Senza spingermi troppo indietro nel tempo, per li¬mitare i riferimenti

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CARLO VELLANI
Associato dell’Università di Modena e Reggio Emilia
I rapporti tra procedura principale e procedure secondarie nel Reg. CE 1346/2000 (*)
SOMMARIO: 1. L’affermarsi del principio dell’“universalità limitata” in àmbito europeo. - 2. Il principio dell’“universalità
limitata” nella legislazione di alcuni Paesi. – 3. L’UNCITRAL model law on cross-border insolvency. – 4. Il problema del
“velo” della personalità giuridica. – 5. Procedura principale e procedure secondarie nel Regolamento comunitario
sulle procedure d’insolvenza n. 1346 del 2000. – 6. Segue: sviluppo delle problematiche emerse relativamente alle
procedure secondarie. – 7. Disciplina dei rapporti tra le procedure, in particolare il sistema delle insinuazioni.
1. – Nel secolo scorso il fallimento internazionale veniva affrontato essenzialmente sulla base di
due opposte concezioni: la dottrina dell’universalità o unicità del fallimento, cui si contrapponeva la
teoria della territorialità o pluralità dei fallimenti (1).
La teoria dell’universalità sosteneva che i diritti dei creditori non potessero essere soddisfatti che
in un unico luogo, quello del domicilio del debitore. Affermato questo era necessario valutare come
affrontare il problema della possibile presenza di beni al di fuori della competenza di quello specifico
tribunale o addirittura in un altro Paese. La soluzione veniva dal riconoscere nel fallimento una
procedura personale, impostazione che rendeva impossibile ipotizzare una pluralità di procedure: la
stessa persona che fallisce contemporaneamente più volte, in conclusione la sentenza dichiarativa di
fallimento doveva produrre ovunque i suoi effetti secondo il sistema dell’universalità, i beni ovunque
situati andavano venduti con le dovute modalità nazionali, ma il prezzo doveva essere versato al
tribunale del fallimento.
La teoria della territorialità può essere invece descritta come la teoria reale del fallimento, che fa
applicazione immediata e diretta del concetto di sovranità territoriale dei singoli Stati, e nega che la
dichiarazione di fallimento pronunciata in un Paese possa estendersi al di fuori del suo territorio. La
sovranità territoriale infatti non può non riguardare i beni dislocati nello Stato, pertanto vi è la necessità
di instaurare tanti giudizi quanti siano gli Stati interessati dal fallimento.
Queste teorie sono state superate solo recentemente. Se guardiamo all’allora Comunità
economica europea, ai sei Stati fondatori, nel 1972, si aggiunsero Irlanda, Danimarca e Regno Unito,
con il contributo dei quali nel 1980 si giunse ad un progetto di convenzione in materia concorsuale (2),
accettato anche dalla Grecia, che aveva aderito alla CEE nel 1981. Si trattava di un progetto legato ai
princìpi dell’unitarietà ed universalità delle procedure, che escludeva la coesistenza di più procedure nei
confronti dello stesso debitore nei diversi Paesi, prevedendo anzi che la convenzione si applicasse,
indipendentemente dall’esistenza di implicazioni internazionali, a tutte le tipologie di procedure cui era
riferita, ossia la convenzione si doveva estendere a tutti i fallimenti, anche puramente interni (3). In sede
di Consiglio si dovette però registrare la netta opposizione a tale progetto da parte della Repubblica
(*) Per maggiori riferimenti vedi C. VELLANI, L’approccio giurisdizionale all’insolvenza transfrontaliera, Milano, 2006.
(1) In ENRIQUES, Universalità e territorialità del fallimento nel diritto internazionale privato, Roma, 1934, p. 7, nota 1 ampi
richiami alla dottrina e giurisprudenza del 1900 in merito.
(2) Su cui vedi JORIO, voce Fallimento nel diritto comunitario, in Dig. disc. priv. - Sez. comm., vol. V, Torino, 1990, p. 448
ss.; GALLESIO-PIUMA, Aspetti sostanziali del progetto di convenzione sul fallimento e sulle altre procedure concorsuali, in L’influenza del
diritto europeo sul diritto italiano a cura di Cappelletti e Pizzorusso, Milano, 1982, p. 319 ss.; COLESANTI, Aspetti processuali del
progetto di convenzione sul fallimento e sua incidenza nel diritto italiano, ivi, p. 433 e DANIELE, Il fallimento nel diritto internazionale privato
e processuale, Padova, 1987, p. 232 ss., che riporta il testo in appendice: p. 329 ss.; lo si trova pubblicato, insieme alla
Relazione, nel Supplemento 2/82 al Bollettino delle Comunità Europee; vedi anche PROTO, Le procedure concorsuali nella Comunità
europea, in Il fall., 1995, p. 1169.
(3) Più ampiamente sul punto DANIELE, op. cit., p. 241 s.
Federale Tedesca (4), e l’impossibilità di raggiungere un accordo comportò il sostanziale abbandono dei
lavori.
In sede di Consiglio d’Europa, parallelamente a queste vicende, inizialmente in concorrenza con
i lavori in àmbito CEE, prese avvio un’iniziativa volta a fissare regole di fronte ad ipotesi di insolvenze
transnazionali. Si trattava di un progetto meno ambizioso di quello comunitario, volto a raggiungere
una convenzione che disciplinasse alcuni degli aspetti concretamente più rilevanti, come i poteri da
riconoscere al curatore in Stati diversi da quello di apertura della procedura e le modalità di insinuazione
dei crediti all’estero. Un progetto così concepito non era particolarmente incisivo, ma nel corso dei
lavori venne aggiunto il Capitolo III, dal contenuto decisamente innovativo, contenente la rinuncia ad
una procedura unica ed universale ed il riconoscimento della possibilità di aprire fallimenti “secondari”
in Paesi diversi da quello in cui è stata avviata la procedura (5).
Si tratta della presa d’atto di un aspetto di “territorialità” delle procedure concorsuali che supera
appunto la visione di carattere di universale solitamente attribuita alle procedure concorsuali nazionali,
che tendenzialmente devono estendere la loro portata anche sui beni posti al di fuori del territorio
nazionale, per conciliarvi aspetti di territorialità, peraltro connaturati alle normative processuali.
I lavori si conclusero nel 1989 giungendo alla Convenzione europea su alcuni aspetti internazionali del
fallimento, del Consiglio d’Europa (6), conosciuta anche come Convenzione di Istanbul. Tale
Convenzione è però stata ratificata soltanto da Cipro e la sua entrata in vigore appare decisamente
improbabile. Sarebbe comunque superata, nei rapporti tra gli Stati UE, dal Regolamento sulle procedure
d’insolvenza.
L’attività in sede comunitaria restò invece sospesa, anche per la volontà di attendere la
conclusione dei negoziati avviati nell’àmbito del Consiglio d’Europa; firmata la Convenzione di
Istanbul, nel 1990 i lavori ripresero, per quel che ora interessa in una linea di continuità rispetto al
risultato dei negoziati condotti in sede di Consiglio d’Europa. Scompaiono non solo il richiamo
esplicito al principio dell’universalità e unitarietà, ma soprattutto le conseguenze che comportava una
tale scelta. La soluzione adottata si pone nella stessa linea della Convenzione di Istanbul. Competente
ad aprire una procedura concorsuale è il giudice dello Stato contraente nel cui territorio è situato il
centro principale degli interessi del debitore, cui si aggiunge la possibilità che i giudici di altro Stato nel
cui territorio sia situata una dipendenza aprano, con effetti limitati ai beni che si trovano in tale
territorio, una procedura “secondaria”. Inoltre la decisione di apertura di una procedura deve essere
riconosciuta in tutti gli altri Stati contraenti non appena produce effetto nel Paese in cui è aperta. Viene
(4) In effetti l’estensione anche ai fallimenti puramente interni della normativa convenzionale avrebbe
probabilmente causato un appesantimento, anche in termini economici, delle procedure.
(5) Nel Cap. III, la disciplina dei fallimenti «secondari» prevede la loro apertura per il sol fatto che un debitore sia
già stato dichiarato fallito in un altro Stato contraente, indipendentemente dall'insolvenza, purché la decisione sia presa a
norma dell'art. 3 conv., e non sia stato iniziato altro procedimento (art. 16), unica condizione necessaria è che nello Stato in
cui viene chiesto il fallimento secondario si trovi una sede secondaria, o beni del fallito (art. 17). Legittimati a richiedere tale
fallimento secondario sono il curatore del fallimento principale e ogni altro soggetto legittimato a richiedere l'apertura di un
fallimento secondo la legge dello Stato contraente in cui il fallimento secondario è richiesto (art. 18). La legge fallimentare da
applicare ai fallimenti secondari è quella del luogo di apertura (art. 19).
Nello stato passivo del fallimento secondario possono insinuarsi tutti i crediti; comunicazione di tale insinuazione è
data al curatore del fallimento principale e vale come insinuazione in quest'ultimo procedimento (art. 20). L’abbandono della
teoria dell’universalità comporta però che il fallimento principale, pur accettando le insinuazioni di tutti i creditori, consenta
nel fallimento secondario la liquidazione e la ripartizione del ricavato della vendita dei beni locali, destinandolo al diretto
soddisfacimento dei creditori privilegiati o assistiti da garanzia reale, di quelli di diritto pubblico, di quelli collegati alla
gestione di un’impresa del debitore o risultanti da un rapporto di lavoro nello Stato contraente in cui è stato aperto il
fallimento secondario, disponendo quindi il trasferimento a sé della sola eccedenza di attivo e dei crediti chirografari (artt.
21-22). Su questa eccedenza vige un principio di uguaglianza dei creditori per cui i creditori del fallimento principale vi si
soddisfano senza tenere conto né di privilegi, né di prededuzioni (art. 24). I crediti sorti prima dell'apertura del fallimento
secondario, ma dopo l'inizio di quello principale, sono soddisfatti soltanto sull’eccedenza trasferita in quest'ultimo (art. 23).
Il coordinamento tra fallimento principale e procedure secondarie prevede che il fallimento secondario non possa chiudersi
se non dopo che il curatore del fallimento principale abbia espresso parere al riguardo, in un termine ragionevole (art. 26),
dalla lettera della disposizione si ricava che il parere non sia vincolante, com'è invece stabilito per la chiusura del fallimento
secondario a mezzo di concordato, pur se in tale ipotesi il consenso non può essere rifiutato se è provato che il concordato
non è lesivo degli interessi dei creditori del fallimento principale.
(6) Convenzione approvata dal Consiglio d’Europa il 12 novembre 1989, aperta alla firma ad Istanbul il 5 giugno
1990 e sottoscritta dall’Italia il 15 gennaio 1991. La si legge in appendice a BONSIGNORi, Introduzione al diritto fallimentare,
Torino, 1993, p. 95 ss.; in Riv. dir. int. priv. e proc., 1994, p. 712 ss.
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pure indicato il principio dell’applicabilità della legge dello Stato in cui è aperta la procedura, per quanto
attiene sia gli aspetti processuali sia quelli di natura sostanziale. Questi sono alcuni dei contenuti
essenziali della Convenzione relativa alle procedure di insolvenza elaborata nell’àmbito di quella che è frattanto
divenuta l’Unione europea, che inoltre aveva visto l’adesione nel 1986 di Spagna e Portogallo (7).
La Convenzione comunitaria sulle procedure d’insolvenza viene aperta alla firma a Bruxelles il
23 novembre 1995, ma dei dodici Stati membri solo undici provvedono alla firma, il Regno Unito
no (8). Decorso il termine per la firma, fissato al 23 maggio 1996, ai sensi dell’art. 49, comma 3, della
Convenzione stessa, questa non entra in vigore, essendo subordinata all’approvazione di tutti gli Stati
membri. Frattanto, nel 1995, con il quarto allargamento dell’UE, entrano Austria, Finlandia e Svezia (9).
La Convenzione sulle procedure d’insolvenza rimane giacente.
