono l'applicazione delle misure di sicurezza e ne fanno
cessare l'esecuzione;
2) le cause che estinguono la pena impediscono l'applicazione delle misure di sicurezza, a meno che
non si tratta di quelle che possono essere ordinate in ogni tempo (art.210).
Classificazione:
-
personali (si distinguono in detentive e non detentive);
-
patrimoniali.
A) Misure di sicurezza personali detentive:
1)
la colonia agricola o casa di lavoro (artt.216-218);
2)
casa di cura e di custodia (artt.219-221);
3)
ospedale psichiatrico giudiziario (art.222);
4)
riformatorio giudiziario (artt.223-227);
B) Misure di sicurezza personali non detentive:
1) la libertà vigilata (artt.228-232): è una limitazione della libertà personale destinata ad evitare le occasioni
di nuovi reati; a tale scopo è fatto obbligo al vigilato di darsi al lavoro stabile, di non ritirarsi la sera dopo una
certa ora e di non uscire la mattina prima di una determinata ora, di non accompagnarsi a pregiudicati, etc.
L'inosservanza degli obblighi di cui sopra comporta l'imposizione di cauzione, ovvero la sostituzione della
libertà vigilata con una misura di sicurezza detentiva. La sottoposizione è obbligatorio:
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a)
se è inflitta la pena della reclusione non inferiore a 10 anni;
b)
quando il condannato è ammesso alla liberazione condizionale;
c)
se il contravventore abituale o professionale, non essendo più sottoposto a misure di sicurezza,
commette un nuovo reato;
d)
negli altri casi determinati dalla legge.
La durata minima è di un anno.
2)
Il divieto di soggiorno (art.233);
3) Il divieto di frequentare osterie e pubblici spacci di bevande alcooliche (art.234): è sempre aggiunto alla
pena, quando si tratti di condannati per ubriachezza abituale o per reati commessi in stato di ubriachezza,
purchè questa sia abituale. La durata minima è di un anno.
4) L'espulsione dello straniero dallo Stato (art.235): quando lo straniero sia condannato alla reclusione per
un tempo non inferiore a 10 anni o in genere ad una pena detentiva per un delitto contro la personalità dello
Stato (cfr. art.312).
C) Misure di sicurezza patrimoniali
1) La cauzione di buona condotta: sia applica a) ai liberati dalla casa di lavoro o dalla colonia agricola se
il giudice non ordina la libertà vigilata; b) ai trasgressori degli obblighi della libertà vigilata; c) ai trasgressori del
divieto di frequentare osterie e spacci di bevande alcoliche. A differenza delle misure di sicurezza personali,
per la cauzione di buona condotta è stabilito anche il maximum: infatti la sua durata non può superare i 5 anni.
2) La confisca: consiste nell'espropriazione a favore dello Stato di cose che servirono a commettere il reato
(esempio: arnesi da scasso) o che ne sono il prodotto o il profitto.
La confisca di regola facoltativa, è obbligatoria:
1)
per le cose che costituiscono il prezzo del reato (l'utilità economica ricavata per commetterlo);
2) per le cose la cui fabbricazione, uso, detenzione o alienazione costituisce reato, anche se non è stata
pronunciata condanna (monete false, armi insidiose, ecc.): art.240, comma 2°.
Per effetto del combinato disposto degli artt.240 c.p., 445 c.p.p. e Legge 22 maggio 1975, n.152, la
confisca è, altresì, obbligatoria per qualunque reato concernente le armi, strumenti atti ad offendere, munizioni
ed esplosivi (Cass. 6 luglio 1996, n.6882).
Nuove ipotesi confisca: art.322 ter.
PREMESSA
PROFILI GARANTISTICI DELLA DISCIPLINA: A) PRINCIPIO DI LEGALITA'; B) DIVIETO DI
RETROATTIVITA'
I PRESUPPOSTI DI APPLICAZIONE DELLE MISURE DI SICUREZZA: IL FATTO PREVISTO DALLA LEGGE
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COME REATO
SEGUE: LA PERICOLOSITA' SOCIALE
TIPOLOGIE DI PERICOLOSITA' SOCIALE "SPECIFICA"
LA DURATA DELLA MISURA DI SICUREZZA
CLASSIFICAZIONE DELLE MISURE DI SICUREZZA
MISURE DI SICUREZZA DETENTIVE: COLONIA AGRICOLA E CASA DI LAVORO
SEGUE: CASA DI CURA E DI CUSTODIA
SEGUE: OSPEDALE PSICHIATRICO GIUDIZIARIO
SEGUE: RIFORMATORIO GIUDIZIARIO
MISURE DI SICUREZZA PERSONALI NON DETENTIVE: LIBERTA' VIGILATA
SEGUE: DIVIETO DI SOGGIORNO
SEGUE. DIVIETO DI FREQUENTARE OSTERIE E PUBBLICI SPACCI DI BEVANDE ALCOOLICHE
SEGUE: ESPULSIONE DELLO STRANIERO DALLO STATO
LE MISURE DI SICUREZZA PATRIMONIALI: CAUZIONE DI BUONA CONDOTTA
SEGUE:CONFISCA
APPLICAZIONE ED ESECUZIONE DELLE MISURE DI SICUREZZA
Cap.6. LE SANZIONI CIVILI
PREMESSA
LE SINGOLE SANZIONI
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LE GARANZIE PER LE OBBLIGAZIONI CIVILI
PARTE OTTAVA: GLI STRUMENTI AMMINISTRATIVI DI CONTROLLO SOCIALE
Cap. 1. IL DIRITTO PENALE AMMINISTRATIVO
PREMESSA
I PRINCIPI GENERALI DELL'ILLECITO DEPENALIZZATO
Cap. 2. LE MISURE DI PREVENZIONE
PREMESSA
LE SINGOLE MISURE DI PREVENZIONE "PERSONALI"
LA PREVENZIONE ANTIMAFIA
LA LEGGE 22 MAGGIO 1975, N.152 (C.D. LEGGE REALE)
INSUFFICIENZE E PROFILI DI INCOSTITUZIONALITA' DEL VIGENTE SISTEMA PREVENTIVO
DIRITTO PENALE. PARTE GENERALE
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di Giovanni Fiandaca, Enzo Musco
Zanichelli Editore, ottobre 2001
PARTE PRIMA: DIRITTO PENALE E LEGGE PENALE
Cap. 1. CARATTERISTICHE E FUNZIONI DEL DIRITTO PENALE
PREMESSA
FUNZIONI DI TUTELA DEL DIRITTO PENALE: LA PROTEZIONE DEI BENI GIURIDICI
I PRINCIPI DI "SUSSIDIARIETA'" E DI "MERITEVOLEZZA DELLA PENA"
IL PRINCIPIO DI FRAMMENTARIETA'[776]
IL PRINCIPIO DI "AUTONOMIA"
PARTIZIONI DEL DIRITTO PENALE
CARATTERISTICHE DEL CODICE ROCCO
CODICE ROCCO, INTERVENTI RIFORMATORI E LEGISLAZIONE SPECIALE
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Cap. 2. LA FUNZIONE DI GARANZIA DELLA LEGGE PENALE
PREMESSE GENERALI[777]
LA RISERVA DI LEGGE: FONDAMENTO E PORTATA
IL CONCETTO DI "LEGGE" NELL'ART.25, COMMA 2°, COST. E NELL'ART. 1 C.P.[778]
RAPPORTO LEGGE-FONTE SUBORDINATA: I DIVERSI MODELLI DI INTEGRAZIONE[779]
RAPPORTO LEGGE-CONSUETUDINE
RISERVA DI LEGGE E NORMATIVA COMUNITARIA
IL PRINCIPIO NULLA POENA SINE LEGE[780]
IL PRINCIPIO DI TASSATIVITA': PREMESSA
PRINCIPIO DI TASSATIVITA' E TECNICHE DI REDAZIONE DELLA FATTISPECIE PENALE[781]
IL PRINCIPIO DI IRRETROATTIVITA'[782]
LA DISCIPLINA DETTATA DALL'ART.2 DEL CODICE PENALE
SEGUE: SUCCESSIONE DI LEGGI E APPLICABILITA' DELLA DISPOSIZIONE PIU' FAVOREVOLE AL
REO
SUCCESSIONE DI LEGGI INTEGRATRICI DI ELEMENTI NORMATIVI DELLA FATTISPECIE CRIMINOSA
(MODIFICHE COSIDDETTE "MEDIATE" DELLA FATTISPECIE INCRIMINATRICE)
SUCCESSIONE DI LEGGI TEMPORANEE, ECCEZIONALI E FINANZIARIE[783]
DECRETI-LEGGE NON CONVERTITI[784]
LEGGI DICHIARATE INCOSTITUZIONALI
SINDACATO DI COSTITUZIONALITA' SULLE NORME PENALI "DI FAVORE"
TEMPO DEL COMMESSO REATO
DIVIETO DI ANALOGIA[785]
Cap. 3 . L'INTERPRETAZIONE DELLE LEGGI PENALI
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PREMESSA[786]
CLASSIFICAZIONI DELL'INTERPRETAZIONE IN BASE AI SOGGETTI TIPICI
LE RAGIONI DELLA "PROBLEMATICITA'" DEL VINCOLO DEL GIUDICE ALLA LEGGE PENALE
LA LETTERA DELLA LEGGE E L'INTENZIONE DEL LEGISLATORE
I TRADIZIONALI CANONI ERMENEUTICI
RECENTI SVILUPPI DELLA TEORIA DELL'INTERPRETAZIONE
Cap. 4. AMBITO DI VALIDITA' SPAZIALE E PERSONALE DELLA
LEGGE PENALE
Sezione I. AMBITO DI VALIDITA' SPAZIALE DELLA LEGGE PENALE[787]
I PRINCIPI CHE PRESIEDONO ALL'APPLICAZIONE DELLA LEGGE PENALE NELLO SPAZIO.
PREMESSA[788]
REATI COMMESSI NEL TERRITORIO DELLO STATO: CONCETTO DI TERRITORIO [789]
SEGUE: LOCUS COMMISSI DELICTI [790]
REATI COMUNI COMMESSI ALL'ESTERO[791]
DELITTO POLITICO COMMESSO ALL'ESTERO: NOZIONE [792]
Sezione II. AMBITO DI VALIDITA' PERSONALE DELLA LEGGE PENALE
PREMESSA [793]
FONTE GIURIDICA DELL'IMMUNITA': IL DIRITTO PUBBLICO INTERNO
SEGUE: IL DIRITTO INTERNAZIONALE
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NATURA GIURIDICA DELLE IMMUNITA' [794]
Cap. 5. NOZIONI DI TEORIA GENERALE DEL REATO
Sezione I. CONCETTI GENERALI
DEFINIZIONE FORMALE DI REATO[795]
IL PROBLEMA DELLA DEFINIZIONE SOSTANZIALE DEL REATO
DELITTI E CONTRAVVENZIONI[796]
IL SOGGETTO ATTIVO DEL REATO
IL PROBLEMA DELLA RESPONSABILITA' PENALE DELLE PERSONE GIURIDICHE[797]
IL PROBLEMA DEI SOGGETTI RESPONSABILI NEGLI ENTI O NELLE IMPRESE
IL SOGGETTO PASSIVO DEL REATO[798]
Sezione II. STRUTTURA DEL REATO
PREMESSA
ANALISI DELLA STRUTTURA DEL REATO
FATTO TIPICO
TIPICITA' ED OFFESA DEL BENE GIURIDICO
ANTIGIURIDICITA' [799]
COLPEVOLEZZA[800]
COSTRUZIONE "SEPARATA" DEI TIPI DI REATO
CLASSIFICAZIONE DEI TIPI DI REATO[801]
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PARTE SECONDA: IL REATO COMMISSIVO DOLOSO
Cap. 1. TIPICITA'
PREMESSE: LA FATTISPECIE E I SUOI ELEMENTI COSTITUTIVI[802]
CONCETTO DI AZIONE[803]
AZIONE DETERMINATA DA FORZA MAGGIORE[804] O DA COSTRINGIMENTO FISICO[805]. CASO
FORTUITO[806]
PRESUPPOSTI DELL'AZIONE
OGGETTO MATERIALE DELL'AZIONE
EVENTO[807]
RAPPORTO DI CAUSALITA':PREMESSA[808]
LA TRADIZIONALE TEORIA CONDIZIONALISTICA: INSUFFICIENZE[809]
SEGUE: CORRETTIVI[810]
LA TEORIA CONDIZIONALISTICA ORIENTATA SECONDO IL MODELLO DELLA "SUSSUNZIONE
SOTTO LEGGI SCIENTIFICHE"[811]
LA TEORIA DELLA CAUSALITA' ADEGUATA
TEORIE MINORI: LA CAUSALITA' UMANA
LA RECENTE TEORIA DELL'IMPUTAZIONE OBIETTIVA DELL'EVENTO[812]
CONCAUSE[813]
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Cap. 2. ANTIGIURIDICITA' E SINGOLE CAUSE DI
GIUSTIFICAZIONE
PREMESSA[814]
FONDAMENTO SOSTANZIALE E SISTEMATICA DELLE CAUSE DI GIUSTIFICAZIONE[815]
DISCIPLINA DELLE CAUSE DI GIUSTICAZIONE[816]
CONSENSO DELL'AVENTE DIRITTO[817]
ESERCIZIO DI UN DIRITTO[818]
ADEMPIMENTO DI UN DOVERE[819]
LEGITTIMA DIFESA[820]
USO LEGITTIMO DELLE ARMI[821]
STATO DI NECESSITA' [822]
Cap. 3. LA COLPEVOLEZZA
Sezione I. NOZIONI GENERALI [823]
PREMESSA
CONCEZIONI DELLA COLPEVOLEZZA: LA CONCEZIONE PSICOLOGICA
SEGUE: LA CONCEZIONE NORMATIVA
ORIENTAMENTI ATTUALI
STRUTTURA DELLA COLPEVOLEZZA[824]
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Sezione II. IMPUTABILITA'
PREMESSA[825]
LA CAPACITA' DI INTENDERE E DI VOLERE[826]
MINORE ETA'[827]
INFERMITA' DI MENTE[828]
UBRIACHEZZA E INTOSSICAZIONE DA STUPEFACENTI[829]
SORDOMUTISMI[830]
ACTIO LIBERA IN CAUSA[831]
Sezione III. STRUTTURA E OGGETTO DEL DOLO
IL DOLO: FUNZIONI E DEFINIZIONE LEGISLATIVA[832]
STRUTTURA DEL DOLO: RAPPRESENTAZIONE E VOLONTA'
OGGETTO DEL DOLO[833]
DOLO E COSCIENZA DELL'OFFESA
FORME DEL DOLO. CENNI SULLA PROBLEMATICA DELL'ACCERTAMENTO[834]
Sezione IV. LA DISCIPLINA DELL'ERRORE
PREMESSA
ERRORE DI FATTO SUL FATTO[835]
ERRORE SUL FATTO DETERMINATO DA ERRORE SU LEGGE EXTRAPENALE[836]
ERRORE DETERMINATO DALL'ALTRUI INGANNO[837]
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REATO PUTATIVO[838]
Sezione V. IL REATO ABERRANTE
ERRORE-INABILITA'[839]
ABERRATIO DELICTI [840]
Sezione VI. LA COSCIENZA DELL'ILLICEITA' [841]
LA POSSIBILITA' DI CONOSCERE IL PRECETTO PENALE
Sezione VII. CAUSE DI ESCLUSIONE DELLA COLPEVOLEZZA
DOLO E NORMALITA' DEL PROCESSO MOTIVAZIONALE; LA COSIDDETTA INESIGIBILITA'
SCUSANTI LEGALMENTE RICONOSCIUTE[842]
Sezione VIII. LA COLPEVOLEZZA NELLE CONTRAVVENZIONI
I CRITERI DI IMPUTAZIONE SOGGETTIVA: DOLO E COLPA[843]
Cap. 4. CIRCOSTANZE DEL REATO
PREMESSA
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CLASSIFICAZIONE DELLE CIRCOSTANZE[844]
CRITERI DI IDENTIFICAZIONE DELLE CIRCOSTANZE
CRITERIO DI IMPUTAZIONE DELLE CIRCOSTANZE[845]
CRITERI DI APPLICAZIONE DEGLI AUMENTI O DELLE DIMINUZIONI DI PENA[846]
CONCORSO DI CIRCOSTANZE AGGRAVANTI E ATTENUANTI[847]
APPLICAZIONE DELLE CIRCOSTANZE E COMMISURAZIONE DELLA PENA
LE SINGOLE CIRCOSTANZE AGGRAVANTI COMUNI[848]
LE SINGOLE CIRCOSTANZE ATTENUANTI COMUNI[849]
CIRCOSTANZE ATTENUANTI GENERICHE[850]
LA RECIDIVA[851]
Cap. 5. DELITTO TENTATO
PREMESSA: LA CONSUMAZIONE DEL REATO
DELITTO TENTATO: IN GENERALE[852]
L'"INIZIO" DELL'ATTIVITA' PUNIBILE
IDONEITA' DEGLI ATTI
UNIVOCITA' DEGLI ATTI
ELEMENTO SOGGETTIVO
IL PROBLEMA DELLA CONFIGURABILITA' DEL TENTATIVO NELL'AMBITO DELLE VARIE TIPOLOGIE
DELITTUOSE
TENTATIVO E CIRCOSTANZE[853]
DESISTENZA E RECESSO ATTIVO[854]
TENTATIVO E ATTENTATO
REATO IMPOSSIBILE[855]
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Cap. 6. CONCORSO DI PERSONE
PREMESSA
IL PROBLEMA DEI MODELLI DI DISCIPLINA DEL CONCORSO CRIMINOSO[856]
LE TEORIE SUL CONCORSO CRIMINOSO[857]
STRUTTURA DEL CONCORSO CRIMINOSO[858]: PLURALITA' DI AGENTI[859]
SEGUE: REALIZZAZIONE DELLA FATTISPECIE OGGETTIVA DI UN REATO[860]
SEGUE. CONTRIBUTO DI CIASCUN CONCORRENTE: A) CONCORSO MATERIALE[861]
SEGUE: B) CONCORSO MORALE [862]
L'ELEMENTO SOGGETTIVO DEL CONCORSO CRIMINOSO[863]
IL CONCORSO NELLE CONTRAVVENZIONI
LE CIRCOSTANZE AGGRAVANTI[864]
LE CIRCOSTANZE ATTENUANTI ED IN PARTICOLARE IL CONTRIBUTO DI "MINIMA
IMPORTANZA"[865]
LA RESPONSABILITA' DEL PARTECIPE PER IL REATO DIVERSO DA QUELLO DOVUTO[866]
CONCORSO NEL REATO PROPRIO E MUTAMENTO DEL TITOLO DEL REATO PER TALUNO DEI
CONCORRENTI[867]
LA COMUNICABILITA' DELLE CIRCOSTANZE[868]
LA COMUNICABILITA' DELLE CAUSE DI ESCLUSIONE DELLA PENA[869]
DESISTENZA VOLONTARIA E PENTIMENTO OPEROSO
ESTENSIBILITA' DELLA DISCIPLINA DEL CONCORSO "EVENTUALE" AL CONCORSO
"NECESSARIO"[870]
CONCORSO EVENTUALE E REATI ASSOCIATIVI
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PARTE TERZA: IL REATO COMMISSIVO COLPOSO
Cap. 1. IL REATO COMMISSIVO COLPOSO
Sezione I. TIPICITA'
PREMESSA
IL FATTO COMMISSIVO COLPOSO TIPICO: AZIONE[871]
INOSSERVANZA DELLE REGOLE PRECAUZIONALI DI CONDOTTA[872]
CRITERI DI INDIVIDUAZIONE DELLE REGOLE DI CONDOTTA: "PREVEDIBILITA'" ED "EVITABILITA'"
DELL'EVENTO. IL LIMITE DEL CASO FORTUITO.
FONTI E SPECIE DELLE QUALIFICHE NORMATIVE RELATIVE ALLA FATTISPECIE COLPOSA[873]
CONTENUTO DELLA REGOLA DI CONDOTTA
STANDARD OGGETTIVO DEL DOVERE DI DILIGENZA[874]
LIMITI DEL DOVERE DI DILIGENZA: A) RISCHIO CONSENTITO
SEGUE: B) PRINCIPIO DELL'AFFIDAMENTO E COMPORTAMENTO DEL TERZO
CAUSAZIONE DELL'EVENTO[875]
Sezione II. ANTIGIURIDICITA'
PREMESSA
CONSENSO DELL'AVENTE DIRITTO
LEGITTIMA DIFESA
STATO DI NECESSITA'
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Sezione III. COLPEVOLEZZA
STRUTTURA PSICOLOGICA DELLA COLPA[876]
LA MISURA "SOGGETTIVA" DEL DOVERE DI DILIGENZA
IL "GRADO" DELLA COLPA[877]
CAUSE DI ESCLUSIONE DELLA COLPEVOLEZZA[878]
Sezione IV. LA COOPERAZIONE COLPOSA
LA DISCIPLINA PREVISTA DALL'ART.113 C.P.
PARTE QUARTA: IL REATO OMISSIVO
Cap. 1. IL REATO OMISSIVO
Sezione I. NOZIONI GENERALI
PREMESSA
DIRITTO PENALE DELL'OMISSIONE E BENE GIURIDICO
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LA BIPARTIZIONE DEI REATI OMISSIVI IN "PROPRI" E "IMPROPRI"[879]
Sezione II. LA STRUTTURA DEL REATO OMISSIVO
1. VI.
TIPICITA'
1. A.
LA FATTISPECIE OBIETTIVA DEL REATO OMISSIVO PROPRIO
SITUAZIONE TIPICA
CONDOTTA OMISSIVA TIPICA E POSSIBILITA' DI AGIRE
1. B.
LA FATTISPECIE OBIETTIVA DEL REATO OMISSIVO IMPROPRIO
PREMESSA: AUTONOMIA DELLA FATTISPECIE OMISSIVA IMPROPRIA E PRINCIPIO DI LEGALITA'
LA SFERA DI OPERATIVITA' DELL'ART. 40 CPV. C.P.
SITUAZIONE TIPICA
OMESSO IMPEDIMENTO DELL'EVENTO ED EQUIVALENTE NORMATIVO DELLA CAUSALITA'[880]
LA POSIZIONE DI GARANZIA[881]
LA DISTINZIONE TRA "AGIRE" ED "OMETTERE" NEI CASI PROBLEMATICI
1. VII.
ANTIGIURIDICITA'
2. VIII.
COLPEVOLEZZA
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PREMESSA
DOLO OMISSIVO[882]
COLPA
COSCIENZA DELL'ILLICEITA'
1. IX.
TENTATIVO
IL TENTATIVO[883]
1. X.
PARTECIPAZIONE CRIMINOSA
PARTECIPAZIONE NEL REATO OMISSIVO
PRESUPPOSTI E LIMITI NELLA PARTECIPAZIONE MEDIANTE OMISSIONE NEL REATO COMMISSIVO
PARTE QUINTA: LA RESPONSABILITA' OGGETTIVA
Cap. 1 . La responsabilità oggettiva.
Premessa[884]
La responsabilità oggettiva e principi costituzionali[885]
Casi di responsabilità oggettiva "pura"[886]
Segue: reati di stampa[887]
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Casi di responsabilità oggettiva "mista": la preterintenzione[888]
Segue: i reati aggravati dall'evento[889]
Segue: condizioni obiettive di punibilità[890]
PARTE SESTA: CONCORSO DI REATI E CONCORSO DI NORME
Cap.1. CONCORSO DI REATI
PREMESSA
UNITA' E PLURALITA' DI AZIONE
UNITA' DI AZIONE NEI REATI COLPOSI E NEI REATI OMISSIVI
CONCORSO MATERIALE[891]
CONCORSO FORMALE: REQUISITI[892]
SEGUE: DISCIPLINA GIURIDICA[893]
REATO CONTINUATO: PREMESSA[894]
ELEMENTI COSTITUTIVI DEL REATO CONTINUATO[895]
SEGUE: REGIME SANZIONATORIO[896]
SEGUE: NATURA GIURIDICA[897]
Cap. 2. CONCORSO APPARENTE DI NORME
PREMESSA
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SPECIALITA' [898]
SUSSIDIARIETA'
ASSORBIMENTO: "NE BIS IN IDEM" SOSTANZIALE
PROGRESSIONE CRIMINOSA, ANTEFATTO E POSTFATTO NON PUNIBILI
REATO COMPLESSO[899]
PARTE SETTIMA: LE SANZIONI
Cap. 1. I PRESUPPOSTI TEORICI E POLITICO-CRIMINALI DEL SISTEMA SANZIONATORIO VIGENTE
PREMESSA
LE ORIGINARIE SCELTE SANZIONATORIE DEL CODICE ROCCO[900]
CONTRADDIZIONI E INSUFFICIENZE DEL SISTEMA DEL DOPPIO BINARIO[901]
LA PENA SECONDO LA COSTITUZIONE
SIGNIFICATO E LIMITI DELL'IDEA RIEDUCATIVA
RIEDUCAZIONE E PRASSI LEGISLATIVA
L'EVOLUZIONE PIU' RECENTE DEL DIBATTITO SULLE FUNZIONI DELLA PENA: A) LA PREVENZIONE
GENERALE
B) LA RETRIBUZIONE
C) LA PREVENZIONE SPECIALE
IL PROBLEMA DEL SUPERAMENTO DEL DOPPIO BINARIO
ATTUALITA' E PROSPETTIVE DELLA PENA NELLA REALTA' DELL'ORDINAMENTO
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Cap. 2. LE PENE IN SENSO STRETTO
LE PENE PRINCIPALI[902]
LE PENE ACCESSORIE: PREMESSE GENERALI[903]
LE SINGOLE PENE ACCESSORIE
PUBBLICAZIONE DELLA SENTENZA PENALE DI CONDANNA
LE PENE SOSTITUTIVE: GENERALITA'[904]
LE SINGOLE PENE SOSTITUTIVE
LE MISURE ALTERNATIVE DELLA DETENZIONE[905]
Cap. 3. LA COMMISURAZIONE DELLA PENA
PREMESSA: IL POTERE DISCREZIONALE[906] DEL GIUDICE[907]
CLASSIFICAZIONE SISTEMATICA DEI CRITERI DI COMMISURAZIONE[908]
GLI INDICI DI COMMISURAZIONE PREVEDUTI DALL'ART.133 C.P.:
A) LA GRAVITA' DEL REATO[909]
SEGUE: B) LA CAPACITA' A DELINQUERE[910]
AMBIGUITA' E INSUFFICIENZE DEL MODELLO DI DISCIPLINA CONTENUTO NELL'ART.133 C.P.[911]
ESIGENZA DI UNA RILETTURA COSTITUZIONALMENTE ORIENTATA DELL'ART.133 C.P.[912]
I TERMINI DELL'ATTUALE DIBATTITO TEORICO
LA COMMISURAZIONE DELLA PENA PECUNIARIA (ART.133 BIS C.P.)
POTERE DISCREZIONALE DEL GIUDICE NELLA SOSTITUZIONE DELLE PENE DETENTIVE BREVI[913]
POTERE DISCREZIONALE E MISURE ALTERNATIVE ALLA DETENZIONE
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Cap. 4. LE VICENDE DELLA PUNIBILITA'
CONDIZIONI OBIETTIVE DI PUNIBILITA'[914]
LE CAUSE DI ESTINZIONE DEL REATO[915]
LA MORTE DEL REO[916]
L'AMNISTIA PROPRIA[917]
LA PRESCRIZIONE[918]
L'OBLAZIONE NELLE CONTRAVVENZIONI[919]
LA SOSPENSIONE CONDIZIONALE DELLA PENA
IL PERDONO GIUDIZIALE E ALTRI ISTITUTI MINORILI
LE CAUSE DI ESTINZIONE DELLA PENA
MORTE DEL REO DOPO LA CONDANNA
L'AMNISTIA IMPROPRIA
LA PRESCRIZIONE DELLA PENA
L'INDULTO
LA GRAZIA
LA LIBERAZIONE CONDIZIONALE
LA RIABILITAZIONE
LA NON MENZIONE DELLA CONDANNA NEL CERTIFICATO DEL CASELLARIO GIUDIZIALE
Cap. 5. LE MISURE DI SICUREZZA
PREMESSA
PROFILI GARANTISTICI DELLA DISCIPLINA: A) PRINCIPIO DI LEGALITA'; B) DIVIETO DI
RETROATTIVITA'
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I PRESUPPOSTI DI APPLICAZIONE DELLE MISURE DI SICUREZZA: IL FATTO PREVISTO DALLA
LEGGE COME REATO
SEGUE: LA PERICOLOSITA' SOCIALE
TIPOLOGIE DI PERICOLOSITA' SOCIALE "SPECIFICA"
LA DURATA DELLA MISURA DI SICUREZZA
CLASSIFICAZIONE DELLE MISURE DI SICUREZZA
MISURE DI SICUREZZA DETENTIVE: COLONIA AGRICOLA E CASA DI LAVORO
SEGUE: CASA DI CURA E DI CUSTODIA
SEGUE: OSPEDALE PSICHIATRICO GIUDIZIARIO
SEGUE: RIFORMATORIO GIUDIZIARIO
MISURE DI SICUREZZA PERSONALI NON DETENTIVE: LIBERTA' VIGILATA
SEGUE: DIVIETO DI SOGGIORNO
SEGUE. DIVIETO DI FREQUENTARE OSTERIE E PUBBLICI SPACCI DI BEVANDE ALCOOLICHE
SEGUE: ESPULSIONE DELLO STRANIERO DALLO STATO
LE MISURE DI SICUREZZA PATRIMONIALI: CAUZIONE DI BUONA CONDOTTA
SEGUE:CONFISCA
APPLICAZIONE ED ESECUZIONE DELLE MISURE DI SICUREZZA
Cap.6. LE SANZIONI CIVILI
PREMESSA
LE SINGOLE SANZIONI
LE GARANZIE PER LE OBBLIGAZIONI CIVILI
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PARTE OTTAVA: GLI STRUMENTI AMMINISTRATIVI DI CONTROLLO SOCIALE
Cap. 1. IL DIRITTO PENALE AMMINISTRATIVO
PREMESSA
I PRINCIPI GENERALI DELL'ILLECITO DEPENALIZZATO
Cap. 2. LE MISURE DI PREVENZIONE
PREMESSA
LE SINGOLE MISURE DI PREVENZIONE "PERSONALI"
LA PREVENZIONE ANTIMAFIA
LA LEGGE 22 MAGGIO 1975, N.152 (C.D. LEGGE REALE)
INSUFFICIENZE E PROFILI DI INCOSTITUZIONALITA' DEL VIGENTE SISTEMA PREVENTIVO
[1] Si segue, invero pedissequamente, il testo di
Giovanni Fiandaca, Enzo Musco, Zanichelli Editore,
ottobre 2001, integrato in taluni approfondimenti con
altri testi, citasi: AA.VV., Diritto penale. Parte generale,
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Simone, 2003; Gianluigi Morlini, Diritto penale, Il Sole 24
Ore, 2001; Codice penale esplicato, Simone, 2003;
Antonio Pagliaro, Sommario di diritto penale italiano
(parte generale), Giuffrè,2001, Tullio Padovani, Diritto
penale, Giuffrè, 2002, Franco Antolisei - Luigi Conti,
Istituzioni di diritto penale, Giuffrè,2000, Alberto Crespi,
Federico Stella, Giuseppe Zuccalà, Commentario breve
al codice penale, Cedam, 2003, Voci tratte dal Digesto discipline penalistiche, e dall'Enciclopedia Giuridica.
[2] Detto criterio risulta invero tendenzialmente rispettato ove la tutela penalistica abbia ad oggetto "beni
essenziali" ai fini di una ordinata convivenza umana.
[3] Infatti la dottrina "rivisitante" il tema auspica una riforma dell'attuale catalogo dei reati.
[4] Concezione di fondo ispirata sia al positivismo scientifico, sia al liberalismo progressista di fine ottocento.
[5] Potenzialmente vincolanti, appunto, in sede di selezione legislativa dei fatti punibili: tentativo sociologico
avversato dal Rocco (vedi oltre).
[6] Si rifà agli studi dei tedeschi, in particolare il Binding, che privilegiavano la funzione dogmatico-ricostruttiva
della categoria del bene giuridico sul terreno del diritto vigente.
[7] È una superfetazione concettuale, priva di reale utilità sotto un profilo tecnico, salvo il concetto di "oggetto
giuridico sostanziale specifico" che corrisponde a quello di bene o interesse specificatamente protetto dalla
singola norma incriminatrice.
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[8] La teoria del bene perde ogni funzione "critica" di limite al potere punitivo dello Stato (esasperato
positivismo e tecnicismo giuridico).
[9] Esempio:ambiente.
[10] Occorre guardarsi dall'errore di ridurre la consistenza del bene protetto alla semplice materialità del suo
substrato fisico: non pochi beni superindividuali o collettivi, come l'ambiente, sono andati acquisendo un rango
crescente nella stessa coscienza sociale, divenuta sempre più avvertita dalla strumentalità dell'interesse
ambientale rispetto alla protezione dello stesso bene della salute. A livello comunitario è stata adottata la
decisione quadro 2003/80/GAI del Consiglio del 27/01/2003, in G.U.U.E. del 05/02/2003 relativa alla
protezione dell'ambiente attraverso il diritto penale ove viene premesso che i reati ambientali "rappresentano
una minaccia per l'ambiente e, di conseguenza, dovrebbero ricevere una risposta severa", stabilendo che gli
Stati membri introducano entro il 27/01/2005 nelle loro legislazioni nuovi illeciti penali per chiunque provochi
danni o pericoloi per la salute o per l'ambiente sia per dolo sia per colpa. Le sanzioni devono essere "effettive,
proporzionate e dissuasive, comprendenti, per lo meno nei casi più gravi, pene privative della libertà che
possono comportare l'estradizione". Queste sanzioni penali "possono essere corredate di altre sanzioni o
misure: in particolare, per una persona fisica, il divieto di esercitare un'attività che richiede un'autorizzazione o
approvazione ufficiale o di fondare, gestire o dirigere una società o una fondazione allorché i fatti che hanno
condotto alla sua condanna inducano a temere che possa essere nuovamente intrapresa un'iniziativa
criminale analoga"; e che devono esserci anche sanzioni per le persone giuridiche, fra cui l'esclusione dal
godimento di un vantaggio o aiuto pubblico, il divieto temporaneo o permanente di esercitare un'attività
industriale o commerciale, l'assoggettamento a sorveglianza giudiziaria, e addirittura provvedimenti giudiziari
di scioglimento. In proposito vedasi G. Amendola, Gestione dei rifiuti e normativa penale, Giuffrè, Milano,
2003, pag.292 e, per rinvio ad approfondimenti, nota n.10 di pag.293.
[11] Con riferimento a queste figure di reato, l'oggetto della protezione penale perde in concretezza e
afferrabilità: e cioè il diritto penale non tutelerebbe più beni giuridici in senso tradizionale, ma funzioni
amministrative o assetti di disciplina volti a garantire il regolare esercizio di determinate attività, anche
attraverso scelte che mediano tra interessi configgenti (ad es. le norme penali in materia di inquinamento non
vietano tout court i comportamenti idonei a corrompere l'aria o l'acqua, ma mirano a rendere compatibili, da un
lato l'interesse alla purezza degli elementi naturali e, dall'altro, gli interessi connessi alla produzione industriale
e agricola). E' ben vero tuttavia che, tra gli stessi beni superindividuali, ve ne sono alcuni di stampo più
tradizionale, e recepiti da tempo nei codici penali, che presentano un minor grado di indeterminatezza e della
cui dignità di tutela non è lecito dubitare: si allude a beni quale il regolare esercizio dell'attività giudiziaria o il
buon funzionamento della pubblica amministrazione. Quanto ai beni di amplissimo spettro di più recente
emersione, ruotanti intorno ad interessi diffusi facenti capo a cerchie indeterminate di soggetti, l'impressione di
una sorta di <volatizzazione> dell'oggetto della tutela non è a prima vista infondato. Occorre, nondimeno,
guardarsi dall'errore di ridurre la consistenza del bene protetto alla semplice materialità del suo substrato
fisico: non pochi beni superindividuali o collettivi, come ad es. quello dell'ambiente, sono andati acquisendo un
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rango crescente nella stessa coscienza sociale, divenuta sempre più avvertita della strumentalità della tutela
ambientale rispetto alla protezione dello stesso bene della salute. Sicchè, la prospettiva del discorso finisce col
mutare: il problema cioè si sposta su un terreno diverso, che è quello della corretta tecnica di strutturazione
delle fattispecie incriminatrici.(così in pagg.16-17 Fiandaca-Musco).
[12] Dottrina della "dannosità sociale" di ascendenza illuministica: il reato sarebbe un fatto socialmente
dannoso piuttosto che un fatto lesivo di un bene giuridico.
[13] Rileva il comportamento quale accadimento significativo sul piano dell'interazione sociale: e il "significato"
del comportamento criminoso consisterebbe nel rappresentare la negazione della norma penale. Il compito del
diritto penale sarebbe più che proteggere i beni giuridici quello di confermare la validità o obbligatorietà della
norma violata.
[14] Criterio plausibile: quanto più alto è il livello del bene all'interno della scala gerarchica recepita dalla
Costituzione....
[15] Per rimediare a tale lacunosità la giurisprudenza non di rado indulge verso.....
[16] che è anche il comportamento omissivo di chi si rifiuta di fornire indizi utili per l'accertamento del reato
commesso da persona non identificata.
[17] Principio considerato il palladio delle libertà politiche, con esagerazioni es. Liszt ha definito il Codice
Penale <la Magna Charta del reo>. ANTOLISEI-CONTI, op.cit.,pag.35.
[18] Ricordiamo l'importanza enorme del connubio dei modi di presentarsi della legalità, perché ridotto in
termini estremamente pratici o, come si suol dire, di diritto positivo, le conseguenze sono:
a)
Da una parte: l'esistenza di interessi tutelati come elemento costitutivo del reato;
b)
Dall'altra: la ragione di previsione scritta di legge.
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Questa è una conseguenza puramente tecnica, non di sostanza, della legalità mista: la quale è l'avere
ribaltato completamente i termini di rapporto tra società e ordinamento penale, perché oggi la legge penale e
il sistema penale sono elementi di protezione, non elementi sanzionatori o elementi puramente repressivi, e
solo attraverso e la protezione e l'individuazione di beni da tutelare è possibile costruire l'intervento di una
norma penale: il che vuol dire, che il diritto penale è strumento di libertà non di privazione della stessa, cioè di
tutelare beni costituzionalmente, o non, rilevanti.
[19] posto che l'art.25 Cost non menziona l'avverbio "espressamente" e non fa alcun riferimento alle "pene":il
codice penale affida peso maggiore alla riserva di legge!
L'art.1 c.p. <è una vera e propria norma di sbarramento, in quanto rappresenta un limite che il giudice
nell'applicazione della legge non può in alcun caso varcare> ANTOLISEI-CONTI, op.cit., pag.35.
[20] Contra BRICOLA e CARBONE che sono per la riserva assoluta di legge: regolamenti, usi e consuetudini
non valgono.
[21] Così PULITANO', in AA.VV., Commentario breve al codice penale, pag.8.
[22] così T.Padovani, Diritto penale, pag.18-20.Per ANTOLISEI-CONTI, op.cit, pag.37 <la prevalenza della
disposizione amministrativa speciale (..) non incide sul principio (di legalità NdR). Infatti il capoverso del
medesimo articolo afferma la prevalenza della disposizione penale e quindi della legge statuale quando la
situazione di concorso apparente si determini nei confronti di una legge regionale (..). Viene quindi fatto salvo
il principio della riserva a favore della legge statuale.>, poco oltre (pag. 38) si osserva "Non possono invece (..)
avere legittimità norme incriminatici previste da leggi regionali. Nondimeno una legge regionale può incidere in
concreto sulla sfera di operatività di una norma incriminatrice se questa contempli l'accertamento di requisiti
affidati alla competenza delle regioni. Il che è avvenuto per esempio in materia di determinazione dei limiti di
tollerabilità di immissioni inquinanti nell'ambiente>.
[23] Può avere come effetto di "giustificare" alcuni dei comportamenti concreti capaci di rientrare nella
previsione generale e astratta del precetto penale. In tal modo, verificandosi un ampliamento della sfera della
liceità (penale) vengono meno le ragioni sostanziali tradizionalmente sottese alla riserva di legge statale in
materia penale.
Quando la legge statale interferisce in campi di competenza regionale: normative settoriali con compresenza
di funzioni statali e regionali.Non è precluso alla legge regionale di concorrere a precisare i presupposti di
applicazione delle leggi penali statali, alla stregua di principi che regolano il possibile intervento di fonti
secondarie (PALAZZO, BRICOLA). Esclusa la legittimità dell'apprestare sanzione penale a precetti posti con
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legge regionale, secondo lo schema delle norme c.d. in bianco, il problema si pone con riferimento alle
normative settoriali (di frequente applicazione, per es., in materia ambientale) caratterizzate dalla
compresenza di funzioni statali e regionali. In dottrina si ritiene che la legittimità di questo modello dipenda
dalla fissazione di adeguate cornici di operatività fissate dal legislatore statale (PIERGALLINI). La Corte Cost.
ha ripetutamente ritenuto la legittimità di leggi regionali che - nel disciplinare materia di competenza regionale sono parse concorrere a determinare i presupposti dell'applicazione di norme penali statali. Vedi PULITANO',
in AA.VV.,Commentario breve al codice penale, pag.10.
[24] così T.Padovani, Diritto penale, pag.20. Vedi, dello stesso autore, anche pag.358 sul concorso apparente
tra fattispecie penali e violazioni amministrative.
[25] Dal 1966 al 1982 orientamento univoco della Corte Costituzionale sulla riserva relativa: le norme
penali in bianco sono legittime se il precetto penale è sufficientemente determinato o direttamente, o
indirettamente.....per BRICOLA la Corte Costituzionale ha torto. I contenuti della riserva di legge: a) le fonti
sublegislative non possono influire sul piano sanzionatorio; b) sul precetto occorre che sia sufficientemente
descritto e previsto dalla legge (la legge indica gli elementi essenziali: il resto può essere normato da fonti
sublegislative); c) il regolamento può intervenire come elemento di integrazione di una fattispecie penale già
descritta da legge (es. quando si parlava di fabbisogno sostanze stupefacenti si rimetteva al decreto
ministeriale le quantità: il regolamento integrava con l'art.71 del DPR 590: si tratta di una pura integrazione di
una norma già perfetta). Altra ipotesi è l'art. 650 c.p. qui il regolamento interviene su un precetto che non è
completo. Il precetto è indicato dalla legge ma non è descritto in modo completo, si rimette al regolamento la
determinazione di quegli atti per inosservanza: quando posso dire che il precetto è sufficientemente
determinato? Contenuto di sufficiente determinazione qual è? Quando la legge indica i contenuti, le condizioni
affinché gli atti diventino efficaci, la legge può intervenire anche in un secondo momento...art.650 c.p. detta un
requisito essenziale attraverso il quale è punita l'inosservanza, cioè viene punita la condotta di inosservanza di
atti legalmente dati (nel rispetto della legge): in sostanza il controllo legale si fa sul piano del controllo delle
fonti sublegislative...tanto vale per il precetto, sulla sanzione solo la legge può intervenire. Sul rapporto con
l'art. 2 c.p....vedi soglia di tollerabilità dell'inquinamento acque....Per la norma extrapenale integratrice vale il
principio <tempus regit actum> , oppure si dice che la norma secondaria richiamata è un mero presupposto di
fatto e come tale non è soggetta al regime dell'art.2 c.p. (Cass.,V,24/09/1996) però.....
[26] Art.659 - DISTURBO DELLE OCCUPAZIONI O DEL RIPOSO DELLE PERSONE - Chiunque, mediante
schiamazzi o rumori, ovvero abusando di strumenti sonori o di segnalazioni acustiche, ovvero suscitando o
non impedendo strepiti di animali, disturba le occupazioni o il riposo delle persone, ovvero gli spettacoli, i
ritrovi o i trattenimenti pubblici, è punito con l'arresto fino a tre mesi o con l'ammenda fino a € 309.
Si applica l'ammenda da € 103 a € 516 a chi esercita una professione o un mestiere rumoroso contro le
disposizioni della legge o le prescrizioni dell'Autorità.
[27] Individuata dal Binding.
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[28] Corte Costituzionale sentenza 282/1990 (unica sentenza di accoglimento dell'illegittimità costituzionale
per violazione del principio di riserva di legge in tema di prevenzione incendi L.84/818): pare distinguere tra
provvedimenti e regolamenti: per i provvedimenti vale la regola della sufficiente determinatezza; mentre si
esclude la possibilità di un rinvio ad un regolamento futuro, indipendentemente dalla determinatezza stessa.
Ha dichiarato incostituzionale quelle fattispecie costruite secondo la tecnica del rinvio normativo e fonti
amministrative di portata generale. La rigidità del rinvio ad un specifico atto preesistente (suscettibile da parte
della PA di...): incertezza sul contenuto del fatto e quindi non corrisponde alle esigenze del principio di
determinatezza della fattispecie penale. Rinvio statico/rinvio dinamico. Caso di emanazione di nuove norme
integrative (l'art.25 Cost. e l'art.2 C.P.). Caso di abolizione di norma integrativa di un elemento normativo,
distinguere:
si punisce ove l'abolizione fa venir meno il disvalore penale del fatto criminoso commesso anteriormente,
non essendo venuta meno la ratio punendi;
-
non si punisce se l'abolizione della norma fa venir meno il disvalore del fatto commesso.
Esempio: calunnia : sotto Repubblica Sociale Italiana dico che Tizio appartiene a banda partigiana (reato)
sapendo che non è vero: è un reato, cioè calunnia.
Altro esempio: un gruppo di persone si mette d'accordo di scioperare prima del 1945 :è delitto. Poi diventa un
diritto: fino al 1945 queste persone venivano chiamate a rispondere di associazione per delinquere, sul piano
dell'associazione per delinquere si è modificato lo scopo di commettere delitti, qui è completamente cambiato il
disvalore complessivo del fatto globalmente considerato, lo sciopero essendo diventato costituzionalmente un
diritto priva di qualunque rilevanza la condotta organizzativa che lo vuole esercitare. Cessato il disvalore del
fatto, cessa rilevanza la rilevanza penale . Il disvalore fa rientrare nel meccanismo successorio la modifica del
meccanismo normativo. E' stato reso lecito un fatto non più punibile, abolitio criminis.
Bisogna quindi valutare sul piano, globalmente inteso, se si è modificato o meno il disvalore complessivo.
[29] Artt.11 e 12 L.685/1975, ora trasfusi negli artt.13 e 14, D.P.R. 309/1990.
[30] Nel tempo una norma non viene mai applicata: non è possibile però per fatti di reato: contrasto con
principio di riserva di legge.Vedi anche elemento di gerarchia delle fonti, una fonte inferiore non può eliminare
una fonte superiore.
[31] Occorre, nell'omissione impropria, la giuridicità dell'obbligo perché ci sia equivalenza tra il non impedire un
evento e il cagionarlo: l'obbligo giuridico può essere consuetudinario e allora diventa consuetudine
incriminatrice ma non come strumento generale, ma particolare, per quel singolo episodio, atto. Si rende
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eccezionale il ruolo di incriminazione della consuetudine stessa, altrimenti la riserva di legge non viene
rispettata.E' un problema in astratto.
[32] Vedi aggravante art.625, n.7 furto che è aggravante speciale, addirittura qui la consuetudine è richiamata
direttamente con valore pieno e consentito, perché non c'è contrasto con norma di legge.Attenzione la
Costituzione rimane rigida, non può diventare flessibile con il "precedente".
[33] Contra PADOVANI,Diritto Penale, Giuffrè,2002, pag. 24 ove "il principio della gerarchia delle fonti
impedisce di riconoscere nella consuetudine la fonte di norme scriminanti (o comunque esclusive della
responsabilità).Poiché esse si riferiscono, in termini derogatori, a norme incriminatici di natura
necessariamente legislativa , ne discende che soltanto disposizioni di pari rango possono limitarne
l'applicazione. La consuetudine può invece assumere una funzione integrativa (secundum legem), ogni qual
volta essa sia espressamente richiamata dalla fattispecie per definirne un elemento costitutivo: così, ad es.,
nell'art.625/1,n.7 c.p. (cose esposte "per consuetudine" "alla pubblica fede"). In tal caso, infatti, è la legge
stessa che "governa" l'ambito di rilevanza della fonte consuetudinaria richiamata".
[34] Per PAGLIARO (Sommario del diritto penale Italiano,Giuffrè, Milano, 2001, pag.41) "La vera ragione per
la quale il reato, previsto nell'ordinamento interno italiano, può rimanere escluso per l'intervento di una norma
comunitaria si deve ricercare negli istituti dell'''esercizio di un diritto'' e dell'''adempimento di un dovere''. Infatti,
il diritto capace di escludere un reato può scaturire pure da una fonte diversa dalla legge. E lo stesso vale per
il dovere. Perciò, se un norma comunitaria di applicazione immediata autorizza o rende obbligatorio un
comportamento che la legislazione italiana prevede come reato, tale comportamento risulterà giustificato ex
art.51 c.p..Se poi la norma comunitaria cessasse di avere valore per l'Italia, a partire da quel momento (non
retroattivamente) tale comportamento ritornerà a costituire reato".
Talora è prevista una espansione dell'ordinamento penale interno, a tutela di interessi strumentali alla
attuazione degli obiettivi propri della Comunità (c.d. metodo della < assimilazione>), es. art.194
Prot.Tratt.Euratom (tutela del segreto atomico..), art.27 Prot. Statuto C.G.C.E. per falsa testimonianza e false
perizie in materia civile, eccetera.
[35] Per PADOVANI, op.cit.,pag.24 la determinatezza si proietta all'interno della fattispecie , vincolandone il
modo di formulazione legislativa; la tassatività costituisce invece lo sbarramento esterno della fattispecie
stessa, impedendo che essa possa essere riferita ad ipotesi non ricomprese nella sua normativa astratta.
[36] La tassatività ha funzione di ridurre al minimo creazione giurisprudenziale del diritto (una sorta di sfiducia
per questa creazione). A rigore (Palazzo), è operabile una distinzione concettuale, nel senso di riferire la:
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a)
"determinatezza" alla tecnica legislativa di formulazione della fattispecie incriminatrice;
b)
"tassatività" al divieto per il giudice di applicare la norma penale a casi da essa non espressamente
previsti.
[37] La tassatività non è stata costituzionalizzata (come nella RFT), c'è solo un dato normativo ordinario l'art.1
c.p. dove si parla di previsione "espressa" del reato da parte della legge, l'avverbio "espressamente" nell'art.25
della Cost. c'è ed ha la funzione di tassativizzare nel nostro ordinamento il principio.Ma se tassatività è
possibilità di operare della riserva di legge, la tassatività diventa un corollario necessario e sufficiente di ciò
che vuole riservare la legge, e rientra indirettamente, a pieno titolo, tra i canoni costituzionali della legalità.
[38] A) Secondo un filone giurisprudenziale risalente nel tempo, il salvataggio delle norme denunciate è stato
dalla Corte operato in base al CRITERIO DEL "SIGNIFICATO LINGUISTICO" (vedi: osceno, assistenza
familiare, vilipendio). Senonchè l'argomento linguistico può tutt'al più risultare utile in rapporto ad espressioni
linguistiche che il legislatore trae dal linguaggio comune: quando invece si tratta di espressioni tecniche o
specialistiche (es. nella legislazione penale extracodicistica) questo criterio è inadatto;
B) Un altro filone della giurisprudenza costituzionale fa leva sull'ARGOMENTO DEL "DIRITTO VIVENTE" che
viene peraltro utilizzato in due versioni:
1) la Corte tende ad identificare il diritto vivente con l'interpretazione costante o comunque dominante che la
giurisprudenza, specie della Cassazione, conferisce a una determinata norma incriminatrice: per cui la norma
in questione assumerebbe sufficiente determinatezza se ed in quanto applicata alla stregua
dell'interpretazione giurisprudenziale prevalente (es. sent. n.11/88 in tema di armi giocattolo);
2)
adottata nei casi in cui manca un indirizzo interpretativo costante o prevalente, per cui la Corte
costituzionale questa volta concepisce come diritto vivente il rapporto dialettico tra le diverse interpretazioni
giurisprudenziali: comporterebbe al giudice scegliere la soluzione ermeneutica preferibile, e il principio di
determinatezza della norma rimarrebbe salvo tutte le volte in cui la disomogeneità interpretativa non superi la
soglia di una normalità fisiologica (es. sent. n.21/90 in materia di inosservanza di misure di prevenzione).
Il criterio del diritto vivente attribuisce un ruolo eccessivo alla giurisprudenza ordinaria che viene così caricata
del ruolo di supplire alle deficienze del legislatore; e, cosa ancor più grave, esso consente alla Corte di
pretermettere l'esame diretto del grado di tassatività delle norme considerate nella loro formulazione testuale;
C) altre prese di posizione della giurisprudenza costituzionale più aperte: vedi sentenza n.81/1996 in tema di
plagio (art. 603 c.p.) che ha avuto il merito di precisare che la determinatezza o tassatività della fattispecie
incriminatrice non attiene soltanto alla sua formulazione linguistica, ma implica anche la verificabilità empirica
del fatto da essa disciplinato. La tesi secondo cui la determinatezza non si esaurisce nella mera formulazione
linguistica della fattispecie, invero, è stata ulteriormente sviluppata in altre due pronunce della Corte in materia
di frode fiscale (sent. n.247/89) e di prevenzione anti-incendi (sent. n.282/90). L'idea emergente è
sintetizzabile in questi termini: il vero punto di riferimento della determinatezza è (non già la sola formulazione
della norma incriminatrice, bensì) il cosiddetto "tipo criminoso" come sintesi espressiva di un omogeneo
contenuto di disvalore penale. Altra sentenza n.34/95 nel dichiarare incostituzionale una disposizione
incriminatrice in materia di asilo, ingresso e soggiorno di cittadini extracomunitari (art.7 bis L. 28 febbraio 1990,
n.39) la Corte ha rilevato che l'espressione usata dal legislatore per indicare la condotta omissiva punibile, e
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cioè "non adoperarsi per ottenere il rilascio del documento di viaggio" necessario per ottemperare al
provvedimento di espulsione, "in mancanza di precisi parametri oggettivi di riferimento diversi da mere
sinonimie lessicali, impedisce di stabilire con precisione quando l'inerzia del soggetto che si sia intesa
sanzionare raggiunga la soglia penalmente apprezzabile".
