Lavoro emozionale e struttura sociale

Arlie Russell Hochschild
Lavoro emozionale e
struttura sociale
A cura di Massimo Cerulo
ARMANDO
EDITORE
Indice
Presentazione
di Massimo Cerulo
7
Lavoro emozionale e struttura sociale
di Arlie Russell Hochschild
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Riferimenti bibliografici
83
Nota bio-bibliografica
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Presentazione
di Massimo Cerulo
Ogni comprensione è sempre emotiva.
Arlie Russell Hochschild e
la nascita della sociologia delle emozioni1
Nomini Arlie Russell Hochschild e ti viene in mente,
ex abrupto, la sociologia delle emozioni. Vi è un legame indissolubile, un’assonanza immediata tra una delle
più influenti sociologhe statunitensi e la nascita di quella
modernissima branca della sociologia che ha come oggetto lo studio delle emozioni e dei sentimenti considerati come strumenti di incontro e comunicazione sociale.
Come “emergenti sociali”: legami tra idee culturali e situazione strutturale, nonché lenti di osservazione e comprensione della realtà sociale che ci circonda.
In questa sede fornirò una breve presentazione biografica di Hochschild e passerò in rassegna alcuni aspetti
fondamentali delle ricerche sociologiche svolte nel corso
della sua carriera. In seguito, mi concentrerò nell’analisi
e presentazione del saggio Emotion work, feeling rules
and social structure che in questa sede viene presentato
per la prima volta in lingua italiana.
Un destino nell’infanzia
Arlie Russell Hochschild nasce il 15 gennaio 1940 a
Boston, Massachusetts. Figlia di Francis Henry, diplomatico statunitense e ufficiale del governo, cresce in una
famiglia politicamente liberale, ma in cui la differenza
di genere e la divisione dei ruoli domestici sono molto
marcati: se la madre, Ruth Russell, recita la parte della
homemaker, occupandosi della cura della casa e della fi9
Presentazione
glia (pur non trascurando esperienze di volontariato e
assistentato scolastico), il padre svolge il ruolo classico
di breadwinner, anche se attraverso uno status alquanto
elevato, per la carica professionale ricoperta. Immersa in
questo ambiente altolocato, a contatto diretto con diplomatici, consoli e ambasciatori, osservatrice privilegiata
di cerimonie, cene e incontri governativi, la giovanissima
Hochschild inizia a porsi domande sul senso dell’interazione sociale, sulle modalità che la caratterizzano, sulle azioni degli attori che vi prendono parte. Si dichiara
affascinata dallo studio dei comportamenti dell’attore
sociale sempre in bilico tra scena e retroscena, tra parte
recitata in base alla maschera professionale indossata ed
emozioni intime, esperienza interiore:
Conservo un ricordo di me stessa: ero molto piccola
e passavo un piatto di noccioline agli ospiti e, nel
farlo, cercavo i loro sorrisi; i sorrisi dei diplomatici possono apparire diversi se osservati dal basso
invece che da altezza simile. In seguito, ero solita
ascoltare i miei genitori che interpretavano i gesti e
le azioni degli ospiti. Il sorriso angusto dell’emissario della Bulgaria, lo sguardo fuggevole del console
della Cina… Imparai a farlo anche io, consegnando
messaggi non semplici a persone molto differenti tra
loro, da Sofia a Washington, da Pechino a Parigi e da
Parigi a Washington. La domanda è: offrivo noccioline a persone o ad attori? Dove termina la persona
e inizia l’attore? E come sono connesse tra loro persone e azioni?2.
Dall’atteggiamento quotidiano della madre, inoltre,
Hochschild trarrà ispirazioni per le sue future ricerche
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Massimo Cerulo
sul rapporto tra vita intima e quotidianità: i ricordi della
sua infanzia le torneranno infatti molto utili quando andrà ad analizzare il doppio ruolo delle donne statunitensi, da una parte impegnate in ambito lavorativo-professionale e, dall’altra, dedite (spesso obtorto collo) alla cura
della casa e della famiglia3. In un certo senso, è come se
utilizzasse l’esperienza della madre come insegnamento
e spinta per il suo futuro: decisa ad affermarsi sia come
moglie-madre che come professionista nell’ambito lavorativo, riuscirà nel duplice obiettivo.
Nel giugno del 1965 sposa Adam Hochschild, scrittore ed editorialista, con il quale avrà due figli. In quegli
anni, decide di puntare professionalmente sulla carriera universitaria: proprio nel 1965 consegue il Master
(M.A.) in Sociologia alla Università della California di
Berkeley nella quale, quattro anni dopo, sarà dottore di
ricerca (Ph.D.) nello stesso ambito scientifico. Nel 1969
fa il suo ingresso in università in maniera più strutturata: fino al 1971 è Assistant Professor all’Università della
California in Santa Cruz, mentre dal 1971 al 1975 ricopre lo stesso ruolo a Berkeley. Alla carriera universitaria
(non semplice, perché caratterizzata da un environment
prettamente maschile) si affianca una partecipazione militante e appassionata al movimento femminista statunitense (diceva di essere femminista dall’età di tre anni, a
causa della presenza in casa del fratello più grande che
era il favorito dei genitori)4: molto influenzata dalle figure di Simone de Beauvoir e Betty Friedan, conosce a
memoria Il secondo sesso e La mistica della femminilità
e utilizza tali testi come spinta al suo impegno nel movimento (si batterà sempre, nel corso della sua esistenza, per un pieno riconoscimento dei diritti di tutte le
donne, in particolare di quelle madri e lavoratrici)5, ma
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Presentazione
anche come strumenti ermeneutici sia nelle sue attività
quotidiane tra casa e lavoro sia nelle ricerche sociologiche che inizia a compiere. Sono questi infatti gli anni
in cui Hochschild dimostra anche a se stessa la capacità
di sapersi destreggiare egregiamente in entrambe le sfere, quella famigliare e quella lavorativa, e in tutti e due i
ruoli, madre-moglie e professore universitario, tanto da
utilizzare il rapporto tra essi come oggetto di alcune sue
ricerche sociologiche6. Quando il lavoro diventa casa e
la casa diventa lavoro, per citare il titolo di un suo noto
studio, la donna dimostra il suo valore nelle molteplici
attività quotidiane, affermandosi come soggetto senziente multifunzione in grado di garantire (e mediare tra) alti
livelli di produttività e sensibilità affettiva a seconda del
contesto in cui viene a trovarsi.
