Medicina comportamentale in canile

L’intervento di Medicina Comportamentale in canile
Raimondo Colangeli, Franco Fassola
Cenni storici: la differenza tra comportamentismo e comportamentalismo
Nel mondo occidentale gli studi del comportamento si sono evoluti seguendo metodi differenti che
hanno dato vita a scuole di diversa impostazione. In particolar modo si ricordano:
a) la scuola behaviorista
b) la scuola degli etologi europei.
La scuola behaviorista è stata fondata da Watson nel 1913 ed annovera esponenti di spicco quali
Skinner, Tolman, ecc. In quest’ambito si è sviluppata la dottrina detta “comportamentismo” o
“behaviorismo” secondo la quale l’unico oggetto possibile di una psicologia scientifica è il
comportamento manifesto ed osservabile. Sul piano empirico gli studiosi behavioristi hanno
concentrato il loro interesse sull’apprendimento, focalizzandolo le loro indagini su pochi animali,
generalmente da laboratorio, studiati in condizioni sperimentali rigorose (labirinti, gabbie di
Skinner, ecc.).
L’etologia è lo studio del comportamento degli animali nel loro ambiente naturale, analizzato dal
punto di vista funzionale, causale, ontogenetico (individuale) e filogenetico (evolutivo).
Nel 1950 esplose la polemica che oppose i comportamentisti statunitensi alla scuola degli etologi.
I primi lamentavano la sottovalutazione da parte degli etologi dei fattori ambientali nello studio
dello sviluppo del comportamento e l’abuso del termine “istintivo” come spiegazione del
comportamento. I secondi sottolineavano l’inutilità degli studi di laboratorio in assenza di
conoscenze sul comportamento degli animali in ambiente naturale e la riluttanza degli psicologi
sperimentali a considerare degli animali diversi da quelli presenti in laboratorio.
La disputa si è rivelata fruttuosa per entrambi, spingendo a riflettere in modo critico sui propri
metodi e sulla teoria che ne è alla base. Si può infatti rilevare, oggi, che gli psicologi, da una parte,
sono più propensi ad eseguire i loro esperimenti su una vasta gamma di animali ed a considerare i
limiti posti dagli adattamenti biologici di ciascuna specie alle leggi generali dell’apprendimento. Gli
etologi, viceversa, hanno imparato ad apprezzare il valore di metodologie sperimentali rigorose.
Negli ultimi decenni la psicologia sperimentale si è evoluta mettendo in crisi il comportamentismo e
facendo cadere, in particolare, il divieto behaviorista di studiare il processo mentale, sia nell’uomo
che negli altri animali. Si ammette cioè che lo studio del comportamento consenta di rilevare i
meccanismi interni che sono responsabili della sua comparsa, cosicché oggi gli studiosi di
psicologia comparata concentrano la loro attenzione sui processi cognitivi, mutuando tecniche e
terminologia dalle altre scienze cognitive.
Dagli anni ’50 la terapia comportamentale negli animali da compagnia viene tentata prima in senso
psichiatrico dal medico veterinario austriaco F. Bunner e, nei primi anni ’60, discussa da un gruppo
di psichiatri e medici veterinari francesi (Brion, Ey, Bressons, ecc.). In questo periodo un medico
veterinario anglo-americano, M. V. Fox, presenta un enorme lavoro etologico, a cui segue, nei primi
anni ’70, la visione in senso psicoanalitico-moralistico dello psicologo americano Campbell. Nel
1974 la disciplina è stata classificata dal medico veterinario Victoria Voith in collaborazione con
due psicologi sperimentali, Tuber e Hothersall.
Attualmente la terapia comportamentale viene praticata seguendo tre modelli:
1. Il modello behaviorista americano, derivato da Victoria Voith, praticato quasi esclusivamente
da medici veterinari comportamentisti (Hart, Beaver, Overall, Dodman, Landsberger, Horwitz
ecc.), con una diramazione olandese (Knol), e segue una impostazione neurofarmacologica più
o meno accentuata con neurofisiologi, farmacologi e psichiatri umani, nonche’ zoologi e
psicologi sperimentali.
2. Il modello psicologico-comportamentale-etologico anglosassone, derivato sempre da Victoria
Voith (Borchelt, Askew, Polsky, ecc.), non contrapposto al precedente ma indirizzato
nettamente verso un approccio comportamentista ed etologico piuttosto che psichiatrico e
neurofarmacologico.
3. Il modello psicopatologico francese, creato dal medico veterinario comportamentalista Patrick
Pageat, che si contrappone alla scuola behaviorista in modo netto, privilegiando una visione
psichiatrica del disturbo comportamentale, e inserendo l’aspetto cognitivo ed emozionale
dell’animale nel dogma behaviorista, basato sul rapporto semplicistico Stimolo-RispostaConseguenza, nella spiegazione di una risposta comportamentale dell’animale alle variazioni
ambientali. Essendo la formazione del Pageat anche di entomologo sistemista, ciò gli ha
permesso di creare una nosografia delle patologie comportamentali risultante da una semiologia
e diagnostica rigorosa. L’aspetto neurofarmacologico è quindi molto evidenziato e la terapia
non farmacologica ricalca sia le teorie cognitive-comportamentali che le teorie sistemiche, che
sono approcci e metodi moderni condivisi da psichiatri umani, con cui il gruppo del Pageat
lavora a stretto contatto. Alla base del modello psicopatologico è lo studio delle modificazioni
all’interno della “scatola nera”, la psiche.
In ambito italiano si è sviluppato il modello zooantropologico di Roberto Marchesini, mirato ad
una esaltazione della relazione uomo-animale nel rispetto dell’alteralità animale. Questo
modello si integra perfettamente con la visione psicopatologica di Pageat, e ha dato vita ad una
scuola italiana del comportamentalismo, dove la terapia del disturbo psichiatrico si coniuga con
la modulazione zooantropologica della diade uoma-cane, ma non solo, in quanto si estende al
binomio famiglia-cane fino a giungere a quella interspecifica umani-cani in un ottica sistemica.
L’approccio cognitivo, spiega Marchesini, è il processo di apprendimento che si basa sui
concetti chiave di rappresentazione e di esperienza, al posto di quelli behavioristi di
associazione e di stimolazione.
Definizione e competenze del medico veterinario comportamentalista
La Medicina comportamentale degli animali da compagnia, quale Psichiatria animale o
Zoopsichiatria, è l’applicazione al comportamento animale di un modello clinico, centrato sulla
nozione di patologia intesa come affezione, malattia.
Partendo dalla nozione di plasticità comportamentale, il comportamento di un animale è visto come
capacità di adattarsi alle modificazioni di un ambiente circostante.
L’organismo, infatti, riceve delle informazioni dall’ambiente esterno e le analizza attraverso i suoi
sistemi emozionali e cognitivi, che possono variare al modificarsi dello stato neurofisiologico,
metabolico ed endocrino. Il risultato è la produzione di una risposta comportamentale adeguata a
quel contesto.
La patologia è quindi definita come una perdita della plasticità comportamentale, legata
all’installarsi di stati patologici mentali (fobia, ansia, depressioni, variazioni dell’umore,
destrutturazione delle sequenze comportamentali) conseguenti a processi patologici mentali
(sensibilizzazione, anticipazione emozionale, inibizione patologica, ecc.).
L’animale patologico è bloccato nelle sue capacità di adattamento e, di conseguenza, la
concentrazione, lo stoccaggio delle informazioni, cioè la memorizzazione e l’apprendimento, ne
risultano diminuiti . L’animale ha quindi una difficoltà ad interagire con l’ambiente circostante,
interferendo con le normali attività sociali e mettendo a repentaglio la conservazione propria e della
sua specie. La sua patologia è responsabile di un irrigidimento comportamentale con l’ambiente
circostante, una cristallizzazione delle risposte dove l’instabilità emozionale sovrasta le capacità
cognitive: è la perdita dell’omeostasi sensoriale.
La spiegazione neurofisiopatologica individua la stretta connessione fra la disfunzione dei
principale sistemi neurotrasmettitoriali (noradrenalina, dopamina, serotonina, ecc.) e il
comportamento patologico. Questo spiega l’utilizzo dello psicotropo, o psicofarmaco, nell’ambito
del ventaglio terapeutico.
Possiamo sottolineare tre aspetti nel motivare l’utilizzo della terapia farmacologica:
a) Filosofico: come scriveva lo psichiatra francese Henry Ey: “Se esiste una psicologia
animale, ciò implica la sua psicopatologia”. Quindi ad un animale appartiene uno psichismo,
che può essere soggetto a delle disfunzioni. Dunque la nozione di variazione, legata
all’adattamento e all’adattabilità, implica in questo processo quella di anomalia.
b) Etico: diventa eticamente inaccettabile per il medico veterinario comportamentalista il non
utilizzare tutte le armi a sua disposizione per alleviare le sofferenze di un animale.
Potremmo addirittura ipotizzare una malpractice del terapeuta nel non prendere in
considerazione l’aiuto farmacologico per curare una patologia comportamentale, in quanto
la prescrizione di uno psicotropo ha un effetto sinergico, accelerando il processo di
guarigione. Non dimentichiamoci che molti fallimenti negli interventi terapeutici sono legati
alla lunghezza dell’applicazione delle tecniche di modificazione cognitivocomportamentale, che si associa ad una graduale diminuzione della motivazione al
cambiamento dei proprietari: un esempio su tutti è il trattamento delle fobie o degli stati
ansiosi. È importante sottolineare che, nei casi in cui è presente un comportamento di
aggressione di un animale, l’utilizzo dello psicotropo diventa eticamente indispensabile, in
quanto coinvolge il benessere sia dell’animale, sia delle persone che interagiscono con esso.