Il Regolamento comunitario sulle procedure d’insolvenza è frutto dell’art. 65 Trattato CE, sulla
cui base è stata presentata l’Iniziativa della Repubblica federale di Germania e della Repubblica di Finlandia ai fini
dell’adozione di un regolamento del Consiglio relativo alle procedure d’insolvenza, presentata al Consiglio il 26 maggio
1999 (10), che ha portato all’adozione del Regolamento stesso. In realtà il contenuto del Regolamento è
di fatto identico a quello della Convenzione comunitaria del 1995, con tale diverso strumento giuridico
è stato però possibile dare vigenza a norme che in veste convenzionale non potevano trovare
applicazione in difetto di sottoscrizione di tutti gli Stati contraenti. Occorre comunque ricordare, come
al Trattato di Amsterdam sono annessi tredici protocolli, tra i quali quello relativo alla posizione del
Regno Unito e dell’Irlanda e quello relativo alla posizione della Danimarca, in merito al Titolo IV del
Trattato CE “Visti, asilo, immigrazione ed altre politiche connesse con la libera circolazione delle
persone” (11). Il Regno Unito, pur non avendo sottoscritto la precedente Convenzione, ha notificato,
insieme all’Irlanda, la volontà di partecipare all’adozione ed all’applicazione del Regolamento, pertanto
esso si applica nei confronti di tali Paesi, mentre non trova applicazione nei confronti della Danimarca
che resta invece estranea all’adozione del Regolamento a seguito del citato Protocollo.
Come appena rilevato il Regolamento comunitario sulle procedure d’insolvenza, riproduce nella
quasi totalità le disposizioni della Convenzione relativa alle procedure di insolvenza, del 1995 e, per l’àmbito
che interessa, segue le scelte che erano state adottate nella Convenzione di Istanbul. Risulta evidente il
successo di un modello di fallimento internazionale basato sul criterio definibile dell’“universalità
limitata” (12), limitata dalla possibilità di aprire procedure “secondarie” in uno Stato diverso da quello
in cui è situato il centro degli interessi principali del debitore e dove si è aperta la procedura principale,
questo senza dover riesaminare il presupposto oggettivo e neppure soggettivo dell’insolvenza anche in
tale Paese.
2. – Non si tratta di una soluzione del tutto nuova. Le difficoltà che sorgono per i fallimenti
internazionali in sistemi legati all’unitarietà ed universalità delle procedure concorsuali, erano già state
(7) La si legge in Riv. dir. int. priv. e proc., 1996, p. 661 ss. ed in POCAR, TREVES, CLERICI, DE CESARI, TROMBETTA
PANIGADI, Codice delle convenzioni di diritto internazionale privato e processuale, 3a ed., Milano, 1999, p. 1364 ss. Vedi DORDI, La
convenzione dell’Unione europea sulle procedure d’insolvenza, in Riv. dir. int. priv. e proc., 1997, p. 333 ss.; GUZZI, La convenzione
comunitaria sulle procedure di insolvenza: prime osservazioni, in Dir. comm. int., 1997, p. 901 ss.; LUPONE, La convenzione comunitaria
sulle procedure di insolvenza e la riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, in Contratto e impresa / Europa, 1999, p. 429
ss.; L. S. ROSSI, Le convenzioni tra gli Stati membri dell’Unione europea, Milano, 2000, p. 51 ss.
(8) Tra i problemi principali, peraltro mai ufficialmente dichiarati, pare fosse l’applicabilità a Gibilterra e più in
generale l’atteggiamento di “rottura” nei confronti dell’Unione europea assunto dal Regno Unito per le vicende seguite alla
c.d sindrome della “mucca pazza”, cfr. L. S. ROSSI, op. cit., p. 53 ss.; ZAMPERETTI e NODARI, Verso l’armonizzazione comunitaria
del diritto fallimentare: lo stato dell’arte, in Giur. comm., 1997, I, p. 609.
(9) Sulla base del Trattato di adesione firmato a Corfù il 24 giugno 1994 (tale atto prevedeva anche l’adesione da
parte del Regno di Norvegia, ma il popolo di tale Paese si è espresso in senso contrario con il referendum del 27 - 28
novembre 1994).
(10) In Gazz. uff. delle Comunità europee, 3 agosto 1999, n. C 221; la si legge anche in Dir. fall., 1999, I, p. 1236 ss.;
vedi anche Riv. dir. int. priv. e proc., 2000, p. 287 s.
(11) Vedi L. S. ROSSI, op. cit., p. 174 ss. Va però aggiunto che la Danimarca non era vincolata tra l’altro neppure
dalle disposizioni del Regolamento n. 44/2001 concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione
delle decisioni in materia civile e commerciale, ma oggi non è più così, la Commissione ha negoziato un accordo tra l’Unione
europea e il Regno di Danimarca che estende alla Danimarca le disposizioni del Regolamento n.44/2001, accordo firmato il
19 ottobre 2005, e definitivamente approvato con decisione del Consiglio, del 27 aprile 2006.
(12) Altri preferisce il termine “universalità temperata”, cfr. FUMAGALLI, Il regolamento comunitario sulle procedure di
insolvenza, in Riv. dir. proc., 2001, p. 687.
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affrontate da singole legislazioni con orientamenti definiti anche come “universalità particolare” o
“pluralità universale” (13).
Si può menzionare la legge federale svizzera sul diritto internazionale privato del 18 dicembre
1987 (la LDIP, in lingua tedesca IPRG) (14), che prevede una regolamentazione ad hoc delle procedure
concorsuali con implicazioni transfrontaliere, nel capitolo 11, dedicato al «Fallimento e Concordato»
(artt. 166-175). Ai sensi dell’art. 170, il riconoscimento del provvedimento straniero d’insolvenza dà
luogo ad una procedura fallimentare svizzera, limitata ai beni del debitore situati sul territorio elvetico,
alla conclusione della quale l’eventuale saldo attivo è messo a disposizione della procedura straniera o
dei creditori legittimati (come dispone il successivo art. 173) (15).
Spunti per una interpretazione estensiva in tale direzione erano stati pure individuati nella
previgente legislazione tedesca del Konkursordnung al par. 238 (16). Era poi seguita l’Insolvenzordnung
(InsO) del 1994, in vigore dal 1° gennaio 1999, e la relativa legge contenente disposizioni preliminari e di
attuazione ossia l’Einführungsgesetz zur Insolvenzordnung (EGInsO) del 5 ottobre 1994 (17), divisa in tre
parti, nell’ultima delle quali l’art. 102 disciplinava il diritto concorsuale internazionale (18). Brevemente
tale disciplina: una procedura concorsuale aperta all’estero comprendeva anche i beni situati in
Germania, a meno che, secondo le leggi tedesche, le autorità giudiziarie dello Stato di apertura della
procedura fossero incompetenti, oppure che il riconoscimento della procedura estera fosse in contrasto
con i princìpi fondamentali dell’ordinamento tedesco. Il riconoscimento della procedura estera non
escludeva l’apertura in Germania di una procedura concorsuale separata e limitata ai beni ivi situati.
L’apertura di questa procedura secondaria non necessitava della prova dell’insolvenza del debitore. Qui
il riferimento all’impianto del Regolamento comunitario era evidente e non a caso la Germania si è resa
promotrice, insieme alla Finlandia, della proposta di regolamento comunitario sulle procedure
d’insolvenza, come sopra ricordato. Oggi l’assetto legislativo relativo al diritto concorsuale
internazionale tedesco è ulteriormente mutato con la nuova legge del 14 marzo 2003 Gesetz zur
Neuregelung des Internationalen Insolvenzenrechts, in vigore dal 20 marzo 2003 (19). Tale legge riformula
interamente il citato art. 102 delle disposizioni preliminari e di attuazione alla legge sulle procedure
d’insolvenza, mutandone il contenuto: non riguarda più il diritto concorsuale internazionale, ma,
secondo la sua nuova intitolazione disciplina l’ «Attuazione del Regolamento (CE) n. 1346 del 2000
sulle procedure d’insolvenza». Il citato art. 102 è oggi un’articolata disposizione, composta di 11
paragrafi, a loro volta suddivisi in commi, che pone in essere i necessari adattamenti dell’ordinamento
tedesco e della legge concorsuale alla normativa europea. Dopo aver introdotto queste norme di
attuazione del Regolamento comunitario, la legge del 14 marzo 2003 apporta modifiche anche
all’Insolvenzordnung del 1994, che oggi non è più composta di undici, ma di dodici parti e l’undicesima
parte viene interamente riformulata dedicandola al diritto concorsuale internazionale, che, venuta meno
(13) Definizioni riportate dalla LUPONE, Verso una disciplina bilaterale delle procedure concorsuali, in L’unificazione del diritto
internazionale privato e processuale. Studi in memoria di Mario Giuliano, Padova, 1989, p. 566.
(14) Su cui vedi LALIVE e PATOCCHI, L’arbitrato ed il fallimento internazionali, in Il nuovo diritto internazionale privato in
Svizzera, a cura di Broggini, Milano, 1990, p. 323 ss., la legge è in appendice.
(15) Più in dettaglio il provvedimento straniero, per essere efficace nell’ordinamento svizzero, deve essere
riconosciuto dal giudice che, a domanda del curatore straniero o dei creditori, verifica la ricorrenza dei requisiti fissati
dall’art. 166, che richiede tra l’altro la competenza del giudice straniero del luogo in cui si trova il domicilio del debitore,
l’esecutività del decreto di apertura di fallimento nello Stato straniero, la compatibilità con l’ordine pubblico e i con princìpi
processuali interni e la reciprocità. Avvenuto il riconoscimento il curatore straniero non ottiene alcun potere di apprendere o
amministrare direttamente i beni del fallito presenti in Svizzera, ma come accennato, il riconoscimento comporta l’apertura
di una procedura ancillare (mini-faillite), limitata ai beni presenti nello Stato, regolata dalla lex fori e finalizzata ad assicurare la
soddisfazione dei creditori privilegiati, domiciliati in Svizzera. Solo l’eventuale saldo verrà consegnato all’autorità straniera.
Per una rassegna della giurisprudenza svizzera, sia federale che cantonale, resa sul tema del riconoscimento di un
provvedimento straniero di fallimento o di un concordato, vedi LEMBO e JEANNERET, Il riconoscimento in Svizzera di un
fallimento straniero: situazione attuale e considerazioni pratiche, in Riv. dir. int. priv. e proc., 2004, p. 1249 ss.
(16) Come segnala la LUPONE, op. ult. cit., p. 569 ss.
(17) Si leggono entrambe in GUGLIELMUCCI, La legge tedesca sull’insolvenza (Insolvenzordnung) del 5 ottobre 1994,
Milano, 2000, p. 29 ss.
(18) La prima parte dell’Einführungsgesetz zur Insolvenzordnung è dedicata alla nuova stesura della legge sull’azione
revocatoria (artt. 1-20), la seconda parte riguarda le abrogazioni e modificazioni di leggi (artt. 21-101), la terza infine il diritto
concorsuale internazionale (art.102) e le norme transitorie e finali (artt. 103-110).
(19) La legge è pubblicata in Bundesgesetzblatt, parte 1, n. 10, del 19 marzo 2003, una traduzione non ufficiale si
trova in DE CESARI e MONTELLA, Le procedure di insolvenza nella nuova disciplina comunitaria, Milano, 2004, p. 338 ss.
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la disciplina inizialmente contenuta nell’emendato art. 102 delle disposizioni preliminari e di attuazione
alla legge sulle procedure d’insolvenza, viene oggi ampiamente disciplinato direttamente all’interno
dell’Insolvenzordnung con gli artt. 335-358. Il diritto concorsuale internazionale tedesco si basa oggi sul
principio generale, fissato dal novellato art. 335 dell’Insolvenzordnung, che la procedura di insolvenza ed i
suoi effetti sono regolati, salvo eccezioni, dalla legge dello Stato in cui la procedura è stata aperta. Le
eccezioni sono contenute nel primo capitolo dell’undicesima parte dell’Insolvenzordnung, che contiene
altri due capitoli: il secondo relativo alle procedure estere di insolvenza (artt. 343-353) ed il terzo
relativo alle procedure territoriali per il patrimonio situato in Germania (artt. 354-358).