Pochissime sono le sentenze che hanno invalidato una disposizione di legge per difetto di tassatività. La prima
è in materia di <misure di prevenzione>: Corte Costituz. n.80/177, si parlava di misura di prevenzione ai
<proclivi a delinquere> sulla base di giudizio.... E' stata poi dichiarata illegittima per difetto di determinatezza
Corte Cost. 81/1996 la fattispecie di plagio (art.603 c.p.), che, interpretata come riduzione di una persona in
totale stato di soggezione psichica, si riferiva, ad avviso della Corte, ad una <ipotesi non verificabile nella sua
effettuazione e nel suo risultato>.La norma sul plagio è stata ritenuta perciò illegittima, non già perché fosse
impossibile determinarne l'esatto significato, ma perché a quel significato non corrisponde alcun fatto concreto
verificabile!
[39] Problemi della tassatività. Tradizionalmente dei rapporti diretti con tutto ciò che è atipico o atassativo:
l'intervento dell'analogia. Ma dal p.d.v. tradizionale è un aspetto meno rilevante; il più consistente problema
della tassatività consiste nell'individuazione di quei requisiti attraverso cui la tassatività si è realizzata, cioè
determinazione di quei requisiti che deve avere ogni norma penale per poter dire che quella norma è tassativa.
Ulteriore considerazione: se in questo ambito la tassatività è sinonimo di ricerca di criteri di determinazione
cioè di formulazione della norma, e questo diventa un sistema di controllo della costituzionalità della norma
stessa. Del resto interventi della Corte Costituzionale sono tutte tornate sui criteri di formulazione, di
determinazione dei criteri della norma, vedi plagio (1981) violativa di un principio di offensività, ma l'incapacità
di formulare i contenuti di aggressione al bene protetto non era null'altro che violazione del principio di
tassatività. Anche nel 1978 C.Cost. con ignoranza inevitabile si appalesa violazione tassatività:
incomprensione del precetto, impossibilità di comprendere il precetto a causa della formulazione normativa,
che è null'altro che violazione della tassatività. Quali sono e debbono essere questi criteri che determinano la
tassatività? Uso di criteri rigidi , ma attraverso l'elasticità si consente di estendere (o di comprimere la portata)
l'applicabilità al maggior numero dei casi la norma, il legislatore può introdurre questi ulteriori elementi
elastici,ampliano o introducono fetta di discrezionalità: esempio nelle circostanze dove si parla di danni di
particolare gravità o di particolare entità: si rimette alla determinazione del giudice. Ma, allora la tassatività
diminuisce..... Conclusione: il problema è di combinazione: tra il criterio elastico compatibile con la tassatività
in combinazione con altri criteri rigidi. Qui l'interprete valuterà, di volta in volta, la compatibilità, la
combinazione dei criteri per trovare il costante equilibrio tra l'uso dei criteri di elasticità e di rigidità. Terzo
criterio indeterminato es. artt.14 e 15 Legge sulla stampa vietata pubblicazione di disegno o scritto che
possano offendere particolare moralità dei minori di anni 14: criterio indeterminabile. La sanzione della
tassatività è l'incostituzionalità (vedi, ancora, il plagio).
[40] A causa di una eccessiva indeterminatezza nella formula linguistica usata: Corte Cost. 8 giugno 1981,
n.96.
[41] Esempio norme civili presupposte dalle norme sul furto per specificare l'elemento normativo "altruità" della
cosa.
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[42] Esempio fattispecie poste a tutela del pudore art.527 ss..Si può operare modificazione su elemento
extralegale? E' ammissibile, o no, successione di leggi quando cambia l'elemento extralegale? Il dato che si
può rilevare è che c'è disparità di valutazioni in dottrina e in giurisprudenza: chi ha ritenuto di escludere
successione lo ha fatto con dati formali, elementi extralegale al di fuori legge e quindi escluse da successione.
E' però vero che questo è un elemento richiamato da norma legale e che per via di richiamo quell'elemento
entra in quella disposizione e che può modificarla. Se cambia il comune sentimento del pudore, un domani
può non essere punibile. Spaccatura fra dottrina: sul piano del principio si, ma sul piano concreto no.E'
l'offensività a mutare, non tanto la formalità.
[43] vedi l'irretroattività della legge penale e l'ampiezza dell'art.25 Cost.: Corte Cost. n.80/1985 il principio della
retroattività della legge penale favorevole non ha valenza costituzionale.
L'irretroattività, come la riserva di legge e come la tassatività, è una conseguenza naturale dell'aver stabilito
che solo la legge può prevedere il reato. Altrimenti, se posso punire un fatto che al momento in cui è stato
commesso la legge non lo prevedeva come reato è ovvio che creo una contraddizione insanabile con la
legalità. L'irretroattività nei sistemi a legalità formale è imposta, nei sistemi a legalità sostanziale mi interessa
punire ciò che è offensivo invece è prevista la retroattività.
[44] vedi imperfetta formulazione della norma, emendamento di Leone, eccetera. Canonizzazione della
irretroattività che è direttamente ed espressamente prevista da una norma costituzionale: tempus regit actum.
All'interno del codice penale però la disciplina della successione della legge è diversa, l'art.2 c.p. prevede la
retroattività della legge penale nel caso di abolitio criminis o di norma penale più favorevole. Non è
incompatibile la legge può retroagire se più favorevole, allora come si fa a salvare questa retroattività in
contrasto con art.25 Cost. scomodando il principio del favor libertatis.
[45] Art.2 - SUCCESSIONE DI LEGGI PENALI 1. Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva
reato.
2.Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato; e, se vi è
stata condanna, ne cessano l'esecuzione e gli effetti penali.
3.Se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui
disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile.
4.Se si tratta di leggi eccezionali o temporanee, non si applicano le disposizioni dei capoversi precedenti.
5. Le disposizioni di questo articolo si applicano altresì nei casi di decadenza e di mancata ratifica di un
decreto-legge e nel caso di un decreto-legge convertito in legge con emendamenti.
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[46] Per PADOVANI: divieto della c.d. ultrattività della legge penale.
[47] Teoria respinta dal PADOVANI, op.cit.,pagg.38-39 perché <postula il ricorso a criteri di valore di tipo
sostanzialistico, dai contenuti inevitabilmente incerti (...).Più solidamente fondata, ma ugualmente inaccettabile
si prospetta la teoria della <<piena continenza>> per la quale il fenomeno della modificazione è riscontrabile
solo quando la fattispecie successiva sia <<pienamente contenuta>> nella precedente; diversamente si deve
parlare di abrogazione. In tal modo si finisce però col circoscrivere la successione modificativa alla sola ipotesi
in cui la legge successiva sia speciale rispetto alla precedente, mentre una continenza di fattispecie si verifica
in realtà anche quando la legge successiva estenda il contenuto tipico della precedente (e si prospetti rispetto
ad essa come generale). In realtà per risolvere il problema occorre guardare ai rapporti strutturali tra le
fattispecie ed alla loro collocazione sistematica. Da questo punto di vista, si avrà successione modificativa:
a)
quanto sia abrogata una disposizione speciale e risulti corripondentemente ampliato l'ambito di
applicazione di una norma generale (...);
b) quando sia abrogata una norma generale, ed introdotta una norma speciale, il fenomeno successorio si
instaura in riferimento alla fattispecie che mantiene rilevanza penale alla stregua della nuova disposizione (...);
Quando le due disposizioni, per quanto caratterizzate da elementi comuni, presentino requisiti tra loro
eterogenei, si deve viceversa parlare di abrogazione dell'incriminazione precedente e di introduzione di una
nuova incriminazione: per i fatti commessi sotto il vigore della prima si applicherà dunque l'art.2/2° c.p.
(retroattività della legge abrogatrice); per quelli commessi sotto il vigore della sceconda, l'art.2/1°
c.p.(irretroattività della nuova incriminazione).>.
[48] Cass.SS.UU. 20 giugno 1990: sussiste "un nesso di continuità ed omogeneità" tra l'abrogata fattispecie di
interesse privato in atti d'ufficio e il nuovo reato di abuso d'ufficio: sicchè, nel passaggio dall'una all'altra
fattispecie, è stata ravvisata un'ipotesi non già di vera e propria abrogazione di fattispecie preesistente, bensì
di successione di leggi con conseguente applicabilità della disposizione incriminatrice più favorevole.
[49] Fra le due fattispecie si ha MODIFICAZIONE quando la nuova legge penale contempla una fattispecie di
portata più specifica rispetto a quella precedente, sicchè, in mancanza della norma successiva, quel fatto
sarebbe rientrato nella norma precedente. Secondo autorevole dottrina è possibile riscontare una
modificazione anche nell'ipotesi inversa, che ricorre quando una fattispecie di portata generale succede ad
una fattispecie di portata più specifica: in tal caso il fenomeno successorio-modificativo si instaura
esclusivamente con riferimento alle ipotesi già contemplate dalla norma precedente ed inglobate in quella
successiva.
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[50] Il giudizio sulla favorevolezza deve essere concreto e a 360 gradi. Bisogna vedere questo giudizio caso
per caso, per ogni singola posizione per ogni imputato e su questa posizione operare un giudizio di
favorevolezza.
[51] Qui l'eccezionalità sta nella ragione della legge, non nel contenuto. La ragione di deroga alla norma
modificativa sta nel regime peculiare.
[52] Nello Statuto albertino diversa disciplina rispetto quella costituzionale, Rocco aveva, ovviamente, in mente
quella disciplina.
[53] Qui il governo di fatto diventava arbitro. Il decreto non convertito non vale nulla, decade. Se è convertito
sarà la legge di conversione a dare valore. Invece la Corte non ha detto nulla per i fatti successivi, ma se
successivi sono giuridicamente inesistenti, per i fatti concomitanti si applica interamente la disciplina del
Codice Rocco: retroagisce se più favorevole, non retroagisce se sfavorevole. Nel fatto concomitante c'è il
rispetto del tempus regit actum. Il decreto anche se non convertito si applica ai fatti concomitanti se più
favorevoli (sempre principio del favor libertatis). Il decreto legge non convertito dovrebbe considerarsi tanquam
non esset, e dovrebbe quindi riprendere pieno vigore la disciplina legislativa su cui tale atto ha inciso (vedi
pag.43 PADOVANI, op.cit.)
[54] I fatti commessi durante la vigenza del decreto non convertito dovrebbero essere pur sempre valutati alla
stregua del più favorevole regime normativo da esso introdotto. E' evidente come da ciò possano derivare
abusi vistosi da parte del Governo, ma non già in contrasto con il principio della riserva che, svolgendo una
funzione essenzialmente garantistica, non è vulnerato da interventi normativi di favore, bensì in dispregio del
principio di uguaglianza (art.3/1 Cost.), vulnerato da un eventuale privilegio penale irragionevolmente
introdotto sfruttando la limitata efficacia temporanea che la Costituzione accorda al decreto-legge.
[55] Sono quelli in cui l'AZIONE E' TIPIZZATA ESSENZIALMENTE IN FUNZIONE DELL'EVENTO e della sua
idoneità a causarlo. Es. omicidio che può essere commesso con qualsiasi azione o mezzo capace di
cagionare la morte dell'uomo. Ad essi si contrappongono i REATI C.D. A FORMA VINCOLATA in cui la
condotta deve svolgersi con determinate modalità o con i mezzi indicati dalla legge.Es. truffa (art.640)
l'induzione in errore della vittima deve avvenire tramite artifizi o raggiri.
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[56] Sennò inconveniente di rendere applicabile una legge penale più sfavorevole che, emanata poco prima
della cessazione della permanenza, aggravi il trattamento penale del reato permanente.
[57] Nel momento in cui ricorro ad analogia (che è negazione della tipicità del fatto e quindi della legalità
formale) siamo nella a-tassatività, allora siccome l'analogia ha ragione in quanto l'ordinamento ha delle lacune,
senza bisogno che il legislatore intervenga ad emanare disposizioni. Nel settore penale siccome vige per
costituzione il principio di tassativitò abbiamo il problema dell'analogia. Anche art.14 disp. prel., legge
penale=norma incriminatice espressa, qui la questione riguarda il contenuto del rapporto legge penale e
norma processuale: in questo divieto analogia ci sono anche le leggi processuali penali? Diversità di
interpretazioni. La giurisprudenza utilizza analogia in materia processuale. Negazione della diversità: se il
processo-mezzo è strumentale alla norma-fine principale, non può essere meno garantistica. Col termine di
leggi penali non solo leggi incriminatici espresse ma pure alle norme processualistiche. Questo vale come
principio generale.Se l'analogia diventa strumento di favore del reo? Se è consentita l'eccezione all'interno del
sistema penale si applica l'analogia in bonam partem. Anche le leggi eccezionali non consentono l'analogia
per l'art.14 dip.prel..Invece l'esperienza pratica porta a dire che se l'analogia è favorevole questa è consentita,
sia pure a determinate condizioni, ecc. ma qual è il fondamento costituzionale della deroga della analogia in
bonam partem? Stesso ragionamento della legalità mista: c'è principio costituzionale almeno pari a quello
della legalità formale (art.25 secondo comma Cost.): SI art.13 Cost. la libertà personale è inviolabile, ed è
posta tra i principi fondamentali della Repubblica (art.2 Cost. la Repubblica si deve impegnare al
raggiungimento di questi principi fondamentali) che va garantita con ogni mezzo, anche questa inviolabilità.
Principio c.d. del favor libertatis.
La dottrina prevalente afferma l'ammissibilità dell'analogia in bonam partem, argomentando che il divieto di
analogia non risponde a una astratta certezza del diritto, ma nel campo penale è semplice mezzo per
introdurre la regola che mira a estendere, quanto più possibile, la sfera della liceità penale e a ridurre al
minimo la menomazione della libertà dei cittadini. L'importanza pratica dell'ammissibilità tecnica dell'analogia
viene tuttavia grandemente ridimensionata, in relazione alla natura eccezionale delle diverse categorie di
norme penali; essa è perciò senz'altro esclusa in relazione alle disposizioni che prevedono immunità personali
o cause di estinzione del reato o della pena.
In ogni condizione è obbligatorio privilegiare la condizione di favore che salvaguardia l'inviolabilità della libertà
personale anche al di fuori di altri limiti imposti da altre norme. L'analogia è così operativa in favore del reo,
anche nel diritto processuale penale.Come si pone questa analogia con le norme eccezionali? Stabilire
cosa si debba intendere per legge eccezionale: destinatari della norma, se applicabile nei confronti di
chiunque non è eccezionale, ma ordinaria. Su questa base è risolta la questione delle scriminanti che si
applicano per chiunque,norme generali non eccezionali, al contrario delle immunità. Non ci sono preclusioni
quindi per applicare le scriminanti (ANTOLISEI) ma la questione non finisce qui....non c'è la possibilità tecnica
di valutare in via di analogia le tre scriminanti (esercizio di un potere,consenso dell'avente diritto, adempimento
di un dovere),perchè al di là del divieto, queste tre scriminanti sono già scritte dal legislatore nella massima
estensione possibile, diversamente avremmo una altra, nuova causa di giustificazione, una altra scriminante.
Solo per le altre due scriminanti: la legittima difesa e per lo stato di necessità è possibile, visto che la
formulazione delle due non hanno regolamentazione di espansione ma di principi (es. anticipazione legittima
difesa e anticipazione stato di necessità): solo qui è ammessa l'analogia in bonam partem.
[58] Vedi Cass. 3 luglio 1991 che ha colto il discrimine teorico tra interpretazione estensiva e procedimento
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analogico: "la prima mantiene il campo di validità della norma entro l'area di significanza dei segni linguistici
coi quali essa si esprime, mentre l'analogia estende tale validità all'area di similarità della fattispecie
considerata dalla norma. L'interpretazione estensiva è perciò pur sempre legata al testo della norma esistente;
il procedimento analogico è invece creativo di una norma nuova che prima non esisteva. E ciò spiega perché il
procedimento per analogia sia incompatibile col principio di legalità sancito con l'art.1 c.p. e costituzionalmente
garantito dall'art.25 Cost". Con l'analogia sono fuori dalla norma, con l'interpretazione siamo all'interno della
norma, sia pure estensivamente. Es. art.575 c.p. se uccido donna o bambino siamo sempre dentro la norma
(interpretazione estensiva: uomo come essere umano, non come sesso). Non così accadrebbe se dicessi che
commette una truffa anche chi approfitta di un errore in cui già si trovi la vittima senza averlo determinato
art.640 cp. perché ragionerei in via di interpretazione analogica, l'articolo 640 è norma vincolante, richiede per
la sua tipicità il verificarsi di tutti gli elementi così come sono, non per come li vorrei, quindi l'induzione
dell'errore, cioè il cagionare l'errore nella vittima, altrimenti eliminerei questo elemento normativo rigido, e
ragionerei in termini di pura interpretazione analogica. Per PADOVANI, op.cit., pag.32: < In realtà,
l'interpretazione estensiva è pur sempre collegata al senso dlele parole normativamente espresse, anche se
non si tratta di un senso strettamente letterale, ma ispirato ad un criterio ermeneutica di diversa natura (ad es.,
lo scopo dell'incriminazione: così, si ritiene comunemente che ''amministratore'' ai fini dei reati societari di cui
agli artt.2621 ss. c.c. sia anche il soggetto che di fatto esercita le funzini relative, pur se sprovvisto di una
nomina regolare dal punto di vista del diritto civile). L'analogia presuppone, invece, che l'ipotesi concreta non
sia in alcun modo riconducibile all'ambito semantico della norma, ma risulti ''affine'' ad un caso da essa
contemplato, sulla base di una similitudine sufficiente a postulare l'esigenza di ricorrere ad una medesima
disciplina (requisito c.d. dell'eadem ratio). Alla distinzione concettuale corrisponde tuttavia una prassi
giurisprudenziale proclive a giustificare come interpretazione estensiva soluzioni ermeneutiche che
parrebbero piuttosto costituire vere e proprie estensioni analogiche. Così, ad. es., si è ritenuto applicabile
l'art.171, lett.a) Legge 633/1941 (sulla protezione del diritto di autore) alla riproduzione abusiva del software,
anche prima che un'apposita modifica legislativa (art.1, D.Lgs. 518/1992) lo includesse espressamente tra le
opere protette; si è ritenuto applicabile l'art.641 c.p. all'omesso pagamento del pedaggio, da parte di chi si sia
immesso in autostrada col proposito di non adempiere, nonostante il difetto di una dissimulazione del proprio
stato di insolvenza (che, in realtà, non sussiste neppure)...ma il divieto di analogia in malam partem dovrebbe
impedire estensioni applicative che è arduo (se non artificioso) riportare nell'ambito dell'interpretazioen
estensiva. La difficoltà di distinguere in concreto fra interpretazione estensiva e analogia è alla base della
scelta, opreata in alcuni ordinamenti (soprattutto latino-americani), di estendere anche alla prima il divieto che
investe la seconda.>
[59] secondo cui "le leggi penali e quelle che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non si
applicano oltre i casi e i tempi in esse considerate"
La dottrina prevalente afferma l'impossibilità dell'analogia in bonam partem, argomentando che il divieto di
analogia non risponde a una astratta certezza del diritto, ma nel campo penale è semplice mezzo per
introdurre la regola che mira a estendere, quanto più possibile, la sfera della liceità penale e a ridurre al
minimo la menomazione della libertà dei cittadini. L'importanza pratica dell'ammissibilità teorica dell'analogia
viene tuttavia grandemente ridimensionata, in relazione alla natura eccezionale delle diverse categorie di
norme penali; essa è perciò senz'altro esclusa in relazione alle disposizioni che prevedono immunità personali
o cause di estinzione del reato o della pena.
[60] sono regolari le norme che disciplinano situazioni generali in cui può versare "chiunque" al ricorrere di
determinati presupposti. Sono norme eccezionali quelle dove viene introdotta una disciplina che deroga,
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rispetto a particolari casi, alla efficacia potenzialmente generale di una o più disposizioni.
<Per la maggior parte degli autori la norma è eccezionale quando non costituisce un complemento o
una specializzazione della disciplina giuridica contenuta in una norma più ampia, ma rappresenta una
interruzione della consequenzialità logica di questa: in altri termini, quando la disciplina giuridica del
rapporto regolato non è soltanto particolare o diversa, ma del tutto contrastante ed antinomia con
quella della norma generale. Anche questo criterio non ci persuade, perché tutt'altro che preciso. Esso
è suscettibile delle applicazioni più diverse, come dimostra il fatto che due apprezzati penalisti, il
SALTELLI e il VASSALLI, occupandosi in modo espresso del problema, sulla base di esso sono giunti
a conclusioni diametralmente opposte, affermando l'uno il carattere eccezionale delle norme relative
alle cause di giustificazione e l'altro il carattere regolare. A nostro modo di vedere, poiché ogni norma
legale in fondo è o può considerarsi una regola generale, l'espressione contenuta nell'art.14 preleggi
deve intendersi in un senso particolare, e precisamente nel senso di direttive generali
dell'ordinamento giuridico. Ci sembra che solo in questo modo il divieto del procedimento analogico
possa spiegarsi e giustificarsi, mentre altrimenti sarebbe assai difficile ravvisarne la ragione.
Riteniamo, pertanto, che per aversi una <legge eccezionale> occorra l'esistenza di una disposizione
che disciplini un gruppo di casi, fissando una regola rispondente alle direttive generali
dell'ordinamento giuridico e che poi a tale regola vengano introdotte delle limitazioni in forma
derogatoria, come, ad es., avviene per le norme che prevedono casi di immunità penale in deroga al
principio generalissimo che la legge penale obbliga tutti coloro che si trovano nel territorio dello Stato.
Orbene, se si accoglie questa interpretazione, si deve escludere che le norme disciplinanti le cause di
giustificazione siano eccezionali, e ciò per due ragioni: a) perché i precetti che vietano determinate
azioni (le c.d. norme incriminatici), più che vere e proprie regole generali, sono imperativi particolari;
b) perché le norme anzidette, lungi dal costituire deviazioni dalle direttive dell'ordinamento giuridico,
sono esse stesse espressioni di principi generali. Il divieto dell'art.14 preleggi, quindi, non può operare
in questo campo. Siamo d'avviso, di conseguenza, che in tema di scriminanti, sia ammissibile il
procedimento analogico, conformemente all'insegnamento dei maggiori criminalistici, a cominciare
dal CARRARA, il quale scrisse:<Per analogia non si può estendere la pnea da caso a caso: per
analogia si deve estendere da caso a caso la scusa>. Quello che si è detto per le cause di
giustificazione vale per le cause che escludono o diminuiscono l'imputabilità (..)> ANTOLISEI-CONTI,
op.cit.,pagg.50-51.
[61] Più esattamente in dottrina si registrano due tendenze:
1) formale che muovendo dal fine ultimo della certezza del diritto penale valorizza l'assolutezza del divieto di
analogia;
2) l'altra, meno rigorosa, ritiene invece che il divieto di analogia operi solo "in malam partem" essendo volto
a garantire la libertà dell'individuo e a tutelare i cittadini dall'arbitrio del potere giudiziario. Alla luce di tale
ultima impostazione, oggi dominante, le norme generali favorevoli al reo che trovano applicazione nei confronti
di soggetti determinati risultano essere estensibili per analogia. Conseguentemente detta estensione
analogica trova attuazione anche per le norme scriminanti. Nascono così le scriminanti non codificate
ovvero le scriminanti non previste espressamente dalla Legge che hanno come effetto rendere lecite talune
condotte astrattamente costituenti reato pur in assenza di una norma giustificatrice che le consenta o le
autorizzi.
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[62] La funzione di legge di interpretazione autentica non è innovativa, interviene solo in via ricognitiva, spiega
la norma (esempio art.1 legge bancaria: attività di interesse pubblico, e artt.357 e 358 c.p. nel 1990 la "o" è
una "e" e "giudiziale" è "giurisdizionale"). Se questo è vero il problema successorio non si pone, perché la
norma interpretativa non retroagisce, si affianca alla norma precedente, non c'è novazione, non c'è nuova
incriminazione, nuova modificazione o abolitio criminis. Ecco perché è importante sapere se una legge è di
interpretazione autentica, perché la si sottrae dalla successione delle leggi, valutare se c'è stata innovazione,
eccetera, quindi in caso di norma di interpretazione autentica non si applica l'art.2 c.p.: il meccanismo non può
essere che caso per caso.
[63] Criterio dell'ubiquità: il reato si considera commesso tanto nel luogo in cui si è svolta (anche solo in parte)
la condotta, tanto in quello in cui si è verificato l'evento: per la giurisprudenza il criterio dell'ubiquità si applica
altresì quando l'azione sia avvenuta in minima parte oppure questa abbia avuto forma omissiva (Cass. 67/63).
Scartando il criterio della condotta,che, riferendosi al luogo dell'azione o dell'omissione, privilegia in via
esclusiva un'esigenza di prevenzione generale, e il criterio dell'evento che, basandosi sul luogo della lesione
dell'interesse, è ispirato in modo unilaterale da una esigenza di difesa.
[64] Dunque il giudice dovrà autorizzare,sulla base di un giudizio ex post in concreto, se la frazione di condotta
posta in essere in Italia rappresenti o meno un anello essenziale dell'iter criminoso.Da tale impostazione
discendono importanti conseguenze:
REATO ABITUALE: si considera commesso in Italia quando qui abbia avuto luogo anche una sola delle
condotte che lo costituiscono;
-
REATO PERMANENTE: quando qui sia stata realizzata anche una minima parte del fatto complessivo;
REATI OMISSIVI: sono commessi nel territorio italiano se qui doveva essere realizzata l'opzione
doverosa omessa o se vi si è verificato l'evento non impedito.
<E' necessario notare che, se per considerare commesso nel territorio dello Stato un reato basta che
una parte del fatto (condotta od evento) si sia verificata nel territorio del medesimo, ciò non significa
che sia sufficiente che il reato sia stato deciso in Italia. La semplice risoluzione criminosa, non è
punibile e,pertanto, se il reato fu ordito in Italia, ma gli atti di esecuzione furono compiuti all'estero, il
reato non è commesso nel territorio dello Stato. Diverso è il caso in cui dal nostro Paese sia partita
l'istigazioine o la promessa di aiuto per un delitto commesso all'estero,giacchè, come a suo luogo si
vedrà, tali atti costituiscono concorso nel reato>. ANTOLISEI-CONTI, op.cit., pag.75.
[65] Ad esempio, perché il fatto che all'estero viene perseguito come delitto è punito in Italia come reato
contravvenzionale: analogia in bonam partem.
[66] Introduce la prima deroga al c.d. principio di territorialità dell'art.6. Tale deroga si ispira al PRINCIPIO DI
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DIFESA per le ipotesi contemplate nei numeri 1-4 in quanto rende applicabile la legge dello Stato cui
appartengono i beni offesi; l'ipotesi contemplata nel n.5 ha invece natura composita: essa si ispira
principalmente al PRINCIPIO DI UNIVERSALITA' in quanto consente di applicare la legge italiana ai delitti che
interessano tutte le nazioni (c.d. delicta gentium), talvolta però la deroga si fonda sul rispetto del PRINCIPIO
DI DIFESA, o su motivi di mera opportunità.
[67] Ratio della disciplina, secondo Nuvolone nell'accoglimento principio di personalità, secondo Mantovani
sarebbe un'ulteriore applicazione del principio di difesa.
[68] L'applicabilità della sanzione è sottoposta alla CONDIZIONE OBIETTIVA DI PUNIBILITA' della presenza
del cittadino nel territorio dello Stato. Per la giurisprudenza si tratta di una CONDIZIONE DI PROCEDIBILITA'
da cui consegue che l'interesse dello Stato a perseguire il reato sussiste soltanto se il reo si sia soffermato non
per breve tempo in Italia.
[69] Occorre partire dal tipo di sistema penale, dal tipo di ordinamento criminale generale, e a seconda della
scelta di legalità che si fa possiamo avere dei sistemi: a) interamente oggettivi; b) interamente soggettivi; c)
oppure misti.
Cosa significa sul piano del reato, come fatto significativo, costruire un sistema penale oggettivo? Significa:1 )
costruire e vedere il reato come fatto puramente lesivo; 2) porre come elemento di base di struttura del fatto:
condotta, evento e soprattutto causalità: cioè elementi oggettivi in cui si sostanzia la lesione; 3) eliminare
totalmente ogni rilevanza alla subiettività, cioè alla colpevolezza, che viene sostituita dall'unico elemento che
mi consente giudizio di attribuzione cioè il rapporto di causalità.
Viceversa, se mi muovo in un sistema soggettivo scompare ogni riferimento al torto oggettivo cioè alla lesione
del bene, alla condotta, all'evento, al rapporto causale e avrei il peso pieno del fatto legato alla sola
colpevolezza cioè all'atteggiamento psicologico del colpevole (vedi ordinamento ecclesiastico che è subiettivo:
vedi anche ultimi due comandamenti biblici: non desiderare le cose o le donne degli altri: puro e semplice
peccato di intenzione, si prescinde dal fatto e dalla valutazione causalistica, dalla condotta, eccetera). Sistema
penale dell'atteggiamento interiore, si sostituisce alla lesività del fatto la lesività o malvagità dell'autore.
Sistema misto, è un punto di equilibrio: si tengono contemporaneamente presenti per l'esistenza del fatto sia
gli elementi obiettivi della condotta, della causalità, dell'azione, dell' omissione, dell'evento, eccetera oltre che
lesione ma sia anche quelli della colpevolezza:pari rilevanza di questi elementi Si dà come punto di approdo
rilevanza tanto alla pericolosità del fatto quanto alla pericolosità del soggetto. Muovendoci in un sistema misto
sul piano delle conseguenze penali, misto sul piano della personalità dell'autore, misto sul piano del fatto
(anche la legalità è mista) siamo in un sistema penale di questo tipo. La teoria generale del reato deve dare
un colore, una collocazione a questi elementi.Si tratta di dare contenuto e colore a questi elementi misti, come
si può farlo? Se penso al reato come fatto unitario o come qualcosa di analitico. Le conseguenze sono
diversissime e dirompenti. Se questo reato in un sistema misto segue una visione analitica, devo scomporre il
reato in tutti i suoi elementi che vanno accertati (necessità di accertamento), viceversa se seguo concezione
unitaria del reato non è possibile, se dico che il reato è un fatto naturale che si presenta in natura come unico,
non avrei la possibilità di accertare l'esistenza del reato se non attraverso l'intuizione, l'accertamento di questa
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realtà unica, naturale e non scomponibile che è il reato è rimessa all'intuizione, così si passa sopra a tutti i
principi dianzi esaminati. Concezione cara alla germania nazionalsocialista (FRANK). In Italia confusione sulle
due strade (analitica e unitaria), sostenitore CARNELUTTI: valutazione del reato come fatto unitario, dopo
anche MAGGIORE e anche ANTOLISEI, in realtà confondevano l'unitarietà come metodo di concezione
rispetto alla unitarietà come dato empirico: non troveremo mai un fatto scomponibile dicevano.Ma allora come
si accerta l'esistenza di quel reato?
Essi richiamavano elementi che dovevano servire all'indagine per sussistenza reato, ma allora riproponevano
l'analisi del reato, e questo fa Antolisei.
<L'esasperazione del procedimento analitico (..) ha portato non solo a spezzare il reato in più parti, ma
anche a considerare ciascuna di queste come un'entittà indipendente, come un quid dotato di vita
autonoma. Per tal modo il reato è stato ravvisato quale una somma di elementi disparati ed eterogenei.
Questa concezione,che potrebbe dirsi MECCANICA OD ATOMISTICA, si deve ritenere erronea, perché
il reato è un tutto organico: è una specie di blocco monolitico, il quale può bensì presentare degli
aspetti diversi, ma non è in alcun modo frazionabile. La vera essenza e - si potrebbe anche dire - la
realtà del reato non è nei singoli componenti di esso e neppure nella loro addizione, ma nel tutto e
nella su intrinseca unità: solo guardando il reato sotto questo profilo, è possibile comprenderne il vero
significato. Che il reato costituisca una unità inscindibile, del resto, è dimostrato all'evidenza dal fatto
che le sue note essenziali sono collegate tra loro in modo così indissolubile, che nessuna di esse può
essere compresa a fondo, se non la si considera in rapporto alle altre. Chi, pertanto, nello studio
analitico del reato non voglia smarrire <<la diritta via>>, non deve mai perdere di vista l'intima,
profonda connessione che esiste tra i vari elementi che lo compongono; in altri termini, non deve mai
dimenticare che il reato costituisce una entità essenzialmente unitaria e organicamente omogenea.
L'analisi quindi non deve essere fine a se stessa, ma va considerata soltanto come uno strumento per
meglio perseguire l'indagine di questa unitaria entità> ANTOLISEI-CONTI, op.cit., pag.109.
Si tratta di concezione analitica contrabbandata per visione unitaria. In Italia da sempre il metodo analitico è
stato il solo che è servito. Il reato è scomponibile in una serie di elementi autonomi, ma che si fondono insieme
fino a dare un quadro di unitarietà del fatto tipico di omicidio, rapina, furto. Ma al contenuto dell'analisi c'è
deviazione di vedute. Contrapposizione tra due metodi interpretativi: concezione tripartita e quella bipartita.
Fortune ed esiti differenziali. La giurisprudenza non si pone il problema, apparentemente, invero c'è una
mancanza di consapevolezza, un naufragio.
La tripartizione che è riconducibile come origine in Italia a DELITALIA vede gli elementi analitici del reato in tre
elementi distinti fra loro autonomi, diversi e che non possono sovrapporsi:
1)
fatto: inteso nella sua manifestazione oggettiva, cioè composto da: condotta, evento e rapporto di
causalità.
2)
colpevolezza: l'atteggiamento psicologico, cioè la manifestazione del dolo o della colpa;
3)
antigiuridicità: elemento autonomo, a sé stante, distinto dagli altri due, non ha valore globale, ma ha
valore di semplice torto obiettivo, cioè di contrasto oggettivo fra il fatto e la legge, fra il fatto l'ordinamento che
lo vieta.
Conseguenze:
1) io parlo di tripartizione perché ho la necessità di collocare autonomamente l'antigiuridicità è solo il ruolo di
questa che cambia rispetto la bipartita, a che mi serve questa autonomia dell'antigiuridicità? L'antigiuridicità è
l'elemento del reato che è negato nel momento in cui si verifica una scriminante, per non essere negato non ci
deve essere causa di giustificazione.
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2) Siccome l'antigiuridicità è elemento autonomo, non posso trovarne traccia negli altri due: cioè in sostanza
l'obiettivizzazione illecita della condotta o della colpevolezza non potranno mai verificarsi. Se dimostro che
esistono casi di colpevolezza obiettiva la tripartizione naufraga, perché non è consentito dire che la
colpevolezza è antigiuridica. Di fatto non si supera il problema dell'antigiuridicità autonoma rispetto ala
colpevolezza obiettiva.
Bipartizione del reato: metodo più tradizionale:
1)
elemento oggettivo: fatto,condotta, evento, rapporto causale;
2)
elemento soggettivo: dolo, colpa...
Non c'è alcuna collocazione dell'antigiuridicità come elemento autonomo perché essa già comunque e
contemporaneamente presente nei predetti elementi oggettivi e soggettivi, l'"in se" del reato come diceva
Rocco nella relazione preliminare al Codice. Non può essere considerata elemento autonomo, è racchiusa nei
due elementi.
Conseguenze: non potrò mai più pensare che le scriminanti neghino l'antigiuridicità, non possono negare
l'antigiuridicità perché l'antigiuridicità, di per sé, nella struttura del reato non è uno degli elemento dell'illecito :
allora le scriminanti negano il fatto globalmente considerato, perché l'antigiuridicità è qui racchiusa nell'intero
fatto e quindi il reato scriminato non è un fatto non antigiuridico perché ne manca uno degli elementi, ma è
negato quanto all'antigiuridicità come manifestazione giuridica naturale. Concludendo per la negazione del
fatto, io ottengo due conseguenze totalmente diverse dalla tripartizione::
a)
le scriminanti intervengono non solo sul piano dell'offesa ma anche su quello della materialità, perché
per avere un fatto devo avere l'assenza di scriminanti (le cause di giustificanti valgono in ordine alla
materialità cioè in ordine al fatto, prima che del dolo, diversamente da come diceva Antolisei): l'assenza di
cause di giustificazioni è elemento negativo non solo della colpevolezza ma anche della materialità;
b)
se dico che le scriminanti negano il fatto,io ho dimostrato la causa di giustificazione come principio
generale dell'ordinamento, perché negando il fatto, ne nega fin dall'origine il ricettario, quindi il fatto scriminato
è lecito sin dall'origine dall'ordinamento, perché come fatto negato è un non fatto, e perciò riporto all'interno di
quei canoni ormai assodati l'intera materia dell'analogia e delle leggi eccezionali.
Riflessi delle scriminanti sia sulla colpevolezza sia sul fatto. In pratica la concezione tripartita considera
l'antigiuridicità come elemento autonomo.
[70] Offesa a beni giuridici.
[71] <Dal punto di vista sostanziale, si ritiene comunemente che il fondamento della distinzione poggi sulla
diversa gravità dei reati: alla qualificazione delittuosa corrisponderebbero le ipotesi più rilevanti, mentre la
qualificazione contravvenzionale si adatterebbe agli illeciti minori (c.d. delitti <<nani>>). Ma, a ben guardare,
questo modo di affrontare la distinzione non è convincente. Se è vero che il delitto può essere sanzionato in
modo assai più pesante, non è peraltro detto che ciò si verifichi sempre: una contravvenzione punibile con
l'arresto fino a tre anni non appare certo meno grave di un delitto punibile soltanto con una modesta multa. E'
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d'altro canto, la circostanza che le contravvenzioni siano di regola imputabili sia a titolo di dolo che a titolo di
colpa (art.42/4°c.p.), mentre nei delitti è normalmente necessario il dolo (art.42/2°c.p.), implica una maggiore
estensione della rilevanza attribuita alle condotte contravvenzionali rispetto a quelle delittuose: ciò che non
sembra corrispondere alla minore gravità delle prime rispetto alle seconde. In realtà , bisogna tener conto che
le contravvenzioni scaturiscono storicamente dai c.d. <<reati di polizia>>, con cui si esprimeva, in forma
coercitiva, la regolamentazione disciplinare della vita associata da parte dell'autorità amministrativa preposta
alla cura dei diversi settori (vita, incolumità, libertà, ecc.). Tali reati non venvivano considerati sulo stesso
piano di quelli stabiliti per la tutela di diritti <<naturali>> (vita, incolumità, libertà,ecc.): mentre questi ultimi
erano mala in se (e cioè intrinsecamente lesivi di un bene preesistente), i primi rappresentavano mala quia
proibita (e cioè repressi soltanto in rapporto a mutevoli esigenze di comune sicurezza e di ordine, quali, ad es.,
la necessità di una licenza per esercitare determinate attività pericolose o il rispetto di determinate prescrizioni
nella circolazione delle persone o delle merci, e così via dicendo). Da questo punto di vista si può rilevare
come la maggior parte delle contravvenzioni sia ancor oggi costituita: a) dall'inosservanza di norme a carattere
prevenzionistico-cautelare (v.,ad.es.l'art.673 c.p.); b) dall'inosservanza di norme concernenti la disciplina di
attività soggette ad un potere amministrativo (v.,ad es., l'art.678 c.p.).(....).non vi è dubbio che il regime
giuridico delle contravvenzioni sia funzionalmente concepito e modellato per corrispondere alle peculiari
esigenze repressive dei due gruppi di violazioni poc'anzi individuati. Così, ad esempio, l'imputabilità delle
contravvenzioni alternativamente a titolo di dolo o di colpa ben si adegua ad illeciti di tipo cautelare o
concernenti un'attività sottoposta ad un potere amministrativo, nei quali conta essenzialmente che l'agente
abbia disatteso, con un atteggiamento riprovevole di qualsiasi specie (e cioè indifferentemente doloso o
colposo), le cautele prevenzionistiche o le esigenze di controllo amministrativo sancite dalla norma.
Analogamente, l'irrilevanza del tentativo nelle contravvenzioni (art.56/1° c.p.) ben si spiega nel caso delle
violazioni cautelari, che già realizzano di per sé la tutela anticipata di un interesse (o di una serie di interessi),
e nel caso delle inosservanze concernenti le attività soggette ad un potere amministrativo, dato che il potere
amministrativo non si esercita su <<atti diretti>> a compiere un'attività (ad es.: la predisposizione dei mezzi per
esercitare un'attività senza la prescritta autorizzazione), ma solo sull'effettivo compimento di essa>. Così
PADOVANI, op.cit.,pagg.69-70.
[72] Offenderebbero la sicurezza pubblica e privata, coincidente con la integrità dell'insieme dei diritti di natura.
[73] violerebbero soltanto leggi destinate a promuovere il pubblico bene. La disciplina delle contravvenzioni,
nei suoi tratti salienti, non è affatto uniformata all'idea che esse costituiscano reati di minore gravità. Il regime
di imputazione delle contravvenzioni è ispirato all'alternativa equivalente dolo/colpa (incomprensibile nella
logica della contravvenzione come "delitto nano"). Esclusioni contravvenzioni dal tentativo......
[74] omesso collocamento o rimozione di segnali o ripari. Per Binding divieti "complementari".
[75] "Nelle contravvenzioni ciascuno risponde della propria azione od omissione cosciente e volontaria, sia
essa dolosa o colposa".
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[76] In realtà il criterio dell'indifferenza del dolo o della colpa non può essere univocamente considerato come
indice che contraddice la (tendenziale) minore gravità delle contravvenzioni rispetto ai delitti: non va
dimenticato che il predetto criterio dell'indifferenza si spiega anche con esigenze di speditezza processuale,
sotto il profilo di una semplificazione della prova dell'elemento soggettivo giustificata storicamente - appunto dalla (ritenuta) minore gravità degli illeciti contravvenzionali.
[77] Illeciti minori.
[78] Molestia o disturbo alle persone.
[79] Abuso della credulità popolare.
[80] Impiego di minori nell'accattonaggio.
[81] Rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro.
[82] Omissione colposa di cautele o difese contro disastri o infortuni sul lavoro.
[83] "Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come delitto, se non l'ha commesso con
dolo, salvo i casi di delitto preterintenzionale o colposo espressamente preveduti dalla legge".
[84] "Nelle contravvenzioni ciascuno risponde della propria azione od omissione cosciente e volontaria, sia
essa dolosa o colposa".
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[85] Referente esclusivo è la persona umana.
[86] <L'espressione <<reo>>, per quanto etimologicamente abbia un'origine processuale, nel nostro codice ha
un valore sostanziale. Essa non significa condannato e neppure imputato: non indica la qualità di colpevole
riconosciuto o presunto, ma soltanto il rapporto che intercede fra il reato e il suo autore; per reo, insomma, si
intende l'autore di un fatto preveduto dalla legge come reato. Devesi, tuttavia, notare che il codice per
designare l'autore del reato non adopera sempre la parola <<reo>>; talvolta usa il termine
<<agente>>,come, ad es., negli artt. 47, 59 e 60 e spesso l'espressione <<colpevole>> (artt.44, 56, 62,
70, 72, 82,ecc.).> ANTOLISEI-CONTI, op.cit., pag.321.
[87] È la potenzialità di ogni uomo a commettere fatti di reato, come conseguenza di pura attitudine che
riguarda ogni essere umano che può diventare soggetto attivo del reato, anche chi è immune da punibilità
ovvero escluso da immunità, eccetera. Dipende dal modo in cui il soggetto attivo si pone verso il reato, anche
qui abbiamo l'ennesima volta della manifestazione modale dell'ordinamento. Anche qui ulteriore dimostrazione
e le risposte non sono semplici, già la divisione netta tra reati comuni e propri ci dice che questo modo cambia
a seconda delle qualità del soggetto.
[88] <non è altro che una qualifica necessaria affinché l'autore del reato sia assoggettabile a pena (...).La
mancanza di imputabilità (..) costituisce semplicemente una causa personale di esenzione da pena.>
ANTOLISEI-CONTI, op.cit.,pagg.331-332.
[89] Incapacità di essere assoggettati a conseguenze penali.
[90] Stretto rapporto intercorrente tra la speciale qualifica soggettiva rivestita dal soggetto e il bene giuridico
assunto a oggetto di protezione penale.
[91] Per il reato proprio. La proprietà del reato non è una creazione legislativa, neanche qui il legislatore può
inventare delle realtà che non esistono, la ricerca o la richiesta di qualità particolari in capo al reo, cioè la
qualità del soggetto attivo, è esso elemento di disvalore del fatto, disvalore che cambia se il modo in cui si
presentano è diverso avremo reati propri esclusivi e non esclusivi, e addirittura diverse tipologie di
presentazione del reato. In sostanza la qualità del soggetto attivo è elemento di disvalore del fatto: vedi più
avanti ipotesi di concorso anomalo del reato, del concorso del reato proprio art.117 : quanto torto integrale alla
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giurisprudenza, quanto torto abbia anche lo stesso Mantovani per non parlare di Antolisei, quando ci viene a
parlare di distinzione tra reati propri esclusivi e non esclusivi, come se io potessi ritenere che si punisce per
concorso in modo diverso l'estraneo, non perché sa o non sa, ma seconda del modo in cui il legislatore crea
una norma il cui disvalore è dato dalla qualità del soggetto attivo. Ricordiamoci da qui che la proprietà del
reato è requisito di disvalore del fatto. Si dice che questo requisito cambia a seconda che il reato proprio sia
esclusivo o non esclusivo. Tenere conto che la ragione storica e tecnica per cui si fanno distinzioni tra reati
propri esclusivi e non esclusivi in realtà riconducono, tutte, a dare una valutazione diversa al meccanismo del
concorso dell'estraneo: per cui è chiaro che se arrivassi a dimostrare che in realtà invece l'art.117 vale allo
stesso modo per tutti i reati propri non avrei nessuna ragione per introdurre questa distinzione, se non sul
piano della realtà ontologica, in realtà non ci sarebbero differenze. Differenza tra reati propri non esclusivi ed
esclusivi.
Reati propri non esclusivi: ce ne sono di due categorie a seconda di quello che si verifica tra fatto e qualità
speciali del soggetto attivo. Ho questi reati quando la qualità con la presenza della qualità del soggetto fa
scattare la rilevanza penale del comportamento che sarebbe comunque di per sé illecito (agire in pregiudizio o
in frode ai creditori sarebbe di per sé comunque un illecito,se però il pregiudizio frodatorio verso i creditori è
realizzato da imprenditore commerciale abbiamo l'ipotesi di bancarotta fraudolenta, ovvero un fatto di reato
dove la rilevanza penale è data dalla qualità del soggetto penale, non è proprio perché comunque sarebbe un
fatto illecito). Altra forma di reato proprio non esclusivo: dove il fatto resta illecito, resta penalmente rilevante,
ma la qualità particolare rilevante del soggetto attivo distingue o crea una nuova ipotesi di reato, esempio
peculato (p.u. o incaricato di p.servizio) con appropriazione indebita. In entrambi i casi rimane l'illiceità o
addirittura la rilevanza penale. Reati propri esclusivi: senza le qualità richieste dalla legge il fatto è lecito, non
solo non è penalmente rilevante, ma è un fatto lecito che può commettere chiunque, esempio l'incesto o la
bigamia qui se manca il rapporto di consanguineità o il rapporto di matrimonio se manca tra persone libere
manca, oppure se c'è un rapporto sessuale di sesso diverso non legate da rapporto consanguineo senza
violenza o minaccia, eccetera non è reato .L'esistenza della qualità richiesta dalla legge dà non solo la
determinazione del disvalore penale ma anche dell'intera illiceità, quindi dell'antigiuridicità del fatto e quindi il
reato diventa esclusivo e il fatto sarebbe lecito e potrebbe essere realizzato da chiunque. Tutto questo mi
serve per dire il concorso dell'estraneo nel reato proprio, ma quando l'estraneo non sappia, perché anche qui
egli risponde di reato proprio quando muta il titolo del reato, questo sarebbe vero nei confronti dei reati non
esclusivi, lo sarebbe meno per i reati propri esclusivi.Vedere più avanti nelle questioni art.117 c.p.: ove si
riuscisse a dimostrare che non è possibile un concorso dell'estraneo che non sappia delle qualità del soggetto
attivo qualificato, ogni ragione di distinzione tra reato esclusivo o non esclusivo viene meno
[92] Tesi per la quale art.27/1° comma Cost. intenda soltanto vietare la responsabilità "per fatto altrui", la
società non potrebbe rispondere penalmente per la condotta (altrui) di un suo organo; mentre, prendendo le
mosse dall'interpretazione che identifica il carattere personale della responsabilità penale con la responsabilità
ancorata al "principio di colpevolezza", la società non potrebbe rispondere personalmente perché incapace di
atteggiamento volitivo colpevole. Vedi teoria c.d. organicistica della persona giuridica.
[93] L'imputazione della responsabilità amministrativa si basa su un criterio di colpa
nell'organizzaizone o nella vigilanza: l'ente è tenuto infatti ad adottare protocolli gestionali e forme di
controllo indicate rispettivamente nell'art.6 D.Lgs. 231/2001, se si tratta di organi, e nell'art.7, D.Lgs.
231/2001 se si tratta di dipendenti. In pratica, si dà luogo ad una inversione nell'onere della prova.
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[94] Occorre guardare all'effettività, cioè a come sono distribuiti i poteri all'interno di una azienda (di non
piccole dimensioni ovvero di impresa di notevoli o grandi dimensioni). La delega costituisce pur sempre un
fatto eccezionale alla regola della responsabilità primaria del datore del lavoro e, in quanto eccezione, deve
essere rigorosamente dimostrata: è lo stesso soggetto che afferma di aver fatto una delega che deve
dimostrarne il conferimento. In assenza di delega il datore di lavoro risponde sempre e comunque, qualunque
sia l'obbligo di cui si tratta "La responsabilità del datore di lavoro deriva dalla sua posizione di datore di lavoro
e ha carattere onnicomprensivo". E' ammessa la subdelegabilità? Per la Cassazione "la subdelega da parte
del caporeparto, se ha per oggetto adempimenti antinfortunistici la cui attuazione richiede capacità di spesa e
disponibilità finanziaria, vale a fondare la responsabilità concorrente o esclusiva del caporeparto, a condizione
che anche il caporeparto fruisca di questa disponibilità" (cfr. anche Cass. 22/05/1998, n.6032; 22705/1999,
n.79): quindi la subdelga non è un meccanismo attraverso il quale il subdelegante attribuisce ad altri la
responsabilità, ma non anche il potere. La subdelegabilità è ammessa, ma non deve essere arbitraria: deve
rispettare determinate condizioni.
[95] Vale a dire l'esigenza di evitare che ci possano essre delle deleghe artificiose, magari post-infortunio. Vedi
anche principio della libertà della prova: non si può dare ingresso a una prova testimoniale in materia di
delega. C'è la necessità di una delega documentata, formale, rituale che sia in grado di documentare la data in
cui è stata conferita. La delega deve documentare presupposti, contenuti e limiti della stessa.
[96] Cass. 20/03/2000, ma pure Cass. 20/10/2000, n.10752 "occorre che la delega indichi quali sono le
mansioni effettivamente attribuite al direttore della produzione in materia di sicurezza del lavoro".
[97] Cass. 09/03/1999 "è necessario che il delegato abbia volontariamente accettato la delega nella
consapevolezza degli obblighi di cui viene a gravarsi".
[98] Se non è persona preparata si riconosce la responsabilità del delegante per colpa in negligendo, cioè per
colpa nella scelta, si ha però anche la colpa del delegato che ha accettato la delega malgrado la propria
impreparazione.
[99] Altrimenti la delega non esonera da responsabilità il delegante.
[100] Siffatta esigenza di compatibilità dei compiti attribuiti è stata avvertita anche dalla Cassazione con
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sentenza 27/05/1999, n.10830 "il delegato era persona adibita a tempo pieno allo svolgimento delle mansioni
operative e quindi impossibilitato a provvedere a quanto solo formalmente gli era stato delegato in materia di
sicurezza del lavoro".
[101] Cass. 02/06/2000 "la delega deve essere rigorosamente provata, deve concretarsi nel trasferimento di
tutti i poteri concernenti l'organizzazione tecnica dell'impresa nella materia della sicurezza sul lavoro e deve
escludere ogni ingerenza del delegante".
[102] La conoscenza delle violazioni può avvenire mediante doglianze, lamentele di lavoratori, di
rappresentanze sindacali, lettere, eccetera. Questa responsabilità, a certe condizioni, non potrà essere
soltanto più la responsabilità penale per contravvenzione, ma potrà essere anche la responsabilità per il delitto
di omissione dolosa di cautele antinfortunistiche di cui all'art.437 C.P..
[103] il delegante torna quindi ad avere responsabilità penale quando, pur avendo fatto una delega rispettosa
di tutte le altre condizioni di validità, non ha vigilato e non dimostra di aver organizzato un sistema di vigilanza
sull'operato del delegato.
[104] Chi è il dirigente e chi è il preposto? In un processo contro le ferrovie dello Stato la Cass. con sentenza
del 06/02/2001 a proposito del dirigente afferma che "Già in base all'art.2 del regolamento 15 luglio 1923,
n.1755 sono dirigenti d'azienda coloro che sono preposti alla direzione tecnica e amministrativa dell'azienda o
di un reparto della stessa con la diretta responsabilità dell'andamento del servizio e quindi sono dirigenti gli
institori, i gerenti, i direttori tecnici o amministrativi, i capiufficio o capireparto. Tutti costoro sono tra i destinatari
degli obblighi di sicurezza. Né rileva il fatto che il dirigente sia un lavoratore dipendente. Il dirigente si distingue
dal datore di lavoro perché il datore di lavoro, e non il dirigente, ha potere decisionale e finanziario riguardo
alle strategie gestionali e finanziarie. Per altro la figura del dirigente viene comunemente identificata attraverso
la attribuzione di un potere decisionale rappresentativo, idoneo ad influenzare l'andamento dell'intera impresa
o di una parte autonoma di essa. La giurisprudenza è da tempo nel senso che l'individuazione dei destinatari
delle norme deve basarsi sulle funzioni in concreto esercitate (..) esigenza di tenere conto al fine di individuare
il dirigente dell'effettivo esercizio di attribuzioni e compiti da parte dell'imputato, fornito di concorrenti poteri
decisionali di notevole rilievo anche su questioni finanziarie di grande portata come la sistemazione e
riorganizzazione sotto il profilo della tutela della salute dei reparti dello stabilimento. Queste funzioni e poteri
comportavano in modo in equivoco per lui l'obbligo di prospettare e provvedere alla realizzazione delle
necessarie misure per la tutela dell'integrità fisica dei lavoratori". Il preposto ha soltanto il dovere di vigilare a
che i lavoratori osservino le misure e usino i dispositivi di sicurezza e si comportino in modo da non creare
periocoli per sé e per gli altri, in più ha il dovere di collaborare con l'imprenditore e di segnalare ogni necessità
al riguardo.