L’aiuto farmacologico, associato all’intervento terapeutico, permette infatti da una parte di
evitare l’allontanamento, se non addirittura l’eutanasia dell’animale, e di salvaguardare
l’integrità fisica e psichica delle persone; dall’altra parte, la diminuzione dei comportamenti
di aggressione, che si ottiene attraverso l’assunzione di uno psicotropo, permette di
diminuire lo stato di paura dei proprietari nei confronti del loro animale con conflittualità
gerarchiche e facilita l’attuazione delle tecniche di modificazione cognitivocomportamentali tendenti a ristabilire un corretto status gerarchico nell’ambito familiare; nei
casi di cani fobici, lo psicotropo permette di diminuire il sovrastamento dello stato
emozionale a favore di una corretta capacità cognitiva a trovare soluzioni adattative
c) Tecnico: la prescrizione della terapia farmacologia e/o feromonale, come precedentemente
scritto, deve essere complementare alla terapia comportamentale. È importante sottolineare
questo aspetto ai proprietari, per convincerli che sarà il loro impegno, supportato dalla
presenza dell’educatore cinofilo, a permettere la guarigione della patologia
comportamentale. Lo psicotropo o il feromone, scelto in base alla diagnosi funzionale,
quindi rispetto alla disfunzione del sistema neurotrasmettitoriale interessato, darà invece un
indispensabile aiuto per ottenere un ritorno all’omeostasi sensoriale del soggetto, favorendo
la plasticità comportamentale e l’adattamento all’ambiente circostante. L’utilizzo della sola
arma farmacologica e feromonale è quindi riduttivo se non inutile, con perdita di tempo e di
sforzi da parte dei proprietari. È importante ribadire che la prescrizione farmacologia è un
atto medico veterinario, e ciò avvalora la tesi che inserisce i disturbi del comportamento nel
campo della medicina veterinaria.
Le definizioni appena accennate mettono in evidenza l’innovazione scientifica del pensiero di
Patrick Pageat nell’ambito della disciplina comportamentale: viene superato il concetto
behavioristico, che non contemplava lo studio della “scatola nera”, cioè il cervello, ritenuto non
indagabile in modo obiettivo; al contrario, in parallelo allo sviluppo delle neuroscienze, si incentra
l’attenzione sulla neuro e psicofisiologia e sui meccanismi patologici che possono colpirlo.
Nel cane particolarmente, in quanto elemento socio-referenziale per eccellenza, l’aspetto sistemico
è di grande importanza. Nell’ambito terapeutico la Medicina Comportamentale non può non tener
conto della triade terapeuta-proprietario-cane e dare ampio risalto all’approccio sistemico: la
famiglia viene in visita in quanto sofferente di uno stato di disagio, di preoccupazione, di paura, di
ineluttabilità legato ad un animale che manifesta dei comportamenti ritenuti indesiderati,
preoccupanti per il suo benessere o per quello del gruppo di appartenenza o della società. La
famiglia richiede l’aiuto per un cambiamento che non riesce ad ottenere con le sue forze, oppure
perché le soluzioni adottate non hanno risolto il problema, al contrario talvolta peggiorandolo.
La medicina comportamentale in sintesi si avvale di un approccio etologico-clinico-veterinario:
etologico: il comportamentalista non è un etologo ma utilizza l’etologia, quale scienza
descrittiva, come metodo per osservare il comportamento dell’animale in esame e degli altri
soggetti (persone, cospecifici e non) del sistema di appartenenza che si relazionano con esso.
clinico: l’osservazione clinica e l’indagine semiologica valuta le manifestazioni
neurovegetative che presenta l’animale, quali sintomi di disfunzioni dei diversi sistemi
neurotrasmettitoriali.
veterinario: il ruolo del comportamentalista è inserito nella medicina veterinaria per valutare
correttamente le affezioni organiche responsabili di patologie comportamentali (ad esempio
le malattia metaboliche, le neoplasie, le disfunzioni sensoriali, le malattie infiammatorie o
degenerative), come anche per discernere le patologie comportamentali responsabili di
affezioni organiche (ad esempio le malattie del sistema digestivo su base ansiosa, le
dermatiti da leccamento nel cane, l’alopecia estensiva felina, ecc.).
La visita del medico veterinario comportamentalista quindi ricalca la rigorosità scientifica delle
altre discipline medico-veterinarie: raccolta dei sintomi, bilancio dei sintomi, diagnosi differenziale,
diagnosi, prognosi e terapia, che abbiamo visto essere comportamentale, farmacologica e
feromonale.
Da un punto di vista legislativo non è privo di importanza accettare il termine di patologia
comportamentale. Se si associa, infatti, il termine patologico ad un disturbo comportamentale, ciò
inserisce la disciplina comportamentale nell’ambito della medicina veterinaria, soggiacendo alle sue
leggi. In molte nazioni, la diagnosi e la terapia, farmacologia e non, delle patologie
comportamentali da parte di figure professionali non veterinarie, è riconducibile ad un abuso di
professione e sanzionato legalmente. Il modello psico-patologico appoggia incondizionatamente
questo pensiero, non per spirito corporativistico, ma in quanto convinto della preminenza della
figura del “medico veterinario” e “comportamentalista”.
Al tempo stesso si riconosce l’importanza degli educatori cinofili quali figure complementari
nell’intervento terapeutico: dopo la valutazione iniziale di un animale da parte del medico
veterinario comportamentalista, che giunge quindi ad una prognosi suffragato dalla definizione
diagnostica, il percorso terapeutico trova la sua applicazione attraverso delle prescrizioni puntuali.
L’educatore è l’elemento professionale fondamentale e trascinante nell’aiutare il proprietario a
mettere in atto, a comprendere correttamente le tecniche cognitivo-comportamentali e l’approccio
comunicazionale richiesti per il cambiamento e la guarigione.
La figura dell’educatore deve quindi essere partecipe del cambiamento culturale del suo ruolo e
delle sue competenze: abbandonando la visione cartesiana che considera l’animale come macchina,
relegando le tecniche obsolete del behaviorismo che prevede addirittura uno sconfinamento oramai
inaccettabile di metodi basati sulla coercizione, questa rinnovata figura professionale deve acquisire
e far propri concetti moderni quale la pedagogia cinofila e l’apprendimento su base cognitiva.
In questo processo di cambiamento la pietra miliare è la concertazione fra il medico veterinario
comportamentalista, il terapeuta, e l’educatore cinofilo, il co-terapeuta.
La nascita di questa concertazione è la prossima sfida da vincere .
Come è collocata attualmente la figura del medico veterinario comportamentalista?
I disturbi del comportamento dei piccoli animali in Italia sono stati, nel passato, per lungo tempo,
appannaggio di altre figure professionali e con l’applicazione del modello behaviorista sono nati
esperti del comportamento tra addestratori, biologi, psicologi, ecc. Attualmente, si sta cercando di
riparare alla grave mancanza di un disciplina comportamentale nell’ambito del percorso didattico
universitario della medicina veterinaria e da qualche anno è presente un insegnamento di Etologia,
inserito al secondo anno, inquadrato nel dipartimento di Fisiologia, che offre, però, solamente delle
nozioni di base, senza entrare minimamente nella Medicina comportamentale.
La medicina comportamentale in Italia vede i suoi albori nel 1995 con la creazione della SISCA
(Società culturale delle scienze comportamentali applicate), società culturale affiliata alla SCIVAC
(Società culturale italiana dei veterinari che si occupano di animali da compagnia), attraverso i suoi
soci fondatori tra cui il Prof. Monti e la dott.ssa Osella della Facoltà di Medicina Veterinaria di
Torino, il Prof. Carenzi e sua moglie la Prof.ssa Verga dell'Istituto Zootecnico della Facoltà di
Medicina Veterinaria di Milano; una menzione particolare va al dott. Maurizio Pasinato, per
l’impegno profuso alla crescita della SISCA.
La finalità di questa società culturale era duplice: promuovere, tra i medici veterinari, da una parte
la divulgazione dell’allora denominata Terapia Comportamentale degli Animali (Animal
Behavioural Therapy) e dall’altra della Zooantropologia, con l’apporto innovativo di Roberto
Marchesini, studioso di scienze comportamentali.
Per raggiungere queste conoscenze, la SISCA decise di invitare degli specialisti internazionali, che
utilizzavano metodologie differenti, per avere un panorama il più ampio possibile sulla disciplina.
La volontà e l’apertura culturale dell’allora coordinatore del gruppo di Terapia Comportamentale,
dott. Pier Vittorio Molinario, nonostante la sua formazione di etologo associata ad una applicazione
pratica behavioristica, permise di conoscere le diverse scuole di pensiero europee e statunitensi.
Furono invitati ad esempio Knol, Askew, la Overall, Dehasse e naturalmente Patrick Pageat. Si
affacciava infatti sullo scenario internazionale il pensiero della scuola francese, con un modello
psicopatologico assolutamente innovativo e messo, in un primo momento, fortemente in
discussione dalle componenti delle altre scuole di pensiero.