Ma il suo spirito femminista e la sua pratica militante
le permettono anche un salto qualitativo nell’indagine
sociologica: diventa una delle prime sociologhe statunitensi a compiere ricerche comparative tra sessi diversi
e incrociando ruoli sessualmente differenti, dimostrando così il vantaggio apportato da un cambio di metodo
nell’osservazione e nell’analisi della realtà sociale, al fine
di una più profonda copertura e penetrazione del tessuto sociale indagato.
Arlie Russell Hochschild trova così il suo ambito professionale preferito e il ruolo che le permette di rendere
al meglio, e la carriera universitaria ne risente in positivo: sempre a Berkeley, diventa prima Associate Professor
(nel 1975) e poi Full Professor (nel 1983). Adorata dagli
studenti, stimatissima dai colleghi, riceve diversi riconoscimenti accademici per la qualità della sua didattica e
conia, nel corso delle sue ricerche, espressioni di lavoro,
modelli concettuali – the second shift, the time bind, the
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Massimo Cerulo
stalled gender revolution, cautionary tale, management
of emotions, emotion work – che occuperanno un posto
precipuo e saranno molto utilizzati nei successivi studi
sociologici statunitensi e non solo7.
Attraverso le sue lezioni – è solita affermare di considerare l’insegnamento come una “vocazione” e non
come un lavoro – riesce ad andare oltre la “semplice”
trasmissione di concetti e idee: stimola curiosità intellettuale negli studenti e li spinge a percorrere con passione
la strada dell’apprendimento.
Nel 1983 vede la luce il libro che farà conoscere Hochschild nel mondo: The Managed Heart. The Commercialization of Human Feeling, ricerca che racconta come
le emozioni e i sentimenti degli individui del mondo
occidentale siano stati trasformati dall’avvento di un
mercato capitalistico onnicomprensivo e inglobante, che
trasforma le emozioni in merci da produrre, consumare
e scambiare e, nello stesso tempo, fa sì che anche la vita
intima divenga soggetta alle leggi del mercato. Il libro –
grazie al quale Hochschild viene insignita dei prestigiosi
premi dedicati, rispettivamente, a Cooley e a Wright Mills – affronta tematiche e propone analisi che anticipano
di decenni quello che sarà poi conosciuto, nel Ventunesimo secolo, come uno spirito commerciale della vita
intima: ossia quell’esplosione emozionale che, nella vita
quotidiana tardo moderna, inficia spesso discorso e sfera
pubblica in nome di un obbligo all’emozione, di una necessità di mostrarsi partecipi, emozionalmente drogati,
corporalmente inseriti in interazioni che spesso si rivelano prive di sostanza proprio perché esclusivamente soggette alle logiche capitalistico-commerciali8.
Eppure, la fama scientifica di Arlie Russell Hochschild nasce qualche anno prima, quando, nel 1979, la
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Presentazione
«American Sociological Review» pubblica un suo saggio
sul profondo rapporto che si instaura tra stati emozional-sentimentali e contesto socio-culturale che, come vedremo in seguito, darà formalmente il via alla sociology
of emotions.
Emozioni e vita quotidiana
Il nucleo della teoria sociale di Arlie Hochschild è
rappresentato dal rapporto tra emozioni e vita quotidiana. In tutte le sue ricerche sul campo, così come nelle
sue riflessioni teoriche, l’attenzione agli effetti degli stati
emozional-sentimentali nei comportamenti e negli atteggiamenti individuali quotidiani è sempre precipuo. Dai
tempi dell’impegno nel movimento femminista, all’inizio
della carriera accademica, fino agli anni della maturità
e dei riconoscimenti internazionali, Hochschild non ha
mai messo da parte quello che si può definire il suo primo amore di ricerca: uno studio sociologico delle emozioni e dei sentimenti, intesi come strumenti di osservazione e comprensione sociale: elementi attraverso i quali
analizzare le dinamiche della società, le interazioni tra gli
individui, le differenze di genere nonché le caratteristiche delle strutture istituzionali.
In particolare, uno dei meriti della sociologa statunitense è quello di aver evidenziato il ruolo che svolge
un mercato sempre più opprimente e onnicomprensivo
sulla vita quotidiana degli individui occidentali e nel
loro modo di provare e manifestare emozioni. Attraverso numerosi studi che rappresentano un continuum di
indagine sul rapporto tra vita professionale e vita intima,
Hoschschild mostra il profondo connubio che viene a
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Massimo Cerulo
crearsi tra regole del mercato e atteggiamenti quotidiani.
Meglio, la dipendenza che spesso questi ultimi manifestano nei confronti dei dettami espressi dal mercato. E
tale dipendenza è visibile studiando gli stati emozionalsentimentali provati dagli individui i quali, sottoposti alle leggi del mercato capitalistico e bombardati da
imperativi estetici, pubblicitari e di apparenza, trovano
sempre meno tempo per prendere contatto con le proprie emozioni. Per ascoltarle, maneggiarle, lasciare che
sedimentino. Il tutto a favore di una emozionalità gestita
dalle leggi del mercato che ha effetti dirompenti nell’ambito famigliare e intimo.
Secondo Hochschild, le emozioni caratterizzano
e toccano tutti gli aspetti della nostra vita quotidiana.