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[105] Una sentenza della Cass. 18/01/2000, n.566 affronta una ipotesi di infortunio mortale: vengono
condannati il datore di lavoro e il caposquadra per il delitto di omicidio colposo. In questo caso c'è stata una
delega da parte del datore di lavoro al caposquadra, ma viene detto che la delega non era valida per
mancanza di alcuni dei requisiti dianzi elencati, in particolare perché il datore di lavoro si era riservato un
potere di direttiva e di ingerenza nelle attività delegate. Essendo stata ritenuta inidonea la delega, vengono ad
essere ritenuti responsabili il datore di lavoro e il caposquadra. Il datore di lavoro a sua discolpa afferma di
aver fatto la delega, ma ne viene contestata l'idoneità, mentre il caposquadra lamenta di essere ritenuto
responsabile nonostante la delega del datore di lavoro fosse inidonea. Per la Cassazione non c'è
contraddizione "l'affermazione di responsabilità del caposquadra non si fonda sul riconoscimento di una piena
efficace validità della delega che gli sarebbe stata conferita dal datore di lavoro, bensì sul ruolo di preposto, in
quanto tale soggetto condivide con il datore di lavoro obblighi in materia di sicurezza del lavoro, perché la
nostra legge individua come soggetti obbligati datori di lavoro, dirigenti e preposti. Quindi non c'è
contraddittorietà tra il punto in cui si afferma la responsabilità del caposquadra e quello in cui si nega efficacia
alla pretesa delega conferitagli dal datore di lavoro".
[106] È titolare del bene giuridico tutelato dalla pena incriminatrice.
[107] Diritto di querela.
[108] In taluni casi le due nozioni di fatto coincidono (es. nei delitti di omicidio e lesioni), in altri rimangono
distinte (es. nella mutilazione fraudolenta della propria persona ex art.642 "soggetto passivo" del reato è l'ente
assicuratore ed "oggetto materiale" il medesimo autore del fatto criminoso).
[109] Pluralità di soggetti passivi : allorché una stessa offesa coinvolge più titolari del medesimo bene. Es.
violazione di domicilio commessa a danno di una pluralità di titolari dello jus excludendi.
[110] Art.122 querela di uno fra più offesi; art.123 estensione della querela; art.124 termine per proporre la
querela.Rinuncia; art.125 querela del minore o inabilitato nel caso di rinuncia del rappresentante.
[111] Esercizio di un diritto o adempimento di un dovere.
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[112] In un sistema a legalità, inizialmente e prevalentemente, formale come il nostro, l'antigiuridicità dovrebbe
essere prevalentemente formale cioè attrito che si produce fra il fatto di reato e l'ordinamento attraverso le
norme che lo vietano: esatta conseguenza dell'illeicità formale. Sempre in questo sistema non sarebbe
pensabile un'altra forma di antigiuridicità. Se noi ragioniamo in termini di legalità sostanziale non possiamo
nemmeno ipotizzare una antigiuridicità formale, ma materiale (pura e semplice) per attrito tra l'interesse leso e
il fatto, che si struttura all'aggressione al bene o all'interesse protetto. Anche seguendo questa impostazione
bisogna valutarla in senso sostanziale o meno. L'antigiuridicità sostanziale può essere in malam o anche in
bonam partem. Ma posso trovare un punto di incontro tra le due antigiuridicità, che possono coesistere sotto
certi aspetti, sono però obbligato ad una valutazione interpretativa: lo spazio di operazione della antigiuridicità
sostanziale non potrà essere mai in malam partem. Sennò sovrapposizione previsione di legge inesistente con
effetto di legalità sostanziale: quindi , per la coesistenza, debbo relegare antigiuridicità sostanziale al terreno
favorevole al reo, non all'intervento della incriminazione, ma al suo contrario, cioè alla sua eliminazione della
rilevanza, illiceità del comportamento . Sotto questo profilo si realizza coesistenza piena delle due forme di
antigiuridicità: quella formale investirà il fatto in malam partem, il torto obiettivo che si verifica quando un certo
comportamento lede la norma di legge che lo vieta, mentre quella sostanziale avrà effetti sull'esclusione
dell'illiceità cioè sulle cause di esclusione: vedi impostazioni: teoria bilanciamento interessi, giusto mezzo per
giusto scopo,azione socialmente adeguata: cosa sono se non dimostrazione di negazione di un'antigiuridicità
sostanziale intesa come mancanza di aggressione a beni o interessi rilevanti. Se così è posso arrivare alla
non punibilità per una strada sola perché è esclusa l'antigiuridicità sostanziale, che può portare all'esistenza di
scriminanti. L'origine di queste scriminanti si trova in queste impostazioni. Che cosa coglie di questi rapporti
problematici sull'antigiuridicità la Costituzione? Il sistema misto e quindi una antigiuridicità mista. Un fatto di
reato è contemporaneamente formalmente e sostanzialmente antigiuridico. Legalità mista porta ad
antigiuridicità mista. Se io ammetto la valutazione di antigiuridicità sostanziale che si riflette sul fatto e sulla
colpevolezza porta ad escludere la tripartizione a vantaggio della bipartizione. Chi segue tripartizione
collocazione diversa per cause di giustificazione e condotta, elementi negativi, eccetera. Per Mantovani la
bipartizione è più facile.
[113] PADOVANI, op.cit., pag.91 ss.
[114] il tipo o modello astratto del reato: Tatbestand (letteralmente <stato di fatto>).
[115] Art.59 - CIRCOSTANZE CONOSCIUTE O ERRONEAMENTE SUPPOSTE - ultimo comma: "Se l'agente
ritiene per errore che esistano circostanze di esclusione della pena, queste sono sempre valutate a favore di
lui. Tuttavia, se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa, quando il fatto è preveduto
dalla legge come delitto colposo".
[116] errore di fatto.
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[117] Così PADOVANI, op.cit., pag.92.
[118] Concezione sposata dalla giurisprudenza, rimane tendenzialmente legata al modello naturalistico:
contrapposizione elemento oggettivo/elemento soggettivo, ma ambiguità. Il punto più controverso è la
collocazione sistematica delle cause di giustificazione. La giurisprudenza dominante ha tradizionalmente
escluso che esse ineriscano alla struttura del reato, qualificandole cause esterne, impeditive della punibilità e
perciò suscettive di operare soltanto ove ne sia stata raggiunta la prova piena. E' un'espediente concettuale
per assecondare preoccupazioni di difesa sociale: consente di evitare che il dubbio sulla esistenza di una
causa di giustificazione possa giustificare sentenze assolutorie. Ma oggi c'è il terzo comma dell'art.530 C.P.P.!
Infatti il giudice dovrà comunque pronunciare una sentenza di assoluzione piena anche ove vi sia il dubbio
sulla esistenza di cause di giustificazione.
Nell'ottica della concezione bipartita le scriminanti assurgono ad elementi negativi del fatto globalmente
considerato; ovvero elementi che devono mancare affinché il fatto costituisca reato. Le scriminanti non negano
l'antigiuridicità,perché l'antigiuridicità, di per sé, nella struttura del reato non è uno degli elementi dell'illecito.
Insomma, le scriminanti negano il fatto: sia la materialità , sia la colpevolezza.
La teoria bipartita distingue infatti tra:
A) SCRIMINANTI: ovvero cause di giustificazione o cause oggettive di esclusione del reato
(autorizzando o imponendo un fatto che normalmente è illecito, escludono che questo costituisca
fattispecie di reato):
-
consenso dell'avente diritto ex art.50 c.p.;
-
adempimento del dovere ed esercizio del diritto ex art.51 c.p.;
-
legittima difesa ex art.52 c.p.;
-
uso legittimo delle armi ex art.53 c.p.;
-
stato di necessità ex art.54 c.p.;
B)
ESIMENTI: ovvero cause di esclusione della pena o cause di non punibilità (non incidono
sull'illiceità del fatto che rimane penalmente illecito ma escludono l'applicazione della sanzione
penale):
- immunità
C)
SCUSANTI:
-
art.54 c.p.
-
ignoranza o errore inevitabile o scusabile;
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[119] PADOVANI, op.cit., pag.93.
[120] <è dato dalla corrispondenza del fatto stroico al modello descrittivo contenuto in una fattispecie
incriminatrice (..); esso contraddistingue la materia del comando o del divieto e fonda il limite di
rilevanza penale delle condotte>: PADOVANI, op.cit., pag.93.
[121] <è la valutazione impersonale espressa sul fatto al fine di stabilirne l'illecità in rapporto alle
esigenze obiettive dell'ordinamento nel suo complesso>: PADOVANI, op.cit., pag.93.
<l'antigiuridicità (..) si desume da due note: l'una positiva (la conformità del fatto concreto al modello
astratto di reato configurato dal legislatore) e l'altra negativa (la mancanza di cause di giustificazione)>
ANTOLISEI-CONTI, op.cit., pag.110.
[122] <rappresenta il momento della rimproverabilità soggettiva: si tratta di accertare se il fatto tipico,
obiettivamente antigiuridico perché non commesso in presenza di alcuna causa di giustificazione,
possa essere personalmente attribuito al suo autore in base alla sua capacità di intedere e di volere, al
nesso psichico con cui ha realizzato il fatto, ed alle circostanze in cuisi è formata la sua volontà>:
PADOVANI, op.cit., pag.93, più avanti sul concetto di antigiuridicità obiettiva, lo stesso autore
(pag.132) osserva che <L'antigiuridicità obiettiva può dunque essere definita come il contrasto del
fatto tipico (e più propriamente: della condotta tipica, perché solo i comportamenti umani possono
essere conformi o contrari al diritto), con le esigenze di tutela dell'ordinamento, espresso in termini
obiettivi, e cioè prescindendo dall'atteggiamento personale del soggetto verso la situazione di
conflitto. Questi può anche ritenerla insussistente, o rappresentarsela in modo difforme dal reale, o
reputare la soluzione da lui prescelta corrispondente a diritto, o non percepirne la liceità; ed è questo
uno degli aspetti fondamentali di distinzione del giudizio di antigiuridicità obiettiva rispetto a quello di
colpevolezza, in cui domina invece un criterio di rimproverabilità personale. Il concetto di
antigiuridicità obiettiva va distinto nettamente da quello di offesa: la valutazione di contrasto del fatto
con le esigenze di tutela dell'ordinamento presuppone invero che il fatto realizzato abbia offeso
l'interesse protetto; diversamente verrebbe meno la materia stessa del conflitto. Si replica tuttavia che,
in presenza di una scriminante, mancherebbe l'offesa stessa, perché il bene non sarebbe più tutelato:
così, nell'uccisione di un aggressore, in difesa legittima, si dovrebbe ravvisare solo un'offesa in
<<senso materiale>>, ma non un'offesa <<in senso giuridico>>, proprio perché giustificata. Senonchè,
l'offesa insita nel fatto tipico trae la propria <<giuridicità<< (intesa come rilevanza giuridica) dalla sola
circostanza che il bene è protetto dalla norma, ed è quindi giuridico. E il bene della vita dell'ingiusto
aggressore non perde certo questo attributo sol perché, nel conflitto in cui esso è stato posto, poteva
legittimamente essere sacrificato: la situazione conflittuale non fa perdere al bene leso la sua
rilevanza; essa determina invece l'esigenza di qualificare l'offesa a tale bene in termini di liceità o di
illiceità obiettiva, attribuendole la connotazione di <<giusta>> o di <<ingiusta>>.>.
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[123] Se noi vediamo Tizio asportare la cosa mobile altrui, immediatamente diciamo che egli ha commesso
un'azione penalmente antigiuridica (furto).L'ANTIGIURIDICITA' PENALE, è ,dunque, LA RELAZIONE TRA UN
FATTO UMANO ED UNA NORMA PENALE E, PIU' PRECISAMENTE, IL RAPPORTO DI CONTRADDIZIONE
TRA IL FATTO (nell'esempio: l'impossessamento della cosa mobile altrui) E UNA NORMA PENALE
(nell'esempio l'art.624).
[124] <A nostro avviso, questa tripartizione,pur rappresentando un notevole sforzo per la sistemazione
razionale degli elementi del reato, non può essere seguita. Il suo principale difetto consiste nel
degradare l'antigiuridicità ad elemento costitutivo del reato, a requisito autonomo del fatto delittuoso,
mentre ne costituisce la natura intrinseca, il carattere essenziale. D'altra parte, se si porta attenzione
all'antigiuridicità, si scorge agevolmente (...) che essa non è altro che un giudizio: in particolare un
giudizio di relazione. Quando si parla di antigiuridicità - giova ripeterlo - si emette un giudizio sul fatto:
si riconosce, mediante una valutazione, che il fatto è in opposizione con un precetto del diritto. Ma se
così e, appare evidente l'impossibilità di affiancare l'antigiuridicità al fatto dell'uomo e alla
colpevolezza, trattandosi di cose che per la loro profonda eterogeneità non sono suscettibili di essere
coordinate. Tanto il fatto quanto la colpevolezza, invero, sono fenomeni esistenti nel mondo naturale,
mentre non è tale, senza dubbio, un giudizio di relazione.(..).l'antigiuridicità (..) non è un quid che si
distingue dagli altri due (fatto umano e atteggiamento psichico del soggetto NdR) e possa isolarsi quale entità a sé - dagli stessi, ma la loro risultante.> ANTOLISEI-CONTI, op.cit., pag.111.
[125] secondo tale versione (nuova forma di bipartizione che contesta l'autonomia del concetto di
antigiuridicità obiettiva) <Non vi sarebber perlatro alcun motivo di attribuire a tale dato negativo una
rilevanza particolare: in pratica per accertare la sussistenza di un fatto di reato, occorre per un verso
accertare la sussistenza di tutti i requisiti positivi inseriti nelle singole fattispecie incriminatici, e per
l'altro verificare che non ricorra alcuna scriminante (e cioè che il fatto non sia stato commesso col
consenso dell'avente diritto, nell'esercizio di un diritto o nell'adempimento di un dovere, o in istato di
difesa legittima, e così via dicendo). In sostanza, il fatto tipico, inteso nella sua accezione lata, sarebbe
costituito da una sorta di <<somma algebrica>> tra requisiti positivi (che non possono mancare) e
requisiti negativi (che debbono far difetto): ad escludere la tipicità tanto varrebbe dunque l'assenza di
un requisito positivo (ad es., per il furto, la circostanza che la cosa sottratta non sia <<altrui>>),
quanto la presenza di un requisito negativo (ad.es., la circostanza che il furto sia commesso
nell'adempimento di un dovere). Questa concezione non può essere seguita (..) essa si risolve in una
profonda alterazione dei piani di rilevanza, confondendo fenomeni sostanzialmente eterogenei; il
fattoatipico per il difetto di un elemento positivo è essenzialmente un fatto inoffensivo; il fatto
realizzato in presenza di una causa di giustificazione è un atto pur sempre lesivo di un interesse, ma
lecito in ofrza di una particolare valutazione espressa sulla sua realizzazione. Livellarli su un
medesimo piano sarebbe come equiparare l'uccisione di una mosca (atipica per il difetto di requisiti
positivi) all'uccisione di un uomo in istato di difesa legittima (che risulterebbe parimenti atipica per la
presenza di un requisito negativo).
La seconda concezione che si diparte dal tronco della tripartizione è costituita dalla considerazone
separata delle fattispecie; essa non si distacca metodologicamente dalla concezione tripartita, solo
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contesta che la tripartizione possa prospettarsi in forma indifferenziata per tutti i reati. In essi si
ravvisano differenze strutturali che, attingendo il modulo iniziale della tipicità, impongono poi una
valutazione separata degli ulteriori elementi dell'antigiuridicità e della colpevolezza. In particolare,le
fattispecie commissive (o di azione) non possono essere studiate in un unico contesto rispetto alle
fattispecie omissive, perché la condotta tipica è profondamente eterogenea (nell'un caso si tratta di un
comportamento corrispondente al modello della fattispecie incriminatrice, nell'altro della violazione di
un obbligo di agire). Analogamente dovrebbe dirsi per le fattispecie dolose: dolo e colpa, non che
risultare meri elementi della colpevolezza, condizionerebbero la stessa tipicità del fatto, che, nell'agire
colposo, sarebbe connotato dal riferimento ad un dovere obiettivo di diligenza, ovviamente estraneo
all'agire doloso. Da questo punto di vista, l'analisi del reato si risolverebbe nell'analisi di quattro
categorie di reati: reati commissivi dolosi; reati commissivi colposi; reati omissivi dolosi; reati
omissivi colposi. Questa prospettazione, pur muovendo da rilievi scientifici in parte condivisibili,
rischia tuttavia di segmentare l'analisi del reato in frammenti che ne rendono impossibile la
comprensione unitaria. Sembra allora opportuno attenerci alla teoria tripartita tradizionale, che
consente un'esposizione didatticamente chiara degli elementi costitutivi del reato, senza frustrare
perlatro l'esigenza di un quadro dogmatico articolato ed esauriente.>. così PADOVANI, op.cit.,
pagg.94-95.
[126] La materialità è, ovviamente, il primo elemento di determinazione del fatto; il quale fatto va però
determinato anche con la colpevolezza e con l'offensività. Ognuno di questi principi mi dà il contenuto del fatto:
però senza la materialità non vi sono gli altri, quindi è la materialità il passaporto per accertare l'esistenza del
fatto, il passaporto al quale si agganceranno la colpevolezza e l'offensività. In un sistema penale soggettivo la
materialità non c'è; in un sistema penale interamente oggettivo ne è elemento esclusivo; in un sistema penale
misto né è la porta di ingresso ma deve accompagnarsi ad altri elementi. Che la materialità sia interamente
recepita nel nostro ordinamento nella sua portata mista è dato dalla nostra Costituzione, qui si riconosce il
fatto principalmente e inizialmente come materiale ce lo dice l'art.25 , secondo comma Cost., laddove si parla
di "fatto commesso": contenuto della materialità come principio costituzionale si poteva fermare a dire "fatto"
invece si è richiesto un "fatto commesso": abbiamo la costituzionalizzazione della materialità: si eliminano tre
certissime modalità di fatto che non saranno mai reato:
1)
le pure intenzioni: l'atteggiamento psicologico non tradotto in qualcosa di commesso, non è di per sé
reato (salvo che il pensiero sia manifestato pubblicamente: istigazione);
2) la volontà o l'intenzione manifestata o dichiarata, se non istigo altri a farlo, non sono fatti commessi cioè
materialmente punibili;
3) i rimproveri per il tipo d'autore, cioè per l'atteggiamento interiore, l'indole, la malvagità rappresentata dal
colpevole: non sono esternazioni materiali di fatti cioè non sono fatti commessi.
Questo risolve in via definitiva proprio per l'art.25 comma secondo Cost. il dibattito del fondamento del reato, la
responsabilità penale non è legato a puri e semplici atteggiamenti di intenzioni, nemmeno manifestate: ricordi
negativi della storia. Fatto commesso significa avere scelto espressamente l'eliminazione di quella maniera di
intendere il reato, se negativamente fatto commesso significa: esclusione dell'intenzione, dell'intenzione
dichiarata e del rimprovero del tipo d'autore, in cosa positivamente si sostanzia il fatto commesso: per via
analitica con determinati elementi che compongono il reato, per cui fatto commesso è reato.
I requisiti positivi, arcinoti, che corrispondono all'elemento oggettivo del reato sono:
1) condotta; 2) evento e 3) rapporto causale.
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Sono elementi positivi perché tutti e tre insieme mi dicono che un fatto è stato commesso. Però questi
elementi non bastano perché qui bisogna, già di fronte alla materialità, dare una collocazione alle scriminanti.
Se seguo la teoria della tripartizione del reato, il fatto è solo e unicamente sinonimo dei tre elementi dianzi
citati perchè la scriminante non nega il fatto ma l'antigiuridicità, non dell'elemento materiale del fatto.
Se seguo la teoria della bipartizione, risposta completamente diversa, le scriminanti non negano
l'antigiuridicità, ma negano invece il fatto, in questo sistema la condotta non è solo elementi positivi, ma anche
negativi cioè mancanza di scriminanti, perché se ci fossero le scriminanti prima ancora di essere eliminata la
colpevolezza verrebbe eliminato il fatto come elemento della materialità.
Il dato concreto (per teoria bipartita) del fatto commesso è dato sia dagli elementi positivi che da quelli negativi
(mancanza scriminanti): in concreto questo precipitato: se il giudice si trovasse di fronte al più evidente dei
fatti, ma anche alla più palese delle scriminanti, non avrebbe alcuna possibilità di accertare né la condotta, né
l'evento, né il rapporto causale, perché prima ancora di questi vedrebbe negato l'intero fatto e perciò
terminerebbe lì la propria attività dichiarando il proscioglimento dell'imputato. Si tratta di valutare gli elementi di
cui sopra sia sul piano positivo che su quello negativo e questo è proprio il compito della materialità, cioè
accertare attraverso i contenuti analitici di questi requisiti se si abbia il fatto commesso.
La condotta requisito in positivo, è il più problematico degli elementi, e lo è già nella scelta del suo
contenuto definitorio e nella scelta sua funzione e della sua origine.Il rapporto fra condotta e fatto è immediata
articolazione della impostazione filosofica che uno ha, ed è certamente sul terreno della scelta di filosofia che
si articola anche il contenuto a valore della condotta. L'ostacolo più grosso, è attribuibile al pensiero degli
hegeliani per i quali la condotta = potenziale attività o attività in potenza: il che non è vero sul piano della
condotta come elemento di un fatto, perché l'attività potenziale esige non soltanto lo svolgimento di questa, ma
anche il risultato, e quindi automaticamente investirebbe anche la nozione di evento, d'altro canto se la
condotta è attività potenziale, io non potrò mai inserire nella condotta il comportamento omissivo che
certamente tutto è fuori che attività: in questa impostazione non posso quindi dare una risposta al contenuto e
alla rilevanza della condotta. Quindi non posso che rifarmi alla visione aristotelica della condotta, poi ripresa e
portata in avanti per secoli, prima nella patristica e poi nella scolastica cristiana (trovando massima
consacrazione nel pensiero di San Tommaso): concezione naturalistica o, se volete, causale della condotta.
Possiamo ricomprendere condotta attiva e omissiva, distinguendola dall'evento, dalla colpevolezza. La
concezione de qua è frutto di un sillogismo: la condotta, cioè l'azione, accade in natura, la natura è causale,
l'azione è causale. Nel 1600 Giordano Bruno aveva demolito questo sillogismo causalistico della condotta,
introducendo la nozione di finalismo della condotta: dove cioè la condotta è certamente causale, ma l'uomo
può modificare la regola causale della condotta, cioè di piegare attraverso la propria capacità la condotta. Alla
fine dell'800 abbiamo l'impostazione finalistica dell'azione o della condotta (sviluppatasi in Germania a
partire dagli anni trenta: la condotta rappresenta un dato ontologico costituito non soltanto dal
movimento corporeo, ma anche dall'intenzionalità) cioè attività finalisticamente orientata alla produzione di
un evento, al perseguimento di uno scopo. La teoria finisce con l'erigere a forma prototipica della
condotta l'AZIONE DOLOSA (che è per l'appunto una azione intenzionalmente orientata), mentre non
riesce a spiegare convincentemente né l'azione colposa (rispetto alla quale si è costretti a parlare o di
<<finalità potenziale>>, guardando al risultato lesivo effettivamente cagionato dal soggetto, oppure di
finalità rivolta ad un diverso risultato), né l'omissione (rispetto alla quale si elabora il concetto di
<<possibilità di un'azione finalistica>>). L'effetto è quello di dare una impostazione inattaccabile, almeno
all'intera attività dolosa, del colpevole: ribaltamento impostazione nella concezione causale abbiamo l'azione
come elemento di istinto della condotta e che quindi non si pone all'interno della struttura della condotta
stessa, nel finalismo il dolo è il perno. Quindi sia sul piano sia attivo che quello omissivo, si dà una
spiegazione interamente esauriente al comportamento della condotta volontaria, non certo a quella non
volontaria cioè a quella colposa, non posso orientare quel che non voglio orientare. O il finalismo è reale e
integrale o non c'è.
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Allora, di fronte alla incapacità di ricomprendere anche la condotta colposa abbiamo le tre valutazioni
moderne della condotta:
1) della rilevanza della condotta sociale (TEORIA DELLA CONDOTTA SOCIALMENTE RILEVANTE): si
intende la condotta unicamente per la valutazione che ha per la società, tutto ciò che è socialmente valutabile
e che influisce su valori socialmente valutabili. Limite: tutta una serie di valutazioni debbono essere tratte da
parte di ciò che è giuridicamente valutabile, esempio l'esclusione della capacità dalla persona giuridica di
commettere reati: nel momento in cui escludo dal piano puramente sociale : traggo valori al di fuori della
società.
2)
Concezione della condotta intesa come valutazione del personalismo (TESI CHE CONCEPISCE
LA CONDOTTA COME MANIFESTAZIONE DELLA PERSONALITA'): espressione della personalità di chi
l'ha tenuta: pericoloso confine tra materialità e tipo d'autore, rischio di contrabbandare....<In realtà, sembra
piuttosto che la condotta possa assumere una funzione categoriale, e rappresentare cioè il predicato
sia dell'azione che dell'omissione (allo stesso modo per cui, ad esempio, il <<peso>> è un predicato
degli oggetti sensibili senza rappresentare ovviametne alcun <<genere>>). In questo senso, azione ed
omissione sono una condotta nel senso che entrambe postulano il riferimento ad un comportamento
umano, il quale è il loro referente comune: nell'azione, perché tale comportamento è l'oggetto del
divieto (l'azione viola infatti un dovere di astensione), nell'omissione, perché esso è l'oggetto del
comando (l'omissione è infatti basata sul contrasto con un obbligo di agire). In entrambe rileva dunque
l'idea di un'alternativa possibile: nell'azione il soggetto doveva potersi astenere, nell'omissione doveva
potersi attivare. In questa possibilità dell'altgernativa sta il senso comune dell'azione e dell'omissione
come <<comportamento umano>>.Ma quand'è che l'alternativa è possibile? Si innesta a questo punto
la seconda funzione del concetto di condotta, quella limitativa o negativa. Si tratta allora di stabilire
quando il comportamento umano sia <<veramente>> tale; corrisponda cioè ad un parametro valutativo
suscettibile di attribuirgli questo significato. Il problema non può essere risolto a priori, sulla scorta di
prospettive ontologiche (o antropologiche) più o meno plausibili. Occorre invece tener presenti le
esigenze proprie del diritto penale quale strumento di controllo sociale in forma coercitiva: non è, ad
es.,pensabile che tale controllo possa esercitarsi in rapporto ad atti che fuoriescano totalmente dalla
sfera cosciente (ad es., gli atti posti in essere in preda ad un attacco epilettico, o in istato di ipnosi) o
da quella volontaria (ad es., il movimento corporeo determinato da un colpo di vento
irresistibile),perché la pretesa normativa di adeguamento allo standard richiesto risulterebbe in questi
casi priva di fondamento razionale. Nel nostro ordinamento una disposizione specifica (art.42/1°c.p.) è
destinata per l'appunto a definire la funzione negativa della condotta; e su di essa sarà dunque
necessario soffermare l'attenzione.>. così PADOVANI, op.cit, pgg.102-103.
3) della rilevanza della condotta negativa: espressione del "non evitare l'evitabile": la condotta sarebbe
sempre omissione, perché anche di fronte al più attivo dei fatti ci sarebbe sempre la violazione di un dovere di
evitarlo (critica del dogma: MARINUCCI) che accantonava il reato come azione, il reato è sempre un non
fare qualcosa che si sarebbe dovuto fare per impedire di commettere un fatto.Non posso distinguere però reati
di azione con quelli di omissione.
Attraverso una serie disparatissima di contenuti da dare alla condotta, bisogna scegliere di definire la condotta
per quello che è, ossia mezzo di espressione di qualcosa che è giuridicamente rilevante. La condotta si divide
in vari elementi, se la condotta è il mezzo giuridicamente efficace per determinare il fatto commesso essa si
dipartisce in fatti attivi (azione) e in fatti omissivi (omissione) entrambi sono mezzi di condotta.
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Quando si ha un'azione e quando si ha un'omissione? La definizione assolutamente pacifica di azione è
anzitutto un movimento corporeo determinato dalla volontà: prospettiva naturalistica-causalistica. Se mi
limito a questo avrei la conseguenza di un fatto, ma non di un fatto commesso. Devo aggiungere al movimento
corporeo la capacità di questo movimento di offendere beni o interessi: ecco che il casualismo viene ad essere
prepotentemente investito dal finalismo, cioè dalla risultante volontà di colui che agisce naturalmente, non
come pura espressione di causa, ma con la capacità di aggredire beni ed interessi o, al limite per realizzare
fatti che il legislatore con una norma ha interesse a vietare.
Se è vero questo, la condotta è contemporaneamente casualismo e finalismo (insieme) ed è
contemporaneamente valutazione di personalità e valutazione del sociale: la condotta si porta dietro i
requisiti definitori delle varie impostazioni di condotta, senza l'esigenza limitativa del costruire su una
nozione esclusiva di condotta anche i problemi dell'offensività e della colpevolezza che rimangono
elementi autonomi, ma che insieme alla materialità determinano l'intero fatto. Davvero la condotta è
tutto questo. Consegue che dopo a questo dato definitorio ci sono due problemi:
1) stabilire sul piano generale, normativo, come si distinguono le varie azioni, tipologie di azioni: è
collegata ai mezzi del legislatore, sono tecniche di formulazione dei reati, a forma libera e a forma vincolata,
sono metodi di incriminazione delle varie tipologie di azioni. Reati a forma libera: l'azione , ha assoluta
rilevanza, è esclusivamente protagonista, si punisce non il fatto o il modo con cui si realizza il fatto, ma solo il
comportamento che ha prodotto quel comportamento, l'azione ha il massimo rilievo, esempio più palese quello
dell'omicido, l'azione ha la massima espressione possibile. L'interesse è all'evitare alla produzione dell'evento.
Reato a forma vincolata: abbiamo l'opposto, il legislatore non ha interesse all'evento ma al modo in cui l'evento
viene prodotto (e'l modo ancor mi offende), la punizione è realizzata attraverso il vincolo formale del reato, si
pensi alla truffa, non ci si cura se il truffato compie o non un atto di disposizione, ma il modo attraverso cui
l'atto è compiuto, attraverso cui la vittima realizza l'atto spontaneo a danno patrimoniale, si punisce il modo
attraverso cui viene realizzata la diminuzione patrimoniale, quella condotta modale che realizza quell'evento
che però non è la finalità della norma, solo la maniera in cui l'evento è cagionato. A seconda che il reato sia o
meno reato a forma libera o vincolata si crea una serie di problemi sugli altri requisiti, pensi all'errore
nell'esecuzione, all'aberratio in particolare all'aberratio causale, la rilevanza o no dell'aberratio dipende se il
reato sia a forma libera o vincolata, si pensi anche al secondo comma dell'art.40 c.p., equivalenza per reato a
forma vincolata, è possibile una forma ritenere una forma di omissione impropria in questo tipo di illecito?
Occorrerà invece proprio la tipologia del reato a forma libera per questa equivalenza, esattamente è
l'irrilevanza del tipo di condotta ma l'esigenza di impedire l'evento che mi permette di dire che è la stessa cosa
che il non impedire equivale a cagionare l'evento. <La distinzione tra fattispecie a forma libera e fattispecie a
forma vincolata è relativa: le fattispecie a forma libera sono pur sempre vincolate dal riferimento alla rilevanza
causale; quelle a forma vincolata sono pur sempre relativamente <<libere>> in rapporto alle generalità ed alla
astrattezza della determinazione legislativa: così l'induzione in errore necessaria ai fini della truffa
(art.640/1°c.p.) può assumere in concreto una straordinaria varietà di realizzazioni>. Così PADOVANI,
op.cit.,pag.106
2)
bisogna andare a stabilire contemporaneamente come si distinguono le azioni dagli atti, la
pluralità di atti che costituiscono una azione o la pluralità di atti che costituiscono pluralità di azioni:
conseguenze sul concorso. Per distinguere la pluralità degli atti dalla pluralità di azioni bisogna vedere
se questi atti sono 1) tutti quanti unidirezionali (diretti al medesimo fine: UNICITA' DI SCOPO
DELL'AGENTE, criterio teleologico) e 2) contestuali cioè CONTESTUALITA' DEGLI ATTI: abbiamo
pluralità di atti che sono una unica azione, altrimenti abbiamo le azioni a diventare plurime. Ma la unicità di
scopo non può essere ritenuta per il PADOVANI significativa: <a) perché non può essere riferita ai reati
colposi, ove lo scopo perseguito dall'agente non assume alcuna rilevanza e può anche non sussistere affatto;
b) perché subiettivizza l'unità dell'azione che deve viceversa poter essere apprezzata su un piano obiettivo
(trattandosi, in definitiva, di un problema di tipicità); c) perché si tratta di un criterio intrinsecamente vago, dato
che nelle prospettive finalistiche dell'agente può intrecciarsi una pluralità di scopi in parte riferibili unitariamente
a tutti i componenti, in parte diversificati (così, ad es., la sottrazione contestuale di più oggetti può essere
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finalizzta per alcuni di essi allo scopo di rivenderli, per altri allo scopo di distruggerli). Bisogna in realtà
considerare il rapporto tra il comportamento e l'interesse tutelato. Se i diversi atti sono tutti rivolti alla
offesa dello stesso bene, si tratterà di un'azione unica; e viceversa se si tratti di beni diversi>.
Paradigma di azione unica a pluralità di atti, esempio scolastico colpevole che infierisce su vittima con pluralità
di coltellate (più lesioni personali?): l'azione era unica rappresentata da pluralità di atti, però se l'autore dopo
aver accoltellato, ritornava sulla vittima e la accoltellava e lo colpiva di nuovo avevamo (contestualità) e quindi
duplicazione di un'azione. Questa risposta diventa difficile, se non aberrante, di fronte ai meccanismi
complessi rappresentati dai reati colposi: perché cosa succede del requisito della direzione al medesimo fine e
della contestualità ove anche una di queste manchi per avere pluralità dei azione: che succede per il padre
che incustodisce la sua pistola che il figlio si impossessa e lascia partire una pluralità di colpi che feriscono più
persone? Dovrei dire che non essendoci una direzione al medesimo fine in quanto il reato è colposo, io avrei
una pluralità di azioni e quindi tanti reati quanti sono i colpiti dai proiettili che sono usciti dalla pistola. Mentre
l'azione volontaria delle lesioni è unica e quindi il reato è unica, l'azione dolosa è unica, l'azione colposa meno
grave è plurima, e quindi concorso di reati, con criteri penali maggiori rispetto ad un fatto più gravi! Per ovviare
a questi inconvenienti, si corregge il criterio distintivo: fermo restando la contestualità (elemento
essenziale per distinguere l'atto dall'azione), si deve sostituire quello della direzione al fine, non come
elemento volontario a distinguere l'azione dall'atto ma l'idoneità oggettiva dell'azione a offendere beni o
interessi diversi, se l'idoneità è atta ad offendere lo stesso bene,di fronte a contestualità, abbiamo una
unica azione, ma se abbiamo idoneità a offendere più beni abbiamo l'azione plurima. E questo sia per
colposi che dolosi. Questi due criteri oggi sono comunemente adottati per distinguere la pluralità di atti
dalla azione. Oltre questa impostazione sta l'altro aspetto della condotta che è l'omissione. Che rapporto
passa tra l'omissione e la materialità? Primo problema la valutazione del fatto commesso e la nozione di
omissione come non fatto.
Vedere ora, sempre sul piano meramente materiale, l'aspetto ribaltato della condotta cioè l'omissione, la quale
ha una serie di problemi cui si agganciano una serie di contenuti definitori, che si poggiano sul dire come è
materiale il non fare: importante soprattutto considerando, oggigiorno, il ruolo delle condotte omissive. E'
evidente che sotto un'ottica liberale-illuministica l'ideale di pura condotta era di un puro astenersi, si
sostanziava in un fare che violava un divieto di astensione: vedi Codice Zanardelli.
Nell'ottica di carattere meno aperto e meno democratico dove il diritto penale dal divieto diventa comando cioè
non astenersi dal fare ma obbligo di attivarsi e sanzione per l'inazione cioè per l'inattività: il comando prende il
posto del divieto, si ha interesse maggiore ad una attività di un certo tipo piuttosto che in una atensione dal
commettere certi fatti: questa componente di comando cioè di attività imposta e penalmente sanzionata, è
diventata oltretutto una caratteristica non solo dei sistemi dittatoriali ma anche per quelli a carattere
social-solidaristico.
I nostri primi tre articoli della Costituzione impongono uno Stato sociale e, di più, uno Stato solidaristico,
proprio per garantire quella funzionalità dinamica per eliminare ostacoli al cittadino all'esercizio alla
partecipazione e all'esercizio diritti viene potenziato molto più rispetto all'azione il carattere omissivo dei reati,
perché qui il comando sopravvale rispetto al divieto. D'altronde se non ho obbligo di attivarmi non potrò mai
raggiungere il solidarismo o la componente sociale dello Stato. Con questa caratteristica si ha il ribaltamento
integrale della condotta dei fatti di reato, rispetto al Codice Zanardellli e cioè la potenzialità e la rilevanza
massima dell'omisione rispetto al comportamento criminale attivo (che ha la sua ragione d'essere solo nel
divieto e non nel comando). Si assiste quindi ad un proliferare dei reati omissivi, al punto che essi oggi
rappresentano la linea principale di intervento della politica criminale che si attua, appunto , attraverso
costruire o creare degli obblighi di comportamento la cui violazione, cioè omissione, costituisce fatti di reato:
dall'ambiente, alla pubblica amministrazione, ai reati diritto famiglia, eccetera. L'omissione rappresenta oggi
addirittura l'elemento principale della condotta rispetto all'azione. Si potenzia quindi ancor di più la
problematica dell'omissione con i rapporti con la materialità.
Il non fare qualcosa non è un che di materiale: ovviamente! L'omissione non è quindi un aliud facere. L'altro,
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cioè l'aliud facere non ha nulla a che vedere con l'elemento della materialità, cosa mi interessa l'altro?! Mi
interessa che un soggetto abbia tenuto la condotta attesa, ad es.il casellante che dorme e non ha abbassato
le sbarre del passaggio a livello, non mi interessa per quale motivo non ha aperto il casello.., non interessa
all'ordinamento cos'altro fa il colpevole: l'aliud facere. Interessa l'inverso: il cosa il soggetto doveva fare,
interessa soltanto che la condotta attesa non si è verificata, <occorre però precisare che l'indifferenza
verso il comportamento effettivamente tenuto non è totale: se ad. es, l'obbligato non ha realizzato la
condotta doverosa perché sottoposto ad una vis absoluta, la conseguente impossibilità di agire
esclude la configurabilità dell'omissione. Ma resto assodato che il comportamento diverso non può, di
per sé, fondare il concetto di omissione> così PADOVANI, op.cit.,pag.108. Escludere dal piano logico,
prima ancora che giuridico, l'aliud facere significa chiudere la possibilità di rapportare la condotta omissiva con
la materialità, almeno sotto l'aspetto naturalistico, cioè in natura non fare è esattamente l'inverso rispetto il
materiale. Omettere non è qualcosa che rilevi sul piano della natura. Non si può dare un fondamento
all'omissione con il naturalismo. Se l'omissione non è materialmente naturale, non resta che dare a questa
condotta una costruzione di pura finzione, di pura costruzione teorica, e siccome l'omissione che qui ci
interessa è quella che rileva per il diritto, il solo valore da attribuire alla condotta omissiva è quello
giuridico, normativo.Punto più importante di tutti: nella giuridicità del suo essere trova la sua essenza e tutti i
suoi limiti di intervento. Se dico, e non posso dire altro, che omissione = valore normativo del non fare; in che
senso posso giustificare questa parte della condotta? Nel senso che omettere significa, ed ha in questo la sua
giustificazione, violare un dovere giuridico di attivarsi, ed in questo e solo in questo consiste il contenuto di
valore dell'omissione come elemento della condotta del reato.
Quindi violazione del dovere giuridico di attività: questo è il fondamento normativo della condotta
omissiva, quindi fondamento normativo, quindi violazione del dovere di attività, quindi palese aggancio con il
comando che la legge penale fa per il soggetto di attivarsi e di tenere una condotta positiva: ma se questo è
vero nascono tutti i limiti che l'omissione non potrà mai superare i quali derivano dalla giuridicità della natura
dell'omissione, non potrò punire un fatto omissivo in quanto omissivo,ma in quanto violativo di un dovere
giuridico di attivarsi (in quanto ha natura esclusivamente giuridica e normativa). Il legislatore non può punire
delle condotte omissive che non abbiano una rilevanza giurdica, restano fuori tutte le violazioni palesemente di
omissioni che non hanno al loro raffronto un obbligo giuridico di attività, occorre che il dovere abbia un dovere
di connotato giuridico.Nella giuridicità l'omissione prova il suo tutto, al di fuori l'omissione non è penalmente
valutabile né giuridicamente verificabile. Conseguenze:
1)
limite alla condotta omissiva.
2)
presupposto per valutare a quali condizioni si verifica equivalenza tra il non impedire l'evento e il
cagionare;
3) limite dell'impossibile, perché se non c'è norma giuridica di attività non c'è omissione, ma anche di fronte
norma di comportamento attivo viene meno quando la condotta viene meno, ciò è conseguenza della
giuridicità dell'omissione, viene meno ogni valutazione giuridica del dovere di attività, del comportamento
imposto (vedi soprattutto omissione impropria).
L'omissione diventa materiale solo sotto l'aspetto giuridico e diventa condotta del reato. Allora come tutti gli
elementi del reato va scomposta in tipologie:
a)
omissione propria: differenza enorme sul piano della composizione delle due forme e dei requisiti.
Paradigma del fatto omissivo, l'immediata violazione del dovere di attivarsi. Es. omissione atti d'ufficio, di
referto, di denuncia di reato, consistono in un non fare, cioè nel violare l'obbligo giuridico di ......Allora proprio
perché l'omissione è propria (perché è unicamente un non fare) ha un insieme di requisiti legati nella natura
semplicemente omissiva, rispondente ai presupposti dell' omissione, alle modalità di manifestazioni del non
fare e al termine, requisiti necessari, cioè:
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2) il contenuto: requisito più ovvio: l'astensione dal dovere di attività..cioè il non fare, cioè l'omettere a cui si
è tenuti;
3)
il presupposto: è il requisito più complesso perché si porta dietro la capacità di intervento da parte del
legislatore nel punire il fatto omissivo. Il presupposto è l'esistenza di giuridicità del comportamento a cui si è
tenuti, da cui consegue giuridicità dell'omissione: qui tutto ruota attraverso l'individuazione dell'interesse
giuridico cioè del del bene da proteggere, se in astratto l'omissione punisse la semplice disubbidienza, un puro
non rispettare ciò che la legge non vuole, saremmo di fronte alla violazione di un comando ma non ad un
obbligo giuridico.Il legislatore deve individuare i beni giuridici che giustifichino questa violazione, la chiara
giuridicità del dovere di attivazione;
4)
Il termine: se teoricamente non esistesse un termine entro cui tenere la condotta obbligatoria, ci
troveremmo di fronte ad una condotta attiva impossibile. Ulteriore elemento di controllo sulla giuridicità
dell'omissione. La legge prevede un termine entro cui deve essere tenuto un comportamento imposto. Art.328,
secondo comma, c.p. mod. legge 86/1990: avrebbe dovuto sanzionare Legge 241/1990 c'è omissioni atti
d'ufficio, dopo aver ottenuto richiesta da parte dell'interessato e non si fornisca quanto richiesto entro 30 gg.
(termine legale per valutare qualunque omissione che non abbia in leggi diverse termine di adesione),
violazione di obbligo di attività propria, non esiste più alcun atto che non abbia un termine legale.
b)
omissione impropria: si distinguono dall'omissione propria non pei requisiti dianzi indicati. C'è la
realizzazione di un evento che non c'è nella propria (il solo valore di evento che si può dare è normativo) una
modificazione della realtà che consegue al non fare e quindi all'omissione. Ecco perché si dice che è
commissione mediante omissione: c 'è verificarsi di un evento naturale. Es. morte del bambino che consegue
alla violazione obbligo nutrimento che incombe alla madre. Questo evento è requisito tipico richiesto per
l'omissione impropria.Non confondere nell'ambito commissione impropria diverse tipologie , esempio art.697
c.p. si punisce condotta di chi omette che gli animali di cui ha il governo facciano strepito: omissione impropria
dato dallo strepitio naturale dell'animale, ma dato dalla legge, con norma espressa. D'altra possono esistere i
reati omissivi propri che si realizzano con combinazione di norme con principio generale di equivalenza.
Origine di etero-combinazione di norme e incontro tra reato art. 575 in combinazione con art.40 secondo
comma c.p..
L'evento del reato: non si può avere fatto materiale senza evento, elemento necessario del reato.
Interpretazione evoluta sia in senso materiale-naturalistico, che normativo, e mista. L'evento naturalistico: è un
modo tradizionale di intendere questo requisito del reato, è il risultato naturalistico della condotta. Il problema
richiede un ulteriore approfondimento perché non tutti i reati hanno la capacità di modificazioni naturali della
realtà, esempi: falsa testimonianza o evasione. Tant'è che questi reati si chiamano di pura condotta perché in
questa realizzano l'intero disvalore e l'intero fatto. Questi reati non hanno l'evento? No è elemento necessario
della materialità, quindi introdurre diversa concezione del requisito con introduzione valore normativo
(aggredire l'oggetto giuridico del reato, significa verificazione dell'offesa del fatto del reato, quindi o danno o
pericolo:insomma abbiamo l'aggressione di danno o di pericolo all'oggetto giuridico del reato). Il modo con cui
l'ordinamento penale intende valutare l'evento è misto: a volte l'ordinamento mostra, al di là di ogni dubbio
possibile, di considerare l'evento sotto un aspetto naturalistico (es. reati che hanno come conseguenza della
condotta una modificazione reale della realtà), altre volte l'ordinamento segue una concezione normativa
esempio art.43 c.p. che descrive la colpevolezza e che introduce la nozione di dolo o colpa, che nozione di
evento si può seguire qui? Non naturalistica, ma normativa: l'evento è inteso come aggressione al bene e
all'interesse protetto. La concezione è sempre mista: ove esista un evento naturalistico questo è il valore da
dare al requisito, ove non esista l'evento naturalistico, la concezione normativa è sempre da accogliere. Tutto
diventa compromesso dove ci sono ulteriori categorie di reati che non hanno oggetto giuridico, cioè i reati
senza offesa: concezione non naturalistica e nemmeno normativa. Allora il reato senza offesa non è un fatto
materiale, ma c'è una pura disubbidienza ad una norma di legge,nulla di più (es. persona che gira per strada
con il casco in testa: vedi legge reale 152/75 contravvenzione). Manca ogni risultato del fatto, cioè l'evento.
Pure i reati di scopo ci sono ancora, come si fa a ritenere allora per il rispetto della materialità? Se bisogna
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salvare i reati di scopo e reati senza offesa, si dà terza nozione di evento: corrisponde all'interesse del
legislatore all'obbedienza, acchè sia rispettata la norma: è l'effetto di un salvataggio a tutti i costi.
Il rapporto causale è la summa del modo di ragionare l'evento e del modo di ragionare della condotta. Il fatto
commesso di cui all'art.25, secondo comma Cost., a mente anche delle due disposizioni successive, la
responsabilità personale (quando un fatto è proprio, escludendo la responsabilità per fatto altrui) art.27, primo
comma Cost.: questo significa obbligare all'esistenza del rapporto causale; quella norma impone anche la
responsabilità colpevole (sulla quale vedi oltre). Ma per quanto ora ci riguarda l'art.27 comma primo Cost.
sancisce l'obbligo dell'accertamento, quindi del requisito del reato legato al rapporto causale. La stessa cosa
capita sul piano positivo con il primo comma dell'art.40 c.p. nessuno può essere punito per un fatto previsto
dalla legge come reato, se la responsabilità che ne deriva non è conseguenza dell'azione o dell'omissione che
l'ha prodotto: conseguenza dell'azione o dell'omissione significa legare l'evento in via di causalità alla condotta
che l'ha verificato. Poi l'art.41 specifica in che modo è possibile arrivare a questo evento, perché questo
articolo determina i requisiti del nesso di causalità. Parlare di condotta e di evento ha un senso in quanto
esiste un rapporto causale. Si trattta di stabilire quali sono le condizioni per poter parlare di rapporto causale.
Su questo terreno (complesso) sono germogliate concezioni diverse. Concezione naturalistica, concezione
adeguata, concezione causalità umana (Antolisei) diversi modi di vedere
1) teoria della conditio sine qua non (concezione naturalistica): la condotta ha posto in essere almeno una
delle condizioni per realizzare l'evento. Es. omicidio cagionato da un solo proiettile, la condotta umana ha
causato la condizione, ma se il decesso si verifica dopo,durante il trasporto in autoambulanza, rimane sempre
responsabile chi ha sparato: eccessivamente provante questa teoria.
2) Causalità adeguata: non è vero che il rapporto causale=conditio sine qua non, ma quando la condotta è
adeguata all'evento, quando è idonea a produrre l'evento secondo una valutazione statistica id quod
plerumque accidit. Questa causalità prova troppo poco si basa su indizio statistico, rimangono esclusi quelli
che non rientrano nelle (o non sono suscettibili di) valutazioni statistiche (vedi bomba atomica del 1945);
3) Causalità umana: legato alle capacità umane di realizzare l'evento, requisiti sono due: 1) oggettivo, risolto
nella causalità naturale, la condotta deve avere posto in essere almeno uno dei requisiti per la verificazione
evento; 2) proprio perché la condotta è umana ci vuole che sia esclusa la presenza di fattori eccezionali che
eliminano l'aggancio umano della condotta e quindi esclude ogni esistenza del rapporto causale. Impostazione
che trova punto di incontro delle precedenti. Giurisprudenza tra anni '40 e '60 accoglie questa tesi. Ma
insufficienza, perché il punto insufficiente è quando un fattore è eccezionale? Chi lo stabilisce ? perché se
l'accertamento è rimesso al giudice si esce dal dato oggettivo per rientrare in quello sostanziale-subiettivo.
Altrimenti bisogna crearle prima in via obiettiva e il giudice deve solo trovare, non creare. Il risultato di questa
ricerca è stato quello di contenuto e fondamento e base del rapporto causale, cioè della causalità scientifica
(massima obiettivizzazione possibile): trovare il contenuto di fattore eccezionale che spezza il contenuto di
fattore.
Ragioni di esistenza della causalità scientifica: punto di partenza, non si potrà mai prescindere dalla causalità
naturale (almeno una - perché la realtà delle manifestazioni della causalità ci dice molte cose: nella
verificazione dell'evento ci sono pluralità di condizioni, serie di elementi differenti cagionanti l'evento - delle
condizioni deve essere posta in essere dalla condotta dell'uomo), in secondo luogo, sempre questa pluralità di
elementi non sono mai attribuibili alla stessa persona, quindi bisogna distinguere non tra le condizioni
necessarie e quelle sufficienti, bensì tra l'attribuibilità delle singole condizioni alla persona che le ha posta in
essere. Da ultimo l'insieme di queste condizioni e la loro attribuibilità richiede parametri di attribuzione. Ragioni
di esistenza della causalità scientifica. Ma almeno una delle condizioni deve essere posta in essere dalla
condotta dell'uomo. Nasce secondo problema da dimostrare ,due tipi di problema:
a)
A quale condizione, cioè qual è il grado di verificazione dell'evento?
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b) qual è il grado di valutazione del verificarsi dell'evento?: bisogna introdurre immediatamente il requisito
della prevedibilità (altrimenti non posso compiere alcuna valutazione dell'evento stesso e quindi non c'è la
conditio sine qua non). Prevedibilità significa quindi fondamento di valutazione dell'evento. Bisogna però
introdurre dei correttivi, la prevedibilità pura è elemento di colpevolezza non certo del rapporto causale che è
requisito della materialità, in che modo posso prevedere oggettivamente? Posso richiedere prevedibilità :
a)
personale da parte del colpevole;
b)
media legata alla capacità media di previsione;
c)
massima: legata alla miglior conoscenza e miglior esperienza (tassativizzazione palese anche del
rapporto causale) di un certo momento storico.
I primi due requisiti (personale interamente e media 50%) sono soggettivi, tant'è vero che essi sono
componenti del dolo, e non certo del rapporto causale, sul piano oggettivo escludono la possibilità di
obiettivizzazione del rapporto. Valutazione subiettiva e non certo oggettiva. Per previsione media rimangono
fuori le migliori conoscenze e miglior esperienze, allora per eliminazione solo l'ultimo modo rimane: massima
conoscenza ed esperienza che si ha oggettivamente in un determinato momento storico, guarda caso diventa
la maggior conoscenza raggiunta! Secondo quel grado (null'altro che il criterio oggettivo attraverso il quale si
svolte ogni consulenza tecnica, per es. di un perito) bisogna che l'evento sia prevedibile.
Primo problema: l'evento dev'essere prevedibile secondo la massima conoscenza, secondo la miglior scienza
nel momento storico in cui l'evento si verifica.
Secondo problema: grado di accadibilità, qual è l'eventualità che l'evento si verifica: certa, possibile, probabile.