L’intuizione di Molinario è fortemente condivisa, in quanto sottolinea la centralità del ruolo del
medico veterinario nelle tematiche comportamentali, grazie alle sue conoscenze cliniche e
farmacologiche, e di conseguenza l’adattabilità del modello psicopatologico ad un ragionamento
scientifico quale era stato insegnato ai medici veterinari nella formazione universitaria.
Per questo motivo negli anni seguenti la SISCA approfondì il modello psicopatologico adottandolo
come linea guida e presentandolo ai medici veterinari che sempre di più si avvicinavano alla
disciplina.
È all’inizio del 2000 che la denominazione di questa disciplina viene trasformata in modo più
pertinente in Medicina comportamentale.
In questo periodo le facoltà di Medicina Veterinaria italiane si rendono conto dell’esigenza di
ampliare le conoscenze della disciplina e danno vita, in ordine cronologico, a Milano alla
Specializzazione in “Etologia applicata e benessere degli animali di interesse zootecnico e degli
animali da affezione”, a Pisa al Master di 2° livello di "Medicina comportamentale degli animali
d'affezione", nonostante l’impropria apertura iniziale a medici non veterinari, e a Torino al Master
di 2° livello di “Clinica delle Malattie Comportamentali del Cane e del Gatto”.
Altre possibilità di formazione specialistica sono proposte in altri paesi europei (esempio le
università francesi e anglosassoni) e prossimamente dal College Europeo (Ecvbm).
Da un punto di vista legislativo, attualmente, la definizione e le competenze del medico veterinario
comportamentalista non hanno un riconoscimento ufficiale, in quanto è ancora assente una
normativa che definisca ruoli e competenze fra le varie figure professionali nell’ambito del
comportamento animale.
Ciò nonostante si è attuato l’inserimento nel tariffario nazionale delle seguenti prestazioni legate
alla medicina comportamentale:
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Valutazione zoopsichiatrica e attitudinale per la prevenzione di patologie comportamentali
del cucciolo e del gattino
Valutazione zoopsichiatrica del cane anziano
Valutazione zoopsichiatrica dell'indice di pericolosità
Profilo zoopsichiatrico
Zoopsicoterapia individuale
Seduta collettiva di educazione del cucciolo
Valutazione zooantropologica
Assistenza zoopsichiatrica nelle AAA (Attività Assistite con gli Animali) e TAA (Terapia
Assistite con gli Animali)
Progettazione di percorsi di recupero zoopsichiatrico
Il vuoto normativo è grave, nonostante vi siano richieste di modifiche legislative, soprattutto in
seguito ai tragici episodi di aggressioni di cani che recentemente hanno preoccupato l’opinione
pubblica. Sono comunque all’ordine del giorno, l’Ordinanza dell’attuale Ministro della Salute Livia
Turco in materia di cani pericolosi che è in itinere e sta per trasformarsi in un pdl; la legge regionale
Lazio 33 in materia degli animale da presa e molossoidi; la rivisitazione della legge regionale Lazio
34 sul randagismo; la legge in itinere sulla Pet-Therapy.
Tutti queste strumenti legislativi richiedono fortemente e formalmente la presenza di Medici
veterinari comportamentalisti sul territorio.
La visita comportamentale
Il medico veterinario comportamentalista visita dei pazienti (maggiormente cani e gatti, ma anche
cavalli, animali esotici, ecc.) portati dai loro proprietari per curare problemi di comportamento, che
possono essere classificati nel modo seguente:
Comportamenti normali per la propria specie ma indesiderati dai proprietari: marcature
urinarie, vocalizzi, scavare le buche nel giardino, ecc.
Problemi legati all’apprendimento: le eliminazioni inappropriate, la “disobbedienza”, ecc.
Problemi di comunicazione fra gli umani e l’animale
Problemi di integrazione sociale: i disturbi gerarchici
Problemi intrinseci dell’animale: i comportamenti anomali o patologici, che possono essere
secondari ad una patologia organica o legati ad uno stato patologico mentale.
Negli ultimi tempi è diminuita la richiesta di visita per risolvere un comportamento indesiderato,
mentre sono aumentate le richieste di interventi volti ad eliminare la sofferenza dell’animale, che
rivelano il rispetto del benessere animale da parte dei proprietari.
Durante la visita comportamentale si segue un approccio sistemico: il disturbo comportamentale
dell’animale va contestualizzato con il sistema familiare: l’analisi riveste anche dell’aspetto
relazionale e della sfera emozionale che avvolge il proprietario ed il proprio animale. La medicina
comportamentale, infatti, si occupa non solo di comportamento animale, ma anche della sua sfera
emozionale, dell’umore, dei disturbi neurovegetativi conseguenti; dunque dell’organismo nella sua
globalità, accostandosi dunque ad una medicina olistica.
Il setting nella visita comportamentale
La visita comportamentale, che è una visita che segue le modalità di visita clinica veterinaria,
privilegia, in particolar modo il colloquio, senza per altro trascurare la visita clinica. L'oggetto
d’osservazione è il comportamento del cane, distinguibile tra comportamento normale,
comportamento indesiderato dal proprietario e comportamento patologico. In questo ambito svolge
un ruolo di rilievo il "contenitore" dove la visita si svolge, cioè il setting.
Secondo la definizione presentata dal DIZIONARIO DI PSICOLOGIA, il setting è un termine
inglese impiegato per indicare il contesto di ricerca, delimitato nel modo più rigoroso possibile,
affinché quanto si osserva, si descrive, si comprende, si spiega possa avere un'attendibilità
scientifica.
Il concetto di setting quale contenitore di ricerca è impiegato fondamentalmente in due ambiti.
1) Psicologia sperimentale ...............
2) Psicoanalisi dove ...delimita un'area spazio temporale vincolata da regole che determinano
ruoli e funzioni.... in modo da evitare la messa in atto di stili relazionali tipici della vita quotidiana.
La definizione di setting è stata estratta da un testo di psicologia in quanto sono stati gli psicologi a
introdurre per primi il concetto di setting in ambito clinico. Molti sono gli studi e gli articoli
sull'argomento, che differenziano un setting esterno - che anche i Medici Veterinari
Comportamentalisti (MVC) cercano di costruire per le loro visite -, inteso come contenitore, stanza,
luogo fisico dove avviene la visita, e quindi rappresentato dagli elementi di confine materiale e un
setting interno, cioè l'insieme delle competenze e la teoria di riferimento del medico veterinario. più
difficile da delineare e riuscire a creare, ma fondamentale per la buona riuscita di un intervento
terapeutico.
Capire la motivazione che ha spinto i Medici Veterinari Comportamentalisti a sentire l'esigenza di
costruire un setting esterno per il successo della visita comportamentale non è semplice e si deve
tener conto dell'evoluzione della materia, come è stato dettagliatamente descritto nei paragrafi
precedenti.
La Medicina Comportamentale veterinaria, in questi ultimi dieci anni, ha subito delle profonde
trasformazioni, in seguito all’introduzione di un approccio clinico (vedi metodo francese o latino),
che privilegia la semiologia e la visita ambulatoriale alla visita a domicilio, e l’osservazione
dell’animale in un ambiente diverso da quello in cui vive e che deve essere il più controllato e
controllabile possibile. Si è sentita sempre più forte la necessità di un confronto con altre figure
professionali quali psicologi, psichiatri, etologi, che hanno illustrato il loro metodo di lavoro,
suggerendo correzioni e miglioramenti al nostro. Di conseguenza, all'interno del mondo della
medicina comportamentale si è aperto un dibattito che ha portato a provare nuovi approcci e si è
visto che l'avere a disposizione una sala visita, sempre uguale, con lo stesso arredamento, con gli
stessi giochi, il seguire un protocollo per introdurre il proprietario con il suo animale, l'accoglierlo
in modo adeguato, l'iniziare la visita sempre con la stessa modalità, l'introdurre dei test, ripetuti
seguendo le stesse dinamiche, permette di raccogliere più dati per la diagnosi e soprattutto consente
il confronto tra i casi trattati, con la possibilità di osservare, tra situazioni simili, differenze che sono
fondamentali per il successo terapeutico.
Il MVC ha capito che il setting ...è di fondamentale importanza e sta a indicare la scoperta di un
preciso strumento a garanzia dell'attività terapeutica.
Il setting non è solo il contenitore dove avviene la visita, cioè la stanza, ma comprende altri
elementi: il contratto terapeutico, la delimitazione del campo di osservazione, le regole concernenti
il tipo di comunicazione, il ritmo delle sedute e la loro durata, le modalità dell'incontro.
Il setting differenzia il colloquio dalla conversazione, presentandolo come un atto clinico a tutti
gli effetti e attribuendogli il valore di un intervento scientifico. Data l’importanza della raccolta dei
dati e della formulazione della diagnosi durante il trattamento, è necessario definire e standardizzare
il contenitore che contiene tutti i protagonisti della visita e la tecnica di indagine.
Per sintetizzare si può rilevare l’importanza del setting nella medicina comportamentale:
•
per creare una situazione riproducibile sulla quale misurare il comportamento dell'animale e
la relazione che intercorre tra il proprietario e l'animale;
•
per avere dei punti fissi e controllabili in modo che si possano differenziare le situazioni
normocomportamentali da quelle patologiche;
•
per somministrare dei test in un contesto quasi-sperimentale;
•
perchè l'intervento terapeutico è un processo e il setting ne garantisce la stabilità.
