rivista svizzera di
architettura, ingegneria
e urbanistica
Schweizerische Zeitschrift
für Architektur, Ingenieurwesen und Stadtplanung
1 / 2 0 13
L’edificio e il suolo
Gebäude und Boden
Testi Texte
Berlanda, I & A Ruby
Progetti Projekte
Baserga e Mozzetti + Ingegneri Pedrazzini Guidotti,
Bonetti e Bonetti + Bernardoni, Coffari, Gianola,
S & R Gmür, Könz Molo
SIA: Il 3 marzo è necessario sostenere
la revisione della LPT
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FEBBRAIO
Archi rivista svizzera di architettura, ingegneria e urbanistica
fondata nel 1998, esce sei volte all’anno
ISSN 1422-5417, Tiratura REMP: 2668 copie
via Cantonale 15, 6900 Lugano – tel. 091 921 44 55
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Direttore
Alberto Caruso AC
Coordinamento editoriale
Stefano Milan SM
Assistente al coordinamento
Teresa Volponi TV
Redazione
Marco Bettelini MB, Debora Bonanomi DB, Andrea Casiraghi AnC,
Laura Ceriolo LC, Piero Conconi PC, Mercedes Daguerre MD,
Gabriele Neri GN, Andrea Pedrazzini AP, Andrea Roscet ti AR,
Enrico Sassi ES, Stefano Tibiletti ST, Graziella Zannone Milan GZM
Redazione online
Livia De Domizio LDD
Redazione comunicati SIA
Sonja Lüthi, [email protected]
Impaginazione
Silvana Alliata
Corrispondenti
Andrea Bassi, Ginevra; Francesco Collotti, Milano
Jacques Gubler, Basilea; Ruggero Tropeano, Zurigo
Traduzioni italiano-tedesco
Alexandra Geese AG
Correzione bozze
Fabio Cani
Consiglio editoriale
Giuliano Anastasi, ing. ETHZ, Locarno
Nicola Baserga, arch. ETHZ, Muralto
Valentin Bearth, arch. ETHZ, Coira
Marco Della Torre, arch. POLIMI, Milano-Como
Nicola Emery, filosofo, Collina d’Oro
Franco Ger vasoni, ing. ETH, Bellinzona
Massimo Martignoni, ing. ETHZ, Lumino
Nicola Soldini, storico dell’architettura, Novazzano
Editore
Verlags-AG der akademischen technischen Vereine
Staffelstrasse 12, 8045 Zurigo – tel. 044 380 21 55, fax 044 380 21 57
Walter Joos presidente; Katharina Schober, direttrice;
Hedi Knöpfel, assistente
Abbonamenti e arretrati
Stämpfli Publikationen AG, Berna – tel. 031 300 62 57
fax 031 300 63 90, e-mail: [email protected]
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Svizzera Fr. 125.– / Estero Fr. 150.– / Euro 94.00
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Abbonamenti soci SIA: SIA, Zurigo – tel. 044 283 15 15
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Organo ufficiale
SIA Società svizzera ingegneri e architetti, www.sia.ch
OTIA Ordine ticinese ingegneri e architetti, www.otia.ch
Associazioni garanti
SIA Società svizzera ingegneri e architetti, www.sia.ch
FAS Federazione architetti svizzeri, www.architekten-bsa.ch
USIC Unione svizzera ingegneri consulenti, www.usic-engineers.ch
A3 Associazione diplomati dell’EPFL, http://a3.epfl.ch
ETH Alumni Ex allievi dell’ETH, www.alumni.ethz.ch
Stampa e rilegatura
Stämpfli Publikationen AG, Berna
Pubblicità
Svizzera italiana e Svizzera tedesca:
Kömedia AG, CP 1162, 9001 San Gallo
tel. 071 226 92 92, fax 071 226 92 93
Svizzera romanda:
Kömedia AG, Rue de Bassenges 4, 1024 Ecublens
tel. 021 691 20 84, fax 021 693 20 84
La riproduzione, anche parziale, di immagini e testi,
è possibile solo con l’autorizzazione scritta dell’editore
e con la citazione della fonte.
Nel prossimo numero
Giardini periferici
1/ 2 013
6 Comunicati aziendali
Interni e design
9 La ricetta di atelier oï
a cura di Gabriele Neri
L’edificio e il suolo
a cura di Enrico Sassi
Editoriale
15 Il suolo dell’architettura
Alberto Caruso
17 Groundscapes
Ilka & Andreas Ruby
23 L’incontro con il suolo nell’architettura ticinese
Tomà Berlanda
29 Casa monofamiliare, Biasca
Luca Cof fari
34 Autorimessa CMB , Camorino
Bonetti e Bonetti architetti, Bernardoni SA
38 Casa ai Pozzi, Minusio
Silvia e Reto Gmür
44 Casa al Ronco, Pregassona
Jachen Könz, Ludovica Molo
50 Villa a Vacallo
Ivano Gianola
54 Casa Minghetti-Rossi, Gordola
Nicola Baserga, Christian Mozzetti,
Ingegneri Pedrazzini Guidotti
TI
62 Diario dell’architetto
a cura di Paolo Fumagalli
66 Archivi Architetti Ticinesi
Edificio commerciale SEPU a Zaragoza
68 Accademia Architettura Mendrisio
Riuso e restauro
SIA
71 Comunicati
OTIA
77 Comunicati
79 Offerte di lavoro
Libri
80 Segnalazioni
a cura di Enrico Sassi
La traduzione del testo di Ilka & Andreas Ruby è a cura di Mercedes Daguerre
ERRATA CORRIGE
La fonte delle immagini dell’articolo di Martin O. Bachmann nello scorso numero
è Pöyry Infra AG e non Poyly come menzionato.
Dello stesso editore
02
139 e année / 30 janvier 2013
Bulletin technique de la Suisse romande
DOSSIER
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In copertina: Luca Cof fari, casa monofamiliare a Biasca
Foto Filippo Simonet ti
C OMUNICATI A ZIENDA LI
Stûv : tutti i vantaggi dei focolari
a legna «a bassa energia»
È possibile installare un focolare «a bassa energia» in un’abitazione tradizionale?
Questo focolare funzionerà a regime
elevato nelle stagioni intermedie, quindi nelle migliori condizioni (zona chiara
nello schema sottostante). Solo quando il freddo è più intenso vi sarà anche il
contributo del riscaldamento centralizzato (zona più scura). Si deve pertanto
evitare di installare un focolare che
funziona al minimo per la maggior
Cos’è un focolare «a bassa energia» ?
parte del tempo e a regime ottimale
È un focolare che:
- ha una camera di combustione più solo alcune settimane l’anno.
compatta, una potenza adattata
alle esigenze delle nuove abitazioni, Stûv in breve
unconsumo inferiore e sempre un Stûv è un’azienda belga che progetta,
costruisce e commercializza soluzioni
ottimo rendimento,
- ha una gamma di utilizzo più ampia, di riscaldamento a legna (stufe, inserti
- è a tenuta ermetica e provvisto di e caminetti da posa) destinate ad esaltare il fuoco, sia nella sua dimensione
una presa d’aria esterna diretta.
funzionale (riscaldamento) che emotiva
Perché scegliere un focolare «a bassa (bellezza della fiamma, piacere, socievolezza e comfort termico).
energia»?
È indispensabile per le abitazioni «a A tale scopo, Stûv si propone di seguire
bassa energia» che hanno esigenze costantemente un approccio sevedi riscaldamento limitate, per evitare ro, fondato sulla creatività, il design,
surriscaldamenti e disagi. È molto utile la qualità dei prodotti sviluppati e il
per ridurre il consumo di un sistema di loro adeguamento nei confronti delle
riscaldamento centralizzato (o di un aspettative dei consumatori, riconoscendo sempre maggiore importanza
sistema di riscaldamento elettrico).
ai valori umani. Stûv impiega direttaE perché non scegliere un focolare più mente 120 persone, con altrettanti in
potente, che viene fatto funzionare al subappalto. L’azienda, con un fatturato
di 25 milioni di euro, produce ogni anno
minimo?
Perché un focolare a legna, anche mol- 15.000 focolari ed esporta il 75% della
to potente e utilizzato a regime elevato, sua produzione.
funziona male al minimo: si surriscalda,
consuma troppo, il ritorno di fumo è www.stuv.com
considerevole, il vetro si sporca.
Le nuove abitazioni sono sempre meglio isolate termicamente, questo è
un dato di fatto. Per ottimizzare il
benessere degli occupanti, si deve
scegliere una soluzione di riscaldamento adattata…
Stûv offre una gamma completa di
soluzioni di riscaldamento a legna
«a bassa energia».
25°
20°
Variazione della
temperatura
esterna
15°
12°
10°
Calore fornito dal
focolare a legna
5°
3°
0°
Calore fornito dal
riscaldamento
centralizzato
- 5°
- 10°
Giugno
Maggio
Aprile
Marzo
Febbraio
Gennaio
Dicembre
Novembre
Ottobre
Settembre
Agosto
Luglio
I rivenditori / Lack SA
I focolari Stûv sono disponibili in una
quarantina di punti vendita in Svizzera.
Potete trovare l’elenco su
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i-distributori/punti-vendita.html
6
NOVITÀ: braccio doccia con soffio- Nuovo scanner per dita overto
ne tondo VOLA – eccezionalmente
rinfrescante
overto fissa nuovi criteri
Feller ha ulteriormente sviluppato il
Puntualmente, per l’inizio dell’anno sistema d’accesso biometrico overto
2013 VOLA presenta il nuovo braccio che aveva già riscontrato successo. Un
doccia con soffione tondo. Si tratta di nuovo scanner per dita con sensore a
un nuovo elemento per la progetta- righe capacitivo migliora ancora sensizione di bagni esclusivi, nei quali viene bilmente le capacità di riconoscimento
assegnato particolare valore all’ele- e valutazione. Questo ricava informaganza sobria e al lusso personalizzato. zioni non sulla pelle, come accadeva
finora, ma anche all’interno della pelle.
L’elemento fondamentale di design Perciò è più veloce, più preciso e meno
del nuovo braccio doccia con soffione sensibile agli influssi ambientali. Nuovi
è l’anello sottile, che gli conferisce un processori e memorie contribuiscono
effetto molto filigranato. La sua effi- ad aumentare l’efficienza dello scanner
cienza si deve alla piastra del soffione per dita. Una guida per dita ottimizzata
doccia. L’acqua viene condotta attra- e la scansione multipla migliorano la
verso 18 serie di fori che si diramano qualità della lettura.
a ventaglio dal centro sulla piastra.
Questo assicura anche un’incompa- Sensore a righe capacitivo
rabile esperienza doccia.
Metodo di misurazione tramite segnale
RF fino agli strati cutanei più profondi.
La sostenibilità è stata sempre impor- Riconosce meglio le dita che presentante per VOLA. Il principio basilare tano solo poche caratteristiche e le
è sempre stato quello di mettere a dita sporche.
disposizione la quantità d’acqua ideale,
necessaria, senza tuttavia rinunciare Caratteristiche
a nessun comfort di azionamento. š Migliori caratteristiche di lettura
Il braccio doccia con soffione tondo š Migliore guida delle dita
viene perciò offerto con due diverse š Design unitari EDIZIOdue
portate di flusso: 24 L/min e 15 L/min.
colore e Umidità
š Ripresa multipla delle dita:
almeno 3 scansioni determinano
Come è consueto per VOLA, sussiste
la migliore immagine delle dita
una vasta gamma di possibilità d’impiego per il nuovo braccio doccia con š Processore e memoria più efficienti
soffione. Esso è disponibile come š Sensore a righe capacitivo
(riconoscibile dal colore oro)
modello a soffitto o a parete, cromato
lucido, in acciaio legato massiccio š Superficie antigraffio e antiurto
š Ciclo di vita più lungo del sensore
spazzolato e in innumerevoli colori.
a righe (>10 milioni)
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INTERNI E DESIGN
A cura di
Gabriele Neri
in collaborazione
con VSI . ASAI
La ricetta di atelier oï
Intervista a Patrick Reymond, fondatore dello studio svizzero
Atelier oï è uno studio di progettazione con base a La Neuveville, sul lago di Bienne. Attivo da più di vent’anni, si è
distinto per la capacità di muoversi tra diverse discipline –
dall’architettura alla scenografia – mantenendo fissa l’attenzione per una dimensione artigianale del progetto. Una
dimensione capace però di affrontare anche la produzione
industriale e la costruzione di grandi edifici: sul loro curriculum si passa infatti dagli oggetti per IKEA alle boutique per
Swatch, dai tappeti per Ruckstuhl agli «Objets Nomades»
per Louis Vuitton, dagli edifici – ad esempio il DYB Centre de
compétences a Cormondrèche del 2007, per cui hanno disegnato tutto, dalla facciata agli arredi – fino alle barche. Abbiamo fatto qualche domanda a Patrick Reymond, uno dei
tre soci fondatori, per capire meglio quali sono i principi alla
base di questo «volare» da un progetto all’altro.
1.
Gabriele Neri: Cosa avevate in mente quando avete aperto il
vostro studio?
Patrick Reymond: Abbiamo fondato atelier oï nel
1991, dopo aver fatto alcuni concorsi insieme. Alla
base ci sono sempre stati l’idea di lavorare in team –
come eravamo abituati a fare all’École d’architecture
Athenaeum di Losanna – e il modello del workshop,
per mantenere saldo il legame concreto con i materiali e per puntare a sviluppare tutte le componenti
costruttive che definiscono il progetto.
2.
Molte delle vostre creazioni, dagli arredi alle facciate di grandi edifici, sembrano infatti essere generate dalla ripetizione di
un singolo elemento costruttivo: un pezzo di corda, una bacchetta di legno, addirittura il mangime per gli uccelli…
Sì, infatti, è un po’ come quando cucini: prendi alcuni ingredienti e cominci ad aggiungerne altri… provi
a usare il legno, poi il metallo, e continui a testare altre possibilità, sempre seguendo gli stessi principi alla
base del progetto. Credo che la tutta la nostra ispirazione derivi da questa assidua sperimentazione con
i materiali. Questa è anche la ragione per la quale il
nostro ufficio è sempre rimasto a La Neuveville, dove
fin dall’inizio abbiamo installato i nostri macchinari e
i nostri materiali… non avrebbe avuto senso spostarsi
altrove. Inoltre qui possiamo sfruttare la vicinanza con
una serie di artigiani e laboratori, che ci aiutano a sviluppare piccoli prototipi delle nostre idee. Così abbiamo deciso di ristrutturare un vecchio motel degli anni
Sessanta, il Moïtel, per farlo diventare il nostro quartier generale, e abbiamo continuato a sperimentare.
3.
9
INTERNI E DESIGN
Dalle tue parole mi viene in mente l’attività di Jean Prouvé…
In effetti siamo un po’ vicini a quel modo di lavorare. L’opera di Prouvé è interessante perché il suo lavoro sta a cavallo tra quello di un ingegnere e quello
di un architetto, tra la realizzazione artigianale e la
produzione industriale. Nel nostro studio siamo sempre a contatto con le macchine, con i materiali, con i
prototipi… una volta realizzato, ogni progetto viene
archiviato ma rimane sottotraccia nelle nostre menti
e accade che un pezzo venga ripreso, modificato, migliorato; possiamo cambiarne la scala e il materiale…
È possibile che questa sperimentazione vada avanti
anche per 5-6 anni e che infine conduca a qualcosa di
nuovo. Questo spirito è anche alla base del libro che
abbiamo pubblicato (cfr. la scheda di Enrico Sassi su
questo numero di archi): i progetti non sono infatti
presentati in ordine cronologico, ma rispecchiano il
modo in cui utilizziamo il nostro archivio.
4.
Insomma un archivio open source… nel quale vi muovete
senza problemi da un tema all’altro.
Ci muoviamo tra scale diverse, contesti diversi, differenti tematiche; tra design, architettura e scenografia. Quest’ultima in particolare è molto importante
nei nostri progetti. Abbiamo imparato molto dal progetto Arteplage Neuchâtel per l’Expo 2002…
5.
I famosi padiglioni «a goccia»…
È stata un’ottima esperienza per sviluppare un progetto dalla piccola alla grande scala. La cosa più
importante era creare un progetto intorno a una tematica: il tema era insomma la cosa fondamentale,
ben più del programma funzionale, e questo ci ha
permesso di sperimentare. Cerchiamo di sviluppare
un linguaggio, e non una «firma»: infatti tra tutti i
nostri progetti puoi trovare alcuni punti di contatto,
ma questi non sono mai lineari o immediati. Non è
come quando vedi il lavoro di molti designer famosi,
nel quale la «firma» è ostentata e si vede chiaramente. Ovviamente ci sono delle costanti nel modo in cui
affrontiamo temi come la struttura o la texture; siamo
ispirati dal mondo naturale, da fotografie e dal lavoro
di molti artisti, ma pensiamo che sia importante anche cambiare completamente il nostro linguaggio in
ogni occasione.
1. Cabane des oiseaux (dal 2005) è un piccolo rifugio commestibile
fat to di mangime per uccelli, all’insegna della sostenibilità: una
volta terminato il pasto infat ti «l’architet tura» si dissolve nella
natura. Foto atelieroï
2. Per Jaquet Droz manufacture a Crêt-du-Locle (2010) atelier oï ha
spostato il problema dalla produzione al paesag gio: l’edificio
sfuma nella vegetazione circostante, ponendosi come un’opera
di land ar t. Foto Yves Andre
3. Realizzata per il Centro Culturale Svizzero di Milano (2006), la
Come rispondono i clienti a questo approccio progettuale?
All’inizio non era facile capire la filosofia del nostro
atelier, che cambia linguaggio e scala a ogni progetto… non era facile né per le aziende né per noi stessi. C’è voluto tempo per capire e far capire il nostro
modo di lavorare e per comunicarlo. Ma alla fine in
molti hanno saputo apprezzare il nostro modo di affrontare il processo creativo, sul quale continuiamo
ad investire.
scenografia A Composition of Cords è uno studio sulla corda
come materiale compositivo e strut turale, da cui deriveranno
diversi arredi. Foto atelieroï
4. La scenografia Oïphorique (2011) si ispira alla danza acquatica
delle meduse, sot tolineando la compressione e la dilatazione
dello spazio at traverso l’intensità della luce che proviene dalle
lampade. Foto atelieroï
5. Insieme a Thalassa e a Elara, Pandora (2012) forma una collezione di lavabi fat ti in cemento ad alta densità, disegnati per Beton
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PUBLIREPORTAGE
La tecnica ad olio a condensazione, la nuova generazione di riscaldamento
Foto: UP
Un moderno riscaldamento
ad olio risparmia molta energia
Casa non isolata
Vecchia caldaia
Consumo annuo: 22 litri/m2
Casa non isolata
Nuova caldaia a condensazione
Consumo annuo: 15 litri/m2
Casa isolata
Nuova caldaia a condensazione
Consumo annuo: 7 litri/m2
Casa isolata / Nuova caldaia a
condensazione con impianto solare
Consumo annuo: 5 litri/m2
Per la tutela dell’ambiente non occorre passare a un altro vettore energetico. Una buona coibentazione dell’edificio e l’installazione di un
nuovo riscaldamento ad olio combustibile con tecnica a condensazione, combinato con un impianto solare termico, sono un’eccellente soluzione
(riferito al consumo annuo di olio da riscaldamento di una casa tipica).
La sua efficienza è eccellente, è parsimoniosa nei consumi ed ecologica. Non c’è dubbio: la tecnica di
riscaldamento ad olio a condensazione è la nuova generazione di riscaldamento. Rispetto alla tecnica
a bassa temperatura vanta segnatamente valori di raffreddamento
dei fumi decisamente migliori. Inoltre, sfrutta il calore di condensazione dell’acqua contenuta nei gas di
scarico. Ne risulta una produzione
di calore supplementare del 10%
dovuta nella misura del 6% alla
condensazione diretta e nella misura del 4% all’ulteriore riduzione
della temperatura dei gas di scarico. L’installazione di un impianto a
condensazione di nuova generazione consente di risparmiare denaro,
ridurre i consumi di combustibili
fossili e tutelare l’ambiente.
I n gran parte dei cantoni sono quindi state varate norme che prevedono che nelle nuove costruzioni e in
caso di ristrutturazioni possano essere installati solo ancora riscaldamenti
ad olio combustibile a condensazione. La durata di un riscaldamento
ad olio varia, a dipendenza della sollecitazione, tra 15 e 20 anni. Siccome
i riscaldamenti ad olio sono molto
robusti e duraturi, in Svizzera sono
ancora in esercizio molti apparecchi
assai più vetusti. Con il risanamento
di un siffatto apparecchio, il che è ragionevole sia dal punto di vista economico sia per motivi ambientali, il risparmio energetico arriva fino al 35%.
Ancora più significativi sono i
risparmi conseguibili mediante un
investimento parallelo nel risanamento energetico dello stabile.
Con la posa di nuove finestre per
esempio è possibile risparmiare fino
al 20% di energia. Con un buon isolamento delle facciate, del solaio o del tetto è possibile ridurre, a dipendenza dello standard e del carattere dell’edificio,
i rispettivi consumi di un altro 10% fino
al 25%. Di regola conviene sostituire
il riscaldamento ad olio combustibile
esistente con una moderna caldaia
ad olio a condensazione per risanare con il risparmio rispetto a un riscaldamento alternativo l’involucro
dell’edificio. Il moderno riscaldamento
ad olio a condensazione è nettamente
più conveniente di una pompa di calore a sonda geotermica. Con l’importo restante risparmiato è possibile per
esempio sostituire le finestre. Tramite
queste misure si può ridurre sostanzialmente il consumo di olio combustibile per metro quadrato di superficie riscaldata, vale a dire che dopo il
risanamento i consumi si riducono
da 22 litri a soli 7 litri l’anno al metro
quadrato. Combinando il tutto con
un impianto solare termico, si arriva
a un consumo annuo di 5 litri al metro
quadrato.