La certezza e la possibilità vanno escluse. Rimane la probabilità requisito attraverso il quale si valuta quanto è
probabile che l'evento si verifichi. Come si valuta la probabilità? Diversi modi e diverse percentuali: agganciare
questa probabilità alla nozione di miglior scienza e conoscenza, se queste sono la massima, l'evento viene
previsto come probabile come altissima probabilità di verificazione (verosimiglianza: rilevantissima probabilità
che l'evento si verifica). Si introduce la scienza statistica, cioè di valutare come verosimile il grado di
verificabilità dell'evento. Allora se valutazione e accadibilità dell'evento ottengo la definizione del rapporto
causale. La condotta umana deve aver posto in essere almeno una delle condizioni per la verificazione
dell'evento, evento che dev'essere prevedibile come verosimile secondo miglior scienza od esperienza del
momento storico. Quando entrambi questi fattori coesitono allora sono di fronte al rapporto causale. Con
questo ho trovato in via obiettiva la definizione del fattore eccezionale (un evento che non è prevedibile come
verosimile secondo la miglior scienza ed esperienza, ma è eslcusa la prevedibilità e la verosimiglianza
secondo il momento storico): valutare secondo momenti soggettivi se c'è fattore eccezionale, e si dà lo
strumento per l'accertamento, eliminando forma di intuito e di personalismo, paradigmi certi, si sottrae al
giudice ogni valutazione personale. Esempi precedenti: perché posso dire con certezza che il ferito da colpo di
sparo che muore trasportato da autoambulanza e che ha incidente, non realizza il rapporto causale, non era
prevedibile l'incidente come verosimile secondo massima conoscenza ed esperienza quando il colpevole
sparava il colpo.
L'inventore della bomba atomica nell'uso c'era rapporto causale perché secondo miglior scienza ed
esperienza prevedeva come verosimile il verificarsi dell'evento, la causalità adeguata viene corretta da quella
scientifica.
Anche la causalità di Antolisei riceve correzione per precisazione al fattore eccezionale.
La condotta intesa come azione ed omissione ha prodotto evento: vale indifferentemente! E così per il metro di
valutazione del giudizio di prevedibilità e di verosimiglianza dell'evento.Valutazione ex ante del giudizio di
prevedibilità? No, può valere per il dolo, qui va fatto ex post perché solo a condotta avvenuta posso dire se per
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la condotta com'è avvenuta era prevedibile e verosimile. Ma per il fattore eccezionale, per la sua esclusione,
dell'evento? Dopo devo effettuare una sorta di procedimento di eliminazione mentale: dopo l'ex post debbo
immaginare se eliminando la condotta l'evento si sarebbe comunque verificato? Se SI la verificazione
dell'evento è dovuta ad un fattore eccezionale (insussistenza del rapporto causale), se NO allora si è verificata
anche una sola delle condizioni della condotta come causa dell'evento. Anche per il fatto omissivo va fatta la
stessa valutazione. Ma l'eliminazione mentale dell'omissione è puramente ipotetica, va fatta in termini inversi,
debbo vedere se tenendo la condotta obbligatoria l'evento si sarebbe comunque verificato. Il metro rimane
identico: valutazione ex post accompagnata dal procedimento di eliminazione mentale.
All'interno di questi fatti di reato ci sono categorie o forme di manifestazione del rapporto causale più
problematiche: procedimento alternativo ipotetico o procedimento di condotte concorrenti: si verificano eventi
che comunque apparentemente sono slegati da condotte invece non lo sono eccetera. Si tratta di applicare
quei canoni dei rapporti causali già visti.
Situazioni problematiche, serie di manifestazioni possibili della causalità per vedere quanto buona questa
scientifizzazione:
1) Causalità alternativa ipotetica: non esiste un rapporto causale perché non c'è stata una condotta. l'evento
si sarebbe ugualmente verificato, insussistenza del rapporto casuale? No, accorti perché qui sta tutta
l'alternativa ipotetica. Rifarsi alla medesima nozione di evento, quello che è venuto ad esistenza in ragione del
comportamento, devo svolgere l'eliminazione mentale dimenticandomi dell'evento non dovuto a
comportamento. Esistenza di un rapporto causale, si impara che: 1) il meccanismo di causalità funziona
benissimo; 2) non posso mai confondere gli eventi (devo valutare l'evento che si è verificato in concreto)
2) Causalità addizionale: rapporto causale pienamente sussistente, altro esempio: due colpi sparati da due
persone ad una persona che muore per effetto di entrambi i colpi contemporanei, ogni colpo di per sè non è
mortale. Se c'è il concorso (ipotesi distinta dalla causalità vedi art.116 c.p.) ove gli sparatori si siano accordati
(fattispecie plurisoggettiva, rapporto accessorio) qui si recupera esistenza rapporto causale, ma se questi due
non si conoscevano, due reati monosoggettivi realizzati casualmente nello stesso momento, succede che per
nessuno dei due sussiste il rapporto causale in rapporto all'evento colpo: né per il primo sparatore, né per il
secondo sparatore non esiste il rapporto causale per l'evento morto, risponderanno per il rapporto causale di
lesione personale. Il principio causalità è esattamente invertito rispetto alla condotta.
La collocazione art.41 c.p. soprattutto per la norma che regola le cause sopravvenute, ebbene diceva Antolisei
siamo qui di fronte alla dimostrazione normativa del fattore eccezionale, nel momento in cui quella del fattore
eccezionale viene chiarita secondo causa o concausa sopravvenuta che da sola è stata capace di realizzare
l'evento.
Cause preesistenti o concomitanti: diceva Antolisei che vale medesima disciplina perché si dovrebbe
ragionare in via analogica, in bonam partem.
Disparità di trattamento tra situazioni identiche. Alcuni autori risolvono questi problemi con riferimento al caso
fortuito (art. 45 c.p.) e alla forza maggiore, situazioni accidentali a cui (o verso cui) l'autore non può resiste o
non può opporre nulla, con le quali viene esclusa la punibilità. Si dice dai più che verrebbe meno la punibilità
perché verrebbe meno il nesso psichico (la suitas della condotta), quindi caso fortuito e forza maggiore
sarebbero elementi esclusivi della colpevolezza e non della materialità. Invece, andando a ragionare sul piano
oggettivo, Gregori prima e Mantovani dopo, hanno osservato che caso fortuito e forza maggiore poi, sono
situazioni imprevedibili, come verosimibili secondo la massima conoscenza, e allora sarebbero fattori
eccezionali: e siccome sono concomitanti o preesistenti riempirebbero quel vuoto non colmato dall'art.41, ma
con l'art.45: prima ancora della suitas escluderebbero il fatto, perchè non c'è fatto di fronte al caso fortuito, di
fronte alla forza maggiore in quanto emblematici: impostazione minoritaria. Serve a poco escludere il nesso di
causalità, tanto se non c'è colpevolezza e non c'è il reato.....dall'altro un dato letterale art.45 fatto commesso
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per" esige allora che il fatto si sia già verificato perciò non sarebbe possibile escludere il rapporto
causale...allora bisogna tornare a dare ragioni ad Antolisei. Altra strada del fortuito, ma non superabile
dall'art.45 c.p.. Causalità nella omissione: rispetto all'azione cambia che il procedimento di eliminazione
mentale è ipotetico: cosa sarebbe successo se il colpevole avesse fatto ciò che doveva,cioè il comportamento
obbligatorio.
Problema dell'omissione impropria: il rapporto causale è lo stesso, i problemi stanno sulla tassativizzazione di
questa categoria dei fatti, secondo comma art.40 c.p.: due funzioni:
1) minima: diventare o servire come principio di legalità delle omissione improprie, in via diretta (scarsissime
ipotesi), ma soprattutto per combinazione di norme tra art.40 e norme speciali (valore di legalità formale del
secondo comma art.40 attraverso equivalenza della legge che descrive omissione impropria come non
impedire un evento che si ha l'obbligo di impedire). L'analisi tradizionale si limitava a due o tre punti: dato per
pacifico il ruolo legalistico dell'art.40 si ponevano: il problema del presupposto dell'omissione (obbligo giuridico
che rappresenta anche il limite dell'omissione impropria: legge, contratto, gestione di negozio, restando fuori
altri fonti - compresa la consuetudine -. L'obbligo non dev'essere etico o non giuridicamente valutato); i limiti.
Se l'omissione impropria è un reato deve avere le stesse caratteristiche dei reati, si esige la tassatività, ed
allora qual è la tassatività dell'omissione impropria? Così com'è questa fonte legalistico-formale certamente
non è tassativa: come si fa a tassativizzare tutta la categoria di queste condotte di omissione? Individuazione
di una serie di requisiti che hanno solo lo scopo di rendere tassativa la norma. Elementi che debbono esistere
e devono essere valutati sul piano della materialità: presupposto perché si verifichi il fatto, situazione di
pericolo, condotta idonea e possibile, esistenza di un evento e rapporto causale. Se ci sono questi requisiti c'è
tassatività, altrimenti non c'è omissione impropria e non c'è reato. Si è parlato di rapporti di garanzia per
specificare e quindi rendere tassative le categorie degli obblighi giuridici, si è detto che l'omissione impropria
diventi tassativa anche nella scelta di giuridicità dell'obbligo, quanto questo ha la sua fonte in un rapporto di
garanzia (obblighi direttamente , in via derivata: per protezione - genitori e figli - o per controllo - proprietario
edifici manutenzione-): la giuridicità dell'obbligo di impedire un evento si ha quando si è violato un obbligo di
garanzia (di protezione o controllo) violato da un comportamento omissivo. Questi rapporti di garanzia da soli
non bastano a chiudere la tassatività, sul piano materiale bisogna che si accompagnino ad altri elementi, sulla
fotocopia di altri reati: situazione di pericolo (madre allattamento figlio), comportamento attivo - idoneo e
possibile e valutazione dell'azione positiva - (bagnino), evento naturalistico (occorre il verificarsi di siffatto
evento) e l'esistenza del rapporto causale (che leghi la condotta omissiva e l'evento naturalistico).Solo
quando tutti questi elementi si verificano si è di fronte ad una ipotesi tassativa, sennò il fatto non sarebbe
tipico.Giurisprudenza: tassativizzare omissione impropria ha significato semplificare l'accertamento.
2)
Complessa.
Con l'ipotesi dell'omissione impropria si chiude tutta la materialità.
Offensività: è uno dei principi del reato ma è anche (soprattutto) uno dei requisiti del fatto (oltre che materiale
è offensivo). L'offesa è il doppione negativo della disubbidienza: infatti il sistema penale offensivo è il contrario
del sistema penale della disubbidienza, dove per disubbidienza si intende reato che esiste non perché
aggredisca un bene ma perché è pura violazione della legge. Assunto: il fatto è anche offensivo vuol dire che
non c'è posto per un reato inteso come disubbidienza. Come diventa rilevante il valore offensivo di un reato?
In un sistema a legalità mista l'offesa non può presentarsi solo nel fatto commesso, deve prima entrare a far
parte dei requisiti della norma, il valore offensivo va trovato prima nella disposizione che vieta quel
comportamento e poi nel fatto singola azione od omissione che si presenti (aspetto realistico). Il problema è
essenzialmente uno dove sta questo fondamento realistico. Piani diversi: costituzionale, normativo comune
(offesa come contenuto della norma).La Costituzione impone l'offesa? Se è requisito del fatto deve essere
requisito necessario del fatto (senza quella il fatto non ci può essere). La Costituzione vuole proprio questo,
cioè imporre un reato non solo materiale, non solo colpevole ma anche offensivo che deve essere offensivo. Il
passaporto dell'offensività si è trovato nella legalità mista quando abbiamo parlato del connubio di metodi di
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legalità (ora la legalità è mista: perché oltre al dato formale della previsione espressa di legge la Cost. vuole
pure che si introduca il valore del bene protetto: l'art.13 Cost. prevedendo la libertà fra i beni inviolabili, non
può che concludere nel senso che per privare della libertà la legge deve intervenire per proteggere beni; beni
equivalenti a quello della libertà cioè costituzionali o, al limite a quelli non costituzionalmente compatibili ma
che conducono a violare sacralità libertà personale, che è assoluto fondamentale, quindi art.13 Cost.
codificando la legalità mista codifica anche l'offesa, giustificazione perché la legge penale possa intervenire.
L'offesa è quindi elemento del reato, forse non è sufficiente per dire che è elemento necessario del reato,
allora questa necessarietà va trovata in altre norme costituzionali.Due norme: art.25 e art.27 Cost. ci dicono
proprio questo. Il momento in cui prevedono i requisiti materiali del reato e il momento in cui prevedono le
conseguenze penali del reato (art.27): distinguono la conseguenza penale pena dalla conseguenza penale
della misura di sicurezza. Orbene il momento in cui la Costituzione consente questo sistema, ne consente
anche i presupposti, le distinzioni tra il modo di applicare la pena e la m.s., i modi , sta nel referente della
pericolosità, perché la m.s. è la sanzione della pericolosità del reo, se questo è vero la pena va a colpire un
altro tipo di pericolosità, cioè la pericolosità del fatto, allora se il fatto è pericoloso e se il pericolo è offesa
concludo che il fatto è offensivo, altrimenti non potrei distinguere le conseguenze penali tra pena rispetto alle
m.s.. Quindi si deve per forza di cose si deve riconoscere la necessaria offensività del fatto. Questo introduce
altre problematiche dell'offensività: quali sono le condizioni, quali sono i presupposti, cosa succede per una
serie di reati che apparentemente, o non, sono in contrasto con l'offesa.
Anche con sistema normativo ordinario si è cercato la stessa coclusione, si è posto il problema della
necessaria offensività del reato: si è individuata nell'art.49 per curiosa ironia della sorta dal più tenace
offensivista Marcello GALLO (genero di ANTOLISEI: quest'ultimo metodologista o teologista del penalismo,
l'offesa non esiste perché equivalente alla ratio della legislazione). Art.49 prevede la non punibilità del reato
impossibile, non è punibile il comportamento di chi per inidoneità dell'azione ha reso impossibile l'evento
dannoso e pericoloso, solo l'azione idonea è punibile o rende l'evento dannoso o pericoloso, perché l'azione
sia idonea bisogna quindi che sia offensiva. Anche per il tentativo va bene (nonostante differenza "idoneità
degli atti" e "idoneità delle azioni" nell'art.49). Impostazione di M. GALLO con un effetto dirompente che
avrebbe eliminato come reati tutta una serie di reati (ragazzino che ruba mela di notte la mercato:
astrattamente punibile furto aggravato, con circostanze aggravanti speciali, fino 18 anni di reclusione: secondo
impostazione offensiva viene meno rubando la mela la capacità offensiva al bene protetto nemmeno
minacciato a causa dell'entità del bene, azione inidonea ad offendere e quindi reato impossibile e quindi
mancanza di punibilità). Questa impostazione di GALLO che ha spalancato le porte all'offensività è stata però
progressivamente modificata, soprattutto da Federico STELLA, il quale aveva mosso una obiezione
insuperabile: guarda che se tu dici che il reato è offensivo, vuol dire anche che l'offesa è elemento di tipicità
(altrimenti il fatto dovendo essere tipico non potrebbe essere legale), ma allora se l'offesa è elemento di tipicità
il momento in cui manca non è vero che il fatto non è punibile perché non è offensivo, è vero che il fatto non è
punibile perché non è tipico. Viceversa se tu escludi che l'offesa sia elemento necessario: allora l'offesa non è
elemento di tipicità e allora non è elemento necessario perché senno il fatto sarebbe tipico anche senza
l'offesa.
Allora l'art.49 da solo, non può dimostrarsi come fondamento della necessaria offensività del reato; ma
attenzione come fondamento esclusivo, e non tanto come fondamento della offensività, quanto come
fondamento della necessaritetà dell'offensività, problema risolto con il fondamento costituzionale. Allora l'art.
49 cosa significa dove ci sono reati che esigono il danno e pericolo l'offesa è lì come elemento di tipicità, ma
ogni volta che il reato prevede un danno o un pericolo, l'offesa diventa elemento di tipicità dell'atto, l'offesa
diventa elemento necessario per il fatto. Ma che fine fanno i reati che non hanno l'offesa (il danno e il
pericolo)? Ma l'impostazione di Gallo copre tutti illeciti dove invece il danno c'è ed è realmente esistente.
Questo è verissimo per i reati offensivi, non è vero per i reati non offensivi (la necessarietà ha un altro
referente costituzionale). Senza queste considerazioni sull'art.49 diventerebbe impossibile valutare tutte le
problematiche sull'offesa.
Resta ora il problema del contenuto su cosa fonda questa offesa del reato, su due caratteristiche:
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1) quale è l'oggetto, su cosa cade? Valore preminente, da qui viene fuori l'interesse protetto le cui modalità
di aggressione devono essere diverse. Oggetto giuridico del reato: è l'oggetto di tutta l'aggressività. E'
l'interesse protetto dalla norma, perché senza interessi non è possibile offendere. Si contrappone all'oggetto
materiale: la cosa su cui cade materialmente il fatto criminosa. Ci sono reati dove oggetto giuridico e oggetto
materiale sono coincidenti, esempio omicidio: la vita umana. Altri reati dove non ci siamo: concussione: denaro
o altra utilità/imparzialità o buon andamento della P.A.. Questa distinzione mi permetterà di determinare chi è il
titolare di quell'interesse, il che ha rilevanza sostanziale (es. consenso dell'avente diritto) ma anche
processuale (es. querela: il diritto è in titolarità dell'oggetto giuridico, cioè dell'interesse sostanziale altre
persona ecome persone danneggiate dal reato ma non come titolari). Problema dell'interesse giuridico:
passaggi della problematica dell'oggetto giuridico. Nel 1834 BIRNBAUM riflessione per cui siccome nel diritto
criminale di allora il reato visto come violazione di diritti soggettivi, c'erano una serie di reati in cui questi non
c'entravano (es. reati contro religione, contro la pietà dei defunti). Allora egli diceva che non è vero che il reato
esige violazione di diritti soggettivi, ma di un interesse, che lui chiamò oggetto giuridico del reato. Il problema
in senso più radicale se lo pose il grande VON LISZT (austriaco) (che aveva impostazione di WELZEL ) è già
sulla scelta legislativa che nasce l'interesse, valori a priori, preesistenti al legislatore, quindi che il legislatore
deve ricercare: valori di ricerca = concezione materiale dell'offesa che obbliga il legislatore alla sua ricerca e
alla sua trasposizione all'interno della norma. Tutto questo si capisce in un sistema di legalità sostanziale. Da
noi nel sistema formale si dava prevalenza se non esclusività al dato formalistico, a discapito del valore
sostanziale, ROCCO "L'oggetto del reato" non ha potuto fare a meno di porsi il problema dell'oggetto giuridico,
lui stesso che era un tecnicista e prevalentemente un legalista, riconoscendo una tripartizione dell'oggetto del
reato: a) formale (interesse dello Stato al rispetto della legge); b) sostanziale generico (interesse dello Stato
alla sua conservazione); c) sostanziale specifico (interesse che la norma voleva proteggere: oggetto giuridico).
Quindi lo stesso Rocco riconoscendo l'interesse sostanziale specifico, sia pure ridotto al terzo rango, non
poteva fare a meno di riconoscere che l'oggetto rientrava nel reato.
Reazione dei metodologisti o teologisti ANTOLISEI e oggi ancora PAGLIARO. Per loro tutto il problema non si
pone in quanto non è elemento del reato ma ratio legis, scopo finale, della norma. Sarà l'interprete che dovrà
trovare l'oggetto giuridico per capire la ratio della norma.
2)
quali sono i requisiti del fatto offensivo? Individuazione, come si fa ad aggredire, cosa significa
aggredire, come si fa a valutare l'aggressione? Eccetera. Contenuto dell'offesa è aggressione che si
manifesta: 1) sul piano astratto perché l'interesse protetto è già racchiuso nella norma (momento potenziale);
2) l'aggressione si manifesta nel momento in cui il reato viene posto in essere (momento reale).
L'aggressione può avvenire con modalità diverse : come distruzione o come diminuzione irreversibile che sono
due aspetti diversi dello stesso modo di aggredire, cioè di danneggiare l'interesse generale. Il danno è la prima
maniera in cui può consistere l'aggressione all'interesse penale. Al di là del distruggere o del diminuire un
interesse può essere aggredito non solo in modo reale, ma anche in modo potenziale, minacciando di
distruggere, con una potenzialità di danno: pericolo come danno potenziale. Ci sono dei beni il cui contenuto è
tale da ritenere sufficiente una semplice minaccia, si può concludere che il contenuto dell'offesa può essere
attraverso il danno o il pericolo. Quando accade questo? Nella stragrande maggioranza dei casi è facile, basta
vedere cosa richiede la norma. Omicidio è reato di danno: art.575 il cagionare la morte, il bene è la vita umana
che deve manifestarsi come distrutta. Nella strage art.422 abbiamo il pericolo chi pone in pericolo la pubblica
incolumibilità, si ritiene sufficiente la semplice minaccia, non occorre la distruzione del bene. E' quindi il
contenuto della norma che distingue i due tipi di aggressione. Sull'ingiuria e la diffamazione occorre la
distruzione del bene dell'onore, per l'altra è sufficiente la minaccia, disparità di interpretazione: sono reati di
danno o di pericolo? C'è impossibilità di raggiungere la certezza e cambiano le conseguenze a seconda del
tipo di interpretazione. Se sono reati di danno occorre che il bene sia irremidiabilmente diminuito, se reato di
pericolo basta la semplice minaccia. Occorre determinare il criterio di accertamento, per il danno che chiede
distruzione del bene o diminuzione irreversibile, basta guardare se la condotta ha fatto conseguire questo.
Valutazione obiettiva, si tratta di accertare. Ma non è semplice per il pericolo, qui il danno non si è manifestato,
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non c'è stata diminuzione o distruzione del bene, ma solo minaccia. Ci sono vari modi possibili in cui si
manifesta il danno per il bene tutelato: ci sono diverse modalità di pericolo: il pericolo concreto, quello
presunto e quello astratto. E' chiaro che se l'offesa è elemento necessario o costitutivo del reato quale tipo di
pericolo posso richiedere? Solo il pericolo concreto, cioè la minaccia che concretamente, oggettivamente
deve esistere, deve essere accertato per l'esistenza del reato. Se prescindo dall'esistenza del pericolo diventa
"pericolo del pericolo, presunzione di offesa.
In realtà nell'ordinamento esistono altre forme di pericolo: astratto, non è oggi un elemento di un fatto di reato,
bensì di illeciti amministrativi (es. codice della strada): non è concretamente accertato ma insito nella condotta
tenuta per il solo fatto di accertarla (es. sorpasso dove la segnaletica non lo consente), non si richiede
accertamento concreto del pericolo. Invece nell'ordinamento ci sono casi di pericolo presunto che non è
concreto (non dev'essere accertato) non è astratto (non è racchiuso nella condotta) ma presunto nella legge,
iuris et iure, che presume che dal fatto al delitto. Si cerca di evitare lacune di punibilità , di probatio diabolica
sulla dimostrazione del pericolo concreto, rimettendo alla legge, esempio incendio di cosa altrui è pericolo
presunto. Se è già discutibile il pericolo astratto figuriamoci il pericolo presunto. Obiezioni varie tutte
coinvolgenti la costituzionalità (vedi categorie di reato in conflitto con l'offesa). Come accerto il pericolo? Devo
ricostruire i passaggi , da un lato semplici criteri e poi i momenti.
Il paradigma, il criterio del pericolo concreto: nel pericolo presunto l'accertamento non lo devo fare. Il pericolo
nell'offesa è elemento del fatto. Anche qui il pericolo richiede l'accertamento sotto il profilo della causalità e
della prevedibilità scientifica, se è prevedibile il verificarsi di ciò che il pericolo minaccia, il danno se è così la
condotta sarà pericolosa. Prevedibilità con gli stessi criteri del sistema causale (perché la prevedibilità è un
elemento del fatto), prevedibilità, verosimiglianza, ecc.
La quantificazione del pericolo non è né minima né massima. Nel momento in cui si usa la pericolosità
scientifica cioè la prevedibilità secondo i criteri causali, non è graduabile, perché o il pericolo c'è o non c'è,
perché il pericolo è solo potenzialità del danno. O è verosimile il danno e quindi c'è massima probabilità, o c'è
un pericolo minimo ma non c'è probabilità e quindi il pericolo non c'è. Il pericolo è uno solo ed è la massima
probabilità di danno valutata secondo la massima conoscenza ed esperienza, se c'è una minima manca la
verosimiglianza. Non cambia nulla sui presupposti, né sui contenuti. Quello che non si può eliminare è il
momento in cui si può compiere l'accertamento e qui c'è differenza rispetto alla causalità (momento condotta)
qui invece abbiamo l'inverso l'accertamento del pericolo non è ex post perché il pericolo a volte è
rappresentato dalla pura condotta altre dal puro evento (esempio incendio reato a pericolo di evento)
Categorie di illeciti che si pongono in conflitto con l'offesa: reati di pericolo presunto (confine apparente con
l'offensività): c'è presunzione assoluta per evitare probatio diabolica, es.scarichi non protetti, questa
presunzione assoluta comporta problemi con offensività. Il pericolo presunto è esistente al di fuori dell'offesa
perché si punisce senza pericolo. Non è affatto presunto il pericolo del fatto, cos'è che si presume, il pericolo
del reo cioè la pericolosità dell'autore del fatto: confusione tra pericolo dell'autore e pericolo del fatto. Sono
stati costituzionalmente compatibili, rappresentano una delle categorie di fatti, tutto questo andrebbe bene se
si ponessero problemi di raffronto con la punibilità, in realtà i dubbi sono molto più consistenti, non hanno solo
a che vedere con l'offensività. Pericolosità del reo sanzionata da m.s. non con pena criminale, quindi
sovrapposizione inammissibile sul piano costituzionale tra pena e m.s.. Ulteriore vizio di costituzionalità: lo
scopo è di invertire l'onere della prova, scaricarlo dall'accusa all'eventuale difesa, per di più non consentendo
all'imputato nemmeno la prova contraria: ma l'art.27 Cost.. Qui in realtà la ratio legis diverrebbe sinonimo di
interesse protetto, qui verrebbe leso, non è vero che manca completamente l'offesa solo che prende un altro
modo di manifestarsi. ), delitti di attentato è un reato che il legislatore utilizza per anticipare al massimo
l'intervento penale e dove si considera consumato un reato tentato, si pone in essere atti diretti a realizzare
l'evento, dove la formulazione materiale non è nemmeno del tentativo "atti idonei": che è il primo degli elementi
che mi consente di determinare l'offesa. La giurisprudenza ha equiparato l'attentato al tentativo, bisogna
riprodurre per intero i requisiti del tentativo, ipotesi emblematica del reato di pericolo. Il delitto di attentato è
una ipotesi di delitto tentato e questo è un delitto offensivo, però non quadra il trattamento sanzionatorio, qui si
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utilizza la sanzione per il reato consumato di fronte ad un'ipotesi di reato che consumato non è: contenuto
aggressivo, proporzione fra fatto commesso e contrasto insanabile); reati a dolo specifico (il problema non è
del contenuto, ma il rapporto tra questo modo di essere del dolo e l'offesa: perché il dolo specifico può creare
tre tipi: a) specifico in cui crea una situazione offensiva di un fatto che senza il dolo specifico sarebbe lecito; b)
fatti in cui il dolo specifico restringe un fatto già di per sé offensivo; c) fatti in cui il dolo specifico ha un ruolo
differenziale distingue il fatto offensivo previsto come reato da un altro fatto offensivo: conseguenze diverse.La
prima categoria è di assolutamente in contrasto insanabile con l'offensività: serrata o sciopero per costringere
l'autorità a emettere o non emettere un certo provvedimento, abuso di ufficio che è punito perché il p.u. agisce
per trarre un vantaggio per sé o per altri non patrimoniale per recare a sé od altri un danno, eccetera:
l'elemento di illiceità è affidata al dolo specifico, non intenzione (subiettività) ma specifico, si affida la
determinazione del reato alla pura e semplice intenzione. Incostituzionale non solo per rapporti e contrasti con
l'offensività, ma pure con la materialità. L'intenzione qui determina il fatto. La seconda categoria , dove il dolo
specifico restringe la portata di un fatto: es. furto sul piano subiettivo e offensivo la condotta del ladro è già
carica del disvalore quando di impossessa di una cosa altrui, che fa il dolo specifico? Introduce elemento
estraneo alla fattispecie penale che non occorre sia accertato riducela portata della fattispecie. Se dolo
generico il profitto diventa elemento di sussistenza di reato,dovrebbe essere accertato, rientrerebbe a
configurare l'offensività, allargherebbe portata della norma....La terza ipotesi è diversa: qui il dolo né restringe,
né crea il contenuto di offesa, ma si limita ad una funzione differenziale, es. scopo di estorsione con sequestro
di persona: qui l'offesa non è creata, è già racchiusa nel sequestro di persona, il dolo specifico distingue il
reato penale, si riaffida alla pura intenzione, la determinazione del diverso disvalore. Aumento di disvalore
affidato alla pura e semplice intenzione.Qui i fatti rimangono illeciti.
E poi abbiamo tutto il polverone dai c.d. reati o delitti senza vittima o senza soggetto passivo (manca l'oggetto
giuridico,non ci sarebbe il titolare dell'interesse, verrebbe meno l'interesse tutelato, quindi non ci sarebbe
offesa: delitti sulla famiglia, reati di oscenità, reati contro la fede pubblica, ecc.). La tipologia dei c.d. reati di
scopo, qui non c'è oggetto giuridico, meno che mai si verifica offesa, e quindi non c'è reato, c'è solo violazione
secca di un comando imperativo, una disubbidienza. Ma c'è comunque un interesse protetto!
Reati non offensivi, qui manca sin dall'origine l'offesa. Siccome manca l'oggetto giuridico inteso come
interesse da tutelare (ma qui coincide con la ratio legis: cioè con l'interesse del legislatore al rispetto di
determinate disposizioni), le categorie di reati di scopo due tipi aventi in comune la mancanza di un interesse
protetto: a) reati di sospetto; b) reati di ostacolo od ostativi. Si distinguono perché nel reato di sospetto si
punisce condotta perché il legislatore prevede che il solo fatto che esista renda più facile commettere un reato,
es. chi gira con il grimaldello in tasca, ecc. (la pura disubbienza, la sola circostanza di aver violato quanto
prevedeva la norma giuridica). Lo stesso per i reato ostacolo o ostativi, non si punisce premessa idonea,ma la
condotta che il legislatore ha previsto (es. celare le proprie sembianze quando si circola). Prima dell'offensività
viene negata la materialità.
Conclusione: giurisprudenza costituzionale a parte, l'offesa è elemento necessario e costitutivo di reato per
tutti i reati aventi come elmento costittivo un oggetto di diritto, lì c'è offensività, diversamente e al posto
dell'offensività c'è l'interesse del legislatore al rispetto della condotta, semplice ratio legis, per cui coesistono in
questo ordinamento reati offensivi e reati senza. Nei secondi il controllo si farà sull'interesse. Questo chiude la
problematica dei reati offensivi.
[127] La tipicità del fatto si riconnette intimamente alla lesione del bene giuridico.
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[128] Ciò che assurge al ruolo di ragione fondante o costitutiva si riverbera sulla determinazione concettuale
delle componenti costitutive del reato: ecco la funzione dogmatica del bene giuridico. Con riferimento alla
tipicità, tale ruolo dogmatico consiste, dunque, nel far si che la tipicità stessa concettualmente includa la
lesione del bene giuridico.(vedi tipicità apparente). compiere valutazioni per il verificarsi dell'evento.
[129] Op.cit.,pagg. 75-83.
[130] Reati di offesa: a un bene giuridico. Reati di scopo: il concetto di bene giuridico non sembra poter
assumere una funzione categoriale per descrivere sinteticamente il contenuto di qualsiasi reato.
[131] In altri settori es. civile il giudizio di contraddizione tra fatto e diritto tende sempre più a prescindere
dall'esistenza di requisiti soggettivi di imputazione, con conseguente progressivo incremento delle ipotesi di
responsabilità c.d. obiettiva.
[132] Art.59 - CIRCOSTANZE NON CONOSCIUTE O ERRONEAMENTE SUPPOSTE - Le circostanze che
attenuano o escludono la pena sono valutate a favore dell'agente anche se da lui non conosciute, o da lui per
errore ritenute inesistenti.
Le circostanze che aggravano la pena sono valutate a carico dell'agente soltanto se da lui conosciute ovvero
ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato da colpa.
Se l'agente ritiene per errore che esistano circostanze aggravanti o attenuanti, queste sono valutate contro o a
favore di lui.
Se l'agente ritiene per errore che esistano circostanze di esclusione della pena, queste sono sempre valutate
a favore di lui. Tuttavia, se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa, quando il fatto è
preveduto dalla legge come delitto colposo.".
[133] Es. è ammissibile che l'esercizio di un diritto, come causa di giustificazione (art.51) trovi la sua fonte
anche nella consuetudine.
[134] La giurisprudenza dominante non accoglie la tesi secondo cui l'"antigiuridicità oggettiva" rappresenta un
elemento costitutivo autonomo del reato, ciò allo scopo di evitare talune conseguenze applicative, si vuole
impedire che dall'inquadramento dell'antigiuridicità tra le componenti del reato, si tragga la conclusione che il
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dubbio sull'esistenza di una situazione scriminante giustifichi un'assoluzione con formula dubitativa allo stesso
modo di un dubbio vertente sull'esistenza dell'elemento materiale del reato medesimo.
[135] Abusivo esercizio di una professione.
[136] "L'errore su una legge diversa dalla legge penale esclude la punibilità, quando ha cagionato un errore sul
fatto che costituisce reato".
[137] Riassume le condizioni psicologiche che consentono l'imputazione personale del fatto di reato all'autore.
E' l'elemento soggettivo.
Secondo i sostenitori della c.d. CONCEZIONE PSICOLOGICA, consiste nel rapporto psicologico, nel
nesso psichico, esistente tra il soggetto agente e l'azione che cagiona l'evento, nelle due forme del
dolo e della colpa. <La concezione psicologica,nella sua versione originaria, considera la colpevolezza come
un criterio di imputazione a base naturalistica (perché fondata sul riscontro di un quid effettivamente rilevabile,
sia pure nella psiche del soggetto) e di consistenza fissa (perché il dolo o la colpa, o ci sono, o non ci sono; e
se ci sono, non ammettono alcuna graduazione di diversa <<intensità>>).........D'altro canto alle difficoltà
applicative, la teoria psicologica unisce notevoli difficoltà sistematiche (anche se in buona parte
sopravvalutate), nel definire un concetto unitario di colpevolezza. Poiché il dolo è costituito da coefficienti
psichici reali (coscienza e volontà effettivamente esistenti nell'agente),mentre nella colpa si può ravvisare
soltanto un coefficiente potenziale (la prevedibilità), non è evidentemente possibile costruire la colpevolezza
come concetto di genere: essa non può assumere gli elementi comuni al dolo e alla colpa, semplicemente
perché questi elementi non esistono. In questo senso, la concezione psicologica non è propriamente una
teoria della colpevolezza, ma una teoria delle <<forme>> di colpevolezza: dolo e colpa non stanno rispetto ad
esse come species di un genus, ma come sostantivi rispetto ad un attributo categoriale; il dolo e la colpa sono,
ciascuno per sé, <<un tipo di colpevolezza>> (allo stesso modo che delitto e contravvenzione sono un <<tipo
di reato>>, ma il reato non è un concetto di genere rispetto all'uno e all'altra)>. PADOVANI, op.cit.,
pag.166-167..
Secondo i sostenitori della CONCEZIONE NORMATIVA, (che si sviluppa agli inizi di questo secolo prendendo
le mosse da un celebre saggio di R.FRANK del 1907) l'essenza della colpevolezza va ravvisata nel
RAPPORTO DI CONFLITTUALITA' tra la volontà del soggetto agente e la volontà della società,
immanente nella norma violata ovvero <nel contrasto tra il divieto o il comando penale e la volontà
dell'agente cui esso è diretto: il soggetto non ha adeguato la propria volontà all'esigenza normativa,
nel dolo perché ha voluto ciò che non doveva volere, nella colpa perché non ha previsto ciò che
doveva prevedere. Se il riferimento essenziale è al <<dovere>>, il baricentro della colpevolezza si
risolve in un giudizio normativo di rimproverabilità personale. L'oggetto di tale giudizio è dato da tre
elementi:
la capacità di intendere e di volere;
il nesso psichico tra l'agente e il fatto;
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le <<circostanze concomitanti>> influenti sul processo di motivazione dell'agente. La novità
<<rivoluzionaria >> di questa dottrina è rappresentata da quest'ultimo elemento.> PADOVANI, ibidem,
pag.168 (ivi vedi anche la <<dilatazione della colpevolezza su due versanti: quello del parametro di giudizio e
quello dell'oggetto del giudizio>.
sicchè ciò che rileva non è tanto la volontà dell'azione causativa dell'evento, quanto l'ATTEGGIAMENTO
ANTIDOVEROSO della volontà.
Per i sostenitori della CONCEZIONE NORMATIVA presupposto della colpevolezza è l'IMPUTABILITA'
dell'agente (cioè la sua capacità di intendere e di volere: art.85). Per la dottrina dominante, invece,
l'imputabilità è uno STATO della persona che nulla ha a che vedere con la colpevolezza per cui il dolo e la
colpa non implicano necessariamente l'ìmputabilità, sicchè un reato (fatto+colpevolezza+antigiuridicità) può
essere commesso anche da un soggetto non imputabile (es. minore di anni 14: vedi art.97). Tale orientamento
sembra avvalorato dalla sistematica del codice penale che tratta separatamente della COLPEVOLEZZA nel
Titolo III dedicato al REATO (artt.42,43) e dell'IMPUTABILITA' nel Titolo IV dedicato al reo (art.85).
[138] particolarmente rilevanti anche per la materia dei rifiuti. In particolare "può ravvisarsi ignoranza
scusabile se l'attività vietata dalla legge sia consentita da un provvedimento amministrativo emesso
dall'autorità preposta al controllo purchè l'agente non abbia la capacità di valutarne la illegittimità" (Cass. pen.,
Sez.III, 20/02/1990, n.4450). Sempre per la Cassazione vi è un "dovere di informazione particolarmente
rigoroso per chi svolge professionalmente una data attività: costui risponde penalmente dell'illecito anche in
presenza di una colpa lieve nello svolgimento dell'indagine giuridica" (Cass. SS.UU.,pen., 10/06/1994; cfr.
anche Cass.pen.,Sez.III, 06/05/1994); per cui "l'ignoranza inevitabile non può essere invocata da addetti ad un
settore industriale e/o artigianale per illeciti attinenti a detto campo e quando la giurisprudenza di legittimità ha
ormai fornito una costante interpretazione di dette norme" (Cass. pen. Sez.III, n.2544/1994). "Non è invocabile
l'ignoranza della legge penale quando l'agente abbia chiara la possibilità che il suo comportamento è
antigiuridico anche per mero contrasto con la legislazione regionale" (Cass. pen.,21/06/1993 (dep.) n.6195.
Insomma "si ha ignoranza inevitabile della legge penale solo se emerge che nessun rimprovero, neppure di
leggerezza, possa essere mosso all'imputato, avendo egli fatto tutto il possibile per uniformarsi alla legge"
(Cass. pen.31/01/1994).
[139] <In sostanza , le scusanti si fondano sul riconoscimento di situazioni anomale, nelle quali non è possibile
pretendere che il soggetto determini la propria condotta in conformità del comando o del diritto; esse si
inquadrano nella terza fase del giudizio di colpevolezza normativa, rappresentando cause di inesigibilità di un
comportamento conforme alla legge penale. Non si tratta peraltro di una inesigibilità di volta in volta connessa
a valutazioni preterlegali, ma prevista invece in forme tipizzate, che individuano tassativamente l'anormalità
delle circostanzae concomitanti in cui il soggetto deve essersi trovato ad agire.>PADOVANI, op.cit.,pag.221.
[140] Sono infatti suscettibili di conversione soltanto le fattispecie causali pure. Art.40 - RAPPORTO DI
CAUSALITA' - "Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l'evento
dannoso o pericoloso, da cui dipende la esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od
omissione.
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Non impedire un evento, che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo.".
[141] Evasione.
[142] Vedi l'apprezzabile lasso di tempo: reato di sequestro di persona dei ladri che immobilizzano per un
breve tempo i custodi della villa, ecc.
[143] reiterazione intervallata nel tempo della stessa condotta o di più condotte omogenee, si pensi al reato di
maltrattamenti in famiglia (art.572); delitto di sfruttamento della prostituzione (art.3, n.8 Legge n.75/1958).
[144] Il quale delitto esige, ai fini della consumazione, molteplici atti di utilizzazione strumentale dell'altrui
persona, in quanto soltanto dal complesso di più condotte ripetute nel tempo è desumibile la caratteristica di
abitualità insita nel concetto di sfruttamento. L'identificazione in concreto del reato abituale postula, sul
piano obiettivo:
a)
la reiterazione intervallata nel tempo di una pluralità di condotte;
b) la loro omogeneità in rapporto all'offesa contenuta nella fattispecie (non quindi la loro identità: i
maltrattamenti possono estrinsecarsi talora con condotte di violenza fisica, talaltra con ingiurie,
minacce, e così via dicendo).
[145] PADOVANI, op.cit.,pag.105.
[146] Es. delitto di incendio art. 423: il fatto di cagionare un incendio è punito per i risultati lesivi che possono
derivarne a carico di una cerchia indeterminata di persone, anche se poi nessuna persona subisce in concreto
danni alla vita o all'integrità.
[147] Sussistono precise correlazioni tra la struttura di danno o di pericolo del fatto di reato e la natura del
bene oggetto di protezione: spessore materiale e sua sublimazione in entità di tipo ideale (vedi difficoltà per
pudore, onore, ecc.). Per il PADOVANI, op.cit.,pag.127 <Dal punto di vista politico-criminale i reati di pericolo
implicano un'anticipazione della tutela dell'interesse (...).In realtà, i reati di pericolo presunto corrispondono alle
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esigenze di tuela di un sistema liberale liberaldemocratico, a condizione che: a) la loro previsione si riferisca
alla tutela anticipata di beni particolarmente rilevanti (ad es., di natura collettiva), rispettando così il principio di
proporzione; b) la tutela nella forma del pericolo concreto risulti insufficiente per la difficoltà di precisare i
termini di probabilità della lesione, rispettando così il principio di sussidiarietà (ad es.,nei reati di inquinamento
basati su scarichi superiori ai limiti normativamente prefissati: in questo caso, accollare al giudice il riscontro di
un pericolo effettivo per l'ambiente, significherebbe, per lo più, prospettargli un compito impossibile; c)
l'identificazione delle condotte presuntivamente pericolose avvenga secondo criteri ancorati a massime di
esperienza consolidata o a regole scientifiche riconosciute, rispettando così il principio di congruenza
razionale tra mezzi e scopi>.
[148] cioè negli elementi a carattere materiale identificati: nella condotta e negli eventuali presupposti e note
che la caratterizzano, nonché nel rapporto causale e nell'evento lesivo. Es. la fattispecie del furto sarebbe
costituita dal fatto materiale dell'impossessamento e della sottrazione della cosa; quella dell'omicidio dalla
causazione della morte di un uomo, ecc.
[149] Evoluzione della teoria della fattispecie, con l'affermazione del metodo teleologico (mondo dei valori e
scopi e funzioni politico-criminale) e poi negli anni trenta alla scoperta degli elementi "normativi" (M.E.Mayer) e
"subiettivi" (Hegler, Frank, Mezger) della fattispecie.
[150] "od omissione".
[151] Vedi cd. SUITAS: coscienza e volontà della condotta, cioè l'esistenza di un NESSO PSICHICO tra
l'agente ed il fatto. Sussiste tale "nesso" tutte le volte in cui la condotta è posta in essere volontariamente e
quando, pur non sussistendo tale esplicita volontà, con uno SFORZO DEL VOLERE la condotta integrante il
reato poteva essere evitata dal soggetto. Pertanto devono attribuirsi alla "suitas" dell'agente anche gli ATTI
AUTOMATICI od ABITUALI, i quali con un maggior dominio della volontà potevano essere evitati e i fatti
compiuti in stato emotivo anche forte (soltanto a certe condizioni può essere esclusa l'imputabilità).Al contrario
non sussiste nesso psichico per gli ATTI ISTINTIVI o RIFLESSI i quali sono al di fuori della signoria del volere
in quanto non appartengono all'uomo, ma al mondo meccanico.In ordine alle cause di esclusione della "suitas"
vedi commento art.46.
<Nell'attribuzione al volere (suitas) consiste il <nesso psichico> che è il primo fattore dell'elemento
soggettivo del reato, nesso che sussiste non solo quando l'atto esterno è dovuto ad un impulso
cosciente, ma anche quando con un conato del volere poteva essere impedito> ANTOLISEI-CONTI,
op.cit., pag.188.
Per PADOVANI, op.cit.,pagg.110-111: <Non può essere condivisa la diffusa opinione secondo cui il tema
della coscienza e volontà riguarderebbe la colpevolezza (ed in particolare il nesso psichico). La
colpevolezza consiste infatti in un giudizio di rimproverabilità per il fatto tipico commesso;ed un tale
fatto tipico non può prescindere dall'identificazione di un comportamento umano (..).La coscienza e la
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volontà della condotta si inquadra sistematicamente nell'ambito degli elementi soggettivi del fatto; ma
non suscita alcuna delle preoccupazioni normalmente sollevate dal loro inserimento tra i requisiti della
fattispecie tipica, perché essa non concorre a rendere incerti i confini tra la sfera del lecito e
dell'illecito (compiutamente definiti dalla serie degli elementi obiettivi). Stando alla lettera dell'art.42/1°
c.p., che si riferisce appunto a <coscienza e volontà>, dovrebbe trattarsi di due coefficienti psichici
reali: la consapevolezza e la volontà effettiva di tenere un certo comportamento. Nelle condotte dolose
tali coefficienti sono sempre necessari, in quelle colpose essi non si riscontrano sempre: il guidatore
imprudente può, ad es., procedere ad una velocità eccessiva volontariamente o anche per distrazione;
il chirurgo non abbandona il tampone nell'addome del paziente per un impulso cosciente del volere,
ma per dimenticanza. Poiché l'ordinamento prevede e punisce anche i reati colposi, è evidente che la
nozione di <<coscienza e volontà>> rilevante nell'art.42/1°c.p. non può essere intesa in termini
strettamente letterali; tanto più che i concetti di <<imprudenza>>, <<negligenza>>, <<imperizia>>, o di
<<inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline>> con cui l'art.43/1° c.p. definisce la colpa
non postulano affatto la necessità di coefficienti psichici reali. In senso estensivo, <<coscienza e
volontà>> devono allora essere interpretate in rapporto alla possibilità di esercitare sul proprio
comportamento un controllo finalistico e, quindi, di dominarlo: l'evitabilità della condotta tenuta
delinea la soglia minima della sua attribuibilità al soggetto (definita, con un'espressione ricorrente
nella filosofia della scolastica, suitas; e cioè appartenenza della condotta al soggetto.>.
[152] < è stato definito istituto <<senza patria>>, a causa delle controversie che da sempre si
accendono intorno alla sua collocazione sistematica (...) una parte della dottrina lo riporta nell'area
della causalità, pre ragioni che non sembrano tuttavia fondate. Per altri, il caso fortuito dovrebbe
inserirsi nel contesto della suitas, ch'esso escluderebbe per effetto di situazioni anomale concernenti
l'agente e tali da rendere inevitabile il comportamento tenuto (come nell'ipotesi del malore improvviso
alla guida, che provochi lo sbandamento della vettura). La tesi ancor oggi dominante ravvisa nel
fortuito un limite della colpa: secondo l'impostazione più tradizionale nel senso che esso si
identificherebbe con l'<<imprevedibile>>. Ma la prevedibilità è criterio di imputazione rilevante solo
nella colpa generica; di modo che si dovrebbe allora convenire che la colpa specifica (o per
inosservanza) sia ontologicamente incompatibile col fortuito: ciò che sembra arduo ammettere, se il
caso fortuito viene identificato in situazioni che rendano impossibile adottare la condotta conforme
alla regola di diligenza (ad es., un fenomeno difosfeno fa apparire verde la luce rossa del semaforo; il
parabrezza della vettura si sgretola improvvisamente e toglie la visibilità; il pneumatico nuovo appena
montato scoppia). Da questo punto di vista il fortuito sembra determinare l'inevitabilità dell'evento per
l'impossibilità di uniformarsi alla regola obiettiva della diligenza> PADOVANI, op.cit., pag.220.
[153] Si esclude il reato perché manca la colpevolezza nella forza maggiore e nel caso fortuito.
[154] viene ESCLUSA non semplicemente la punibilità (cioè l'applicazione della sanzione), ma la
configurabilità stessa del reato, per il difetto di uno dei suoi elementi costitutivi essenziali: LA
COLPEVOLEZZA.
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[155] Non ha agito ma è stato fatto agire. Qui difetta il NESSO PSICHICO tra la condotta e l'evento, il quale
non è stato commesso con coscienza e volontà (vedi art.42).
[156] L'impossibilità del soggetto a sottrarsi alla violenza fisica subita, integra la situazione del c.d.
costringimento fisico che esclude la "suitas", la coscienza e la volontà della condotta, cioè il nesso psichico tra
condotta ed agente (vedi art.42). Ove il fatto non scaturisca da un moto della volontà del reo, bensì dall'altrui
costringimento fisico, soccorre l'art.46, ai sensi del quale chi ha commesso il fatto per esservi da altri stato
costretto, mediante violenza fisica alla quale non poteva resistere o comunque sottrarsi, non è punibile. La
presenza del c.d. "costringimento fisico"esclude, dunque, non semplicemente la punibilità (cioè l'applicazione
della sanzione),ma il nesso psichico tra condotta ed evento (art.42), sicchè difettando un elemento esenziale
del reato, quest'ultimo non è configurabile. La violenza fisica si differenzia dalla violenza psichica perché in
quest'ultima la volontà dell'agente non è coartata in modo assoluto, ma è determinata da una minaccia.
[157] Stato di necessità. In quest'ultima la volontà dell'agente non è coartata in modo assoluto, ma è
determinata da una MINACCIA.
[158] Esempio al caso di chi, ferito da un terzo, muore dopo il ricovero a causa di un incendio fortuitamente
scoppiato in ospedale.
[159] Morlini, op.cit., pag.23
[160] Così Morlini, op.cit.,pag.23;
[161] Es. ipotesi del malore improvviso che impedisce di rispettare le regole del traffico...
[162] così Molini, op. cit., pag.23-24.
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[163] es. del ferito che perde la vita a causa di un fortuito incendio dell'ospedale in cui è ricoverato.
[164] Morlini, op.cit., pag.24.
[165] Es. nel delitto di falso, l'oggetto materiale della condotta è il documento falsificato,il bene giuridico
protetto è la fede pubblica.
[166] Es. delitto di sottrazione consensuale di minorenni: l'interesse protetto è la potestà di entrambi i genitori,
l'oggetto dell'azione è il minore protetto.
[167] Es. una lesione o la morte come evento aggravatore dell'omissione di soccorso.
[168] Es. il pubblico scandalo nell'incesto.
[169] Rapporto di causalità.
[170] Concorso di cause.
[171] Elemento psicologico del reato.
[172] Reato supposto erroneamente e reato impossibile.
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[173] È l'effetto offensivo della condotta.
[174] < ...i sostenitori della concezione giuridica propendono per una concezione metodologica del bene
giuridico, in base alla quale tutti i reati si riferiscono ad un interesse, identificato peraltro nello scopo della
norma>. PADOVANI, op.cit., pag.115.
[175] Per Molini,op.cit., pag.18 ss. Le tesi sul nesso di causalità: <Data la pochezza delle disposizioni del
codice, diverse sono le tesi sul nesso di causalità: due (quelle della causa prossima e della causa efficiente)
sono completamente abbandonate ed hanno solo interesse storico-dogmatico; tre (causalità naturale,
causalità umana, causalità adeguata) possono dirsi superate; l'ultima infine (causalità scientifica) è quella
attualmente seguita dalla giurisprudenza.>.
<La causa prossima. Per la risalente teoria di ORTMANN, causa è l'ultima condizione, quella cioè che
completando la serie degli antecedenti, determina senz'altro il risultato. Tale tesi configge però con il fatto che
il diritto attribuisce l'evento anche a chi non ha posto in essere l'ultimo antecedente>.
<La causa efficiente. La teoria della causa efficiente (STOPPATO) pretende di penetrare all'interno del
processo causale, ravvisando delle diversità qualitative tra i vari antecedenti: causa è la forza che produce
l'effetto; condizione è quella che permette alla causa di operare, è l'occasione più o meno favorevole che invita
all'azione. L'obiezione principale mossa a tale ricostruzione è però che appare davvero arduo, se non
addirittura impossibile, fondare con un minimo di oggettività una distinzione così soggettiva e imprecisa>.
<La causa naturale. Per la teoria enunciata dal criminalista tedesco VON BURI, è causa di un evento
l'insieme delle condizioni necessarie e sufficienti a produrlo. Come tali, ognuna di esse è condicio sine qua
non dell'evento, ed esse tutte ai fini dell'evento si equivalgono. La valutazione va fatta secondo un giudizio
causale ex post, ad evento avvenuto; la condotta è accertabile come causa necessaria quando, eliminandola
mentalmente dal processo causale, l'evento verrebbe meno. Si controbatte, peraltro, che tale teoria pecca
però per eccesso, perché porta a considerare causa una condotta anche quando vi sia stato il concorso di
condizioni estranee del tutto eccezionali: e consente poi il cosiddetto regresso all'infinito. E pecca anche per
difetto,perché da un lato esclude le condotte che sono condizione soltanto probabile dell'evento; dall'altro,
impone la conoscenza del meccanismo scientifico/causale che ha dato luogo all'evento stesso>.
[176] Non distingue tra condizioni di rango diverso, parifica l'attitudine causale di tutti gli antecedenti necessari
dell'evento.In questo senso perché l'azione umana assurga a causa è sufficiente che essa rappresenti una
delle condizioni che concorrono a produrre il risultato lesivo.
[177] Che la Cassazione, argomentando sul reato omissivo improprio, così descrive <... (se) materialmente
eliminato il mancato compimento dell'azione doverosa e sostituito alla componente statica un ipotetico
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processo dinamico corrispondente al comportamento doveroso supposto come realizzato, (allora) il singolo
evento lesivo hic et nunc verificatosi sarebbe o non venuto meno....>?
[178] Vedi caso dell'ingestione del talidomide o abitare nella zona in cui è sita una fabbrica di alluminio che
emette fumi all'estero.
[179] <l'evento cagionato dall'agente si sarebbe pur sempre verificato per altra causa pressoché contestuale
(p.es., avvelenamento di persona che sarebbe di lì a poco morta per incendio della casa). Per evitare di
concludere erroneamente per la non essenzialità della condotta (perché eliminata la causa, l'evento si sarebbe
comunque verificato), bisogna tener presente che l'evento da considerare è solo quello rispetto al quale si
pone il problema della causalità della condotta, non quello astratto che si sarebbe verificato (e cioè l'evento è
l'avvelenamento, non l'incendio)> così Morlini, op.cit., pag.19.