Inizialmente l’applicazione del concetto di setting in medicina comportamentale è stato
sottovalutato, preferendo continuare ad utilizzare le consuete modalità di visita, in luoghi diversi o a
domicilio. Il setting, in realtà, è uno strumento terapeutico, come per l'ortopedico una sala
chirurgica sterile dove si trova tutta l'attrezzatura dedicata e si hanno le massime garanzie di sterilità
e asepsi, è un luogo dove ogni strumento è al suo posto e ci si muove con sicurezza poiché tutto è a
portata di mano e l'intervento ha la massima possibilità di successo. Come per il chirurgo, si crea un
clima che offre sicurezza al terapeuta che si appresta a iniziare una visita comportamentale. Si deve
infatti tener presente che, pur possedendo tutte le conoscenze disponibili, sapendo porre tutte le
domande della semiologia in modo corretto, eseguendo i test necessari, i risultati possono essere
falsati, se la procedura non avviene in un luogo protetto, conosciuto e sicuro, capace di favorire
l'obiettività dell'operatore, che deve filtrare le informazioni attraverso la sua soggettività. Avere dei
riferimenti certi rende l’osservazione dell’interazione tra l’animale, le persone e l’ambiente presenti
durante la visita più standardizzabile e i dati raccolti confrontabili.
Le distrazioni possono compromettere l'alleanza terapeutica, la variabilità ambientale limita la
possibilità di un confronto con situazioni analoghe, la necessità di adattarsi al modificarsi
dell'ambiente, come durante una visita a domicilio, non consente la massima concentrazione sui
soggetti della visita, che sono l'animale e i suoi padroni.
Strettamente connesso al tema del setting è il concetto di alleanza terapeutica, definito come
dimensione interattiva tra paziente e terapeuta (nel caso della medicina comportamentale è da
intendere proprietario e terapeuta) riferita alla capacità di entrambi di sviluppare una relazione
basata sulla fiducia, il rispetto e la collaborazione nel lavoro comune al fine di affrontare i
problemi e le difficoltà del paziente (nel caso della MVC le difficoltà della relazione tra animale e
proprietario).
Riprendendo la formulazione di Di Chiara (1986) (il setting) definisce l'assetto relazionale o
mentale che il terapeuta deve adottare e conservare durante il percorso terapeutico..... , quindi si
può parlare di uno stato della mente, un modo di essere nel rapporto con il paziente....
Il setting è la cornice concettuale e materiale che racchiude l'intervento di medicina
comportamentale (B. Alessio 2006); è l'insieme delle condizioni metodologiche entro le quali:
osservare - descrivere - comprendere e indagare l'oggetto di conoscenze.
Affrontando nello specifico il tema, il primo aspetto su cui si deve porre attenzione è la stanza, che
deve essere uno spazio definito dove tutto contribuisce a regolare e connotare un rapporto, e quindi
deve essere deputata solo a questo scopo e dovrebbe essere differenziata tra quella adibita alla visita
del cane, quella per il gatto e quella specifica per i nuovi pets. La distinzione è motivata dalle
diverse esigenze riscontrabili nella gestione degli animali che devono soggiornarvi: quella per il
cane deve essere ampia, con sedie per i proprietari, con un pavimento facilmente lavabile, priva di
telefono che interrompa il naturale fluire della relazione, con uno spazio esterno dove ci possono
essere o meno dei giochi, in cui condurre il cane per eseguire test, farlo giocare, interagire con il suo
proprietario o mostrare dei semplici esercizi. Se il paziente è un cucciolo devono essere previsti dei
giochi e sarebbe opportuno prevedere le ciotole per il cibo e per l'acqua, perchè in base alla
modalità di gestione del cibo o dell'acqua si possono ricevere informazioni riguardo l'acquisizione
degli autocontrolli e della gerarchia.
La sala da visita del gatto necessita di differenti caratteristiche: non è importante che sia ampia,
preferibilmente priva di finestre, ma deve avere una sola porta per evitare una fuga accidentale, con
scrivania e sedie, ciotola con acqua, meglio ancora una fontana, delle ciotole con il cibo,
possibilmente poste in alto, almeno a 50 cm. da terra e in luoghi non facilmente accessibili, o
nascoste sotto i mobili, per valutare la capacità del gatto di ricercare il nutrimento, dei tiragraffi, un
mobile a forma di scala dove il gatto possa salire, una struttura con più piani e una o più casette
dove nascondersi (strutture in vendita nei negozi per animali chiamate palestre), uno spazio a fondo
cieco dove il gatto possa nascondersi, un tunnel, delle borse o scatoloni dove il gatto possa infilarsi,
giochi appesi e a terra.
Definito il contenitore e il suo contenuto è necessario tener presente gli altri elementi del setting:
l'abbigliamento, che deve essere pratico ma al tempo stesso non tale da connotare l'intervento di
medicina comportamentale come un intervento clinico. Bisogna inoltre prestare cura al
comportamento da adottare e alla gestione del tempo, in particolare durante la prima visita quando
si accoglie il proprietario e il suo animale, e serve del tempo per metterli a proprio agio e introdurli
nella visita, raccogliere la semiologia, definire una diagnosi in almeno uno dei tre livelli
(nosografico, funzionale e contestuale), stabilire una prognosi e infine dare una terapia. Nella
gestione del tempo a disposizione si deve valutare il rapporto tra il tempo necessario al lavoro e il
periodo temporale entro il quale una persona normale riesce a mantenere l'attenzione. La gestione
del tempo deve anche tener conto della scaletta per le visite successive, della cadenza delle visite,
dell'opportunità di prendere appuntamento di volta in volta oppure di non fissare l'appuntamento per
la visita successiva.
Il setting è quindi un insieme di elementi, di per sé difficili da definire e quindi complesso, ma
sicuramente estremamente utile, perchè un setting adeguato associato all'applicazione del metodo
clinico ci consente di arrivare a diagnosi differenti usando gli stessi strumenti senza dovere,
necessariamente, osservare il comportamento dell'animale nel suo ambiente.
Come procedere durante una visita comportamentale
Possiamo suddividere la visita comportamentale in più fasi:
1. raccolta dei dati dei proprietari, composizione familiare
2. dati del medico veterinario curante ed eventuali trattamenti pregressi
3. motivo della visita
4. quadro sanitario dell’animale
5. osservazione dell’animale in ambulatorio (ed in strada)
6. esame comportamentale
7. bilancio dei sintomi e ipotesi diagnostiche
8. diagnosi
9. diagnosi differenziale
10. prognosi
11. intervento terapeutico
Analizzeremo alcune fasi che saranno utilizzate per la valutazione dei cani ospitati nei canili.
Osservazione dell’animale in ambulatorio (ed in strada)
Il modello etologico-clinico di Patrick Pageat permette di raggiungere una diagnosi evitando di
effettuare una visita a domicilio. Sicuramente in quest’ultima potremmo scoprire dati semiologici
importanti e che sfuggono al proprietario, oppure essere facilitati nella scelta di soluzioni
terapeutiche. L’animale nella struttura veterinaria può spesso non presentare i comportamenti
indesiderati che sono il motivo della visita comportamentale; ma dobbiamo tenere a mente che la
presenza del veterinario a domicilio è in ogni caso un fattore di “distorsione” che induce una
variazione dei comportamenti abituali sia dell’animale sia della famiglia.
L’osservazione diretta del comportamento permette al terapeuta :
di osservare l’animale
di confermare o confutare le affermazioni dei proprietari
di effettuare dei test: reazione ai rumori, all’assenza dei proprietari, alla presenza di
altri cani (nel mio ambulatorio sono sempre presenti i cani dei medici veterinari:
inizialmente sono tenuti in una stanza adiacente e, dopo avere valutato l’assenza di
pericolo, per valutare la socializzazione del paziente sono messi a contatto tra loro in
modo da stabilire l’interazione, l’attività ludica, ecc.; ciò permette inoltre di spiegare
più facilmente ai proprietari come comportarsi durante l’incontro fra cani e come
riconoscere i corretti rituali di comunicazione)
di valutare la relazione cane-proprietario
di spiegare “a caldo” alcuni comportamenti
di mostrare alcune tecniche terapeutiche che dovranno applicare in seguito.
L’osservazione del cane insieme al proprietario nella strada possono portarci altre importanti
informazioni. Potremo valutare, infatti, i comportamenti del cane di fronte agli stimoli che non
erano presenti in ambulatorio; osservare le reazioni del proprietario rispetto a questi comportamenti,
oltre ad avere delle conferme sulla relazione esistente fra il cane ed il padrone.
L’osservazione del cane ci permette di studiare:
la natura degli stimoli fobici: rumori, persone, bambini, oggetti sconosciuti, ecc.
le reazioni comportamentali: inibizione, ipervigilanza, aggressioni, ecc.
le manifestazioni organiche: polipnea, scialorrea, sbadigli, diarrea, minzioni emozionali,
autoleccamenti, ecc.
L’osservazione del proprietario ci permette di valutare:
le errate risposte rispetto alla paura del cane: anticipazione del pericolo, carezze o un
tono di voce dolce per “rassicurare” il cane (il rinforzo della paura)
l’inesperienza nella condotta dell’animale: cattiva condotta del cane al guinzaglio, ordini
incoerenti, ecc.
le interpretazioni errate rispetto alle reazioni dell’animale: per esempio l’“aggressività”
del cane al guinzaglio.