Un moderno riscaldamento ad olio
è economico, pulito e parsimonioso.
Può essere installato in ogni edificio
e può essere facilmente combinato
con sistemi per energie rinnovabili
come per esempio collettori solari.
Inoltre, con l’olio combustibile la
sicurezza d’approvvigionamento è
molto più elevata che con altri vettori
energetici. Basti pensare alle proprie
scorte di combustibile depositate
nella cisterna.
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EDITORIALE
L’ E D I F I C I O E I L S U O L O
Alberto Caruso
Il suolo dell’architettura
Lo stilobate di marmo, il resto tutto in acciaio. Nero.
Lo zoccolo è enorme, non prende il filo delle colonne, è una piazza, appartiene alla città. È il piano della città ad essere modificato,
non la crosta terrestre. Tutta Berlino è virtualmente coinvolta e non c’è, come nel Partenone, un punto d’entrata dai Propilei.
Livio Vacchini, 2005
Per quanto il suo autore possa contestare le tradizioni
costruttive e ribaltare i canoni architettonici più antichi
o quelli più moderni, ogni edificio costruito stabilisce relazioni con il suolo, e, più in alto, con il cielo. All’esame
critico fondato sul criterio della tripartizione classica basamento-fusto-coronamento non è possibile sfuggire.
La relazione con il suolo, sia che venga praticata let
contrario, che venga negata «liberando», in modo altrettanto tematico, l’edificio dall’aderenza al terreno,
rimane una questione determinante della vita pubblica dell’architettura, del suo ruolo nella città. La forza di gravitazione che caratterizza il pianeta impone
l’appoggio della struttura portante nel terreno, i servizi tecnologici necessari al confort degli abitanti obbligano la connessione verticale con le reti orizzontali
che corrono nel suolo, e la relazione, più in generale,
degli abitanti con il contesto sociale attribuisce al livello di contatto con il suolo il ruolo di «ingresso», di
inizio della sequenza di spazi interni che ogni edificio
offre ai suoi utenti.
Nella sua complessità poetica, la modernità ci ha proposto le soluzioni più diverse ed opposte di relazione
con il suolo, sempre fortemente motivate da un’idea
di città da costruire attraverso edifici esemplari. I pilotis corbusiani, come anche il tetto-giardino, erano
finalizzati a moltiplicare e rendere continuo il suolo
pedonale verde, per favorire la densificazione. L’esempio realizzato più importante e famoso, l’Unité
marsigliese, mostra come la liberazione dal suolo non
abbia comportato, in quel caso, un effetto di lievitazione, ma addirittura una rappresentazione figurativamente imponente della relazione tra edificio e terreno. Nella Neue Nationalgalerie berlinese Mies, invece,
appoggia l’edificio su uno zoccolo, la cui dimensione
è molto superiore a quella dello stesso edificio. La Nationalgalerie si estende effettivamente nella superficie
espositiva contenuta nello zoccolo, mentre l’edificio
d’acciaio nero funge da ingresso e ospita piccole mostre temporanee. Qui lo zoccolo, come afferma Livio
Vacchini, è una modulazione del suolo urbano e fa appartenere alla città gli edifici costruiti sopra di esso. Per
Vacchini, infatti, è diversa la condizione degli edifici
costruiti nella città, sul grande basamento pubblico costituito dal suolo artificiale, rispetto agli edifici costruiti sul terreno naturale, che invece hanno bisogno di
una mediazione con il suolo appositamente progettata.
Nell’ultima conferenza pubblica all’Accademia di
Mendrisio nel 2003 parlando della Ferriera di Locarno,
urbanissimo edificio privo di basamento, Vacchini ha
spiazzato gli ascoltatori mostrando due immagini
del palazzo di Versailles di Jules Ardouin-Mansart.
La prima era lo scatto fotografico originale del fronte
classicamente tripartito del palazzo, la seconda
(appositamente modificata con Photoshop da Stefano
Milan) era la medesima immagine dalla quale era stato sottratta la fascia architettonica del basamento, per
dimostrare, con un artificio tanto arbitrario quanto didatticamente efficace, come quell’architettura
avrebbe guadagnato in proporzioni se fosse stata concepita in un contesto urbano.
Il suolo, quindi, è il supporto materiale necessario
dell’architettura, è il foglio sul quale essa viene disegnata. Come già sosteneva Hans Bernoulli nel 1945,
è prima di tutto il regime dei suoli con le sue regole
a determinare la stessa forma degli insediamenti. Nei
tentativi finora messi in atto per correggere gli esiti
disastrosi della città cosiddetta diffusa (che non è città, è territorio abitato privo di ogni qualità cittadina),
sembra che finalmente si sia compreso che sono inefficaci le misure esclusivamente pianificatorie, e che
bisogna agire a monte, partendo dal regime dei suoli,
costruendo un nuovo sistema di regole giuridiche e
fiscali per governare il suo valore economico. È allora importante, al referendum del prossimo 3 marzo,
sostenere con il voto la recente revisione della lpt, la
Legge federale sulla pianificazione del territorio, che
prevede misure avanzate, quali la riduzione dei suoli
edificabili inutilizzati e la tassazione del plusvalore
determinato dalla edificabilità. Al referendum seguirà la revisione della Legge cantonale sullo sviluppo territoriale, che prevede analoghe misure. È una
prova generale di civiltà, per non distruggere irreversibilmente il paesaggio di tutti.
EDITORIAL
L’ E D I F I C I O E I L S U O L O
Alberto Caruso
Der Boden der Architektur
Der Stylobat ist aus Marmor, der Rest aus Stahl. Schwarz.
Die Sockelplattform ist riesig und richtet sich nicht nach den Säulen, sie bildet einen Platz und gehört zur
Stadt. Nicht die Erdkruste wird verändert, sondern der Plan der Stadt. Ganz Berlin ist virtuell beteiligt, und es
gibt keinen Eintrittspunkt von den Propyläen aus wie im Parthenon.
Livio Vacchini, 2005
Auch wenn der Urheber die Bautraditionen anficht und
die ältesten oder modernsten Regeln der Architektur umstürzen will, so geht doch jedes Bauwerk Beziehungen
zum Boden und – in die andere Richtung – zum Himmel
ein. Die kritische Betrachtung, ausgehend von der klassischen Dreiteilung Sockel–Schaft–Krone, ist unverzichtbar.
Die Beziehung zum Boden mag ausdrücklich praktiziert
und explizit thematisiert oder aber ebenso explizit
durch «Befreiung» des Gebäudes vom Grund negiert
werden – immer bleibt sie ein wesentliches Thema für
das öffentliche Leben der Architektur und ihre Rolle in
der Stadt. Die Schwerkraft der Erde macht es notwendig,
jede tragende Konstruktion auf dem Boden abzustützen.
Die technische Infrastruktur, die für den Komfort der Bewohner erforderlich ist, verlangt eine vertikale Verbindung mit den horizontalen Leitungsnetzen im Boden.
Die allgemeine Beziehung der Bewohner zu ihrem sozialen Umfeld verleiht der Ebene im Erdgeschoss, die in Verbindung zum Boden steht, die Rolle eines «Eingangs»: Hier beginnt die Abfolge von Innenräumen, die jedes Gebäude
seinen Nutzern bietet.
Mit ihrer komplexen Poetik hat uns die Moderne unterschiedliche, oft gegensätzliche Lösungen für die Beziehung
zum Boden präsentiert. Dahinter steht immer eine Idee
der Stadt, die durch Bauten mit Vorbildcharakter umgesetzt werden soll. Die Pilotis von Le Corbusier dienten ebenso wie Dachgärten dazu, von Fussgängern nutzbare Grünflächen zu vermehren und zu verbinden, um eine dichte
Bauweise zu ermöglichen. Das berühmteste Beispiel, die
Unité in Marseille, zeigt, dass die Befreiung vom Boden
in diesem Fall keine schwebende Wirkung entfaltet, sondern eine imposante figurative Darstellung der Beziehung
zwischen Gebäude und Boden verkörpert. In Mies von der
Rohes Neuer Nationalgalerie in Berlin steht das Gebäude
auf einer Sockelplattform, die wesentlich grösser ist als
das Gebäude selbst. Die Ausstellungsfläche der Nationalgalerie liegt unter diesem Sockel, während das Gebäude
aus schwarzem Stahl als Eingang und für kleine temporäre
Ausstellungen dient. Wie Livio Vacchini hervorhebt, ist die
Sockelplattform hier eine Modulation des städtischen Bodens und stellt die Zugehörigkeit der darauf errichteten
Bauten zur Stadt her. Für Vacchini sind die Ausgangsbedingungen für Gebäude in der Stadt, die auf dem grossen
öffentlichen Sockel des künstlichen Bodens errichtet werden, anders als bei Bauwerken auf natürlichem Boden,
weil bei ihnen ein Eingehen auf das eigens für dieses Bauwerk geplante Grundstück erforderlich ist.
An der letzten öffentlichen Konferenz der Akademie von
Mendrisio im Jahr 2003 überraschte Vacchini bei einem
Gespräch über die Ferriera in Locarno, ein städtisches
Gebäude ohne Sockel, das Publikum mit zwei Bildern des
Schlosses von Versailles von Jules Ardouin-Mansart. Das
erste war eine klassische Frontalansicht der Dreiflügelanlage des Schlosses, das zweite zeigte die gleiche Ansicht,
aus der jedoch (von Stefano Milan, mittels Photoshop)
das Sockelband entfernt worden war. Durch einen willkürlichen, aber didaktisch wirksamen Trick wurde ersichtlich, in
welchem Masse sich die Proportionen des Bauwerks verbessert hätten, wenn es in der Stadt errichtet worden wäre.
Der Boden ist der materielle Untergrund, den die Architektur braucht, das Blatt, auf dem sie gezeichnet wird.
Wie Hans Bernoulli bereits 1945 betonte, ist es die Raumplanung mit ihren Regeln, die die Siedlungsform gestaltet.
Die bisher unternommenen Versuche, die katastrophalen
Folgen der Zersiedelung zu korrigieren (es handelt sich
um Gebiete ohne jeglichen städtischen Charakter), machen deutlich, dass Massnahmen unwirksam bleiben, die
allein auf die Bebauungsplanung bezogen sind. Ausgehend von der Raumplanung muss das Problem auf einer
höheren Ebene gelöst werden – wir brauchen ein neues
System rechtlicher und steuerrechtlicher Bestimmungen,
die den wirtschaftlichen Wert beeinflussen. Aus diesem
Grund ist es wichtig, bei dem Referendum am 3. März
das revidierte Raumplanungsgesetz (RPG) zu unterstützen, das fortschrittliche Massnahmen wie die Verkleinerung von ungenutzten Baulandparzellen und die Besteuerung des Mehrwerts der Bebaubarkeit vorsieht. Auf das
Referendum folgt die Revision des Kantonalgesetzes über
Raumentwicklung, das ähnliche Massnahmen enthält.
Auf dem Prüfstand steht die Zivilisation – sie darf die
Landschaft, die allen Menschen gehört, nicht zerstören.
16
L’ E D I F I C I O E I L S U O L O
Groundscapes
Die Begegnung mit dem Boden in der
zeitgenössischen Architektur
Ilka & Andreas Ruby*
Groundscapes
L’incontro con il suolo nell’architettura contemporanea**
L’idea del suolo come un’ecologia dell’architettura
nel senso che le attribuisce Reyner Banham, risulta
oggi talmente familiare che facciamo fatica a immaginare che una volta fosse stata concepita in un altro
modo. E, tuttavia, quest’idea ha appena un secolo.
Nel 1926 Le Corbusier proclamò la «liberazione dal
suolo» nei suoi «cinque punti per una nuova architettura». La «casa sopra pilotis», realizzata prima nella
casa Citrohan (1922-1927) e poi – diventata la tipologia dominante della modernità – nell’Unité d’habitation (Marsiglia, 1947-1952), rappresenta infatti l’icona della liberazione dal suolo. Senza un contatto
diretto con il terreno, la casa si sottrae al suo contesto
fisico. Il suolo non definisce più l’architettura poiché
l’edificio, mediante la piattaforma appoggiata su pilotis, crea praticamente il proprio terreno. Questa duplicazione della superficie stabilisce un nuovo livello
elevato che lascia in ombra – spesso anche in senso
letterale – il suolo materiale del lotto. Dal punto di vista programmatico, si assegnano al terreno solo funzioni secondarie (circolazione, parcheggi, depositi
ecc.) mentre l’abitazione è riservata esclusivamente al
nuovo bel étage della villa moderna.
Mentre l’architettura decolla come un aereo – tanto
ammirato da Le Corbusier – il suolo continua a rinviare alla terra. La «Maison en l’air» di Le Corbusier,
ormai ha bisogno del suolo soltanto come una contraddizione forzata per stabilire la dialettica della
sua presenza: quanto più debole sia il suolo, tanto più
forte sarà la figura con cui l’architettura si distanzia
da esso. Risulta impossibile immaginare la Villa
Savoye in un lotto dalla topografia accidentata. L’aura solenne della sua geometria idealizzata ha bisogno
della superficie piana del suolo vergine che circonda
l’edificio nelle fotografie contemporanee, e questo lo
fa apparire come un’isola in mezzo all’oceano. Tramite lo svuotamento fisico, programmatico e semantico del terreno, il contesto si trasforma in una massa
priva di attributi che, in forma di tabula rasa, sarebbe
diventata la materia prima dell’urbanismo moderno.
All’interno dell’architettura moderna, è in Mies van
der Rohe dove più chiaramente si materializza questa
neutralizzazione concettuale del suolo, sebbene senza la didattica propagandistica con cui Le Corbusier
postula questo esito, ma piuttosto in modo poetico.
Seguendo la sua tendenza classica, Mies colloca solitamente la costruzione su di un basamento che rimanda allo stilobate del tempio greco. In qualche modo
costruisce il terreno su cui poggia il manufatto come
una parte del proprio edificio simbolicamente rialzata. Nel Padiglione di Barcellona, quel terreno artificiale ancora si evidenzia come uno zoccolo massiccio
che fornisce il suo microcontesto ideale alla struttura
più leggera dei cristalli delle pareti e del tetto. Nella
casa Farnsworth (Plano, Ill., 1945-1950), Mies accentua quell’effetto deterritorializzante mediante la
piattaforma che galleggia tra il livello del terreno e il
piano elevato dell’ingresso, espediente che utilizzerà
anche nell’iit (Chicago, 1950-1956). L’assenza di gravità suggerita con questo gesto elimina ogni impronta della nozione di peso associata tradizionalmente
al suolo. Negli appartamenti di Lake Shore Drive
(Chicago, 1948-1951), Mies esegue la smaterializzazione del suolo tramite una sorta di tappeto magico
che copre la superficie del piano terra aperto. Questo tappeto è costituito da sottili lastre di travertino
che fuoriescono dal terreno in tutto il loro spessore
e sembrano levitare alcuni millimetri sopra il suolo.
In questo modo, il suolo pare coperto da una vernice «fenomenologica» che, invece di essere di asfalto
1.
2.
1. Le Corbusier, Villa Savoye, Poissy 1929. Foto S. Milan
2. L. Mies van der Rohe, Neue Nationalgalerie, Berlino 1965-68. Foto S. Milan
17
L’ E D I F I C I O E I L S U O L O
oscuro, è di travertino. La pietra chiara gli toglie
dimensione terrena e lo trasforma in una superficie
luminosa che riflette la luce del sole verso la parte
inferiore della copertura dell’atrio, generando così
un materasso luminoso che nei giorni chiari sembra
sorreggere il corpo dell’edificio. Negli anni sessanta,
questa concezione del terreno come terra incognita
incomincia a cambiare poco a poco. Se fino ad allora
lo «spazio del suolo» solo si definiva in senso negativo (come un volume scavato, vuoto, tra l’edificio e il
livello del suolo), ora incomincia a considerarsi come
una «condizione abitabile». È interessante come il
precursore di questa evoluzione sia, ancora una volta, Le Corbusier. Tra le sue ultime opere costruite,
come il Monastero di La Tourette (Eveux-sur-Arbresle, 1957-1960) e il Carpenter Center for the Visual
Arts (Cambridge, Mass., 1961-1964), è già annunciata
questa nuova valorizzazione del suolo, ma dove essa
si manifesta più radicalmente è nel suo progetto non
realizzato del Centro di calcolo elettronico per l’Olivetti (Milano-Rho, 1963). Sotto i vetri galleggianti del
dipartimento di ricerca, Le Corbusier organizza un
impressionante groundscape a diversi livelli: le sale di
montaggio sono state disposte al piano terra ma sono
accessibili dall’alto tramite una piattaforma intermedia che si estende dalla strada fino alla copertura
delle stesse, dove si conclude con tre sale a forma di
paravento. Questo edificio-piattaforma diventa un’interfaccia spaziale che permette lo sviluppo di un terzo
ambiente tra gli edifici nel terreno e nell’aria. Questo
terzo spazio diventò concretamente il centro della
ricerca architettonica quando Paul Virilio e Claude
Parent fondarono il gruppo Architecture Principe
nel 1963, anno in cui Le Corbusier progettò l’edificio
per l’Olivetti. Entrambi partono da una critica alle
monoculture rappresentate dall’orizzontalità della
Broadacre City (1935) di Frank Lloyd Wright, così
come dalla verticalità assolutista del grattacielo americano, criticando anche le utopie metabolistiche di
Constant, Yona Friedman, Domenig/Huth e altri.1
Mentre il moderno distanziamento dal suolo solo si
accentua con la sovrapposizione di nuove città spaziali sulla città esistente, Virilio e Parent inventano con
la loro «funzione obliqua» un modulo concettuale
per la produzione di una continuità urbana: invece di
limitarsi a situare una nuova città su quella esistente,
cambiano la disposizione del suolo presente facendo
in modo che la nuova città sorga «obliquamente» da
quella precedente.
Questa intenzione si rivela nel progetto del centro culturale di Charleville (1966) con più intensità rispetto
alla chiesa costruita di Sainte Bernadette (Nevers,
1964-1966). Si tratta di un gigantesco manufatto
leggermente inclinato, collocato nel letto del fiume
Mosa. All’altezza del livello dell’acqua, il volume si
apre tramite fessure in modo che le barche possano
entrare direttamente dal fiume nell’edificio e attrac-
care nei moli interni, i quali sono collegati agli spazi
pubblici della parte superiore mediante una rampa a
spirale. Secondo l’idea di Virilio della «circolazione
abitabile», tutte le superfici hanno programmi differenti. Così, per esempio, la copertura diventa una
piazza urbana per incontri informali o un palcoscenico all’aperto, dove il pubblico può disporsi nelle tribune localizzate nel tratto più inclinato della stessa.
Per Parent e Virilio, il vantaggio decisivo dei piani inclinati risiede in questa capacità di stabilire una corrente ininterrotta tra interno ed esterno. Questa idea,
che a malapena trova seguito nell’architettura francese, fornisce invece impulsi decisivi al dibattito internazionale, le cui conseguenze architettoniche prendono
corpo, paradossalmente, in Francia.2 Nel 1976 Oscar
Niemeyer riceve l’incarico dal partito comunista francese di costruire la nuova sede del comitato centrale.
Il suo progetto sembra sviluppare le idee di Parent e
Virilio, il cui sodalizio professionale finì l’anno successivo, a causa delle diverse posizioni rispetto alla
rivolta studentesca del maggio del ’68. Tramite una
messa in scena la cui suspense pare degna di un film
di Hitchcock, in questo caso Niemeyer conferisce al
suolo (solitamente continuo e figurativamente indefinito) una forma, un’espansione e un luogo concreto. In linea di principio, tutto sembra girare attorno
al pannello curvo dell’edificio principale, visibile da
lontano. Tuttavia, esso produce un effetto così potente perché la maggior parte del lotto non è costruito,
almeno in superficie. Dalla Place Colonel Fabien, una
via attraversa una piazza elevata e conduce il visitatore verso una cupola bianca che sembra nascondere il
corpo di fabbrica. Siamo guidati verso destra, finché
arriviamo dove immaginiamo di trovare l’ingresso
all’edificio. Sebbene non vi sia un vero e proprio accesso, sarà un’apertura a forma di fessura, situata nel
pavimento di calcestruzzo della piazza, a indirizzare il
visitatore nelle profondità del terreno. Una volta giù,
egli si trova in un autentico mondo sotterraneo, all’interno di un’architettura invisibile, senza orizzonte:
non vi è nessuna finestra né alcuna comunicazione
con l’esterno, tranne la sala conferenze, che ora si rivela come l’equivalente sotterraneo della cupola bianca del giardino. In questo modo, privo dell’abituale
orientamento nello spazio, il visitatore segue la sua
percezione di movimento per scoprire con stupore
che si muove su un terreno quasi-topologico. In realtà, il pavimento dell’atrio non è una superficie piana,
ma è animato da alcune ondulazioni appena percettibili, talmente sottili che prima si avvertono con i piedi
e solo dopo con gli occhi: piccoli ostacoli inattesi che
interferiscono tenacemente il movimento del fruitore, correggendolo e, pertanto, anche organizzandolo.
Anticipando in parte le «superfici liquide» del padiglione acquatico di Nox, Niemeyer trasforma qui il
pavimento di una superficie in uno spazio configurato plasticamente. Questa è un’opera pioniera – finora
18
L’ E D I F I C I O E I L S U O L O
poco valorizzata – per l’architettura degli anni ottanta
e novanta, in cui il suolo diventò finalmente un oggetto
primordiale della ricerca architettonica.
