La crisi e il denaro fantasma

La crisi e il denaro fantasma - Massimo Fini
pubblicato su Il Fatto
Che cosa sono i 110 miliardi che verranno dati alla Grecia per salvarla (80 dai governi
dell’Eurozona, 30 dal Fmi) e i 750 approntati dall’Unione europea per creare un maxifondo
“anticrisi”? Nel mondo globalizzato tutti i Paesi europei sono indebitati fra di loro e con gli altri
Paesi industrializzati che a loro volta sono indebitati con noi. I miliardi dati alla Grecia e quelli
del maxifondo “per battere la speculazione” sono una partita di giro. Si tratta di denaro
inesistente, “tossico” non meno dei titoli “tossici”, che serve per drogare ulteriormente il cavallo
già dopato perché faccia ancora qualche passo prima di schiattare definitivamente. È da 15
anni che i Paesi industrializzati, di fronte alle crisi che si susseguono a ritmi sempre più
incalzanti , si comportano in questo modo: immettendo nel sistema altro denaro inesistente. Nel
1996 il Messico era sull’orlo della bancarotta: doveva 50 miliardi di dollari ai Paesi
industrializzati. Cosa fecero questi? Gli prestarono altri 50 miliardi perché potesse restituire i
primi 50. Un’operazione apparentemente assurda, che serviva però a tenere il Messico al
gancio del mondo industrializzato che poteva così continuare a vendere ai messicani i propri
prodotti. Più o meno alla stessa maniera, con qualche variante, ci si comportò per la crisi delle
“piccole tigri” asiatiche nel 1997. Così si è fatto per il collasso dei subprime americani
nell’estate 2007, default che si è poi propagato in Europa e di cui l’attuale crisi è un’ulteriore
conseguenza (che cosa sono gli sbalorditivi tre trilioni di dollari comparsi improvvisamente nelle
mani del governo di Washington? O ce li avevano prima e allora non si capisce perché non li
abbiano usati o è denaro puramente virtuale). Si tende da parte dei governi e degli economisti
al loro servizio a dare la colpa di queste crisi alla “speculazione ” e agli “eccessi” del capitalismo
finanziario. È uno scarico di responsabilità, nient’affatto innocente, per eludere il nocciolo duro e
vero della questione: è l’intero nostro modello di sviluppo ad essere “tossico”. Il capitalismo
finanziario non è che la diretta e inevitabile conseguenza, oltre che, in qualche modo, la
necessaria precondizione, di quello industriale. Ne seguono le stesse logiche: il profitto, la sua
massimizzazione col minimo sforzo e, soprattutto, l’inesausta scommessa sul futuro. Un futuro
ipotecato fino ad epoche così sideralmente lontane da essere inesistente. Come il denaro che
lo rappresenta (con un millesimo del denaro circolante attualmente, nelle sue varie forme, si
comprano tutti i beni e i servizi del mondo. Il resto cos’è?). Prendersela col capitalismo
finanziario, sottacendo di quello industriale, è come meravigliarsi che avendo inventato la
pallottola si sia arrivati al missile. Noi ci stiamo comportando come un individuo che avendo un
debito, per coprirlo, ne fa uno più grosso e poi un altro più grande ancora e così via. A livello
individuale il giochetto dura poco. Per un modello che si pone come planetario le cose vanno
più per le lunghe. Ma un sistema che si basa sulle crescite esponenziali, che esistono in
matematica, non in natura, quando non avrà più possibilità di espandersi imploderà fatalmente
su se stesso. E ci siamo vicini. Lo dice anche il fatto che, essendo i nostri ormai
abbondantemente saturi, siamo alla ricerca disperata di altri mercati, anche se poveri, anche se
poverissimi e siamo disposti a bombardare senza pietà i popoli, come quello afghano, che non
ci stanno a entrare nel nostro meccanismo. Il paradosso di questo modello di sviluppo è che
avendo puntato tutto sul cavallo dell’economia, marginalizzando ogni altro valore ed esigenza
umana, sta fallendo proprio sul piano dell’economia. Spero che ciò apra gli occhi alla gente e la
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induca, presto, domani, subito, a impiccare al più alto pennone gli idioti e gli impostori che
stanno segando il ramo dell’albero su cui siamo seduti. Ma ci credo poco. Se fossi su un altro
albero riderei a crepapelle guardandoli mentre fanno karakiri. Ma sono sullo stesso ramo e mi
tocca seguire, impotente, come molti altri miei consimili, la sorte che queste canaglie imbecilli ci
stan preparando.
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