Si presenta molto interessate anche il diritto concorsuale spagnolo, oggetto di recente riforma: la
l. 22/2003 del 9 luglio 2003, in vigore dal 1° settembre 2004. Prima di tale normativa la Spagna era
totalmente priva di regole legali relative all’insolvenza internazionale, come non aveva concluso in
merito convenzioni internazionali bilaterali o plurilaterali che fossero (20). Il legislatore spagnolo con la
nuova legge ha invece dato ampio spazio all’insolvenza internazionale. Se si prende in considerazione
l’Exposición de motivos XI della l. 22/2003, questa segnala la speciale attenzione che si è voluta dedicare
alle ipotesi di procedure concorsuali che presentassero elementi di estraneità, attenzione che si è
sostanziata nell’inserimento nel testo normativo del Titolo IX (artt. 199 - 230) intitolato De las normas de
derecho internacional privado, specificamente dedicate al diritto concorsuale internazionale, che non
esauriscono la disciplina in merito, per la quale occorre riferirsi anche agli artt. 10 - 12 sulla
giurisdizione e competenza ed all’art. 49. Ritornando all’Exposición de motivos XI, questa chiarisce che le
norme di diritto internazionale privato introdotte si ispirano, con i dovuti adattamenti, alle disposizioni
del Regolamento CE n. 1346 del 2000 e che parimenti sono state influenzate dall’UNCITRAL model law
on cross-border insolvency. Queste paternità risultano comunque evidenti esaminando il testo normativo. Le
citate norme non si applicano alle insolvenze “interne”, ma unicamente al ricorrere di aspetti di
internazionalità, con esclusione però dei casi che coinvolgano il solo àmbito comunitario, che vedranno
l’applicazione del Regolamento n. 1346 del 2000.
Esaminate queste esperienze di matrice continentale, va operato un riferimento alle esperienze
di common law. Va segnalato, riguardo ai profili transnazionali, che sia in Gran Bretagna che negli Stati
Uniti da tempo si prevedeva l’apertura di procedure secondarie: “ancillary”, che possono essere una
matrice a cui riferire l’individuazione delle soluzioni legate al modello dell’universalità limitata, pur se è
necessaria molta cautela nel rapportarle all’attuale Regolamento comunitario o alle nostre esperienze,
che sono difficilmente comparabili con il diritto anglosassone.
In Gran Bretagna il riferimento normativo principale è l’Insolvency Act del 1986, che con varie
modifiche ed integrazioni, contiene la disciplina generale delle procedure d’insolvenza. L’Insolvency Act
del 1986 tratta della cooperazione tra magistrature aventi giurisdizione in materia fallimentare nella sec.
426, ma l’aspetto centrale dell’evoluzione della normativa transnazionale è costituito dall’Insolvency Act
del 2000, che modifica e integra l’Insolvency Act del 1986, e nella sec. 14 dà facoltà al Ministro segretario
di stato, in Inghilterra e Galles di concerto con il Lord cancelliere, ed in Scozia di concerto con i
ministri, di recepire anche senza modificazioni l’UNCITRAL model law on cross-border insolvency. Tale
delega si è attualizzata con lo Statutory Instrument 2006 n. 1030, del 3 aprile 2006, in vigore dal giorno
successivo; l’atto riguarda le insolvenze sia per companies che indivduals, ed assume la denominazione di
«Cross-border Insolvency Regulations 2006». Con tale strumento legislativo l’UNCITRAL model law on crossborder insolvency ha forza di legge in Gran Bretagna nella redazione contenuta nell’Allegato 1, redazione
che contiene le modifiche alla model law ritenute necessarie per adattarla all’ordinamento britannico.
Seguono gli Allegati 2 e 3, rispettivamente relativi agli aspetti procedurali in Inghilterra e Galles ed in
Scozia. Si prevede esplicitamente che in caso di conflitto tra la normativa sull’insolvenza e le nuove
Cross-border Insolvency Regulations 2006 debbano prevalere queste ultime, disponendo inoltre che per la
loro interpretazione si debba fare riferimento al testo UNCITRAL, ed ai relativi lavori preparatori,
nonchè alla Guide to enactment of the UNCITRAL model law.
(20) Vedi CALVO CARAVACA e CARRASCOSA GONZÁLEZ, Derecho concursal internacional, Madrid, 2004, p. 177 s.
5
Il diritto concorsuale negli U.S.A. ha come riferimento normativo di base (21) il Bankruptcy
Reform Act del 1978, conosciuto anche come Bankruptcy Code (22) e le regole procedurali delle Federal
Rules of Bankruptcy Procedure (23), che prevedono diverse procedure e la presenza di giudici specializzati,
vi sono cioè giurisdizioni federali specializzate (bankruptcy districts, in alcuni Stati ve ne è più di una). Il
Bankruptcy Code è stato oggetto di una recente modifica, approvata il 20 aprile 2005, entrata interamente
in vigore il 17 ottobre 2005. Si tratta di un provvedimento legislativo molto ampio, che come si evince
dalla sua intitolazione «Bankruptcy Abuse Prevention and Consumer Protection Act of 2005», sotto molti aspetti
riguarda i fallimenti personali, che non sono ipotesi isolate, ma rappresentano un’elevata percentuale
delle procedure concorsuali statunitensi. All’interno del diritto concorsuale degli Stati Uniti il principio
dell’universalità limitata è presente da tempo. In primo luogo vengono riconosciuti effetti all’apertura di
un procedimento fallimentare nello Stato in cui il debitore ha il domicilio, la residenza, il centro degli
affari o la maggioranza dei beni, le conseguenze derivanti dalla dichiarazione di fallimento, come il
blocco delle azioni individuali, sono però condizionate da considerazioni pratiche ed economiche quali,
soprattutto, la tutela dei creditori statunitensi. Già nel Bankruptcy Reform Act del 1978 (24), il par. 304
abilitava il curatore straniero a chiedere l’apertura di un ancellary proceeding negli Stati Uniti, da affiancare
alla procedura straniera, qualora vi fosse la presenza sul territorio americano di poste patrimoniali attive,
che il giudice statunitense poteva consegnare al curatore della procedura straniera. Anche in assenza di
beni del fallito negli U.S.A., il curatore straniero poteva agire come sopra, per evitare che i creditori
ottenessero pronunce loro favorevoli nell’àmbito della giurisdizione statunitense. Il successivo par. 305,
di fronte ad una domanda di fallimento presentata negli Stati Uniti in pendenza di una procedura
concorsuale all’estero, autorizzava il curatore straniero a chiederne la sospensione o l’interruzione (25).
Si trattava comunque di istituti non impostati in maniera sistematica, che concedevano ampia
discrezionalità al giudice statunitense e molto flessibili, notevolmente diversi dal concetto assai
strutturato di procedure secondarie d’insolvenza previsto nel Regolamento comunitario. La riforma del
2005 ha visto una notevole evoluzione del quadro normativo relativo all’insolvenza internazionale: la
sec. 801 ha aggiunto il Chapter 15, al Titolo 11 dell’United States Code, ossia secondo altra denominazione
al Bankruptcy Code; la sec. 802 poi introduce diversi emendamenti di coordinamento sia al Titolo 11 che
al Titolo 28, dell’United States Code (26). In estrema sintesi il nuovo Chapter 15 ha lo scopo di recepire la
Model law on cross-border insolvency elaborata in sede UNCITRAL, per poter meglio gestire le ipotesi di
insolvenza transnazionali.
Il Giappone è un Paese che adotta solo alcuni elementi dell’esperienza di common law (27), è però
opportuno accennarvi per la sua situazione economica e commerciale. Riguardo agli aspetti
(21) La Costituzione degli Stati Uniti attribuisce al Congresso il potere di emanare leggi uniformi per tutto il
territorio nazionale in materia fallimentare: Art. I, sez. 8, cl. 4 «To establish ... uniform laws on the subject of bankruptcies throught the
United States».
(22) Con la prima definizione si intende la legge nel suo complesso, mentre la seconda si riferisce più esattamente
ad una sua parte, ossia il Title I, codificata nel Title 11 dello United States Code.
(23) Queste rules, più volte rimaneggiate, non sono state emanate dal Congresso, ma sono state compilate dalla
Corte Suprema. Il Congresso ha sì il potere costituzionale di emanare regole uniformi, quindi anche in materia processuale,
ma come tradizione in questo campo, dettate le norme sostanziali e alcune norme di procedura, ha lasciato spazio alla Corte
Suprema consentendole di fissare le regole di procedura.
(24) Che relativamente agli aspetti transnazionali delle procedure concorsuali ha voluto dare risposta ai problemi
concreti scaturiti da dissesti degli anni precedenti, come il noto caso del Bankhaus I. D. Herstatt KgaA, un istituto di credito
avente la propria sede nella Repubblica federale di Germania, filiali in Svizzera ed in Lussemburgo, ingenti depositi in denaro
presso la Chase Manhattan Bank di New York.
Per un quadro di tale legislazione CASTAGNOLA, La nuova disciplina del fallimento negli Stati Uniti, in Giur. comm., 1987,
I, p. 319 ss.
(25) Specificamente su tali aspetti GITLIN, FLASCHEN, GRIMES, United States treatment of foreign insolvency proceedings, in
Cross-border insolvency: comparative dimensions, United Kingdom National Committee of Comparative Law, vol. XII, a cura di
Fletcher, Londra, 1990, p. 69 ss., in particolare p. 75 ss., quindi GALLETTO, La protezione e l’apprensione dei beni situati all’estero,
in Il fall., 1998, p. 959 s.
(26) In particolare la sec. 1410 del Titolo 28 dell’United States Code, è sostituita: ora sec. 1410 Venue of cases ancillary to
foreign proceedings.
(27) Come è noto il Giappone, al tempo della rivoluzione Meiji, adottò il codice civile tedesco, secondo un
percorso curioso. Come sintetizza VAN CAENEGEM, I sistemi giuridici europei, Bologna, 2003, p. 14 s., per rendere l’Impero
giapponese moderno e occidentalizzato si decise di recepire i modelli legislativi occidentali, guardando per prima
all’Inghilterra, che era la principale potenza mondiale del tempo, ma l’assenza di una codificazione in tale Paese si rivelò un
ostacolo insuperabile. I giapponesi rivolsero allora la loro attenzione alla Francia, anch’essa una potenza coloniale di
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transnazionali, con l’emanazione del Civil rehabilitation law del 1999 (28), e della Law on recognition and
assistance toward foreign insolvency proceedings, il Giappone ha ora introdotto nella legislazione concorsuale
una disciplina ispirata al modello dell’universalità limitata; il secondo provvedimento citato è
sostanzialmente basato sull’UNCITRAL model law, pur se il testo delle disposizioni dell’articolato è
notevolmente diverso.
3. – Risulta a questo punto evidente la necessità di accennare all’UNCITRAL model law on crossborder insolvency, legge modello che pure si basa sul principio dell’universalità limitata; si può ribadire che
adotta la stessa soluzione del Regolamento comunitario n. 1346 del 2000 e prima di esso della
convenzione comunitaria del 1995, impostazione che è pure quella della Convenzione di Istanbul del
1990, nonché di alcune discipline nazionali.