Una continuità diretta con l’«architettura del suolo»
di Niemeyer può essere colta nei progetti dell’architetto argentino Emilio Ambasz. Eppure, mentre in
Niemeyer la figura dell’edificio continua a prevalere
e solo sonda e palpa il terreno sotto la superficie del
visibile, Ambasz trasforma il suolo nella figura architettonica visibile e tramuta l’edificio nell’agente segreto del paesaggio. Per rendere l’architettura invisibile utilizza essenzialmente due tecniche. Da un lato
copre l’architettura con uno strato di vegetazione in
modo che l’edificio non sembri un oggetto ma una
sinuosità topografica del paesaggio. Dall’altro, affonda il volume nella topografia del terreno. La sua
Casa di Ritiro Spirituale è un monumento alla sparizione: due enormi pareti bianche segnano l’ingresso alla casa, i cui spazi abitabili sono completamente
ipogei. Il progetto non realizzato per i laboratori di
ricerca Schlumberger avanza un altro passo collocando la massa architettonica esclusivamente sotto terra.
L’edificio non sembra un oggetto appoggiato su una
superficie ma piuttosto delle incrostazioni eseguite in
un materiale. In alcune parti la massa di terra scompare ed espone una serie di facciate vetrate che forniscono luce naturale all’interno dei laboratori. Ciò
nonostante, l’architettura di Ambasz continua a essere
un’architettura protagonista; il suolo si utilizza essenzialmente come strumento per il camuffamento
topografico dell’oggetto architettonico. Tuttavia, esso
non è ancora concepito come personaggio. Questa
emancipazione dal suolo, da fondamenta architettoniche ad architettura per proprio diritto, acquista
forma, forse per la prima volta, nelle «Cities of Artificial Excavation» di Peter Eisenman. Mentre in Virilio
e Parent, Ambasz e Niemeyer il terreno si definisce
partendo dalla figura, Eisenman tenta di sviluppare
la configurazione architettonica a partire dal terreno.
Con questo lavoro, egli fece una critica alle sue prime
abitazioni, che funzionavano completamente all’interno della tradizione atopica della villa moderna in
quanto oggetto autonomo su terreno neutrale. Tuttavia, nelle «Cities of Artificial Excavation» Eisenman
si basa sulla Collage City di Colin Rowe, secondo cui
il suolo della città non è una superficie neutrale, ma
soltanto lo strato superiore di una densa sovrapposizione di strati delle più variegate vestigia storiche. Per
svelare queste vestigia e assumerle come materiale
generatore del proprio progetto, Eisenman utilizza il
palinsesto come analogia metodica. Nell’Antichità e
nel Medioevo per palinsesto s’intendeva una pagina
o rotolo di manoscritto che, dato il costo del materiale
(generalmente pergamena o papiro) veniva scritto
più volte. Si raschiava o lavava l’iscrizione precedente
e, in seguito, si scriveva un nuovo testo. Spesso rimanevano tracce del testo originale che oggi, mediante
3.
4.
5.
3., 4. Paul Virilio, Claude Parent, Centro Culturale, Charleville 1966.
elementosdecomposicion.wordpress.com
5. Oscar Niemeyer, Sede del Partito Comunista Francese, Parigi 1967
19
L’ E D I F I C I O E I L S U O L O
6.
determinati processi tecnici come la fotografia fluorescente, possono diventare nuovamente visibili, in
modo che il testo antico sia leggibile. Nelle sue «Cities of Artificial Excavation», Eisenman tratta la propria città come un palinsesto e utilizza l’architettura
come procedimento per rendere ancora visibile le sue
molteplici iscrizioni. Dove più chiaramente egli applicò questa tecnica fu nelle sue abitazioni d’interesse
sociale all’iba (Esposizione Internazionale di Architettura) di Berlino (1982-1987), nella Kochstrasse,
proprio accanto al Muro. Invece di limitarsi a riempire i vuoti rimasti dopo la Seconda Guerra Mondiale
nell’edificazione marginale di un isolato urbano berlinese – cioè, piuttosto che ricostruire pressappoco lo
stato prebellico – Eisenman cercò le vestigia storiche
del luogo localizzate più in profondità, che in parte
erano astratte e artificiali e, in parte, concrete. Rivestì
il lotto con un muro-reticolo corrispondente al grado
di latitudine e longitudine del globo, evidenziando
così l’importanza di Berlino come città di frontiera durante la Guerra Fredda. Sotto questo reticolo
artificiale, egli porta alla luce una parte della trama
barocca della planimetria urbana. In questo modo il
progetto emerge, tramite un’estrusione verticale delle
informazioni spaziali del terreno, come una struttura
tridimensionale la quale fa sì che i resti esistenti dell’isolato siano spostati e confusamente contestualizzati.
Questo intreccio sistematico tra storia e contemporaneità provoca in progetti più recenti, come Romeo e
Giulietta (Verona, 1985) e il Wexner Center of Arts
(Columbus, Ohio, 1982-1989), il fatto che la figura
architettonica dell’edificio vada scomparendo come
oggetto autonomo, mentre il suolo diventa progressivamente protagonista come archivio archeologico.3
Negli anni novanta, Eisenman continua ad analizzare
questa trasformazione nei suoi scritti, in cui stabilisce
concetti come figured ground figure che definiscono materializzazioni architettoniche del terreno, concetti che
vanno oltre la dialettica classica tra la figura e il suolo.
La ricerca architettonica su questa nuova potenzialità del terreno diventa il punto essenziale del lavoro
di Zaha Hadid. La fase di gestazione di questa ricerca coincide, paradossalmente, con il periodo della
sua architettura planetaria, in cui lei sembra negare
la nozione di suolo. Infatti, nelle sue immagini i volumi galleggiano come navicelle spaziali in uno spazio
infinito e privo di gravità. Non vi è sopra e sotto, né
davanti e dietro, ma soltanto diversi spazi di movimento che si assemblano dinamicamente. Malgrado
ciò, questo non significa che per Zaha Hadid il suolo
non esista: semplicemente esso è concepito dall’alto. Poiché le sue navicelle spaziali sono destinate alla
terra, deve comunque porsi la questione del suolo
quando atterrano. In ogni caso, il suolo nell’architettura di Zaha Hadid non è solo il pezzo di terra su cui
si posano le sue navicelle, ma quel peculiare «spazio
di suolo» che si genera nel momento dell’atterraggio.
7.
6.
OMA ,
Kunsthall Rot terdam, Olanda 1992. Foto Steven Ward
7. Zaha Hadid Architetti, Plastico Opera di Cardiff, Regno Unito 1994.
Render Zaha Hadid Architetti
8.
FOA ,
9.
M V RDV ,
molo Osanbashi, Yokohama, Giappone 2002. Foto Mat teasu
Metacit y/Datatown, Olanda 1998-2000. Render
Questo spazio vincola la leggerezza dell’architettura
planetaria al peso gravitazionale della Terra e assomiglia a quel «denso levitare» dei vecchi film di fantascienza quando la navicella spaziale atterra lentamente.
Poco prima di toccare il suolo, la navicella si ferma
un momento e rimane immobile, fluttuando sopra la
superficie. È proprio in questo momento che lo spazio tra la terra e la navicella spaziale trema in modo
quasi impercettibile, come se l’imminente messa in
contatto lo stesse caricando di energia. La potenza di
quello spazio intermedio che galleggia sopra il suolo
è uno dei temi centrali dell’architettura di Zaha Hadid. La scena è sempre la stessa: una massa scende
poco a poco verso il terreno senza arrivare a posarsi
su di esso. Dei pilastri affilati perforano il suolo, e, in
seguito, la terra sottostante incomincia a muoversi
finché la superficie si apre e sotto di essa scaturiscono
spazi non percepiti. Questa emergenza spaziale, che
ricorda la tettonica dei continenti scoperta da Alfred
Wegener, tiene conto di uno spazio prima invisibile
in architettura: le fondazioni. Si configura una sorta
di «fondazione esposta» invece della pianta aperta
propria della prima modernità, ed è precisamente in
questo punto dove Hadid colloca la parte più attraen-
20
M V RDV
L’ E D I F I C I O E I L S U O L O
te del programma. Vale a dire: uno spazio che prima
era infrastrutturale diventa improvvisamente uno
spazio sperimentale e culturalmente rappresentativo
dell’architettura.
Da qui fino all’infrastrutturalismo di oma degli anni
novanta – dove in linea di massima gli edifici appartengono più al dominio delle infrastrutture che a
quello dell’architettura – vi è solo un passo. Koolhaas
vide nell’infrastruttura un’opportunità per liberare
l’architettura e l’urbanismo dalla loro separazione
categorica e per assemblarli operativamente. Intesa
come parte di un’infrastruttura della città, l’architettura poteva reclamare per sé una nuova forma di
performance urbana. Nel Kunsthal (Rotterdam, 1992),
questa concezione dà luogo a una doppia programmazione dell’architettura: come museo e come luogo
di scambio urbano tra il parco del museo e l’autostrada. Una rampa pedonale che attraversa l’edificio
come un passaggio pubblico stabilisce la comunicazione e, allo stesso tempo, fornisce il modello per
circolare. In questo senso, il Kunsthall non è solo un
polemico adattamento della «scatola-museo» di Mies,
né una nuova edizione della promenade architecturale di
Le Corbusier. La sua continua sequenza spaziale, che
interpreta lo spazio di circolazione come ambiente
funzionale e viceversa, è piuttosto un’appropriazione
diretta della funzione obliqua di Claude Parent e Paul
Virilio. Con questo stesso metodo, Koolhaas progetta
un paesaggio infrastrutturale nell’Urban Design
Forum (Yokohama, 1992). Questo progetto urbano
riunisce una grande quantità di programmi (di edificazione) su di un «piano ondulato» e fa di loro una
coreografia trasformandoli in un ciclo esperienziale
di ventiquattro ore. In entrambi i casi con l’inclusione
del mondo sperimentale circostante si vuole rompere
la monofunzionalità di una tipologia e riempirla di
programmi. Infine, nelle Biblioteche di Jussieu (Parigi, 1992), Koolhaas porta al culmine questa ambizione trans-programmando l’edificio, il quale diventa
generatore architettonico di spazio pubblico. Lo spazio della strada – il boulevard – continua all’interno
dell’edificio come un passaggio continuo di superfici
piegate che configurano un boulevard intérieur di 1,5
km di longitudine. Sebbene il progetto diventi famoso per aver impiegato per la prima volta una geometria topologica per l’organizzazione spaziale di
uno spazio interno, l’uso che fa Koolhaas della nuova
forma si basa principalmente su una strategia precisa: fornire un nuovo luogo allo spazio pubblico della
città, sempre più sottomessa alla pressione della privatizzazione. La principale funzione della superficie
continua consiste nel fatto che questo nuovo ambito
pubblico non costituisca una riserva monadica, ma
che rimanga collegata alla città esistente e influisca su
di essa con effetto retroattivo. Il concetto del suolo infrastrutturale è anche sviluppato da alcuni successori
di Koolhaas, in particolare mvrdv e foa. Questi ulti-
mi si occupano di una ridefinizione morfologica del
terreno come edificio. Combinano geneticamente la
geometria topologica di Jussieu con la logica infrastrutturale del progetto di oma per Yokohama, e trasformano tipologicamente l’edificio in un paesaggio
urbano infrastrutturale. Grazie a questa concezione
ibrida, foa risolve le contraddizioni tipologiche che
ancora caratterizzano i due progetti di Koolhaas. Nella proposta di foa, gli edifici che nel progetto di oma
per Yokohama sono ancora concepiti come entità separate, si fondono definitivamente nel «piano ondulato», nello stesso modo in cui il paesaggio di rampe
piegate di Jussieu scappa – per così dire – dalla scatola vetrata. La superficie piegata che in Koolhaas era
ancora un semplice dispositivo strategico, per foa diventa un’infrastruttura inclusiva in cui si sopprimono
tutti gli elementi isolati: in questo modo la tecnica del
collage è definitivamente rimpiazzata dal morphing.
Con il suo Osanbashi Pier (Yokohama, concorso: 1995;
8.
9.
21
L’ E D I F I C I O E I L S U O L O
realizzazione: 2000-2002), foa crea la struttura di un
suolo che si differenzia e si moltiplica permanentemente, ma che in realtà è un’unica superficie: scompaiono così le tradizionali gerarchie tra muro, copertura e pavimento.
A differenza di foa, mvrdv abbandona il principio
topologico di Jussieu – l’angolo curvo della villa vpro
era poco più di un ammiccamento manierista a Koolhaas da parte dei suoi ex collaboratori Winy Maas e
Jacob van Rijs – e continua a sviluppare decisamente
i paradigmi della moltiplicazione del suolo nel suo filone programmatico. Con questo scopo, combinano
la teoria del grattacielo di Koolhaas – di Delirious New
York – con la continuità idealizzata del «Monumento
Continuo» di Superstudio. In un certo modo, mvrdv applica alla linea verticale la mancanza di scala
orizzontale di quest’ultimo progetto, con lo scopo di
continuare a sviluppare, a modo di piattaforme sovrapposte, il principio del grattacielo: generare una
molteplicità urbana impilando i programmi più diversi (così la critica culturale distopica di Superstudio
perde – e questo risulta interessante – ogni ambiguità, acquistando una neutralità analitica). Del resto,
l’iperdensificazione della società urbana libera il
paesaggio – sempre più dilaniato dalla società – e lo
dichiara «un nuovo tappeto verde continuo» tra enormi blocchi urbani. Con edifici che sembrano punti
in mezzo allo spazio verde fluido, il palcoscenico della città in tre dimensioni allarga la ville radieuse di Le
Corbusier a limiti fino allora sconosciuti (il progetto
accoglie un milione di abitanti in un singolo edificio).
Considerando che la popolazione mondiale continua
ad aumentare, la grandezza limitata della superficie
abitabile della Terra sembra un problema quantitativo. La mutazione del suolo suggerita da mvrdv, che
da singolarità naturale diventa molteplicità artificiale – in realtà un’unica natura creata dall’uomo – può
sembrare esagerata. Tuttavia, il panorama reale che i
climatologi paventano per il nostro pianeta per il XXI
secolo non è meno surrealista: calotte polari che si
sciolgono progressivamente, aumento del livello del
mare, quote di neve più basse sulle Alpi, migrazioni
dalle zone di vegetazione e altri cambiamenti imminenti rendono evidente che il suolo ha smesso di essere la base stabile della nostra esistenza ed è diventato
una topografia dinamica, ai cui mutamenti e oscillazioni dobbiamo adattare la nostra vita.
* Ilka Ruby è architetto e Andreas Ruby critico e storico
dell’architettura. Titolari dal 2001 dell’agenzia berlinese di
comunicazione textbild. Si occupano di architettura contemporanea sia tramite l’attività didattica, sia come consulenti e
curatori di eventi culturali e pubblicazioni.
Nel 2008 fondano le edizioni Ruby Press.
** Introduzione al volume: Ilka & Andreas Ruby,
Groundscapes. El reencuentro con el suelo en la arquitectura
contemporánea. The rediscovery of the ground in contemporary
architecture, edizione originale spagnolo/inglese,
Editorial Gustavo Gili, Barcelona 2007.
Note
1. Prima di lavorare con Virilio, Parent fece parte di un
movimento utopico. Solo il contatto con le idee di Virilio
sulla «funzione obliqua» gli fece prendere le distanze:
«Incominciai ad essere in disaccordo con i miei colleghi
utopici. La spaccatura emerse nel dibattito su un
progetto che proponeva una grande autostrada urbana
–l’Avenue Charles de Gaulle– che partiva da Parigi,
bloccando il movimento pedonale. Pensai che fosse una
follia, ma la mia proposta alternativa –una struttura gradinata accessibile– non trovò consenso tra gli utopici.»
Si veda Irénée Scalbert, Mohsen Mostafavi, «Interview
with Claude Parent», The function of the Oblique. The
Architecture of Claude Parent and Paul Virilio 1963-1969, (aa
Documents 3), Architectural Association Press, Londra
1996, p. 54. Successivamente, Parent rifiutò di diventare membro del gruppo degli architetti utopici giap
(Groupement International d’Architecture Prospective)
e fonda insieme a Virilio «Architecture Principe» come
contro-movimento critico.
2. Oltre alla sede centrale del pcf, occorre citare la meno
nota Bourse de Travail, costruita da Niemeyer nel 1973
nei dintorni parigini di Bobigny. Anche qui si utilizza
la «funzione obliqua» in modo sorprendente. Il suolo si
separa dalla strada: un piano scende mezzo livello, penetra nel terreno per configurare un atrio –un volume
inedito simile a una tenda da campagna– all’aperto che
conduce all’edificio d’uffici nella parte retrostante alla
sala cerimonie, da dietro; l’altro piano sale mezzo livello
e, configurando un semicircolo generosamente curvo,
porta al piano d’ingresso dell’edificio d’uffici.
3. Si veda Alejandro Zaera Polo, «Eisenman’s Machine of
Infinite Resistance», in «El Croquis», 83, 1997, pp. 50-63,
in part. pp. 54-55.
Ausgehend von der Freigabe des Bodens, die Le Corbusier mit
dem «Haus auf Pilotis» praktiziert, erarbeiten Ilka und Andreas Ruby einen facettenreichen Diskurs, in dem unterschiedliche
Herangehensweisen beleuchtet werden: die Klassik von Mies van
der Rohes im Barcelona-Pavillon (1929), in der die konzeptuelle
und poetische Neutralisierung des Bodens klar umgesetzt wird; die
von Virilio und Parent in den 60er-Jahren propagierte «function
oblique», ein Konzeptmodul für ein vollkommen neue städtische
Kontinuität; sowie die plastische, «quasi-topologische» Definition, die Niemeyer mit dem Hauptsitz der Kommunistischen Partei
Frankreichs (Paris, 1976) realisiert hat und die mit den Projekten von Ambasz fortgeführt wird, der den Boden in eine sichtbare
architektonische Form verwandelt und das Gebäude harmonisch
mit der Landschaft verschmelzen lässt. In all diesen Fällen wird,
ausgehend von der Figur, der Boden definiert. Eisenman dagegen
definiert in den «Cities of Artificial Excavation» die architektonische Konfiguration direkt vom Boden aus. Er lehnt sich methodisch an die Idee des Palimpsest an, um historische Überreste
der Stadt zu enthüllen und sie als Projektmaterial zu verwenden.
Dieses neue Potenzial des Bodens wird zum zentralen Punkt der
Architektur von Hadid, dem besonderen experimentellen Raum,
der beim Landen der «Schiffe» entsteht. Dann folgt der Begriff
des Infrastrukturbodens, den OMA in den 90er-Jahren entwickelte.
Hier nimmt die Architektur eine neue Form der städtischen Performance für sich in Anspruch, während das Artefakt öffentlichen Raum generiert. MVRDV und FOA schliessen den Kreis mit
der morphologischen Neudefinition des Bodens als Gebäude. Es
handelt sich um ein hybrides Konzept, das das Bauwerk in eine
infrastrukturelle urbane Landschaft verwandelt.
22
L’ E D I F I C I O E I L S U O L O
Tomà Berlanda*
Die Begegnung mit dem Boden
in der Tessiner Architektur.
Theorie und Praxis
L’incontro con il suolo
nell’architettura ticinese
Teoria e pratica
1. L’ipotesi sottintesa nella scelta di dedicare un numero monografico al rapporto con il suolo è che sia
possibile individuare nelle opere degli architetti ticinesi un comune interesse per il tema, che si traduce
in una molteplicità di soluzioni costruttive.
È una domanda interessante, che lega la discussione
sulla rilevanza teorica della questione - cioè il riconoscimento che l’itinerario che traduce un’idea in una
architettura costruita, strutturalmente stabile e adeguata nella collocazione spaziale, trova un momento
decisivo nel modo in cui il manufatto tocca la terra alle scelte tettoniche di volta in volta inventate.
Negli anni recenti si è sviluppato un discreto corpo di
letteratura che affronta il tema dell’attacco al suolo
da due principali punti di vista. Il primo concentra
l’analisi su un singolo architetto, con l’intento di individuarne l’evoluzione o la continuità nel modo di rapportarsi al terreno. Alcuni esprimono preferenze assolute per una particolare soluzione che diventa una
costante nel loro approccio progettuale, mentre altri
sono disponibili a declinarne più d’una in funzione
delle specifiche condizioni del sito. Il secondo parte
dall’individuazione di specifiche categorie o modi ricorrenti di attacchi al suolo e li analizza attraverso le
opere di architetti diversi.
Il tema, invece, non è stato affrontato con riferimento a specifiche aree geografiche o alle scuole e gruppi
regionali, alla cui produzione architettonica della seconda metà del Novecento viene riconosciuto un notevole grado di omogeneità e di riconoscibilità. Il Ticino è una di queste aree culturali. Le caratteristiche
che si trasmettono da una generazione all’altra e che
giustificano l’individuazione di una scuola ticinese
sono la scelta pertinente e la sincera esibizione della
struttura, dei materiali e delle soluzioni tecnologiche,
nonché un rapporto con le preesistenze che rifiuta
qualsiasi storicismo e mimetismo formale.1
2. Topografia è ormai un termine abusato nel dibattito architettonico ed il suo significato originario si è
dilatato per incorporare, oltre alla descrizione delle
caratteristiche geometriche di un sito, preoccupazioni e tematiche nuove rispetto alla tradizionale nozione di crosta terrestre. Riecheggiando tale allargamento di prospettiva, è diventata una consuetudine
enfatizzare l’attenzione per l’attacco al suolo e presentare progetti e costruzioni come risultato di un intenzionale rapporto con il sito, inteso nella sua duplice e inscindibile connotazione geografica e umana.