Come dimostra in due noti lavori, The Second Shift: Working Parents and Revolution at Home e The Time Bind:
When Work Becomes Home and Home Becomes Work,
le richieste di performance ottimali e di efficienza lavorativa che il mercato richiede ai soggetti costringono la
maggior parte di questi ultimi a infrangere la divisione
tra vita famigliare e vita lavorativa, tra vita intima e vita
professionale, in nome della produttività lavorativa. Il
lavoro non è più confinato nella sede professionale di
appartenenza perché il tempo necessario per essere efficienti sarebbe esiguo. E allora ecco che il lavoro varca i
confini della casa, fa il suo ingresso nella domesticità, con
tutto ciò che ne consegue in negativo per quel che concerne la cura degli affetti familiari. Se il lavoro arriva a
casa, la famiglia (che, secondo Hochschild, necessita per
fiorire di: tempo, immaginazione e di uno scopo morale)
accusa il colpo: il tempo per le emozioni da dedicare ai
propri cari si riduce sempre di più, inoltre, queste ultime subiscono una trasformazione in negativo essendo
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Presentazione
relegate a interstizi temporali che altro non sono se non
pause dall’attività lavorativa. In tale processo, la sociologa statunitense nota come siano le donne a rimetterci
maggiormente in termini di fatica – mentale e fisica – e
di perdita del tempo per sé e per gli affetti. Le donne, infatti, sono chiamate comunque a un doppio lavoro (che
in questo discorso diventa addirittura triplo): restano a
loro i compiti di prendersi cura della casa e di accudire i
figli una volta rientrate dal lavoro, con conseguente esasperazione dei propri stati emozional-sentimentali che
vedono ridotto al minimo il tempo per essere considerati e analizzati, travolti dal vortice delle diverse forme di
lavoro (in The Second Shift Hochschild nota come per le
donne il lavoro si sviluppi senza soluzione di continuità:
nella sede in cui svolgono attività professionale, a casa
per la cura degli ambienti domestici (lo fa il 75% delle
donne intervistate) e sempre a casa per l’accudimento
dei figli (nell’80% dei casi)). Emerge da tali ricerche una
impossibilità di separazione tra lavoro e casa, in quanto
ambiti non più distinti bensì confusi, mescolati, sovrapposti con conseguente stravolgimento e disequilibrio
delle emozioni che subiscono a loro volta una preoccupante mescolanza tra pubblico e privato.
Tale analisi viene portata avanti e approfondita in
quella che sarà la ricerca più premiata e conosciuta nel
mondo di Arlie Russell Hochschild: The Managed Heart.
Commercialization of Human Feeling, in cui si dimostra
quanto le emozioni individuali siano costruzioni e vittime delle logiche professionali e commerciali veicolate dal mercato. Studiando la quotidianità professionale
di un gruppo di hostess di una nota compagnia aerea
statunitense, Hochschild evidenzia come questi soggetti
manifestino emozioni ad hoc, costruite a tavolino e ne16
Massimo Cerulo
cessarie alla loro produttività professionale. Armonia,
accondiscendenza, simpatia, tranquillità, serenità sono
alcuni degli stati emozional-sentimentali che le hostess
sono costrette a manifestare continuamente nel loro ambito di lavoro, pena un notevole abbassamento della loro
performance professionale ed evidenti ripercussioni sui
clienti con cui interagiscono quotidianamente. Il punto
che la sociologa statunitense sottolinea, a prescindere
da giudizi di valore su tali comportamenti o richieste di
emozionalità a comando, è che abbiamo a che fare con
attori piuttosto che con individui, con soggetti costruiti
invece che “autentici”, in cui la maschera e l’uniforme
sembrano occupare ogni spazio della propria vita quotidiana. Ciò appare ancora più evidente quando diversi
soggetti dichiarano la loro difficoltà nello smettere maschera e uniforme professionali una volta usciti dal lavoro e rientrati nell’ambito famigliare, quasi a certificare
un distacco tra emozioni da lavoro – emozioni professionali necessarie al soddisfacimento della performance
lavorativa – ed emozioni private – autentiche, fedeli alla
propria coscienza – che verrebbero così sempre più abbandonate in un canto della nostra coscienza. Le hostess
in questione (ma esse non rappresentano che una metafora dei gruppi professionali della nostra quotidianità) si
applicherebbero a manifestare e vendere emozioni commerciali che garantiscono il successo della loro attività
lavorativa e dell’azienda da cui sono assunte.
Tale comportamento non deve stupire, soprattutto
se consideriamo il contesto in cui viene attuato: gli Stati Uniti, alfieri dell’idea del self made man, in cui conta
moltissimo come gli altri ti vedono, piuttosto che come
tu sei. E Hochschild, che conosce a memoria gli studi
goffmaniani sull’identità sociale, sul distacco dal ruolo
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Presentazione
e sulla teatralità degli atteggiamenti quotidiani, sottolinea come tali comportamenti potrebbero implicare un
distacco da quel sé intimo, emozionale, che ciascuno di
noi conserva dentro di sé a favore della maschera professionale e delle emozioni forzatamente veicolate da
quest’ultima9.
In tal senso, risulta notevole l’attualità della ricerca
raccontata in The Managed Heart, trent’anni dopo la sua
pubblicazione: se gli Stati Uniti risultano essere, a oggi,
il Paese dal consumo maggiore di psicofarmaci nonché
quello in cui la cultura emozionale è divenuta terapeutica, già nella fase della socializzazione secondaria, un
motivo ci sarà10. Il ricorso ad analisti e psicoterapeuti è
frequentissimo già nella fase della pubertà se il ragazzo
mostra di non essere omologato ai comportamenti dei
suoi compagni, se si avvertono manifestazioni emozionali differenti da quelle veicolate dal mercato e incollate
dall’alto agli adolescenti. Una cultura emozionale terapeutica che, postulando un sé fragile e debole e incapace
di gestire autonomamente gli stati emozional-sentimentali provati individualmente, ricorre ad aiuti esterni al
fine di reprimere quelle emozioni non commerciali, ossia
non adeguate al ruolo socio-professionale ricoperto11. E
così, come le hostess della ricerca di trent’anni fa (ma
queste ultime lo facevano per lavoro), molti adolescenti e giovani statunitensi sono costretti a emozionarsi a
comando, nascondendosi dietro la maschera dell’omologazione sociale e commerciale, pena l’etichettamento,
l’ostracismo della società dell’immagine e, sempre più
spesso, l’obbligo di ricorrere a cure farmacologiche12.
Il paradosso della società terapeutica contemporanea è
che, pur provando emozioni ricorrenti, veloci e avvolgenti, sembra di essere sempre più soli perché viene
18
Massimo Cerulo
meno il contatto con la propria interiorità, con quell’io
profondo che rappresenta il nucleo del nostro sentire13.