UNCITRAL è l’acronimo anglofono che identifica la Commissione delle Nazioni Unite per il
diritto del commercio internazionale, si tratta dunque di un’emanazione delle Nazioni Unite, costituita
nel 1966, che si prefigge lo scopo di un’azione uniformatrice mondiale del diritto commerciale. Tra le
sue attività si segnala appunto l’approvazione, nel 1997, della model law in materia d’insolvenza
transfrontaliera (29), che vorrebbe essere la base comune di riferimento, per gli Stati, nella
predisposizione delle loro legislazioni relative al fenomeno dell’insolvenza transnazionale. Come sopra
ricordato nel Regno Unito, in U.S.A. e Giappone è stata adottata una legislazione basata su tale legge
modello e ciò risulta essere avvenuto anche negli ordinamenti giuridici di Polonia, Romania,
Montenegro, Serbia, Messico, Sud Africa, Isole Vergini Britanniche, Colombia ed Eritrea (30).
Scopo principale della model law è appunto quello di aiutare gli Stati nella predisposizione dei
loro strumenti legislativi, con la finalità ultima che questi si trovino ad essere costruiti su di una base
comune. È del tutto ovvio che la model law, indirizzandosi alla generalità degli Stati, ha di fronte
ordinamenti giuridici assai diversi, per cui non mira a realizzare l’unificazione delle leggi sulle procedure
di insolvenza, ma a promuoverne l’avvicinamento, per conseguire il risultato pratico di consentire poi
una più agevole cooperazione tra le autorità degli ordinamenti che si trovino coinvolti in un fallimento
transnazionale. Questo è esplicitato anche dalla Guide to enactment, unita alla model law, che la definisce «a
vehicle for the harmonization of laws». Caratteristica della model law è necessariamente la flexibility, nel senso
che il singolo Stato che intende adottarla può apportare al testo standard tutte le modifiche necessarie
per renderlo compatibile con il proprio sistema normativo, pur se la Guide to enactment contiene la
raccomandazione che gli Stati facciano meno cambiamenti possibili nell’incorporarla nei loro
ordinamenti, per ottenere un sufficiente grado di armonizzazione nella disciplina del fallimento
transfrontaliero.
La model law si apre occupandosi nei primi due capitoli di alcuni princìpi e definizioni di carattere
generale. L’àmbito di applicazione è definito all’art. 1, che vuole escluse imprese soggette a regimi
speciali di insolvenza, come assicurazioni ed enti creditizi; l’articolo seguente si preoccupa di
puntualizzare il significato delle definizioni terminologiche utilizzate, assumendo comunque anche una
valenza sostanziale, fissando in particolare che cosa debba intendersi per procedura straniera ed
individuando i requisiti che la qualifichino come procedura concorsuale (art. 2 lett. a). L’art. 2 definisce
anche i concetti di procedura principale (aperta nel centro di interessi principali del debitore) e
secondaria (aperta dove si trova una dipendenza dell’impresa del debitore). Si prevede poi la prevalenza
delle convenzioni internazionali (art. 3), nonché la riserva dell’ordine pubblico (art. 6). Il secondo
capitolo della model law riguarda gli organi delle procedure ed i creditori, prevedendo che sia consentito
l’accesso diretto ai tribunali locali, senza necessità di formalità particolari, agli organi della procedura
successo mondiale, che possedeva un codice civile. Furono iniziati i preparativi per l’adozione del codice napoleonico ed il
professor Boissonnade andò in Giappone per predisporre il «trapianto». La sconfitta della Francia ad opera di Bismarck nel
1870 però convinse i giapponesi che il diritto tedesco fosse superiore a quello francese, poiché le armi tedesche avevano
sconfitto quelle francesi. Di qui la decisione giapponese di adottare il BGB appena due anni dopo la sua adozione in
Germania.
(28) Il cui testo è stato successivamente emendato.
(29) La legge modello elaborata in sede UNCITRAL è frutto di negoziati durati cinque anni ed è stata approvata
nel corso della XXX sessione a Vienna il 30 maggio 1997. La si legge in Dir. comm. int., 1998, p. 646 ss.
(30) Come riporta il sito internet dell’UNCITRAL: http://ww.uncitral.org nella sottovoce Status of texts della voce
Cross-border Insolvency.
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estera (art. 9) e che i creditori stranieri abbiano gli stessi diritti di quelli nazionali, sia per quanto riguarda
la richiesta di apertura di una procedura, sia per quanto riguarda la partecipazione alla stessa (art. 13). La
model law si articola quindi in tre ulteriori capitoli dedicati al riconoscimento delle decisioni straniere in
materia fallimentare, alla cooperazione transfrontaliera di autorità ed organi ed al coordinamento delle
procedure nazionali ed estere. Per quello che ci interessa è centrale il riconoscimento delle procedure di
insolvenza estere, che rappresenta lo snodo necessario per poter applicare intanto le norme sulla
cooperazione e sul coordinamento delle procedure, ma soprattutto per giungere all’apertura di una
procedura secondaria locale. La Guide to enactment al n. 184, precisa che l’art. 28 della model law dispone,
unitamente all’art. 29, che il riconoscimento di un procedimento straniero principale non impedisce che
si apra un procedimento secondario qualora il debitore abbia beni in tale Stato (31). Non si prevede
comunque una subordinazione della procedura secondaria locale alla procedura principale
straniera (32), pur se il riconoscimento di una procedura straniera porta ad una presunzione
d’insolvenza (art. 31), si prevede invece che i rapporti tra tali procedure siano valutati dal giudice
interno soprattutto sulla base della compatibilità degli effetti (art. 29). In linea di principio il
riconoscimento della procedura estera principale comporta la sospensione delle azioni esecutive
individuali nei confronti dei beni e dei diritti del debitore, nonché il divieto per lo stesso di disporre dei
propri beni (art. 20). Se poi si apre la procedura locale, successivamente al riconoscimento della
procedura straniera, può aver luogo una revisione delle misure cautelari o sospensive già in essere (33).
4. – Queste premesse riguardano quello che è l’assetto assunto nella gestione dell’insolvenza
transfrontaliera dagli strumenti legislativi dell’Unione europea, del Consiglio d’Europa,
dell’UNCITRAL e da numerosi Stati. È però vero che la varietà delle strutturazioni che le imprese
adottano per operare a livello transnazionale è amplissima. Quello di cui ci stiamo occupando in questa
sede è il fenomeno di un’impresa che abbia la sua sede o meglio il centro di interessi principali in un
Paese e sedi secondarie, ossia dipendenze, in altri Stati
Nella realtà economica possono però presentarsi forme di controllo e coordinamento assai
diverse, e fenomeno non trascurabile è quello dei gruppi multinazionali che si caratterizzano in forme
diverse da quella sopra vista, sono appunto gruppi di imprese, giuridicamente autonome. Semplificando
molto possiamo avere un’unica entità dal punto di vista economico, composta però da una pluralità di
imprese dal punto di vista giuridico, solitamente società, una per ogni Stato in cui agisce l’impresa
Nella pratica è un modo di oprare su mercati esteri ritenuto più vantaggioso rispetto
all’istituzione da parte di una società straniera di una sede secondaria in altro Paese. In Italia se si segue
la via della sede secondaria si applicano gli art. 2507 ss. c.c., ed in particolare l’art. 2508 c.c., che
recepisce il testo del corrispondente articolo ante riforma del diritto societario, che era già stato
adeguato alla XI direttiva 89/666/CEE del 21 dicembre 1989, di armonizzazione del diritto
societario (34).
Di fronte al fenomeno dei gruppi d’imprese è ardua la definizione del contesto anche per le
ipotesi più chiare di appartenenza ad un gruppo unitario, nel duplice caso del dissesto ad esempio di
un’impresa italiana controllata da un’impresa estera e viceversa dell’insolvenza di un’impresa
controllante italiana che abbia istituito in altri Paesi società o altre entità sotto il suo dominio.
debitore.
(31) Così integrando quanto stabilito nel citato art. 2 che fa riferimento alla presenza di una dipendenza del
(32) Segnalo fin d’ora come siano invece propri del Regolamento comunitario stretti vincoli tra procedura
principale e secondaria.
(33) Segnalo come nel 1999 la Commissione abbia iniziato i lavori in materia di disciplina dell’insolvenza interna ai
Paesi, specificamente con riguardo all’insolvenza societaria. Si è preferito scegliere in questo campo lo strumento della guida
legislativa e non di un vero e proprio modello di testo normativo, perché la materia coinvolge aspetti non solo tecnici, ma
anche di politica legislativa. I lavori si sono conclusi nel 2004 con l’adozione dell’ UNCITRAL legislative guide on insolvency law.
Tra i punti trattati vi è quello dell’insolvenza transfrontaliera, con l’invito agli Stati a disciplinare compiutamente tale aspetto,
suggerendo l’adozione della sopra citata model law.
Il testo è disponibile sul sito internet dell’UNCITRAL: http://ww.uncitral.org sotto la voce Adopted texts, sottovoce
Insolvency.
(34) La norma secondo la previgente numerazione del codice civile era l’art. 2506, su cui vedi FIMMANÒ,
Riconoscimento e stabilimento delle società nel nuovo sistema italiano di diritto internazionale privato, in Riv. dir. impresa, 1998, p. 320 ss.
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Un dato appare certo, ossia che attualmente non è possibile rinvenire una norma di diritto
internazionale che consenta di superare il limite della distinta personalità giuridica delle singole società
appartenenti ad un gruppo (35). Il principio della separazione delle persone giuridiche, in particolare dei
patrimoni della capogruppo e della controllata, è generalmente accettato dai diritti nazionali. Questo
lascia aperti alcuni interrogativi che per ora si traducono soprattutto in riflessioni di carattere ideale. Vi
è ad esempio la stringente preoccupazione di affrontare in maniera adeguata comportamenti come
quelli di una capogruppo che depaupera intenzionalmente le società sotto il suo dominio situate in altri
Paesi. Il fenomeno può giungere fino a situazioni estreme, dove si trovano coinvolte anche questioni
politiche, come la volontà di grandi imprese multinazionali di influenzare la vita di uno Stato
economicamente debole. Non mancano esempi, anche eclatanti, di tali operazioni, ma questi ultimi
sono profili che sfuggono i limiti di una riflessione giuridica e senz’altro non possono essere affrontati
in questa sede.
Se sul piano internazionale non vi è la possibilità di superare il principio della personalità
giuridica, neppure laddove se ne faccia un uso distorto, non resta che concludere per una completa
estraneità, sotto il profilo giuridico, da ogni responsabilità della capogruppo e del gruppo in genere.
Manca la possibilità di estendere il fallimento alla capogruppo o quantomeno di coinvolgerla in piani di
risanamento.
Nel nostro ordinamento abbiamo sicuramente un’eccezione all’equazione persona giuridica /
autonomia patrimoniale, rappresentata già nell’esperienta precedente alla riforma del diritto societario
dall’art. 2362 c.c., unitamente all’art. 2497 c.c. Oggi l’art. 2362 c.c. disciplina l’obbligo di iscrizione dei
dati relativi all’unico socio e l’opponibilità ai creditori della società dei rapporti intercorrenti tra il
medesimo e la società stessa e la disciplina dell’unico azionista è completata dall’art. 2325, comma 2,
c.c., che pone una regola inversa a quella previgente, ossia una responsabilità illimitata dell’unico
azionista solo nel caso in cui non siano stati realizzati gli adempimenti dell’art. 2362 c.c. e dell’art. 2342
c.c., che stabilisce l’obbligo di liberazione integrale delle azioni se viene meno la pluralità dei soci (36).
In queste ipotesi specifiche si ha un superamento della limitazione di responsabilità derivante dalla
personalità giuridica. Disposizioni analoghe sono dettate per la società a responsabilità limitata dall’art.
2470 c.c., unitamente agli artt. 2462 e 2464 c.c. È poi da tempo oggetto di discussione il tema dell’abuso
della personalità giuridica che può essere sintetizzato come l’abuso dei diritti che la legge connette alla
presenza di una persona giuridica, principalmente il beneficio della responsabilità limitata, ossia il diritto
alla separazione dei patrimoni. Reprimere l’abuso della personalità giuridica equivarrebbe dunque a
disapplicare i benefici connessi al concetto di personalità giuridica rendendo operante l’ordinaria
illimitata responsabilità patrimoniale (37).