In realtà, gli architetti per i quali la relazione tra costruzione e luogo non si basa su analogie e rimandi
geometrici o formali sono ancora una minoranza. È,
però, generalmente condivisa l’idea che il paesaggio
non sia lo sfondo dell’architettura, ma l’oggetto stesso della trasformazione. Se le dichiarazioni d’intenti
possono sembrare simili, esse si materializzano in forme diverse e riflettono diverse intenzioni e priorità.
In altre parole, ogni attacco al suolo si configura in
funzione della strategia di modificazione del luogo.
Per alcuni, l’aspirazione a costruire senza alterare la
configurazione del sito si traduce nel tentativo di far
sì che l’architettura ne diventi, o ne sembri, un completamento. Simile a questo approccio, che ricorda
l’idea classica dell’appartenenza dell’architettura alla
terra, perché come diceva Frank Lloyd Wright «la terra è la forma più semplice di architettura», è quello
che considera l’architettura come estensione del paesaggio o in esso vorrebbe farla dissolvere.
Per altri, l’architettura nasce dalle forme naturali, ma
pur non ignorando gli aspetti essenziali della topografia li trasforma. La capacità di assumere le caratteristiche morfologiche come punto di partenza della progettazione, ma nello stesso tempo dar origine a una nuova
entità, e che riecheggia il modo di procedere di Alvar
Aalto, è evidente nella casa Balmelli di Tita Carloni e
Luigi Camenisch a Rovio (1956-1957) che segue l’andamento del terreno, ma crea anche un nuovo profilo.
Il ricorso all’architettura per dare risalto alla topografia e accentuare ed estendere il sito è un atteggiamento che si manifesta soprattutto quando il manufatto si
colloca su sommità o punti cospicui. La chiesa di Santa Maria degli Angeli a Monte Tamaro di Mario Botta
(1992-1996), dove il monte è stato «ampliato di una
piccola sporgenza», e nella sua massa architettonica
è stato integrato di pochi strati di roccia, viene letta
come una «prosecuzione della montagna», una «leggera correzione geometrica della massa rocciosa».2
C’è, poi, chi considera la conformazione esistente
come un dato da accettare, per turbare la terra il
meno possibile. La registrazione degli accidenti del
terreno, la conservazione degli oggetti minerali e degli organismi vegetali presenti, più che un vincolo diventa il fulcro dell’intero processo.
Infine, un esplicito intento di contraddizione nei
confronti della configurazione del sito si ritrova nelle opere di quegli architetti che non sono indifferenti al luogo, ma rifuggono da qualsiasi integrazione e
mimesi, come fa Aurelio Galfetti con casa Rotalinti
23
L’ E D I F I C I O E I L S U O L O
a Bellinzona (1960-1961) che si pone in intenzionale
contrasto con il pendio al quale è accostata.
Anche per Livio Vacchini l’ordine nasce dalla distinzione dalla natura, e la sua architettura si discosta
dall’intorno rivelando la propria artificialità logica e
tecnica. La palestra a Losone (1995-1997) che lo stesso Vacchini ha paragonato ad un tempio arcaico, una
Stohenenge del nostro tempo, appare come un blocco imponente, inaccessibile su una piattaforma posta
sopra un esteso prato verde. La sala rettangolare è un
blocco di vetro cinto da pilastri di calcestruzzo che si
rastremano verso l’alto e sono stati eseguiti in un solo
getto. Al livello del suolo non è visibile alcuna entrata,
perché gli ingressi si trovano alle estremità delle rampe che scendono al sotterraneo e hanno il significato
di scandire il percorso in una fase di discesa all’interno della terra e in una successiva emersione.3
Collegare l’edificio al suolo con un elemento che dal
suolo appare staccato, è un modo per segnalare la diversità tra artefatto e natura.
3. L’enfasi con la quale progettisti e critici sottolineano
l’importanza della topografia, che letteralmente significa scrittura di un luogo, non si traduce meccanicamente in architettura. A volte il riconoscimento del valore fondativo dell’attacco a terra si riduce a un retorico
richiamo alla necessità di sviluppare una non meglio
definita sensibilità topografica, mentre la relazione tra
manufatto e contesto viene trattata in termini di visione
poetica o di linguaggio architettonico, senza che questi
elementi si traducano in coerenti scelte costruttive.
Al moltiplicarsi di immagini e metafore che descrivono edifici «ancorati, radicati, seduti, in volo, galleggianti» non corrispondono adeguati metodi di
rappresentazione, quali la sezione lunga, o più propriamente detta intersezione, che è lo strumento più
efficace per rivelare e sintetizzare tutti gli intrecci tra
sito e architettura. Consentendo di evidenziare la
configurazione generata dalla solidarietà tra suolo e
manufatto, che è diversa rispetto a quella che la linea
della terra e la costruzione avrebbero se considerate
separatamente, l’intersezione è essenziale per comprendere le modalità dell’incontro e ricondurne la
materializzazione ad alcune situazioni di base. A seconda che il piano della pianta coincida con la superficie d’appoggio, che il contatto sia limitato a pochi
punti, che l’edificio e il terreno entrino l’uno nell’altro, si parla rispettivamente di aderenza, distacco,
incastro. Tale terminologia deve essere integrata ren-
1. Lio Galfet ti, Casa Rotalinti, Bellinzona 1960-61.
Foto Archivio Galfet ti
2. Livio Vacchini, Palestra, Losone 1997. Foto Archivio Vacchini
3. Livio Vacchini, sezione della Palestra, Losone 1997.
Disegno dell’autore
4. Rino Tami, autostrada N2, portali delle gallerie di Sciaresc
1963-83. Foto S. Milan
5. Lio Galfetti, Flora Ruchat, Ivo Trümpy, sezione dei Bagni,
Bellinzona 1967-70. Disegno dell’autore
1.
2.
3.
24
L’ E D I F I C I O E I L S U O L O
dendo espliciti i criteri in base ai quali ogni architetto
sceglie una o l’altra modalità.
La decisione di appoggiarsi al terreno semplicemente
consolidato o su una sottile piattaforma, che diventa
una sorta di suolo artificiale, può essere ricondotta
alla ricerca di un rapporto simbiotico tra interno ed
esterno. Può anche coesistere con la convinzione che
un edificio sia un artefatto che non è indifferente al
luogo, ma rifugge da qualsiasi integrazione, come
dimostra la casa Bucerius a Brione sopra Minusio
(1965-1966) – una delle due case costruite da Richard
Neutra in Ticino – collocata su una piattaforma che si
allarga oltre il perimetro dell’edificio.
L’incastro non è mero sinonimo di vano interrato o
di edificio ipogeo, ma una configurazione pensata in
modo che la terra e la costruzione, condividendo uno
spazio definito volumetricamente, siano complementari; un procedimento ben diverso da quello di chi
manipola e stravolge la terra per realizzare costruzioni indifferenti ai luoghi.
Anche le motivazioni di chi cerca di limitare il contatto ad una serie di punti possono essere molto diverse,
come dimostrano le piattaforme appoggiate su supporti spostati verso l’interno di Mies van der Rohe, gli
edifici di Sean Godsell sostenuti da elementi puntiformi studiati caso per caso e alcune recenti opere di
Peter Zumthor.
Un edificio non può essere completamente privo di
legami con il suolo, ma la limitazione del contatto ad
una serie di elementi discontinui consente di lasciarne il piano orizzontale principale staccato. Lo spazio
interstiziale che ne risulta separa e allo stesso tempo
connette il terreno con l’edificio e consente di leggere
con chiarezza la struttura portante.
Casa Nadig a Maroggia di Rino Tami (1956-1957) è
un parallelepipedo appoggiato su due muri ortogonali di pietra legati da due travi di calcestruzzo. L’apparente distacco dal suolo pone in risalto la ricerca
della soluzione strutturale.
fare distinzione tra architettura, land art e landscape
architecture, trattano il suolo come materiale primario del progetto.
Aurelio Galfetti e Luigi Snozzi sono entrambi attratti
dalla dimensione territoriale del rapporto tra architettura e suolo, ma la declinano con strumenti diversi. Nei Bagni di Bellinzona, che Galfetti ha costruito
con Flora Ruchat e Ivo Trumpy (1968-1970), l’attacco
al suolo, che consiste in una passerella che connette
e articola spazialmente il percorso, non è un accorgimento tecnico pensato a posteriori per garantire stabilità all’edificio, ma il cardine stesso del progetto. Il
luogo dove si fa il bagno è, in realtà, un percorso e la
passerella, cioè l’infrastruttura che crea lo spazio, ha
una dimensione paesaggistica.
Per Snozzi l’interesse per il territorio – sintetizzato in
uno dei suoi aforismi «fino a poco tempo fa gli insediamenti umani erano carte geologiche» – prevale su
quello per il singolo edificio ed abbraccia un ambito
che si estende a tutti gli strati della crosta terrestre, da
quello dove insistono le fondazioni fino al centro della terra. «Ogni casa raggiunge il centro della terra, un
vero prato arriva fino al centro della terra» è un altro
dei suoi aforismi.5 Snozzi è affascinato dal valore simbolico delle fondazioni, dalla loro capacità di comunicare
l’ossatura dell’idea architettonica e di essere, quindi,
una sintesi di tutto il percorso progettuale. «Un edificio
comincia sempre dalle sue fondazioni», dice, ed è convinto che per capire un’architettura basta osservare le
fondazioni, perché «le più belle piante dell’architettura,
le vedi dalle cantine, è li che matura tutta l’idea».6
Inoltre, per Snozzi il progetto è uno strumento di ri-
4.
4. Le opere di Tami sono un lascito ineludibile per
la successiva generazione di architetti che pure
hanno posizioni variegate nei confronti del modo
di legarsi al suolo.
Sia i singoli edifici – le case che sempre «cercavano di
essere ben sedute» e per questo in ogni suo lavoro si
preoccupa di «sposare la casa col terreno»4 – che gli
interventi a scala territoriale lungo l’autostrada N2 tra
Chiasso e il Gottardo (1963-1983) nei quali è difficile
5.
25
L’ E D I F I C I O E I L S U O L O
cognizione e la scoperta del terreno è il momento
decisivo del percorso nel quale intuizione e invenzione possono avere un peso diverso, ma comunque
interagiscono.7 Come ha osservato Alvaro Siza, «nelle
sue valli, Snozzi, ricerca meticolosamente ogni traccia
sul suolo e ogni voglia di cambiamento. Tanti sono gli
elementi che attirano la sua attenzione.. filari di viti,
muri, fondazioni di antichi conventi, abitudini antiche e in trasformazione».8 Camminare, per misurare ed esplorare il sito, è una pratica seguita da quegli
architetti, che Jacques Gubler chiama «architetti agrimensori» e tra i quali include Snozzi, che costruiscono
il progetto «con la punta della matita e con i piedi»,
cioè partendo dalle tracce e dai segni scoperti andando a piedi9 e per i quali l’esplorazione del terreno non è
una mera operazione tecnica di raccolta di dati quantitativi e misurabili, ma un processo di selezione e interpretazione inscindibile dal progetto.
Pierre-Alain Croset considera l’orografia qualcosa
che deve essere rivelato grazie all’architettura. È un
concetto che usa nella lettura di molte opere di Snozzi, casi esemplari di promenade architecturale concepita
come «lettura dell’orografia». A suo giudizio, Snozzi
prende le mosse dalla conformazione del terreno e
inventa la topografia per comporre sequenze di immagini incorniciate nel paesaggio. Nelle sue case,
mai disposte come prospetti statici10 i valori geografici del sito sono rivelati attraverso il percorso di avvicinamento e «stupisce il grande rispetto manifestato
nei riguardi dell’orografia naturale: piccoli dislivelli,
minimi spostamenti di terra e terrazzamenti appena
affioranti si dimostrano sufficienti laddove abitualmente le nuove costruzioni tendono a cancellare definitivamente i caratteri dell’orografia originaria».11
5. L’attenzione alla percezione fenomenologica
dell’architettura fa sì che alcuni interpretino le «figure» architettoniche come strumenti grazie ai quali
l’architetto può leggere e riscrivere la topografia di
un sito. Secondo questo approccio, la piattaforma,
che media l’andamento del terreno o crea un nuovo
piano distaccato, stabilisce e segnala una precisa relazione altimetrica con l’esistente; il muro, oltre che
filtro e supporto, è un elemento di misura del terreno; la passerella concentra l’attenzione sulle due parti
che collega sottolineandone la separatezza; la rampa,
prolungando e rallentando il percorso di avvicinamento, crea una serie di orizzonti intermedi tra la terra e la costruzione.
In quanto parte di una consapevole strategia della
costruzione del legame con il suolo, la piattaforma –
che secondo Jørn Utzon è l’evento critico dal quale
emerge l’architettura – assolve molte funzioni. Può
segnalare la quota di riferimento principale o stabilirne una nuova, può mettere in relazione la costruzione
con una porzione più o meno ampia di terreno, può
evidenziare una intenzionale separazione tra il suolo
e l’edificio o tra la parte della costruzione adiacente
al suolo e quelle superiori.
Il basamento attira l’attenzione al legame con la terra
e alla soluzione costruttiva che lo sostanzia, esprimendo così l’artificialità costitutiva di ogni intervento architettonico. La piattaforma rimanda alla concezione
classica, tripartita dell’architettura. Ogni architettura
è sempre «tendenzialmente tripartita, si appoggia
sulla terra, si innalza e si chiude nel cielo», dice Livio
Vacchini, e conformemente a questa visione, colloca
la palestra di Losone su uno zoccolo rialzato.12
Ogni muro è diverso, ma sempre risolve e segnala l’attacco al suolo e ridefinisce il sito. Per Mario Botta la
gravità è la forza che lega l’opera di architettura alla
terra e costituisce la ragion d’essere del principio costruttivo nella ricerca dell’equilibrio per trasmettere
i carichi al suolo. A suo giudizio, il gesto primo del
costruire è dato dal «sovrapporre alla terra una pietra» e perciò, «piuttosto che di pietra su pietra si deve
parlare di pietra su terra».13 I suoi muri sono più una
massa che una superficie ed enfatizzano il peso della
terra e il peso dell’architettura che saldano insieme.
Come elemento di raccordo al suolo, la passerella ha
un forte valore simbolico. Ponendo i due elementi
che connette l’uno di fronte all’altro, li lega ma allo
stesso tempo ne evidenzia la separazione.
La cappella di Santa Maria degli Angeli a Monte Tamaro, che Botta definisce «una passerella viadotto che
esce dalla montagna»; è un «ponte metafisico» che vertiginosamente lascia la terra per gettarsi nel vuoto.14
6. La ricognizione delle configurazioni alle quali la
solidarietà del manufatto architettonico con il suolo
può dar origine deve essere accompagnata dall’analisi di come ogni idea progettuale si concreta in soluzione costruttiva se si vuole che la modalità dell’attacco a
terra perda la connotazione di astrazione geometrica.
Opere che dal punto di vista tipologico sembrano simili, rivelano intenzioni diverse se analizzate alla luce
delle modalità di attacco al suolo, come dimostra il
confronto fra tre case di Snozzi, Botta e Vacchini.
A prima vista tutte e tre appaiono semplici scatole di
calcestruzzo armato su un pendio, ma ognuna instau-
6.
26
L’ E D I F I C I O E I L S U O L O
7.
ra con il sito una peculiare relazione che è possibile
cogliere guardando il modo in cui è stato realizzato il
contatto con la terra.
Casa Kalman a Minusio (1972) è un manifesto costruito dell’approccio di Snozzi che, attraverso la critica interpretazione della geografia e della topografia, identifica particolari caratteristiche naturali o resti della
storia e della cultura e li riformula per intensificare la
percezione del luogo. Il muro di contenimento segue
la curva di livello – la condizione geologica esistente
che informa l’organizzazione della casa – e collega
l’architettura alla più larga fisica entità del lago. La
contrapposizione tra il ripido pendio e l’andamento
orizzontale del piano della valle è accentuata dalla
passerella che indirizza e sposta l’attenzione dell’osservatore dall’oggetto architettonico verso la concreta
esperienza della topografia del sito.
Casa Bianchi di Botta a Riva San Vitale (1973) è una
torre che si erge isolata, come un osservatorio. Ma se la
torre rimanda all’atto di guardare, la passerella d’accesso rimanda a quello di attraversare. Percorrendola
il terreno diventa parte integrale dell’esperienza di entrare in casa e allo stesso tempo, essa articola il distacco tra le forme naturali e l’artefatto facendo emergere
l’opposizione tra la casa e il paesaggio suburbano.
La casa a Costa Tenero di Vacchini (1992-1993) è un
parallelepipedo appoggiato perpendicolarmente
sul pendio collinare, ad un’altezza di circa 140 cm rispetto alla quota di accesso. La casa è definita da una
struttura ridotta al limite delle leggi fisiche. Il tetto è
un’ unica trave in calcestruzzo precompresso che, alleggerita da tubi in acciaio, poggia su sei pilastri posti
alle estremità del rettangolo di base. Una piccola pensilina e una pedana in calcestruzzo rivelano l’ingresso ed indicano la separazione tra esterno ed interno.
La soglia, che divide e connette, è il momento significativo dell’incontro tra terreno e costruzione, ma non
è parte di un processo di narrazione. La casa ha la sua
logica, la montagna ne ha un’altra, è una «gestalt come
le opere di Donald Judd».15
7. Molti architetti hanno assimilato l’insegnamento
dei maestri, come si evince dagli esempi qui pubblicati.
La struttura portante di casa Minghetti e Rossi a Gordola di Nicola Baserga e Christian Mozzetti (2009-11)
si limita a due appoggi interni che permettono di non
«infierire» sulla terra. Due travi longitudinali appoggianti su plinti portano la soletta di copertura, mentre la soletta inferiore è appesa tramite tiranti centrali
alle pareti laterali.
È un approccio non dissimile da quello usato per l’autorimessa cmb a Camorino da Dario e Mirko Bonetti
(2009), che sollevando un lungo volume chiuso sopra
pochi appoggi puntuali idealmente rafforza l’andamento orizzontale della pianura circostante.
Il rapporto con un sito assimilabile a una linea orizzontale è presente anche nella casa monofamiliare a Bia-
8.
9.
6. Mario Bot ta, sezione longitudinale Cappella di Santa Maria
degli Angioli, Monte Tamaro 1990-95. Disegno dell’autore
7. Livio Vacchini, Casa a Costa, Tenero-Contra 1991-92. Foto E. Sassi
8. Luigi Snozzi, Casa Kalmann, Brione 1976. Foto S. Milan
9. Mario Bot ta, Casa Bianchi, Riva San Vitale 1971-73.
Foto Marco D’Anna
27
L’ E D I F I C I O E I L S U O L O
sca di Luca Coffari (2011). Una pesante piattaforma di
calcestruzzo funge da zoccolo nel quale è incastrato un
involucro che rimane visivamente staccato da terra.
Casa Ostinelli a Vacallo di Ivano Gianola (2007-09)
presenta una tensione creata tra i piani orizzontali del
pavimento e della copertura. L’imponente spessore
della soletta del tetto, quasi a voler sottolineare un paradosso statico è rivestito da alte lastre di pietra verde
che dominano la composizione.
Nella casa ai Pozzi a Minusio, Silvia e Reto Gmür (200711) hanno sfruttato un terrazzamento pianeggiante
per posizionare il basamento dell’edificio che segnala
la separazione della casa dal pendio e allo stesso tempo
fa si che il contesto diventi parte del suo interno.
La casa a Ronco a Pregassona di Jachen Könz e Ludovica Molo (2007) è invece sollevata rispetto al suolo e,
staccandosi dal terreno terrazzato, garantisce la continuità del prato sottostante.
8. La ricognizione delle opere di tre generazioni di
architetti ticinesi mette in luce una condivisa attenzione per l’attacco al suolo che si traduce nella ricerca
di soluzioni costruttive appropriate. Piace qui citare
come esempio la consapevolezza della necessità di
esplorare nuovi percorsi di ricerca riconoscibile nella Capanna Cristallina (2009) di Baserga e Mozzetti
dove la scelta dell’attacco al suolo ha richiesto, prima
che una soluzione tecnica, la ricerca della «giusta collocazione» del manufatto. L’ubicazione della capanna
rispecchia la volontà di non costruire sulla fragile topografia del passo e di occupare un terrazzo adiacente ritenuto più adatto alle caratteristiche climatiche.
Il rapporto con il sito è ricercato, più che attraverso
rimandi formali, attraverso l’uso dei materiali. Uno
zoccolo, formato con pietre recuperate dalla vecchia
Capanna e con materiale di scavo, si estende da un
lato per diventare terrazza. Il piano seminterrato in
calcestruzzo, che salda la capanna alla terra, ha la
funzione di isolare la parte abitativa dal terreno, mentre l’involucro leggero possiede un’elevata coibenza
termica ed una ridotta inerzia termica.
Se da un lato appare chiaro come, negli anni più recenti, la scelta della modalità dell’attacco a terra tende a incorporare nuove preoccupazioni che riflettono
il superamento della tradizionale nozione di topografia, dall’altro quelli che sembrano essere gli esempi
più interessanti non attingono a un repertorio statico
di soluzioni già sperimentate, ma propongono innovazioni dal punto di vista tecnologico, strutturale e
dell’uso dei materiali, confermando così la vitalità
della scuola ticinese.