[180] Ad es. se un rivenditore di armi vende una pistola ad un soggetto insospettabile legittimato ad
acquistarla, e l'arma viene usata per commettere un omicidio, nessun rimprovero - neppure di negligenza potrebbe essergli mosso.
[181] Es. l'esposizione al morbillo produce il contagio non sempre, ma soltanto in un certo numero di casi.
[182] Molini, op.cit., pag.19-21.
[183] Così Iuri De Biasi, Procura Repubblica Tribunale di Treviso, Le valutazioni del nesso causale nei reati
colposi omissivi e commissivi contro la vita e la salute, dispensa per la Scuola Forense di Treviso, A.A.2004, il
quale, più avanti così prosegue <Il ragionamento probatorio nel processo penale in generale, ma soprattutto
nei campi già indicati, ha un carattere essenzialmente inferenziale-deduttivo e presuppone una copiosa
integrazione delle premesse certe con elementi conoscitivi, estranei alle premesse stesse, che spesso
vengono tratti dall'esperienza e si danno per tacitamente assunti o congetturati. Ciò ovviamente introduce nel
ragionamento probatorio un inevitabile margine di imponderabilità. Non si può perciò pretendere che il
processo disveli all'esito del ragionamento probatorio la conoscenza di una catena continua di eventi e di tutte
le leggi che presiedono alla successione tra fenomeni e non si può sempre perseguire la "certezza assoluta".
Nel proceso alla certezza storica si sovrappone la "certezza processuale" , quella che in difetto della possibilità
è una prova descrittivamente e direttamente rappresentativa del fatto, lo presenta in termini di "alto grado di
credibilità razionale", "conferma elevata", "possibilità prossima alla certezza". La possibilità peraltro di fondare
l'accertamento giudiziale su prove non direttamente rappresentative di un fatto storico, ma attraverso
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l'elaborazione e la combinazione "inferenziale" di prove logiche o indirette quali sono ad esempio gli indizi, la si
ricava per tabulas dall'art.192, comma 2° del c.p.p. che ammette pacificamente che la prova del fatto in
termini di certezza processuale la si possa ricavare da indizi (prova logica) gravi, univoci e concordanti>.
[184] Per Morlino, op.cit., pag18 <La tesi di Von Kries e di Bettiol tende a limitare gli eccessi della causalità
naturale: oltre ad essere condicio sine qua non, occorre che la condotta risulti adeguata, proporzionata
all'evento, cioè idonea a determinare l'effetto sulla base dell'id quod plerumque accidit, escludendo quindi gli
eventi straordinari o atipici: e tale giudizio deve essere ex ante rapportato al momento della condotta stessa.
Se però si è detto che la precedente tesi (della causalità naturale N.d.R.) pecca per eccesso, questa teoria
pecca per difetto, in quanto espelle dal campo della causalità tutti quegli eventi che debbono ritenersi
conseguenza non probabile, e tuttavia rispetto alla specificità delal situazione concreta e alla specifica scienza
dell'agente, possono essere calcolati come probabili o addirittura certi>.
[185] Vedi esempio dell'emofiliaco che muore in seguito ad una lieve ferita: l'evento morte va accollato
all'agente sulla base del mero nesso di causalità?
[186] Molini, op. cit., pag.18 <La soluzione intermedia è quella di Antolisei: c'è causalità se la condotta è
condicio sine qua non, e l'evento non sia dovuto a fattori eccezionali pur se anormali. Solo infatti i risultati che
entrano nella sfera di controllo del soggetto possono considerarsi da lui causati, perché egli, anche se non li
ha voluti, era in grado di impedirli; non possono invece considerarsi opera sua, ma solo delle forze cieche
della natura, i risultati che non sono da lui dominabili. Come la causalità adeguata, anche la causalità umana è
fondata su un giudizio ex ante, e questa si configura come variante più restrittiva di quella:non è la normalità
che fonda il nesso causale, ma l'eccezionalità che la esclude(...). Obietta il Mantovani che tale teoria opera
però una contaminazione tra elementi oggettivo e soggettivo, cioè tra nesso di causalità e colpevolezza, dato
che il parametro per giudicare dell'esistenza del nesso è un parametro soggettivo che dovrebbe servire invece
ad escludere la colpa. E in secondo luogo, lascia troppo spazio alla discrezionalità e all'intuito del giudice>.
[187] La teoria della causalità umana di F.ANTOLISEI <identifica la condotta come causa dell'evento: a)
quando ne sia condicio sine qua non; b) quando il risultato poteva essere impedito, perché la serie causale
rientrava nell'ambito di dominabilità del soggetto in virtù dei suoi poteri cognitivi e volitivi (mentre, per
l'appunto, l'intervento di un fattore eccezionale, dotato di un grado minimo di probabilità di verificarsi, si
sottrare al controllo preventivo dell'uomo).> così PADOVANI op.cit.,pagg.118-119.
[188] Non è un dato che si ritrova in natura, ma è il risultato di un giudizio che muta al variare dell'angolo
visuale da cui si osservano i fenomeni.
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[189] Poiché <l'ambito dei poteri cognitivi e volitivi può in effetti essere commisurato alle particolari
caratteristiche del soggetto, di modo che l'accertamento del nesso causale, da criterio di imputazione obiettiva
dell'evento, si trasformerebbe in un criterio tipicamente soggettivo> così PADOVANI, op.cit.,pag.119.
[190] Vedi il caso di colui i quale, volendo uccidere una persona, lo conduce in un bosco durante un
temporale, dove viene colpita a morte da un fulmine, eccetera.
[191] Es. caso di chi istiga il tossicodipendente all'assunzione di una dose di eroina, di per sé non mortale, e
che a causa di una preesistente alterazione organica muore.Tra gli scopi della norma che punisce lo spaccio
di stupefacenti vi è quello di tutelare la vita degli assuntori di droga oppure scopo precipuo della norma è
soltanto di evitare l'instaurarsi dei tipici effetti connessi alla tossicodipendenza,mentre la tutela della vita
rientra, semmai, tra i fini indiretti perseguiti dal legislatore?
[192] Integra l'accertamento della causalità in senso condizionalistico,onde il suo impiego ha per effetto di
restringere l'ambito della punibilità.
[193] Nei reati omissivi impropri ( o di evento) quali illeciti privi di causalità "reale" l'accertamento dell'aumento
del rischio finisce per sostituire la verifica della causalità: ingiustificata estensione della punibilità.
[194] Sicchè quando l'agente ha posto in essere una condotta che ha efficacia causale per produrre un
evento, l'imputazione a lui del fatto non è esclusa dall'intervento dell'operatività di altri fattori causali
(antecedenti, concomitanti, successivi). Esempio: nel caso di morte di un pedone conseguente ad un
investimento automobilistico, la responsabilità del conducente del veicolo non è esclusa dal fatto che la vittima
era di salute malferma (causa preesistente) e che i sanitari hanno commesso errori nella cura successiva
all'investimento (causa sopravvenuta). Il principio per il quale il concorso di cause estranee all'operato
dell'agente (siano esse antecedenti, concomitanti o successive) non esclude il rapporto di causalità trova
temperamento nel comma 2 dell'art.41.
[195] tale comma chiarisce che le regole dettate dall'art.41 (principio di eguaglianza delle cause: comma 1;
limite di operatività del principio: comma 2) trovano applicazione non solo quando le cause antecedenti,
concomitanti o sopravvenute siano circostanze naturali o fortuite, ma anche quando si tratti di comportamenti
illeciti di altri soggetti.
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[196] il soggetto non risponderà dell'evento,in caso contrario verrebbe leso il principio della PERSONALITA'
DELLA RESPONSABILITA' PENALE sancita dall'art.27 Cost.. Es. nel caso in cui il conducente di un veicolo
investa un pedone cagionandogli la frattura di un piede, e questi, accompagnato all'ospedale a bordo del
veicolo di un amico, patisce un grave incidente a seguito del quale decede, l'evento letale non potrà ritenersi
collegato casualmente alla condotta del primo conducente, in quanto il secondo sinistro (causa sopravvenuta)
è stato da solo idoneo a produrre la morte. Sicchè, in tal caso, può dirsi che il primo investimento non è causa
della morte, bensì OCCASIONE per lo svilupparsi di altro separato e diverso processo causale dell'evento. La
dottrina e la giurisprudenza dominanti hanno precisato, pertanto, che in tema di rapporto di causalità, LA
CAUSA DA SOLA SUFFICIENTE A DETERMINARE L'EVENTO è quella che, non soltanto appartiene ad una
SERIE CAUSALE COMPLETAMENTE AUTONOMA rispetto a quella posta in essere con la condotta
dell'agente, ma anche quella che, pur inserendosi nella serie causale dipendente dalla condotta dell'agente,
OPERA PER ESCLUSIVA FORZA PROPRIA NELLA DETERMINAZIONE DELL'EVENTO, sicchè la
CONDOTTA DELL'AGENTE, pur costituendo un precedente necessario per l'efficacia della causa
sopravvenuta, assume rispetto all'evento stesso NON il ruolo di FATTORE CAUSALE, ma di semplice
occasione. La disciplina del comma 2 dell'art.41 è dettata espressamente solo con riferimento alle "CAUSE
SOPRAVVENUTE". Il conducente pur non rispondendo di omicidio colposo per l'operatività della prima parte
del comma 2 dell'art.41, ben potrà essere chiamato a rispondere di lesioni colpose (nell'esempio: la frattura
provocata al piede).
Per PADOVANI, op.cit.,pag.121 <il fondamento di questa disciplina poggia su una considerazione d'ordine lato
sensu soggettivo: le concause eccezionali sopravvenute sono sensa dubbio (per loro stessa natura) in
conoscibili e imprevedibili per chiunque; quelle antecedenti e concomitanti (proprio perché esistono già al
momento della condotta), possono invece essere conosciute (l'autore delle lesioni potrebbe, ad es., sapere
che la vittima è un emofiliaco).L'astratta conoscibilità è dunque il fondamento dell'irrilevanza sancita per le
concause antecedenti e concomitanti, anche se eccezionali.(..)> Vedi il concetto dogmatico di imputazione
obiettiva dell'evento che viene <basata sul fatto che la condotta causale abbia provocato un aumento del
rischio cui il bene tutelato è sottoposto, e questo maggior rischio si sia concretizzato nella serie di accadimenti
che hanno portato sino all'evento offensivo. Pertanto essa dovrebbe essere esclusa:
a)
per difetto di un rischio obiettivamente riprovato (..);
b)
per difetto di un rapporto di rischio tra il pericolo determinato dall'agente e le modalità dell'evento
concreto (..);
c)
per equivalenza del rischio nel caso di azione alternativa lecita (..);
d)
per diminuzione del rischio (..).>.
così PADOVANI, ibidem, pag.122-123.
[197] Vedi anche Molini, op.cit., pag.22 : ricostruzioni di Antolisei, Mantovani, Pecoraio Albani ed altri.
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[198] Le circostanze che escludono la pena (c.d. scriminanti) non sono circostanze in senso proprio; esse
infatti non puntualizzano il disvalore del reato commesso, ma escludono la stessa antigiuridicità del fatto. In
altre parole, la loro ricorrenza esclude la sussistenza del reato.
[199] Si applicano art.59. quarto comma: "Se l'agente ritiene per errore che esistano circostanze di esclusione
della pena, queste sono sempre valutate a favore di lui. Tuttavia, se si tratta di errore determinato da colpa, la
punibilità non è esclusa, quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo" e art.119 VALUTAZIONE DELLE CIRCOSTANZE DI ESCLUSIONE DELLA PENA - "Le circostanze soggettive che
escludono la pena per taluno di coloro che sono concorsi nel reato hanno effetto soltanto riguardo alla persona
cui si riferiscono.
Le circostanze oggettive che escludono la pena hanno effetto per tutti coloro che sono concorsi nel reato.".
[200] qui errore irrilevante solo art.55 - ECCESSO COLPOSO - "Quando nel commettere alcuno dei fatti
preveduti dagli articoli 51,52,53 e 54, si eccedono colposamente i limiti stabiliti dalla legge o dall'ordine
dell'Autorità ovvero imposti dalla necessità, si applicano le disposizioni concernenti i delitti colposi, se il fatto è
preveduto dalla legge come delitto colposo".
[201] esempio ipotesi del fatto realizzato per effetto della coazione morale esercitata da altri.
SITUAZIONI DI ESCLUSIONE DELLA COLPEVOLEZZA O SCUSANTI:
1)
STATO DI NECESSITA' SCUSANTE (O COGENTE) E LA COAZIONE MORALE;
2)
L'ORDINE CRIMINOSO INSINDACABILE DELLA PUBBLICA AUTORITA';
3) L'IGNORANZA (O ERRORE) INEVITABILE-SCUSABILE DELLA LEGGE PENALE, A SEGUITO DELLA
SENTENZA COSTITUZIONALE N.364/1988.
[202] Siccome lasciano integra l'illiceità del fatto.
[203] Si pensi all'esclusione della punibilità in caso di assistenza ai partecipi di banda armata o associazione
per delinquere, se il fatto è commesso "in favore di un prossimo congiunto" prevista dagli artt. 307 e 418.
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[204] Così rimane punibile il complice del figlio che ruba ai danni del padre.
[205] Prevedute dagli artt. 50 ss. del codice penale, in quanto si tratta di esimenti di portata generalissima,
come tali applicabili a tutti i reati (cause di giustificazione c.d. comuni). Le scriminanti c.d. speciali si applicano
soltanto a specifiche figure di illecito penale e non ad altre (si pensi ad es. alla reazione legittima agli atti
arbitrari del p.u. ex art.4 d.l.lt.14/09/1944, n.288).
[206] cui propende la dottrina dominante.
[207] Esempio scriminanti speciali.
[208] La putatività, IRRILEVANTE in ordine all'imputazione delle circostanze, RILEVA invece (secondo quanto
disposto dal comma 3 dell'art.59) in tema di circostanze CHE ESCLUDONO LA PENA O SCRIMINANTI
(secondo quanto disposto dal comma 4 dell'art.59). Ove , infatti, l'agente ritenga erroneamente esistenti cause
di giustificazione tali da escludere l'illiceità del fatto commesso, esse SONO EGUALMENTE VALUTATE A
SUO FAVORE,, pur non ricorrendo nella realtà (ciò naturalmente ad esclusione dell'ipotesi in cui la
supposizione erronea dell'agente sia stata determinata DA COLPA, ed il fatto commesso sia altresì previsto
come delitto colposo).
[209] Per la giurisprudenza interpretazione restrittiva, richiede oltre all'erronea supposizione in capo all'agente
dell'esistenza di una causa di giustificazione che, come requisito aggiuntivo, l'errore in cui il soggetto versa sia
"ragionevole", abbia "logica giustificazione", possa apparire "scusabile" sulla base dei dati di fatto e
simili....preoccupazione dell'errore sulle scriminanti come falsa e comoda scusa per eludere
ingiustificativamente la norma penale.
<Si avrà errore sul fatto (della scriminante) quando il soggetto si rappresenti una situazione materiale
tale che, se effettivamente sussistesse, il fatto da lui commesso si inquadrerebbe nella fattispecie
scriminante. Così', ad es.nel caso di chi creda erroneamente di essere aggredito da un losco figuro
che gli si stia avvicinando in una zona buia con un randello in mano (legittima difesa putativa); o nel
caso di chi si impossessi della cosa altrui scambiando un cenno di saluto del proprietario per
un'adesiione al fatto (consenso putativo); o di chi supponga di non avere altro scampo, per salvarsi da
un incendio, se non farsi largo con un bastone tra la folla che assedia un'uscita, mentre esiste un altro
passaggio libero, ma ignorato (stato di necessità putativo), e così via dicendo. L'errore sul fatto della
scrimiannte può derivare anche da un errore di diritto, come, ad es., nel caso di chi interpreti come
pericolo attuale di un'offesa <<ingiusta>> l'arresto legittimamente eseguito da un privato (art.383 c.p.).
Si avrà invece errore sul divieto, allorché l'agente supponga esistente una scriminante che in realtà
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non esiste (ad es., il pescatore ritiene di poter esercitare la pesca sul fondo altrui anche contro la
volontà del proprietario, mentre l'art.842/3°c.c. ne esige il consenso), oppure attribuisca ad una
scriminante esistente limiti normativi di applicabilità più vasti di quelli stabiliti dalla legge (ad es. il
proprietario della cosa di pregio che sta per bruciare, ritiene, sottraendo un estintore, che lo stato di
necessità si riferisca anche a beni patrimoniali). In entrambi i casi, l'agente si rappresenta il fatto
correttamente, ma erra sulla sua qualificazione ritenendolo giustificato, mentre non lo è: l'errore
finisce allora col riflettersi sui limiti di applicabilità della norma penale violata, e quindi sul divieto. Il
proprietario che, per salvare la cosa propria, si impossessi dii un estintore altrui, suppone che il
divieto di furto non si riferisca ad una ipotesi cui in effetti si riferisce. Una parte della dottrina ritiene
che la formula legislativa utilizzata dall'art.59/4°c.p. possa essere interpretata in senso
onnicomprensivo, e ricomprenda quindi anche l'ipotesi di errore sulle scriminanti che si traduca in
errore sul divieto. Ma la portata generale dell'art.5 c.p. non sembra consentire l'affermazione di una
deroga surrettizia, che finirebbe peraltro col risolversi nell'arbitraia equiparazione di due fenomeni
(l'errore sul fatto e l'errore sul divieto), la cui diversa disciplina trova un preciso fondamento razionale
e politico-criminale.>.così PADOVANI, pagg.214-215.
[210] Es. erronea convinzione che la "provocazione" esclude il reato.
[211] Art. 47 - ERRORE DI FATTO - "L'errore che costituisce il reato esclude la punibilità dell'agente. Non di
meno, se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa, quando il fatto è preveduto dalla
legge come delitto colposo". Una volta verificatosi l'errore di fatto, esclusa la punibilità a titolo di DOLO, è
necessario valutare se il fatto commesso possa essere punito a titolo di COLPA (semprechè sia previsto il
fatto come reato colposo). A tale proposito, bisogna distinguere tra : ERRORE SCUSABILE, che si realizza
quando NESSUN RIMPROVERO, nemmeno di semplice leggerezza, può essere mosso all'agente caduto in
errore; ERRORE INESCUSABILE, quando è stato DETERMINATO DA NEGLIGENZA, IMPRUDENZA OD
IMPERIZIA dell'agente e, quindi, da SUA COLPA.
[212] L'eccesso si configura nella situazione concreta, quando ricorrono i presupposti di fatto di una causa di
giustificazione, ma l'agente, per colpa determinata da imperizia, negligenza o imprudenza, supera i limiti
oggettivi della scriminante. Distinto, dunque, dall'eccesso colposo è quello incolpevole (configurabile quando il
superamento dei limiti di liceità della scriminante sia dovuto a caso fortuito o forza maggiore), nonché quello
doloso (che si ha quando l'agente, pur consapevole dei limiti della scriminante, li travalichi volontariamente).
[213] È diversa anche dall'ABERRATIO perché richiede l'esistenza di tutti i presupposti delle scriminanti.
[214] Per la dottrina dominante e per la giurisprudenza, il reato commesso a seguito dell'eccesso è COLPOSO
A TUTTI GLI EFFETTI; si precisa che, pur essendo l'evento più grave previsto e voluto dall'agente, la
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volontarietà del fatto è qui viziata da un errore inescusabile, che si converte in una FALSA
RAPPRESENTAZIONE DEI CONFINI ENTRO I QUALI E' CONSENTITO AGIRE: mancando l'esatta
conoscenza della situazione concreta, non ricorre l'elemento conoscitivo del dolo; e, dato che l'errore di
valutazione in cui cade l'agente, poteva essere evitato prestando maggiore attenzione, sussistono i
presupposti strutturali tipici del comportamento colposo.
[215] Es. Tizio pur rendendosi conto che basterebbero delle semplici percosse a fare desistere un assalitore
disarmato, lo ferisce con un coltello per provocargli uno sfregio duraturo. Qui l'eccesso si riferisce non già ai
mezzi, ma agli stessi fini dell'agire: la volontà è cioè diretta non alla realizzazione dell'obiettivo consentito, ma
di un fine criminoso, onde l'eccesso è doloso e il soggetto deve rispondere del reato commesso a titolo di
colpa.
[216] È il caso di Tizio che, pur rendendosi conto che Caio lo sta aggredendo con pugni e calci,
volontariamente pugnala e uccide l'aggressore avendo riconosciuto in lui un suo acerrimo nemico; in tal
ipotesi, infatti, l'agente, essendo ben a conoscenza della situazione reale e dei mezzi necessari per
raggiungere il fine consentito, volontariamente supera i limiti dell'agire scriminato, dato che la volontà è diretta
ad un fine criminoso, onde l'ECCESSO E' DOLOSO e l'agente risponderà a titolo di dolo del reato commesso.
[217] Perché il fatto non sussiste: es. violenza sessuale, reati di violenza privata, violazione di domicilio.
[218] Perché il fatto non costituisce reato.
[219] Atto volontario, espresso con volontà libera,manifestato all'esterno senza vincoli di forma, l'importante è
che la volontà sia riconoscibile, ma può essere anche consenso tacito. Il consenso deve essere attuale, cioè
deve esistere al momento del fatto; non scrimina, invece, il consenso successivo o ratifica.
[220] Cassazione, Sez.I, n.02/23599 <nell'ambito degli episodi di nonnismo non ricorre la scriminante del
consenso dell'avente diritto neanche quando il soggetto passivo abbia accettato di sottoporsi a prove di
iniziazione in quanto la manifestazione di volontà non può in nessun caso ritenersi libera da condizionamenti
in considerazione della forzata convivenza e del clima d'intimidazione creato dai militari più anziani nei
confronti dei più giovani>.
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[221] La giurisprudenza non attribuisce alcuna rilevanza al consenso presunto; ai fini dell'applicabilità art.50 è
necessario il requisito della effettività, e a nulla vale la convinzione ipotetica ed eventuale che il consenso
sarebbe stato dato se richiesto (Cass. 20 marzo 1982, n.3125). In dottrina RITZ ha individuato tre fattori
obiettivi che rendono scriminante anche il consenso presunto:
c)
la presenza di tutti i presupposti per un consenso valido;
d)
la mancanza di dissenso o di contrarie indicazioni;
e)
la contrapposizione tra due o più beni dell'avente diritto: quello prevalente da salvaguardare e quello
recessivo che viene leso.
La dottrina dominante (MANTOVANI, ALTAVILLA, PADOVANI) ammette che il consenso dell'avente diritto
crimini anche i reati colposi,. La giurisprudenza, invece sembra essere univocamente orientata ad escludere
l'applicabilità ai reati colposi della scriminante di cui all'art.50 c.p. (Cassazione, Sez.VI, n.79/671; Cass. Sez.V,
n.77/4743), sulla base del fatto che appare illogico un consenso a un fatto che si verifica perché una certa
attività è "sfuggita di mano".
[222] Cassazione Sez.II, n.88/180209 <in tema di lesioni personali il consenso dell'avente diritto ha efficacia
se viene prestato volontariamente nella piena consapevolezza delle conseguenze lesive dell'integrità pesonale
sempre che queste non si risolvano in una menomazione permanente>. Assai discusse sono le disponibilità
della libertà personale e l'ambito entro il quale può validamente consentirsi a limitazioni della stessa. In
giurisprudenza il problema si è posto con riferimento alle limitazioni alla libertà personale dei tossicodipendenti
all'interno delle comunità di recupero. Va ricordato in proposito il "Caso Muccioli" dove la sentenza di II°
grado della C/App.di Bologna ha ribaltato la tesi del Tribunale richiamandosi all'art.32 Cost. affermando che <il
consenso a determinate modalità restrittive della libertàpersonale può ritenersi valido purchè simili atti di
coazione fisica non ledano la dignità sociale dell'individuo e siano espressione di un trattamento terapeutico,
finalizzato al recupero del tossicodipendente; il superamento di questi limiti, tuttavia, può ritenersi giustificato
con il ricorso allo stato di necessità. Il consenso del tossicodipendente, inoltre, non può ritenersi revocabile
proprio perché il ricovero in Comunità mira ad impedire che il paziente, in crisi di astinenza, possa
determinarsi a fuggire dalla Comunità stessa> . In ogni caso, però, veniva affermato il principio che la
limitazione alla libertà personale non poteva essere protratta oltre il tempo necessario al recupero
dell'individuo ed attuata in modo lesivo della dignità umana.
[223] Cassazione, Sez. VI, n.99/215158 < il reato di maltrattamenti in famiglia non può essere scriminato dal
consenso dell'avente diritto sia pure affermato sulla base di opzioni sub-culturali relativi ad ordinamenti diversi
da quello italiano. Dette sub-culture infatti, ove vigenti, si porrebbero in assoluto contrasto con i principi che
stanno alla base dell'ordinamento giuridico italiano,in particolare con la garanzia dei diritti inviolabili dell'uomo
sancito dall'art.2 Cost. i quali trovano specifica considerazione in materia di diritto di famigli agli artt.29-31
Cost.>.
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[224] si escluderebbe l'antigiuridicità del fatto tipico sulla base dell'interesse e della meritevolezza sociale che
assumono le manifestazioni sportive nell'ordinamento giuridico e nella coscienza sociale. In tale ottica occorre
distinguere a seconda che vi sia stata o meno violazione delle regole del gioco e, in caso affermativo, occorre
verificare se tale violazione sia stata involontaria o volontaria. In quest'ultimo caso non vi è più spazio per la
valutazione del rischio consentito e vi sarà senz'altro la responsabilità penale.
[225] Il diritto di libertà connaturato al diritto alla salute implica il riconoscimento all'individuo della libertà di
disporre del proprio corpo, nei limiti di cui agli artt.32 Cost. e 5 C.C..Una tale libertà una una dimensione attiva
e una passiva. Il legislatore costituzionale ha invocato il rispetto della persona umana quale limite invalicabile
a qualsiasi interferenza nell'altrui sfera corporea. In ordine al fondamento di liceità e ai limiti di doverosità del
trattamento medico-chirurgico la dottrina è divisa.
B)
Il trattamento medico eseguito lege artis è lecito anche in mancanza di consenso:
1) teoria soggettiva o della mancanza di dolo (CARRARA, ALTAVILLA): mentre nelle lesioni occorre la
finalità di ledere, l'intervento chirurgico (sia con esito fausto, sia infausto) è volto a salvare la vita, migliorare le
condizioni di salute;
2)
teoria dell'azione socialmente adeguata (CATTANEO): se in seguito all'intervento la salute è
migliorata, di nulla ci si può dolere; se l'esito è infausto, comunque illecito non vi è stato poiché i vantaggi che
l'attività medico-chirurgica procura sono maggiori dei danni. Conseguentemente questi ultimi devono
considerarsi "socialmente adeguati" e pertanto l'esercizio dell'attività è lecito.
3) Teoria dell'assenza del fatto tipico e dell'alto interesse sociale connesso con la cura degli infermi
(ANTOLISEI): la prima operante in caso di esito favorevole dell'intervento, la seconda in caso di esito infausto;
C)
il trattamento medico-chiururgico è lecito solo se vi è consenso del paziente o quantomeno la
convinzione di un consenso già in atto essendo irrilevante il convincimento che un consenso sarebbe stato
prestato se richiesto:
1) teoria del consenso o dello stato di necessità: l'attività sanitaria trova giustificazione nell'art.50 c.p. se vi
è consenso reale; nell'art.54 c.p. se, in mancanza di consenso reale, vi è comunque la necessità di salvare il
paziente dal pericolo attuale di danno grave alla persona;
D)
il consenso è necessario ma non sufficiente a giustificare il fatto
1) teoria dello stato di necessità e del consenso (BETTIOL): se vi è liceità dell'intervento solo se vi sono
la necessità di ricorrervi e il consenso dell'avente diritto;
2)
teoria dello scopo riconosciuto dallo Stato (LISZT);
E) il consenso del paziente capace e cosciente è la causa di giustificazione del trattamento medico
in quanto altrimenti il medico potrebbe sostituire la propria volontà a quella dell'avente diritto in materia di diritti
personalissimi, come sono quelli della libertà, dell'integrità fisica, della salute:
1) teoria del consenso dell'avente diritto (GRISPIGNI, DELITALIA): la ragione della liceità dell'opera del
sanitario risiede nel consenso dell'avente diritto.
F)
Il trattamento medico viene scriminato dall'adempimento del dovere:
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1) teoria delle attività giuridicamente autorizzate (MANTOVANI): l'attività medica è scriminata dall'art.51
c.p..
In giurisprudenza, recentemente, s'è affermata la teoria dell'autolegittimazione: la liceità dell'attività del
medico non deriva dal consenso dell'avente diritto ma discende dal fatto che l'attività medica tutela il bene
della salute costituzionalmente garantito. Si pone quindi il problema di individuare quale sia la portata del
consenso informato all'atto medico che è pur tuttavia necessario. Il consenso informato, rendendo l'attività
medica perfettamente conforme alla legge, integra un requisito di legittimità o di liceità dell'attività stessa.
Questo infatti rappresenta l'estrinsecazione del diritto di libertà personale costituzionalmente garantito
dall'art.13 Cost.. IADECOLA ha così riassunto i cardini di tale impostazione:
1)
il fondamento della liceità penale dell'attività medico-chiururgica consiste nella sua auto-legittimazione;
2)
l'esercizio concreto di essi richiede, di norma, il consenso del paziente che deve essere validamente
prestato;
3) il consenso in questione afferisce alla libertà di autodeterminazione del soggetto e di rispetto della sua
integrità corporea;
4) l'intervento medico-arbitrario (posto in essere senza consenso o con consenso invalido) integra ipotesi di
reato contro la libertà personale o morale;
5) l'intervento chirurgico arbitrario integra ipotesi di reato contro l'incolumità individuale con imputazione a
titolo di dolo, ex art.582 c.p. - se il sanitario aveva consapevolezza e volontà di agire senza il consenso o in
presenza di consenso invalido -ovvero a titolo di colpa ex art.590 c.p. - se il sanitario era convinto per errore a
lui imputabile di agire in presenza di un consenso valido.
[226] Criteri invocabili: a) gerarchico; b) cronologico; c) di specialità.
[227] Desumibili dalla ratio e dal contenuto astratto della norma da cui promana il diritto. Es. il potere di
distruggere la cosa propria incontra come limiti intrinseci quelli fissati dall'art.423, comma 2, secondo cui è
punito chi incendia la cosa propria se dal fatto deriva pericolo per la incolumità pubblica.
[228] Si ricavano dal complesso dell'ordinamento giuridico e sono volti alla salvaguardia di quei diritti o
interessi che risultano, sulla base di un giudizio di bilanciamento, di valore uguale o maggiore di quello del cui
esercizio si discute.
[229] Si riferiscono: 1) alla competenza del superiore a emanare l'ordine; b) alla competenza dell'inferiore ad
eseguirlo; c) alla forma prescritta.
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[230] Attengono all'esistenza dei presupposti stabiliti dalla legge per l'emanazione dell'ordine.
[231] C.d. ordini illegittimi vincolanti: l'insindacabilità di siffatti ordini vincolanti è in ogni caso soltanto relativa,
nel senso che riguarda la loro legittimità sostanziale.E' invece sempre sindacabile la legalità esteriore
dell'ordine.
[232] Anche da animali o cose, soltanto se è individuabile un soggetto tenuto ad esercitare su di essi una
vigilanza.
[233] Qualsiasi interesse giuridicamente tutelato.
[234] Se è comunque ingiustificato uccidere per salvaguardare un interesse patrimoniale, può invece apparire
lecito infliggere una ferita facilmente curabile per mettere al sicuro un patrimonio di rilevantissima entità.
[235] La giurisprudenza ha di recente affermato che in presenza di una resistenza posta in essere con la fuga,
viene meno il rapporto di proporzione tra l'uso dell'arma ed il carattere non violento della resistenza opposta al
pubblico ufficiale; in tal caso, non potrà essere invocata la scriminante in questione.
[236] Non è ritenuta sufficiente una semplice necessità, ma occorre che la stessa sia IMPERIOSA E
COGENTE, tale da non lasciare, rispetto alla soccombenza, altra scelta che non sia quella di ledere il diritto
del terzo.
[237] Lo stato di necessità implica:
1) una situazione di pericolo: a) attuale; b) non volontariamente causato dall'agente; c) avente per oggetto
un danno grave alla persona;
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2)
una condotta lesiva: a) posta in essere dal soggetto che si trova in pericolo del soccorritore; b)
necessaria per salvare sé stessi o altri; c) inevitabile; d) proporzionata.
[238] Es. naufrago che per salvare sé stesso, respinge in mare il compagno che si è aggrappato alla stessa
tavola capace di sostenere una sola persona; alpinista...eccetera. Per avere legittima difesa occorre,invece,
che la situazione di pericolo non sia stata determinata volontariamente da chi invoca la legittima difesa.
L'art.52 a differenza dell'art.54 non richiede espressamente l'estremo della involontarietà del pericolo, la
giurisprudenza ha costantemente affermato l'inapplicabilità dell'esimente della legittima difesa a favore di chi si
sia messo volontariamente nella situazione di pericolo, conoscendo il rischio cui andava incontro: ingiusta è,
infatti, non già l'offesa determinata dal fatto proprio volontario, ma quella che non si è concorso a
determinare.Tenere conto che nello stato di necessità dal momento che l'azione è diretta contro un terzo
incolpevole la legge prescrive una proporzione più rigorosa rispetto alla legittima difesa: si potrà, cioè, ledere
un interesse di valore minore di quello minacciato, o al massimo di pari valore, ma mai un interesse di valore
maggiore (la condotta lesiva deve essere proporzionata al pericolo).
Mentre nella legittima difesa viene leso il diritto di un aggressore, nello stato di necessità viene leso il diritto di
un terzo innocente che non ha determinato la situazione di pericolo. Inoltre la scriminante dell'art. 54 c.p.
concerne un grave pericolo di danno grave, non volontariamente causato, lesivo di "diritti personali" laddove
invece la scriminante di cui all'art.52 c.p. è posta a tutela anche dei "diritti patrimoniali". Infine, sul piano civile,
lo stato di necessità lascia spazio all'onere di versare un equo indennizzo al soggetto pregiudicato, ex art.2043
c.c..
[239] in questo senso la "fuga" è da preferire all'offesa arrecata al terzo innocente....
[240] E' questa l'ipotesi del c.d. COSTRINGIMENTO FISICO che si verifica quando un soggetto venga
costretto da un altro soggetto a tenere un certo comportamento antigiuridico. In altri termini, colui che viene
costretto a compiere l'azione, si trova nell'alternativa di compiere l'azione stessa o di soggiacere al male
minacciato (es. automobilista che provoca un investimento perché spinto a correre sotto la minaccia di una
pistola). Il costringimento psichico consiste, appunto, in questa alternativa; per invocare la scriminante in
esame, però, occorre che la minaccia sia tale da creare nell'agente un vero e proprio stato di necessità; in ogni
caso, del fatto compiuto risponderà il minacciante.
[241] È l'insieme delle condizioni psicologiche per l'imputazione personale del fatto al suo autore. E' un
concetto che ha sostituito le vecchie locuzioni di "forza morale" e di causalità psichica", eccetera e corrisponde
alla locuzione Schuld dei tedeschi. Teorie per le quali la colpevolezza è l'elemento della fattispecie criminosa:
-
corrente psicologista: pura relazione psicologica;
corrente normativista: introduce elementi di valore (relazione psicologica normativamente valutata),
qualifica di valore: concetto di antidoverosità, concetto di riprovevolezza: dolo o colpa.
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[242] Occorre almeno che il fatto criminoso sia attribuibile all'autore almeno a titolo di "colpa": Corte Cost.
sentenze 364/88 e n.1085/88.
[243] Corte Cost. sent. 364/88 cit. "comunque si intenda la funzione rieducativa (...), essa postula almeno la
colpa dell'agente in relazione agli elementi più significativi della fattispecie tipica. Non avrebbe senso la
rieducazione di chi, non essendo almeno in colpa (rispetto al fatto), non ha certo bisogno di essere rieducato".
[244] Nella duplice versione della
a)
"colpevolezza per il carattere"
b)
"colpevolezza per la condotta di vita".
Invero l'orientamento "oggettivistico" tipico del nostro diritto penale costituzionalmente orientato, impone di
individuare il nucleo centrale del disvalore penale nel fatto offensivo di un interesse tutelato: ne discende che
anche la colpevolezza deve assumere a suo principale punto di riferimento il singolo fatto di reato cui di volta
in volta inerisce.
[245] L'autore del reato viene rimproverato e punito per quello che ha fatto, non per il suo carattere o per una
generica condotta di vita.
[246] Sulla <Importanza della pericolosità sociale nel diritto vigente> ANTOLISEI-CONTI, op.cit., pag.353
fa presente che:
1) MISURE DI SICUREZZA: anzitutto è il cardine di tutta la categoria di conseguenze giuridiche del
reato, e precisamente delle misure di sicurezza;
2) COMMISURAZIONE DELLA PENA: influisce sulla misura e sulla qualità della pena. Costituendo
una specie della capacità a delinquere, essa, quando sussiste, per il disposto dell'art.133 del codice
deve essere tenuta presente dal giudice nell'esercizio del suo potere discrezionale;
3) BENEFICI: esercita un ruolo decisivo negli istituti della sospensione condizionale della pena e del
perdono giudiziale. Tali benefici si possono concedere solo quando il giudice, in base alle circostanze
indicate nell'art.133 c.p. si presume che il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati, il che
significa che la concessione è subordinata alla mancanza di pericolosità. In sostanza lo stesso
avviene per il beneficio della liberazione condizionale e per l'applicazione delle sanzioni sostitutive
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(art.53 ss. Legge 24 novembre 1981, n.689). Del pari la pericolosità deve essere apprezzata dal giudice,
il quale neghi il c.d. patteggiamento ritenendo che la pena concordata non risponda alle finalità
dell'art.27 terzo comma Cost. Non è poi da trascurare la considerazione che varie circostanze
aggravanti del reato sono giustificate nelle relazioni che accompagnano il codice e possono
giustificarsi solo perché esprimono una maggiore pericolosità del soggetto;
4)
FORME SPECIFICHE DI PERICOLOSITA': il codice ne ha previsto e disciplinato quattro forme
specifiche: 1) LA RECIDIVA; 2) L'ABITUALITA' CRIMINOSA; 3) LA PROFESSIONALITA' DEL REATO; 4)
LA TENDENZA A DELINQUERE.
[247] In questa prospettiva la colpevolezza, intesa come un nesso psichico, è uguale per tutti i fatti, per cui non
può valere ai fini della gradazione della pena che invece deve basarsi su elementi oggettivi.
[248] Padre della concezione è Frank, in Italia abbiamo: Mantovani, Romano, Fiore, Marinucci-Dolcini.
Respinge invece in toto la categoria Pagliaro. "Dà la risposta dogmatica all'esigenza di introdurre la
valutazione delle circostanze dell'agire, del processo di motivazione, alla stregua di un canone normativo,
trasformando la consapevolezza in un giudizio di rimproverabilità per l'atteggiamento antidoveroso della
volontà".
[249] Sul piano funzionale si distingue la colpevolezza quale presupposto della responsabilità penale e
quale criterio di misura della reazione penale.
[250] "il fatto doloso è un fatto volontario che non si doveva volere
il fatto colposo è un fatto involontario che non si doveva produrre".
La teoria riesce a dare effettivamente un concetto unitario di dolo e colpa basato sul dato comune costituito
appunto dal loro rapporto di contraddizione con l'ordinamento. In entrambi i casi il soggetto ha agito in modo
difforme da come l'orientamento voleva che agisse. Così' la colpevolezza vale non solo a fondare ma anche a
graduare la punibilità essendo la volontà diversamente rimproverabile in ragione della maggiore o minore
antidoverosità.
[251] Giuridico-penale.
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[252] La pena deve compensare la colpevolezza del reo: essa è malum passionis quod infligitur ob malum
actionis (GROZIO, De jure belli).
[253] Fiandaca, Padovani, Roxin.
[254] L'imputabilità costituirebbe una qualificazione soggettiva, estranea alla teoria del reato e
rientrante, piuttosto nella teoria del reo. <Il Codice Rocco, infatti, non si occupa dell'imputabilità a
proposito dell'elemento soggettivo del reato, che è disciplinato negli artt. 42 ss., ma in sede del tutto
diversa, e precisamente nel titolo IV del libro I, che non riguarda il reato, bensì il reo>
ANTOLISEI-CONTI, op.cit., pag.180.
[255] RICOVERO IN UN OSPEDALE PSICHIATRICO GIUDIZIARIO - "Nel caso di proscioglimento per
infermità psichica, ovvero per intossicazione cronica da alcool o da sostanze stupefacenti, ovvero per
sordomutismo, è sempre ordinato il ricovero dell'imputato in un ospedale psichiatrico giudiziario, per un tempo
non inferiore a due anni; salvo che si tratti di contravvenzioni o di delitti colposi o di altri delitti per i quali la
legge stabilisce la pena pecuniaria o la reclusione per un tempo non superiore nel massimo a due anni, nei
quali casi la sentenza di proscioglimento è comunicata all'Autorità di pubblica sicurezza.".
(altri 3 commi).
[256] Minore non imputabile.
[257] GRAVITA' DEL REATO: VALUTAZIONE AGLI EFFETTI DELLA PENA.
[258] Anzi sarebbe fuori dalla colpevolezza (intesa in senso psicologico) e riguarda non il reato ma il reo:
l'imputabilità non concerne quindi l'atteggiamento della volontà,ma è uno STATUS DELLA PERSONA,
una qualificazione soggettiva: è fuori dalla colpevolezza!
[259] Esempio di scuola: se una sentinella omette di dare l'allarme perché legata ad un albero da alcuni
sediziosi, questo stato di coazione fisica, mentre esclude la volontarietà dell'omissione, lascia impregiudicata
la sua capacità di intendere e di volere.
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[260] Consiste in un modo d'essere dell'individuo, uno status della persona, che deve sussistere nel momento
in cui il soggetto commette il reato.
[261] Il moderno diritto penale assume la libertà del volere non come un dato ontologico ma come contenuto di
una aspettativa giuridico-sociale.
[262] I destinatari della sanzione devono essere psicologicamente in grado di lasciarsi motivare dalla
minaccia della pena.
[263] Insieme dei requisiti bio-psicologici, attributi, attitudini, ecc.
[264] in un secondo tempo il legislatore fissa le condizioni di rilevanza giuridica dei dati forniti.
[265] L'imputabilità difetta se manca anche una sola capacità.
[266] Condizioni di natura fisiologica o parafisiologica.
<si discute se nell'ambito delle stesse sia ammissibile il procedimento analogico. Non siamo per la tesi
affermativa, perché le norme che le disciplinano non sono né incriminatici, né eccezionali, ma costituiscono
semplicemente l'applicazione del criterio generale sancito dall'art.85. Pertanto, per esempio, riteniamo che
debba considerarsi incapace penalmente il selvaggio il quale venga all'improvviso portato a contatto con la
nostra civiltà, per quanto non esista una norma espressa che preveda la qualità di essere primitivo come
causa escludente l'imputabilità> ANTOLISEI-CONTI, op.cit., pag.334.
[267] Es. soggetti non malati di mente in senso stretto, che nondimeno presentano uno sviluppo intellettuale
gravemente deficitario (soggetti tenuti in segregazione fin dall'infanzia, ovvero cresciuti in totale isolamento
socio-culturale,c.d. uomini lupo, ecc.).
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[268] Opportuno complemento sanzionatorio art.222 c.p. e ai sensi art. 224, comma 1, C.P. ai minori
infraquattordicenni autori di delitti, ove riconosciuti socialmente pericolosi, il giudice può applicare le misure di
sicurezza del riformatorio giudiziario o della libertà vigilata.
Ai sensi dell'art.36 D.P.R. n.448/1988, la misura di sicurezza del riformatorio giudiziario - comunque eseguita
nelle forme del collocamento in comunità - è applicabile soltanto in relazione ai delitti per i quali la legge
stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel massimo a nove anni.
[269] MINORE DEGLI ANNI DICIOTTO.
[270] Relativa perché la capacità è esclusa o diminuita in presenza del vizio totale o parziale di mente o delle
altre cause legislativamente previste.
[271] Non infermità mentale.
[272] Si parla infatti genericamente di "infermità" non di "infermità mentale": il vizio di mente deve essere
conseguenza di una malattia.
[273] Indirizzo minoritario anni '60 e '70: al di là delle classificazioni medico-nosografiche. Sono disarmonie
della personalità, che in presenza di condizioni di particolare gravità, bloccano le controspinte inibitorie del
soggetto e gli impediscono di rispondere in maniera critica agli stimoli esterni: esempio tipiche sono le c.d.
reazioni a corto circuito. (Cass. 07 giugno 2002, n.22467).
[274] onde evitare un'eccessiva indulgenza giudiziaria.
[275] Vedi art.62, nn.2 e 3.
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[276] Comporta diminuzione di pena, eccetera.
[277] VIZIO PARZIALE E ACCERTAMENTO DEL DOLO. Una volta accertato l'elemento intenzionale del
reato, risultante dalla VOLONTA' DELL'AGENTE e dalla RAPPRESENTAZIONE DELL'EVENTO da parte
del medesimo, il giudice non è tenuto ad alcuna particolare indagine sul dolo, che non resta escluso dal VIZIO
PARZIALE DI MENTE: infatti, mentre quest'ultimo attiene alla IMPUTABILITA' DEL SOGGETTO, il DOLO
rappresenta la volontà del soggetto diretta verso l'evento ed appartiene alla STRUTTURA DEL REATO, di cui
costituisce ELEMENTO ATTUALE ED OPERANTE e attiene alla COLPEVOLEZZA, la cui analisi presuppone
il superamento logico di quella sulla IMPUTABILITA' e non può essere ulteriormente influenzata da
quest'ultima, neppure nell'ipotesi di ridotta capacità di intendere e di volere (Cass. 24/01/1986).
[278] <bisogna distinguere se sia o no piena, e cioè se la perturbazione elimi la capacità d'intendere e di
volere, oppure la diminuisca grandemente, senza escluderla. Nel primo caso l'agente non è imputabile e,
quindi, viene prosciolto; nel secondo fruisce di una diminuzione di pena> ANTOLISEI-CONTI, op.cit., pag.341.
[279] Costituisce applicazione del principio stabilito nell'art.87, onde valgono per essa ubriachezza preordinata
le stesse considerazioni. Va però sottolineato il fatto che rispetto all'art.87 l'ubriachezza preordinata assume il
valore di CIRCOSTANZA AGGRAVANTE.
[280] il dolo dell'ubriaco equivale ad impulso psicologico volontario, a volontà cieca, non a quella volontà
veramente "consapevole" che integra il dolo autentico; allo stesso modo, la "colpa" dell'ubriaco si ridurrà a
mera violazione di una misura oggettiva del dovere di diligenza.
[281] Si parla di FINZIONE GIURIDICA DI IMPUTABILITA' perché il legislatore equipara l'ubriachezza
volontaria o colposa alla piena capacità di intendere e di volere. Essa risponde all'esigenza che possa andare
esente da pena il soggetto che si trova in uno stato di incapacità di intendere e di volere per fatto a lui
imputabile. L'ubriachezza preordinata si fonda, invece, sul principio delle ACTIONES LIBERAE IN CAUSA (v.
art.87). Essendo l'ubriaco VOLONTARIO O COLPOSO un soggetto pienamente capace, NON OPERA LA
DISTINZIONE TRA UBRIACHEZZA PARZIALE ED UBRIACHEZZA TOTALE (che invece rileva solo quando
l'ebbrietà derivi da caso fortuito o da forza maggiore).
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[282] Bisogna vedere se l'ubriaco doloso o colposo è totalmente incapace: non c'è dolo intenzionale, ma
solo eventuale (se c'è accettazione di rischio) o colpa. Incapacità parziale: può esserci dolo intenzionale, nel
momento in cui si accerti che nel momento del fatto esisteva la capacità di valore del fatto.
Per ANTOLISEI-CONTI, op.cit.,pag.342 <Chi respinge queste soluzioni dirette a mitigare il rigore dell'art.92
deve concludere,con la prevalente giurisprudenza, nel senso ordinario: cioè per il dolo se il soggetto, nel
momento del fatto lo ha voluto e per la colpa se egli ha agito per imprudenza, negligenza, ecc...., non
potendosi non tener conto di atteggiamenti psichici che l'esperienza riconosce riferibile anche agli ubriachi>.
[283] Doppione art.87 c.p.
[284] UBRIACHEZZA ABITUALE - "Quando il reato è commesso in stato di ubriachezza, e questa è abituale,
la pena è aumentata.
Agli effetti della legge penale, è considerato ubriaco abituale chi è dedito all'uso di bevande alcoliche e in stato
frequente di ubriachezza.
L'aggravamento di pena stabilita nella prima parte di questo articolo si applica anche quando il reato è
commesso sotto l'azione di sostanze stupefacenti da chi è dedito all'uso di tali sostanze.".
[285] Consuetudine di....
[286] L'ubriachezza abituale (art.94) postula il carattere TRANSEUNTE dei fenomeni tossici che sono
assenti negli intervalli di astinenza, durante i quali il soggetto riacquista la capacità d'intendere e di volere (v.
art.85); al contrario, nell'intossicazione cronica i fenomeni tossici sono STABILI (è costante irreversibile),
persistendo anche dopo l'eliminazione dell'alcool assunto, sicchè la capacità del soggetto può essere
permanentemente esclusa o grandemente scemata. Ne costituiscono esempi tipici il DELIRIUM TREMENS, la
psicosi alcolica di Korsakoff e la paranoia alcolica. Gli artt.94 e 95 c.p. prevedono un trattamento differenziato
tra intossicazione (da alcool o droga) cronica e abituale: nel primo caso non c'è imputazione; per la seconda
ipotesi scattano gli aumenti di pena. Con la sentenza 114/98 la Corte Cost. ha ribadito la legittimità
costituzionale degli artt.94 e 95 c.p. pur ammettendo che la distinzione tra consumo abituale e cronicità non
trova nella dottrina psichiatrica e medico-legale una base sicura. Per la Consulta, in realtà, si tratta di ipotesi
concettualmente chiare, anche se non sempre di agevole diagnosi.
[287] il soggetto si pone in stato di incapacità al fine di commettere un reato o di procurarsi una scusa.
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[288] Secondo cui l'imputabilità deve sussistere "al momento" della commissione del reato. Il TITOLO
DELLA RESPONSABILITA' nel caso delle ACTIONES LIBERAE IN CAUSA, va accertato con riferimento
al caso concreto, per cui:
a)
il FATTO PROGRAMMATO omogeneo al FATTO REALIZZATO (proprio quello voluto dall'agente) nelle
modalità e sviluppo causale DOLO;
b) se tale omogeneità non sussiste, l'agente può essere chiamato a titolo di preterintenzione o di colpa, a
seconda.
Se in quel momento c'era una totale incapacità di intendere e di volere sarà esclusa ogni forma di
responsabilità per DOLO INTENZIONALE (che esige la precisa e costante volontà, oltre che
rappresentazione, di realizzare un evento determinato). Il DOLO EVENTUALE può essre anticipato al
momento dello stato di incapacità: lì prevedo, stabilisco e ragiono sull'indifferenza o sulla capacità di
dominio di ciò che si verificherà dopo: se in quel momento accetto sono indifferente all'evento, sarò
responsabile a titolo di dolo eventuale. INCAPACITA' PARZIALE: spazio per dolo intenzionale. Se
neanche quella possibilità è stata accettata con indifferenza: COLPA (esempio si è accettato o non
accettato con indifferenza il rischio di guidare la macchina in stato di ebbrezza al momento di porsi
nello stato di ubriachezza?).
[289] <Dall'azione <<non libera>> si risalirebbe all'azione <<libera>> che l'ha preceduta e la
responsabilità troverebbe la giustificazione nel principio dell'equivalenza delle condizioni (causa
causae est causa causati). Questa spiegazione dell'ipotesi contemplata nell'art.87 del codice,a nostro
parere, non è cheun vecchio bagaglio che una parte della dottrina citata si trascina appresso per pura
abitudine. Essa non resiste ad un esame critico che vada oltre la superficie, giacchè non è vero che
nelle actiones liberae in causa si punisca una condotta precedente all'esecuzione del reato. Colui che
si ubriaca per porsi in condizione di commettere un delitto, nel momento in cui si procura l'ebrietà
comincia già ad eseguire il delitto stesso. L'esecuzione del reato, invero, non è costituita soltanto dalla
attività che concreta immediatamente il fatto previsto nella norma incriminatrice, ma da qualsiasi atto
esterno che sia diretto allo scopo di realizzarlo. Chi dubitasse di ciò rifletta che risponde del reato non
solo colui che per commetterlo si serve di un animale (..) ma anche l'individuo che si serve di un'altra
persona traendola in inganno (art.48 cpv), oppure mettendola in stato di incapacità come nella ipotesi
contemplata nell'art.86, che testè abbiamo commentato. Il caso delle actiones liberae in causa è del
tutto analogo a quest'ultimo, con la sola differenza che l'agente, invece di servirsi di un'altra persona,
si serve di se stesso. In fondo egli rende se medesimo strumento del piano delittuoso>
ANTOLISEI-CONTI, op.cit., pag.333.
[290] Altrimenti si creerebbe una frattura tale da recidere la necessaria corrispondenza tra fatto e
colpevolezza.
[291] In quanto indicano le componenti che caratterizzano il dolo come fenomeno psicologico.
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[292] Come sopra.
[293] In dottrina si è ritenuto che il termine evento non va inteso nel senso di risultato naturale della condotta,
ma nel senso di offesa, cioè di lesione o messa in pericolo dell'interesse protetto dal diritto, come tale
presente in ogni reato sia di evento che di pura condotta. Di conseguenza per l'esistenza del dolo non
basterebbe che l'agente abbia voluto il fatto materiale ma occorrerebbe altresì che il soggetto abbia
previsto e voluto la lesione dell'interesse alla cui tutela è diretta la norma incriminatrice. Alla base di
questo assunto si porta la rilettura dell'art.43, comma primo, in collegamento con l'art.49,comma secondo c.p.