L’esame comportamentale
La valutazione dei comportamenti è il punto centrale dell’indagine semiologica.
Abbiamo già ricevuto delle informazioni dai proprietari durante “il motivo della visita”, che si sono
limitate ad una libera esposizione di comportamenti indesiderati del loro animale oppure che li
preoccupano, sia in quanto denotano una sofferenza dell’animale sia perché coinvolgono
l’incolumità dei familiari e/o degli estranei.
Il loro racconto è intriso di emozioni e di interpretazioni personali. Dunque dovremo metterlo da
parte, per poterlo poi collocare nel quadro sintomatologico che definirà la patologia diagnosticata.
L’esame comportamentale riguarderà i seguenti punti:
1. i comportamenti centripeti, cioè i comportamenti autocentrati che coinvolgono il corpo
dell’individuo. Il loro studio permette di rilevare le perturbazioni emozionali e la posizione
gerarchica dell’animale: il comportamento alimentare, il c. dipsico (l’assunzione
dell’acqua), il c. somestesico (cioè la presa di contatto con il proprio corpo: il
comportamento di toletta, il “tournis”, l’autoleccamento o automutilazione), il c.
eliminatorio ed il c. del sonno.
2. i comportamenti centrifughi, cioè i comportamenti che modificano l’ambiente esterno
(comportamento di aggressione) e i comportamenti che vengono modificati dai fattori
esterni (comportamento di esplorazione). Nel comportamento di aggressione, che ci aiuta a
valutare la pericolosità di un animale, dovremo: definire il tipo di aggressione, verificare
l’integrità della sequenza aggressiva, verificare il livello di controllo del morso.
3. i comportamenti misti, che comprendono il comportamento sessuale e materno, che ci
aiutano a rilevare lo stato emozionale, lo status gerarchico e la corretta socializzazione.
4. le interazioni sociali intraspecifiche: questa indagine tende a definire il grado di
socializzazione intraspecifica ed intrasessuale del cane e l’esistenza di corretti rituali sociali
canini. Ma soprattutto ad evidenziare la gestione delle reazioni emotive del proprietario
rispetto ai contatti sociali che avvengono tra il proprio cane e quelli estranei (se il cane viene
lasciato libero o meno in passeggiata; la variazione del comportamento del cane in presenza
di altri cani quando è al guinzaglio o quando è libero; l’anticipazione emozionale del
proprietario e il conseguente comportamento quando vede un altro cane che si avvicina,
ecc.).
5. l’attività ludica: attraverso questo aspetto è interessante rilevare:
l’interesse del cane per il gioco e le sue caratteristiche: inibito, esacerbato; diminuito nel
tempo o rispetto all’ambiente circostante
il tipo di gioco preferito dal cane: il gioco della palla, il lancio del bastone, il tira e molla con
la treccia od altri oggetti, ecc.
l’interazione tra il padrone ed il cane rispetto all’attività ludica: la frequenza e la durata del
gioco che il proprietario dedica al cane; il modo di comunicare del padrone; la leadership del
proprietario rispetto all’animale (chi inizia l’interazione ludica, se il cane riporta gli oggetti e
li lascia su richiesta del padrone, ecc) .
Il livello di auto-controllo e di inibizione al morso che il cane presenta durante il gioco
Il livello di concentrazione e di memorizzazione che presenta il cane e che permette di
valutare le sue capacità di apprendimento.
Mi sembra logico includere in questo paragrafo anche gli apprendimenti specifici, cioè la
condotta al guinzaglio e i “giochi” che il cane esegue quali: il Siedi, il Vieni, il Lascia, il
Terra, il Cuccia, ecc. Raramente il proprietario utilizza dei giochi che permettono un
incremento delle attività cognitive del cane: la ricerca di oggetti e la loro discriminazione, le
piste odorose, ecc.
Anche in questo caso ciò permette di valutare l’interazione proprietario-animale, gli
autocontrolli del cane, il tipo di comunicazione e lo status gerarchico esistente.
6. eventuali addestramenti: Questa informazione ci mette al corrente della decisione del
proprietario di avere voluto/dovuto educare il cane, oppure di un suo desiderio di addestrare
il cane per alcune attività (agility, obedience, difesa ed attacco, salvataggio, ricerca in
superfice, ecc).
È importante richiedere il motivo della scelta; avere una valutazione sui miglioramenti
ottenuti, le metodiche impiegate e la durata del corso; sapere chi della famiglia ha
partecipato a queste attività.
7. lo sviluppo comportamentale: numerose patologie comportamentali del cane adulto sono
legate al suo sviluppo comportamentale, che si definisce, con una certa variabilità legata alle
razze, entro le 12-13 settimane. Lo studio delle condizioni di allevamento apporta un
complemento di informazioni e può confermare l’ipotesi diagnostica formulata dall’indagine
semiologica. La nostra indagine ricercherà dati sul luogo di nascita e i contatti sociali
precoci, la relazione tra la madre, altri adulti regolatori e il cucciolo.
La prognosi
La prognosi, come in tutte le patologie, può essere da ottima ad infausta e dipende da vari fattori:
da quanto tempo è presente il disturbo comportamentale
dall’età del soggetto
dalla gravità dei deficit acquisiti durante lo sviluppo comportamentale dell’animale
dalla gravità dei sintomi
nei casi di aggressività, dalla paura delle persone e dall’età dei componenti della famiglia
dalla volontà di cambiamento, quindi del livello di motivazione dei vari componenti
familiari
dalla alleanza terapeutica esistente tra i componenti familiari
dal contesto ambientale
dall’utilizzo o meno del trattamento farmacologico consigliato (in caso di resistenza dei
proprietari ad una medicalizzazione del paziente).
La terapia
Mentre nelle altre discipline lo stress del terapeuta tende a diminuire al momento della prescrizione
della terapia, nella medicina comportamentale inizia la fase più difficile: far accettare l’intervento
terapeutico sancendo un contratto terapeutico con i proprietari.
La prescrizione è l’ultimo atto nel quadro della visita comportamentale: nonostante si debba
rispettare l’unicità della terapia rispetto al terapeuta, la costruzione della stessa deve seguire alcune
regole comuni:
-
-
-
per il terapeuta, avere un meta precisa: guarire il paziente debellando la causa
psicopatologica, responsabile della perdita di adattabilità del paziente. Ciò obbliga una
perfetta conoscenza delle terapie cognitivo-comportamentali, farmacologiche e feromonali
da attuare
per il proprietario, avere degli obiettivi precisi e concreti: devono risultare dalla richiesta di
cambiamento, che deve sovrapporsi alla richiesta iniziale del proprietario. Ciò definisce il
contratto terapeutico, che formalizza gli obblighi del proprietario e del terapeuta attraverso
dei risultati osservabili, sottolineando la durata dell’intervento attraverso delle visite di
controllo periodiche, dove verranno valutati da entrambi i miglioramenti
essere materialmente realizzabili: è inutile definire un programma che sappiamo essere
irrealizzabile da parte dei proprietari
essere comprensibile: le tecniche e gli esercizi dovranno essere spiegati e mostrati in modo
preciso, per evitare difficoltà di esecuzione, fallimenti, che portano spesso ad adattamenti
inappropriati, a volte controproducenti, da parte dei proprietari.
Intervento del Medico veterinario comportamentalista nel canile
Questo tipo di società scoraggia la pet-ownership, dato che il canile non ospita i cani degli
sfortunati o dei cattivi ma quelli della comunità, il canile favorisce l’abbandono e non incentiva
l’adozione, è inteso come parcheggio mentre dovrebbe essere inteso come “polo zooantropologico”
e non territorio di degrado, come presidio consulenziale nel rispetto dell’alteralità animale, e
l’adottante dovrebbe essere considerato come consumatore e non come “buon samaritano”. Queste
parole sono tratte dall’intervento di Roberto Marchesini e definiscono i punti focali dell’intervento
del medico veterinario comportamentalista nel parco canile:
• valutazione comportamentale dei cani presenti nella struttura, nell’obiettivo di definire
l’indice di adottabilità dei cani: definizione di programmi di finissaggio, in concertazione
con gli educatori, per i cani di livello 1, cioè quelli più facilmente adottabili; definizione
degli interventi terapeutici nei confronti dei cani di livello 2 e 3. Nell’ambito di un possibile
consultorio, valutazione e terapia dei cani morsicatori o dei proprietari che richiedano una
visita comportamentale.
• preparazione dei futuri proprietari, attraverso dei corsi formativi basati sulla comunicazione,
sui pattern comportamentali del cane al fine di creare una corretta relazione
• formazione del personale volontario e degli educatori sui protocolli da seguire per i colloqui
pre-adozione con i possibili adottanti, per i protocolli di educazione, di intervento
terapeutico, per i protocolli di socializzazione intra e interspecifica dei cani ospitati nel
canile
• progettazione delle attività con il pubblico esterno (visite di scolaresche, di anziani, di
disabili, ecc.)