Va oggi tenuto presente l’art. 25, comma 2, lett. h), l. n. 218 del 1995 il quale vuole che sia
disciplinata dalla legge regolatrice dell’ente la responsabilità per le sue obbligazioni. Se applichiamo tale
disposizione al fenomeno dei gruppi dobbiamo concludere che l’autonomia patrimoniale di un ente
straniero sarà quella prevista dalla sua legislazione e non dalla lex fori (38).
Volendo farci suggestionare dal tema che stiamo trattando si potrebbe ipotizzare un espediente,
decisamente arbitrario, per superare il principio della personalità giuridica. Con un evidente forzatura si
potrebbe avanzare la tesi che la titolarità da parte di una società straniera di una quota di controllo in
una società italiana insolvente, possa essere considerata indice dello svolgimento di un’attività d’impresa
nel nostro Stato (39). La società straniera dovrebbe essere pertanto considerata imprenditore esercente
attività commerciale nel nostro territorio, dove avrebbe una sorta di sede secondaria, ma questo appare
appunto arbitrario.
La personalità giuridica è uno strumento irrinunciabile del diritto moderno, pur se non pare
opportuna l’incondizionata accettazione delle limitazioni che comporta il “velo” da questa costituito,
non solo in àmbito concorsuale. Si deve prestare attenzione alla teoria del lifting the corporate veil, del
(35) In tal senso LUPONE, L’insolvenza transnazionale. Procedure concorsuali nello Stato e beni all’estero, cit., p. 22.
(36) Anche altrove vi è il riferimento al socio unico, come nell’art. 2331, comma 2, c.c.
(37) Ampiamente GALGANO, I gruppi di società, in Le società, trattato diretto da F. Galgano, Torino, 2001, p. 231 ss.
(38) L’opinione di BENEDETTELLI, Commento all'art. 25 (Società ed altri enti), in Legge 31 maggio 1995, n. 218. Riforma del
sistema italiano di diritto internazionale privato, Commentario a cura di Bariatti, in Le nuove leggi civili commentate, 1996, p. 1119.
(39) In merito LUPONE, L’insolvenza transnazionale. Procedure concorsuali nello Stato e beni all’estero, cit., p. 174 ss.
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“sollevare il velo”, velo rappresentato appunto dalla separazione delle persone giuridiche, teoria che si
sviluppa particolarmente nel mondo di common law, per superare lo schermo societario e quindi la
personalità giuridica. In sostanza tale teoria prende le mosse dal superamento delle concezioni classiche
sulla natura della persona giuridica, che la vedevano come finzione, oppure come patrimonio vincolato
ad uno scopo, o ancora su base normativa, ecc. (40). La persona giuridica viene vista come tecnica
differenziata di attribuzione di vantaggi (41), vantaggi che hanno però carattere relativo ed il
superamento della personalità giuridica è possibile per la tutela di interessi pubblici o anche privati, sia
dei membri della persona giuridica stessa, sia di terzi ed in particolare dei creditori (42). Nell’area di
common law questa elaborazione è presente sia in Inghilterra che negli Stati Uniti, dove vige una
presunzione di legittimità dell’uso dello schema della separazione dei patrimoni, che può però essere
vinta da una valutazione comparativa tra l’interesse dei creditori al suo superamento e quello dei soci al
suo mantenimento (43).
Penso interessante segnalare come tale problema si stia ponendo con forza relativamente al
risarcimento del danno derivante da incidenti industriali transnazionali. I gravissimi incidenti ambientali
verificatisi negli ultimi anni e le difficoltà di giungere alla riparazione del danno, costituiscono una
rilevante spinta nella direzione di individuare una responsabilità anche indiretta della capogruppo, non
solo per il ristoro dei danneggiati, ma anche per spingerla ad atteggiamenti di correttezza nei confronti
delle controllate (44).
(40) Vedi i riferimenti in DI MAJO e PRESTIPINO, voce Persone giuridiche, punto III, Diritto comparato e straniero, in Enc.
giur. Treccani, vol. XXIII, Roma, 1990, p. 1.
(41) Così DI MAJO e PRESTIPINO, op. cit., p. 1 ss.
(42) Nuovamente DI MAJO e PRESTIPINO, op. cit., p. 3, che segnalano come in Inghilterra il legislatore ha previsto
che non si tenga conto dello schermo societario in ben precise ipotesi come quella della riduzione dei soci sotto il numero
legale e del commercio fraudolento. Per riferimenti più recenti MANES, La teoria del lifting the veil of incorporation in
Inghilterra, in Contratto e impresa, 2, 1999, p. 718 ss.
(43) Come riporta PONZANELLI, voce Lifting the corporate veil, in Dig. disc. priv. - Sez. comm., vol. IX, Torino, 1993, p.
111.
(44) Fu particolarmente tragico l’incidente di Bhopal, nello Stato di Madya Pradesh, in India, dove nella notte tra il
2 e 3 dicembre 1984 una fuga di gas tossici uccise 3.828 persone e ne ferì oltre 350.000, molte delle quali con lesioni
permanenti alle vie respiratorie ed agli occhi. L’impianto era gestito dalla Union Carbide India Limited, società indiana
posseduta per il 50,9 % dalla Union Carbide Corporation, società statunitense costituita nello Stato di New York ed avente la
sua sede a Danbury nel Connecticut. Proprio in relazione all’elaborazione nel diritto anglosassone della teoria del lifting the
corporate veil, i danneggiati decisero di adire i giudici statunitensi, che in effetti, pur declinando la giurisdizione del foro
americano, imposero alcune condizioni, tra le quali quella che la controllante Union Carbide Corporation si impegnasse a
sottomettersi alla giurisdizione dei tribunali indiani, quindi di fatto sollevarono il velo della personalità giuridica. Dopo una
complessa vicenda giudiziaria in India, l’Union Carbide Corporation versò 470 milioni di dollari come risarcimento, pur se al
Governo indiano e non direttamente ai danneggiati, ai quali, secondo notizie di stampa, vengono distribuiti risarcimenti, a
partire dal novembre 2004, ossia a venti anni dall’evento.
Per il profilo che qui interessa è analogo il caso Amoco Cadiz. Il nome è quello di una super-petroliera che, a causa
di un’avaria, il 16 marzo 1978 fece naufragio in Bretagna, in prossimità del villaggio di Portsall, riversando in mare 230.000
tonnellate di petrolio greggio, che inquinarono 375 km di costa, con la conseguente distruzione del 30% della fauna e del 5%
della flora marina e pesanti ripercussioni sulle attività di pesca, ostricultura e turismo. L’Amoco Cadiz era di proprietà di una
società liberiana, l’Amoco Transport Co., le cui azioni erano possedute da società di un gruppo multinazionale attivo su scala
mondiale nei settori chimico e petrolifero, che faceva riferimento alla Standard Oil Co., società statunitense costituita
nell’Indiana ed avente sede a Chicago nell’Illinois. Lo Stato francese e varie autorità locali reclamarono danni per 769 milioni
di dollari. Investiti della questione, i giudici statunitensi, superando gli aspetti formali della personalità giuridica delle varie
società coinvolte, diedero pragmaticamente rilievo ad elementi sostanziali, come la titolarità delle decisioni e del controllo del
gruppo, attribuendo una responsabilità per fatto proprio alla società statunitense Amoco International Oil Co., costituita nel
Delaware e con sede a Chicago, che gestiva il settore del trasporto marittimo del gruppo facente riferimento alla Standard Oil
Co., capogruppo cui fu imputata invece una responsabilità per il mancato controllo della gestione della nave, unitamente alla
società liberiana Amoco Transport Co., proprietaria della nave stessa. I giudici statunitensi sollevarono il velo della personalità
giuridica perché la struttura societaria era funzionale all’operatività ed alla realizzazione dell’utile finanziario della
capogruppo, di cui in sostanza il gruppo attuava le decisioni. Venne posto in rilievo che all’interno del gruppo i dirigenti
occupavano posizioni intercambiabili e le azioni di buona parte delle società del gruppo non erano oggetto di negoziazioni di
mercato.
Diverso l’incidente di Seveso, dove il 10 luglio 1976 da un impianto dell’ICMESA spa, società costituita in Italia nel
1921 ed alla data dell’incidente avente sede a Meda, si verificò una fuga di sostanze tossiche, tra le quali la c.d. diossina, che
inquinò un’area di 1.807 ettari quadrati nei Comuni di Seveso, Meda, Cesano Maderno e Desio. Era evidente la
responsabilità civile dell’ICMESA spa, che però non aveva disponibilità finanziarie tali da poter far fronte all’entità dei danni
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5. – L’impianto del Regolamento relativo alle procedure d’insolvenza n. 1346 del 2000 del Consiglio
dell’UE (45), prevede che una procedura nazionale assuma il ruolo di procedura “principale”, venendo
ad avere un ruolo preminente sul piano europeo, sono però previsti regimi derogatori su specifici
aspetti che limitano la portata di tali procedure, aventi portata tendenzialmente universale in tutta
l’Unione. La prima deroga a favore dei diritti nazionali è data proprio dalla possibilità di aprire
procedure secondarie, ma al di là di tale profilo “strutturale”, tutta una serie di interessi e di diritti sono
valutati autonomamente, nella difficoltà di individuarne una disciplina comune o di applicare il diritto
dello Stato in cui si è aperta la procedura, stante le incolmabili diversità a livello di discipline nazionali.
Mi riferisco principalmente alle previsioni contenute negli artt. 5 – 15 del Regolamento.
Punto di inizio della trattazione dei rapporti tra procedura principale e procedure secondarie
può essere costituito dall’art. 3 del Regolamento, che si occupa dell’attribuzione della competenza
giurisdizionale. Il fondamentale criterio di giurisdizione è rappresentato dalla presenza in uno Stato
membro del «centro degli interessi principali del debitore». Tra tutte le procedure che possono aprirsi
nei Paesi dell’Unione a seguito dell’insolvenza di un soggetto i cui beni e rapporti siano localizzati in più
Stati, il Regolamento opera la scelta di ritenere preminente quella aperta nello Stato membro nel cui
territorio sia situato il centro degli interessi principali del debitore (46), per le società intendendosi tale,
fino a prova contraria, la sede statutaria. Tendenzialmente anzi (art. 3) sono competenti ad aprire la
procedura d’insolvenza solo i giudici dello Stato in cui si trova il centro degli interessi principali, infatti i
giudici di un altro Stato sono competenti ad aprire una procedura unicamente se nel loro territorio si
trova una dipendenza dell’attività del debitore e comunque gli effetti prodotti da tale esercizio della loro
giurisdizione saranno meramente territoriali, limitati cioè ai beni del debitore che si trovano in tale
territorio (art. 3, par. 2) (47). Questi criteri di giurisdizione non prevedono deroghe e pertanto non può
avere alcuna influenza la volontà delle parti interessate. Per quanto riguarda la giurisdizione non ha
rilievo neppure il luogo in cui si trovano i beni del debitore (48). I criteri di giurisdizione individuati
dall’art. 3 sono inderogabili, valgono però unicamente ad individuare lo Stato membro i cui giudici
possono aprire la procedura d’insolvenza, la ripartizione interna della competenza in tale Stato sarà
determinata secondo il diritto nazionale (49).