E tale discorso torna in maniera prepotente anche
nella raccolta di saggi The Commercialization of Intimate Life, in cui Hochschild si concentra ancora sul ruolo
onnicomprensivo e patologico svolto dal mercato nella
società statunitense, analizzando quanto esso abbia colonizzato ambiti privati o intimi come la sfera famigliare o amicale. Riprendendo alcune ricerche da lei svolte
sia presso suoi studenti dell’Università della California
(Berkeley) e sia con soggetti impiegati per imprese americane con sede nella West Coast, la sociologa statunitense evidenzia quanto sia difficile, oggi, manifestare
le proprie emozioni senza compromettere la carriera
lavorativa. E, di riflesso, fa emergere la crisi in cui versa la maggior parte delle coppie americane incapaci di
trovare un equilibrio tra lavoro professionale e gestione della famiglia. “Sempre di meno produciamo cura.
Sempre di più consumiamo. Effettivamente, sempre di
più ‘facciamo’ cura acquistando il diritto ai servizi o agli
oggetti”, che, tradotto, vuol significare una mancanza di
tempo per analizzare il processo di realizzazione di un
obiettivo, privilegiando esclusivamente il raggiungimento del risultato14. Così facendo, divengono estemporanei
e straordinari gli spazi e i momenti per gli affetti, per la
sedimentazione dei sentimenti, per l’ascolto delle proprie emozioni. Invece di porsi domande su cosa si stia
provando in un determinato momento, verso chi e con
quali manifestazioni, lasciamo che siano le regole del
mercato capitalistico a travolgerci, diventando automi
emozionali dipendenti dal mercato e incantati dal soddisfacimento dei desideri che quest’ultimo genera nella
nostra vita quotidiana.
19
Presentazione
Si assiste così alla ricerca di soluzioni ai problemi di
vita quotidiana nei prodotti veicolati dallo stesso mercato e dai media: talk-show televisivi, forum in rete, ricorso
ai numerosi manuali di auto-aiuto. Avendo sempre meno
tempo da dedicare alla cura della famiglia, si sceglie di
risolvere i problemi sentimentali e privati rivolgendosi
alle autorità impersonali della tarda modernità. Così facendo, però, si accettano gli aspetti più deleteri del capitalismo: l’intimità viene commercializzata e si assiste
alla nascita di quello che Hochschild definisce, citando
Max Weber, spirito commerciale della vita intima15. In
tale discorso, la sociologa statunitense sostiene che si sia
passati dalla “padella” del regime patriarcale alla “brace” dell’individualismo del mercato capitalista. Da una
famiglia estesa si è arrivati a una famiglia nucleare in cui
le emozioni vengono represse – al fine di evitare qualsiasi
forma di turbamento morale – e i compiti genitoriali delegati al mercato. Capita così di vedere sempre più aziende statunitensi offrire ai propri dipendenti servizi per la
coppia (seminari per la gestione della relazione, sportelli
bancari, lavanderie), per il benessere individuale (centri
estetici, club di gioco, corsi sportivi) o per i figli (servizi
di baby-sitter, di asilo, organizzazione feste di compleanni). Tutto ciò non fa che illudere la coppia sulla loro presunta compattezza e portare molte famiglie a separare
un’immagine ideale di sé come “famiglia unita” da una
vita quotidiana frammentata ed individualizzata16. La famiglia statunitense, allora, appare in pezzi. Gli individui
si rifugiano nel lavoro, considerato come fonte principale di sicurezza, e chiedono al mercato di soddisfare i loro
bisogni e fortificare il loro individualismo.
Ma come è possibile studiare le emozioni e i sentimenti da una prospettiva sociologica e perché essi pos20
Massimo Cerulo
sono esserci così utili nell’osservazione e comprensione
delle interazioni e dei rapporti sociali? Arriviamo così al
cuore delle problematiche analizzate nel saggio qui presentato e alla nascita della sociologia delle emozioni.
Lavoro emozionale, regole del sentire e struttura sociale:
la sociologia delle emozioni
Emotion work, feeling rules and social structure appare sull’«American Journal of Sociology» nel 1979.
Tradotto qui per la prima volta in lingua italiana, questo saggio rappresenta una svolta per quel che concerne
la sociologia delle emozioni: è con esso, infatti, che tale
branca scientifica viene articolata nei suoi obiettivi, ne
vengono definiti il campo di indagine e, soprattutto, le
parole chiave che andranno a sviluppare le ricerche nel
corso degli anni. Hochschild ebbe tale intuizione qualche
anno prima quando, nel corso dei suoi studi nell’ambito
del movimento femminista sul rapporto tra le differenti
quotidianità lavorative e famigliari di uomini e donne, si
rese conto che era necessario procedere a una analisi delle forme emozional-sentimentali che caratterizzavano gli
stessi, poiché strumenti precipui di comprensione della
realtà sociale nonché delle differenze di genere17.
Possiamo quindi spingerci ad affermare che è con
Emotion work, feeling rules and social structure che nasce formalmente la sociologia delle emozioni, che essa
acquisisce la sua cassetta degli attrezzi per indagare la
realtà sociale18. Andiamo a presentarlo.
Uno dei privilegi di questo lavoro è la chiarezza espositiva con cui l’autrice si esprime: spiega perché le emozioni possono essere indagate sociologicamente, propone
21
Presentazione
e chiarisce concetti precipui per svolgere un tale lavoro
(riportando a supporto stralci di interviste), nonché suggerisce – anche se tra le righe e in chiusura di testo – alcune ipotesi di lavoro su cui articolare studi successivi.
Sappiamo che uno degli obiettivi principali delle ricerche hochschildiane è quello di costruire “una lente di ingrandimento e un paio di occhiali bifocali per individuare
gli innumerevoli legami che sussistono fra un mondo che
dà forma alle emozioni e ai sentimenti delle persone, e le
persone stesse che provano emozioni e sentimenti”19. In
tal senso, Hochschild sostiene la necessità sociologica di
studiare la realtà sociale delle emozioni e dei sentimenti,
in quanto ritiene questi ultimi fondamentali per la comprensione dei differenti contesti sociali.