(reato impossibile <La punibilità è altresì esclusa quando, per la inidoneità dell'azione o per l'inesistenza
dell'oggetto di essa, è impossibile l'evento dannoso o pericoloso>) reinterpretato nell'ottica della concezione
realistica dell'illecito penale fondata sulla figura del reato impossibile. Cioè, come l'art.49 assolverebbe la
funzione di integrare la tipicità formale del fatto con il principio di necessaria lesività, l'art.43 ne
costituirebbe l'espressione dal punto di vista soggettivo: esso infatti imperniando la definizione del dolo
nella rappresentazione e volizione dell'evento dannoso o pericoloso, inteso in senso giuridico come lesione o
messa in pericolo dell'ìnteresse protetto, richiederebbe il riflesso di tale lesione nella psiche del reo. Ma
critiche:
dal p.d.v. esegetico si rileva che l'art.43 non può riferirsi al c.d. evento in senso giuridico perché la
formula usata dal legislatore non differisce sostanzialmente da quella usata dall'art.40 che regolando il nesso
di causalità materiale sicuramente si riferisce all'evento naturalistico quale risultato della condotta;
dal p.d.v. della capacità della teoria a risolvere i problemi connessi a tutta una serie di reati si argomenta
che l'oggetto giuridico del reato non sempre è facilmente individuabile: che a volte i reati si presentano come
plurioffensivi e che, sul piano della teoria generale, il fatto coincide con l'offesa per cui questa non può
considerarsi un quid distinto eziologicamente connesso ad esso. Inoltre ciò porterebbe a richiedere la prova
che oltre all'evento naturalistico si è verificato anche l'evento giuridico e che questo fosse conosciuto e voluto
dal soggetto, andandosi così incontro a una vera e propria probatio diabolica.
Ma, a prescindere dal fatto che la tesi in esame è legata ad una particolare lettura dell'art.49, comma secondo
tutt'altro che pacifica in dottrina, essa manifesta il suo punto debole soprattutto in relazione ai reati di pura
creazione legislativa che sono privi di un disvalore percepibile dalla coscienza sociale, di un contenuto
offensivo evidente. Orbene, richiedere qui la conoscenza dell'offesa all'interesse protetto, significa chiedere la
conoscenza della valutazione negativa da parte dell'ordinamento e cioè la conoscenza della norma penale, in
contrasto con il dettato dell'art.5 c.p. secondo il quale l'ignoranza sucabile della legge non scusa. In ogni caso
a prescindere da questi problemi va detto che oggetto del dolo non è solo l'evento, ma il FATTO
TIPICO COSTITUTIVO DEL REATO, il complesso cioè di tutti gli elementi obiettivi della fattispecie
criminosa meno quelli la cui rilevanza è esclusa ai fini di una imputazione a titolo di dolo come per es.
le condizioni obiettive di punibilità. (così nel Manuale di diritto penale, Simone editore, 2003,
pagg.201-202).
[294] Volontà ha ad oggetto soltanto il movimento corporeo dell'uomo, mentre le modificazioni del mondo
esterno sono provocate dalla condotta che è costituita solo oggetto di rappresentazione mentale anticipata.
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L'accoglimento di questa teoria farebbe ricomprendere nell'ambito del dolo anche la colpa cosciente.
[295] Il dolo è coscienza e volontà sia del fatto costitutivo che dell'evento tipico. Tale nozione ricomprende
anche il dolo eventuale ma non la colpa cosciente.
[296] Circostanze antecedenti o concomitanti.
[297] Consapevolezza dell'antidoverosità (conoscibilità come requisito minimo della portata del diritto,
vedi art.5 c.p. è antigiuridicità in senso laico, sostanziale.
[298] O coscienza o conoscenza o previsione.
[299] <a costituire il dolo concorrono due componenti:
1)
la rappresentazione, e cioè la visione anticipata del fatto che costituisce il reato (momento
conoscitivo o intellettuale);
2) la risoluzione, seguita da uno sforzo del volere diretto alla realizzazione del fatto rappresentato
(momento volitivo).
Il secondo momento presenta una certa complessità. La sola risoluzione non basta, perché è un fatto
puramente interno: occorre, quindi, che alla risoluzione consegua un conato cosciente destinato
all'attuazione di essa> ANTOLISEI-CONTI, op.cit., pag.189.
[300] O con previsione dell'evento che ricorre quando l'agente ha previsto l'evento, senza averlo voluto, confini
con il DOLO EVENTUALE, se ne distingue perché il reo agisce con la sicura fiducia che l'evento previsto
come possibile non si avvererà (previsione è circostanza aggravante del delitto colposo art.61, n.3) COLPA
INCOSCIENTE O SENZA PREVISIONE quando l'agente agisce con imprudenza o negligenza o imperizia
violando le norme cautelari,ma NON prevede di causare con la sua condotta un evento antigiuridico.
[301] Es. se un cacciatore ritiene che dietro un cespuglio che si muove vi sia una lepre, quindi spara e colpisce
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invece un uomo che ivi si trovava nascosto, non potrà essere imputato di omicidio doloso in quanto NON SI
ERA "RAPPRESENTATO" lo sparare contro un essere umano.
[302] Esemplificando: l'autore della corruzione di minorenne di cui all'esempio precedente agirà con dolo se,
pur non riflettendo attualmente sulla età della persona offesa, era da tempo a conoscenza di tale dato. Non
così, invece, ad es. se il corruttore, ignaro dell'età del soggetto passivo, per stabilirla dovesse logicamente
desumerla da circostanze indizianti a lui note (ad es. l'età dei soggetti solitamente frequentati dal soggetto
passivo, la libertà da controlli familiari, ecc.) (v. tuttavia l'art.609-sexies del codice, che riproponendo un limite
alla rilevanza dell'error aetatis quando il soggetto passivo di un reato sessuale è un minore degli anni
quattordici, introduce una discutibile finzione di colpevolezza).
[303] Abbraccia anche tutti gli altri elementi del fatto diversi dalla condotta. La VOLIZIONE da parte
dell'agente SIA DELLA CONDOTTA CHE DELL'EVENTO. Sicchè, ad esempio, se a Tizio cade una pistola
da mano e parte un colpo che colpisce Caio, egli non potrà essere imputato di lesioni volontarie (dolose)
perché non ha avuto volontà della condotta (premere il grilletto).
OGGETTO DEL DOLO: il fatto tipico o costitutivo di reato: l'agente doloso si rappresenta il complesso
di tutti gli elementi necessari e sufficienti a fondare la corrispondenza del fatto realizzato alla
fattispecie criminosa.
CONDOTTA TIPICA, EVENTO NATURALISTICO, CIRCOSTANZE ANTECEDENTI O CONCOMITANTI
TIPIZZATE DALLA LEGGE.
[304] Che costituisce la ragione che ha indotto il soggetto ad agire: indifferente per l'ordinamento. Il MOVENTE
è la causa psichica della condotta umana e costituisce lo stimolo che ha indotto l'individuo ad agire; esso va
distinto dal DOLO, che è l'elemento costitutivo del reato e riguarda la sfera della rappresentazione e volizione
dell'evento: Cass. 11 novembre 1993.
[305] Ne deriva che l'eventuale venir meno della volontà in senso strettamente psicologico è privo di rilevanza,
ove l'agente non sia più in grado di incidere sullo svolgimento degli accadimenti: es. risponde di omicidio
colposo anche chi non desideri più la strage nel momento in cui la bomba a orologeria scoppia, purchè voluta
risulti la collocazione dell'ordigno nella sala d'attesa di una stazione.
[306] Il soggetto decide all'istante, improvvisamente, di commettere il delitto, senza nessun intervallo tra
momento ideativo e momento esecutivo.
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[307] Trascorre un considerevole lasso di tempo tra il sorgere dell'idea criminosa e la concreta attuazione, tra
la decisione e l'attuazione della condotta criminosa.
[308] Che costituisce circostanza aggravante dei delitti contro l'integrità fisica e la vita. Abbandonata la teoria
classica secondo la quale vi è premeditazione quando il soggetto agisce "frigido pacatoque animo"(freddezza
d'animo:CARRARA o macchinazione ANTOLISEI), essa (oggi) richiede il concorso di due elementi:
1) cronologico: consistente in un apprezzabile intervallo di tempo tra la risoluzione criminosa e l'azione,
intervallo che consente al soggetto di riflettere sulla decisione presa e di recedere dal proposito criminoso: la
circostanza che,nonostante ciò il soggetto porti comunque a termine il suo proposito, senza che i motivi
inibitori riescano a prevalere su quelli a delinquere, dimostra una maggiore capacità criminale dell'agente;
2)
psicologico: consiste nel perdurare nell'animo del soggetto, senza soluzione di continuità, di una
risoluzione criminosa irrevocabile chiusa ad ogni motivo di resipiscenza.
La premeditazione è una "species" del dolo di proposito (BETTIOL, MANTOVANI, FIANDACA-MUSCO).
Si tenga presente quindi la distinzione fra il DOLO D'IMPETO e il DOLO DI PROPOSITO.
[309] Es. reato di inosservanza del provvedimento del giudice che reprime la condotta antisindacale ex art.28,
comma 4°, dello Statuto dei lavoratori. Sono soprattutto nella legislazione extracodicistica.
[310] - ERRORE DI FATTO - "L'errore sul fatto che costituisce il reato esclude la punibilità dell'agente.
Nondimeno, se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa, quando il fatto è
preveduto dalla legge come delitto colposo.
L'errore sul fatto che costituisce un determinato reato non esclude la punibilità per un reato
diverso.
L'errore su una legge diversa dalla legge penale esclude la punibilità, quando ha cagionato un
errore sul fatto che costituisce il reato".
[311] Nelle quali cioè la stessa norma incriminatrice esige che il fatto sia realizzato "abusivamente",
"illegittimamente", "indebitamente".
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[312] Fuori dai casi di ignoranza inevitabile-scusabile che però interessano la problematica della colpevolezza
non del dolo.
[313] L'evento conseguito risponde a quello voluto e rappresentatosi all'agente.
[314] Es. un terrorista, per sequestrare un uomo politico, è costretto a sparare contro gli uomini della scorta
che proteggono con la quasi certezza di provocarne la morte. Rientra anche il dolo "indiretto" in cui l'evento
lesivo rappresenta una conseguenza accessoria necessariamente (o assai probabilmente) connessa alla
realizzazione volontaria del fatto principale: caso Brema 1875 Sig. Thomas per intascare premio assicurazione
fece esplodere un suo battello, essendo certo che ne sarebbe conseguita la morte dell'intero equipaggio.
Quando la realizzazione del reato non è l'obiettivo che dà causa alla condotta, ma costituisce soltanto uno
strumento necessario perché l'agente realizzi lo scopo perseguito.
[315] Vedi differenza con il tentativo.
<La giurisprudenza non ha esitato a fare una applicazione assai ampia del dolo eventuale (detto anche
<indiretto>), cui ha finito coll'aderire la maggior parte della dottrina, a ciò spinta anche dalle moderne
teorie che privilegiano il momento della condotta rischiosa> ANTOLISEI-CONTI, op.cit., pag.191.
[316] L'agente non causa intenzionalmente un fatto, ma "consente" al suo verificarsi; egli cioè pur
PREVEDENDO come conseguenza possibile o probabile della propria condotta e PERMANENDO NELLA
CONVINZIONE o anche solo nel dubbio che l'evento medesimo possa concretamente verificarsi, ugualmente
DECIDE DI AGIRE, ACCETTANDO COSI' IL RISCHIO DELL'EVENTO egli decide di agire, anche A COSTO
DI DETERMINARE L'EVENTO (ANTOLISEI).
[317] Vedi c.d. formula di Frank: per accertare il "consenso" accertamento ipotetico: il dolo eventuale
sussiste quando è presumibile che il soggetto avrebbe ugualmente agito anche se si fosse rappresentato
l'evento lesivo come certamente connesso alla sua azione è un correttivo dell'indifferenza (scelta: accettazione
del rischio): il risultato della condotta, pur rappresentato, non è stato dal soggetto agente intenzionalmente o
direttamente voluto.L'evento è previsto ma non è voluto quando il colpevole riteneva di poterlo evitare,
confidando nelle sue capacità: tanto (cioè il fare affidamento sulla capacità obiettiva di poter e saper evitare
l'evento) rende NON volontario l'evento: ma allora naufraga per intero l'accettazione del rischio perché non si
elimina l'indifferenza! Vedi esempio del lanciatore di coltelli (l'agente confida nelle proprie capacità e abilità
quindi elimina la volontà: ma io, con la mia capacità, sarei indifferente alla produzione della morte?).
VOLONTA'=CONSENSO
CONSENSO= INDIFFERENZA
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[318] Difficoltà per l'accertamento in sede processuale, nella pratica è perciò inevitabile il ricorso a generali
regole di esperienza: il dolo eventuale sarà di regola da escludere nel caso di rischi lievi e ordinari, mentre
sarà da affermare in presenza di rischi gravi e tipici.
[319] Il DOLO EVENTUALE si differenzia dal DOLO DIRETTO DI SECONDO GRADO in quanto il primo è
caratterizzato dalla POSSIBILITA', mentre il secondo dalla PROBABILITA' del verificarsi dell'evento
delittuoso come effetto secondario della volontà dell'autore.
[320] Es. ferimento o morte della vittima.
[321] È sufficiente che sia VOLUTO IL FATTO descritto dalla norma incriminatrice (es. omicidio): cioè è
sufficiente la coscienza e la volontà del fatto, non occorre indagare sul fine perseguito dall'agente.
[322] Non basta ai fini della punibilità , che nel delitto di associazione per delinquere la volontà di associarsi,
occorre altresì che gli associati perseguano lo scopo di commettere delitti, ma non è necessario che i delitti
programmati vengano realmente compiuti. Il motivo della condotta, oggettivamente illecita, non è di norma
rilevante ai fini dell'esclusione dell'antigiuridicità penale, ma assume valore di elemento costitutivo del reato
quando la fattispecie legale assume il motivo quale dolo specifico (Cass. 12 giugno 1986).
[323] Esempio il furto come sottrazione della cosa mobile altrui potrebbe in teoria essere punito anche senza il
fine di trarre profitto.
[324] Ad esempio il fatto di associarsi sarebbe lecito senza il fine di commettere delitti;
[325] ad esempio, il diverso scopo perseguito distingue il delitto di sequestro di persona a scopo di terrorismo
o di eversione da quello a scopo di estorsione.
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[326] Cioè del dolo racchiuso nel fatto materiale della condotta solo perché questa è stata posta in essere:
Franco BRICOLA è contro questa impostazione: dolo significa non solo volere la condotta, ma pure l'evento
(che non è racchiuso nella condotta).
[327] CAUSE DI ESCLUSIONE DELLA COLPEVOLEZZA O SCUSANTI sono:
1)
lo stato di necessità scusante (o cogente) e la coazione morale;
2)
l'ordine criminoso insindacabile della Pubblica Autorità;
3)
l'ignoranza (o errore) inevitabile-scusabile della legge penale, a seguito della sentenza Corte Cost.
364/1988.
[328] Es. credo che la piantina che sto coltivando sia ornamentale, invece trattasi di droga (errore di fatto).
[329] Es. so che le pasticche che detengo sono "roipnol", ma non sapevo che fossero inserite nell'elenco delle
sostanze stupefacenti la cui detenzione è vietata (errore di diritto).
[330] Ad es. se Tizio, mal interpretando una sentenza di separazione e ritenendo che si tratti di divorzio,
contrae un nuovo matrimonio, potrà non rispondere del delitto di bigamia in quanto, errando sulla circostanza
fattuale del suo stato libero, difetta il dolo del delitto di bigamia (art.556).
[331] nell'esempio fatto, la errata valutazione del contenuto di una sentenza induce a ritenere lo stato libero di
uno dei nubendi, che invece è ancora coniugato.
[332] Ad esempio nel delitto di furto, elemento normativo è l'altruità della cosa mobile: sicchè se Tizio si
appropria della cosa ritenendola sua, verte in un errore su un elemento normativo della fattispecie, che
esclude il dolo.
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[333] Ad esempio se Tizio è a conoscenza di essere già legato da altro vincolo matrimoniale, ma essendo egli
di culto acattolico, ritiene che può contrarre egualmente nuovo matrimonio, in tal caso risponderà di bigamia
(art.556), avendo egli commesso un fatto ben avendo a conoscenza della reale situazione di fatto, ma errando
solo nel ritenere che il suo comportamento è lecito.
[334] Es. un venditore ambulante tunisino , residente in Francia, trasporta per un breve tratto nel territorio
italiano una carabina ad aria compressa, senza rendersi conto che il fatto costituisce reato, perché
nell'ordinamento francese la vendita di fucili ad aria compressa è libera e priva di formalità.
[335] Es. Tizio erra nell'interpretazione della legge civile che disciplina il matrimonio, se questo errore incide
sulla sua consapevolezza di compiere un fatto conforme al delitto di bigamia. Oppure Caio errando
nell'interpretazione delle norme civili sulla proprietà, si impossessa di una cosa che ritiene res nullius e perciò
non è consapevole di sottrarla arbitrariamente, ecc.
[336] "L'errore su una legge diversa dalla legge penale esclude la punibilità, quando ha cagionato un errore sul
fatto che costituisce il reato".
[337] ERRORE-MOTIVO:
1) ERRORE DI FATTO: SUL FATTO art.47/1° comma ("L'errore sul fatto che costituisce il reato esclude la
punibilità dell'agente. Non di meno,se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa,
quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo") e art. 59/4° comma (" Se l'agente ritiene per
errore che esistano circostanze di esclusione della pena, queste sono sempre valutate a favore di lui. Tuttavia,
se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa, quando il fatto è preveduto dalla legge
come delitto colposo") o se legge extrapenale art.47/3° ("L'errore su una legge diversa dalla legge penale
esclude la punibilità, quando ha cagionato un errore sul fatto che costituisce il reato").
No natura ma distinzione effetti psicologici, nell'oggetto finale dell'errore
2) ERRORE DI DIRITTO: SUL PRECETTO: art.5 c.p.
[338] es. Tizio si impossessa di una bicicletta di un altro senza accorgersi di rubarla perché identica per forma
e colore alla sua.
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[339] Es. violenza privata piuttosto che resistenza a pubblico ufficiale.
[340] Art.60.
[341] colpa.
[342] es.A afflitto da mania di persecuzione, uccide B perché così ritiene di difendersi dal presunto
persecutore. Sennò si rende inapplicabile la misura di sicurezza nei casi in cui il soggetto, a causa della sua
malattia, può risultare socialmente pericoloso.Ciò non vuol dire che l'agente risponderà del reato ma,
rimanendo l'errore assorbito dallo stato di non imputabilità, al proscioglimento del soggetto agente si
accompagnerà l'applicazione nei suoi confronti di una misura di sicurezza, resa necessaria dalla sua
pericolosità sociale.
[343] L'errore incondizionato (cioè non dipendente da infermità mentale) potendo essere commesso anche
dalla persona capace, comporterà invece l'esclusione della punibilità nei termini di cui all'art.47 c.p.
[344] - EVENTO DIVERSO DA QUELLO VOLUTO DALL'AGENTE - "Fuori dei casi preveduti dall'articolo
precedente, se per errore nell'uso dei mezzi di esecuzione del reato, o per un'altra causa, si cagiona un
evento diverso da quello voluto il colpevole risponde, a titolo di colpa, dell'evento non voluto, quando il fatto è
preveduto dalla legge come delitto colposo.
Se il colpevole ha cagionato altresì l'evento voluto, si applicano le regole sul concorso di reati".
[345] Questo errore si dice essenziale e produce l'effetto indicato nel codice in quanto l'ignoranza di uno degli
elementi costitutivi del reato fa venir meno il dolo, perché questa forma dell'elemento psichico, oltre alla
volontà dell'azione (od omissione) e dell'evento, esige la conoscenza di tutti gli altri elementi che costituiscono
il reato.
[346] Ad es., che il cacciatore ha scambiato l'uomo ucciso per un animale; che il viaggiatore ha confuso il
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proprio bagaglio con quello di un altro uomo; che il falso testimone era convinto di riferire la verità; che il
detentore di banconote false era persuaso della loro genuinità, e così via dicendo.
[347] E responsabilità oggettiva come se fosse colpa!
[348] Si parla anche di errore improprio in quanto l'effetto cui la legge si riferisce non dipende dalla
falsa rappresentazione, es. chi, commettendo adulterio, creda che esso sia ancora oggi punibile (reato
putativo per errore di diritto) o di chi sottragga una cosa mobile propria ritenendola altrui (reato
putativo per errore di fatto). <In questi casi, la non punibilità deriva dalla circostanza che il fatto
commesso non è tipico, enon già dall'errore in cui versa l'agente, che la legge considera al solo fine di
ribadire che gli atteggiamenti soggettivi non possono supplire alla carenza di previsione legislativa.
Costituisce invece ipotesi di errore proprio, l'errore sul fatto disciplinato dall'art.47 c.p. (nel caso di
chi, ad es., sottragga una cosa altrui ritenendola propria, la non punibilità deriva esclusivamente dalla
falsa rappresentazione)> così PADOVANI, op.cit., pag.210.
[349] - REATO SUPPOSTO ERRONEAMENTE E REATO IMPOSSIBILE - "Non è punibile chi commette
un fatto non costituente reato, nella supposizione erronea che esso costituisca reato.
La punibilità è altresì esclusa quando, per la inidoneità dell'azione o per la inesistenza dell'oggetto
di essa, è impossibile l'evento dannoso o pericoloso.
Nei casi preveduti dalle disposizioni precedenti, se concorrono nel fatto gli elementi costitutivi di
un reato diverso, si applica la pena stabilita per il reato effettivamente commesso.
Nel caso indicato nel primo capoverso, il giudice può ordinare che l'imputato prosciolto sia
sottoposto a misura di sicurezza.".
[350] Così, ad es., l'errore di chi ritenga di essere ancora proprietario della cosa mobile che in realtà è
stata legittimamente acquisita da altri, incidendo sull'altruità, ricade sul fatto del furto (art.47/3° c.p.),
mentre l'errore di chi ritenga di potersi impossessare della sabbia del mare, come forma di
utilizzazione consentita del bene demaniale, ricade sul divieto di furto (art.5 c.p.).L'alternativa
comportava, un tempo, soluzioni drasticamente differenziate: l'errore SUL FATTO è infati sempre
preclusivo del dolo, e lascia sussistere un'eventuale responsabilità colposa nei soli casi in cui il fatto
sia punibile anche a tale titolo; l'errore SUL DIVIETO, prima che la Corte Costituzionale dichiarasse la
parziale illegittimità dell'art.5 c.p. era sempre e comunque privo di efficacia scusante. Dopo l'intervento
manipolatorio della Corte Costituzionale, in forza del quale l'errore sul divieto scusa quando sia
"inevitabile",l'alternativa ermeneutica ha attenuato la sua drasticità, ma è pur sempre molto
significativa: l'errore SUL DIVIETO non rileva di per sé, (e cioè in quanto sussista), come invece
l'errore SUL FATTO, ma soltanto a condizione che non sia rimproverabile all'agente (secondo un
parametro di esigibilità parzialmente affine a quello della colpa). Perciò, riconoscere che un errore
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sulla legge extrapenale si risolve in un errore sul fatto comporta automaticamente l'esclusione del
dolo; rilevare invece ch'esso consiste in un errore sul divieto non soltanto non esclude il dolo, ma
qualora si tratti di errore <<evitabile>> implica la responsabilità del soggetto (ovviamente a titolo di
dolo, se con dolo egli ha commesso il fatto).
[351] Vedi PADOVANI, op.cit.,pag.212.
[352] Così, ad es., l'errore del neofita musulmano che ritenga di poter contrarre in Italia un secondo
matrimonio oltre al pirmo, sempre valido, in forza dei diritti di libertà religiosa (art.8 Cost.), è un errore sul
divieto: il neofita vuole esattamente ciò che l'art.556 c.p. proibisce (e cioè la bigamia); soltanto suppone
permesso ciò che è in realtà proibito. Cade invece sul fatto l'errore di chi si risposi attribuendo ad una
sentenza straniera di divorzio, non delibata in Italia, l'efficacia di far cessare gli effetti del suo primo
matrimonio: quindi non si rappresenta un fatto corrispondente a quello previsto dall'art.556 c.p .
Analogamente, è errore sul fatto del furto quello di chi suppone la sua proprietà sulla cosa in base ad un titolo
inefficace erroneamente valutato (il soggetto non intende impossessarsi di una cosa "altrui"), mentre è errore
sul divieto di furto quello di chi ritenga di poter cogliere i frutti del fondo altrui qualora il proprietario non vi
provveda a sua volta (il soggetto vuole far propria una cosa d'altri).
[353] Ad.es. nel caso di uno straniero da poco giunto nel nostro Paese che non attribuisca all'incesto la portata
riconosciutagli dall'art.564/1°c.p., perché nel suo ordinamento esso assume limiti più ristretti, non includendo,
in ipotesi, il rapporto sessuale con gli affini in linea retta.
[354] - ERRORE SULLA PERSONA DELL'OFFESO - Nel caso di errore sulla persona offesa da un reato,
non sono poste a carico dell'agente le circostanze aggravanti, che riguardano le condizioni o qualità
della persona offesa, o i rapporti tra offeso e colpevole.
Sono invece valutate a suo favore le circostanze attenuanti, erroneamente supposte, che
concernono le condizioni, le qualità o i rapporti predetti.
Le disposizioni di questo articolo non si applicano, se si tratta di circostanze che riguardano l'età o
altre condizioni o qualità fisiche o psichiche, della persona offesa.".
[355] <Dallo scambio di persona bisogna distinguere l'errore sulle circostanze che riguardano l'età o altre
condizioni, fisiche o psichiche, della persona offesa. L'ultimo comma dell'art.60 dispone che in tale caso non si
applicano le norme di detto articolo e, quindi, torna in vigore la regola generale dell'art.59. Pertanto si
applicherà l'aggravante contemplata dal cpv. dell'art.580 a colui che istighi al suicidio una persona minore
degli anni 18, ritenendo per errore determinato da colpa che essa abbia superato tale età.>.
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ANTOLISEI-CONTI, op.cit., pag.251.
[356] - OFFESA DI PERSONA DIVERSA DA QUELLA ALLA QUALE L'OFFESA ERA DIRETTA - Quando
per errore nell'uso dei mezzi di esecuzione del reato, o per un'altra causa, è cagionata offesa a persona
diversa da quella alla quale l'offesa era diretta, il colpevole risponde come se avesse commesso il
reato in danno alla persona che voleva offendere, salve, per quanto riguarda le circostanze aggravanti
e attenuanti, le disposizioni dell'art.60.
Qualora, oltre alla persona diversa, sia offesa anche quella alla quale l'offesa era diretta, il colpevole
soggiace alla pena stabilita per il reato più grave aumentata fino alla metà.".
[357] Si parla di ABERRATIO ICTUS (deviazione dal processo causale con identità di evento nei
confronti di persona diversa) quando, per errore nei mezzi di esecuzione del reato o per altra causa,
l'agente cagiona un'OFFESA A PERSONA DIVERSA da quella che voleva offendere. Si realizza invece
un'ipotesi di ABERRATIO DELICTI (deviazione del processo causale con diversità di evento) quando
l'agente cagiona un EVENTO DIVERSO da quello voluto. Accanto a queste due figure, legislativamente
disciplinate (artt.82-83) la dottrina ha poi individuato una terza figura di aberratio, la c.d. ABERRATIO
CAUSAE, (deviazione del processo causale con identità di evento) che si ha quando il soggetto agente ha
realizzato proprio quel reato avuto di mira, ma il PROCESSO CAUSALE si è svolto in MANIERA DIVERSA da
quella prevista e voluta (es.chi spinge altri nel fiume per farlo affogare e costui muore perché batte la testa su
una roccia).L'ABERRATIO CAUSAE è irrilevante per i reati a condotta libera rispetto ai quali è
essenziale solo la causazione dell'evento e non il modo in cui è causato; è rilevante, invece, per i reati
a condotta vincolata per i quali il tipo o la modalità della condotta sono elementi essenziali (in tal caso
la deviazione del processo causale si limita ad evidenziare l'atipicità della condotta: così, ad es., nel caso di
chi si procuri un ingiusto profitto con altrui danno senza ricorrere ad un artificio o raggiro, non sarà integrato il
delitto di truffa (art.640/1°c.p.).
[358] - REATO DIVERSO DA QUELLO VOLUTO DA TALUNO DEI CONCORRENTI - "Qualora il reato
commesso sia diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti, anche questi ne risponde, se l'evento è
conseguenza della sua azione od omissione.
Se il reato commesso è più grave di quello voluto, la pena è diminuita riguardo a chi volle il reato meno grave".
[359] - MUTAMENTO DEL TITOLO DEL REATO PER TALUNO DEI CONCORRENTI- "Se, per le condizioni o
le qualità del colpevole, o per i rapporti fra il colpevole e l'offeso, muta il titolo del reato per taluno di coloro che
vi sono concorsi, anche gli altri rispondono dello stesso reato. Nondimeno, se questo è più grave, il giudice
può, rispetto a coloro per i quali non sussistono le condizioni, le qualità o i rapporti predetti, diminuire la pena.".
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[360] La rilevanza penale dell'errore è articolata a seconda del momento in cui interviene e delle
circostanze che ha ad oggetto. La disciplina dell'ERRORE MOTIVO , che è quello che incide sul
processo di formazione della volontà che nasce viziata da una falsa rappresentazione della realtà,
varia a seconda che si tratti di ERRORE DI DIRITTO, che cade sulla norma penale, o di ERRORE SUL
FATTO previsto dalla norma. Si ha l'ERRORE SUL PRECETTO quando il SOGGETTO si rappresenta e
VUOLE UN FATTO IDENTICO A QUELLO PREVISTO dalla norma incriminatrice, CREDENDO CHE
ESSO NON SIA VIETATO; egli erra quindi sulla QUALIFICAZIONE PENALE del fatto; viceversa,
nell'ERRORE SUL FATTO l'agente vuole un FATTO DIVERSO DA QUELLO INCRIMINATO, ed erra
quindi sulla CORRISPONDENZA del fatto alla fattispecie penale: può derivare da un ERRORE DI
FATTO (artt.47/1° e 59/4° dettato ad abundantiam in tema di scriminanti) o da ERRORE SU LEGGE
EXTRAPENALE (art.47/3° norma meramente chiarificatrice). La sua disciplina (ERRORE SUL FATTO)
prevede l'esclusione della punibilità, eccetto il caso di errore colpevole e fatto preveduto dalla legge
come delitto colposo.
Pertanto, mentre l'ERRORE SUL DIVIETO NON ESCLUDE nel soggetto la coscienza dell'offensività del
fatto, e quindi il DOLO, l'errore sul fatto fa venir meno la volontà del fatto criminoso: qualora però
l'errore sul fatto sia inescusabile,l'agente risponderà per COLPA. Di regola, così come stabilisce l'art.5
c.p. l'errore sul divieto è penalmente irrilevante. Va sottolineato, peraltro, che la Corte Costituzionale
ha individuato nel principio della assoluta irrilevanza dell'ignoranza della legge penale profili di
contrasto con il principio costituzionale della personalità della responsabilità penale sancito dall'art.27
Cost. e ha dichiarato la parziale illegittimità dell'art.5 c.p. nella parte in cui non esclude
dall'inescusabilità dell'ignoranza della legge penale l'ignoranza inevitabile.
[361] <E' ora necessario precisare meglio che cosa si debba intendere per "legge diversa dalla legge
penale" , ed in particolare se essa si riferisca, oltre agli elementi normativi del fatto definiti in base ad
una norma extrapenale, anche a quelli definiti in base ad una norma penale che intervenga, appunto, in
funzione qualificatrice, nel contesto di un'altra fattispecie incriminatrice. Così, ad es., il concetto di
<<delitto>> ai fini della ricettazione (art.648/3° c.p.) o per quello di <<reato>> ai fini della calunnia
(art.368/1°c.p.). L'opinione prevalente è giustamente orientata in senso positivo, perché non è la
natura della legge a decidere se l'errore incida sul fatto o sul diritto; e se incide sul fatto, non v'è
ragione di discriminare negativamente l'ipotesi in cui esso derivi dalla falsa interpretazione di una
norma che è bensì intrinsecamente penale, ma che svolgg in una diversa fattispecie una funzione
definitoria, e non precettiva. <<Legge diversa dalla legge penale>> deve dunque intendersi come legge
diversa da quella incriminatrice. Non risponderà quindi di calunnia il denunciante che ritenga di
incolpare taluno di un illecito amministrativo, e non di un reato (il soggetto non vuole un fatto
corrispondente a quello dell'art.368/1° c.p.); mentre ne risponderà chi ritenga che i reati punibili a
querela non rientrino nell'ambito della calunnia (il soggetto erra sulla portata del divieto, che è
espressamente riferibile anche a tale categoria di reati).E' controverso se nel concetto di <<legge
diversa dalla legge penale>> rientrino anche i parametri normativi di carattere extragiuridico (ad es.,
comune sentimento del pudore rispetto all'atto osceno). Quand'anche la risposta sia negativa (tenendo
conto che il termine <<legge>> dell'art.47/3° c.p. sembra riferirsi ad una nozione giuridica), è chiaro
però che l'errore sugli elementi normativi extragiuridici dovrebbe comunque poter assumere rilevanza
in base all'art.47/1°c.p. (dato che si tratta pur sempre di elementi del fatto tipico). Anche in questo
caso si imporrà tuttavia una attenta distinzione tra errore incidente sul fatto ed errore incidente sul
divieto: nel primo senso, ad es. il caso di chi ingiuri una persona con una parola ch'egli ritiene
erroneamente priva di ogni significato offensivo in quel particolare contesto; nel secondo, il caso di
chi ingiuri supponendo erroneamente che, ai fini dell'art.594/1°c.p., sia necessario un epiteto di
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particolare gravità. Come si è già ricordato, l'errore sul fatto esclude sempre il dolo del fatto cui si
riferisce; può d'altronde verificarsi che l'errrore verta su un elemento specializzante, e, cioè su un
requisito che caratterizza una figura criminosa rispetto ad un'altra, di portata generale. In questo caso,
come precisa l'art.47/2° c.p., residua la responsabilità per il reato diverso, di cui sussistano sia i
requisiti obiettivi sia quelli soggettivi. Così, ad es., se Tizio offende l'onore di un pubblico ufficiale
presente, ignorandone la qualifica, non risponderà di oltraggio (art.341/1°c.p.), ma risponderà di
ingiuria (art.594/1°c.p.), rispetto alla quale l'agente versa senza dubbio in dolo. Se l'errore è
determinato da colpa, la responsabilità dell'agente sarà affermata a tale titolo, qualora il fatto sia
previsto dalla legge come delitto colposo (art.47/1°c.p.). Se si tratta di contravvenzione, la punibilità
consegue alla regola generale stabilita dall'art.42/4°c.p.>: così PADOVANI, op.cit., pagg. 213-214.
[362] Es. datore di lavoro il quale , a causa di un'erronea interpretazione delle norme attributive della qualifica
di "dirigente" esibisca ad un ente pubblico, per ottenere la restituzione di somme anticipate,un elenco
comprendente dirigenti per i quali non si ha diritto a rimborso: presunta truffa commessa dal datore di lavoro
che troverebbe causa in un'erronea valutazione di norma extrapenale (quella attributiva della qualifica di
dirigente), ma di una norma extrapenale che non risulta affatto direttamente richiamata dalla fattispecie di
truffa,onde è impossibile ipotizzare un rapporto di integrazione tra norme.
[363] es. il caso dell'errore del genitore sulle norme fiscali le quali, pur non essendo direttamente richiamate
dalla fattispecie di truffa, incidono sulla valutazione del carattere truffaldino delle false dichiarazioni esibite
all'Opera Universitaria.
[364] Secondo orientamento giurisprudenziale consolidato l'art.48 configurerebbe un'ipotesi di autoria mediata
: cioè il decipiens si servirebbe del deceptus come mero strumento esecutivo del reato, per cui il vero e unico
autore del fatto criminoso non sarebbe l'esecutore (immediato) del fatto, bensì l'autore dell'inganno (autore
mediato). Invero la categoria dogmatica dell'autoria mediata, elaborata dalla dottrina tedesca, non ha una
reale ragion d'essere nel nostro sistema normativo: la dottrina italiana in atto dominante ritiene che le ipotesi
astrattamente riconducibili alla predetta categoria, compresa quella del fatto commesso per errore determinato
dall'altrui inganno, siano più correttamente inquadrabili nell'ambito del concorso di persone del reato. In questa
prospettiva, dunque, la condotta del decipiens e quella del deceptus configurano una ipotesi di concorso
criminoso (ai fini della configurabilità di quest'ultimo, è ben possibile che qualcuno dei concorrenti nel reato
non sia punibile, come appunto nel caso del soggetto ingannato).
[365] anche se è supposto soggettivamente come tale.
[366] Mentre nell'aberratio ictus l'offesa, pur cadendo su persona diversa rispetto a quella cui era diretta,
rimane identica nella specie e non determina mutamento nel titolo del reato, anche se può essere di diversa
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gravità, nell'ABERRATIO DELICTI la deviazione concerne il fatto realizzato determinando un reato diverso da
quello voluto dall'agente. Il primo problema che si pone in materia riguarda IL CRITERIO DI IMPUTAZIONE
della responsabilità dell'evento non voluto che la legge imputa all'agente "a titolo di colpa". Ci richiede se la
formula legislativa intenda effettivamente subordinare la punibilità per l'evento diverso all'accertamento della
violazione di norme a contenuto cautelare di modo che la colpa assurge a componente EFFETTIVA del reato
diverso o se, invece, si limita a stabilire che il reato diverso è punito COME SE FOSSE COLPOSO di modo
che il criterio di imputazione è la responsabilità oggettiva e il richiamo alla colpa è fatto solo ai fini del
trattamento sanzionatorio. In proposito si registrano in dottrina e in giurisprudenza entrambe le soluzioni, da
ciò ne consegue che l'art.83 c.p. contempla sia ipotesi di negligenza e imprudenza che ipotesi in cui l'evento
non voluto sia una conseguenza meramente accidentale dell'erronea condotta dell'agente. Tuttavia l'evento
diverso non deve essere assolutamente voluto dal soggetto nemmeno nella forma del dolo eventuale,
altrimenti si avrà concorso di reati dolosi. C'è dolo in astratto? L'ìnnovazione dell'art.82/1° riguarda il
trattamento sanzionatorio, dato che il colpevole risponde <come se avesse commesso il reato in
danno alla persona che voleva offendere> e non in danno della persona che ha effettivamente
offeso.Partendo dal presupposto che il dolo deve essere inteso come volontà di un evento storico
specifico, e non di un evento equivalente, una più recente opinione vede nell'art.82 c.p. una funzione
innovativa: l'offesa a persona diversa è dolosa solo formalmente e non sostanzialmente, perché il dolo
va inteso in concreto e non in astratto. Secondo i principi l'agente dovrebbe infatti rispondere,
sussistendone gli estremi, di tentativo rispetto alla vittima designata e di reato colposo rispetto alla
persona offesa, come avviene p.es. nel codice tedesco dove manca una norma come l'art.82. Pertanto
il nostro ordinamento disciplina come dolosa una ipotesi di responsabilità oggettiva (ROMANO,
FIANDACA-MUSCO).
[367] L'errore può cadere non solo nella fase di formazione della volontà, ma anche nella fase di esecuzione.
In tal caso esso NON riguarda la rappresentazione psicologica dell'agente e cioè la formazione della volontà
del reato,ma cade sul momento esecutivo del reato che il soggetto si è proposto di compiere (non nella fase di
ideazione del fatto criminoso).
[368] disposizione sorta originariamente per i c.d. delitti di sangue.
[369] Vedi diversità con art.116.
[370] CONSAPEVOLEZZA DELL'AGIRE ANTIGIURIDICO: ANTIDOVEROSITA'+RAPPRESENTAZIONE
(NON SOLO PREVISIONE) E VOLONTA'
Corte Cost.
364/1988
COLPEVOLEZZA E TASSATIVITA', limite costituzionale al dovere di conoscenza:
-
ignoranza preordinata: è inescusabile;
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-
ignoranza volontaria: idem;
ignoranza colposa: c'è colposità (non volontarietà) nella mancanza di conoscenza: violazione di regole
doverose di condotta attribuibili sulla base dell'agente modello a chi deve attivarsi per conoscere la legge. C'è
pluralità di agenti modelli con obblighi di diversi comportamenti.
-
Ignoranza scusabile: in via residuale e in positivo: errore scusabile e ignoranza scusabile).
Obbligo colposità minima dell'ignoranza! Ne esce con ossa rotte per la disciplina sulla responsabilità
oggettiva.
Problema: dare contenuto alla colpevolezza. Elementi: nesso psichico o suitas: coscienza e volontà
(significa attivarsi o restare inerti) volontarietà nell'agire o volontarietà nell'omettere.Nesso psichico non solo
reale ma potenziale (ANTOLISEI): esigenze di sforzo ulteriore della volontà, estensione del dominio
dell'essere umano su ciò che fa o non fa, al limite del controllabile...Può richiedere una anticipazione......
[371] Sentenza Corte Costituz. n.364/1988 sul principio di colpevolezza: argomentazioni:
1)
di carattere storico: lavori preparatori;
2) funzione rieducativa riservata dalla Costit. alla pena, postula almeno la COLPA dell'agente in relazione
agli elementi più significativi della fattispecie tipica;
3) leggere il principio della colpevolezza unitamente a quello della riserva di legge statale e tassatività delle
leggi (possibilità di conoscenza delle norme - con irretroattività -).
La possibilità di conoscere la norma penale costituisce autonomo requisito di colpevolezza con riferimento ad
ogni fattispecie penale, dolosa o colposa che sia: doveri di informazione e conoscenza diretta espressione del
dovere di solidarietà sociale art.2 Cost. ed è la loro violazione che rende costituzionalmente legittimo chiamare
a rispondere anche chi ignora la legge penale.
Concetto di inevitabilità dell'errore: homo ejusdem professionis et condicionis.
[372] L'INEVITABILITA' DELL'IGNORANZA va valutata:
a)
sotto il PROFILO OGGETTIVO, tenendo conto delle CIRCOSTANZE DI FATTO che possono averla
determinata: assoluta oscurità del testo legislativo, caotico atteggiamento interpretativo degli organi giudiziari,
assicurazioni erronee di funzionari pubblici, precedenti assoluzioni per lo stesso fatto, ecc.
b)
sotto il PROFILO SOGGETTIVO, tenendo conto di PARTICOLARI CONOSCENZE O ABILITA' del
soggetto, che gli consentono di accertare il contenuto della legge e controllare le informazioni ricevute: ad
esempio, va valutata diversamente l'ignoranza della legge da parte di un avvocato rispetto a quella di un
analfabeta. In particolare, coloro che svolgono professionalmente una determinata attività rispondono
dell'illecito anche in virtù di una "culpa levis" nello svolgimento dell'indagine giuridica relativa alle norme che
disciplinano tale attività (Cass. 21 febbraio 1997, n.1632).
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[373] Conseguentemente il giudice è dispensato dall'indagine sull'atteggiamento psichico del soggetto, rispetto
al fatto realizzato, in quanto la legge sancisce una presunzione di colpa. La sussistenza del dolo potrà essere
rilevante solo, ad esempio, per la maggior misura di pena da irrogare (art.133, n.3) e per la dichiarazione di
abitualità nel reato (art.104).
[374] < (..) oggi abbandonato del tutto l'assunto che per la punibilità delle contravvenzioni possa
bastare la coscienza e la volontà dell'atto compiuto, non si dubita che, al pari del delitto, anche la
contravvenzione esiga la colpevolezza dell'autore, così che la differenza col delitto stia in ciò: che,
mentre in quest'ultimo è richiesto il dolo e solo nei casi di previsione normativa espressa basta la
colpa, nelle contravvenzioni, di regola, è sufficiente la colpa. Tuttavia con l'affermazione che nei reati
contravvenzionali si risponde dell'azione od omissione commessa, <<sia essa dolosa o colposa>>, la
legge ha voluto agevolare la repressione di questa specie di reati, i quali per la loro tenuità e frequenza
male comportano complicate ricerche d'ordine psicologico. Essa, perciò, ha dispensato il giudice
dall'ìndagine sull'atteggiamento psichico del soggetto riguardo al fatto realizzato, sancendo in
proposito il principio della recezione, sul piano probatorio, di una consolidata massima di esperienza
volta a far ritenere quantomeno la presenza della colpa. Principio che viene a cadere di fronte alla
prova contraria eventualmente fornita dall'imputato, il quale deve essere assolto se dimostra,o
comunque emerge, che non gli si può rimproverare alcunché. Pertanto, poiché ne consegue la
dimostrazione che l'imputato ha agito senza colpa, la sua punizione è allora esclusa. La sufficienza
della colpa nei reati contravvenzionali è regola alla quale non mancano eccezioni. Esistono infatti
contravvenzioni formulate in modo da poter essere soltanto dolose (come l'abuso della credulità
popolare) o soltanto colpose (come la rovina di edifici per mera colpa).>. ANTOLISEI-CONTI, op.cit.,
pagg.217-218.
[375] Es. abuso di credulità popolare ex art.661; molestie e disturbo alle persone art. 660.
[376] es. rovina di edificio ex art.676; incauto acquisto art.712, perché se doloso scatterebbe il più grave reato
di ricettazione art.648.
[377] es. passaggio da una pena pecuniaria a una pena detentiva, ovvero da una pena detentiva temporanea
all'ergastolo.
[378] es. passaggio da una pena detentiva a una pena pecuniaria.
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[379] Circostanze aggravanti comuni.
[380] Circostanze attenuanti comuni.
[381] Circostanze aggravanti.
[382] Circostanze attenuanti.
[383] La distinzione tra circostanze oggettive e soggettive assume rilevanza pratica soprattutto nell'ambito del
concorso di persone, con riferimento al problema della loro estensibilità a tutti i compartecipi. Per
ANTOLISEI-CONTI (op.cit.,pag.239) <Contrariamente all'avviso della maggior parte della dottrina e della
giurisprudenza (..) queste pretese circostanze, infatti, non sono che qualificazioni giuridiche soggettive, le
quali, appunto per ciò, se anche influiscono sulla misura della pena, non possono considerarsi come
<<accessori>> del reato. Del pari non vanno confuse con le circostanze attenuanti le diminuzioni di pena
previste nel giudizio abbreviato, nel c.d. patteggiamento e nel procedimento per decreto dal codice di
procedura penale (artt.442,444 e 459 n.2).>.
[384] Deve includere tutti gli elementi dell'ipotesi di semplice reato, con l'aggiunta di uno o più requisiti
specializzanti.
[385] <Ma la specialità è condizione necessaria non anche sufficiente a fondare la natura circostanziale
di una fattispecie: anche a titolo autonomo di reato può infatti risultare speciale rispetto ad un altro. E'
allora necessario considerare: a) la eventuale qualifica legislativa (..) che, in un sistema a legalità
formale, non può essere sottovalutata; b) l'eventuale riferimento alla disciplina dettata per le
circostanze (...); c) l'eventuale previsione di un distinto nomen iuris che si accompagni ad una
compiuta definizione della fattispecie, comprensiva sia degli elementi comuni ad altro titolo di reato,
sia degli elementi specializzanti (..): indice normativo indiretto ma univoco della volontà di rendere
autonoma la figura criminosa. Particolarmente controversa è la qualificazione, in termini autonomi e
circostanziali, dei reati aggravati dall'evento. I criteri formali sembrano orientare senz'latro verso la
qualifica circostanziale: all'evento aggravatore è spesso riferita la disciplina normativa delle
circostanze (...es. l'art.593/3° c.p. prevede che, in caso di lesioni derivate dall'omissione di soccorso,
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la pena sia <<aumentata>>, rinviando così all'art.64 c.p.); inoltre, il reato aggravato dall'evento non
assume mai un distinto nomen iuris, né presenta una configurazione autonoma. D'altro canto, si deve
osservare che, considerare l'evento ulteriore quale circostanza, risulta assai problematico riferirgli il
criterio di imputazione sancito per le aggravanti dell'art.59/2° c.p. (nel testo risultante dall'art.1,
L.19/1990) (...) preferire il principio di legalità> PADOVANI, op.cit., pagg.232-233.
[386] Art.59, vedi anche art.118. Per l'art.59 ferma restando la regola dell'irrilevanza delle circostanze
putative, ha confermato il principio dell'imputazione oggettiva delle attenuanti,ma poi ha sancito quello
dell'imputazione almeno colposa delle aggravanti.
Non sono vere e proprie circostanze quelle di esclusione della pena ex art.59 C.P. poiché non variano,
ma escludono la pena assieme al reato. Altro sono anche le c.d. circostanze improprie dell'art.133 C.P.
che servono a guidare il potere discrezionale del giudice nell'applicazione della pena. Neppure le
condizioni economiche del reo ex art.133-bis C.P. dette circostanze personali.
Recidiva e imputabilità: natura circostanziale art.70 ult. comma C.P.: sono le uniche due circostanze
qualificabili come inerenti alla persona del colpevole.
La disciplina. La configurabilità delle circostanze rileva a diversi fini:
-
trattamento sanzionatorio;
-
prescrizione del reato (artt.157/2° e 157/3°);
-
procedibilità (art.646/3°);
-
competenza (art.4 CPP);
-
misure cautelari (art.278 CPP);
-
arresto (art.379 CPP).
[387] Es. A ritiene di uccidere un nemico ma, a causa di un errore di percezione, uccide un uomo che in realtà
è suo padre: in un caso del genere A non risponderà di parricidio, bensì di omicidio semplice, nonostante
sussista di fatto il rapporto di parentela previsto come aggravante dall'art.577, n.1 del codice. Ai fini
dell'applicabilità del parricidio sarebbe necessaria l'effettiva consapevolezza da parte di A di indirizzare
l'azione aggressiva contro il proprio padre; non basterebbe la mera conoscibilità, e dunque la "colposa"
ignoranza della relazione di parentela, dal momento che l'art.60, nell'attribuire rilevanza all'errore, si limita a
parlare di errore senza distinguere tra errore colpevole ed errore incolpevole.
[388] Es. Tizio che, a causa di un errore percettivo, rivolga la propria azione contro una persona diversa dal
"provocatore" e lo uccida: in un caso come questo, Tizio beneficierà dell'attenuante della provocazione come
se avesse realmente ucciso il provocatore.
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[389] Sono quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato.
[390] Somma degli aumenti O delle diminuzioni, salvo i casi di cui agli artt.63 ss.
[391] <Il cumulo materiale, peraltro, è escluso in due casi, e cioè quando si tratti di circostanze
specifiche oppure di circostanze complesse. E' specifica la circostanza che, pur essendo prevista per
un numero indeterminato di casi, è poi contemplato per un solo reato o per un numero più ristretto di
reati, come, ad es., l'abuso di poteri di cui all'art.605 cpv.n.2 in relazione all'aggravante preveduta nel
n.9 dell'art.61. Una circostanza, d'altra parte, si dice complessa, quando ne comprende in sé un'altra.
Un esempio di circostanza di tal genere è l'attenuante di cui all'art.221 legge fall. (fallimento con
procedimento sommario) la quale è comprensiva dell'attenuante di cui all'art.219 ultimo comma della
stessa legge (danno patrimoniale di speciale tenuità nei reati di bancarotta). Ricorrendo una
circostanza specifica, in base alla norma contenuta nell'art.15 del codice, si applica soltanto questa;
ricorrendo una circostanza complessa, si fa luogo all'assorbimento e delle due se ne applica una
soltanto: eventualmente quella che importa un maggior aumento o una maggior diminuzione di pena
(cfr.art. 68).>. ANTOLISEI-CONTI, op.cit.,pagg.252-253.
[392] - GRAVITA' DEL REATO: VALUTAZIONE AGLI EFFETTI DELLA PENA.- Nell'esercizio del potere
discrezionale indicato nell'articolo precedente, il giudice deve tener conto della gravità del reato, desunta:
1)
dalla natura, dalla specie, dai mezzi, dall'oggetto, dal tempo, dal luogo e da ogni altra modalità
dell'azione;
2)
dalla gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato;
3)
dalla intensità del dolo o dal grado della colpa.
Il giudice deve tener conto, altresì, della capacità a delinquere del colpevole, desunta:
1)
dai motivi a delinquere e dal carattere del reo;
2)
dai precedenti penali e giudiziari e, in genere, dalla condotta e dalla vita del reo, antecedenti al reato;
3)
dalla condotta contemporanea o susseguente al reato;
4)
dalle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo.".
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[393] con apprezzamento insindacabile e, quindi,non soggetto al controllo della Cassazione.
[394] Esiti per il giudizio di bilanciamento:
1)
della prevalenza (art. 69 commi 1° e 2°);
2)
dell'equivalenza.
La norma regola il concorso tra circostanze eterogenee. Laddove, infatti, ineriscano al reato più circostanze,
aggravanti ed attenuanti, il giudice procederà al c.d. giudizio di bilanciamento, ovvero prenderà in
considerazione le sole aggravanti o le sole attenuanti, a seconda che ritenga prevalenti le une o le altre, e
determinerà i correlativi aumenti e le correlative diminuzioni di pena. Nel caso in cui, tuttavia, il giudice non
ritenga prevalenti né le aggravanti né le attenuanti determinerà la pena per il reato comune commesso senza
tenere conto né delle une né delle altre.
Per ANTOLISEI-CONTI, op.cit., pagg.387-389: <Premesso che nell'aumento o nella diminuzione della
pena non si possono oltrepassare i limiti stabiliti per ciascuna specie di pena, salvo nei casi
espressamente determinati dalla legge (art.132 cpv. c.p.), ecco le regole principali che sono sancite
negli artt.63-68 del codice:
A)
Allorché la legge non determina l'aumento o la diminuzione della pena, dichiarando
semplicemente <<la pena è aumentata>>, <<la pena è diminuita>> (es. artt.94 e 89 c.p.), oppure usando
la locuzione <<aggravano>> o <<attenuano il reato>> (es. artt.61 e 62 c.p.), se si tratta di circostanze
aggravanti, è aumentata fino ad un terzo la pena che dovrebbe essere inflitta per il reato commesso,
ma, in caso di reclusione, non possono essere superati gli anni trenta. Si noti in proposito che non è
fissato alcun limite minimo: quindi, la pena detentiva può essere aumentata anche di un solo giorno e
quella pecuniaria anche di una sola lira. Se, invece, si tratta di circostanze attenuanti, la pena è
diminuita in misura non eccedente un terzo e all'ergastolo è sostituita la reclusione da 20 a 24 anni.