In estrema sintesi quanto sopra esposto comporta l’elezione della procedura aperta nel centro
degli interessi principali del debitore a procedura “principale”, ossia da riconoscere in tutti gli altri Paesi
ed i cui organi tendenzialmente gestiscono, anche a livello transnazionale, il dissesto. La procedura
principale d’insolvenza ha dunque una portata “universale”, comprende tutti i beni del debitore,
ovunque situati, ed interessa tutti i creditori, ovunque si trovino (50). Questa è la regola cardine alla
quale segue che la lex fori determina anche la lex concursus.
causati, che vennero valutati in L. 121.635.866.606, oltre ai danni fisici subiti dai residenti, difficilmente valutabili soprattutto
per il futuro. Dell’ICMESA spa erano proprietarie tre società svizzere ed il controllo, tramite la Givaudan et C. s.a., era
esercitato dal gruppo Hoffman La Roche.I privati ed i Comuni interessati citarono in giudizio, nel nostro Paese, la società
controllante Givaudan et C. s.a., pur se era evidente che mancavano gli strumenti giuridici con i quali superare la limitazione di
responsabilità garantita alla società per azioni, come era assai improbabile che la Svizzera potesse poi riconoscere una
sentenza di condanna italiana della Givaudan et C. s.a. Lo Stato italiano e la Regione Lombardia, in via surrogatoria per gli
anticipi versati a titolo di risarcimento danni, preferirono quindi seguire la strada della transazione, che per ragioni politiche e
di immagine fu accettata dalla Givaudan et C. s.a., la quale però volle mantenere ben ferma la separazione societaria e tramite
un atto d’accollo assunse semplicemente gli obblighi dell’ICMESA spa, peraltro concordando un risarcimento che non coprì
la totalità dei danni lamentati. Alla soluzione transattiva si volsero quasi tutti i ricorrenti privati.
(45) Regolamento n. 1346/2000, approvato dal Consiglio dell’Unione europea il 29 maggio 2000, in Gazz. uff. delle
Comunità europee, 30 giugno 2000, n. L 160, p. 1 ss., in vigore dal 31 maggio 2002.
(46) Il punto 13 del preambolo intende chiarire il significato della nozione «centro degli interessi principali del
debitore» come il luogo in cui il debitore esercita in modo abituale e pertanto riconoscibile dai terzi, la gestione dei suoi
interessi.
(47) Vedi comunque art. 18, par. 2, sui poteri del curatore.
(48) In questo senso FUMAGALLI, op. cit., p. 689.
(49) Cfr. punto 15 del preambolo.
(50) Secondo quanto affermato nel punto 16 del preambolo ai giudici competenti ad aprire una procedura
principale dovrebbe essere inoltre consentito di imporre l’adozione di provvedimenti provvisori e conservativi sin dalla
richiesta di apertura della procedura stessa.
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Il criterio generale dell’art. 3, non esclude, al secondo paragrafo, che i giudici di uno Stato nel
cui territorio non si trovi il centro degli interessi principali del debitore, possano tuttavia aprire una
procedura d’insolvenza, limitata però ai beni del debitore situati in tale Stato, ed alla condizione che
questi lì vi possieda una dipendenza. Occorre però porre attenzione perché vi è la possibilità di aprire
due diverse categorie di procedure secondarie. Vi sono cioè le procedure secondarie, che per comodità
si possono definire “ordinarie”, che seguono l’apertura della procedura principale ed hanno lo scopo
della migliore gestione del dissesto locale in uno Stato non sede della procedura principale e sono
disciplinate nel capitolo III del Regolamento (art. 27 ss.). Ma secondo il paragrafo 4, dell’art. 3, una
procedura territorialmente limitata, basata sulla presenza di una semplice dipendenza, può essere aperta,
anche indipendentemente dall’apertura della procedura “principale”, senza appunto alcuna pronuncia
d’insolvenza da parte dei giudici dello Stato in cui è situato il centro degli interessi principali del
debitore. Ciò può avvenire quando nei confronti del debitore non sia possibile aprire una procedura
concorsuale per l’assetto normativo dello Stato in cui è situato il centro dei suoi interessi principali. Può
inoltre essere aperta se la richiesta di apertura della procedura provenga da un creditore che abbia sede
nello Stato in cui si trova la dipendenza o se il debito sia relativo unicamente all’esercizio dell’attività di
tale sede secondaria. L’intento che si palesa è quello di limitare al minimo indispensabile l’apertura di
procedure “indipendenti” da una procedura principale. Sono dunque previste non solo le procedure
secondarie che per comodità ho definito “ordinarie”, ma anche procedure territoriali “indipendenti”,
pur se non si tratta di una definizione del tutto corretta, infatti su di esse può incidere l’apertura
successiva di una procedura principale (artt. 36 e 37).
Tornando all’assetto del Regolamento, pur con le particolarità proprie delle ipotesi di procedure
“indipendenti” su cui mi riservo di tornare, vi è un criterio di subordinazione, stabilito nel paragrafo 3,
dello stesso art. 3, tra la procedura d’insolvenza del luogo in cui è situato il centro degli interessi
principali del debitore e l’apertura di procedure secondarie. Queste in primo luogo sono territoriali,
inoltre assumono il ruolo appunto di procedure secondarie, ancillari, ed infine devono essere
obbligatoriamente procedure di liquidazione. Il ruolo subordinato e secondario di tali procedure è
legato alla circostanza che la procedura aperta nel luogo in cui è situato il centro degli interessi principali
del debitore è l’unica procedura che possa assumere un ruolo internazionale, tendenzialmente quindi
volta a comprendere tutti i beni ed i rapporti sia attivi che passivi del debitore, le altre no, hanno solo
valenza per i singoli territori nazionali. La ratio di tale scelta è legata alla considerazione che il luogo
dove è situato il centro degli interessi principali del debitore, ossia dove il debitore intrattiene
regolarmente i suoi rapporti e si concentrano le sue relazioni commerciali è anche quello dove
dovrebbe trovarsi il nucleo del suo patrimonio e dove presumibilmente i creditori fanno principalmente
riferimento. Tale impostazione trova riflesso in diversi aspetti specifici. In primo luogo ex art. 27, per
chiedere l’apertura della procedura secondaria non vi è la necessità di dimostrare lo stato di insolvenza
del debitore, bastando l’accertamento effettuato all’apertura della procedura principale. La
legittimazione a chiedere l’apertura della procedura secondaria, a norma dell’art. 29, spetta anche al
curatore della procedura principale (51), segnalando che non si fa menzione di analoga legittimazione
per i curatori di altre eventuali procedure secondarie già in essere in altri Stati, e si può ritenere che sia
un ulteriore aspetto del ruolo della procedura principale, l’unica ad avere una valenza tendenzialmente
universale. Riassumendo la procedura principale ha efficacia e portata universale, comprendendo tutti
gli elementi attivi del patrimonio del debitore, anche quelli situati al di fuori dello Stato in cui essa è
stata aperta, tale portata universale, tuttavia, può essere limitata qualora venga aperta, nello Stato
(51) Tale assetto della legittimazione parrebbe chiaro, ma BARIATTI, L’applicazione del Regolamento CE n. 1346/2000
nella giurisprudenza, in Riv. dir. proc., 2005, p. 692 s., segnala la decisione del 23 gennaio 2004 del Landgericht Köln, in EIR
Database, n. 21, relativa alla richiesta dell’apertura di una procedura secondaria in Germania, Stato della sede del debitore,
successivamente all’apertura di una procedura principale in Inghilterra, ove era stato ritenuto che fosse localizzato il centro
degli interessi principali del debitore. Il giudice tedesco ritenne che l’apertura della procedura secondaria potesse essere
chiesta in Germania anche dal debitore, sebbene fosse stato nominato un curatore in Inghilterra, purché secondo la lex
concursus (la legge inglese), il curatore non fosse succeduto interamente al debitore. Giustamente l’A. rileva che sarebbe stato
preferibile risolvere la questione sulla base del Regolamento, che all’art. 29, lett. b) rinvia alla legge dello Stato nel cui
territorio è chiesta l’apertura della procedura secondaria per la determinazione dei soggetti che, oltre al curatore della
procedura principale ex lett. a), sono legittimati a chiedere l’apertura della procedura secondaria. Inoltre, ai sensi dell’art. 28,
la lex concursus della procedura secondaria è quella dello Stato di apertura di questa stessa procedura, non quella dello Stato
ove è aperta la procedura principale.
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membro in cui il debitore abbia una dipendenza, una procedura secondaria. Questo porta alla
coesistenza di due o più procedure, la principale, di portata universale, eccettuato che per i Paesi in cui
sia aperta una procedura secondaria, nei cui territori ha efficacia la procedura secondaria, che si
configura comunque come uno strumento ausiliario del procedimento principale, pur se risponde anche
alla funzione di una più efficace tutela degli interessi locali. Evidente corollario di tale assetto è che
l’avvenuta apertura di una procedura d’insolvenza a carattere principale preclude la successiva apertura
di un procedimento dello stesso tipo negli altri Paesi (52). Ma non solo, ai sensi dell’art. 3, par. 3,
ribadisco come la procedura secondaria d’insolvenza debba essere obbligatoriamente una procedura di
liquidazione (deve essere una delle procedure elencate nell’allegato B) (53), da ciò consegue che, aperta
una procedura principale, negli altri Stati dove il debitore abbia una dipendenza è preclusa l’apertura di
procedure di risanamento, la procedura secondaria viene dunque vincolata ad uno scopo ben preciso,
può avere esclusivamente carattere liquidatorio.
Non sottostanno a tale vincolo le procedure territoriali sopra definite come “indipendenti”,
ossia quelle aperte in assenza di una procedura principale ai sensi dell’art. 3, par. 2, nel rispetto delle
condizioni dell’art. 3, par. 4. Queste procedure possono essere anche procedure di risanamento, ma
come sopra ricordato la successiva apertura di una procedura principale può influire anche su questo
aspetto. L’art. 36 prevede, dove compatibile, una subordinazione successiva alla procedura principale
aperta posteriormente, e l’art. 37 specifica che il curatore della procedura principale può chiedere la
conversione della procedura territoriale di risanamento in una procedura di liquidazione, nell’interesse
dei creditori della procedura principale.
Diventa interessante un riferimento alla vicenda Parmalat, che consente di verificare nella pratica
il sistema introdotto dal Regolamento. Come evidenziato, procedura secondaria può essere unicamente
una delle procedure di liquidazione indicate nell’allegato B. Per quel che concerne l’Italia le procedure
ivi elencate sono il fallimento, il concordato preventivo con cessione dei beni, la liquidazione coatta
amministrativa, l’amministrazione straordinaria con programma di cessione dei complessi aziendali e
l’amministrazione straordinaria con programma di ristrutturazione di cui sia parte integrante un
concordato con cessione dei beni. Se si considera l’insolvenza del gruppo Parmalat, l’art. 3, comma 3,
del decreto Marzano estende l’applicabilità della nuova amministrazione straordinaria anche alle
imprese del gruppo. Così è avvenuto per la controllata Eurofood, avente sede in Irlanda, di cui il
Tribunale di Parma, con sentenza 20 febbraio 2004 (54), ha dichiarato lo stato d’insolvenza. Secondo il
tale pronuncia infatti sussiste la giurisdizione italiana ad accertare lo stato d’insolvenza di una società
controllata allorché la sede statutaria, meramente formale o fittizia, sia in un altro Stato membro
dell’Unione europea, mentre si trova in Italia, presso la sede della società controllante, la sede
principale, da intendersi come centro di effettiva direzione e organizzazione dell’impresa. Il
provvedimento italiano di ammissione all’amministrazione straordinaria ha però posto in conflitto il
tribunale di Parma e la High Court irlandese, che nella sua sentenza del 23 marzo 2004 sostiene che la
procedura principale fosse quella già aperta in Irlanda dove il 27 gennaio 2004 la High Court irlandese
aveva adottato un provvedimento di nomina di un liquidatore provvisorio (provisional liquidator) per
Eurofood con potere immediato di prendere possesso di tutti i beni della società, di gestire i suoi affari, di
aprire un conto in banca in nome della società e di ingaggiare un avvocato. Dunque mentre si
sviluppava la vicenda giudiziaria irlandese, con decreto del Ministro delle attività produttive in data 9
febbraio 2004, anche la Eurofood IFSC Ltd veniva stata ammessa alla procedura di amministrazione
straordinaria ex art. 3, comma 3, del d.l. n. 347 del 2003, quale impresa del gruppo Parmalat e si
pronunciava appunto anche la nostra magistratura.
(52) Cfr. FUMAGALLI, op. cit., p. 690.