* architetto, tra i primi laureati aam, dottore di ricerca. Dal
2010 in Ruanda é professore e titolare di asa studio. La sua
tesi di dottorato Topografie architettoniche: lessico grafico dell’attacco al suolo è in corso di pubblicazione presso Routledge.
Note
1. Schmertz, Mildred, The Ticino Group: Toward an architecture
of place, in «Architectural Record», n. 175, 1987, p. 110.
2. Oechslin, Werner, Mario Botta: l’architettura sacra, l’espressione e la pietra, in Gemin, Mario (a cura di), Mario Botta.
Cinque architetture, Skira, Milano, 1996, pp. 126-148.
3. Masiero, Roberto, Prima e dopo il classico. Sull’architettura
di Livio Vacchini, in Livio Vacchini. Opere e progetti, Electa,
Milano, 1999, p. 16.
4. Carrard, Philippe, Oechslin Werner, Ruchat-Roncati,
Flora (a cura di) Rino Tami, Segmenti di una biografia
architettonica, gta, Zurich, 1992, p. 50.
5. Snozzi, Luigi, Aforismi, in Disch, Peter, Luigi Snozzi, L’opera completa 1958-93, ADV, Lugano, 1994, pp. 104-105.
6. Croset, Pierre Alain, Una conversazione con Luigi Snozzi,
in «Casabella», n. 567, 1990, pp.20-22 e Id. Un’architettura
aulica e funzionale, ivi, pp. 6-7.
7. Lichtenstein, Claude, Design as recognition, in Luigi Snozzi, Birkhauser, Basel, 1997, pp. 7-25.
8. Siza, Alvaro, Impressioni di un viaggio in Ticino, visitando le
case di Snozzi, in Disch, Peter, cit., pp. 20-23.
9. Gubler, Jacques, Motions, émotions: notes sur la marche à
pied et l’architecture du sol, in «Matières», n. 1, 1997, pp.
6-14, ora in Guerrand, Henri (a cura di), Thème d’histoire
et d’architecture, Infolio, Gollion, 2003, pp. 15-30.
10. Croset, Pierre Alain, L’architettura e l’urbanistica di Luigi
Snozzi, in Disch, Peter, cit. p. 48.
11. Croset, Pierre-Alain, ivi, p. 46.
12. Masiero, Roberto, cit., pp. 17-65.
13. Botta, Mario, Luce e gravità, in Cappellato, Gabriele (a
cura di), Mario Botta, Compositori, Bologna, 2008, p. 8.
14. Botta, Mario, Il monte e la cappella, in Pozzi, Giovanni e
Botta, Mario, Santa Maria degli Angeli sul Monte Tamaro,
Casagrande, Bellinzona, 2001, p. 5.
15. Lucan, Jacques, Livio Vacchini, L’implacabile necessità del
tutto, in Disch, Peter (a cura di), Livio Vacchini architetto,
adv, Lugano, 1994, p. 26.
Auf Grundlage der These, dass das Thema der Befestigung im
Boden in der Tessiner Architektur der letzten 50 Jahre eine wichtige
Rolle gespielt hat, untersucht der Artikel eine Reihe von klassischen Bauwerken unter dem Gesichtspunkt der von den Urhebern
beabsichtigte Beziehung zum Boden und der dafür entwickelten
baulichen Lösungen. Die Analyse erfolgt im Rahmen umfassenderer Überlegungen darüber, wie sich die Theoriedebatte zum Begriff der Topografie entwickelt und wie sich seine ursprüngliche
Bedeutung erweitert hat. Heute versteht man darunter nicht allein
die Beschreibung der geometrischen Eigenschaften eines Standorts,
sondern auch seine vielfältigen materiellen Aspekte, zu denen auch
neue Anliegen und Themen gehören, die über den herkömmlichen
Begriff der Erdkruste hinausgehen. Soweit möglich werden die beschriebenen Bauwerke als Schnitte dargestellt – einige stammen
vom Autor des Artikels selbst. Wie die Schnitte und der Vergleich
zwischen den Erklärungen der Planer und den errichteten Bauwerken zeigen, erfolgt die materielle Umsetzung der Eingebungen
und Absichten, die mit Zeichnungen und Modellen erzählt und illustriert werden, durch tektonische Knoten – durch eine konstruktive Syntax also, die mit der Topografie verbunden ist.
Aus dem Überblick, der von den Meistern Rino Tami, Aurelio Galfetti, Luigi Snozzi, Livio Vacchini und Mario Botta bis zu den
jüngeren Vertretern der Tessiner Architektur reicht, kristallisieren
sich wesentliche Elemente heraus, die auf eine Kontinuität hindeuten. Zugleich wird offensichtlich, dass das Thema der Befestigung
am Boden von einer Generation zur nächsten weitergegeben wird
und sich dabei konstant weiterentwickelt.
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L’ E D I F I C I O E I L S U O L O
Luca Coffari foto Filippo Simonet ti
Casa monofamiliare, Biasca
Abitare su un piano
Abbiamo voluto lavorare su un progetto che prevedesse di abitare su un piano.
Tutte le attività: arrivare in auto, soggiornare, studiare,
mangiare, rilassarsi e dormire, si sviluppano ad
un’unica quota. Una parte di sotterraneo contiene i
locali tecnici, i depositi, la lavanderia e la cantina.
La seconda volontà era quella di abitare in una pianta
a L che permettesse di vedere due facciate della casa e
di usufruire dello spazio esterno allo stesso livello.
La volontà era anche quella di semplificare al massimo le superfici, dando al progetto un’immagine o,
meglio, una forma scultorea, lavorando sui volumi.
Questo atteggiamento ci ha permesso di «dialogare»
con le montagne circostanti e il paese di Biasca.
Il modo più diretto per ricercare la «pulizia» delle
forme è stato quello di utilizzare il calcestruzzo armato a vista gettato senza giunti visibili, casserato con
cura, pulito e levigato.
La forma dell’edificio si è ottenuta attraverso la lavorazione di due volumi iniziali tramite sottrazione e
tagli e la successiva aggiunta di un terzo e un quarto
volume. Il primo volume è estruso dal terreno e definisce un piano di 362 mq che accoglie tutte le attività. Abbiamo poi «incastrato» sul volume primario
un volume secondario che misura 22.50 x 17.50 x 3.71
m, le pareti hanno uno spessore di 40 cm sui quattro
lati e di 66 cm alla sommità; il volume secondario si
incastra in sospensione sul volume primario, ospitando nei 148 mq di superficie netta interna riscaldata
tutti i contenuti abitativi. Viene poi realizzata un’operazione di sottrazione di una parte del volume secondario e l’inserimento di altri due volumi. Il taglio
a 60° permette di rivelare il contenuto del volume. Tagliare «l’esoscheletro duro» per rivelare un contenuto
«addomesticato», dove si svolge la vita famigliare. Le
facciate a L, completamente vetrate, permettono di
godere la casa da tutte le stanze e di accedere al soggiorno esterno.
La sottrazione al volume secondario sul lato della
strada forma l’accesso. In questo vano si inseriscono
il terzo volume dalla sezione a L, dallo spessore di 40
cm, che caratterizza l’entrata. La forma è giustificata
dalla necessità statica di sostenere il solaio interno liberando l’angolo vetrato da pilastri portanti. Il quarto
volume, inserito nel vano, va a formare «l’approdo»
a forma di rampa che porta alla quota dell’abitato.
Il soggiorno esterno è in contatto diretto col terreno
naturale (non è un tetto), ospita un prato steso a rotoli
precoltivati come se fosse un tappeto. I serramenti
sono in alluminio termolaccato antracite perché non
volevamo parti «luminose» che riflettessero la luce
diurna ma che rimanessero in ombra. Il pavimento è
realizzato su tutte le superfici della casa sia all’interno
che all’esterno, in betoncino finito Duratex pigmentato antracite con il 4% di colore nero nella massa, accuratamente lisciato e trattato con una lacca di finitura
indurente, scelto per dare uniformità e rafforzare
l’idea dell’abitare su una quota unica.
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L’ E D I F I C I O E I L S U O L O
1
2
3
4
5
Volume primario: estrusione
Volume secondario: incastro in sospensione
Terzo volume: definizione entrata e struttura
Quarto volume: approdo
Taglio volume secondario a 60°
Schema compositivo
Pianta
Sezione soggiorno
Sezione camere
30
L’ E D I F I C I O E I L S U O L O
Casa monofamiliare; Biasca
Architet to
Collaboratore
Ingegnere
Fotografo
Date
Modellista
Impresario costrut tore
Elet tricista
Sanitario e riscaldamenti
Sistemi costruttivi a secco
Serramenti
Protezioni solari
Arredi
Luca Cof fari; Coldrerio
R. Cof fari
Project Partners; Grancia-Lugano
Filippo Simonet ti; Brunate
proget to: 2008-2009
realizzazione: 2010-2011
Benjamin Marchesoni; Lamone
Mut toni SA ; Faido p. 12
Elettrobiasca 2 SA ; Biasca p.12
Thermonord SA ; Biasca p.12
Knauf SA ; Lugano p.6
Vitrocsa Design System
Griesser SA ; Cadenazzo
LaCasa Interior Design; Mendrisio
31
L’ E D I F I C I O E I L S U O L O
L’ E D I F I C I O E I L S U O L O
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L’ E D I F I C I O E I L S U O L O
Bonetti e Bonetti architetti
Bernardoni SA
Autorimessa CMB , Camorino
Il progetto nasce dalla necessità della committenza
di trovare una nuova collocazione per i posti macchina presenti nell’area del Centro di Manutenzione di
Camorino. L’incarico chiedeva la nuova edificazione
di circa 80 posteggi una parte dei quali chiusi per esigenze legate alla sicurezza. Un programma di natura
prevalentemente infrastrutturale che una committenza avveduta e lungimirante ha saputo, e voluto,
tematizzare in un progetto.
Il terreno, ubicato sul piano di Magadino, fa parte
di un più vasto comparto occupato dal Centro per
la Manutenzione delle strade nazionali. Delimitato a nord dalla linea ferroviaria del Gottardo e di
AlpTransit, a sud dalla strada d’accesso al centro di
manutenzione, si presenta come una superficie quasi perfettamente orizzontale libera da costruzioni. Il
contesto si connota invece per un’occupazione diffusa di capannoni artigianali, industriali e amministrativi. In lontananza le montagne che, in netto
contrasto con il disordine delle immediate adiacenze,
costituiscono il chiaro limite del paesaggio e che restituiscono al luogo la tranquillità di un riferimento a
grande scala.
Un edificio, elementare nella sua semplicità, occupa
l’intera larghezza del sedime a disposizione e tenta,
tramite la sua dimensione e la sua espressione, un dialogo con la grande scala del paesaggio e delle infrastrutture viarie che lambiscono il sedime (autostrada,
ferrovia, ). La sua ubicazione segna, caratterizzandolo, l’ingresso al centro di manutenzione. Il volume
progettato è completamente sollevato per liberare lo
spazio orizzontale del piano campagna. Questa soluzione genera uno spazio coperto ma aperto sulle superfici adiacenti che divengono così parte integrante
del sistema. Gli spazi residui ed abbandonati sono
così praticamente assenti.
Alla grande continuità ed alla trasparenza del piano terreno si contrappone un piano superiore completamente chiuso ed introverso che risponde alla
richiesta di posteggi chiusi. Una facciata astratta e
continua, realizzata con un unico modulo di pannelli
in lamiera d’alluminio presso-piegata, azzera ogni riferimento alla scala ed alla funzione dell’intervento.
La struttura tocca il suolo solo puntualmente ed
evidenzia aggetti significativi grazie anche alla precompressione delle solette. L’edificio pare così librarsi
sul terreno. La cadenza e la disposizione dei pilastri,
arretrati rispetto al filo delle facciate, consentono
la disposizione dei veicoli sia lungo l’asse centrale
dell’edificio (piano terra) che lungo le sue facciate
(primo piano). Questa scelta strutturale consapevole
e fondamentale, pur se tecnicamente impegnativa,
è scaturita grazie anche al contributo sostanziale
dell’ingegnere civile. La rampa d’accesso come elemento eccezionale è slegata dalla logica strutturale
dell’autorimessa e funge da sfondo al piazzale d’accesso verso la ferrovia.
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L’ E D I F I C I O E I L S U O L O
Autorimessa Centro
Manutenzione Camorino CMB
Commit tente Sezione della Logistica
Cantone Ticino
Architet ti Bonet ti e Bonet ti architet ti;
Massagno
Ingegneria e realizzazione Bernardoni SA ; Lugano
Ingegnere elet trotecnico Tecnoproget ti SA ; Camorino
Consulente costr. metalliche Didier Grandi SA ; Rivera
Date proget to: 2005-2008
realizzazione: 2009
Impresario costrut tore Bossi e Bersani SA ; Bellinzona
Precompressione Stahlton SA ; Mezzovico
Metalcostrut tore Of ficine Canova; Chiasso
Impermeabilizzazioni Lot ti SA ; Lumino
Pavimentazione Consorzio Novastrada SA ; Taverne
ATAG AG ; Erst feld
35
L’ E D I F I C I O E I L S U O L O
Pianta piano terra
Pianta piano superiore
Sezione di dettaglio
Sezione trasversale
36
L’ E D I F I C I O E I L S U O L O
37
L’ E D I F I C I O E I L S U O L O
Silvia Gmür
Reto Gmür foto Helene Binet
Casa ai Pozzi, Minusio
Il nostro obiettivo per questo progetto è stato quello
di riflettere sulle questioni fondamentali dell’architettura, non certo quello di soddisfare delle esigenze
specifiche dettate dal programma.
«Il progetto, prima che strumento di trasformazione,
è strumento di conoscenza» (Luigi Snozzi).
Tuttavia ogni progetto trasforma sempre il suo autore.
Alcune delle domande che ci siamo posti sono: Qual è
l’essenza di una casa? Come si esprime il rapporto tra
pubblico e privato? Come tocca il suolo la casa? Quale
relazione si instaura col paesaggio? Come si comporta
l’edificio rispetto alla pendenza (cioè, quando non ci
sono né riferimenti orizzontali né verticali)?
La casa è in primo luogo la protezione fisica e psicologica dell’uomo e crea un limite tra uno spazio usato
individualmente e il mondo esterno. Il passaggio dal
privato al pubblico simboleggia il rapporto dell’individuo con la società. Nella casa ai Pozzi, questi spazi di
transizione hanno un carattere integrativo in quanto
ancorano l’edificio al paesaggio.
La casa è sempre un artefatto, non c’è simbiosi tra l’edificio e il terreno. Il carattere del dialogo tra natura
e artefatto determina la specificità del progetto.
La parcella della casa ai Pozzi è di forma triangolare, si colloca obliquamente rispetto alla strada ed è
situata su un ripido pendio. È stato dunque sfruttato un terrazzamento pianeggiante per posizionare
il basamento dell’edificio. Da un lato la separazione
della casa dal pendio permette di percepire lo stesso
ordine architettonico su tutti i lati, dall’altro le quattro pareti trasformano la topografia permettendo un
confronto diretto di ogni facciata con il paesaggio circostante. Questo gesto genera una tensione più forte
rispetto all’opzione di integrare l’edificio nel terreno.
L’edificio è indipendente ma allo stesso tempo il contesto paesaggistico diventa parte del suo interno.
Due unità identiche formano un tutto. La loro posizione speculare esprime dualità e complementarità
ma anche l’equilibrio nell’asimmetria.
I pochi elementi della casa sono costituiti dalla struttura e dall’involucro. Gli elementi di arredamento necessari, come ringhiere, cucina e bagno, sono subordinati al tutto e sono realizzati in cemento.
Due pilastri di cemento speculari, che contengono
anche gli spazi di servizio, formano con i tre solai,
sempre di cemento, la struttura dell’edificio e definiscono gli spazi della casa. La pianta rettangolare (12 x
24 m) è divisa in spazi interni ed esterni, ognuno dei
quali contiene una porzione di questi pilastri. L’unità
è dunque evidenziata anche da questo espediente.
La facciata in vetro non è chiusura ma solo protezione termica e rappresenta invece l’assoluta apertura
verso il paesaggio. Delle tende traslucide sono disposte tutto attorno allo spazio della casa. Esse permettono di scegliere la parte di paesaggio che si vuole
accogliere all’interno. Le tende trasformano la casa
in uno spazio intimo di protezione che sembra galleggiare nel paesaggio piuttosto che essere ancorata
al terreno.
Matematica e proporzione sono gli elementi che determinano la forma e la struttura dello spazio. I pochi materiali conservano la loro espressione arcaica.
L’acqua che scorre attraverso la terra della valle, è stata
catturata e diretta in due bacini che riflettono la luce.
38
L’ E D I F I C I O E I L S U O L O
Casa ai Pozzi; Minusio
Commit tente Silvia Gmür
Architet ti Silvia Gmür, Reto Gmür Architetti;
Basilea
Collaboratore J. B. Machado
Ingegnere A. Baset ti, Dr. Lüchinger+Meyer
Bauingenieure AG ; Zurigo
Specialista imp. riscaldamento W.Haldemann, Waldhauser
Haustechnik AG , Münchenstein
Specialisti imp. sanitario Gode AG Baden; Dät twil
EE Design; Basilea
Specialista imp. elet trico PPEngineering; Basilea
Architet to paesag gista August Künzel; Binningen
Fotografo foto Helene Binet; Londra
Date progetto e realizzazione: 2007-11
39
L’ E D I F I C I O E I L S U O L O
Pianta piano superiore
Pianta piano inferiore
Sezione trasversale
40
41
L’ E D I F I C I O E I L S U O L O
42
L’ E D I F I C I O E I L S U O L O
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L’ E D I F I C I O E I L S U O L O
Jachen Könz foto Walter Mair
Ludovica Molo e Filippo Simonet ti
Casa al Ronco, Pregassona
La casa sospesa
La casa sospesa è l’abitazione per una coppia e si colloca su una collina con una vista magnifica in un quartiere di villette nella periferia di Lugano.
Il lotto, per secoli terreno agricolo, è terrazzato. L’ubicazione delle case unifamiliari adiacenti ha compromesso la qualità originaria del terreno introducendo
terrapieni, muri di sostegno e recinti e lasciando spazi
interstiziali indefiniti.
Il progetto crea un mondo a sé stante: tutte le funzioni
si svolgono all’interno di un corpo che, staccandosi
dal terreno, ne garantisce la continuità. Il prato viene
conservato nella sua essenzialità. La messa a dimora
di un ciliegio vicino al nuovo accesso, un orto sul lato
est e un frutteto sul lato ovest costituiscono gli unici
interventi esterni. Il giardino abitato entra all’interno
della casa.
Dentro il volume della casa un paesaggio composto
da terrazze interne che rispondono all’andamento
del pendio e alla vista forma uno spazio continuo
intorno alla grande terrazza. La luce entra attraverso
corpi di varie dimensioni incavati nel volume: la grande
terrazza, una piccola corte che funge da parete divisoria nella zona notte e un lucernario che corre lungo
tutta la zona giorno. La corte presenta un microclima
simile a quello di una serra e consente di penetrare
l’edificio con piante. Il lucernario lungo il soggiorno
svolge anche la funzione di captare il calore, garantendo un basso consumo energetico.
Tutto l’edificio è in legno, costruzione, rivestimenti
esterni e interni compresi. Una costruzione in legno
è vantaggiosa non solo per leggerezza, velocità nella
realizzazione e caratteristiche ecologiche, ma ha
anche una grande qualità statica, che, abbinata alla
necessità di staccare il legno dalla terra e dall’umidità,
ci ha indotto ad optare per una costruzione sospesa.
L’elemento di raccordo con il terreno è il posteggio,
il cui zoccolo contiene i locali tecnici. Si accede alla
casa tramite un piccolo ponte, che si stacca dalla terra
e conduce ad un mondo tutto interno, proiettato verso
l’orizzonte.
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L’ E D I F I C I O E I L S U O L O
foto Filippo Simonet ti
Casa al Ronco; Pregassona
Commit tente Eliana Fuchs e Renzo Viganò
Architet ti Jachen Könz e Ludovica Molo;
Lugano
Statica e costruzione in legno Xilema; Bedano
Ingegnere civile Geo Viviani; Lugano
Specialista elettrotecnico Riva Elettroprogress; Ponte Tresa
Specialista sanitario Copa e Co; Viganello
Specialista VR Aircond Ser vice; Biog gio
Fotografo Walter Mair; Zurigo
Date proget to di concorso: 2006
realizzazione: 2007
Falegname Veragouth SA ; Bedano
45
L’ E D I F I C I O E I L S U O L O
Principio costruttivo-strutturale
Travi parallele
Travi perpendicolari
Pianta livello superiore
Assemblaggio
Pianta livello inferiore
Pianta degli appoggi
Sezione longitudinale
47
Sezione cavedio
48
L’ E D I F I C I O E I L S U O L O
49
L’ E D I F I C I O E I L S U O L O
Ivano Gianola foto Sieg fried J. Gragnato
Villa a Vacallo
Si tratta di un’abitazione monofamiliare con un piano fuori terra e uno interrato.
Il piano terreno si compone di una rimessa per due
auto, l’atrio entrata con guardaroba e il servizio ospiti, un grande soggiorno da cui si accede direttamente
al portico e al giardino. Il soggiorno mette in contatto
anche lo studio, la cucina e la camera padronale con
guardaroba e bagno. Al piano interrato si trovano i
locali di servizio: lavanderia e stireria, riscaldamento,
deposito, cantina, e una serie di armadi.
Le facciate esterne sono formate da una muratura
doppia isolata, con rivestimento in serpentino verde.