B)
Quando la pena deve essere aumentata o diminuita entro limiti determinati, l'aumento o la
diminuzione si opera sulla quantità di essa che il giudice applicherebbe al colpevole, qualora non
concorresse la circostanza che la fa aumentare o diminuire (c.d. pena-base). Si faccia l'esempio del
furto aggravato dalla relazione di coabitazione o di ospitalità. Il giudice prima determinerà la pena che
infliggerebbe al furto semplice in base alle regole generali (in ipotesi, un anno di reclusione); quindi,
su questo quantitativo opererà l'aumento.
C) Concorrendo più circostanze aggravanti ovvero più circostanze attenuanti, l'aumento o la
diminuzione di pena si opera sulla quantità di essa risultante dall'aumento o dalla diminuzione
precedente. Per es., ricorrendo due circostanze aggravanti, si stabilisce prima la pena in concreto per
il reato semplice: su questa pena, che supponiamo sia di tre anni, si opera il primo aumento,
giungendo in tal modo, per ipotesi, a tre anni e nove mesi; quindi, sulla pena così risultante si opera il
secondo aumento. Allorché, poi, per una circostanza la legge stabilisce una pena di specie diversa da
quella ordinaria del reato o si tratta di circostanza ad effetto speciale (ciò che importa un aumento o
una diminuzione della pena superiore ad un terzo), l'aumetno o la diminuzione per le altre circostanze
non si opera sulla pena ordinaria del reato, ma sulla pena stabilita per la circostanza anzidetta.
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D) Sempre nel caso di concorso di più circostanze, trattandosi di aggravanti non possono essere
superati i limiti stabiliti nell'art.66 del codice, modificato con l'art.101 della legge 24 novembre 1981,
n.689: il triplo del massimo stabilito dalla legge per il reato e, in ogni caso, trenta ann per la reclusione,
cinque anni per l'arresto, lire 20 milioni per la multa e lire 4 milioni per l'ammenda, salvo per queste
due ultime l'aumento fino al triplo consentito dall'art.133-bis c.p. Se si tratta di circostanze attenuanti,
la pnea non può essere inferiore ai limiti indicati nell'art. 67 (a dieci anni per i delitti puniti con
l'ergastolo e di regola a un quarto della pena negli altri casi). Per il concorso di circostanze per le quali
la legge stabilisce una pena di specie diversa o ad effetto speciale, provvedono gli ultimi due
capoversi dell'art.63 c.p..>
[395] <La presenza di una circostanza trasforma il reato semplice in un reato circostanziato e il rapporto che
passa tra l'uno e l'altro è una relazione di genere a specie. Nel reato circostanziato, quindi, debbono esistere
tutti gli estremi del reato semplice: la circostanza è sempre un plus>. ANTOLISEI-CONTI, op.cit., pag.239.
[396] Motivo turpe, ignobile.....ripugnanza per media moralità.
[397] Enorme sproporzione tra il movente e l'azione delittuosa, è incompatibile con l'attenuante della
provocazione e anche con il vizio di mente....
[398] Rappresenta la molla, l'impulso psichico, l'istinto che spinge psicologicamente ad agire, a tenere una
determinata condotta.
[399] È l'obiettivo dell'azione.
[400] L'aggravante, che ha natura soggettiva, regola il fenomeno della CONNESSIONE TRA REATI, sotto il
duplice profilo TELEOLOGICO e CONSEGUENZIALE; e punisce una più intesa criminosità della condotta
dell'agente, la cui determinazione soggettiva nella consumazione del reato-fine è manifestata dal rifiuto di
arretrare di fronte all'eventualità di perpetrare altro reato (Cass. V, 17 dicembre 1984). In particolare, si ha
CONNESSIONE TELEOLOGICAquando un reato (c.d. REATO-MEZZO) è commesso al FINE di eseguirne
un altro (c.d. REATO-FINE) (es. porto abusivo d'arma per commettere un omicidio). Non è necessario che il
reato-fine sia effettivamente commesso, e qualora ciò avvenisse avremmo un concorso di reati. Si ha invece
CONNESSIONE CONSEGUENZIALE quando un reato è commesso al fine di occultarne un altro o per
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assicurare a sé o ad altri, il prezzo, il prodotto, il profitto o l'impunità di un altro reato (es. occultamento di
cadavere dopo la commissione di omicidio). Particolarmente problematica risulta la compatibilità tra
l'aggravante in esame e il REATO CONTINUATO, specie dopo la Legge 200/1974 che ha esteso
l'applicazione di tale figura anche alle ipotesi di PIU' VIOLAZIONI DI DIVERSE DISPOSIZIONI DI LEGGE.
Mentre, infatti, la giurisprudenza continua a considerare compatibile tale circostanza con la continuazione del
reato, sulla base della diversa natura del nesso teleologico o consequenziale e dell'unicità del disegno
criminoso, la dottrina esclude tale compatibilità in quanto ammeterebbe all'interno di uno stesso ordinamento,
che un medesimo fenomeno (quale la connessione di più reati) possa al contempo dar luogo ad un
trattamento più favorevole (continuazione) ed a un aumento di pena (aggravante). Peraltro, con riferimento al
fenomeno della connessione consequenziale; tale compatibilità risulta esclusa solo laddove i reati connessi
rientrino nell'originario disegno criminoso.
[401] La c.d. COLPA COSCIENTE ricorre quando l'evento, non voluto né considerato di sicuro
accadimento, si presenti come altamente possibile e probabile in riferimento alla condotta posta in
essere (Cass. IV, 26 febbraio 1986). E' il caso del conducente d'auto che, confidando nella propria abilità,
guida n maniera spericolata, producendo così un evento lesivo che, sebbene prevedibile, era convinto di poter
scongiurare proprio grazie alla sua abilità. La colpa cosciente è compatibile con l'attenuante dei MOTIVI DI
PARTICOLARE VALORE MORALE E SOCIALE.
[402] E' tale il solo danno DIRETTAMENTE CONSEGUENTE alla condotta criminosa; esso ha natura
CIVILISTICA, pur venendo per lo più negato rilievo al lucro cessante (art.1223 c.c.). La maggiore o minore
entità di tale danno deve essere verificata ricorrendo a criteri obiettivi. E' conseguentemente possibile
affermare il CARATTERE OGGETTIVO della circostanza in esame,inerendo essa alla gravità del danno.
[403] Contrario non solo alle norme giuridiche ma anche all'insieme delle regole sociali vigenti nel contesto di
civile convivenza.
[404] Semprechè lo stato d'ira non si identifichi con l'infermità mentale tramutandosi in stato patologico.
[405] Quest'ultima espressione si presta ad abbracciare sia l'evento offensivo tipico, sia l'evento considerato
nella sua conformazione concreta, lasciando così aperti margini di ambiguità interpretativa.
[406] L'attenuante, avente NATURA SOGGETTIVA, inerisce al c.d. RAVVEDIMENTO OPEROSO. Essa
postula che l'autore di un reato, una volta che questo si sia consumato, si ravveda e si attivi
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OPEROSAMENTE al fine di riparare il danno commesso, ovvero cerchi di ELIMINARE o rendere meno gravi
le conseguenze del fatto perpetrato cui non possa porsi rimedio mediante il risarcimento del danno. Tale
attività, posta in essere dal colpevole, deve intervenire PRIMA DEL GIUDIZIO, ovvero prima dell'apertura del
giudizio di primo grado. L'attenuante in esame,naturalmente, non ricorre quando l'azione riparatrice è dovuta
per legge (es. l'investitore deve soccorrere la persona investita per effetto del sinistro automobilistico, laddove
il suo mancato intervento integrerebbe la fattispecie di cui all'art.539, e cioè omissione di soccorso).
[407] Non vanno intese come oggetto di una benevole e discrezionale concessione da parte del giudice, ma
come riconoscimento di situazioni che, pur non contemplate specificatamente (come nel caso dell'art.62 c.p.)
presentano connotazioni tanto rilevanti e speciali da esigere una più incisiva considerazione. Ove il giudice
ritenga di concederle o di negarle, deve dare ragione del corretto esercizio di tale rilevante potere
discrezionale con una ADEGUATA MOTIVAZIONE, atta a giustificare la riduzione di pena sulla base di
indicazioni che non siano vaghe e generiche.
[408] E possono concorrere con una o più delle circostanze attenuanti elencate nell'art.62. E' controverso se
l'accertamento circa la sussistenza o meno delle attenuanti generiche debba tenere conto dei soli indici
contenuti nell'art.133, ovvero, come sembra più corretto, se il giudice possa attingere gli elementi necessari a
tale verifica anche da situazioni cui l'art.133 non fa riferimento in alcun modo. E' altresì controverso se un
elemento, utilizzato dal giudice per mitigare la pena da irrogare ai sensi dell'art.133, possa trovare ulteriore
utilizzo quale attenuante generica ai sensi dell'art.62bis,in una sorta di DOPPIA VALUTAZIONE dell'elemento
medesimo. Ad esempio possono dar luogo all'applicazione delle attenuanti generiche: la spontanea
confessione dell'imputato; l'assenza di precedenti penali; un positivo comportamento successivo alla
commissione del reato.
[409] Per la giurisprudenza è una circostanza aggravante soggettiva inerente alla persona del colpevole
(art.70, 2° comma) vedi Cass. 11 settembre 1997, n.3247. La dottrina, invece, attribuisce alla recidiva la
natura di elemento di commisurazione della pena analogo agli indici previsti nell'art.133 e ciò in quanto essa
costituisce uno STATUS personale del reo e non un elemento capace di incidere sulla gravità del nuovo reato
di per sé stesso considerato. Dalle due diverse impostazioni discendono conseguenze pratiche di rilievo in
ordine alla possibilità di assoggettare la recidiva al giudizio di bilanciamento con altre eventuali circostanze, al
regime di imputazione soggettiva previsto nel novellato art.59, comma 2, alla obbligatoria contestazione
processuale da parte del giudice che riscontri la sua esistenza. La recidiva quale espressione specifica di
PERICOLOSITA' SOCIALE, si fonda essenzialmente su esigenze speciali preventive: infatti, attraverso la
previsione di un aumento di pena nell'ipotesi di ricaduta nel reato il legislatore mira a distogliere il reo dalla
commissione di nuovi reati.
[410] Art.118: indica specificatamente alcune circostanze soggettive strettamente personali che non si
comunicano al concorrente e sono valutate solo riguardo alla persona cui si riferiscono. L'art.118 ricomprende
alcune specifiche circostanze strettamente personali (aggravanti e attenuanti) soggettive che sono valutate
solo con riguardo alla persona cui si riferiscono anche se conosciute o conoscibili da altro concorrente. Tutte
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le circostanze oggettive e quelle soggettive non ricompresse nell'art.118 rientrano invece nell'ambito
applicativo dell'art.59 con imputazione oggettiva se attenuanti e almeno colposa se aggravanti.
[411] Sentenza definitiva di condanna. Dal momento che la recidiva va annoverata tra i c.d. "effetti penali"
della condanna, ai fini della sua sussistenza si tiene anche conto (art.106) delle precedenti condanne per le
quali sia intervenuta una causa di estinzione del reato o della pena (es. prescrizione della pena, amnistia
impropria, ecc.), mentre non si considerano le precedenti condanne per le quali siano intervenute cause
estintive di tutti gli effetti penali (es. riabilitazione).
[412] Art.69 oggetto del giudizio di comparazione.
[413] E non già una circostanza in senso tecnico.
[414] Ove si consideri che integra la circostanza in senso tecnico essa può essere assunta a oggetto del
giudizio di comparazione tra circostanze ex art.69.
[415] La disciplina del tentativo è espressione del nostro sistema penale misto, incentrato sui principi di
soggettività e di materialità-offensività. In base alla logica di un sistema soggettivo si punisce il tentativo sulla
considerazione che la volontà di ribellione è la stessa nel tentativo e nel reato consumato, in nome dell'istanza
oggettivistica il tentativo è punito se sussistono i requisiti di idoneità e univocità e con pena ridotta. Al riguardo
occorre distinguere: la DESISTENZA comporta l'IMPUNITA' per il delitto tentato, salvo la responsabilità per un
reato diverso del quale siano stati posti in essere gli estremi; il RECESSO comporta, invece, una
DIMINUZIONE DELLA PENA prevista per il delitto tentato. In particolare l'art.56, comma 2, stabilisce che al
tentativo si applica:
-
la RECLUSIONE NON INFERIORE A 12 ANNI, se per il reato consumato è stabilito l'ergastolo;
-
la pena diminuita da 1/3 a 2/3 negli altri casi.
L'elemento psicologico del delitto tentato quale risulta dalla combinazione tra l'art.56 e le singole norme
incriminatici di parte speciale consiste nella volontà di realizzare il delitto perfetto in tutti i suoi elementi
costitutivi, ed è, dunque, INCOMPATIBILE con la STRUTTURA SOGGETTIVA DEI DELITTO COLPOSI; ciò
si deduce sia dall'espressione "atti diretti a commettere il delitto" utilizzata dall'art.56, sia dalla regola generale
dell'art.42,comma 2°,mancando ogni espressa previsione del tentativo colposo.
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[416] - REATO SUPPOSTO ERRONEAMENTE E REATO IMPOSSIBILE - "Non è punibile chi commette un
fatto non costituente reato, nella supposizione erronea che esso costituisca reato.
La punibilità è altresì esclusa quando, per la inidoneità dell'azione o per la inesistenza dell'oggetto di essa, è
impossibile l'evento dannoso o pericoloso.
Nei casi preveduti dalle disposizioni precedenti, se concorrono nel fatto gli elementi costitutivi di un reato
diverso, si applica la pena stabilita per il reato effettivamente commesso.
Nel caso indicato nel primo capoverso, il giudice può ordinare che l'imputato prosciolto sia sottoposto a misura
di sicurezza.".
[417] es. tentativo omicidio risulta dalla combinazione art.56 con art.575; tentativo di furto art.56 e art.624,
eccetera. La cassazione ha avuto modo di precisare che il delitto tentato costituisce figura autonoma di reato,
qualificato da una propria oggettività giuridica e da una propria struttura, delineate dalla combinazione della
norma incriminatrice specifica e dalla disposizione contenuta nell'art.56 c.p., che rende punibili, con una pena
autonoma, fatti non altrimenti sanzionabili, perché arrestatisi al di qua della consumazione. Da tale autonomia
dell'illecito e della sanzione consegue che, in presenza di delitto tentato, la determinazione della pena può
effettuarsi con il cosiddetto metodo diretto o sintetico, cioè senza operare la diminuzione sulla pena fissata per
la corrispondente ipotesi di delitto consumato, oppure con il calcolo "bifasico", cioè mediante scissione dei due
momenti indicati, fermo restando che nessuno dei due sistemi può sottrarsi al rispetto dei vincoli normativi
relativi al contenimento della riduzione da uno a due terzi, la cui inosservanza comporta violazione di legge
(Cass. 17 ottobre 2001, n.37562).
[418] Es. nell'omicidio l'azione tipica sorge con l'acquisto dell'arma o l'appostamento (atti remoti)?
[419] Tentativo compiuto.
[420] Tentativo incompiuto.
[421] Ad es. un omicida è sorpreso mentre sta per vibrare un colpo di pugnale.
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[422] Ad. es. l'evento-morte non si verifica a causa di un errore di mira.
[423] Il tentativo incompiuto ricorre quando l'azione tipica è iniziata ma non giunge a compimento (es. l'agente
prende la mira, ma viene disarmato prima di sparare); tentativo incompiuto, là dove la condotta è compiuta per
intero ma l'evento non si verifica (es. l'agente spara, ma non colpisce la sua vittima). La distinzione era assai
rilevante nel codice Zanardelli, che denominava la seconda ipotesi come delitto mancato e ad essa correlava
un più grave trattamento sanzionatorio. Oggi invece le due ipotesi sono unificate quoad poenam. Nei reati di
evento è configurabile sia il tentativo compiuto che quello incompiuto. La differenza rileva anche in tema di
desistenza e recesso attivo.
[424] È l'impiego del mezzo.
[425] È lo strumento utilizzato per commettere un delitto.
[426] manca quindi uno dei termini necessari all'esistenza di un rapporto eziologico. Peraltro si
presupporrebbe che tutti i reati presentino nella loro struttura un evento naturalistico, ma così non è nei reati di
mera condotta.
[427] <L'idoneità degli atti connota il tentativo in termini di pericolo reale per il bene giuridico protetto.
Si tratta di un giudizio che pone tre ordini di problemi:
a)
il momento cui essa si riferisce: (..) vedi cd. prognosi postuma.
b) l'oggetto al quale si riferisce: (...) gli atti in concreto, considerati nel contesto della situazione cui
ineriscono. Va precisato che la valutazione di idoneità si effettua ex antea non soltanto in senso
<<cronologico>> (riportandosi al momento in cui il soggetto ha agito) ma anche in senso <<logico>>
(ponendosi nella stessa prospettiva dell'agente: giudizio a parte subiecti). Pertanto, considerando la
natura del fattore paralizzante (e cioè dell'elemento che ha bloccato lo sviluppo della vicenda
criminosa), si può senz'altro dire che resta estraneo al giudizio di idoneità non soltanto il <<fattore
paralizzante>> successivo alla commissione degli atti (come nell'es. della cura tempestiva ed efficace
della vittima), proprio perché si tratta di una prognosi postuma, ma anche il <<fattore paralizzante>>
concomitante che non fosse obiettivamente riconoscibile nella posizione dell'agente, in questo caso
perché l'emergere del fattore è, rispetto alla posizione dell'agente, logicamente successivo al
compimento dell'atto. Questo approccio subisce un'unica eccezione per l'ipotesi, espressamente
prevista dall'art.49/2° c.p., che l'oggetto materiale della condotta sia del tutto inesistente: in questo
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caso, nonostante gli atti possano risultare idonei secondo una valutazione ex antea svolta a parte
subiecti, il reato è impossibile (e quindi il tentativo appare inidoneo). Deve tuttavia trattarsi di
un'inesistenza assoluta, e non occasionale né contingente, come nell'es. di chi spari ad un uomo già
morto per cause naturali (..)La ragione di questa eccezione poggia sul fondamento obiettivo che il
delitto tentato assume nel nostro sistema penale: quando l'oggetto materiale è inesistente in rerum
natura non può mai, ed a nessun patto, prospettarsi il pericolo di un'offesa al bene protetto; la
punibilità dell'agente finirebbe allora col basarsi solo sulla volontà criminosa manifestata.
c)
il parametro con cui si esprime. (..).E' inteso come rilevante possibilità del danno. (..). Se si tratta
di un reato d'evento e la condotta è interamente compiuta (c.d.delitto mancato), come nell'es, di Tizio
che ferisce mortalmente Caio, il quale viene poi salvato, il canone valutativo dell'idoneità consiste
nell'adeguatezza causale della condotta a determinare l'evento secondo un criterio probabilistico. Se
si tratta invece di atti che implicano uno sviluppo della condotta dell'agente (c.d. delitto tentato in
senso stretto), come nell'es. di chi viene bloccato mentre sta prendendo la mira o di chi si sta
introducendo in casa altrui per scassinare una cassaforte, o di chi sta studiando le abitudini della
vittima, o approntando i mezzi per delinquere, l'idoneità si esprime in termini di adeguatezza alla
prosecuzione dell'iter criminis sino alla commissione del delitto.
Così PADOVANI, op.cit., pagg. 252-255.
[428] Infatti se si valutasse la situazione ex post, badando all'intero sviluppo della vicenda criminosa, si
dovrebbe sempre e comunque riconoscere che gli atti erano inidonei.
[429] Ad es. la somministrazione di zucchero ad una persona, considerata ex ante in base a valutazioni medie,
non può certo essere ritenuta idonea a cagionarne la morte; i giudizio tuttavia muta , se si accerta che il reo
era a conoscenza del grave stato diabetico della vittima designata.
[430] Se la valutazione dell'idoneità venisse compiuta ex post, "a cose fatte", non ci sarebbe mai tentativo
punibile, poiché, mancando per definizione l'evento, si avrebbe sempre e comunque la prova, in re ipsa, della
inidoneità degli atti compiuti.
<il giudizio ex ante deve essere effettuato non soltanto dal punto di vista cronologico (avuto riguardo
al momento dell'azione), ma anche dal punto di vista logico, cioè sotto un profilo soggettivo che tenga
conto dei dati noti all'agente nel momento in cui opera, non di quelli che gli sono ignoti. Così, per
valutare l'idoneità dell'azione del ladro che sta scassinando una serratura non si può tener conto
dell'impossibilità di raggiungere lo scopo per il tipo particolare di grimaldello e per il collocamento di
un sistema di allarme, né avrà rilievo per l'avvelenatore il fatto, a lui ignoto, che la vittima era immune a
quel veleno (c.d. <mitridatizzazione>). Chiariti questi punti essenziali, va notato che, se l'idoneità,
accertata ex ante, equivale all'adeguatezza, l'idoneità medesima finisce col coincidere completamente
col pericolo: onde la conseguenza che idoneità dell'azione non significa altro che pericolosità della
stessa. Il tentativo, in conseguenza, è punibile, quando si è concretato in un'azione pericolosa: e,
siccome il pericolo non è altro che probabilità (..), il requisito stabilito dal codice deve considerarsi
sussistente tutte le volte che il piano del reo, al momento in cui fu intrapreso, presnetava delle
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probabilità di successo. Come in genere nel valutare l'esistenza del pericolo, il giudice terrà conto di
tutte le conoscenze dell'uomo medio, completandole eventualmente con quelle dell'agente che a quete
siano superiori (le conoscenza speciali del reo). Non considererà. Invece, le circostanze non
conoscibili da tale punto di vista e particolarmente quelle palesate dallo svolgimento del fatto>:
ANTOLISEI-CONTI, pagg.263-264.
[431] VEROSIMILMENTE ESISTENTI al momento dell'azione criminosa. In questa particolare prospettiva,
risulta pertanto punibile, ad esempio, il tentativo del ladro che apre una borsa (nella quale è assolutamente
verosimile la presenza di denaro e la trova occasionalmente vuota).
[432] Es. borseggiatore sorpreso con la mano in tasca di una potenziale vittima risponde di tentativo di furto
anche se egli non sapeva che la tasca era vuota.
[433] "esecutivi in senso lato". E' esecutivo l'atto che "esegue" la fattispecie in conformità del piano concreto
dell'agente, e non già "l'atto esecutivo della fattispecie" sic et simpliciter.
[434] Requisito direzionalità che sorregge ("atti diretti a...") la condotta delittuosa non da intendersi nel
restrittivo senso soggettivo di sinonimo della "intenzionalità".
[435] Sono state registrate oscillazioni in giurisprudenza proprio nella individuazione dell'avvenuto esaurimento
o meno dell'azione esecutiva; così nel caso di inserimento di cannula vaginale a fini abortivi estratta prima che
l'aborto si verifichi, a volte l'abbandono del proposito si è qualificato desistenza non punibile, sul presupposto
che l'estrazione della cannula interrompe l'azione esecutiva, altre volte recesso attivo, sul presupposto che
l'inserimento della cannula di per sé già esaurisce l'azione esecutiva.
[436] Compiuto l'unico atto che costituisce il delitto (es. ingiuria verbale) l'azione criminosa è completa.
[437] Il quid richiesto in questi casi per configurarsi tentativo punibile è già sufficiente alla consumazione del
delitto.
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[438] Si ritiene un non pericolo; per alcuna dottrina (FIORE) la inammissibilità riguarda solo i REATI A
PERICOLO CONCRETO, in quanto in essi il solo verificarsi della situazione del pericolo del bene giuridico
protetto assume rilevanza alla stregua del reato consumato.
[439] Es. morte della donna in seguito a tentativo di aborto.
[440] Le singole azioni non assumono rilevanza penale autonoma.
[441] Ovvero allorché la situazione offensiva non abbia raggiunto il minimum necessario per la esistenza del
reato. Non è ammissibile il tentativo nel caso in cui vi sia l'interruzione della condotta delittuosa prima che si
realizzi la situazione lesiva dell'altrui diritto (si pensi al fallimento del sequestro di persona per la resistenza
della vittima).
<Nei reati permanenti la consumazione è rappresentata dunque non da un momento,ma da un periodo,
compreso tra l'inizio e la fine dello stato antigiuridico (...).Con i reati permanenti non debbono essere
confusi i reati istantanei ad effetti permanenti, rappresentati da quei reati istantanei le cui conseguenze lesive
assumono carattere durevole: così, ad es., il furto (art.624/1° c.p.) si consuma (istantaneamente) nel
momento in cui si attua l'impossessamento della cosa sottratta (e cioè l'acquisto di una signoria autonoma su
di essa), ma gli effetti dello spossessamento sono destinati, per la vittima, a protrarsi nel tempo> PADOVANI,
op.cit., pag.249.
[442] <Rapporto fra tentativo e circostanze ( e cioè la manifestazione del tentativo in forma
circostanziata). In proposito occorre premettere che non possono essere applicate al tentativo le
circostanze intrinsecamente dipendenti dal fatto che il delitto non è stato consumato (in quanto
costituiscono un aspetto costitutivo della figura criminosa: così, risulta inapplicabile l'attenuante di
cui all'art.62 n.4 c.p. ad un furto tentato per il solo fatto che, non avendo il reo sottratto la cosa, il
danno patrimoniale risulta modesto o insussistente). Bisogna poi distinguere due situazioni:
b)
la circostanza è già presente al momento della commissione degli atti (ad es., tentativo di
omicidio per motivi futili: art.61 n.1 c.p.,o in seguito ad una provocazione art.62 n.2 c.p.). L'applicabilità
della circostanza è allora ovvia e pacifica, salvo il caso (discusso in dottrina) che si tratti di
circostanze speciali: si sostiene allora, da parte di taluno, che essendosi esse riferite alla forma
consumata, non potrebbero essere estese a quella tentata (che è titolo autonomo di reato) in forza del
principio di legalità (così, ad es., le aggravanti di cui all'art. 625/1 c.p. riguarderebbero soltanto il delitto
di furto consumato previsto dall'art. 624/1° c.p.: chi tentasse di sottrarre una cosa portando indosso
un'arma risponderebbe allora del solo furto, non aggravato ex art.625/1° n.3 c.p.). Ma si tratta diuna
soluzione formalistica: l'autonomia del titolo di tentativo non impedisce affatto che l'art.56/1°c.p. si
combini anche con la fattispecie del delitto circostanziale, dando luogo ad un delitto tentato
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circostanziato. Da questo punto di vista, anche i delitti aggravati dall'evento possono assumere la
forma tentata, qualora agli atti commessi segua effettivamente l'evento aggravatore (così, ad es., da un
tentativo di maltrattamenti possono derivare lesioni personali gravi: art.572/2°c.p.);
c)
la circostanza non si è realizzata con il compimento degli atti di tentativo, ma si sarebbe senza
dubbio prospettata qualora l'iter criminis si fosse sviluppato ulteriormente o si fosse raggiunta la
consumazione (ad es., Tizio tenta di sottrarre un oggetto di grande valore: art.61 n.7 c.p.). In questi
casi la giurisprudenza ritiene ugualmente applicabile la circostanza (sempre che la sua realizzazione
ulteriore sia certamente implicata nel fatto che il reo intendeva consumare), ma a torto: l'art.59/1°-2°
c.p. subordina l'imputazione della circostanza alla sua effettiva esistenza e l'art.56/1° c.p.,dal canto
suo, si riferisce al <<delitto>> e non anche alla <<circostanza>>. Poiché il tentativo di una circostanza
risulta dunque rilevante, ne consegue l'inammissibilità di un delitto circostanziato tentato.>
PADOVANI, op.cit., pagg. 258-259.
[443] Quando le circostanze si realizzano compiutamente (o solo in parte) nel contesto della stessa azione
tentata.
[444] Si configura allorché un delitto, se fosse giunto a consumazione, sarebbe stato qualificato dalla presenza
di una o più circostanze. Si tratta di una circostanza tentata.
[445] Si pensi ad es. al caso di un omicidio tentato accompagnato da atti diretti a seviziare.
[446] O pentimento operoso.
[447] In linea di massima, la DESISTENZA ha luogo allorquando l'agente muti proposito e interrompa la sua
attività criminosa. Più precisamente,nei delitti COMMISSIVI egli deve INTERROMPERE la condotta intrapresa
(es. il ladro che, forzata la serratura, decide di non portare a compimento l'azione criminosa; egli sarà, al più,
punito per gli atti di danneggiamento); nei delitti OMISSIVI, invece, egli deve intraprendere ciò che stava
omettendo, ossia la condotta doverosa (es. la madre che riprende ad allattare il neonato dopo che aveva
deciso di non farlo morire di fame).
[448] Si tratta di una circostanza attenuante, l'unica esclusiva del tentativo.
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[449] L'esempio è tratto dal MANTOVANI che qualifica tale ipotesi come recesso mediante omissione.
Contraria la giurisprudenza che ha affermato che "La desistenza volontaria si differenzia dal recesso attivo in
quanto la prima interviene quando s'interrompe l'attività esecutiva, mentre il secondo è ravvisabile quando
l'attività esecutiva è compiutamente esaurita e manca solo che l'evento si realizzi (fattispecie relativa a ritenuta
desistenza volontaria e non recesso attivo dal tentativo di estorsione come ritenuto dal giudice d'appello,
poiché l'evento si sarebbe potuto realizzare solo se l'agente si fosse presentato per ricevere la somma
minacciosamente richiesta in momento anteriore a quello fissato per la materiale consegna") (Cass. 24 giugno
1992).
[450] Lo schema dell'impedimento volontario dell'evento (cosiddetto recesso attivo) si differenzia da
quello dell'attenuante di cui all'art.62, n.6 c.p. (attivo ravvedimento): ed invero nel caso di RECESSO
ATTIVO, ad attività criminosa compiuta e mentre è in svolgimento l'ormai autonomo processo naturale (che è
in rapporto necessario di causa ed effetto tra una determinata condotta ed un determinato effetto cui la prima
mette capo), l'agente si riattiva, interrompendo tale processo, così da impedire il verificarsi dell'evento; nel
caso di ATTIVO RAVVEDIMENTO, invece, a reato consumato, e quindi ad evento già verificatosi, interviene il
ravvedimento dell'agente che spontaneamente ed efficacemente si adopera per attenuare le conseguenze
dannose o pericolose del reato: il chiaro discrimine tra le due ipotesi è ravvisabile pertanto nella avvenuta
oppure no verificazione dell'evento normativo (Cass. 11 gennaio 1996).
[451] L'aver fatto riferimento all'oggetto dell'azione o alla sua NON ESISTENZA finisce per essere la
traduzione, sul piano della tecnica legislativa, di una esigenza da tempo avanzata nelle ricerche sul tentativo:
risponde ai dubbi sulla sussistenza del tentativo allorquando ciò su cui dovrebbe cadere la condotta
dell'agente non esiste (o non esiste più).
[452] Per Marcello GALLO "offensivista" (genero di Antolisei, metodologista o teologista del penalismo)
perché l'azione sia idonea occorre che sia offensiva. Per Federico STELLA se il reato è offensivo,
l'offesa è elemento di tipicità.
[453] Secondo la DOTTRINA TRADIZIONALE (ANTOLISEI, MANZINI, PANNAIN,VANNINI) e la
giurisprudenza prevalente (Cass. 17 maggio 1953, n.4417) il reato impossibile per INIDONEITA'
DELL'AZIONE non è altro che un TENTATIVO INIDONEO, sicchè l'art.49, comma 2, sarebbe un inutile
doppione, in negativo, dell'art.56. Pertanto, di fronte ad una determinata condotta dell'agente che non ha
prodotto l'evento lesivo o pericoloso, con un GIUDIZIO di prognosi postuma (EX ANTE ED IN CONCRETO), è
necessario valutare la idoneità dell'azione: se l'ESITO della VALUTAZIONE E' NEGATIVO, vi è REATO
IMPOSSIBILE (art.49, comma 2); se l'esito è POSITIVO, si avrà reato tentato (rectius delitto tentato:
art.56). Tale dottrina, seguita anche dalla giurisprudenza, precisa che la insufficienza causale dell'azione va
VALUTATA IN CONCRETO (non astrattamente) e con giudizio EX ANTE (cioè ponendosi idealmente nella
situazione che l'agente si è rappresentata prima dell'azione): infatti, con valutazione EX POST, ogni volta che
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l'evento non si realizza dovrebbe affermarsi che la condotta era inidonea. Si è ritenuto, ad es., che il
PREVENTIVO APPOSTAMENTO DELLA POLIZIA sul luogo del delitto ed il successivo intervento della
stessa, che evita la consumazione del reato, non siano sufficienti, di per sé, a rendere l'azione assolutamente
inidonea ed inadeguata al fine a cui era diretta, in quanto, con valutazione IN CONCRETO ed EX ANTE, essa
poteva essere portata a conclusione.
Una DOTTRINA PIU' RECENTE, (BRICOLA, GALLO, FIORE, MANTOVANI)contestando quella tradizionale la
quale, come visto, porta ad una valutazione di superfluità dell'art.49, comma 2°, rispetto all'art.56, rivendica
una FUNZIONE AUTONOMA del REATO IMPOSSIBILE rispetto al TENTATIVO INIDONEO. Tale teoria è
un'implicazione del c.d. PRINCIPIO DI OFFENSIVITA' (derivante dalla "CONCEZIONE REALISTICA DEL
REATO"), per il quale il reato deve EFFETTIVAMENTE ledere o mettere in pericolo (OFFENDERE) il
bene tutelato dalla norma, altrimenti LO SCARTO TRA TIPICITA' FORMALE DELLA CONDOTTA ED
OFFESA AL BENE TUTELATO rende la condotta medesima non punibile. Pertanto, per i sostenitori di
tale recente dottrina, se un soggetto compie singoli ATTI concretamente non idonei a produrre
l'evento, si avrà un TENTATIVO INIDONEO e non punibile (art.56); se, invece, l'agente pone in essere
l'INTERA CONDOTTA, (l'AZIONE) ma questa è inidonea ad offendere il bene, si avrà rato impossibile
(art.49,comma 2).A titolo esemplificativo, se Tizio opera una falsificazione di banconote in modo
estremamente grossolano, egli ha posto in essere interamente la condotta descritta dalla norma incriminatrice
(art.453), ma la grossolanità del falso rende impossibile l'offesa o la messa in pericolo della "fede pubblica",
sicchè la fattispecie rientrerà nell'ìpotesi di cui all'art.49, comma 2. Ed ancora, ricollegando la tematica del
REATO IMPOSSIBILE al principio di OFFENSIVITA', si potrà ritenere, ad esempio, che colui il quale rubi una
ciliegia da un albero non è punibile ai sensi dell'art.624, in quanto,pur avendo posto in essere la condotta
descritta dalla norma, essa in concreto è INIDONEA A LEDERE IL BENE GIURIDICO "patrimonio" protetto
dalla norma sicchè si avrà reato impossibile (non punibile).
[454] Il legislatore si sforzerà di tipizzare in maniera autonoma le diverse forme di partecipazione,
distinguendole in funzione dei ruoli rispettivamente rivestiti dai vari concorrenti (ad es. autore, determinatore,
istigatore, complice). Questa tecnica si preoccupa di differenziare la responsabilità di ciascun concorrente sul
piano della tipicità del fatto.
[455] Il legislatore inclinerà per la c.d. tipizzazione causale: in questo senso sono riconducibili alla fattispecie
concorsuale tutte le condotte dotate di efficacia eziologia nei confronti dell'evento lesivo, e non assume più
importanza la precisa demarcazione, sul terreno della tipicità, fra forme "primarie" e "secondarie" di
partecipazione. Della reale entità del contributo apportato da ciascun concorrente si potrà tener conto tutt'al più - in sede di commisurazione della pena. Corrisponde alla tradizione penalistica delle
codificazioni liberali ottocentesche ed è ancora recepito in Germania: si evita di lasciare indeterminati i
presupposti della punibilità delle condotte secondarie di partecipazione e di appiattire le responsabilità
individuali (graduazione pena a seconda del tipo di contributo arrecato da ciascun concorrente).
Origine della pari responsabilità (punibilità) dei concorrenti:
-
ANTOLISEI: il fondamento sta nell'associazionismo. Consueta impostazione aristotelica del casualismo.
Pensiero tedesco e austriaco: natura accessoria (è l'azione principale, se è punibile, che trasmette il
proprio valore di punibilità);
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DELL'ANDRO + altri: natura plurisoggettiva del concorso, combinazione tra la norma dell'art.110 e la
singola violazione (vedi reati a condotta frazionata), abbiamo quindi una nuova fattispecie: la figura del reato
concorsuale.
[456] Inversione di rotta rispetto al codice Zanardellli del 1889. Il retroterra culturale che preparò la riforma del
'30 era influenzato dal pensiero "positivistico-naturalistico" incline a valorizzare il "dogma della causalità"
anche sul terreno dei presupposti della responsabilità penale. D'altra parte, una volta accolto il principio
dell'equivalenza causale negli artt.40 e ss., ragioni di coerenza sistematica imponevano di orientare anche la
disciplina del concorso secondo il criterio dell'equivalenza causale dei contributi dei singoli concorrenti. Nello
stesso tempo, era forte l'influenza del "positivismo criminologico" di matrice lombrosiana e ferrigna: ciò portava
per un verso a sminuire l'importanza di una diversificazione delle responsabilità individuali operata sul piano
della tipizzazione del fatto; e a privilegiare invece, per altro verso, il valore sintomatico dei singoli contributi,
per dedurne elementi di valutazione della "pericolosità sociale" di ciascun compartecipe ai fini della
individualizzazione del trattamento punitivo (...). Infine, non va trascurato che le scelte politico-criminali sottese
alla riforma del concorso costituivano, pur sempre, una proiezione delle tendenze autoritario-repressive tipiche
della politica penale del '30: in questo senso, la rinuncia alla distinzione tra compartecipi primari (autore,
coautore, determinatore) e secondari (istigatore e complice) corrispondeva ad una sorta di affrancazione da
quei "laccioli" di marca liberal-garantistica, che avrebbero comunque ostacolato una più massiccia (ancorché
più sommaria) repressione degli episodi di reità soggettiva.
[457] - PENA PER COLORO CHE CONCORRONO NEL REATO - "Quando più persone concorrono nel
medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita, salve le disposizioni degli articoli
seguenti".
[458] La giurisprudenza applica di rado tale circostanza attenuante, e pur quando lo fa si tratta sovente di
ipotesi nelle quali dovrebbe essere esclusa in toto la partecipazione al reato. Così, ad esempio, nell'ipotesi in
cui il soggetto sia stato soltanto presente nel luogo di realizzazione della fattispecie criminosa (e in cui la
giurisprudenza ha ritentuo di identificare un rafforzamento dell'altrui proposito criminoso). Anche questa
norma, come l'art.112, risponde all'esigenza di ADEGUARE IL TRATTAMENTO SANZIONATORIO di ciascun
compartecipe all'entità del contributo fornito per il compimento dell'impresa criminosa, così attenuando il
principio della pari responsabilità sancito nell'art.110. Si tratta di una CIRCOSTANZA FACOLTATIVA in
quanto è lasciato al giudice il compito di valutare l'opportunità o meno della sua applicazione e in quanto tale è
ritenuta da autorevole dottrina costituzionalmente illegittima perché in contrasto col principio dell'obbligatorietà
dell'applicazione delle circostanze vigenti nel nostro ordinamento.
[459] Se A si limita a fornire a B uno strumento da scasso per compiere un furto, questa sua condotta di ausilio
non potrà essere punita finchè l'esecutore materiale non avrà realizzato gli estremi di un'azione furtiva tipica ai
sensi dell'art.624.
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[460] Basta un'azione principale "obiettivamente antigiuridica" accessorietà c.d. limitata: il complice che
fornisce lo strumento sarebbe punibile anche se l'esecutore materiale non fosse in concreto assoggettabile a
pena perché ad es. in imputabile.
[461] Es. in una rapina dove A minacci con la pistola B e si impossessi del portafoglio. Non mancherebbero
però argomenti per controbattere alle pretese insufficienze della teoria dell'accessorietà nelle ipotesi di c.d.
esecuzione frazionata: si potrebbe infatti sostenere che l'accessorietà è "reciproca", nel senso che "ciascun
contributo, per acquistare rilievo giuridico, ha bisogno di venire accostato ad un altro complementare"
(PEDRAZZI). Per esemplificare, tornando al caso della rapina: la condotta di A che minaccia con la pistola
accede a quella di B che sottrarre il portafoglio, integrandone la tipicità, e viceversa; lo schema
dell'accessorietà dunque permane, questa volta riferito non ad una condotta sia pure principale e ad una
secondaria, ma a due condotte entrambe non tipiche (o tipiche soltanto parzialmente).
[462] - MUTAMENTO DEL TITOLO DI REATO PER TALUNO DEI CONCORRENTI - "Se, per le condizioni o
le qualità personali del colpevole, o per i rapporti fra il colpevole e l'offeso, muta il titolo del reato per taluno di
coloro che vi sono concorsi, anche gli altri rispondono dello stesso reato. Nondimeno, se questo è più grave, il
giudice può, rispetto a coloro per i quali non sussistono le condizioni, le qualità o i rapporti predetti, diminuire la
pena.".
[463] Nel caso di concorso nel reato proprio, vero è che esigenze repressive postulerebbero l'incriminazione a
titolo di reato proprio anche dell'extraneus che realizza la condotta esecutiva: è non meno vero tuttavia che
l'art.117, pur ammettendo il fenomeno del mutamento del titolo di reato, non ne specifica le condizioni (in altre
parole, la disposizione lascia insoluto l'interrogativo se la condotta esecutiva del reato proprio possa essere o
no realizzata anche dal concorrente privo della qualifica soggettiva richiesta). Nel silenzio del legislatore,
sembrerebbe allora altrettanto lecito ritenere che in proposito acquisti rilevanza decisiva il riferimento alla
norma incriminatrice di parte speciale. Se così è, l'art.117 presupporrebbe, dunque, che l'intraneus svolga
nella fattispecie di concorso lo stesso ruolo rivestito nella corrispondente fattispecie
monosoggettiva.(LATAGLIATA, GALLO M.).Per esemplificare: se è un inserviente, e non il capo dell'ufficio
titolare della qualifica, ad appropriarsi del pubblico denaro, si configurerà non un concorso in peculato ex
art.117, ma un concorso in furto o in appropriazione indebita.
[464] Per ANTOLISEI-CONTI, op.cit., pag.293, sembra che <il difetto fondamentale di questa teoria sia il
risultato di una eccessiva frammentazione delle ipotesi>.
[465] Occorre che il reato (che può essere commesso anche da un solo soggetto) sia di fatto realizzato
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almeno da due persone. Si ha, poi, comunque, concorso, con l'applicazione della relativa disciplina,anche
quando uno dei due compartecipi (se il reato è commesso da due persone) o più compartecipi (due se, ad
esempio, il reato è commesso da tre persone), siano non punibili o non imputabili, come si desume, in
particolare dall'art.112 u.c. Quest'ultimo prevede l'applicabilità delle aggravanti (del numero di persone, della
promozione e direzione dell'azione criminosa e dell'induzione alla stessa di persone sottoposte da parte di chi
abbia autorità su di esse) anche quando uno dei compartecipi non è punibile né imputabile.Ulteriore conferma
può ricavarsi dagli articoli 111 e 119. Il nostro ordinamento non ammette, dunque, la figura del C.D. AUTORE
MEDIATO, ossia del soggetto che si avvalga di un altro essere umano, non punibile o non imputabile per altra
causa, per compiere un reato, e che ne risponda come nell'esecuzione monosoggettiva. Sono dunque,
riconducibili, comunque, al fenomeno del concorso e alla relativa disciplina (e non alla figura dell'autore
mediato, come sostenuto da altra parte della dottrina) le ipotesi del COSTRINGIMENTO FISICO A
COMMETTERE UN REATO (art.46), del REATO COMMESSO PER UN ERRORE DETERMINATO
DALL'ALTRUI INGANNO (art.48), della COAZIONE MORALE (art.54,ult.comma), della
DETERMINAZIONE IN ALTRI DELLO STATO DI INCAPACITA' ALLO SCOPO DI FAR COMMETTERE UN
REATO (art.86), della DETERMINAZIONE AL REATO DI PERSONA NON IMPUTABILE O NON PUNIBILE
(art.111).
[466] Tra tali circostanze (in senso "atecnico") sono da ricomprendere ad es. anche l'imputabilità o la
mancanza di dolo, se ne ricava ancora una volta, dunque, che la pluralità di soggetti sussiste anche se taluno
sia incapace di intendere o di volere o agisca senza volontà colpevole.
[467] Si respinge quindi la teoria dell'autore mediato: per la quale un soggetto, per assumere la qualifica di
concorrente, deve essere imputabile e deve aver agito con dolo; conseguentemente essa teoria esclude la
ricorrenza del concorso di persone nelle ipotesi degli artt. 46,48,54 ult.co.,86,111 c.p..ove si avrebbe un solo
autore mediato nella persona del responsabile il quale assume, appunto, la veste di AUTORE MEDIATO
compiendo il reato per mezzo di un altro uomo che diventa però mero strumento nelle mani del primo. Come si
è detto questa teoria è smentita dalla disciplina positiva del concorso e, in particolare, dagli artt.112 e 119 c.p..
La teoria dell'autore mediato deve essere respinta anche per ragioni di carattere squisitamente teorico: la
stessa, infatti, è stata elaborata dalla dottrina tedesca aderente alla tesi della accessorietà estrema per
giustificare la punibilità di ipotesi non inquadrabili in nessuna delle figure tipiche di partecipazione previste dal
codice germanico: chi si serve di un altro soggetto per commettere il reato non può essere punito né come
autore, non compiendo la azione tipica, né come complice perché, per la tesi della accessorietà estrema, per
la punizione del complice è necessario che l'azione principale sia punibile in concreto (dunque, che l'esecutore
materiale sia imputabile e agisca con dolo). Da qui, pertanto, l'esigenza di considerare come autore, seppure
"mediato", punibile ai sensi della stessa fattispecie monosoggettiva, chi usa altri soggetti come puri strumenti
esecutivi: in argomento: SINISCALCO, PADOVANI.
[468] Per ANTOLISEI-CONTI, op.cit., pag.298, si parla <di elemento oggettivo di un reato e non di un fatto
punibile, perché (..) il nostro diritto considera <<concorrenti>> anche le persone che non siano punibili per
difetto di imputabilità o di dolo e in genere per la presenza di una causa soggettiva di esclusione della pena.
Per la sussistenza del concorso, quindi, non è necessario che l'autore (in senso stretto) abbia compiuto
un'azione punibile: basta chec abbia posto in essere il fatto materiale che è delineato in una norma
incriminatrice. In questo senso la dottrina parla talora di <<azione oggettivamente antigiuridica>>. Noi che non
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ammettiamo l'antigiuridicità oggettiva, esprimiamo lo stesso concetto, dicendo che per l'esistenza del concorso
delittuoso basta che l'autore abbia realizzato un fatto che non è punibile esclusivamente per cause soggettive.
Da quanto abbiamo detto si desume che la punibilità dei semplici partecipanti (determinatori, istigatori e
ausiliatori) è subordinata alla condizione che l'autore abbia realizzato un fatto punibile o per lo meno un fatto
che sarebbe punibile, se non facesse difetto un requisito soggettivo> . Vedi anche art.115 c.p..
[469] questa riserva allude alle ipotesi nelle quali già il semplice accordo o la mera istigazione sono elevati - in
considerazione della speciale importanza che il legislatore attribuisce a determinati interessi - ad autonome
figure di reato: fattispecie artt.302 (istigazione a commettere alcuno dei delitti preveduti dai capi 1° e 2°), 304
(cospirazione politica mediante accordo), 322 (istigazione alla corruzione).
[470] Coefficienti minimi che giustificano l'incriminazione del complice a titolo di concorrente nel reato.
[471] Il soggetto può dirsi concorrente nel reato quando abbia posto in essere un antecedente causale
necessario per la verificazione del reato.
[472] Es. complice che fornendo la chiave dello scassinatore determina l'anticipazione della consumazione del
furto. In tal modo queste azioni non rimangono impunite stante il loro indubbio disvalore penale.
[473] Es. del complice "maldestro" il quale finisce, a causa della sua condotta impacciata, con l'ostacolare
anziché favorire l'impresa criminosa (o all'arnese da scasso messo a disposizione dal complice ma non
utilizzato). In casi di questo genere, poco importerebbe rilevare che la condotta del complice, riguardata ex
post, risulta inutile o addirittura dannosa.
[474] Il giudizio di idoneità causale rispetto ad un evento effettivamente verificatosi, da farsi necessariamente
ex post e in concreto, non può essere sostituito con un giudizio ipotetico da effettuarsi ex ante ed in astratto;
rispetto al reato così come è stato posto in essere occorre chiedersi se, nella realtà effettuale, l'azione del
complice abbia avuto o meno efficienza causale, con la conseguenza che, quando al quesito si risponda
negativamente, il correo dovrebbe andare esente da pena; così nel caso di chi abbia fornito l'arnese da scasso
non utilizzato trattandosi di partecipazione meramente potenziale.Non può tuttavia escludersi che in questi
casi ricorra una PARTECIPAZIONE PSICHICA in quanto, nell'esempio riportato, l'adesione dall'altrui
proposito criminoso, la fornitura di un attrezzo, ben può avere avuto un effetto di istigazione e di rafforzamento
della volontà di commettere il reato. Ne deriva quindi che le ipotesi di condotte di partecipazione che si rivelino
ex post inutili o addirittura dannose o devono andare esenti da pena o possono integrare una ipotesi di
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partecipazione psichica; ma in questo secondo caso non in base ad una automatica conversione, come
spesso fa la giurisprudenza, ma in quanto sia in concreto provata la loro efficacia determinatrice o rafforzatrice
dell'altrui proposito criminoso. Infatti ai fini dell'esistenza del concorso, la volontà di concorrere non
presuppone necessariamente un previo accordo o, comunque, la reciproca consapevolezza del
concorso altrui, essendo sufficiente che la coscienza del contributo fornito all'altrui condotta esista
unilateralmente, con la conseguenza che essa può indifferentemente manifestarsi o come previo
concerto o come intesa istantanea ovvero come semplice adesione all'opera di un altro che rimane
ignaro (Cass. 3 maggio 2001, n.31). Ciò che caratterizza la partecipazione è l'adattamento del concorrente
all'altrui contributo (..) restando fermo che, se il contributo di un soggetto non ha inciso nella verificazione del
fatto-reato, questi non risponde di concorso. Mentre il concorrente che apporti il sul contributo percependo le
note caratterizzanti la materialità del fatto ed utilizzando l'apparato organizzativo costituito dagli apporti degli
altri è concausa della realizzazione del reato (Cass. 22 ottobre 1994). In tema di concorso materiale di
persone nel reato, è penalmente rilevante non solo l'ausilio necessario ma anche quello che si limita ad
agevolare o facilitare il conseguimento dell'obiettivo finale. Il contributo agevolante o facilitante appare non
necessario o non indispensabile soltanto in astratto ma non già in concreto, perché con un giudizio "ex post" è
tale da prestarsi ad essere valutato come una "condicio sine qua non" dell'evento (Cass. 28 gennaio 1993).
[475] La figura del determinatore nel concorso morale va tenuta distinta da quella di chi determini al
delitto una persona non imputabile o non punibile ai sensi dell'art.111 c.p. che nel prevedere il caso di
chi determini a commettere un reato una persona non imputabile o non punibile, non richiede nella persona
determinata, mero strumento di esecuzione, partecipazione soggettiva né consapevolezza di commettere il
reato (Cass. 7 novembre 1989).
[476] In materia di concorso di persone nel reato, affinché la adesione di volontà possa costituire concorso
morale come rafforzamento del disegno criminoso da altri concepito, occorre in concreto dimostrare il rapporto
di causalità tra l'adesione del terzo - che in caso di risposta affermativa diventa concorrente morale - e
l'incentivo che ne deriva all'attività dell'autore mediato. Vale a dire se quest'ultimo manifesta la intenzione di
commettere il reato, va dimostrato come un suggerimento di un terzo, per la sua peculiarità, sia causa
efficiente del rafforzamento di detta intenzione perché sia posta in essere manifestazione partecipativa a titolo
di concorso morale, altrimenti si verte in connivenza non punibile (Cass. 14 dicembre 1995, n.684). Infatti la
C.D. CONNIVENZA che ricorre quando un individuo assista passivamente alla perpetrazione di un reato che
avrebbe la possibilità ma non l'obbligo di impedire, non determina responsabilità a titolo di concorso; ciò in
quanto non sussiste un obbligo generale per i cittadini di attivarsi per impedire la commissione di reati. Si avrà,
invece, CONCORSO ai sensi dell'art.110 c.p. e non semplice connivenza, ogni volta che l'agente partecipa,
in qualunque modo, alla realizzazione dell'illecito e, quindi, anche quando, con la sua presenza (le maggiori
difficoltà di inquadramento nell'una o nell'altra figura riguardano appunto la presenza sul luogo del delitto: il
giudice deve valutare con rigore logico il comportamento dell'imputato presente all'esecuzione del delitto, da
altri materialmente commesso, onde cogliere gli aspetti sintomatici atti a giustificare la condotta del presunto
concorrente come partecipazione criminosa piuttosto che complice connivenza o mera adesione morale:
Cass. 25 ottobre 1994), agevola o rafforza il proposito criminoso altrui, giacchè tale situazione è ben
diversa, sotto il profilo ontologico e giuridico, dalla mera adesione interna ad un'altrui condotta
penalmente rilevante, che nessun contributo arreca alla commissione del reato.
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[477] sul piano processuale, quando il concorso morale venga prospettato soltanto sotto la forma del
rafforzamento dell'altrui proposito criminoso, non può pretendersi la prova positiva, obiettivamente impossibile,
che senza di esso quel proposito non sarebbe stato attuato, dovendosi, invece, considerare sufficiente la
prova della obiettiva idoneità, in base alle regola della comune esperienza, della condotta
consapevolmente posta in essere dal concorrente a produrre, sia pure in misura modesta, il suddetto
rafforzamento (Cass. 10 maggio 1993; Cass. 20 dicembre 2000, n.13248).
[478] la volontà di cooperare non richiede necessariamente un previo accordo; il concorso di persone nel
reato, infatti, ben può esplicarsi anche attraverso un'intesa spontanea intervenuta nel corso dell'azione
criminosa, o tradursi in un supporto casualmente efficiente, sotto il profilo materiale o morale, di carattere
estemporaneo.