L’obiettivo del saggio in questione è quello di evidenziare i legami che emergono tra struttura sociale, regole
del sentire, lavoro emozionale ed esperienza emotiva,
al fine di suggerire un’area di indagine per la sociologia
delle emozioni. Sono proprio queste ultime che attraggono l’attenzione della sociologa statunitense. Considerandole come strumenti di incontro e comunicazione tra
gli individui e mezzi di comprensione della realtà che ci
circonda, Hochschild prova a rispondere a tre domande principali che si pone all’inizio del saggio: per quale motivo l’esperienza emotiva nella vita quotidiana di
un adulto normale è così ordinata? Perché, in termini
generali, le persone si sentono allegre alle feste, tristi ai
funerali, contente ai matrimoni? Come i fattori sociali influenzano quello che le persone pensano e fanno di quello che sentono (atti di gestione delle emozioni)?
E la risposta a tali questioni è che esistono regole di
espressione emozional-sentimentale che caratterizzano la
società e le interazioni tra gli individui. Regole che, interio22
Massimo Cerulo
rizzate dai soggetti attraverso la socializzazione primaria e
secondaria, vengono rispettate o violate attraverso il cosiddetto lavoro emozionale (emotion work) da cui nessuno di
noi può dichiararsi immune. Andiamo per ordine.
Intanto, Hochschild chiarisce subito che di emozioni non si può parlare soltanto in termini irrazionali o
collettivi – à la Durkheim –, come elementi perturbatori dell’equilibrio sociale, poiché esse rappresentano
parte consistente del nostro agire sociale20. Come tali, è
necessario studiarle attraverso l’utilizzo di una prospettiva emozional-gestionale che si concentri sul rapporto
tra soggetto che sente, emozione e situazione sociale: “in
sintesi, la prospettiva emozional-gestionale presta attenzione a come le persone tentano di sentirsi e non, come
fa Goffman, a come le persone tentano di sembrare che
si sentano. Questo conduce a occuparci di come le persone si sentono consciamente e non, come fa Freud, a
come si sentano inconsciamente”.
Superando le contrapposte prospettive interazioniste
e organiciste offerte da Goffman e Freud – i quali hanno analizzato i sentimenti parlando, rispettivamente, di
io conscio e del rapporto tra conscio e inconscio intesi
come livelli diversi dell’apparato psichico – la sociologa
statunitense ha il merito di coniare l’espressione io senziente, inteso come un io che ha la capacità di provare
emozioni a seconda della situazione sociale nella quale
è situato e che, nello stesso tempo, è consapevole di farlo. Un soggetto che mescola emozioni e ragione nel suo
agire sociale, che riesce a fermarsi e riflettere sulla sua
emozionalità, che non si ferma alla facciata comportamentale dei suoi stati emozional-sentimentali ma prova
a comprendere il senso e il significato di un sentire, evitando di lasciarsi travolgere da situazioni emotive create
23
Presentazione
da altri e che, spesso, non gli appartengono21. Il soggetto
senziente è quel soggetto che riesce a ritagliarsi uno spazio critico nella propria vita quotidiana all’interno del
quale riflettere sugli eventi, sulle azioni, sulle interazioni,
prendendo pausa dai vorticosi ritmi imposti dalla società capitalistica-commerciale. Uno spazio in cui prestare
ascolto alle e riflettere sulle proprie emozioni e manifestare pienamente i propri sentimenti sia in ambito lavorativo che, soprattutto, in quello famigliare. Uno spazio
in cui “ritrovar se stessi”, e provare a essere, in termini
hochschildiani, meno attori e più persone.
Hochschild sostiene che le emozioni abbiano una
marcata matrice sociale: a seconda dei contesti, delle
strutture istituzionali e delle culture in cui agiamo quotidianamente, manifestiamo emozioni in un determinato
modo piuttosto che in un altro, così come daremo nomi
diversi a emozioni simili. La situazione sociale influenza
in modo diretto la manifestazione emozionale, che muta
a seconda delle società e dei contesti storici. Le emozioni, nella loro sostanza, non cambiano – con buona pace
di alcune recenti pubblicità televisive italiane –, mutano
invece le loro modalità di manifestazione ed espressione,
che risentono di diversi elementi: biografici, culturali,
sociali, storici22.
Le emozioni quindi sarebbero costruite e contrattate
socialmente, almeno in gran parte. L’io senziente, infatti,
è quel soggetto che pur riconoscendo un sentire, ossia
una nascita dell’emozione dal di dentro, dalla propria
interiorità, sa bene che la manifestazione di quest’ultima è soggetta a regole sociali nonché vincolata, nella sua
espressione, dalle interazioni e dagli accordi tra gli individui. In tal senso, utilizzando gli studi goffmaniani,
Hochschild chiarisce come sia necessario apparire tristi
24
Massimo Cerulo
nel corso di un funerale occidentale o contenti durante
un compleanno, pena l’ostracismo degli altri partecipanti e il ricevimento di forme di stigma negativi perché si
mette a rischio la tenuta della situazione sociale, di quel
framework di riferimento che mantiene in piedi lo stesso
rito sociale. Basti pensare a cosa succederebbe se, nel
corso di un rito funebre, qualcuno dei presenti iniziasse
a ridere sguaiatamente, o a salutare i conoscenti con sorrisi e battute ilari: la stessa situazione sociale rischierebbe
di crollare perché verrebbe meno la definizione di quella
situazione (il framework cognitivo condiviso dai partecipanti e vincolato alla struttura sociale di riferimento) che
permette di prendere parte e celebrare il rito.
Come l’autrice chiarisce nella prima parte del saggio:
“Ogni episodio interazionale assume il carattere di un
minigoverno. Un gioco di carte, una festa, un saluto per
strada esigono da noi certe ‘tasse’ sotto forma di apparenze che ‘paghiamo’ al fine di sostenere l’incontro. Veniamo ripagati con la moneta dell’essere salvi dal discredito”. Fin qui, sembrerebbe una ripresa delle intuizioni
goffmaniane sulle caratteristiche del comportamento in
pubblico. Ma Hochschild va oltre e, criticando Goffman, sostiene che i fattori sociali, nella loro influenza,
vadano ben oltre la maschera o la pelle “sociale” che gli
individui adottano nelle loro attività quotidiane. I fattori
sociali influenzano direttamente gli stati emotivi e la loro
manifestazione, costringendo il sé a una gestione necessaria dei propri stati emozional-sentimentali. In tale
processo, svolge un ruolo precipuo il concetto di lavoro
emozionale che rappresenta una delle scoperte sociologiche di Arlie Russell Hochschild.