(53) Relativamente al Regolamento n. 1346 del 2000, sulle procedure d’insolvenza, si sono avute diverse modifiche
agli allegati relativi agli elenchi delle procedure d’insolvenza, delle procedure di liquidazione e dei curatori, recepite nel
Regolamento CE 603/2005 del Consiglio, del 12 aprile 2005, poi tali allegati sono stati nuovamente sostituiti dal
Regolamento (CE) n. 694/2006 del Consiglio, del 27 aprile 2006 e da ultimo il Regolamento (CE) n. 681/2007 del
Consiglio, del 13 giugno 2007 ha nuovamente modificato tali elenchi.
(54) La si legge in Foro it., 2004, I, c. 1567 ss.; in Riv. dir. int. priv. e proc., 2004, p. 1062 ss.; in Giur. it., 2005, p. 1199
ss., ed in Il fall., 2004, p. 1265 ss.
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Nel caso Eurofood, dunque sia il giudice irlandese che quello italiano si sono dichiarati
competenti ad aprire una procedura principale. Punto cardine è l’individuazione del centro degli
interessi principali del debitore, che secondo diverse considerazioni in diritto ed in fatto si trova in
Irlanda secondi i giudici irlandesi ed in Italia secondo quelli italiani.
La Supreme Court irlandese decide allora di sottoporre alla Corte di giustizia le questioni
pregiudiziali relative alla nozione di «decisione di apertura di una procedura d’insolvenza» ai sensi
dell’art. 16 del Regolamento, all’effetto preclusivo della decisione di apertura di una procedura di
insolvenza principale ai fini della giurisdizione di altri Stati ed alla definizione del centro degli interessi
principali del debitore.
Relativamente all’aspetto che qui interessa la sentenza della Corte di giustizia sulla domanda di
pronuncia pregiudiziale proposta dalla Supreme Court irlandese nel caso Eurofood, interpreta le norme del
Regolamento in maniera opposta a quella dei giudici italiani, non accettando la tesi che privilegia la
controllante (55). Secondo la Corte quando debitore è una società controllata, la cui sede statutaria è
situata in uno Stato membro diverso da quello in cui ha sede la sua società madre, la presunzione
contenuta nell’art. 3, n. 1, seconda frase, del Regolamento n. 1346 del 2000, secondo la quale il centro
degli interessi principali di detta controllata è collocato nello Stato membro in cui si trova la sua sede
statutaria, può essere superata soltanto se elementi obiettivi e verificabili da parte di terzi consentono di
determinare l’esistenza di una situazione reale diversa da quella che si ritiene corrispondere alla
collocazione in detta sede statutaria (56). Occorre qualcosa di più, di diverso, rispetto al mero controllo
societario.
A questo punto, se si deve riconoscere come procedura principale la procedura irlandese,
segnatamente in quanto aperta precedentemente alla procedura italiana, sorge il concreto interrogativo
della sorte della procedura italiana. Dal punto di vista che qui interessa su cui mi riservo di tornare in
seguito con considerazioni più generali, per assumere il ruolo di procedura secondaria la procedura
italiana dovrà rientrare in una delle ipotesi di amministrazione straordinaria sopra elencate. Ma nel caso
di specie la vicenda potrebbe essere ancora più complicata nel senso che di fatto in Italia Eurofood non
pare avere neppure una dipendenza, vi è solo la decisione italiana di apertura della procedura, sulla base
di una valutazione, errata secondo la Corte di giustizia, che il centro degli interessi principali sia presso
la controllante; la pronuncia italiana evidentemente non può essere di apertura di una procedura
principale, già aperta in Irlanda, ma se Eurofood non ha una dipendenza in Italia, non può considerarsi
neppure come decisione di apertura di una procedura secondaria, mancandone il presupposto, quindi
appare insuscettibile di un qualsiasi scopo (57).
A questo punto mi devo occupare più dettagliatamente di due aspetti: del riconoscimento delle
sentenze e del concetto di «dipendenza» come condizione per l’apertura di una procedura secondaria.
In relazione agli effetti del riconoscimento, bisogna chiarire la diversa portata del
riconoscimento di una procedura principale rispetto ad una territoriale. Il principio del riconoscimento
automatico vale per tutte le procedure, ma quello di una procedura territoriale ha effetti più limitati. Il
(55) Corte giust., 2 maggio 2006, in causa C-341/04, Eurofood IFSC Ltd, reperibile sul sito web ufficiale della Corte
di giustizia http://curia.eu.int/, causa C-341/04, ed in Guida al diritto, 2006, n. 20, p. 113 ss.
(56) La Corte ha anche chiarito altri punti del Regolamento: l’art. 16, n. 1, comma 1, deve essere interpretato nel
senso che la procedura di insolvenza principale aperta da un giudice di uno Stato membro deve essere riconosciuta dai
giudici degli altri Stati membri senza che questi possano controllare la competenza del giudice dello Stato di apertura. In
sostanza il Regolamento non prevede strumenti per la risoluzione dei conflitti di competenza, se non lo strumento “a priori”
della mera prevenzione. In secondo luogo l’art. 16, n. 1, comma 1, deve inoltre essere interpretato nel senso che costituisce
una decisione di apertura della procedura di insolvenza ai sensi di tale norma la decisione pronunciata da un giudice di uno
Stato membro investito di una domanda in tal senso, basata sull’insolvenza del debitore e finalizzata all’apertura di una
procedura di cui all’allegato A del medesimo Regolamento, allorché tale decisione comporta lo spossessamento del debitore
e comprende la nomina di un curatore previsto dall’allegato C al citato regolamento. Tale spossessamento comporta che il
debitore perda i poteri di gestione da lui posseduti sul proprio patrimonio. Come terzo ed ultimo punto, secondo la Corte di
giustizia, l’art. 26 del Regolamento deve essere interpretato nel senso che uno Stato membro può rifiutarsi di riconoscere
una procedura di insolvenza aperta in un altro Stato membro qualora la decisione di apertura sia stata assunta in manifesta
violazione del diritto fondamentale di essere sentito di cui gode un soggetto interessato da una tale procedura.
(57) Alla data del Convegno la procedura, rubricata al n. 19/2004, è ancora aperta a Parma. Si è tenuta udienza di
verifica dello stato passivo in data 23 marzo 2007, al termine della quale il G.D. ha rinviato al 30 gennaio 2008 per la
chiusura dello stato passivo, con la seguente motivazione: «in attesa della pronuncia definitiva relativa alla competenza per la
dichiarazione dell'insolvenza».
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riconoscimento di una procedura principale, art. 17, par. 1, «produce in ogni altro Stato membro, senza
altra formalità, gli effetti previsti dalla legge dello Stato di apertura», di conseguenza, dopo l’apertura di
una procedura principale nello Stato dove si trova il centro degli interessi principali, negli altri Stati
membri va riconosciuta l’esistenza di tale procedura e l’azione dei suoi organi, sarà eventualmente
possibile l’apertura in loco solo di una procedura secondaria.
Il riconoscimento della decisione di apertura di una procedura territoriale non ha questa portata,
dato il ruolo di simili procedure, gli effetti sono anch’essi essenzialmente territoriali, ma di tali effetti si
deve tenere conto, senza poterli contestare, ogni qualvolta siano rilevanti per attività o per la soluzione
di controversie davanti ad autorità di altri Stati (58).
Va posta in evidenza l’opinione secondo cui, in presenza dell’apertura di una procedura
territoriale “indipendente”, ovviamente prima di quella principale, il giudice successivamente richiesto
di aprire in un altro Stato membro la procedura principale sia vincolato, ai fini della valutazione,
evidentemente positiva, dello stato di insolvenza del debitore, dalla precedente decisione di apertura
della procedura territoriale (59). La tesi non pare condivisibile. È senz’altro vero che il principio
stabilito dall’art. 16, e cioè il riconoscimento delle decisioni di apertura delle procedure di insolvenza si
applichi a tutte le decisioni rese nell’àmbito dell’art. 3, e quindi anche a quelle rese ai sensi del suo par.
4. È poi evidente che se un giudice ha aperto una procedura territoriale, ha ritenuto l’insolvenza del
debitore. Va però considerato il ruolo delle procedure secondarie, che si traduce anche in esplicite
previsioni normative. Lo stesso art. 3, par. 2, prevede che l’apertura di una procedura territoriale sia
legata all’esercizio di una dipendenza, quindi al par. 4, pone le specifiche condizioni di apertura. La
valutazione che compie l’autorità competente ad aprire una procedura territoriale è pertanto legata allo
stato di fatto esistente alla partizione dell’impresa operante sul territorio della sua sfera giurisdizionale.
Se può ammettersi che l’accertamento dell’insolvenza compiuto nel luogo dove si trova il centro degli
interessi principali del debitore possa fare stato in tutta l’Unione, non pare accettabile che l’insolvenza
di una dipendenza possa avere tali effetti. La dichiarazione di apertura di una procedura territoriale va
automaticamente riconosciuta negli altri Paesi membri, ma appunto come decisione di apertura di una
procedura territoriale. Va anche ricordato che l’art. 27 prevede che solo una procedura principale, di cui
all’articolo 3, par. 1, aperta da un giudice di uno Stato membro e riconosciuta in un altro Stato membro
permette di aprire, in quest’altro Stato membro una procedura secondaria d’insolvenza, senza che in
questo altro Stato sia esaminata l’insolvenza del debitore. Nel Regolamento non vi è traccia di analoghi
effetti, che conseguano dall’apertura di una procedura secondaria, per la dichiarazione di apertura di una
procedura principale.
Non è questa la sede per soffermarsi sul criterio del «centro degli interessi principali del
debitore» che legittima l’apertura di una procedura principale, occorre invece qualche maggiore
riflessione sull’apertura di una procedura secondaria d’insolvenza, legata dall’art. 3, par. 2, alla presenza
di una «dipendenza», che diventa quindi il presupposto per l’apertura di una procedura secondaria (60).
Il termine «dipendenza» trova una definizione all’art 2, lett. h), che fa riferimento a «qualsiasi luogo di
operazioni in cui il debitore esercita in maniera non transitoria un’attività economica con mezzi umani e
con beni». Non pare dunque sufficiente che in uno Stato si trovino dei beni del debitore, la semplice
presenza di un attivo patrimoniale non legittima l’apertura di una procedura secondaria (61), anche se è
(58) Per esempio l’apertura di una procedura secondaria in Italia, a seguito di un procedimento principale francese,
ha certo effetti solo nel nostro Paese, però un Paese terzo, per esempio la Germania, non potrà disconoscere al curatore
italiano la legittimazione ad operare in Germania per il recupero di un bene, già pertinenziale della dipendenza italiana del
debitore fallito, e che quest’ultimo aveva distratto in Germania dopo l’apertura della procedura (art. 18, par. 2). Similmente
dovrebbe essere in relazione alle azioni che il curatore italiano avvii in Germania per ivi recuperare crediti relativi all’esercizio
della dipendenza italiana del debitore assoggettato a procedura territoriale italiana. Così DE CESARI e MONTELLA, Le
procedure di insolvenza nella nuova disciplina comunitaria, Milano, 2004, p. 193.
(59) Come sostengono DE CESARI e MONTELLA, op. cit., p. 250.
(60) Va notato che l’apertura di procedure secondarie non è stata ritenuta applicabile alle persone fisiche dal
Bundesgerichtshof con decisione del 27 novembre 2003, vedi BARIATTI, op. cit., p. 692.
(61) L’affermazione è confortata anche dal fatto che in sede di elaborazione del Regolamento siano state disattese
le proposte avanzate in tal senso, cfr. DE CESARI e MONTELLA, op. cit., p. 100.