I serramenti scorrevoli del portico-terrazza, pavimentato con la stessa pietra delle facciate, così come la
zona d’ingresso e il garage, ma con un diverso trattamento, sono in alluminio termolaccato. La zona giorno è caratterizzata dal volume che contiene il camino
rifinito in stucco veneziano di colore rosso. Tutti i pavimenti del piano terreno sono realizzati in wengé a
doghe, la scala e il pavimento del piano interrato sono
rivestiti in resina.
Particolare cura è stata dedicata alla scelta delle essenze del giardino: olivi, ligustrum, osmantus, corbezzoli, lecci, feijoa, melograni, sugheri, callistemon
citrinus, gelsomini e philadelphus levisii disegnano il
giardino.
Villa a Vacallo
Commit tente
Architet to
Ingegnere
Fotografo
Date
Impresario costrut tore
Impianti RVS
Impianto elet trico
Serramenti
Giovanni Ostinelli; Chiasso
Ivano Gianola; Mendrisio
Giani e Prada; Lugano
Siegfried J. Gragnato; Stoccarda
realizzazione: 2007-2009
Fossati S A ; Mendrisio
Fratelli Branca; Mendrisio
Elat tro Mastai S A ; Riazzino
Binet ti S A ; Canobbio
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L’ E D I F I C I O E I L S U O L O
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L’ E D I F I C I O E I L S U O L O
Pianta piano interrato
Pianta piano terra
Sezione longitudinale
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L’ E D I F I C I O E I L S U O L O
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L’ E D I F I C I O E I L S U O L O
Nicola Baserga
Christian Mozzetti
Ingegneri Pedrazzini
Guidotti foto Nicola Roman Walbeck
Casa Minghetti-Rossi, Gordola
Il terreno si situa nella zona collinare di Gordola ed è
orientato verso il lago e il Piano di Magadino. Il lotto
è caratterizzato dalla preesistenza di due rustici: uno
nella parte piana a valle ed uno in quella in pendenza
a monte, sottostante la strada d’accesso; le due zone
sono divise da una valletta intermedia.
La nuova casa è un volume parallelepipedo posto al
limite del cambio di pendenza; aperto sia a valle che
a monte si relaziona con il paesaggio e con le caratteristiche topografiche del sito. La sua collocazione
permette di salvaguardare i rustici e di trasformarli in
spazi accessori. La struttura portante si limita a due
appoggi interni che sospendono la casa dal terreno e
permettono di non stravolgerne la fragile e particolare topografia.
Due travi longitudinali poggianti su due plinti portano la
soletta di copertura, la soletta inferiore appesa tramite
quattro tiranti centrali e le pareti laterali. La struttura
portante è l’espressione dell’edificio e al contempo lo
organizza spazialmente. Lo spazio interno ne risulta
così suddiviso: camere agli estremi e spazi giorno e di
servizio al centro.
Casa Minghetti-Rossi, Gordola
Commit tente Tiziano Minghetti e Monica Rossi
Architet ti Nicola Baserga,
Christian Mozzet ti; Muralto
Collaboratore R. Arrivabeni
Ingegneri Ingegneri Pedrazzini Guidotti;
Lugano
Specialista SV Studio tecnico Idalgo Ferretti; Pura
Protezione antincendio Giovanni Laube,
IFEC Consulenze; Rivera
Architet to paesag gista Giorgio Aeberli; Gordola
Fotografo Nicola Roman Walbeck; Düsseldorf
Date proget to: 2010
realizzazione: 2011-2012
Consulente Pittsburgh Corning SA ;
S. Antonino
Sistemi costruttivi a secco Rigips SA ; S. Antonino p. 61
Impresario costrut tore Marchesini G. S A ; Mezzovico
Serramenti General Mast Engineering S A ;
Stabio p. 61
Protezioni solari Griesser S A ; Cadenazzo
Pit tore Luca Stauf fer; Ascona p. 60
Impianto elet trico Pedrioli S A , Locarno p. 60
Impianto d’allarme Sicurtech SA ; Bioggio p. 12, 61
Falegname e pavimenti Oswald Wyrsch Schreinerei;
At tinghausen p. 60
54
L’ E D I F I C I O E I L S U O L O
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L’ E D I F I C I O E I L S U O L O
Pianta abitazione
Sezione trasversale
Pianta struttura
Sezione longitudinale
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L’ E D I F I C I O E I L S U O L O
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DIARIO
Paolo Fumagalli
Diario dell’architetto
del 16 gennaio 2013
Le derive estetiche del paesaggio
Paesaggio è in definitiva una definizione generica,
nel senso che ci si può mettere dentro un po’ di tutto, città
periferie villaggi colline montagne boschi radure prati
pianure agricoltura e così via. Tutte componenti che
vanno a configurare il paesaggio. Ma se questo paesaggio presenta – come presenta – degli squilibri e delle incongruenze e importanti perdite di valori, allora
occorre capire dove e perché. Il dove: i luoghi più
problematici del paesaggio sono le periferie delle città, sono le aree circostanti i villaggi, sono le colline che
circondano gli abitati, sono i fondovalle e sono le rive
dei laghi. Infatti: all’interno delle città le normative
pianificatorie sono chiare (pur con molte contraddizioni) e gli interventi pianificatori e architettonici
sono bene o male tesi verso una qualificazione spaziale
dei luoghi della collettività, le piazze, le strade, le zone
pedonali. Nelle periferie invece la dilatazione del costruito è avanzata con normative legate in prevalenza
alle quantità, molto meno sulla qualità. Abbandonati al loro destino (qualitativo) sono soprattutto gli spazi pubblici, dalle strade che si limitano a
incanalare il traffico alle aree verdi che sono piuttosto terreni di risulta o alle zone pedonali che sono
inesistenti. Sulle colline la situazione è identica, forse
anche peggio: affastellate le une sulle altre in piccoli
appezzamenti, ville e villette si disperdono lungo viottoli e strade tracciate a caso su per i pendii, sopra muri
in pietra, in cemento, in prefabbricati «fai da te», coronati da alte siepi alla ricerca di un’utopica privacy.
E lontane tutte dai mezzi di trasporto pubblico. Nessuna area di svago, un parco che sia un parco: tanto
– dicono – i sentieri di montagna sono poco distanti.
Ma se le colline piangono, i fondovalle non ridono: occupati dalla cacofonia dei capannoni industriali e dei
depositi, lungo strade percorse da camion di giorno e
deserte di notte, su terreni ritenuti di nessun valore
naturalistico o paesaggistico, offrono un quadro desolante nella loro banalità urbana. Non una gerarchia,
un momento di «respiro spaziale», un viale alberato.
Nulla.
Le cause e gli ef fet ti
Premesso che l’evoluzione di un territorio è un fatto
positivo perché traduce un’economia dinamica, vi è
tuttavia da chiedersi come questa evoluzione avviene.
E se di storture si tratta, occorre valutarne le cause e
le conseguenze. Sono riconducibili fondamentalmente a due aspetti. Primo, chi occupa le periferie e le col-
line sono (salvo i luoghi dorati dei milionari con vista
lago) gli abitanti delle città stesse, costretti a cercare
un’alternativa ad affitti divenuti troppo cari nei centri
delle città. Secondo, gli enti comunali, per nulla preoccupati di questa «emigrazione», dilatano le aree
edificabili e asfaltano nuove strade in periferia. Mai
però hanno fatto un «progetto» architettonico di carattere collettivo, anzi di qualità per la collettività. Non si
conta un quartiere, nemmeno uno, degno di questo
nome. Un quartiere vero, come lo definisce l’Enciclopedia Treccani: «Nucleo o settore che, all’interno di
una città, si individua rispetto al restante agglomerato
urbano per particolari caratteristiche geografiche e
topografiche». Quartiere capace di offrire abitazioni
di qualità a costi controllati, con aree verdi in comune, con strade veicolari divise dai pedoni e percorsi pedonali per raggiungere le scuole e le fermate dei mezzi
di trasporto pubblico e i negozi e così via. In assenza
di questi quartieri, il tutto è lasciato all’iniziativa
della proprietà privata, che – per carità, talvolta anche bene – ha costruito singoli palazzi su singoli terreni. Nel Cantone Ticino «insomma» le città, come già
si è scritto in queste colonne, le fanno i privati, non gli
enti pubblici: e i privati, come è logico, fanno i loro
interessi. Dalla periferia alle colline il discorso è forse più grave, perché lo spezzettamento del territorio è
ben maggiore, non è per niente piatto ma contorto in
mille pieghe e mille pendii, perché i muri di sostegno
la fanno da padrone per tirare orizzontale quello che
non lo è per posarci sopra un tavolo con delle sedie, un
ombrellone e l’immancabile barbecue.
Un ef fetto inatteso: le nuove emergenze
nel paesaggio
Se da un lato questa evoluzione urbanistica e le conseguenze che implica sono un’azione dinamica nella
sua negatività, a fianco emerge un altro effetto – inatteso – di carattere invece passivo, non provocato ma
subìto: la sempre maggiore importanza che, per la
qualità del paesaggio, hanno oggi assunto le aree
emergenti e di eccezione dentro il contesto edificato.
Emergenti per il loro valore intrinseco, come ovvio,
ma anche per la loro eccezionalità dentro questo
paesaggio modificato, oppure per il loro ruolo di
equilibrio dentro un’urbanizzazione diffusa. Alcune di
queste aree sono protette a livello cantonale o comunale, ma molte invece hanno acquisito questo ruolo
di «emergenza» in questi ultimi anni: non tanto per
qualità proprie o perché abbellite di recente, ma per-
62
TI
DIARIO
ché è il «resto» che sta intorno ad essere cambiato, a
essersi totalmente urbanizzato. E quindi queste aree
sono rimaste come uniche isole di qualità e di identità
e di eccezione dentro la banalità del paesaggio. La dilatazione del costruito è una realtà preoccupante se si
osserva la spalmatura di ville e palazzine nel Mendrisiotto o in Capriasca o in sponda destra del Ticino tra
Bellinzona e Gordola, o addirittura drammatica su
per le falde del Brè sopra Lugano o del San Salvatore
sopra Paradiso o a Orselina sopra Locarno. E sempre
più evidente emerge, quale contrappunto, il valore di
quello che resta dei quartieri di primo Novecento a
Minusio o Muralto o Bellinzona o Mendrisio, oppure
singoli edifici grandi o piccoli degli anni Sessanta e
Settanta, oppure ancora le macchie ancora verdi nelle
periferie di Lugano o Mendrisio o Bellinzona o Locarno,
o il ponte in ferro o pietra di fine Ottocento. Oggi insomma un terreno non ancora edificato posto dentro
una periferia anonima può avere un’importanza –
per l’equilibrio del paesaggio – ben maggiore rispetto
a cinque o dieci anni fa. Ma questo luogo divenuto oggi
paesaggisticamente importante è ancora edificabile, come lo erano gli altri terreni circostanti. Il Piano
regolatore, nato al minimo un dieci anni fa, ovviamente ne ignorava il ruolo strategico attuale, e ne prevede la sua edificabilità.
Proget tare significa scegliere
In estrema sintesi, il paesaggio è afflitto da due fattori:
primo, l’eccessiva dilatazione dell’abitato nelle periferie delle città e sulle colline che sovrastano laghi e villaggi e pianure; secondo, luoghi e spazi edificabili circondati dalla dilatazione diffusa dell’edificato e dalla
sua banalità sono oggi divenuti importanti per la qua-
lità e l’equilibrio del paesaggio. Ma poiché piangere
serve a ben poco, occorre riflettere non tanto su possibili rimedi, ma piuttosto sulla necessità di «disegnare», o se si preferisce di progettare, questo paesaggio
in profonda trasformazione. Poiché progettare significa in primo luogo scegliere per determinare valori e
gerarchie, queste scelte non possono che essere tre:
primo, arrestare la dilatazione del costruito mediante
una riduzione delle aree edificabili; secondo, per garantire lo sviluppo (indispensabile) di città e agglomerati operare una densificazione del costruito all’interno degli abitati; terzo, salvaguardare edifici e spazi e
aree verdi importanti per la qualità del paesaggio.
Strumenti per proget tare il territorio
Di questa rapida evoluzione è cosciente anche il Cantone, che in questi ultimi decenni ha assunto un ruolo
attivo e propositivo e si è dotato di strumenti giuridici
per un maggiore controllo del territorio. Alcuni già
da alcuni anni, come il Piano Direttore (un progetto
di organizzazione territoriale per orientare le trasformazioni dell’insieme del Cantone), altri più recenti
come i Programmi di agglomerato, i Piani di utilizzazione cantonale (puc, pianificazioni intercomunali
per aree complesse), i Concetti di organizzazione territoriale nelle diverse regioni, gli Inventari dei paesaggi
di importanza cantonale, i Progetti di paesaggio comprensoriale (linee guida per comprensori geograficamente unitari). Sono strumenti pianificatori e progettuali importanti, alcuni dei quali, istituiti di recente,
non hanno ancora trovato uno sbocco concreto e
sono in fase di gestazione ed elaborazione. Ma strumenti comunque indispensabili per gestire l’edificato
in un Cantone che progressivamente si è quasi intera-
63
TI
mente urbanizzato e che richiede strumenti legislativi capaci di gestire un intero territorio, e non solo il
ridotto limite comunale dei Piani Regolatori.
Legge federale sulla pianificazione
del territorio: la votazione del 3 marzo
Poiché i problemi urbanistici tratteggiati in Ticino sono
in definitiva identici a quelli che si osservano in altri
Cantoni svizzeri, pur nelle loro maggiori dimensioni, a
Berna il Governo e il Parlamento hanno approvato
una revisione della lpt, la Legge federale sulla pianificazione del territorio. Contro questa revisione è stato
promosso un referendum e si andrà a votare il 3 marzo
2013. Cosa prevede questa revisione? Sostanzialmente
due misure: primo, l’obbligo di ridurre le zone edificabili sovradimensionate. Sono terreni per la maggior
parte ancora liberi da edifici posti all’esterno delle
zone abitate, e che non ha più senso oggi edificare per
non dilatare ulteriormente gli agglomerati. La seconda
misura riguarda il plusvalore: vale a dire la tassazione
dell’aumento del valore economico di un terreno edificabile se questo viene inserito in una zona edificabile,
oppure quando aumenta l’indice di sfruttamento. Un
bel regalo e un evidente guadagno per il proprietario e
che la Confederazione vuole tassare per un principio
ovvio di parità di trattamento.
Legge cantonale sullo sviluppo territoriale:
plusvalore
Anche il Cantone Ticino si muove in parallelo con la
Confederazione e propone una modifica alla Legge
sullo sviluppo territoriale legata ai vantaggi e svantaggi che derivano dalla pianificazione. In concreto, si
vuole tassare il plusvalore di quei terreni che vengono
resi edificabili oppure che beneficiano di un aumento
della loro edificabilità (altezze e indici di sfruttamento).
Il ricavato di questa tassa andrebbe ad alimentare un
fondo a favore del paesaggio, e in particolare per indennizzare quei proprietari i cui terreni o edifici
sarebbero vincolati o addirittura resi inedificabili.
Non credo che le misure proposte dalla Confederazione e dal Cantone siano una rivoluzione o un attentato contro la proprietà privata e il libero mercato,
come si vuol far credere. Ma piuttosto una scelta civile
a favore della qualità del paesaggio, a favore della collettività. Sono strumenti oggi indispensabili per fronteggiare la sempre maggiore trasformazione di un
territorio la cui qualità si regge su rapporti estremamente delicati. E, aggiungo, per far sì che i rapporti di
forza tra pubblico e privato ritrovino quell’equilibrio
che in questi ultimi decenni di boom immobiliare
sembra andato perso.
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ARCHIVI ARCHITETTI TICINESI
A cura di
Angela Riverso Ortelli
Fondazione
Archivi Architetti Ticinesi
Edificio commerciale
SEPU a Zaragoza
Paolo Mariotta architetto, 1905-19721
A volte ci si imbatte in progetti inaspettati come
quelli di un architetto, Paolo Mariotta, di cui si conosce vagamente l’attività professionale soprattutto
per i rimandi e le citazioni trovate fra le riviste di
storia dell’architettura.1 Ma è sorprendente scoprire
come un architetto, visto in patria come esempio sì
di eleganza e di rigore, ma anche di attenzione agli
aspetti più storicistici e tradizionali di un’architettura regionalista, abbia progettato e costruito all’estero edifici moderni e innovativi in paesaggi urbani,
forse sufficientemente lontani da una realtà troppo
conosciuta che non gli permetteva di esprimersi liberamente. Ne è un esempio la realizzazione del
grande edificio commerciale per sepu a Zaragoza,
Spagna. Progettato a partire dal 1963 ed inaugurato
nel 1967, è il terzo di una serie di collaborazioni instauratesi a partire dal 1951 fra l’architetto Mariotta e la direzione dei grandi magazzini spagnoli. La
sepu, Sociedad Española de Precios Unicos, viene
fondata già nel 1934 da cittadini stranieri, le fonti
citano fra gli altri gli svizzeri di origine ebraica Henry Reisembach e Alexander Goestschet. Il grande
magazzino popolare entra sul mercato spagnolo nel
1935, istallandosi a Madrid sulla Gran Via in un edificio che era stato l’emblema dei grandi magazzini
francesi «Paris-Madrid» e proponendo la vendita di
diversi articoli al medesimo prezzo secondo una tecnica impiegata dal gruppo americano Woolworth.
Filiali nascono in seguito a Barcellona e Zaragoza e
a Mariotta, dopo una prima trasformazione dell’emporio originario di Madrid nel 1951 e una seconda
collaborazione nel 1952 per quello di Barcellona,
viene commissionato un progetto impegnativo per
Zaragoza. Si tratta di intervenire con un nuovo edificio sul Paseo de la Independencia, in un tessuto
urbano di transito e di commercio già densamente
edificato, partendo dalla demolizione parziale di
uno stabile adiacente ad importanti edifici storici,
sedi rispettivamente della Union Y el Fenix Español
(committente del progetto) e del Banco HispanoAmericano.
Di Paolo Mariotta si conosceva già il nuovo Feldpausch di Zurigo, inaugurato nel 1949, e di cui la
Neue Zürcher Zeitung aveva ampiamente riferito;
aveva inoltre lavorato a diversi progetti di empori
commerciali situati nei centri di Lucerna, Ginevra
e Basilea. Dopo la partecipazione al concorso per i
nuovi grandi magazzini Bekas a Malmoe in Svezia
nel 1950, aveva realizzato edifici commerciali e am-
ministrativi a Lisbona e Lima, in Perù. Non sappiamo come sia entrato in contatto con i promotori,
possiamo solo presumere che, oltre all’attività professionale nota, sia le ville sul lago realizzate in Ticino per diversi clienti facoltosi che le amicizie e le
conoscenze personali in occasione dei suoi soggiorni invernali a Sils e St. Moritz e la signorilità del personaggio stesso abbiano fruttato i contatti necessari.
Possiamo ammirare a Zaragoza un Mariotta apparentemente diverso da quello che opera negli stessi
anni nel locarnese, un architetto consapevole delle
esigenze contemporanee, delle nuove tipologie necessarie a coprire i fabbisogni della modernità. L’edificio si erge in verticale oltre i limiti di quelli circostanti, e pur sforzandosi di conservare i tradizionali
portici commerciali della capitale aragonese, parla
un linguaggio innovativo, funzionale e moderno
anche all’interno di questi ultimi. La trama leggera
delle solette in metallo fotografate durante il cantie-
L’edificio della
SEPU ,
Zaragoza 1963-1967
66
TI
ARCHIVI ARCHITETTI TICINESI
re, si ripete nei dieci livelli sopra i portici, separata
da questi ultimi da una sottile fascia completamente vetrata a marcare lo stacco del volume dalla base
e che assumerà maggiore rilievo solo sulla facciata
laterale all’interrompersi dei portici. La verticalità
è accentuata dalla scelta finale di marcare la struttura portante della facciata con leggeri montanti in
metallo e di sovrapporla alle fasce di chiusura orizzontali che marcano le solette e corrono lungo tutto
il perimetro. A chiudere il volume, nei disegni, un
piano attico poi non realizzato. Mariotta collabora
con la direzione sepu e con gli architetti locali che
firmano il progetto, José Jarza e Teodoro Rios,2 si
reca in cantiere e riceve puntualmente rapporti e
fotografie dei lavori in corso. La documentazione
conservata in archivio riguarda soprattutto gli studi
prospettici per le diverse varianti di facciata, le fotografie di cantiere e dell’edificio terminato, poca
corrispondenza e la rivista di costruzione madrilena «Obras» del 1968, con la descrizione e diverse
fotografie dell’immobile e in copertina la facciata
principale. Ma un’ulteriore conferma dell’impegno personale di Mariotta e del valore riconosciuto
dell’opera ci viene da un sottile cartoncino bianco,
inserito fra le pagine della rivista spagnola.
È il riconoscimento, i «Complimenti per la bella costruzione». La firma: Augusto (Jäggli).
Vista dal Paseo de la Indipendencia. Fondazione
A AT
Paolo Mariot ta, ca 1960
Per gentile concessione di Alfredo Mariot ta
Note
1. Simona Martinoli in ast, n.133, p. 47
2. «Obras», n. 112, Madrid 1968, p. 20
Bibliografia
– Fondazione aat, Fondo 005,
architetto Paolo Mariotta, pr. 124
– http://revisioninterior.blogspot.ch/2010/04/grandesalmacenesen-espana
Vista dei por tici. Fondazione
A AT
67
TI
ACCADEMIA ARCHITETTURA MENDRISIO
A cura di
Laura Ceriolo
Riuso e restauro
Intervista a Franz Graf* a proposito della ricerca sul riuso e il restauro
dell’architettura del X X secolo e sul rappor to fra la storia materiale del
costruito e il progetto di restauro.