Con lavoro emozionale intendiamo «l’atto di provare
a cambiare in grado o qualità una emozione o un senti25
Presentazione
mento». Come chiarisce Hochschild, esso si riferisce allo
sforzo – l’atto del provare – e non al risultato, che può
essere positivo o meno, e si distingue in due tipi generali: l’evocazione e la soppressione di uno stato emozionalsentimentale. Ad esempio, si compie lavoro emozionale
quando ci impegniamo a essere tristi nel corso di un funerale, anche se qualche ora prima abbiamo ricevuto la
notizia di una promozione al lavoro (repressione di euforia e gioia, lavoro emozionale svolto dal sé sul sé), oppure quando, come nella intervista riportata nel saggio, si
frequenta un nuovo partner concentrandosi sui lati che
più ci attirano (evocazione di interesse e attrazione, lavoro emozionale del sé sull’altro).
Inoltre, vi sono tre tecniche principali di lavoro emozionale: cognitiva (variazione di immagini, idee o pensieri), corporea (cambiamento dei sintomi somatici e fisici,
come respirare più o meno profondamente)23, espressiva
(modifica dei gesti, come sforzarsi di sorridere)24.
Secondo Hochschild, il soggetto è costretto a lavorare sulle proprie emozioni per allinearle all’atteggiamento
indicato dal contesto professionale e socionormativo in
cui agisce. Per fare in modo di rispettare quelle regole
del sentire (feeling rules) che ogni contesto, interazione,
evento, situazione sociale contiene al suo interno. E qui
il discorso si complica, perché le regole del sentire hanno
direttamente a che vedere con le convenzioni sociali e
con le emozioni o i sentimenti che la società o la propria
cerchia sociale di appartenenza vogliono che vengano
manifestate in determinate situazioni. Le regole del sentire ci dicono, nomen omen, cosa bisognerebbe provare
in un particolare momento o contesto (si veda l’esempio
della sposa proposto da Hochschild nel testo) e, per farlo, si ricorre al lavoro emozionale che ci aiuta a cercare
26
Massimo Cerulo
di sentire o almeno manifestare quel determinato stato
emozional-sentimentale. Come puntualizza l’autrice:
A volte molti di noi possono vivere in maniera disarmonica tra il “dovrei” e il “voglio”, o tra il “voglio” e il “cerco di”. Ma i tentativi di ridurre questa
disarmonia emotiva sono sempre tracce delle regole
del sentire. […] Una regola del sentire ha in comune alcune proprietà formali con altri tipi di regole,
quali ad esempio le regole dell’etichetta, le regole
del comportamento fisico e quelle dell’interazione
sociale in genere. [Essa] delinea una zona in cui si
ha il permesso di essere liberi di preoccuparsi, di
sentirsi colpevoli o di provare vergogna rispetto al
sentimento della situazione.
Se qui il discorso si complica è perché tale concettualizzazione è estremamente attuale, pur se prodotta oltre
trenta anni fa. Nel Ventunesimo secolo, l’obbligo di rispettare le regole del sentire ha generato fenomeni di devianza
emozionale estremi, basti pensare al caso giapponese (e
ormai non solo) degli hikikomori, ossia oltre un milione di
individui che, rifiutando le ferree regole emozional-sentimentali della società nipponica, hanno deciso di chiudersi
in casa e interagire col mondo esterno soltanto attraverso
le possibilità offerte dalla rete25. Ma anche alle cangianti
e numerosissime forme di commercializzazione, teatralizzazione, falsificazione emozional-sentimentale che molti
mass media permettono, veicolano o impongono nella
nostra società dal capitalismo vorace e onnivoro26.
Le regole del sentire sono ambivalenti: se da una parte possono permettere una facile omologazione al contesto sociale di riferimento, una pratica di atteggiamenti
e comportamenti comuni senza che questi ultimi ven27
Presentazione
gano messi in discussione, un inserimento indolore nel
flusso del senso comune e del così deve essere, dall’altra
possono generare l’emergere di dubbi e riflessioni sulla propria vita quotidiana, diventare casse di risonanza
per quel brusio interiore che spesso ci porta a fermarci
e pensare, a lasciare sedimentare le nostre emozioni e
interrogarle, a porci la fatidica domanda: cosa sto provando, ora, dentro di me?
Di sicuro, le regole del sentire (coadiuvate dal lavoro
emozionale) sono strumenti di scambio sociale. Hochschild è categorica su questo punto. In base a quanto si
riesca a controllare (coping), evocare, reprimere, insomma gestire i propri stati emozional-sentimentali si possederà maggior capitale simbolico nell’interazione sociale.
E quindi maggior potere di incidere negli scambi sociali.
Non a caso, col passare dei decenni sono fioriti corsi di
gestione emozionale, figure di trainer emozionali, master
in conoscenza delle emozioni che riflettono la necessità
della società occidentale terapeutica di gestire al meglio
il proprio sentire (anestetizzarlo, forse; di sicuro, fare in
modo che non nuoccia alla produttività e all’efficienza
lavorativa). E anche la politica di professione ha subito
una notevole accelerata verso l’apprendimento di quelle
microtattiche emozionali necessarie a ottenere consensi
se non, addirittura, a vincere un’elezione27.
Le emozioni e i sentimenti divengono quindi merci
da scambiare sul mercato della società capitalistica. Il
lavoro emozionale e le regole del sentire strumenti da
padroneggiare al meglio se si vuole essere efficienti professionalmente e individualmente, se si ha come obiettivo quello di scalare le classi sociali e ottenere premi e
riconoscimenti lavorativi. Come mette in evidenza l’autrice alla fine del saggio, infatti, l’ipotesi è che tra le classi
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Massimo Cerulo
sociali e il lavoro emozionale vi sia una corrispondenza
direttamente proporzionale: maggiore sarà quest’ultimo,
più alta sarà la posizione professionale che il soggetto
potrà raggiungere e ricoprire (si pensi a quanto in profondità debba gestire i suoi stati emozional-sentimentali
un Primo Ministro o un amministratore delegato o un
docente universitario) e viceversa (il contadino o l’operaio praticherà un lavoro emozionale relativo perché il
suo impiego è quasi del tutto materiale, con un numero
di relazioni sociali limitato)28.