La difficoltà di un intervento comportamentale in canile è legata:
1. alla difficoltà di accedere a un’anamnesi precisa non potendo parlare con il proprietario del
cane;
2. all’insorgere di comportamenti da considerarsi patologici, ma che possono essere collegati
alla permanenza del cane in un ambiente inadatto; gli attuali box del canile, per quanto si
cerchi di renderli “confortevoli” hanno molti limiti e per questo motivo possono comparire
comportamenti stereotipati o aggressivi;
3. all’impossibilità da parte del cane di esprimere un comportamento “naturale”, perché non
può esplorare, interagire con un padrone, giocare, socializzare come farebbe se inserito in
una famiglia, in un ambiente domestico;
4. alle difficoltà organizzative all’interno del canile: non sempre, infatti, per motivi di spazio o
sovraffollamento, è possibile collocare un soggetto in un box adatto (esempio la
sistemazione in un box isolato o posto in un luogo di passaggio induce, a volte, la comparsa
di comportamenti stereotipati o fobici in soggetti che diversamente collocati non li
presenterebbero).
Al primo manifestarsi di disturbi comportamentali che vengono rilevati dagli addetti al canile,
sarebbe quindi necessario un intervento per stabilire, naturalmente in relazione al tipo di disturbo
rilevato, se è possibile:
1. con interventi minimi correggere questi disturbi;
2. affidare il cane in questione alle cure di un volontario secondo un protocollo terapeutico
prestabilito;
3. trovare un adottante specifico e con quale indicazioni comportamentali;
4. attuare una terapia comportamentale per la patologia diagnosticata.
Nel caso in cui un cane ricoverato in canile mostri dei disturbi comportamentali si deve procedere
attraverso u protocollo per ottenere delle informazioni relative al suo comportamento. Per fare
questo è necessario trovare dei criteri per la raccolta dei dati, che non potranno essere solo quelli
che normalmente si usano nella visita comportamentale come è stata descritta.
In assenza di un’anamnesi su cosa potrà basarsi la nostra visita?
Possono essere utili le informazioni che ci vengono fornite dagli addetti e dai volontari che operano
nel canile, se sono stati in precedenza adeguatamente istruiti a svolgere questo compito di
osservazione che, pur presentando sempre una forte connotazione soggettiva, dovrebbe essere
filtrato dalla lente di competenze relative all’etogramma del cane. Per questo motivo è importante
che il personale del canile venga adeguatamente istruito a individuare, raccogliere e comprendere i
segnali di disagio comportamentale dei cani ospitati nella struttura.
In quanto come scrive Eibl-Eibesfeldt alla base di qualsiasi ricerca etologica è l’etogramma, ossia
il catalogo minuzioso di tutti i moduli comportamentali propri dell’animale.
In canile non si fa ricerca etologica, ma la mancanza di informazioni legate al vissuto di un cane
può essere sostituita dall’osservazione in quanto permette di discernere il comportamento
patologico dal comportamento normale. Diversamente, l’impossibilità di comparazione tra
comportamento normale e comportamento patologico inficia l’osservazione, rende la descrizione di
un comportamento aneddotico e non più scientifico. Naturalmente, allo stato attuale delle cose, con
la maggior parte degli operatori di canile che sono volontari e con la maggior parte dei canili gestiti
da associazioni di volontari, che non hanno fini di lucro e che quindi hanno scarse risorse, un tale
approccio è penalizzato, poiché non è possibile avere un coordinatore, che dovrebbe essere un
esperto in zoantropologia o in medicina comportamental e delle risorse umane basate su
professionisti rispetto alle attività del canile, senza un adeguato supporto economico.
Continuando un discorso teorico, ma a nostro avviso, proiettato nel futuro, individuati uno o più
comportamenti che differiscono dal comportamento normale è necessario raccogliere più
informazioni.
A questo proposito si può ricorrere all’uso dei filmati, sempre riprendendo la metodica
dell’osservazione etologica. Una telecamera fissa con un grandangolo posizionata davanti al box
per un periodo piuttosto lungo di tempo e per più giorni permette di raccogliere molte informazioni.
Riprendendo le parole di I. Eibl-Eibesfeldt relative al metodo di un’osservazione etologica: il film
fissa i vari moduli come “preparati anatomici” dei movimenti; ciò è importante sia per il lavoro
comparativo sia per la successiva verifica di ipotesi.
Con una serie di filmati si valuta:
• la frequenza del comportamento patologico
• la presenza di comportamenti che deviano dall’etogramma, ma che sono meno facilmente
rilevabili;
• se i comportamenti sono più frequenti in determinate situazioni, oppure se hanno una
comparsa casuale
•
•
se la presenza di un operatore incide sull’insorgenza del comportamento, oppure non ha
alcuna influenza
la presenza di manifestazioni organiche che aiutano ad inquadrare lo stato patologico del
cane
Anche la somministrazione di test nel box devono essere filmati per poter rivedere le risposte da
parte del cane.
La possibilità di disporre di filmati consente di stabilire l’evoluzione del comportamento, sia nel
caso si metta in atto un intervento per modificarlo, sia che non si faccia nulla.
Naturalmente, affinché l’osservazione sia il più oggettiva possibile è necessario costruire un setting
che tenga conto di diversi fattori:
1. stesso box per osservare i cani in esame, ricco di stimoli acustici, tattili, visivi presenti
normalmente in appartamento o nei luoghi urbani;
2. gli oggetti che compongono l’arredo non devono cambiare, in particolare se si valuta un
soggetto con attività sostitutiva o con stereotipia;
3. stessi volontario/volontari (è possibile che siano più di uno perché possono esserci turni
diversi) che interagiscono con il cane e cercare di comportarsi in maniera identica al fine di
standardizzare le osservazioni;
4. programmare e tener conto dell’introduzione di variabili, al fine di convalidare la
valutazione finale legata all’osservazione.
Purtroppo, in base all’attuale gestione della maggior parte dei rifugi per cani, le variabili presenti in
canile per l’allestimento di un setting sono tante e di difficile controllo.
E qui facciamo un inciso: un intervento di medicina comportamentale non può prescindere dal
creare una realtà diversa nel management dei futuri canili, dove il soggetto, cioè il cane, sia posto al
centro del problema e dove le strutture, gli uomini che vi opereranno e le politiche che saranno
attuate siano indirizzate veramente alla tutela del benessere del cane.
Il passaggio in un canile dovrà essere una tappa breve, forse non sostituibile, ma breve, con lo scopo
di condurre il pet nel porto sicuro che è l’inserimento nel tessuto sociale dove vive l’uomo, il
partner naturale del cane domestico.
Ritornando alla realtà attuale, l’osservazione del comportamento del cane non può ridursi
all’osservazione nel box, ma dovrebbe comprendere l’osservazione anche in uno spazio chiuso ma
ampio, per studiare il comportamento esploratorio e l’interazione e la socializzazione con le persone
presenti, e se possibile anche con altri cani.
Anche questa parte della “visita comportamentale” condotta in un area di sgambamento del canile
deve essere filmata e avere un setting il più possibile controllato. E’ importante che l’interazione
con le persone sia programmata e si segua una metodica volta ad evitare aggressioni e a far
emergere i comportamenti che si desiderano indagare, sottoponendo l’animale in caso a dei test.
Le informazioni raccolte costituiranno un elemento di valutazione per i cambiamenti che dovrà
ottenere il cane attraverso un percorso terapeutico (sempre che questo sia possibile) o un percorso
educativo.
Tutti i dati forniti dall’osservazione da parte dei volontari e dalla visione dei filmati del cane nel
box e in uno spazio aperto costituiscono l’insieme dei dati da cui poter estrapolare una diagnosi di
presenza o meno di una patologia comportamentale, definire l’indice di adottabilità del cane e per
determinare l’identikit del possibile adottante.
Si tratta di una diagnosi non certa ma attendibile, in quanto si basa su una raccolta semiologica che
spesso è deficitarie, ma comunque legata ad un setting rigoroso, cioè che limita il più possibile le
variabili.
Una situazione diversa è quella del cane affidato e che poi viene riportato in canile in quanto gli
adottanti non riescono a gestirlo: in questo caso i dati semiologici che ci riportano i proprietari del
cane sono molto utili per la definizione di una diagnosi. La visita comportamentale in questo caso
ricalca una normale visita comportamentale per un cane di proprietà dove osservazione dell’animale
e raccolta anamnestica sono complementari
Concludendo un intervento di medicina comportamentale, prescritto e supervisionato dal medico
veterinario comportamentalista e condotto grazie al lavoro degli educatori , ha il duplice vantaggio
di migliorare le condizioni di vita dei cani ospitati nel canile e di aumentare la possibilità di
adozione da parte dei cittadini.
Inoltre permette di creare una buona base esperenziale per migliorare l’elaborazione di linee guida,
progettualità, realizzazione di quelle che dovranno essere le future strutture adibite alla cura degli
animali che non hanno un padrone.
Come ultimo paragrafo vengono riportate le principali patologie comportamentali legate alla
presenza dei cani all’interno del canile. Si deve ricordare che per quanto riguarda i cani che
rientrano dopo una adozione, una patologia frequente è la sociopatia interspecifica, patologia
relazionale fra il gruppo familiare ed il cane basata su una ambiguità gerarchica, che deriva spesso
in un comportamento di aggressione gerarchica o per irritazione, responsabile dell’allontanamento
dell’animale.
La sindrome da privazione sensoriale
La Sindrome da Privazione Sensoriale (S. da P. S.) è una patologia che ha come elemento
caratterizzante la reazioni di paura incontrollate rispetto a stimoli normalmente presenti
nell’ambiente.