La ricerca si inserisce all’interno del Swiss Cooperation
Project in Architecture (2008-2012), finanziato dalla CUS,
Conferenza Universitaria Svizzera, ed è basata sulla collaborazione tra USI, EPFL, ETHZ e SUPSI. È strutturata in quattro sezioni: strumenti critici per la storia, il riuso e il restauro; storia
materiale del costruito e il progetto di conservazione; strumenti
critici per il restauro urbano; strumenti metodologici per la pratica del restauro.
Laura Ceriolo: Le opere del XX secolo non si sono dimostrate
così durabili, ma necessitano di una nuova declinazione del
restauro. Perché?
Franz Graf: Tutti i manufatti architettonici dal momento della loro realizzazione sono soggetti a processi di invecchiamento, compreso quindi le architetture
moderne e contemporanee che si credeva realizzate
con materiali (quasi) indistruttibili – acciaio, vetro,
calcestruzzo –, ma che in realtà si sono rivelate fragili,
spesso costruite in modo sperimentale ed economico.
Il patrimonio architettonico costruito nel XX secolo
oggi appare il luogo privilegiato di lavoro dell’architetto sia per la sua dimensione quantitativa sia per le
questioni teoriche che solleva. Il progetto di architettura che si occupa dell’esistente si definisce progetto
di tutela, sia nella sua accezione rivolta alla conservazione sia in quella della nuova realizzazione. La storia
materiale del costruito contemporaneo, che si occupa
della conoscenza dei materiali, dei cantieri e dei sistemi costruttivi sviluppati nel XX secolo, è base imprescindibile per il progetto. Da qui il ruolo centrale di
questo campo di ricerca all’interno dell’Enciclopedia
critica.
Quali sono dunque i settori di ricerca e gli obiettivi di questa
sezione del progetto?
La ricerca mira a fornire da un lato conoscenze specifiche relative alla materialità dell’architettura, ai
sistemi costruttivi utilizzati nel XX secolo, ai fenomeni di degrado, alle patologie e alle fragilità che li riguardano, dall’altro individua e analizza in maniera
critica interventi volti alla manutenzione e conservazione oltre che al riuso e alla trasformazione. Tre
sono le tematiche principali: i materiali «moderni»,
con particolare riferimento alle facciate leggere e alle
loro problematiche specifiche; i sistemi costruttivi,
soprattutto i sistemi prefabbricati e industrializzati
e la loro conservazione/trasformazione; i dispositivi
del confort in relazione al progetto tecnologico che
determina un miglioramento dal punto di vista ener-
getico. La ricerca, che si basa su fonti bibliografiche e
archivistiche, è stata effettuata dagli architetti Francesca Albani, Giulia Marino e Yvan Delemontey, ricercatori e docenti nelle rispettive università e da esperti
del settore inviatati a presentare i loro contributi in
giornate studio volte allo scopo di approfondire tematiche specifiche.
Sono state coinvolte molte discipline affini nella sua ricerca
CUS, che ne sottolineano il carattere interdisciplinare e la completezza.
La tutela del patrimonio architettonico si basa su un
approccio interdisciplinare che coinvolge architetti,
ingegneri (strutturisti e impiantisti), fisici della costruzione, chimici dei materiali, restauratori, economisti, giuristi, ecc. All’interno della ricerca questo
aspetto è tenuto in estrema considerazione, sia per
quanto riguarda l’analisi della costruzione dell’edificio (fase di cantiere) – per esempio lo studio della
Tour Nobel risulterebbe assolutamente superficiale
senza comprendere il contributo di Jean Prouvé – sia
la fase di restauro – come nel caso dell’intervento di
consolidamento della fabbrica Olivetti a Crema realizzata con strutture in calcestruzzo precompresso.
Jean Prouvé, cantiere della Tour Nobel, Parigi-la Défense 1963-1967
68
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ACCADEMIA ARCHITETTURA MENDRISIO
1 Struttura opaca in plastica rinforzata
con fibre di vetro GFRP
2 Impermeabilizzazione del plexiglas in gomma
3 Rivetti ciechi per fissare il plexiglas al lucernario
4 Elemento trasparente in polimetalcrilato
1.
TI
5 Aggancio del lucernario
alla trave secondaria
6 Copri-vite
7 Aggancio fra i lucernari
8 Guaina in gomma
8
7
6
5
4
3
2
1
2.
1. Esploso assonometrico della
struttura portante in calcestruzzo
armato prefabbricato della
fabbrica Olivetti di Crema
progettata da Marco Zanuso
e Eduardo Vittoria.
Disegno di Bailey Matew Truan
e Farrell Darragh, corso di
«Tecniche costruttive del XX
secolo», prof. Franz Graf,
AAM, a.a. 2011-12
2. Studio dell’elemento di copertura
in materiale plastico della fabbrica
Olivetti di Crema, 1968-72.
Disegno di Robin Bader, corso di
«Tecniche costruttive del XX
secolo», prof. Franz Graf, AAM,
a.a. 2011-12
In che modo la ricerca ha influenzato la didattica dei suoi
corsi universitari o viceversa?
I temi della ricerca – storia materiale del costruito e
progetto di restauro – sono presenti da sempre nei
nostri corsi. Non si è mai concepito l’insegnamento
come una materia semplicemente tecnica, senza un
panorama culturale, storico e senza una relazione
con il progetto. Questa consapevolezza ha profondamente influenzato il nostro progetto di ricerca. Ovviamente i corsi teorici sono stati rinnovati e per certi
versi ristrutturati per quanto riguarda le fonti archivistiche e documentarie, ma anche l’articolazione di teorie e metodi di restauro in relazione alla materialità
del costruito.
La ricerca e la didattica devono o dovrebbero andare di pari
passo nell’ambito di un insegnamento accademico, per completarsi ed arricchirsi vicendevolmente. Quali sono stati gli
insegnamenti, quali i risultati piu’ significativi del vostro
progetto di ricerca?
I tre temi principali – in cui si articola la ricerca che si
presenta sotto certi aspetti veramente innovativa, ma
sempre intimamente legata alle problematiche della
tutela e restauro – sono estremamente significativi
per comprendere le specificità dell’architettura del
XX secolo e definiscono una conoscenza articolata e
complessa sul tema, la maggior parte della quale inedita. L’obiettivo non è quello di compilare una documentazione tecnica – sicuramente interessante, ma
probabilmente riduttiva – ma l’intenzione è di porre
le premesse per «un’altra» storia dell’architettura che
si basa sulla materialità del costruito, oltre che proporre un nuovo modo di concepire il progetto di architettura capace di relazionarsi in modo complesso
e rispettoso verso i valori di cui essa si fa portatrice.
Gli insegnamenti che possono essere dedotti da questa esperienza sono fin da adesso molteplici e a diversi
livelli. Vanno dall’offerta dell’industria vetraria che
riproduce i vetri mattoni Nevada, tanto amati da Pierre Chareau e da Le Corbusier, alle proposte di progetti sostenibili rispettosi dei valori architettonici che il
patrimonio diffuso veicola che rischiano di scomparire sotto i «cappotti» esterni isolanti proposti come
un’unica risposta alle norme vigenti. Importante inoltre è sottolineare che una serie di pubblicazioni, relative alle giornate studio organizzate all’interno della
ricerca,1 sono già uscite e rappresentano quello che
è stato definito come «la primera piedra de esa disciplina, aún por construir, que un día nos permitirá repensar nuestras ciudades desde la – tan necesaria ya –
perspectiva de la reutilización».2
* architetto, professore ordinario di Costruzione e Tecnologia all’aam dal 2005 e professore associato di Teoria
e Progetto all’epfl dal 2007. È co-responsabile della
ricerca cus «Enciclopedia critica per il riuso e il
restauro dell’architettura del XX secolo»
Note
1. Franz Graf, Francesca Albani (a cura di),
Il vetro nell’architettura del XX secolo: conservazione e restauro,
Mendrisio Academy Press, 2011
Franz Graf, Yvan Delemontey (a cura di), Architecture industrialisée et préfabriquée: connaissance et sauvegarde, ppur, 2012
2. ArquitecturaViva 147 2012, p. 85.
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C OMUNICATI
Immaginare la Svizzera come una città
Il Consigliere nazionale Beat Flach* si esprime a favore
della revisione della legge sulla pianificazione del territorio
Il 3 marzo 2013 la popolazione svizzera voterà in merito alla
revisione della legge sulla pianificazione del territorio. Nella
presente intervista, il giurista e Consigliere nazionale Beat
Flach spiega in che modo la revisione possa concorrere a superare il «campanilismo cantonale».
Sonja Lüthi: «La pianificazione del territorio si contrappone
al federalismo, all’autonomia cantonale, alla proprietà privata
– la pianificazione del territorio è un concetto profondamente
non elvetico», così Thomas Held in occasione dell’inaugurazione della mostra itinerante «Idea spazio territorio» tenutasi a
Berna. Signor Flach, lei come la pensa al proposito?
Beat Flach: Da un lato il signor Held ha certamente
ragione. La pianificazione del territorio aderisce a un
approccio molto poco svizzero, poiché va contro la libertà di pensiero tipicamente elvetica. D’altro canto
però, il desiderio di ordine e l’anelito di giustizia, contemplati dalla pianificazione del territorio, sono decisamente propri del nostro Paese. Direi piuttosto che la
pianificazione del territorio contrasta gli interessi individuali, ponendo l’interesse comune in primo piano,
il che non è nulla di sconosciuto alla nostra realtà, la
grande sfida è piuttosto insita nel modo in cui realizzare tutto questo.
Come valuta la pianificazione attuata finora sul nostro
territorio?
Dipende dai punti di vista. A mio modo di vedere,
negli ultimi anni la pianificazione urbanistica ha raggiunto livelli notevoli. La maggior parte dei problemi
tuttavia non insorge nelle città, dove è possibile pianificare spazi pubblici, trasporti, aree abitative e lavorative con un’unica soluzione calzante, bensì nelle zone
periferiche, negli agglomerati e in campagna, dove
lo sviluppo territoriale dipende per lo più dal sistema stradale. Ed è proprio in tale contesto che si sono
commessi tanti errori. A cominciare dall’idea del
centralismo decentralizzato, dove, a prescindere dal
fatto che sia sensato o no, quasi ogni capoluogo cantonale è stato provvisto di un raccordo autostradale.
Le ripercussioni di tale approccio non sono mai state
prese seriamente e affrontate.
Oltre alla pianificazione dei trasporti, spesso si menziona il
moltiplicatore d’imposta come il vero e proprio strumento di
gestione dello sviluppo territoriale oppure, tra i tanti mali,
l’autonomia dei Comuni. Quale strumento di gestione contrappone la revisione della legge sulla pianificazione del
territorio (LPT)?
Beat Flach (foto: Michael Mathis, SIA )
In riferimento all’autonomia comunale, la nuova lpt
non segna alcuna cesura, e probabilmente una combinazione di questo tipo si presenta necessaria.
Con la revisione della lpt si promuove e consolida
soprattutto il modo di pensare e di agire al di là dei
confini politici. Per riuscire in tale intento occorre
rafforzare il piano direttore cantonale che, sul piano
internazionale, rappresenta uno dei migliori strumenti di pianificazione territoriale. I Cantoni sono
chiamati a esprimere con chiarezza, in riferimento al
piano direttore, quale sia lo sviluppo territoriale auspicato, in particolare in riferimento a uno sviluppo
insediativo centripeto, il che rappresenta il pilastro di
tale revisione. Vi è inoltre l’obbligo di verificare quante riserve di terreno edificabile siano necessarie per
coprire il fabbisogno dei prossimi quindici anni, e ciò
non ognuno per sé, bensì all’interno di una regione.
L’armonizzazione delle aree edificabili con il fabbisogno previsto per i prossimi quindici anni è già contemplata dall’attuale LPT. Tra i pianificatori del territorio circola spesso la
voce che la LPT sia di per sé una buona legge, ma che sia fallita
nell’applicazione. Perché allora la revisione della LPT non
fallirà?
Anche la revisione della lpt dovrà certamente misurarsi con la sua applicazione. Tuttavia, la nuova legge
comporta un maggiore inasprimento, poiché sancisce
71
SIA
C OMUNICATI
in modo più restrittivo e definisce per la prima volta
nero su bianco come sia possibile raggiungere uno
«sviluppo centripeto degli insediamenti». La revisione prevede vari strumenti: l’ancoramento, in termini
legali, di una tassa sul plusvalore pari ad almeno il 20
per cento, riscossa in caso di nuovi azzonamenti, in
modo da frenare un’urbanizzazione sproporzionata. E poi anche l’impegno a ridurre le aree edificate
sovradimensionate – con particolare riferimento alle
superfici al di fuori delle aree insediative, la cui costruzione nei prossimi quindici anni appare del tutto
insensata. Da ultimo, con la nuova lpt i Cantoni possono far valere l’obbligo di edificazione, naturalmente con lo scopo di utilizzare concretamente il terreno
edificabile disponibile.
Contrariamente a quanto sottolineato da alcuni scettici, la nuova lpt non mira a ridurre artificialmente
il terreno edificabile, bensì a incentivare negli insediamenti l’utilizzo del terreno edificabile disponibile. Il nostro obiettivo non è quello di impedire la costruzione, ma di impedire che il terreno edificabile
sia tesaurizzato o che si costruisca sugli «spazi verdi».
Oltre alla critica da lei citata in merito a una «riduzione artificiale del terreno edificabile», l’Unione svizzera delle arti e
mestieri e altre associazioni affini considera l’obbligo di edificazione un concetto «discutibile sul piano del diritto fondiario e contrario al diritto alla proprietà».
Innanzitutto va precisato che l’obbligo di edificazione
concerne esclusivamente i nuovi azzonamenti; secondo il legislatore occorre effettuare degli azzonamenti
laddove è sensato farlo, ma poi bisogna anche costruire. Questo approccio non ostacola per nulla la proprietà, al contrario, anche i proprietari ne risultano avvantaggiati. Infatti, se si costruisce laddove effettivamente
è sensato che si costruisca, si utilizza in modo ottimale
l’infrastruttura disponibile. Si tratta dunque di un’ottimizzazione del sistema, un’ottimizzazione dalla quale
anche i proprietari possono trarre beneficio.
Secondo lei che conseguenze ha la revisione della LPT sul
lavoro dei pianificatori?
Sono fermamente convinto che la nuova lpt porterà con
sé un periodo interessante e stimolante per i pianificatori. Con la revisione della legge si comincia infatti
finalmente a considerare la Svizzera come un tutt’uno,
in modo unitario, e a pensare al nostro Paese come
a una grande «città». Questo scostarsi dal «campanilismo cantonale» è fondamentale. Negli ultimi quindici
anni infatti abbiamo provveduto a dotare il nostro
Paese di un’infrastruttura globale e completa, che
in altri luoghi del pianeta è disponibile soltanto nelle
megalopoli. Dovremmo dunque cominciare a sentirci
parte, non tanto di un paese, ma di un quartiere di
una grande città chiamata Svizzera.
In questo contesto sono chiamati a intervenire non
soltanto i pianificatori e gli urbanisti, ma anche gli
architetti: come riuscire per esempio a riempire i numerosi spazi vuoti nei centri dei paesi che si sono progressivamente svuotati, senza snaturare i luoghi, al
contrario generando un plusvalore?
Che cosa auspica per il futuro della «città Svizzera»?
Mi auguro vivamente che riusciremo a strutturare i nostri fabbisogni in modo da poter lasciare libertà di decisione alle generazioni future. Mentre per la maggior
parte delle persone è chiaro che una centrale nucleare
non sia facile da smantellare, forse pochi sono consapevoli del fatto che anche una strada, una volta costruita,
con molta probabilità non verrà più demolita.
* Consigliere nazionale, giurista presso la sia, M Law,
cas eth in Pianificazione del territorio.
Intervista a cura di Sonja Lüthi
SÌ ALLA REVISIONE DELLA LEGGE SULLA PIANIFICAZIONE
DEL TERRITORIO ALLE URNE IL 3 MARZO 2013!
Il 3 marzo 2013 la popolazione svizzera voterà in merito alla revi-
Da un punto di vista giuridico quali sono state le sfide maggiori che si sono dovute affrontare nell’elaborazione della
revisione della LPT?
In generale, una grande sfida della pianificazione del
territorio è il lungo termine. Prendiamo per esempio,
a titolo di paragone, la legge sulla circolazione stradale. Posso decidere di posizionare un cartello con indicato il limite di velocità 30 km/h ed è chiaro che a
partire da quel momento preciso varrà tale limite, un
limite subito misurabile.
Nella legge sulla pianificazione del territorio invece
fisso un piano direttore con un orizzonte temporale
di dieci-quindici anni. Se l’obiettivo prefissato viene
poi raggiunto posso solo dirlo con il senno di poi.
Ecco perché è così difficile legiferare in materia di
pianificazione del territorio.
sione della legge sulla pianificazione del territorio (lpt). La sia
appoggia la revisione. La revisione della lpt gode dell’ampio
sostegno delle associazioni dei pianificatori e altri ancora (tra
questi i promotori dell’iniziativa per il paesaggio). Con la revisione
della lpt i piani direttori sono precisati e rafforzati, promuovendo
la pianificazione in spazi funzionali. Tra le novità più importanti vi
sono l’introduzione di una tassa sul plusvalore di almeno il 20 per
cento, l’obbligo di edificazione in caso di nuovi azzonamenti come
pure l’impegno teso a ridurre le aree edificate sovradimensionate.
In questo modo la nuova lpt crea misure in grado di contrastare lo
sviluppo incontrollato degli insediamenti e la tesaurizzazione di
terreno edificabile e garantisce così spazio per la natura e il paesaggio, creando il necessario margine di manovra atto a garantire
la possibilità di futuri sviluppi (edilizi ed economici).
Altre informazioni al sito: www.ja-zum-raumplanungsgesetz.ch
(in tedesco e francese) e www.sia.ch (alla voce temi/pianificazioneterritoriale).
72
SIA
C OMUNICATI
Fattore delle spese generali
in valori percentuali
David Fässler*
Rilevamento
statistico 2012
Tutte le specializzazioni
Architetti
Ingegneri civili
Ingegneri rurali e geometri
Ingegneri impiantistici
2012
55.1
53.0
52.9
61.1
54.2
2005
60.1
62.0
56.5
63.5
-
Differenza
-5.0
-9.0
-3.6
-2.4
-
1. Il fattore delle spese generali indica il rappor to tra spese generali in percentuale rispetto al salario lordo in percentuale. Il salario lordo equivale sempre al 100%.
Produttività
in valori percentuali
È noto il risultato dell’attuale rilevamento statistico effettuato
presso gli studi di architettura e di ingegneria. L’obiettivo del
rilevamento è di aumentare la trasparenza negli studi di progettazione e contribuire a una sensibilizzazione per quanto concerne
la pianificazione finanziaria e la definizione degli onorari.
Il rilevamento statistico del 2012 è stato il primo dopo
i dati registrati nel 2006 (con l’allora determinazione
delle spese generali e delle ore di lavoro) e in futuro
sarà effettuato ogni due anni. Con tale strumento la
sia e le associazioni partner (usic, igs, fsai, fas) vogliono richiamare l’attenzione dei membri sull’importanza degli indici aziendali quale strumento per
la pianificazione finanziaria e la definizione degli
onorari. Inoltre, occorre aumentare la trasparenza
nel settore della pianificazione. D’ora in poi i rilevamenti saranno effettuati mediante un’apposita piattaforma online. I risultati attuali sono pubblicati in forma anonima al link https://benchmarking.sia.ch in
un’area protetta da password. Gli studi che non hanno partecipato al rilevamento hanno la possibilità di
sottoscrivere un abbonamento (cfr. fine articolo). Gli
studi partecipanti possono accedere gratuitamente ai
dati raccolti e mettere a confronto, con un semplice
clic, i propri indici aziendali con i corrispettivi parametri settoriali ed eseguire un benchmarking.
Sono in tutto 192 le aziende che hanno concluso il rilevamento. Per evitare anomalie statistiche, la valutazione
è stata eseguita sulla base di 174 aziende (77 architetti; 45 ingegneri civili; 43 ingegneri rurali e geometri; 9
ingegneri impiantisti). Come in passato, i dati raccolti
sono stati verificati e sottoposti a plausibilizzazione
dall’azienda bdo ag, partner di lunga data della sia. Le
eventuali divergenze riscontrate hanno potuto essere
chiarite telefonicamente con i partecipanti e le informazioni mancanti sono state completate.
I risultati sono stati rilevati in base a principi statistici e
conferiscono dati affidabili e confrontabili. Per ottenere la trasparenza desiderata, in futuro si auspica un’ancora più numerosa partecipazione. La bdo garantisce
la confidenzialità e l’anonimato assoluti per quanto
concerne i dati pubblicati sulla piattaforma.
Tutte le specializzazioni
Architetti
Ingegneri civili
Ingegneri rurali e geometri
Ingegneri impiantistici
Come per l’ultimo rilevamento effettuato, la determinazione delle spese generali si basa sui salari lordi
(cfr. tabella 1). Gli indici di supplemento delle spese generali risultano in parte nettamente inferiori,
2005
76.7
77.6
77.0
76.7
-
Differenza
+0.9
+2.1
+0.1
-1.7
-
2. L a produt tività è calcolata dividendo le ore at tribuibili a un mandato e le ore
di presenza ef fet tive.
il che lascia spazio a due possibili interpretazioni.
Da un lato si denota, in proporzione, un aumento
maggiore dei salari lordi rispetto alle spese generali.
