Messa a fuoco 8 Razza Questa notissima fotografia di Toscani per Benetton è interessante per gli accoppiamenti che presenta fra tipi fisici diversi e fra giovani dall’orientamento sessuale molto libero (quattro coppie etero e tre coppie omo). È, con intento evidente, una parodia di classificazioni pseudoscientifiche delle cosiddette «razze» in cui si dividerebbe, secondo i vecchi trattati di antropologia, la specie umana, con in posizione prevalente il tipo fisico ariano (pelle bianca, capelli biondi, occhi verdi) sul modello di quella qui riprodotta, anch’essa di Toscani per Benetton. Mi pare evidente che le immagini di Toscani, usate per fare pubblicità commerciale per dei capi di abbigliamento, alludano furbescamente alle dichiarazioni solenni dell’UNESCO, emanate nel 1950 e nel 1978, nelle quali è proclamata la non scientificità delle classificazioni dei vecchi antropologi e l’inesistenza di razze biologicamente diversificate in seno alla specie umana derivando questa, come sostengono Cavalli Sforza e tanti altri genetisti, da un unico ceppo. Purtroppo, a dispetto delle dichiarazioni UNESCO, la parola razza continua a essere usata, con sfumature più o meno evidenti di pregiudizio razziale, in riferimento ai più diversi contesti umani. Le teorie e le tipologie elaborate nel secondo Ottocento, sulla base del colore della pelle o 1 della misura del cervello, da personaggi come Johann Friedrich Blumenbach (secondo lui, cinque razze: caucasica, mongolica, etiopica, americana, malese), Arthur de Gobineau, Vaucher de Lapouge, Max Müller, Gustav Kossinna, Stewart Chamberlain, e nel Novecento da Madame Blavatsky (secondo lei sette razze), e poi da Alfred Rosenberg, Hitler, Himmler e compagni, continuano a comparire, più o mano apertamente, nei dibattiti culturali o nei programmi di movimenti e gruppi politici (fra cui, in modi spesso assai rozzi, il movimento francese della LePen, quello italiano di Bossi e Maroni, quello ungherese di Gyurcsány, quello svizzero di Blocher, ecc.). Perfino sul piano empirico accade che la società multiculturale statunitense continui ad applicare, nei documenti amministrativi, la distinzione fra caucasici (!), asiatici, afroamericani e ispanici. Uno studio sui manuali americani d’introduzione all’antropologia in uso nelle scuole di quel paese ha dimostrato un progressivo abbandono del termine razza per designare le variazioni dei tipi umani: fra il 1932 e il 1976 sette manuali su trentadue non usavano la parola razza, fra il 1975 e il 1984 tredici su trentatré; fra il 1985 e il 1993 tredici su diciannove. Un esame delle annate della rivista Journal of Physical Anthropology ha rivelato che nel 1931 il 78 per cento degli articoli usavano il termine razza o altri simili, nel 1965 il 36 per cento e nel 1996 il 28 per cento (parecchi studiosi, quindi, continuano a usarlo, nonostante la dichiarazione dell’UNESCO). È interessante la storia stessa della parola razza. Fra gli studiosi di etimologia sono a lungo circolate numerose ipotesi sulla sua origine e si è parlato di derivazione dal latino generatio, oppure dal latino ratio o ancora dall’arabo ra’s (cioè «capo», «origine», «inizio», in analogia con l’ebraico rosh). Nel 1933, in un anno molto significativo, in cui Hitler, lettore attento della Blavatsky, arrivava al potere, il linguista ebreo-austriaco Leo Spitzer scrisse un dotto articolo (ripreso più tardi nei suoi Essays in historical semantics, 1948, e in traduzione italiana in Critica stilistica e semantica storica, 1954 e 1966), in cui sosteneva con forza, e con evidente intento polemico anti-nazista, la derivazione da ratio, nel significato vagamente platonico di «tipo», «idea», ma con rinvio alla ragione. Poi però Gianfranco Contini, probabilmente a malincuore, essendo un grande ammiratore di Spitzer, ha fatto una nuova interessante proposta (Frammenti di filologia romanza, 2007), che ha ottenuto l’adesione di molti studiosi, fra cui Gianfranco Folena e Cesare Segre. Secondo Contini il termine deriva dal francese antico haras (arazzo), testimoniato già dal 1160, probabilmente di origine scandinava e inteso come «allevamento di cavalli», con l’idea che i cavalli di buona razza vengono da un buon allevamento. Non è curioso che la parola razza, che viene usata impropriamente per la specie umana, metta in rapporto noi uomini con gli altri animali, e in particolare con la nobile specie dei cavalli? Commentava Contini, con riferimento alla nuova etimologia della parola razza e agli orrori del razzismo: «per l’appoggio terminologico di tanta abiezione, ferocia e soprattutto stupidità, quanto è più ricreativo avergli scovata una nascita zoologica, veterinaria, equina!». 2