[479] La coscienza e volontà di cooperare con altri nella commissione del reato può quindi atteggiarsi
indifferentemente o come previo concerto, o come accordo improvviso in corso di esecuzione o anche come
semplice adesione alla condotta di un altro soggetto che ne rimane ignaro. Ed infatti, NON necessariamente la
consapevolezza del concorso deve sussistere in TUTTI I PARTECIPI (c.d. reciproca volontà di concorrere)
ma è sufficiente che sussista anche in uno solo dei soggetti che realizzano il fatto; è chiaro però che il
soggetto che non era consapevole di concorrere con altri risponderà del reato monosoggettivo
commesso mentre ai soli compartecipi consapevoli si applicherà la disciplina del concorso, sia ai fini
della affermazione della responsabilità che ai fini della determinazione della pena. Solo se più soggetti
operano tutti all'insaputa gli uni degli altri in luogo del concorso si avranno distinti ed autonomi reati
monosoggettivi.
[480] <L'autonomia della posizione di ciascun concorrente rende ammissibile il concorso doloso nel reato
colposo. Poiché l'esecutore della fattispecie monosoggettiva può anche agire senza dolo, senza con ciò
escludere la responsabilità degli altri concorrenti, ne deriva a fortiori ch'egli possa anche agire con colpa. Così,
ad es., Tizio sostituisce con un veleno la fila che l'infermiera deve iniettare; l'infermiera trascura colposamente
di rilevare la diversità di confezione e somministra la sostanza letale da cui deriva la morte del paziente>
PADOVANI, op.cit., pag.274.
[481] <Secondo l'opinione prevalente, il concorso colposo nel delitto colposo si risolve in un concorso di
condotte colpose casualmente efficienti nella produzione dell'evento, unificate da un elemento psicologico: la
coscienza e la volontà di cooperare nell'attività (o omissione) da cui scaturirà l'evento non voluto da alcuno (ad
es. due escursionisti accendono un fuoco inun bosco riarso e provocano involontariamente un incendio; il
proprietario di una vettura la presta ad una persona sprovvista di patente, che cagiona per imperizia la morte
di un pedone). In pratica, la rilevanz pednale delle regole condotte colpose sarebbe già assicurata dalla
fattispecie del delitto colposo che ciascuna di esser di per sé realizza compiutamente. La loro valutazione in
termini di concorso (determinata dalla presenza della coscienza e volontà di cooperare) servirebbe soltanto a
fini di disciplina, ed in particolare al fine di consentire l'applicazione di talune aggravanti speciali del concorso
(art.113/2°c.p.). In realtà nulla esclude che l'art.113/2°c.p art.113/2°c.p possa svolgere anche una funzione
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incriminatrice rispetto a condotte che non sarebbero di per sé rilevanti nel quadro della fattispecie colposa
monosoggettiva (ad es., Tizio istiga il guidatore Caio a violare il limite di velocità per raggiungere prima la
meta; Caio provoca la morte di Sempronio; Tizio non ha in realtà violato alcun obbligo di diligenza riferibile alla
sua posizione ed alla sua attività, ma ha cooperato con Caio). Per quanto riguarda il concorso colposo nel
delitto doloso, esso non sembra poter assumere rilevanza, perché, da un lato, l'art.42/2° c.p. impone
l'esigenza di un'espressa previsione (che in realtà manca),e, dall'altro, l'art.113 c.p. contempla soltanto il
concorso colposo nel delitto colposo.>PADOVANI, op.cit.,pag.274-275.
[482] Art.254 agevolazione colposa per distruzione o sabotaggio di opere militari; art.259 agevolazione
colposa per delitti di cui artt.255,256,257,258; art.350 agevolazione colposa per violazione di sigilli (art.349).
Cooperazione nel delitto colposo: sul piano soggettivo pluralità di requisiti che distinguono dal
concorso doloso:
1)
non volontà dell'evento;
2)
consapevolezza di partecipare ad una condotta altrui quantomeno pericolosa;
3)
prevedibilità ed evitabilità dell'evento : requisito tipico.
[483] Attraverso la previsione di queste aggravanti il legislatore del '30 ha introdotto un'ATTENUAZIONE AL
PRINCIPIO DELLA PARI RESPONSABILITA', in quanto consente una graduazione della responsabilità
dei concorrenti in relazione al contributo che ciascuno ha fornito alla realizzazione del fatto criminoso.
[484] Promotore: colui che ha ideato l'impresa criminosa, prendendo l'iniziativa; organizzatore: chi
predispone il progetto esecutivo, scegliendo i mezzi e le persone che lo devono attuare; direttore: in via
residuale, chi assume una funzione di guida ed amministrazione.
[485] Secondo l'opinione dominante, la determinazione della MINIMA IMPORTANZA presuppone una
valutazione giudiziale dell'efficienza dell'apporto causale arrecato da ciascun concorrente. In altri termini, una
volta accertato il nesso causale tra un certo contributo e il fatto concorsuale nelle sue modalità concrete, si
tratta di vagliarne il grado di imprescindibilità in rapporto ai fattori ipotetici rimasti inoperanti nella situazione
concreta, ma che avrebbero potuto egualmente condurre al risultato in assenza della condotta in questione.
Ecco che la considerazione dei fattori ipotetici, irrilevante in sede di accertamento del nesso causale, diventa
invece rilevante al momento di soppesare il valore del contributo di ciascun partecipe ai fini di una
commisurazione della pena ispirata al principio di una responsabilità il più possibile "personalizzata".
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[486] La norma è considerata una ipotesi particolare di ABERRATIO DELICTI caratterizzata dal fatto di
disciplinare il fenomeno del reato aberrante verificatosi in regime di concorso.
[487] Nella sua formulazione letterale la norma prevede un'ipotesi di RESPONSABILITA' OGGETTIVA in
quanto consente di porre a carico del c.d. CONCORRENTE NOLENTE il reato non voluto sulla base del mero
nesso di causalità tra l'evento e la sua azione od omissione. Senonchè, la CORTE COSTITUZIONALE
(42/1965),chiamata a pronunciarsi sulla legittimità dell'art.116 in relazione all'art.27 Cost., mediante una
sentenza interpretativa di rigetto,ha escluso che esso configuri un'ipotesi di responsabilità oggettiva, in
quanto, oltre al nesso di causalità materiale, richiede la ricorrenza di un nesso di causalità psichica
consistente nel fatto che il reato diverso costituisca "UNO SVILUPPO LOGICAMENTE PREVEDIBILE"
di quello voluto. E' tuttavia, discusso come debba intendersi il suddetto nesso di causalità psichica. Secondo
un primo orientamento interpretativo esso consiste nella ASTRATTA PREVEDIBILITA' del reato diverso,
cioè nella possibilità di rappresentarsi l'evento non voluto già attraverso un raffronto tra le fattispecie
incriminatici (se si commette una rapina a mano armata è prevedibile che colui il quale impugna la pistola
uccida una vittima la quale tenti una reazione); secondo un diverso e più diffuso orientamento il nesso di
causalità psichica di cui alla norma in esame va inteso in termini di PREVEDIBILITA' IN CONCRETO cioè
come possibilità di rappresentarsi l'evento diverso sulla base di tutte le circostanze del singolo caso
(ricollegandosi all'esempio precedente, se la rapina è fatta in una banca, ove ci sono guardie giurate, è più
prevedibile in concreto, l'ipotesi di un conflitto a fuoco). Alla luce dell'interpretazione correttiva fornita dalla
Corte Costituzionale e costantemente seguita in dottrina e giurisprudenza, non è più possibile
considerare la fattispecie di cui all'art.116 come un'ipotesi di responsabilità oggettiva; resta però il
fatto che si tratta di un'ipotesi di RESPONSABILITA' ANOMALA in quanto il concorrente nolente
risponde del fatto a titolo di dolo pur ricorrendo gli estremi di una responsabilità colposa. Si parla di
RESPONSABILITA' ANOMALA in quanto la COLPA (non volontà dell'evento, inosservanza delle regole
di prudenza affidandosi ad altri, prevedibilità dell'evento) viene punita a titolo di DOLO, motivata dal
particolare disfavore con il qulae il legislatore guarda al fenomeno concorsuale. Si è al di fuori
dell'art.116 c.p. qualora i correi versino in dolo alternativo o in dolo eventuale: in tal caso non si potrà
usufruire della diminuzione della pena ex art.116/2° e la conseguente attenuazione di pena, dell'art.116
c'è solo se l'evento era non voluto pur se prevedibile (cfr. ex pluribus, Cass. n.4399/2001, Cass.
n.10795/1999).
[488] Si tratta di una CIRCOSTANZA ATTENUANTE OBBLIGATORIA che trova applicazione a favore del
concorrente che voleva un reato meno grave di quello concretamente realizzato.
<Per temperare il rigore della disposizione vi è chi accenna ad una sorta di dolo generico rispetto a qualsiasi
offesa penalmente rilevante (c.d. dolus generalis) e chi assume che il compartecipe non risponde se l'evento
non era uno sviluppo logicamente prevedibile di quello voluto. In quest'ultimo senso si è espressa la Corte
Costituzionale nella sentenza 31 magio 1965, n.42, escludendo un'ipotesi di responsabilità oggettiva. Tuttavia,
poiché la giurisprudenza della Corte di cassazione ha ravvisato spesso il concorso anomalo in esame solo se
sussista la rappresentazione in concreto del più grave evento, esso è stato compresso negli stretti confini della
colpa con previsione, dal momento che, di consueto, chi si rappresenta l'evento più grave e nondimeno
persiste nella condotta criminosa rispetto al reato meno grave deve ritenersi in dolo (eventuale) anche di fronte
al reato più grave. Col risultato che una interpretazione, che appariva di favore, nella realtà potrebbe portare a
risultati di maggiore asprezza> ANTOLISEI-CONTI, op.cit., pagg.311-312.
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[489] In tema di concorso di persone nel reato, l'applicabilità dell'art.116 - che prevede il CONCORSO
ANOMALO - è soggetta a due limiti negativi:
1) accertamento che l'evento diverso non sia stato voluto neppure sotto il profilo del dolo indiretto
(indeterminato, alternativo od eventuale) e, perciò, che il reato più grave non sia stato in effetti già
considerato come possibile conseguenza ulteriore o diversa nella condotta criminosa concordata e,
nonostante la previsione, non sia stato egualmente accettato il rischio del suo verificarsi, così
previamente approvato. In tale situazione, infatti, sussiste la responsabilità concorsuale nella ipotesi
piena e non attenuata, ai sensi dell'art.110 c.p.;
2) accertamento circa la non atipicità dell'evento diverso e più grave rispetto a quello concordato, sì
che l'evento realizzato non sia conseguenza di circostanze eccezionali, imprevedibili e non
ricollegabili all'azione criminosa, talchè ne risulti spezzato il nesso di causalità (Cass. 4 luglio 1994).
[490] Fa riferimento a un rapporto tra fattispecie incriminatici poste a priori a confronto: es. furto e rapina,
lesioni personali e omicidio, ecc.
[491] L'art.117 prevede un'ipotesi analoga a quella contemplata dall'art.116 (reato diverso da quello
voluto da taluno dei concorrenti) con la differenza che nel caso in esame il mutamento del titolo di
reato dipende, non già dalla realizzazione di un fatto diverso da quello programmato, ma dalla
particolare posizione soggettiva di taluno dei concorrenti. Essa, come la norma precedente, introduce
una DEROGA ai principi generali in tema di imputazione dolosa, secondo i quali la responsabilità
dell'extraneus per il reato proprio presuppone un'effettiva conoscenza dell'altrui qualifica soggettiva,
laddove, l'art.117 consente di ritenere responsabile per il reato proprio anche il concorrente ignaro
della qualifica soggettiva dell'intraneus.
In realtà l'Art.117 regola il consenso dell'estraneo nel reato proprio, reintroduce una forma di
responsabilità sostanzialmente oggettiva. Ruolo nel reato proprio: se l'errore investe l'elemento
costitutivo del ruolo allora abbiamo un errore sul fatto perché nega il disvalore del fatto. L'art.117
esige la consapevolezza della qualità propria dell'intraneo perché quella consapevolezza è l'elemento
di disvalore dell'intera figura del reato proprio, se lo è per il soggetto attivo, a maggior ragione lo è per
il concorrente del reato.
[492] es. cittadino comune che istighi un militare alla diserzione, un detenuto alla evasione o un pubblico
ufficiale alla appropriazione del denaro pubblico: l'istigatore, in qualità di concorrente, risponderà di diserzione,
evasione o peculato pur non rivestendo la qualifica soggettiva richiesta dalla legge per la commissione dei
rispettivi reati.
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[493] Al fine di evitare che autori di un medesimo fatto vengano puniti a diverso titolo esclusivamente per la
interferenza di qualità personali di un compartecipe: art. 117 c.p..: tornando all'esempio, anche l'extraneus
sarà chiamato a rispondere di peculato e non del meno grave reato di appropriazione indebita; il giudice
tuttavia potrà applicare in questo caso una diminuzione di pena.
[494] L'ipotesi contemplata dalla norma è quella dei REATI PROPRI NON ESCLUSIVI, ossia, di quei
reati per la cui sussistenza è necessario che il soggetto agente rivesta una PARTICOLARE QUALIFICA,
ma, che seppure realizzati in assenza di tale qualifica sono penalmente rilevanti, integrando gli estremi
di un REATO COMUNE. Così ad esempio, nel caso di reato di peculato (art.314) che può essere commesso
solo dal p.u. o dall'incaricato di p.servizio, ma che se viene realizzato da un qualunque cittadino consente di
identificare il delitto come furto (art.624). Solo in queste ipotesi, infatti, la qualifica soggettiva di taluno dei
concorrenti può generare un mutamento del titolo del reato (che da comune, diviene proprio). Non così,
invece, nell'ipotesi di REATI PROPRI ESCLUSIVI ossia di fattispecie criminose che sono prive di
rilevanza penale se realizzate da una persona che non riveste una particolare qualifica soggettiva. Si
pensi, ad esempio, al delitto di INCESTO (art.564) che ricorre quando si compia una congiunzione carnale
tra persone legate da determinati vincoli di parentela o affinità; qualora la congiunzione si realizzi tra persone
non legate da tali vincoli (purchè con il consenso di entrambe), il fatto è PRIVO DI RILEVANZA PENALE. Ne
deriva che in caso di reati propri esclusivi non può parlarsi di "mutamento del titolo del reato" e, dunque, non
trova applicazione la norma in esame ma i principi generali in materia di responsabilità penale.
[495] Si tratta di una CIRCOSTANZA ATTENUANTE FACOLTATIVA. Infatti, mentre al soggetto dotato della
particolare qualifica soggettiva, es. pubblico ufficiale (c.d. INTRANEUS) sarà applicata per intero la pena, per il
concorrente non dotato della detta qualità (C.D. EXTRANEUS) è possibile diminuire la pena.
[496] A conferma della natura oggettiva della responsabilità de qua, è invocabile l'art.1081 del codice della
navigazione per il quale "fuori dal caso regolato dall'art.117 c.p., quando per l'esistenza di un reato previsto dal
presente codice è richiesta una particolare qualità personale, coloro che sono concorsi nel reato, ne
rispondono se hanno avuto conoscenza della qualità personale inerente al colpevole". Come emerge
indirettamente dalla lettura di quest'ultima norma, il mutamento del titolo di reato disciplinato dall'art.117 NON
presuppone che l'estraneo sia a conoscenza di concorrere ad un reato proprio.
[497] Es. nel caso del reato di peculato, "legittimato" ad eseguire l'azione criminosa è il solo soggetto
qualificato, non solo in quanto titolare del particolare vincolo che lo avvince al bene protetto, ma anche in
quanto soggetto che possiede "per ragione di ufficio" il danaro pubblico. Ne consegue che ove il p.u. si limiti
per es. ad agevolare il furto di un terzo sprovvisto di qualifica, il mutamento del titolo sarà escluso e si
configurerà un semplice concorso in furto. Bisogna tuttavia intendersi. In questi casi sarebbe in realtà
errato limitare il concetto di attività esecutiva all'aspetto meramente naturalistico del fatto, ma occorre
piuttosto incentrarlo sull'idea di signoria o dominio dell'accadimento: ove il pubblico ufficiale
mantenesse il controllo effettivo del fatto delittuoso, mentre l'usciere si limitasse ad aprire la
cassaforte e prelevarne il denaro, tornerebbe a configurarsi un concorso in peculato per mutamento
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del titolo di reato ex art.117. Secondo l'orientamento che oggi tende a prevalere, invece, sarebbe proprio
l'accoglimento della teoria plurisoggettiva eventuale a rendere indifferente, ai fini della configurabilità del
concorso nel reato proprio, il ruolo rivestito dall'intraneus nell'ambito dell'esecuzione del fatto: di conseguenza,
si configurerebbe ad esempio pur sempre concorso in peculato anche nel caso in cui il soggetto possessore
della qualifica pubblicistica fornisse un contributo atipico alla condotta appropriativa realizzata dall'extraneus.
[498] Interpretazione estensiva.
[499] Con la riforma del regime delle circostanze aggravanti è stato profondamente modificato anche il criterio
della loro comunicabilità a tutti i concorrenti. Infatti, dal combinato disposto degli artt.118 e 59 si deduce la
seguente disciplina: innanzitutto il legislatore del '90 prescinde dalla distinzione tra circostanze
oggettive e soggettive indicando esplicitamente quali circostanze non sono suscettibili di estensione;
nell'ambito di quelle estensibili (e cioè non ricomprese nell'elencazione dell'art.118) è necessario
differenziare le circostanze attenuanti da quelle aggravanti: mentre le prime si applicano
automaticamente a favore di tutti i concorrenti (in quanto ancora sottoposte ad un regime obiettivo di
imputazione), le seconde sono applicabili solo se conosciute o conoscibili dal singolo concorrente in
applicazione del principio di colpevolezza. Il nuovo testo dell'art.118 pone, però, un PROBLEMA
ERMENEUTICO di rilievo: infatti, esso non menziona tra le circostanze non suscettibili di estensione,
talune circostanze qualificate come soggettive dall'art.70 (quelle relative alle condizioni, alle qualità
personali del colpevole o ai rapporti tra il colpevole e l'offeso). Sembrerebbe, perciò, che tali circostanze
soggettive debbano essere valutate a favore o a carico di tutti i concorrenti (semprechè, in quest'ultimo caso
siano da loro conosciute o conoscibili). Per ovviare a tale conclusione, autorevole dottrina propone di
interpretare estensivamente la formula, di cui alla norma in esame, "circostanze inerenti alla persona
del colpevole" sì da farvi rientrare anche le circostanze relative alle condizioni, qualità personali del colpevole
e ai rapporti tra colpevole ed offeso; sempre che non siano servite per agevolare la commissione del reato nel
qual caso esse perdono natura soggettiva e si oggettivizzano.
[500] O ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato da colpa. Occorrerà peranto valutare la
loro estensibilità, condizionandola alla accertata presenza dei suddetti coefficienti psichici.
[501] Art.70, n.2 : "2) sono circostanze soggettive quelle che concernono la intensità del dolo o il grado della
colpa, o le condizioni e le qualità personali del colpevole, o i rapporti tra il colpevole e l'offeso, ovvero che sono
inerenti alla persona del colpevole". Anche inimputabilità o assenza di dolo. In pratica le circostanze
soggettive di esclusione della pena si identificano con le cause di esclusione della colpevolezza (es. errore) e
le cause di esclusione della punibilità (es. immunità).
[502] Vedi anche art.112 ultimo comma: applicabilità anche a NON imputabili e a NON punibili.
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[503] Art.70, n.1: "1) sono circostanze oggettive quelle che concernono la natura, la specie, i mezzi, l'oggetto,
il tempo, il luogo e ogni altra modalità dell'azione, la gravità del danno e del pericolo, ovvero le condizioni o le
qualità personali dell'offeso" e art.50 ss..
[504] Così se ad es. A provoca ad altri una lesione personale per difendersi da un'aggressione ingiusta, e B
partecipa al fatto fornendo lo strumento lesivo, la situazione scriminante esimerà dalla responsabilità non solo
A ma anche B che lo soccorre.
[505] Per quanto riguarda il RECESSO ATTIVO,invece, non sorgono particolari problemi in quanto è
necessario che l'azione collettiva sia portata a conclusione ed uno dei concorrenti abbia impedito la
realizzazione dell'evento. Anche tale circostanza attenuante, di tipo soggettivo, si applica ai SOLI
CONCORRENTI CUI SI RIFERISCE.
[506] In quanto proviene dal soggetto che possiede il massimo dominio sull'accadere, produce nello stesso
tempo l'effetto di impedire la consumazione del reato.
[507] Occorre verificare che il reato concorsuale consumato non contenga più alcunché di riconducibile
all'originario contributo del soggetto che desiste. Occorre un quid pluris rispetto al semplice abbandono o
all'interruzione dell'azione criminosa: necessita che il concorrente, per beneficiare della causa di non
punibilità prevista dall'art.56 comma 3 c.p. OLTRE ad abbandonare l'azione criminosa, debba altresì
annullare il contributo dato alla realizzazione collettiva, in modo che esso non possa essere più
efficace per la prosecuzione del reato, ed eliminare le conseguenze della sua azione che fino a quel
momento si sono prodotte (Cass. 11 marzo 1991).
[508] In quanto sui coagenti incombe l'obbligo giuridico di non tenere il comportamento vietato (es. millantato
credito ex art.346).
[509] Quindi esclusa nell'usura, corruzione di minorenne ed altre ipotesi ove la norma incriminatrice tende alla
protezione anche dei concorrenti necessari non dichiarati punibili.
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[510] La partecipazione eventuale si potrà configurare da parte di soggetti diversi dai concorrenti necessari,
es. chi istiga altri a una rissa o a corrompere un p.u., ovvero a commettere incesto, ecc.
[511] COLPA C.D. COSCIENTE O CON PREVISIONE DELL'EVENTO: l'agente ha PREVISTO l'evento
SENZA AVERLO VOLUTO, confini con DOLO EVENTUALE, se ne distingue perché il reo agisce con la
sicura fiducia che l'evento previsto come possibile NON si avvererà (la previsione è circostanza
aggravante art.61, n.3). Insomma, come nel dolo eventuale qui il soggetto si rappresenta la possibilità
del verificarsi dell'evento; ma mentre nel dolo eventuale si rimane nella convinzione o anche soltanto
nel dubbio che l'evento possa verificarsi, nella colpa cosciente si ha il preciso convincimento che
l'evento non si verificherà. In altre parole, è nell'accettazione o non accettazione del rischio che sta la
differenza tra dolo eventuale e colpa cosciente (cfr. Cass. n.11384/1999).
COLPA INCOSCIENTE O SENZA PREVISIONE DELL'EVENTO: l'agente agisce con imprudenza o
negligenza o imperizia o violando norme cautelari,ma NON VUOLE NE' PREVEDE di causare con la sua
condotta un evento antigiuridico.
[512] il parlare di azione volontaria come azione "dominabile dalla psiche" fa permanere l'equivoco che
l'azione colposa risulti una sorta di mixtum compositum cioè debba necessariamente constare di un
coefficiente psicologico effettivo e di un coefficiente normativo. In realtà occorre tener presente che il concetto
di azione proposto per i casi nevralgici di colpa c.d. incosciente è ascrittivo: esso cioè serve solo a fissare le
condizioni di imputazione di un fatto all'autore, e non già a descrivere il fenomeno "reale" azione.
<Si richiede (..) la mancanza di quella volontà del fatto che caratterizza il dolo. Nel reato colposo
l'agente ha bensì realizzato il fatto previsto dalla legge come reato con una condotta che risale alla sua
volontà (<propria> di lui), ma non lo ha voluto né direttamente, né indirettamente. Se anche si è
proposto uno scopo (il che non si verifica sempre), egli non ha avuto di mira, e neppure accettato il
fatto posto in essere. Questa nota distingue il reato colposo dal reato doloso, salvi i casi di colpa
impropria (..). Ma ciò non basta per l'esistenza della colpa:occorre inoltre che il fatto sia dovuto ad
un'imprudenza, negligenza o imperizia, oppure a una inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o
discipline > ANTOLISEI-CONTI, op.cit., pagg.198-199.
[513] Il presente comma dà la definizione del DELITTO COLPOSO. In sostanza, per l'esistenza del reato
colposo occorre che: 1) la condotta sia attribuibile alla VOLONTA' DEL SOGGETTO (art.42, comma 1);
2) L'EVENTO NON SIA VOLUTO, neanche in modo indiretto; 3) il fatto sia riconducibile all'agente per
IMPRUDENZA, NEGLIGENZA, IMPERIZIA OD INOSSERVANZA di leggi, regolamenti, ordine o discipline
(cioè regole di condotta). Il fondamento della colpa, secondo la dominante dottrina, risiede nella
PREVEDIBILITA' ED EVITABILITA' DELL'EVENTO.
La PREVEDIBILITA' si sostanzia nella possibilità per l'agente di RAPPRESENTARSI NELLA MENTE
L'EVENTO dannoso come conseguenza di una certa azione od omissione. Essa va ACCERTATA in
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concreto, con riguardo al momento in cui la condotta è posta in essere. Lo stesso a dirsi per la
EVITABILITA', che consiste nello scongiurare l'evento la cui verificazione è stata prevista.
L'imputazione a titolo di colpa si riconnette alla violazione di REGOLE CAUTELARI (diligenza,
prudenza, etc.) che, se rispettate, avrebbero evitato l'evento dannoso. A tale proposito si distingue tra
COLPA GENERICA e COLPA SPECIFICA. La COLPA GENERICA è connessa alla violazione di
GENERICHE REGOLE CAUTELARI, non scritte, provenienti da FONTI SOCIALI (cioè generalmente
riconosciute dalla collettività) e si sostanzia nella negligenza, imprudenza ed imperizia. La COLPA
SPECIFICA è connessa alla violazione di SPECIFICHE NORME poste da legge, regolamento, ordini e
discipline. Occorre verificare di volta in volta se le norme scritte esauriscano la misura della diligenza
richiesta all'agente in una determinata situazione o si imponga il rispetto anche delle ulteriori,
generiche, regole della prudenza, diligenza e perizia. Per la dottrina bisogna distinguere tra: COLPA
PROPRIA, che ricorre nelle normali ipotesi in cui NON VI E' VOLONTA' DELL'EVENTO e COLPA
IMPROPRIA, allorché (alcuni casi eccezionali nei quali) pur essendo VOLUTO L'EVENTO, si risponde a
titolo di colpa: ne sono esempi L'ECCESSO COLPOSO NELLE CAUSE DI GIUSTIFICAZIONE (art.55),
l'ERRONEA SUPPOSIZIONE DELLA PRESENZA DI CAUSE DI GIUSTIFICAZIONE (art.59, ult, comma),
l'ERRORE DI FATTO DETERMINATO DA COLPA (art.47).Alcuni autori ritengono che in tali casi si ha un
reato doloso parificato quod poenam ad un reato colposo. Altra dottrina ritiene, invece, che ricorre in
tali casi un reato colposo, perché il rimprovero che si muove all'agente non è di avere voluto l'evento,
ma piuttosto di avere agito con leggerezza e negligenza.
Altra distinzione tra: COLPA INCOSCIENTE, che ricorre quando l'agente NON SI RENDE CONTO che la
sua condotta potrebbe provocare eventi dannosi e COLPA COSCIENTE detta anche colpa con
previsione, ricorrente allorché l'agente SI RAPPRESENTA L'EVENTO COME POSSIBILE conseguenza
della sua condotta, ma ha sicura fiducia che esso non si verificherà (ad esempio, Tizio conduce
un'auto ad alta velocità in centro cittadino, rendendosi conto della possibilità di un investimento, ma è
fiducioso nella sua abilità di guida). La colpa cosciente si distingue dal DOLO EVENTUALE, in quanto
quest'ultimo caso l'agente accetta il rischio del verificarsi dell'evento dannoso ed agisce a costo di
determinarlo. Una particolare forma di colpa è la c.d. COLPA PROFESSIONALE , quella cioè del
PROFESSIONISTA il quale compie un illecito penale nell'esercizio della sua attività. Ci si chiede se la
sua COLPA debba essere valutata secondo i CRITERI GENERALI indicati nell'art.43, ovvero se anche
in campo penale debba trovare applicazione l'art.2236 c.c., il quale prevede che il professionista possa
rispondere solo per COLPA GRAVE (con esclusione, quindi, dei fatti commessi con colpa media o
lieve). A sostegno di tale orientamento dottrinario si osserva che il riferimento esclusivo alla colpa
grave è finalizzato a SALVAGUARDARE LA DISCREZIONALITA' TECNICA del professionista di fronte a
problemi difficili che richiedono da parte sua anche L'ASSUNZIONE DI RISCHI (pensiamo, ad esempio,
al chirurgo nell'esercizio della sua attività). L'orientamento giurisprudenziale prevalente, però, è
contrario all'estensione al campo penale del disposto di cui all'art.2236 c.c.
[514] Es. attività di sperimentazione svolta nei laboratori scientifici.
[515] La regola di condotta violata prescrive un'attività positiva, es. controllare la chiusura dell'apparecchio del
gas prima di andare a dormire. OMISSIONE DELLE CAUTELE DOVEROSE (OBBLIGHI POSITIVI)
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[516] Trasgressione di una regola di condotta da cui discende l'obbligo di non realizzare una determinata
azione oppure di compierla con modalità diverse da quelle tenute: es. non mettersi alla guida in stato di
profonda stanchezza o guidare nel traffico osservando le opportune cautele. CONSISTE NEL TENERE UN
COMPORAMENTO IN POSITIVO CONTRASTO CON LA REGOLA PREVENZIONISTICA (OBBLIGHI
NEGATIVI).
[517] Consiste in una forma di imprudenza o negligenza "qualificata" e si riferisce ad attività che esigono
particolari conoscenze tecniche: ad es. attività medico-chirurgica. SI CONNOTA PER LA NATURA TECNICA
DELLA REGOLA VIOLATA.
[518] <Le regole (di questa NdR) fonte devono (..) essere desunte in un ambito che, in origine, è
extragiuridico. Per esse si pone allora il problema dell'accertamento; si tratta di stabilire cioè secondo
quale criterio se ne debba dedurre l'esistenza. Secondo un'opinione, il criterio è datao dalla diligenza
esigibile in quella stessa situazione dall'agente-modello, definito anche homo eiusdem condicionis ac
professionis, il quale rappresenta cioè il prototipo ideale di persona giudiziosa e prudente che eserciti
la stessa professione, la stessa funzione o la stessa attività del soggetto agente. In pratica, l'evento (o,
comunque, l'elemento da imputare) deve essere obiettivamente prevedibile (o rappresentabile) ex
antea secondo il metro di tale soggetto. Per una diversa tesi,invece, la regola di diligenza scaturisce
dalla prevedibilità ex antea in base alla miglior scienza od esperienza riferibile alle situazioni in cui
opera l'agente. E' senza dubbio questa la prospettiva più fondata. Trattandosi di definire un'esigenza
cautelare obiettiva, non può che rilevanre tutto quanto era idoneo, in rapporto alle conoscenze umane
di un dato momento storico, ad impedire l'evento o a circoscrivere il rischio: il solo fatto che si profili
l'utilizzabilità di una certa misura cautelare, ne impone in linea di principio l'adozione, a prescindere
dalla peculiare situazione dell'agente e dalla corrispondenza del suo operato ad un modello di natura
soggettiva> così PADOVANI, op.cit, pagg.192-193.
[519] Si pensi ad es. alle norme contravvenzionali in materia di infortuni sul lavoro e simili.
[520] Per tutti i reati colposi con evento l'avvento massiccio della positivizzazione delle regole di prudenza
segna il ritorno alla responsabilità per il mero versari in re illicita.
[521] Predeterminano in modo assoluto la regola di condotta da osservare, es. arrestarsi davanti al rosso.
[522] Presuppongono, per essere applicate, che la regola di condotta sia specificata in base alle circostanze
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del caso concreto es. la distanza di sicurezza di veicoli va rapportata allo spazio di frenata.
[523] Criterio giuridicamente vincolante di individuazione preventiva dell'area di rischio consentito.
[524] Es. se Tizio chiede in prestito a Caio un'automobile, e Caio è a conoscenza del fatto che Tizio è privo di
patente, nel caso di incidente provocato da quest'ultimo Caio non potrà certo invocare a propria discolpa il
principio dell'affidamento.
[525] Es. infermiere che ha l'obbligo di impedire che il pazzo o il demente a lui affidato compia azioni
pericolose.
[526] Es. guardia del corpo assunta per proteggere contro possibili aggressioni di terzi malintenzionati.
[527] "La legge determina i casi nei quali l'evento è posto altrimenti a carico dell'agente, come conseguenza
della sua azione od omissione".E' la c.d. RESPONSABILITA' OGGETTIVA che si realizza allorché un
soggetto è chiamato a rispondere dei risultati prodotti dalla propria condotta, IN BASE AL MERO
RAPPORTO DI CAUSALITA' MATERIALE (art.40), NON necessita, invece, l'accertamento del DOLO o
della COLPA. Per l'orientamento giurisprudenziale prevalente, la responsabilità oggettiva è prevista solo
eccezionalmente dal comma 3 dell'art.42, il quale, inoltre, sembra riferirsi soltanto alle ipotesi delittuose.
[528] Infatti, non è escluso che in alcuni casi concreti l'osservanza della norma preventiva non sarebbe
sufficiente a impedire il verificarsi dell'evento lesivo: per cui, ove si pervenisse egualmente a un giudizio di
condanna, l'affermazione di responsabilità finirebbe per riposare sul criterio puramente oggettivo dell' "in re
illicita versari".
[529] Posto che sul piano dogmatico non è agevole giustificare perché la responsabilità venga meno in tutti i
casi in cui sia fondatamente sostenibile che l'evento lesivo si sarebbe egualmente verificato pur osservando la
condotta prescritta.
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[530] Orientamento più diffuso: nelle ipotesi in esame manca il nesso causale tra "colpa" ed "evento", nel
senso che quest'ultimo non rappresenterebbe una vera conseguenza della violazione della regola di condotta:
è appena il caso però di ribattere che il nesso causale si pone tra due realtà fisiche come l'azione e l'evento,
non tra l'evento e un'entità ideale costituita in questo caso dalla trasgressione della norma.
Seconda soluzione: consiste nello scindere l'accertamento causale in due fasi. In un primo momento, cioè, si
tratta di stabilire se l'azione ha materialmente cagionato l'evento: ma la risposta positiva a questo interrogativo
può, nei casi problematici, lasciare insoluto il problema se sussiste uno specifico "legame colposo" tra
condotta ed evento. Ecco che, per accertare tale legame, si rende necessario compiere una ulteriore verifica:
cioè occorre chiedersi se l'osservanza della condotta conforme al dovere di diligenza sarebbe valsa a impedire
l'evento (con la conseguenza, in caso di risposta negativa, di escludere il nesso causale tra condotta colposa
ed evento). In questa seconda fase dell'accertamento, il giudice finisce in realtà con l'emettere un giudizio di
tipo ipotetico, analogo a quello che si effettua nell'ambito della responsabilità omissiva per mancato
inadempimento dell'evento.
[531] La volontaria assunzione del rischio da parte del titolare del bene varrà certamente a scagionare l'agente
tutte le volte in cui la lesione che di fatto si verifichi rientri nell'area di disponibilità riconosciuta dall'art.5 C.C..
Es: se tre giovani salgono sulla motocicletta di un amico pur consapevoli che la strada sconnessa può
provocare una caduta, e la caduta poi si verifica cagionando loro leggere escoriazioni, nessun dubbio che il
conduttore della moto potrà beneficiare dell'esimente preveduta dall'art.50. D'altra parte,non è neanche vero
che non si possa mai consentire alla esposizione a pericolo dello stesso bene della vita. L'obbligo di non
esporre a rischio la vita altrui trova infatti un limiti nel riconoscimento del principio dell'autodeterminazione
responsabile: es. caso di un equipaggio di pescatori che seguono il capobarca per una battuta di pesca, pur
essendo consapevoli dei rischi connessi alle pessime condizioni del mare. Ove si verifichi la morte di qualche
membro dell'equipaggio, per scagionare il capobarca dall'imputazione di omicidio colposo basterà accertare,
da un lato, che questi aveva adottato tutte le misure precauzionali necessarie a ridurre il rischio; e dall'altro,
che le vittime erano veramente in grado di valutare il pericolo cui andavano incontro, in modo da poterlo
accettare in maniera libera e autoresponsabile. Tradizionalmente, la scriminante del consenso ha esercitato
un ruolo per circoscrivere la responsabilità colposa nei due importanti settori dell'attività medica e dell'attività
sportiva.
[532] Esempio genitore che uscendo con autovettura dal cortile privato vede....
[533] <L'imputazione colposa può essere prospettata ogni qual volta difetti un elemento necessario a
costituire l'imputazione dolosa, in rapporto non solo all'evento, ma a qualsiasi altro requisito della
fattispecie (la colpa come simmetrico in negativo del dolo). In termini di contenuto intrinseco, la colpa
è del tutto eterogenea rispetto al dolo: mentre questo è costituito da coefficienti psichici reali relativi al
fatto, essa si apprezza soltanto sul piano normativo; consiste cioè in un giudizio circa l'osservanza, da
parte del soggetto, delle regole cautelari inerenti all'attività svolta (...). L'analisi della colpa si sviluppa
in tre momenti fondamentali: l'inosservanza della regola obiettiva di diligenza, di prudenza o di perizia;
l'evitabilità dell'evento mediante l'osservanza della regola; l'esigibilità dell'osservanza da parte
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dell'agente (ovvero attribuibilità all'agente dell'inosservanza).> PADOVANI, op.cit., pagg.191-192.
[534] Come si è detto l'evento non è voluto e nemmeno previsto, il soggetto non si rende conto di poter ledere
con la sua azione interessi altrui. La COLPA COSCIENTE (o CON PREVISIONE) si realizza quando
l'EVENTO, pur NON ESSENDO VOLUTO, E' PREVISTO dall'agente.
[535] Esempio: autista pullman..velocità...fine turno...
[536] Infatti l'adempimento del dovere oggettivo di diligenza presuppone il possesso, da parte dell'agente, di
determinate attitudini psico-fisiche che possono subire una menomazione in presenza, appunto, di
circostanze particolari capaci di avere incidenza sulla normalità del processo volitivo (si pensi ad es. ad un
malore improvviso o a un intenso momento di terrore durante la guida dell'automobile, ecc.).
[537] I REQUISITI STRUTTURALI della cooperazione nel delitto colposo sono due:
d)
la mancanza della volontà di concorrere con la propria condotta alla realizzazione di un fatto
criminoso: questo requisito consente di differenziare il concorso colposo da quello doloso (art.110.Pena per
coloro che concorrono nel reato. < Quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse
soggiace alla pena per questo stabilita, salve le disposizioni degli articoli seguenti>.;
e)
la consapevolezza, da parte di ciascun partecipe, dell'esistenza dell'azione altrui in concomitanza
con l'azione propria: questo requisito consente di distinguere il concorso colposo dal MERO CONCORSO DI
AZIONI COLPOSE INDIPENDENTI da cui derivano tanti reati colposi quanti sono gli agenti (si pensi al caso di
due automobilisti che, l'uno all'insaputa dell'altro, cagionino un incidente per avere entrambi contravvenuto alle
norme del codice della strada).
Questione controversa è l'ammissibilità di un CONCORSO COLPOSO NEL DELITTO DOLOSO e del
CONCORSO DOLOSO NEL FATTO COLPOSO: si pensi al caso di chi partecipa ad un gioco estremamente
pericoloso, organizzato da un altro soggetto che intende provocare la morte di un altro partecipe,o per la
seconda ipotesi di chi istiga chi versa in errore inescusabile sulla natura tecnica di una sostanza ad immetterla
in sostanze alimentari. Una parte della dottrina risolve la questione positivamente evidenziando che ai fini del
modello concorsuale di reato non è necessario che ciascun concorrente sia consapevole di affiancare la
propria condotta a quella di altri soggetti: è sufficiente che tale consapevolezza ricorra in uno solo dei
concorrenti. La dottrina prevalente tende, invece, ad escludere l'ammissibilità di diversi titoli di imputazione
(dolo e colpa) rispetto ad uno stesso reato compiuto da più soggetti. Ciò in omaggio alla CONCEZIONE
UNITARIA DEL CONCORSO DI PERSONE, secondo la quale deve riscontrarsi un unico reato per quando la
sua realizzazione è affidata a più soggetti, mentre diversi titoli di imputazione postulano una pluralità di reati.
Quanto poi, in particolare, al concorso colposo nel delitto doloso è stato rilevato che la responsabilità colposa
presuppone una ESPRESSA PREVISIONE NORMATIVA ex art.42 che nel caso in esame manca. Si tenga
presente che l'accoglimento dell'una o dell'altra soluzione in merito al problema dell'ammissibilità di diversi
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titoli di imputazione in relazione da un medesimo reato concorsuale, assume una notevole rilevanza pratica:
infatti, potrà riconoscersi o meno la PUNIBILITA' DI CONDOTTE COLPOSE O DOLOSE ATIPICHE rispetto
alla fattispecie monosoggettiva.
[538] Nel disciplinare la cooperazione nel DELITTO COLPOSO, esclude dal suo ambito applicativo l'ipotesi del
CONCORSO COLPOSO NELLE CONTRAVVENZIONI; la dottrina prevalente ritiene, però, possibile
comprendere tale ipotesi nell'ampia formula dell'art.110 il quale parla genericamente di REATO senza
distinguere tra delitti e contravvenzioni. A ciò si aggiunga che l'art.42, comma 4, fa della colpa il criterio
ordinario di imputazione in materia contravvenzionale, senza che sia necessaria una espressa previsione
normativa.
[539] si ha c.d. cooperazione colposa nell'ipotesi del proprietario dell'auto che istighi il conducente a tenere
una velocità eccessiva, qualora ne consegua un investimento; mentre si avrebbe concorso di fatti colposi
indipendenti ad es. nel caso di due automobilisti i quali, l'uno all'insaputa dell'altro, concorrano a provocare
uno stesso incidente. L'elemento differenziante è dato dal collegamento delle volontà dei diversi soggetti
agenti.
[540] Servirebbe cioè ad attribuire rilevanza penale a comportamenti colposi atipici rispetto alle fattispecie
monosoggettive di parte speciali, come tali non punibili in assenza di una norma ad hoc estensiva della
punibilità.
[541] La cooperazione nel delitto colposo di cui all'art.113 c.p. si verifica quando più persone pongono in
essere una data autonoma condotta nella reciproca consapevolezza di contribuire all'azione od omissione
altrui che sfocia nella produzione dell'evento non voluto (Cass. Sez. Un. 25 novembre 1998, n.5).
[542] L'incremento di tale forma di responsabilità presuppone l'affermarsi del principio solidaristico, che fa
obbligo non tanto o non solo di astenersi dal compiere azioni lesive, quanto di intervenire attivandosi per la
salvaguardia di beni altrui posti in pericolo.
[543] di cui lo Stato si fa carico mediante l'assunzione di funzioni interventistiche,p.es. vedi prevenzione
infortuni sul lavoro, normativa in tema di assicurazione obbligatoria, eccetera.....
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[544] costituito cioè da "divieti" che vengono violati da azioni "positive".
[545] costituito da "comandi" di agire in un determinato modo.
[546] Vedi il caso dei c.d. bene prestazione....Stato sociale, es. regolare riscossione tributi...
[547] Aspetti politico-ideologici e politico-criminali della responsabilità penale per omissione: Si ritiene
tradizionalmente che l'illecito omissivo (specie "proprio") sia il modello di reato più adatto a fungere da indice
rilevatore delle caratteristiche politico-ideologiche diuna determinata legislazione. Ciò nel presupposto che il
comando di agire in un determinato modo, che l'omissione trasgredisce, vincoli il cittadino in misura più
intensa rispetto al semplice dovere di astensione sotteso al reato commissivo: il soggetto tenuto a compiere
una specifica azione è infatti costretto a rinunciare a tutte le altre che potrebbe, nel medesimo tempo,
liberamente compiere; mentre il divieto di compiere un'azione consente la realizzazione di tutte le possibili
azioni concomitanti. Da qui la diffusa convinzione circa la difficile compatibilità tra il modello della
responsabilità per omissione e i principi del liberalismo classico, considerati anche nella loro tradizionale
versione penalistica: un diritto penale <liberale> dovrebbe contenere soprattutto <divieti> di agire, limitando a
casi eccezionali la previsione di comandi penalmente sanzionati. A riprova di un simile assunto di fondo si
suole osservare che i reati omissivi tendono a crescere di numero nell'ambito degli ordinamenti autoritari o di
tipo collettivistico-dirigistico e, comunque nei contesti socio-culturali permeati di ideologie solidaristiche. A ben
vedere questa tradizionale convinzione va riveduta, precisando che ad assumere rilevanza davvero
determinante non è l'aspetto quantitativo in sé considerato: è ancora più significativo il profilo <qualitativo>, nel
senso che i tratti ideologici tipici di un determinato ordinamento tendono a influenzare in maniera più evidente
specifiche classi o tipologiche di illeciti omissivi (vedi anche inosservanza di obblighi di condotta finalizzati alla
tutela di beni di più recente emersione e a sfondo sociale: economia, ambiente, territorio, ecc.).Parallelamente
ai progressi compiuti dalla legislazione sociale, va manifestandosi un fenomeno di espansione dei reati
omissivi, specie nell'ambito del diritto penale extracodicistico cosiddetto complementare o accessorio. Il ricorso
all'illecito omissivo come tipico strumento politico-criminale di uno Stato non più semplice <guardiano>, ma
interventista è andato sempre più incrementandosi a partire dal secondo dopoguerra, soprattutto nell'ambito
delle normative poste a tutela di beni giuridici superindividuali o collettivi di nuovo conio (economia, ambiente,
assetto urbanistico del territorio, ecc.). Implicazioni sul terreno della politica criminale e sul modo stesso di
concepire scopi e funzioni del sistema punitivo: il diritto penale p.c.d. "tradizionale", in quanto prevalentemente
incentrato su divieti di compiere azioni dannose, ha come scopo di assicurare l'intangibilità dei beni e degli
interessi giuridicamente rilevanti: si tratta perciò di una funzione di conservazione sociale di beni consolidati o
comunque già acquisiti. Invece, il più moderno diritto penale dei "comandi" penalmente sanzionati si spinge
oltre. Esso non tende soltanto a una funzione di conservazione o controllo sociale, ma mira anche a
promuovere il benessere o la solidarietà collettiva, favorendo anche l'emersione o la crescita di beni giuridici
nuovi o non ancora sufficientemente consolidati: si profila così una funzione promozionale o propulsiva del
diritto penale (NEPPI MODONA). Per il reato omissivo improprio o cosiddetto commissivo mediante
omissione, la prospettiva è diversa: dal p.d.v. degli scopi di tutela, questo tipo di illecito omissivo tende a
rafforzare la protezione degli stessi beni già tutelati dalle fattispecie commissive-base.
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Per stabilire se sia più costrittivo un divieto o un comando di agire non bisogna arrestarsi al piano delle
considerazioni generali e astratte, ma occorre entrare nel merito di ciò che viene in concreto vietato o
comandato.....
[548] La distinzione tra REATI OMISSIVI PROPRI ed IMPROPRI rappresenta la traduzione, nel campo dei
reati omissivi, della più ampia distinzione tra reati di pura condotta e reati di evento.
Nel REATO OMISSIVO PROPRIO IL PRECETTO comanda di fare qualcosa, IMPONE UN OBBLIGO di fare.
Nel REATO OMISSIVO IMPROPRIO, invece, si ha una DUPLICITA' DI OBBLIGHI: 1) quello di NON
CAGIONARE UN EVENTO E 2) QUELLO DI NON OMETTERE UN DATO COMPORTAMENTO.
La differenza tra reati omissivi propri ed impropri rileva inoltre sul piano dell'elemento psicologico; nel primo
caso il soggetto risponderà a titolo di dolo se volontariamente omette di agire in conformità della norma e a
titolo di colpa se pone in essere la condotta omissiva per negligenza, imprudenza e imperizia. Nel 2° caso,
invece, si ha responsabilità a titolo di dolo se il soggetto vuole, attraverso la condotta omissiva, cagionare
l'evento che avrebbe dovuto impedire (l'art.40 cpv, infatti, ha sancito l'equivalenza fra il cagionare ed il non
impedire l'evento); si ha responsabilità a titolo di colpa quando l'evento, che il soggetto avrebbe dovuto
impedire è conseguenza di negligenza, imprudenza, imperizia. Per FIANDACA-MUSCO la differenza tra reati
omissivi propri ed impropri è nella diversa tipizzazione legislativa: i reati omissivi propri sono quelli tipizzati
dalle norme contenute nel Libro II del codice penale; i reati omissivi impropri nascono dal combinarsi di una
norma di parte speciale che prevede un reato di azione con la clausola generale di cui all'art.40 cpv.c.p.
[549] es. fattispecie di omissione di soccorso art.593 che incrimina la semplice omissione dell'assistenza
occorrente ad una persona che si trova in pericolo: se ne consegue la morte del soggetto bisognoso di aiuto,
l'omittente non risponde di omicidio, ma si applica una circostanza aggravante (art.593, terzo comma). Altri
reati di pura omissione artt. 328 e 361. In quanto si esauriscono nel mancato compimento di un'azione
doverosa, gli illeciti omissivi propri costituiscono il pendant dei reati di mera azione.
[550] L'omittente assume in questi casi il ruolo di garante della salvaguardia del bene protetto e risponde
anche dei risultati connessi al suo mancato attivarsi: es. la madre che non presta soccorso al figlio in pericolo,
il bagnino....... Posto che l'evento lesivo appartiene strutturalmente al tipo delittuoso in questione, i reati
omissivi impropri costituiscono il pendant dei reati di evento commessi mediante azione.
[551] Tutto ciò spiega come mai l'illecito omissivo "improprio" sia stato tradizionalmente definito, con formula
equivalente, anche reato "commissivo mediante omissione": per indicare, appunto, che la fattispecie
incriminatrice da applicare è pur sempre una fattispecie configurata dal legislatore come reato di azione e
di evento, la quale viene però trasformata dall'interprete in fattispecie realizzabile anche mediante
omissione.
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[552] La fattispecie del reato omissivo improprio nasce nel nostro ordinamento dal combinarsi della clausola
generale contenuta nell'art.40 cpv. con le norme di parte speciale direttamente incentrate su di un reato di
azione e trasformate in fattispecie omissive per via di interpretazione giudiziale: da qui l'emergere di una
particolare problematica (con riflessi sul rispetto del principio di legalità) che risulta estranea alle ipotesi di
omesso impedimento di un evento espressamente disciplinate dal legislatore penale: es. fattispecie del
mancato impedimento di strepiti di animali art.659.
[553] STRUTTURA DEL REATO OMISSIVO PROPRIO:
A)
a) ANALISI DELLA STRUTTURA DELLA FATTISPECIE OGGETTIVA: vedere la cosiddetta situazione
tipica (insieme dei presupposti che rendono attuale,nei confronti di un determinato soggetto, l'obbligo
di agire nella direzione indicata dalla norma). Es. fattispecie di omesso soccorso (art.593 c.p.); o
fattispecie di omessa denuncia di reato da parte del cittadino (art.364 c.p.). Oltre a descrivere i
presupposti dell'obbligo di agire, il legislatore indica il fine o scopo cui deve mirare l'azione
comandata (in forma specifica: fare referto; o in forma più generica es.art.593/2°c.p.. La descrizione
legislativa della situazione tipica può, non diversamente che nei reati di azione, far uso di concetti e
termini che rinviano alla realtà naturalistica esterna (come, ad es. nell'omissione di soccorso), ovvero
elementi normativi giuridici (come, ad es. nei casi dell'omessa denuncia di reato o del rifiuto o
omissione di un atto di ufficio). Questa diversa tecnica di strutturazione della fattispecie ha
implicazioni sul terreno della colpevolezza;
b)L'OMISSIONE DELL'AZIONE CHE IL SOGGETTO OBBLIGATO AVREBBE DOVUTO COMPIERE IN
PRESENZA DELLA SITUAZIONE TIPICA (ad esempio l'omessa prestazione di soccorso, l'omessa
denuncia di reato, la mancata realizzazione dell'atto di ufficio dovuto, ecc.). In base all'antico principio
<ad impossibilia nemo tenetur>, è da ritenere che entri a far parte del concetto di omissione tipica
l'implicito requisito della <possibilità di agire> nella direzione indicata dalla norma. A nostro avviso,
sul piano della tipicità, rileva la possibilità materiale di adempiere al comando: la quale può essere
esclusa o da incapacità di agire relativa allo stesso soggetto agente (ad es., non si può sostenere che
<omette> di soccorrere un bagnante in pericolo colui il quale non sa nuotare), ovvero dalla mancanza
di condizioni esterne relative al contesto oggettivo (ad es. eccessiva lontananza dal luogo di pericolo,
ecc.). Degli elementi ulteriori idonei a incidere sulla possibilità di agire, e in particolare delle capacità
intellettive dell'agente, potrà tenersi conto in sede di colpevolezza.
B)
a) L'ESSENZA NORMATIVA DELL'OMISSIONE HA INEVITABILI IMPLICAZIONI SUL TERRENO
DELLA COLPEVOLEZZA, A COMINCIARE DALLA RICOSTRUZIONE DELLA STRUTTURA E DEL
CONTENUTO DEL DOLO OMISSIVO. Quanto alla composizione strutturale, una parte della dottrina di
ascendenza <finalistica> (KAUFMANN ARM) ha, invero, contestato che il dolo omissivo consti (al pari
del dolo commissivo) del duplice requisito della <coscienza> e <volontà> del fatto tipico....... E'
sufficiente una consapevolezza generica o implicita della possibilità di adempiere presente nella
coscienza <latente> del soggetto che rimane inattivo. Va ribadito che il dolo omissivo consta, sul
piano della struttura psicologica, dei due fondamentali requisiti della coscienza e della volontà; la
coscienza, più in particolare, abbraccia la conoscenza degli elementi costitutivi della <situazione
tipica>, unitamente alla consapevolezza di non realizzare l'azione comandata, pur sapendo (ancorché
nei termini potenziali anzidetti) di poterla intraprendere; se si prescindesse da quest'ultimo
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presupposto conoscitivo, l'omissione non potrebbe esprimere la valenza di una scelta volontaria a
favore dell'illecito.Riguardo all'oggetto, il dolo omissivo prospetta in particolare il problema se e fino a
che punto l'omittente debba essere consapevole dell'esistenza del 
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