D’altro canto le spese generali hanno potuto effettivamente essere ridotte. Il rilevamento salariale che
avrà luogo nel 2013 permetterà presumibilmente di
disporre di una valutazione complementare al riguardo. I fattori delle spese generali in cui si riscontra una
forte diminuzione sono soprattutto le spese per i locali,
le spese d’ufficio e le spese amministrative, gli interessi
e gli ammortamenti.
Aumentata la produttività
Uno dei principali risultati scaturiti dalla statistica sulle
ore di lavoro è lo sviluppo della produttività aziendale
(cfr. tabella 2). Le ore di lavoro non attribuibili a un
mandato sono leggermente diminuite rispetto all’ultimo rilevamento effettuato, è stato dunque possibile aumentare la produttività in tutte le specializzazioni.
La cifra d’affari per onorari di tutte le specializzazioni
corrisponde a circa 174 000 chf per ogni impiego a
tempo pieno. Al proposito si denotano tuttavia differenze considerevoli: gli ingegneri civili capeggiano
con un onorario di circa 183 000 chf, gli architetti attestano cifre attorno ai 162 000 chf.
* avvocato, mba, direzione del progetto sia-Service
Abbonamento e factsheet
Per disporre dell’analisi det tagliata dei risultati, al link ht tps://
benchmarking.sia.ch è possibile sot toscrivere un abbonamento.
L’abbonamento è valido un anno e conferisce l’accesso al rilevamento statistico 2012 e al rilevamento salariale che avrà luogo
nel 2013. Per i membri SIA e le associazioni partner il costo dell’abbonamento è di 240
CHF,
per i non membri 360
CHF.
Inoltre il numero di
gennaio di «Blickwinkel /Aspects» (tedesco/francese), la rivista
aziendale pensata dalla
Diminuito il fattore delle spese generali
2012
77.6
79.7
77.1
75.0
76.7
SIA ,
contiene esaustivi commenti e infor-
mazioni dettagliate sul rilevamento e le funzioni della piattaforma
online. La rivista (18
CHF
per ogni numero) può essere ordinata per
e-mail a [email protected]. Il factsheet sul rilevamento 2012 è
disponibile gratuitamente e può essere scaricato collegandosi
al sito ht tps://benchmarking.sia.ch
73
SIA
C OMUNICATI
Umsicht-RegardsSguardi 2013
Il riconoscimento per l’organizzazione
lungimirante dello spazio di vita
Come dovrebbe essere organizzato lo spazio di vita in
modo da soddisfare le esigenze delle generazioni future e mantenere nel contempo un elevato valore
qualitativo? Quest’anno si terrà la 3 a edizione di
Umsicht – Regards – Sguardi, il più importante riconoscimento nazionale per lo sviluppo sostenibile, con
cui la sia rende onore ai lavori che contribuiscono in
modo eccellente all’organizzazione lungimirante dello
spazio di vita.
Il concorso inizia il 15 febbraio e termina il 30 aprile
2013 e si rivolge a tutti gli esponenti attivi in quei settori che svolgono un ruolo di primo piano nell’organizzazione lungimirante dello spazio di vita. Tra questi
citiamo, a titolo d’esempio, la pianificazione territoriale, l’edilizia, i trasporti, il settore dello sviluppo,
l’ingegneria sismica, il settore agrario, l’ingegneria
forestale e ambientale, l’architettura e l’architettura
del paesaggio, la dinamica strutturale, la fisica edilizia e la geofisica, l’urbanistica, la costruzione di strade,
ponti e gallerie, l’idrologia e l’ingegneria meccanica,
la tecnica edilizia, la tecnologia dei materiali, la biotecnica, la geotecnica, la microtecnica, la tecnica dei
processi, la tecnica energetica e l’impiantistica, l’illuminazione, la geologia, la geografia e la mobilità.
Si ricercano, anche quest’anno, soluzioni complete e
avveniristiche, in linea con le esigenze del futuro.
I partecipanti sono invitati a inoltrare lavori di varie
dimensioni; importante è che impieghino in modo
interdisciplinare le competenze disponibili, ma anche
che si confrontino sapientemente con lo spazio di
vita e con approcci sorprendenti e creativi basati sulla
volontà di creare con spirito innovativo. Inoltre, si
auspica che le opere presentate attestino un valore
durevole ed economicamente performante, contribuiscano al bene comune e cristallizzino in sé un
plusvalore culturale.
Una giuria altamente professionale assegnerà il riconoscimento a un numero massimo di otto lavori. I riconoscimenti saranno assegnati il 5 dicembre 2013,
in un contesto festoso, segnato dalla consegna di un
simbolico «apriti sesamo» di Sguardi.
La sia accompagna l’intero iter per il conferimento
dei riconoscimenti con molteplici misure di comunicazione e garantisce così ai lavori presentati l’attenzione pubblica che meritano. I lavori sono documentati e illustrati nelle prospettive più diverse e resi
pubblici attraverso un’esposizione itinerante, in uno
speciale dossier di tec21/Tracés/Archi, nonché
attraverso i supporti elettronici della sia.
Concorso e termine di inoltro
Per par tecipare a «Umsicht – Regards – Sguardi 2013» l’inoltro
dei lavori deve av venire dal 15 febbraio al 30 aprile 2013.
Le opere possono essere spedite per posta (timbro postale prima
del 30 aprile) oppure consegnate di persona.
Per posta: Umsicht – Regards – Sguardi 2013, c/o SIA Geschäf tsstelle, Postfach, 8027 Zürich
Consegna di persona: dal 29 al 30 aprile 2013, dalle 10.00 alle
18.00, c/o trot toir SIA, Selnaustrasse 6, 8001 Zurigo
Riunione della giuria: 6/7 e 28 giugno 2013
Cerimonia di assegnazione: 5 dicembre 2013, Auditorium Ma ximum, Politecnico federale, Zurigo
Troverete un elenco di informazioni costantemente aggiornate e
il testo integrale del concorso (incl. composizione della giuria,
requisiti di partecipazione e inoltro, nonché criteri di valutazione)
a par tire dal 15 febbraio 2013 sul sito: www.sia.ch/sguardi
Benvenuti ai nuovi membri SIA Ticino 2012!
Membri Filiali
It ten+Brechbühl
AG ,
Lugano-Paradiso
Membri individuali
Aguiar Cristiano, Dipl. Arch.
REG A ,
Benzoni Patrizia, Dipl. Arch.
E TH ,
E TH REG A ,
Borra Antonio, Dipl. Kultur-Ing.
Bot ta Giudit ta, Dipl. Arch.
EPF,
Carboncini Jacopo, MSc Arch.
Del Fedele Marco, Arch.
Sorengo
Lugano
USI ,
USI ,
Conti Alessandro, MSc Arch.
Mendrisio
Montagnola
Origlio
Serra de’ Conti
SUP SI REG A ,
Sala Capriasca
De Prà David, MSc Arch., Mendrisio
Dellea Loris, Dipl. Arch.
E TH ,
Hochuli Stefano, Dipl. Arch.
Bellinzona
EPF,
Gudo
Inches Mat teo, MSc in Architecture, Vacallo
Magnani Marco, Dipl. Arch.
Mauch Mischa, Dipl. Arch.
Parola Fabia, MSc
E TH ,
USI ,
USI ,
Breganzona
S. Nazzaro
Morcote
Membri associati
Benetollo Marco, BSc Arch.
SUP SI ,
Gnosca
Membri associati studenti
Roncelli Michele, Bellinzona
Informazioni sull’adesione alla
SIA
Tel. 04 4 283 15 01, [email protected]
Informazioni e of fer te per dit te
SI A :
74
www.sia.ch/siaser vice
SIA
FONDAZIONE LOMBARDI INGEGNERIA
Avviso di concorso
La Fondazione Lombardi Ingegneria ha lo scopo di
promuovere la ricerca nel settore del genio civile, in
particolare nei campi delle opere sotterranee e
idrauliche.
Informazioni
sui concorsi?
Per l'anno 2013 il Consiglio di Fondazione ha scelto di
sostenere con priorità i progetti che interessano le
tematiche seguenti:
- Comportamento a lungo termine delle costruzioni in
calcestruzzo armato e delle opere idrauliche,
- Impiego di calcestruzzi ad alta resistenza in galleria,
- Nuovi sviluppi per l’utilizzo del potenziale idroelettrico,
- Manutenzione di ponti e dighe.
L'importo messo a disposizione dalla Fondazione per il
2013 ammonta a circa CHF 15'000 - 20'000 per
progetto.
Le richieste di sostegno dovranno essere inoltrate alla
Fondazione entro martedì 30 aprile 2013 e corredate
dalla documentazione seguente:
- generalità del richiedente
- scopo e programma della ricerca
- enti o istituti coinvolti
- sostegno finanziario desiderato.
www.espazium.ch/archi/concorsi
Informazioni aggiuntive in merito al presente concorso
possono essere ottenute sul sito www.lombardi.ch
www.fkpidentity.ch
FONDAZIONE LOMBARDI INGEGNERIA
c/o Lombardi SA - Via R. Simen 19 - 6648 Minusio
La collaborazione è d’argento,
il partenariato è d’oro.
Christian Pagnamenta, Aurelio Pagnamenta SA, 6917 Lugano
Impresa insignita 2012– 2014
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Il marchio di qualità nel settore della costruzione in legno.
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C OMUNICATI
a cura di
Daniele Graber
consulente giuridico OTIA
La LEPIA : un esempio valido
per tutta la Svizzera
La Legge cantonale sull’esercizio delle professioni di ingegnere e di architetto (LEPIA) definisce le condizioni d’esercizio delle professioni di architetto e di ingegnere in Ticino,
caso unico in Svizzera. L’evoluzione tecnologica, le aspettative crescenti dei committenti pubblici e privati e la presa
di coscienza dei politici dell’importanza delle professioni in
esame sono fattori che permettono di essere ottimisti e ipotizzare a medio termine l’adozione della regola ticinese a livello della Confederazione.
Le condizioni di esercizio della professione in Ticino
In merito alle condizioni di esercizio della professione di architetto e di ingegnere, la lepia è chiara: sono
abilitate ad esercitare le professioni di ingegnere e di
architetto nel Cantone, nei campi di attività dei gruppi
professionali e nei limiti delle disposizioni delle leggi
speciali, le persone che adempiono i requisiti stabiliti
dalla presente legge e sono in possesso della relativa
autorizzazione rilasciata dall’otia (art. 3 cpv. 1 lepia).
In altre parole, senza autorizzazione rilasciata da otia
non è possibile esercitare le professioni di ingegnere e
di architetto su suolo ticinese. L’autorizzazione è rilasciata ai richiedenti in possesso dei requisiti professionali e personali stabiliti agli art. 5 e 6 lepia. I requisiti
professionali si riferiscono al diploma conseguito e/o
all’esperienza pratica acquisita dal richiedente. I requisiti personali concernono lo stato della persona del
professionista dal punto di vista giudiziario e finanziario (carenza beni e fallimento).
Le condizioni d’esercizio della professione di architetto e di ingegnere comprendono pure il rispetto di una
serie di obblighi da parte dei professionisti iscritti all’albo, in particolare svolgere l’attività professionale nel rispetto del diritto e del Codice deontologico otia, non
prestarsi a fare da prestanome e rispettare le regole
professionali per la fatturazione delle prestazioni (art.
17 lepia). Le violazioni sono sanzionate dalla Commissione di Vigilanza (18 lepia).
La validità della LEPIA
La normativa ticinese potrebbe fungere da esempio
per una futura legge federale sull’esercizio delle professioni di architetto e di ingegnere. La validità della lepia
è stata ribadita dal tram e dal Tribunale federale.
Rispondendo agli argomenti sollevati dal ricorrente/
ingegnere che aveva firmato una domanda di costruzione per la realizzazione di un’opera architettonica,
il tram ha constatato che il contenuto della lepia è
compatibile con il diritto costituzionale dalla libertà di
commercio. In effetti, la leggera limitazione d’esercizio posta dalla lepia non pone ai singoli professionisti
alcuna significativa restrizione dello svolgimento della
professione per la quale sono stati formati. Il tram precisa inoltre che i Cantoni hanno la facoltà di sottoporre
l’esercizio delle professioni di architetto e di ingegnere
ad un regime autorizzativo che permetta di verificarne
le capacità. La Confederazione ha comunque la competenza di legiferare a livello svizzero, adottando una
legge federale di rango superiore. Con tutta evidenza,
sarebbe auspicabile una normativa unificata a livello federale e non pratiche diverse nei vari Cantoni svizzeri.
La necessità e l’utilità di regole sull’esercizio della professione è confermata dal tram, secondo il quale l’esercizio delle professioni di ingegnere e di architetto
«presuppone conoscenze scientifiche che gran parte
degli architetti ed ingegneri acquisiscono in una scuola d’ordine universitario o in un’altra scuola di rango
equivalente e la cui assenza rischierebbe di essere di
nocumento alla collettività». Il tram ha precisato che il
regime autorizzativo instaurato dalla lepia è dettato da
importanti, nonché evidenti interessi pubblici. Evidentemente però, affinché questi obiettivi possano essere
raggiunti, è necessario, secondo il tram, che «il campo
d’attività delle persone autorizzate a svolgere la professione di architetto o di ingegnere sia circoscritto a quegli ambiti per i quali esse dispongono di una effettiva e
sufficiente formazione teorica e pratica».
Il sistema istaurato dalla lepia è molto liberale e permette ai professionisti con la necessaria esperienza pratica, ma non in possesso di un diploma accademico, di
poter richiedere l’autorizzazione tramite l’ottenimento
del titolo reg B o reg A (www.reg.ch).
La necessità di una legge federale
La scelta del legislatore ticinese non si giustifica solo
per la costante evoluzione tecnologica nei settori dell’edilizia e del genio civile e per le aspettative crescenti
dei committenti pubblici e privati. Permettere l’esercizio delle professioni di architetto e di ingegnere unicamente ai professionisti che hanno dimostrato di possedere determinati requisiti professionali e personali
è un’esigenza riconosciuta pure da molti politici eletti
a Berna, non solo per tutelare gli interessi del «consumatore», ossia dei singoli committenti pubblici e privati, ma pure a tutela dell’interesse generale, dell’intera
popolazione Svizzera.
Per maggiori informazioni: [email protected].
77
OTIA
ISTITUTO CONSULENZA GEOTECNICA SA
Consigli
Consulenze
Indagini
Progettazione
Direzione lavori
Misurazioni
Perizie
negli ambiti
della geotecnica,
della meccanica delle terre e delle rocce,
dei flussi sotterranei,
dell'idrologia e
dei pericoli naturali e ambientali
Via Besso 7
6903 Lugano
Tel. 091 966 07 77
Fax 091 967 22 24
[email protected]
Direttore:
Martinenghi Tullio
ing. civ. PF Losanna
docente SUPSI/SSSTE
Tel. diretto 091 961 24 52
Cellulare 079 230 05 32
[email protected]
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LIBRI
A cura di
Enrico Sassi
Ser vizio ai lettori
Avete la possibilità di ordinare i libri recensiti all’indirizzo [email protected]
(Buchstämpfli, Berna), indicando il titolo
dell’opera, il vostro nome e cognome, l’indirizzo di fatturazione e quello di consegna.
Riceverete quanto richiesto entro 3/5
giorni lavorativi con la fattura e la cedola
di versamento.
Buchstämpfli fattura un importo forfettario di CHF 7.– per invio + imballaggio.
Roberta Grignolo,
Bruno Reichlin (a cura di)
Lo spazio interno moderno
come oggetto di salvaguardia –
Modern Interior Space as an
Object of Preservation
Mendrisio Academy Press,
SilvanaEditoriale, Mendrisio 2012
(CHF 49.90, ISBN 978-83-6624-171,
bross., 21 x 25 cm, ill. foto e dis. b/n
e col., pp. 293, italiano e inglese)
Il libro edito dalla Mendrisio Academy
Press raccoglie i contributi presentati
nel corso delle giornate di studio internazionali tenutesi presso l’Accademia
di architettura di Mendrisio il 6-7 ottobre 2011 sul tema Lo spazio interno moderno come oggetto di salvaguardia.
L’evento è stato organizzato nel quadro
della ricerca interfacoltà svizzera intitolata Enciclopedia critica per il restauro e riuso dell’architettura del XX secolo,
finanziata nel 2008 dalla Conferenza
Universitaria Svizzera con l’obiettivo di
promuovere la collaborazione tra le principali scuole di architettura svizzere
(Swiss Cooperation Project in Architecture). La ricerca si articola in quattro sezioni: Strumenti storico-critici
e salvaguardia (coordinata da R. Grignolo e B. Reichlin), Storia materiale
del costruito (diretta da F. Graf EPFL,
USI), Salvaguardia della città nel XX
secolo (coordinata da V.M. Lampugnani ETHZ), Strumenti metodologici
(diretta da J. Jean, SUPSI). Il volume è
composto da 4 sezioni che raccolgono
complessivamente 24 contributi:
1) Lo spazio interno moderno. Storia
e prospettive di salvaguardia (B. Reichlin, A. Rüegg, E. Garda, R. Grignolo);
2) Musealizzazione di spazi interni
moderni (J. Molenaar, L.S. Waggoner
& J. Gunther, G. Rigone, M. Goutal);
3) Difficile adeguamento di monumenti
fragili (M. Pogacnik, H. Frank, D. Deschermeier, F. Fiorino & P. Scaramuzza,
A. Canziani); 4) Salvaguardia di interni
a rapida obsolescenza (C. Briolle & J.
Repiquet, R. Grignolo, J-B. Minnaert).
Workshop guide atelier Oï
Avedition, Ludswigsburg (D) 2012
(CHF 53.90, ISBN 978-3-89986-1648, ril., 17.7 x 24.5 cm, ill. foto e dis. b/n
e col., pp. 224, francese, tedesco,
inglese)
Sergison Bates architects
Buildings
coll. Monografie, Quart Verlag,
Luzern 2012 (CHF 105.– ,
ISBN 978-3-03761-060-2 D,
978-3-03761-061-9 E, ril., 21.6 x 27
cm, 506 ill. foto b/n e col., 113 dis.,
pp. 300, tedesco o inglese)
Il libro – edito dalla casa editrice tedesca avedition – è una sorta di manuale
di istruzioni dell’atelier di design svizzero «oï», fondato nel 1991 a La Neuveville nei pressi del lago di Bienne da tre
soci: Aurel Aebi, Patrick Reymond, Armand Louis. I primi due si sono formati all’«École d’architecture Athenaeum»
di Losanna, il terzo era un costruttore
di imbarcazioni. Il nome dello studio è
formato dalle vocali centrali della parola russa «Troïka» che indica il trio di
cavalli che trainano una slitta, a metafora del modo di lavorare dei tre soci.
Nell’atelier il design è considerato come
processo nella genealogia delle cose
passate e presenti. Il designer è parte
della storia degli oggetti come successore e predecessore, in contrasto con
la tendenza contemporanea del culto
della personalità che domina nell’industria del design. La sede dell’atelier si
chiama Moïtel, neologismo che combina «oï» con «Motel», a indicare un
vecchio motel degli anni ’60, completamente ristrutturato e trasformato,
che accoglie l’atelier. L’ormai ventennale produzione dello studio si basa su un
approfondito studio dei processi di
produzione, sulla concretezza, la conoscenza della materia e dei materiali; è molto vasta e differenziata, tra le
altre realizzazioni ricordiamo: progetto
dell’infocentro Alptransit a Pollegio;
coperture a forma di gocce d’acqua per
l’Arteplage di Neuchâtel dell’Expo 02;
Lunix, sistema di pavimentazione in
cemento per la Creabeton; lampade
(Allegro e Allegretto, Foscarini 20072009, Tome lamp in carta, Danseuses,
lampade sospese in tessuto la silhouette delle quali si modifica con la frequenza delle rotazioni); tessuti, mobili,
sistemi espositivi, allestimenti.
Il libro è pubblicato nella collana Monografie dalla casa editrice svizzera
Quart Verlag e documenta l’opera dello studio di architettura londinese
Sergison-Bates (Jonathan Sergison e
Steven Bates), caratterizzata dall’attenzione all’«atmosfericità» e al rigore
formale. L’indice è suddiviso in quattro
sezioni: Texts, Intentions, Impressions,
Catalogue (regesto). Il libro è molto
raffinato, sia per grafica che per confezione; è stampato su tre tipi di carta:
bianca opaca 100 g per la sezione Texts;
opaca color avorio 150 g per la sezione
Intentions; bianca semilucida 150 g per
la sezione Impressions. La prima parte
pubblica tre saggi (testo in tono di grigio): 1) Tectonic presence di Irina Davidovici, London; 2) A raison dêtre of its
own di Martin Steinmann, Aarau; 3)
A kind of picturesque di Dirk Somers,
Antwerpen. La scelta degli autori riflette l’internazionalità della produzione
dello studio del quale sono pubblicate
8 opere realizzate (City Library, Blankenberge Belgio; Urban housing, Hackney
London UK; Care home, Huise-Zingem
Belgio; Applied arts centre, Ruthin Wales UK; Urban housing and crèche,
Genève CH; Urban bolock, Westminster
London UK; House, Cadaqés, Catalonia
E; Garden pavillion, Mereworth Kent UK).
Le opere sono pubblicate con la stessa
sequenza nelle due sezioni Intentions
e Impressions. Nella prima sono illustrate le fasi di elaborazione del progetto con schizzi, modelli di studio,
disegni e campioni di materiali; nella
seconda sono pubblicate immagini
fotografiche con alcune sequenze (fotografie piccole, grandi immagini a
colori, tutta pagina). Jonathan Sergison
è professore di progettazione presso
l’Accademia di architettura a Mendrisio.
80
TI
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