Questa patologia si compone di tre entità cliniche, che hanno sintomi diversi, ma la stessa origine:
• stadio 1 o stadio fobico: il comportamento è condizionato dalla paura di oggetti, situazioni o
persone;
• stadio 2 o stadio ansioso: il cane è inibito, non sopporta la modificazione dell'ambiente e
l'esporazione è limitata (esplorazione statica, preceduta da una postura d'attesa)
• stadio 3 o stadio depressivo: il cane si ripiega su se stesso, scompare l'esplorazione e
l'attività ludica.
L'elemento caratterizzante la S. da P. S. è l'incapacità del cane a gestire l'ambiente in cui vive.
Si tratta di soggetti che nel periodo sensibile (periodo che va sino ai 4 mesi di età circa, in cui gli
apprendimenti sono facilitati) hanno vissuto in un ambiente ipostimolante. Il cane non ha potuto
crearsi una "banca dati" solida con tante informazioni raccolte attraverso i canali sensoriali (vista,
udito, olfatto, tatto) da usare quando, cambiando ambiente per esempio passando da una contesto
rurale a uno urbano, le sollecitazioni aumentano e devono essere assimilate e non rigettate perché
scatenano una reazione di paura.
A livello del sistema nervoso, nei primi mesi di vita del cucciolo (ricordo che il cucciolo si
avventura a conoscere il mondo che lo circonda soprattutto quando è presente un buon legame di
attaccamento con la madre), si ha la maturazione e la selezione dei circuiti sinaptici sotto l’effetto
della stimolazione sensoriale. In pratica il soggetto impara ad abituarsi ad alcuni stimoli con cui
viene a contatto e li fa suoi per tutta la vita.
Se ne deduce che le esperienze maturate in un ambiente ipostimolante (deficit nella gestione delle
informazioni sensoriali) nei primi due - quattro mesi di vita del cane sono determinanti per la
comparsa della sintomatologia della S. da P. S..
La sindrome da privazione sensoriale stadio uno: fobia ontogenetica
Il cane viene portato alla consultazione perché presenta, sin dai primi giorni di arrivo a casa,
delle reazioni di paura al minimo rumore, o nei confronti delle persone che non fanno parte
della famiglia. La paura può essere rivolta verso categorie di persone: i bambini, gli anziani, gli
uomini, ecc. Il cane ansima, tira al guinzaglio, fugge, può avere reazioni aggressive. Il
proprietario ha difficoltà ad uscire di casa con il cane, possono comparire problemi eliminatori:
in strada non urina o defeca, tornato a casa elimina. Inoltre possono apparire minzioni e
defecazioni emozionali.
La diagnosi si basa sulla presenza di questi sintomi:
•
manifestazioni di paura all’esposizione a stimoli ben identificabili
•
i sintomi compaiono a partire dal momento di arrivo del cucciolo nel nuovo ambiente
•
anticipazione in seguito a situazioni fobogene
•
inoltre si osservano le seguenti manifestazioni comportamentali:
•
manifestazioni organiche: midriasi, tremore, tachicardia-tachipnea, ipersalivazione,
minzione e defecazione emozionale
•
comportamento di evitamento: fuga, aggressione per irritazione e/o paura
•
ritorno alla normalità, più o meno rapidamente, alla scomparsa dello stimolo fobogeno.
Ai fini di una corretta valutazione del quadro clinico, è importante verificare la capacità del cane
a ritornare alla normalità dopo la scomparsa dello stimolo fobogeno e se c’è
generalizzazione dello stimolo fobogeno. Anche il comportamento aggressivo deve essere
valutato con attenzione, infatti, l’aggressività da paura e soprattutto quella da irritazione (che
compaiono in un contesto emozionale) sono estremamente pericolose. In particolare la
seconda può strumentalizzarsi, con destrutturazione della sequenza comportamentale,
scomparsa della fase di minaccia e morso poco prevedibile. Si parla di iperaggressività
secondaria.
La sindrome da privazione stadio due: stato ansioso
Il cane viene portato alla visita comportamentale perché ha reazioni di paura a stimoli diversi,
non sono più identificabili gli stimoli fobogeni. Il soggetto non si adatta più all’ambiente in
cui vive e ha reazioni simili alla paura in risposta alla variazione dell’ambiente. La paura si
manifesta con inibizione, fuga, evitamento, manifestazioni neurovegetative, e aggressioni da
irritazione o da paura. Compaiono delle posture caratteristiche, presenti solo in questo
stadio della S. da P. S.:
•
l’esplorazione statica: di fronte a un oggetto sconosciuto il cane si immobilizza collo teso, corpo arretrato e orecchie abbassate all’indietro - e alterna dei tentativi di
esplorazione a dei ripiegamenti;
•
postura d’aspettativa, il cane si blocca di fronte all’oggetto che lo spaventa immobile, zampa anteriore sollevata, corpo arretrato in posizione abbassata - poi inizia
l’esplorazione .
Il cane mangia prevalentemente di notte e in ogni caso non mangia se esposto a stimoli non
abituali; non si abitua ai cambiamenti dell’ambiente ed è difficile portarlo fuori casa, anche
solo a fare i bisogni (problemi eliminatori), per questo sporca sempre più frequentemente in
casa. Infine possono comparire attività di sostituzione, in particolare dermatite da
leccamento; nella femmina è frequente la pseudogravidanza con anoressia, gemiti, adozioni
di oggetti come cuccioli.
Il cane è in uno stato ansioso che manifesta anche con distruzioni, vocalizzi minzione e
defecazione, se lasciato solo. La comparsa di un iperattaccamento secondario stabilizza il
suo comportamento.
La diagnosi di S. da P. stadio due si basa sulla presenza dei seguenti sintomi:
• attività di sostituzione
• comportamento esplorativo molto ridotto, con esplorazione statica
• postura di attesa che precede ogni sequenza comportamentale
• ingestione di cibo rapida e preferibilmente notturna
• incapacità di sopportare le variazioni di spazi e di orari nell’ambiente
• valutare l’esistenza di iperattaccamento secondario.
Quando si instaura un iperattaccamento secondario si ha una momentanea stabilizzazione della
sintomatologia, tuttavia, se non si interviene con una terapia adeguata si avrà un
peggioramento.
La sindrome da privazione sensoriale stadio tre: depressione da privazione
Il cucciolo non corrisponde allo stereotipo a cui tutti i proprietari pensano quando decidono di
adottare un cane: si tratta di un soggetto che non gioca, non reagisce agli stimoli, è inibito e
ha perso qualsiasi iniziativa, non esplora. Il cucciolo è abbattuto, si alimenta di notte,
elimina dove gli capita (anche vicino alla cuccia) ha alterazioni del ciclo del sonno con
enuresi e encopresi (eliminazioni in cuccia). Il cane si trova in uno stato patologico di
depressione cronica.
La diagnosi è fatta con la valutazione della presenza di questi sintomi:
• stato depressivo cronico (disturbi del sonno)
• enuresi e/o encopresi
• mantenimento di comportamenti sociali intra o interspecifici
• fase di agitazione intermittente con comparsa di comportamenti somestesici (piaghe da
leccamento).
Un elemento ricorrente nel racconto del comportamento di un cucciolo con una S. da P. S.
stadio tre è la sua assoluta tranquillità e remissività.
La fobia sociale
Secondo la descrizione che il dottor P. Pageat ha dato dell F. S. “si tratta di un disturbo
specifico del cane che lo rende incapace di sopportare qualsiasi interazione sociale intra e
interspecifica, come lo sguardo, il contatto fisico o vocale…. , lo stato fobico non ha alcuna
relazione con l’ambiente fisico o con l’individuo con il quale si svolge l’interazione,
riguarda solo l’interazione in sè.” Il cane interrompe l’interazione e si allontana dal suo
interlocutore: uomo o altro cane.
Oltre all’evitamento, a volte si osservano una reazione aggressiva e manifestazioni organiche:
tachipnea, tremori, minzioni emozionali, disturbi gastroenterici (scialorrea, vomito, diarrea)
accompagnati da segni comportamentali quali l’ipervigilanza e l’ipermotricità. Il paziente
affetto da F. S. presenta marcati sintomi di ansia e questo differenzia il distrubo da F. S. da
una situazione di interazione sociale in cui normalmente si prova disagio.
Questo fa anche comprendere come per il cane la F. S., anche se compensata da uno stile di vita
che evita il contatto sociale, può diventare molto problematica da gestire e determinare un
livello di sofferenza elevato, non sempre compreso dal proprietario, soprattutto quando ci
sono episodi aggressivi che oltre a rendere pericoloso il soggetto lo criminalizzano e lo
isolano.
La maggior parte degli animali sino ad ora esaminati sembra abbiano sofferto o soffrano di un
deficit degli stimoli sensoriali nella prima parte della loro vita: la F. S. potrebbe essere
ricondotta a una fobia ontogenetica. Un’altra ipotesi è che ci sia comorbilità tra la F. S. ed
altre patologie, in particolare la Sindorme Da Privazione Sensoriale.
Secondo alcuni Autori si possono descrivere due forme di F. S.:
1. fobia sociale semplice: può interessare uno o più gruppi (tipi) di persone, il cane manifesta
comportamenti fobici verso gli uomini, le donne i bambini, ecc., a volte interessa l'intera
popolazione. L’animale evita il contatto con le persone sconosciute e se l’essere umano
forza il contatto compare un comportamento di paura con aggressione (aggressività da
irritazione), che continua sino a quando il cane non riesce a sottrarsi al contatto. Lo stesso
comportamento può essere manifestato verso un cane o più tipi di cani, o anche tutti i cani in
generale.