Hochschild ha il merito di essere stata tra i primi studiosi sociali a considerare e a definire emozioni e sentimenti come prodotti sociali e oggetti di analisi sociologica: direttamente dipendenti nella loro manifestazione
dalla società di cui si è parte e dalle regole da essa veicolate. Da una parte, emozioni e sentimenti divengono
strumenti di potere e affermazione sociale e professionale: la loro gestione permette di incidere profondamente
nelle interazioni e nelle situazioni sociali in cui si agisce;
dall’altra, è la stessa società che può essere analizzata utilizzando emozioni e sentimenti come lenti privilegiate di
osservazione delle dinamiche sociali, come occhiali magici attraverso cui raccontare quello che le persone fanno, come vivono e come interagiscono l’un l’altra nell’interpretazione e costruzione del proprio mondo.
D’altronde, se la realtà è parte di una costruzione sociale, essa non può riguardare soltanto il mondo delle
istituzioni o la sfera cognitiva, ma affonda fino alla messa
in forma delle nostre stesse emozioni.
Se il sonno di queste ultime genera mostri, Arlie Russell Hochschild sta bene attenta a non farci addormentare.
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Presentazione
NOTE
1 Desidero ringraziare Franco Crespi e Renate Siebert per
aver letto il testo e per i loro preziosi suggerimenti, e Tessa
Marzotto per la fondamentale consulenza in fase di traduzione
del saggio. Infine, grazie a Sandro Ferrara, per aver creduto
fortemente in questo progetto.
2 A.R. Hochschild, The Managed Heart. The Commercialization of Human Feeling, Berkeley: The University of California Press, 1983, p. IX.
3 Col passare del tempo, nutrirà una profonda stima nei
confronti di sua madre, riconoscendo la sua capacità di prendersi amorevolmente cura della casa, del marito e della figlia.
La riteneva unica nello svolgimento di tale compito, pur riconoscendo in lei una mancanza latente di felicità (cfr. A.R. Hochschild, The Commercialization of Intimate Life: Notes From
Home And Work, San Francisco-Los Angeles: University of
California Press, 2003).
4 In tal senso, però, anche la madre recita un ruolo importante, sottolineando spesso alla figlia la necessità di una parità
(sociale, giuridica, sessuale, quotidiana, ecc.) tra i sessi.
5 Dal 1997 al 2001 dirigerà il Center for Working Families,
a Berkeley.
6 Si vedano le ricerche The Time Bind: When Work Becomes Home and Home Becomes Work, New York: Metropolitan/Holt, 1997 e The Second Shift: Working Parents and the
Revolution at Home (con Anne Machung), New York: Viking
Penguin, 1989.
7 Sull’eco mondiale delle ricerche hochschildiane si vedano
A.I. Garey, K.V. Hansen (eds.), At the Heart of Work and Family: Engaging the Ideas of Arlie Hochschild, New Brunswick,
NJ: Rutgers University, 2011; D. Alis, Travail emotionnel, dissonance emotionnelle, et contrefaçon de l’intimité: vingt-cinq ans
après la publication de Managed Heart d’Arlie R. Hochschild, in
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Massimo Cerulo
I. Berrebi-Hoffmann (ed.), Politiques de l’intime, Paris: Editions La Découverte, 2009.
8 Cfr. G. Turnaturi, Emozioni: maneggiare con cura, in E.
Illouz, Intimità fredde. Le emozioni nella società dei consumi,
trad. it. Milano: Feltrinelli, 2007, pp. 9-25.
9 In tal senso, credo che Hochschild sottoscriverebbe la
definizione di “io sociale” che ha fornito William James oltre
un secolo fa: “L’io sociale di un uomo è il riconoscimento che
egli ottiene per parte dei propri simili. Noi non siamo soltanto animali gregari, che amano restare commisti ai loro propri
compagni, ma abbiamo una tendenza innata a farci distinguere
nel modo più favorevole che per noi si possa. Non si potrebbe
immaginare una punizione più maligna, dato che sarebbe una
cosa fisicamente possibile, di quella che un individuo debba
girare da solo nella società, senza che nessuno gli presti minimamente attenzione” (W. James, Principi di psicologia, trad. it.
Milano: Società editrice libraria, 1905, p. 222).
10 Sulla trasformazione della società contemporanea in società terapeutica si veda C. Lasch, La cultura del narcisismo,
trad. it. Milano: Bompiani, 1980.
11 Sulla necessaria repressione delle emozioni veicolata dalla società commerciale, si veda la ricerca di T. Scheff, Catharsis
in Healing, Ritual and Drama, Berkeley: University of California Press, 1979.
12 Come risulta da un’informale ricerca svolta qualche anno
fa da colleghi della New York University, molti giovani statunitensi fra i 18 e i 35 anni sembrano aver imparato a non manifestare emozioni personali o “autentiche”, in quanto teoriche
fonti di rivoluzione dell’identità sociale. Invece che correre il
rischio di mettere in discussione il proprio “io sociale”, essi
preferiscono rinchiudersi nelle loro certezze e, spesso, soffrire.
Alla domanda posta dai colleghi americani: “Sei solito seguire
le tue emozioni (ciò che senti dentro e non quello che vedi
fare agli altri)?”, la risposta più volte ottenuta sembra essere
stata: “I don’t wanna go there”. Non voglio andare lì. Come
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Presentazione
se quell’altrove di cui parlano, quella zona emotiva presente
ma nascosta dentro ognuno di noi sia fonte di disturbo e turbamento. È quasi meglio dimenticare di possederla, piuttosto
che riandarci anche solo col pensiero. Ringrazio Francesca
Galmacci per le conversazioni sull’argomento.