2. fobia sociale generalizzata: In caso di fobia sociale generalizzata, il cane presenta
comportamenti di paura (fuga, aggressione) in numerose situazioni in cui gli viene proposto
di incontrare gli altri individui (Mege e coll.).
Diagnosi
La diagnosi di F. S. si fa in base al riscontro dei seguenti sintomi:
1. evitamento sistematico di un certo tipo di interazione sociale
2. presenza di un comportamento sociale normale in altre circostanze
Il cane mostra una serie di sintomi che si sovrappongono a quelli che si presentano in una
Sindroma da privazione sensoriale, ma in questo caso lo stimolo fobogeno è l’uomo, o una
particolare categoria dell’uomo, oppure dei cospecifici:
• tachicardia-tachipnea, tremori, minzioni emozionali, scialorrea, vomito, diarrea
• ipervigilanza e ipermotricità
• evitamento con fuga
• comportamento aggressivo (aggressività da paura e da irritazione)
La sindrome Ipersensensibilita’ – Iperattivita’ (Hs-Ha)
Insieme alla sindrome da privazione sensoriale costituisce una delle due grandi patologie dello
sviluppo dell’omeostasi sensoriale.
L’omeostasi sensoriale è un equilibrio tra un organismo e il suo ambiente che si instaura nel
corso dello sviluppo. Questo equilibrio si accompagna ad un’assenza di risposte emozionali
al di sotto del livello di stimolazione medio dell’ambiente. La soglia di reazione si “tara” nel
corso dello sviluppo del sistema nervoso centrale (primi 3 mesi di vita del cucciolo) ed è in
stretta correlazione con l’ambiente di sviluppo.
Fondamentali sono le condizioni di vita dei cuccioli nei primi 90 giorni di vita.
Secondo Pageat l’85% dei cani colpiti da questa patologia provengono da allevamenti
caratterizzati da ambiente ipostimolante e sono stati separati precocemente dalla madre.
Si ricorda come il ruolo della madre sia determinante nell’acquisizione del morso inibito e nel
controllo motorio.
Razze molto alla moda che spingono gli allevatori a mettere in riproduzione fattrici molto
giovani e incompetenti dal punto di vista del comportamento materno costituiscono un
ulteriore fattore di rischio.
Attualmente si discute se ci sia una predisposizione della razza nello sviluppo della patologia.
Già dagli studi di Scott e Fuller nel 1965 si era visto che lo sviluppo in ambiente
ipostimolante produceva risultati diversi nelle diverse razze: nella maggior parte dei casi si è
notato un comportamento evitante e un’esplorazione statica propria della sindrome da
privazione sensoriale mentre nei terrier si è evidenziato un aumento dell’esplorazione
(ipertrofica e disorganizzata) e un aumento dell’attività. Allo stato delle conoscenze attuali
sembra logico pensare che razze ad arousal, attivazione emozionale, più alto siano più a
rischio di sviluppare tale patologia. Infatti più l’arousal è alto maggiore deve essere
l’autocontrollo per gestire il comportamento.
Le caratteristiche distintive di questa patologia sono rappresentate, da difficoltà di attenzione,
impulsività, iperattività e mancata acquisizione del morso inibito.
I proprietari lamentano che il cane è incapace di rimanere tranquillo, distrugge casa è
incontenibile ed è aggredito dagli altri cani quando tenta di giocare con loro. Le attività sono
caratterizzate da assenza più o meno totale di struttura e si ritrova solo raramente la fase di
appagamento (risposta ipertrofica e mal strutturata).
Sebbene la componente più “appariscente” di questa patologia sia l’iperattività, è importante
non dimenticarsi che l’ipermotricità è spesso conseguenza dell’ipersensibilità: il cane è
incapace di filtrare le informazioni che riceve e viene continuamente distratto da stimoli
anche minimi presenti nell’ambiente.
Il soggetto generalmente viene portato alla visita per i seguenti motivi:
•
distruzioni sia in presenza che in assenza dei proprietari
•
abbaia a tutto
•
apprende con difficoltà, sembra refrattario a qualsiasi tipo di educazione
•
mordicchia continuamente nel corso del gioco
•
aggressività verso gli altri cani: sembra che voglia giocare ma sistematicamente il
gioco si trasforma in bagarre
•
eccitazione, movimento continuo, continue richieste di attenzione, stereotipie
•
pica
•
satiriasi
Sulla base della presenza/assenza dei disturbi del sonno possiamo definire 2 stadi:
Stadio 1:
•
assenza di inibizione del morso nel cucciolo di più di 2 mesi (o ritardo
nell’acquisizione)
•
incapacità di bloccare una sequenza dopo la fase consumatoria o riapparizione di una
fase appetitiva
•
sazietà alimentare nella norma
•
ipervigilanza associata alla produzione di sequenze comportamentali in presenza di
stimoli normalmente presenti nell’ambiente
Stadio 2
•
sintomi dello stadio 1 accompagnati da:
•
assenza di sazietà alimentare
•
diminuzione globale del sonno (meno di 8 ore nelle 24) senza alterazione dei cicli,
ansia ipnagogica
I disturbi della comunicazione sociale: la dissocializzazione primaria e la desocializzazione
La dissocializzazione primaria (D. p.) è una patologia descritta per la prima volta dal dott. P.
Pageat caratterizzata da un deterioramento della comunicazione sociale.
I cani affetti da questa patologia sono portanti alla visita per i morsi che ricevono o che
infliggono ai loro simili, ma anche la relazione interspecifica è patologica e non è
infrequente registrare aggressioni verso le persone. Il cane dissocializzato è un cane
pericoloso durante la visita, infatti può aggredire il medico veterinario quando cerca di
manipolarlo.
Una definizione molto realistica del comportamento di questi soggetti è quella del dott. Pageat,
che li descrive come delinquenti della specie canina.
Questa metafora che fotografa il loro modo di essere fa pensare al comportamento dei ragazzi
che soffrono di disturbi della condotta, si tratta di giovani che provocano, violano i diritti
altrui e le regole sociali, litigano con i coetanei e gli adulti, sono crudeli con gli animali,
sono degli attacca-briga che non tollerano le imposizioni, rubano e commettono violenze,
sino ad arrivare ad uccidere.
Il comportamento del cane affetto da Dissocializzazione primaria per alcuni tratti è
sovrapponibile, in quanto si tratta di un soggetto di più di 3 mesi di età con aggressione da
irritazione e gerarchica a seguito del tentativo del proprietario di controllarlo. Ruba cibo
con un comportamento aggressivo. Il soggetto non ha atteggiamenti di sottomissione,
preferisce farsi uccidere in seguito a punizioni coercitive piuttosto che sottomettersi. Il cane
quando aggredisce morde violentemente senza il controllo dell’intensità del morso, ma
associa segnali di minaccia, ringhio simultaneo al morso, il morso è trattenuto, il soggetto
non arresta l’aggressione anche se l’avversario emette segnali di sottomissione, le
aggressioni in prossimità della ciotola sono frequenti.
Sempre considerando cani che presentano un deterioramento della comunicazione sociale, si
riconosce una forma “minore” che è la Desocializzazione (D.) il cui comportamento simile
differisce rispetto alla DS in quanto:
1. le aggressioni intraspecifiche compaiono dopo la pubertà
2. i segnali di minaccia scompaiono progressivamente come anche il controllo dell’intensità
dell’aggressione;
3. c’è una progressiva generalizzazione degli animali aggrediti, inizialmente sono aggrediti
solo i soggetti dello stesso sesso, o taglia o colore, poi l’aggressione si estende a tutti i
cospecifici.
Entrambe queste forme presentano dei tratti comuni:
• aggressione senza segnale di arresto;
• comunicazione intra e interspecifica scarna;
• deficitario o assente riconoscimento delle posture di appagamento e sottomissione;
• espressione fissa e/o incoerente.
.
Entrambe le patologie (Dissocializzazione primaria e Desocializzazione) hanno una causa
comune, cioè la perdita della comunicazione sociale.
Vediamo quali sono le differenze:
1. la dissocializzazione primaria è caratterizzata da un difetto di acquisizione dei
comportamenti sociali, che si sviluppano tra la 5ª e la 12ª settimana, per cui il cane non
conosce i segnali di appagamento e la postura di sottomissione e comunica solo con un
comportamento aggressivo. Le cause sono molteplici: precoce separazione dalla madre (4-5ª
settimana) con educazione da parte di persone inesperte - allevamento da parte di una madre
mal socializzata - madre assente soprattutto nel momento del pasto quando vengono date le
regole gerarchiche;
2. la desocializzazione, in questo caso sono cani che hanno appreso i rituali sociali
elementari, ma che li hanno persi, perdendo anche la capacità di comunicazione
intraspecifica. Un ipotesi che spiega questo cambiamento è lo sconvolgimento ormonale che
si verifica alla pubertà. Un’altra causa è il tipo di allevamento, sono cani che non hanno
contatti con altri cani, oppure li hanno solo al guinzaglio (ricordo che il cane al guinzaglio
ha una comunicazione modificata). Oppure sono soggetti che sono allevati per i
combattimenti, ai quali viene insegnato a non sottomettersi.
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