13 Come nota Furedi, tale cultura terapeutica è diffusa soprattutto negli Stati Uniti e in Gran Bretagna dove si fa sempre
più spesso ricorso a pratiche terapeutiche per superare shock
collettivi o problemi personali. Tuttavia, poiché postula un sé
fragile e debole, necessitante di aiuto esterno e di mezzi per
addomesticare (reprimendole in gran parte) le proprie emozioni, «la cultura terapeutica ha contribuito a creare un senso
diminuito del sé, carente sul piano emotivo e consapevole in
ogni istante della propria vulnerabilità. La caratteristica più
significativa della cultura terapeutica non è tanto quella di promuovere il sé, quanto di allontanarlo dagli altri, cristallizzando
in questo modo la tendenza contemporanea all’individualizzazione» (F. Furedi, Il nuovo conformismo. Troppa psicologia
nella vita quotidiana, trad. it. Milano: Feltrinelli, 2008, p. 29).
14 A.R. Hochschild, The Commercialization of Intimate
Life, cit.
15 Secondo Hochschild, ciò è possibile anche grazie alla
piega assunta negli anni dal movimento femminista il quale,
privilegiando la carriera lavorativa e una sorta di individualismo laico quasi assoluto, sembra veicolare una cultura della
freddezza e un diritto al disimpegno nei sentimenti.
16 A.R. Hochschild, Per amore o per denaro. La commercializzazione della vita intima, trad. it. Bologna: il Mulino, 2006,
p. 148 e sgg.
17 A.R. Hochschild, The Sociology of Feeling and Emotion:
Selected Possibilities, in M. Millman, R. Moss Kanter (eds.),
Another Voice: Feminist Perspectives on Life and Social Science,
Garden City: Doubleday, 1975, pp. 280-307.
18 Qualche mese prima era stato pubblicato il lavoro di T.
Kemper, Towards a Sociology of Emotions: Some Problems and
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Massimo Cerulo
Some Solutions, «The American Sociologist», 13, 1978, pp.
30-41, trampolino di lancio per il lavoro hochschildiano (cfr.
P. Iagulli, Arlie Russell Hochschild, Susan Shott e Theodor D.
Kemper: interazionismo e positivismo nella nascente sociologia
delle emozioni, in Id., La sociologia delle emozioni. Un’introduzione, Milano: Franco Angeli, 2011, pp. 46-62.
19 A.R. Hochschild, Per amore o per denaro. La commercializzazione della vita intima, cit., p. 89.
20 Sulla trasformazione del giudizio sulle emozioni e passioni nelle scienze filosofiche e sociali si veda E. Pulcini, Per
una sociologia delle emozioni, «Rassegna Italiana di Sociologia», XXXVIII, 4, 1997, pp. 641-649. Sul rapporto tra Durkheim e le emozioni mi permetto di rimandare a M. Cerulo, Il
sentire controverso. Introduzione alla sociologia delle emozioni,
Roma: Carocci, 2010, cap. 2.
21 Sul punto, mi permetto di rimandare a M. Cerulo, Sotto
cieli noncuranti. Il connubio tra emozioni e ragione nell’agire
sociale dell’homo sentiens tardo moderno, in F. Crespi, M. Cerulo (a cura di), Emozioni e ragione nelle pratiche sociali, Napoli:
Orthotes, 2013.
22 Hochschild appartiene alla corrente interazionista della sociologia delle emozioni, poiché identifica queste ultime
come elementi esistenti nell’organismo umano ma che prendono forma grazie alle relazioni sociali e che dipendono direttamente dalla definizione della situazione in cui si agisce, ossia
dal contesto socio-culturale di riferimento [cfr. G. Turnaturi (a
cura di), La sociologia delle emozioni, Milano: Anabasi, 1995].
Recentemente, Turner e Stets hanno analizzato gli approcci
sociologici statunitensi al tema delle emozioni, inserendo la
teoria sociale di Hochschild nella corrente culturale o drammaturgica, poiché considera le emozioni come elementi di una
cultura condivisa e come mezzi di comunicazione interazionale all’interno di regole socialmente statuite (J.H. Turner, J.E.
Stets (eds.), The Sociology of Emotions, Cambridge: Cambridge
University Press, 2005). Sul punto, si veda anche P. Iagulli, La
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Presentazione
sociologia delle emozioni nordamericana: i principali approcci
teorici, in Id., La sociologia delle emozioni, cit., pp. 67-96.
23 Deep acting: ricorso a strategie di ampia portata, come la
modificazione di stati fisici o mentali, al fine di evocare l’emozione più conforme alle norme sociali (processo di modificazione del sentire dall’interno verso l’esterno).
24 Surface acting: l’individuo assume la postura tipica che
avrebbe se manifestasse l’emozione desiderata, nella speranza
di arrivare a sentirla davvero (processo di modificazione del
sentire dall’esterno verso l’interno).
25 Sul fenomeno hikikomori si vedano M. Zielenziger, Non
voglio più vivere alla luce del sole, trad. it. Roma: Eliot, 2008;
A. Furlong, The Japanese hikikomori phenomenon, «The Sociological Review», 56(2), pp. 309-25.
26 Sul punto si vedano G. Turnaturi, Vergogna. Metamorfosi di un’emozione, Milano: Feltrinelli, 2012; Id., Emozioni: maneggiare con cura, cit.; E. Illouz, Intimità fredde. Le emozioni
nella società dei consumi, trad. it. Milano: Feltrinelli, 2007; M.
Cerulo, Il sentire controverso, cit., cap. 3; K.S. Lowney, Baring
Our Souls: TV Talk Show and the Religion of Recovery, Chicago: Aldine, 1999.
27 Si vedano M. Cerulo, Emozioni e politica nella società
contemporanea, in P. Morris, F. Ricatti, M. Seymour (a cura di),
Politica ed emozioni nella storia d’Italia dal 1848 a oggi, Roma:
Viella, 2012, pp. 285-297; C. Clark, Emotions and Micropolitics
in Everyday Life: Some Patterns and Paradoxes of “Place”, in
T.D. Kemper (ed.), Research Agendas in the Sociology of Emotions, Albany: SUNY Press, pp. 305-333.
28 D’altronde, già Elias sottolineava la necessità di un controllo e di un affinamento delle emozioni in concomitanza
dell’aumento della stratificazione sociale (N. Elias, Il processo
di civilizzazione, trad. it. Bologna: il Mulino, 1988).
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