In giurisprudenza Landesgericht Klagenfurt, 2 luglio 2004, Zenith, in EIR Database, n. 46, ma contra la nostra Corte di
cassazione, infatti secondo Cass., sez. un. (ord.), 28 gennaio 2005, n. 1734, in Riv. dir. int. priv. e proc., 2005, p. 450 ss., il fatto
che una società avente sede statutaria in altro Stato membro possieda in Italia un immobile, pur se unico bene idoneo a
soddisfare le pretese dei creditori, non è elemento atto a fondare, ai sensi dell’art. 3, par. 1, Regolamento n. 1346 del 2000, la
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stata espressa l’opinione che sia possibile aprire una procedura locale a fronte di un mero patrimonio ed
in difetto di una attività d’impresa “dipendente”, questo a condizione che sia già stata aperta una
procedura principale e che la procedura secondaria sia finalizzata alla migliore amministrazione dei
cespiti patrimoniali presenti sul territorio. Si tratta di un’opinione espressa soprattutto in relazione al
considerando n. 19, che tra gli scopi delle procedure secondarie include anche quello di «una gestione
efficace dell’attivo»; in difetto dell’esercizio di una attività di impresa sarebbe in ogni caso preclusa
l’apertura di una procedura locale in via autonoma (62). Seguendo più letteralmente gli artt. 2 e 3 del
Regolamento emerge invece l’esigenza di una sia pur minima organizzazione di mezzi umani e di beni
in grado di operare verso l’esterno con continuità, nell’àmbito delle attività della casa madre. Va anche
tenuto presente che legare la possibilità di aprire una procedura secondaria alla semplice presenza di
beni patrimoniali indebolirebbe notevolmente il carattere universale della procedura principale (63). È
stato argomentato che il semplice riferimento ad una qualsiasi attività continuativa, suscettibile di avere
economica rilevanza, non può non includere anche attività diverse da quelle abitualmente ricomprese
nel concetto di impresa commerciale, come l’esercizio di una professione liberale o di un’arte (64). La
dipendenza non deve essere dotata di personalità giuridica (65) e neppure configurarsi come un’«altra
sede di attività», come previsto nel Regolamento n. 44 del 2001, definizione che sostituisce il concetto
di filiale previsto nella Convenzione di Bruxelles del 1968. Il requisito appare più minimale, una
struttura con una certa stabilità, che si può ritenere debba in sostanza rispondere all’esigenza di
consentire a chi entra in contatto con una struttura riconoscibile come «dipendenza» di non essere
pregiudicato dal fatto di relazionarsi con quella che appare come la propaggine di una casa madre
straniera.
Dal punto di vista della ripartizione della competenza all’interno dello Stato appare logico
utilizzare lo stesso criterio della dipendenza, nel senso di riconoscere competente il giudice del luogo
nel quale si trova la dipendenza, per il nostro Paese si tratta di applicare la stessa regola dell’art. 9 l.fall.,
dalla quale dedurre pure che qualora esistano più dipendenze, la competenza interna spetti al giudice del
luogo in cui si trova la dipendenza principale o comunque di riferimento rispetto all’attività
esercitata (66).
6. – Quando si intende aprire una procedura secondaria, accertata la competenza ai sensi del
Regolamento, occorre ragionare sui presupposti per giungere alla concreta apertura di tale procedura. Il
principio del riconoscimento negli altri Stati di una procedura principale, comporta che una procedura
d’insolvenza relativa ad un non commerciante abbia effetti anche nei Paesi, come l’Italia, dove tali
debitori non possono essere assoggettati a procedure concorsuali. Il carattere dipendente della
procedura secondaria non pare consentire invece di superare i presupposti nazionali sulla cui base
avviene l’effettiva apertura di una procedura concorsuale. In sostanza l’autorità nazionale chiamata a
pronunciarsi sull’apertura di una procedura secondaria non valuterà quale presupposto necessario e
sufficiente per la decisione l’esistenza di una dipendenza sul territorio, ma applicherà la legge interna
giurisdizione italiana ai fini di aprire una procedura principale d’insolvenza nei confronti della società «trattandosi di
elemento atto a giustificare (tutto al più sussistendo le altre condizioni previste dal regolamento) l’apertura di una procedura
secondaria, a norma del secondo paragrafo».
BARIATTI, op. cit., p. 692, nota 46, riporta la decisione di un giudice belga del 18 marzo 2003, Conception Enterprises,
relativa all’apertura in Belgio di una procedura secondaria di una società inglese, in EIR Database, n. 23, dove la procedura
secondaria è stata aperta sebbene la succursale consistesse unicamente in un recapito postale.
(62) Vedi MARINONI, Le procedure locali di insolvenza autonome e secondarie, in Dir. e pratica soc., 2005, fasc. 3, p. 30 ss.
(63) Così CAPONI, Il regolamento comunitario sulle procedure d’insolvenza, in Foro it., 2002, V, c.. 223.
(64) Secondo le considerazioni di E. F. RICCI, Le procedure locali previste dal regolamento CE n. 1346/2000, in Giur.
comm., 2004, I, p. 910.
(65) Vi sono alcune pronunce in tal senso, segnalate dalla BARIATTI, op. cit., p. 692, nota 43: la citata decisione del
giudice belga del 18 marzo 2003, Conception Enterprises, relativa all’apertura in Belgio di una procedura secondaria di una
società inglese; la decisione del Rechtbank Hertogenbosch del 24 maggio 2004, Transbus International Ltd.; la decisione del
Tribunale di Atene n. 693/2003; l’Oberlandesgericht Linz, 7 settembre 2004, in mancanza di un’attività, di mezzi e risorse di
personale in Austria non ha aperto una procedura secondaria in tale Stato di una società con sede e centro degli interessi
principali in Germania.
Vedi quindi DE CESARI e MONTELLA, op. cit., p. 101, che fanno riferimento anche al altra dottrina, ivi, nota 29.
(66) Vedi E. F. RICCI, op. cit. , p. 910.
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circa l’esistenza dei presupposti soggettivi in capo al debitore (67). Nel nostro Paese il giudice rimarrà
legato al presupposto dell’esercizio da parte del debitore di un impresa commerciale non piccola (68).
Una riflessione va dedicata anche all’art. 27, quando, aperta in un Paese membro una procedura
principale, prevede l’apertura di una procedura secondaria in un altro Paese «senza che in questo altro
Stato sia esaminata l’insolvenza del debitore». Presupposto oggettivo è allora l’avvenuta apertura della
procedura nello Stato dove si trova la sede degli interessi principali. Appare inevitabile corollario dei
princìpi del Regolamento che l’autorità chiamata ad esprimersi sull’apertura della procedura secondaria
possa trovarsi a dover recepire un concetto di «insolvenza» diverso da quello della sua legge nazionale.
Si è però fatto presente che la mancata verifica dell’insolvenza può influire sulla concreta applicazione
della normativa concorsuale (69).
Non tutte queste considerazioni possono essere riproposte per le procedure “indipendenti” o
“autonome” di cui al par. 4 dell’art. 3. La fattispecie è legata alla mancanza di una procedura principale
nello Stato in cui si trova il centro degli interessi principali del debitore (70). Ovviamente in questa
ipotesi deve essere l’autorità dello Stato in cui si trova la dipendenza ad accertare l’insolvenza del
debitore. Queste procedure non nascono dunque come procedure dipendenti e la ratio di questo assetto
può essere dedotta dalle due ipotesi in cui possono essere aperte. Si tratta di casi specifici che, come
detto, mostrano l’intento del legislatore comunitario di limitare l’utilizzo di queste procedure, che si
presentano come un’anomalia rispetto all’impianto generale (71). Le ipotesi sono descritte
rispettivamente alle lettere a) e b) del par. 4 dell’art. 3.
La prima fa riferimento alle condizioni previste dalla legislazione dello Stato membro nel quale
il debitore ha il centro dei propri interessi principali, che non consentano di aprire una procedura
principale di insolvenza ai sensi del par. 1 dello stesso art. 3. Come detto siamo di fronte ad
un’anomalia. Tendenzialmente solo all’autorità dello Stato in cui il debitore ha il proprio centro degli
interessi principali è consentito di aprire una procedura, che sarà principale ed universale. Stanti le
differenze legislative tra i Paesi membri può però accadere che nello Stato in cui il debitore ha il proprio
centro degli interessi principali manchino alcuni dei presupposti per sottoporlo ad una procedura
concorsuale, mentre sussistano per la legislazione dello Stato in cui si trova una dipendenza della stessa
impresa. Se prendiamo ad esempio la legislazione italiana, che è una delle più restrittive in materia, essa
non consente il fallimento del privato persona fisica non imprenditore, che può avere in Italia il centro
dei propri interessi principali ed una dipendenza in un altro Paese, in cui invece il fallimento del non
imprenditore è ammesso. In questo caso l’autorità di questo ultimo Stato potrà aprire una procedura di
insolvenza, che sarà evidentemente autonoma, indipendente, mancando la procedura principale, ma
non potrà essere una procedura principale, sarà limitata al patrimonio dell’insolvente presente nel
territorio di quel determinato Stato. Il campo pratico di applicazione di tale ipotesi sembra limitato, ma
merita una considerazione in relazione alla legittimazione attiva a chiedere l’apertura di una simile
procedura, che non è limitata come nel caso della successiva lett. b). Si può ipotizzare che un creditore
italiano, non potendo ottenere l’apertura di una procedura concorsuale in Italia, agisca in fallimento nel
Paese in cui si trova la dipendenza, e presumibilmente potrà farlo anche per crediti non direttamente
(67) Ne consegue che in Italia l’apertura in altro Paese di una procedura concorsuale principale a carico di un non
imprenditore produrrà tutti i propri effetti, stante il principio del riconoscimento automatico, a partire dallo spossessamento
fino alla liquidazione del patrimonio, ma in Italia non sarà possibile aprire una procedura territoriale.
(68) Nuovamente E. F. RICCI, op. cit. , p. 910 s.; MARINONI, Procedure territoriali di insolvenza: profili comuni, in Dir. e
pratica soc., 2005, fasc. 4, p. 37 s.; DE CESARI e MONTELLA, op. cit., p. 231.
(69) Secondo E. F. RICCI, op. cit. , p. 912 s., relativamente al nostro Paese nella procedura secondaria si presenta lo
stesso tipo di problemi sorti nel fallimento dipendente ex art. 147 l.fall., in particolare relativamente alle azioni revocatorie.
Similmente MARINONI, op. cit., p. 38.
(70) Si rileva da parte di DE CESARI e MONTELLA, op. cit., p. 123, una certa imprecisione nell’espressione, contenuta
nel par. 4, per la quale «una procedura d’insolvenza territoriale.., può aver luogo prima dell’apertura di una procedura
principale». L’espressione è infelice e riproduce analoga inesattezza nel testo del considerando 17, in quanto da essa si potrebbe
dedurre che le procedure territoriali del par. 4 possano sì essere aperte prima della procedura principale, ma debbano
comunque essere poi seguite da una procedura principale. In realtà così non è: quanto alla ipotesi della lettera a), essa
presuppone espressamente che una procedura principale universale non sia stata aperta, non solo, ma che non sia neppure
possibile aprirla; quanto invece alla lettera b), l’apertura di una procedura principale in un altro Paese costituisce solo una
eventualità, ma non certo una necessità, potendo benissimo essere che i creditori si accontentino di una procedura
territoriale.
(71) Vedi FUMAGALLI, op. cit., p. 693; E. F. RICCI, op. cit. , p. 916.
17
legati a tale dipendenza, essendo la stessa semplicemente un luogo in cui si opera con l’attività
principale (72).
Di maggiore rilievo appare l’ipotesi prevista alla lett. b), dove la procedura può essere aperta su
domanda di un creditore con residenza, domicilio o sede nello Stato in cui si trova la dipendenza,
ovvero il cui credito derivi dall’esercizio della dipendenza stessa (73). Sono dunque escluse l’iniziativa
del debitore, quella dei creditori che non rispondano a tali requisiti nonché iniziative d’ufficio o di
organi pubblici come il nostro pubblico ministero. Ne consegue che un imprenditore italiano che abbia
collocato in altro Paese membro il centro degli interessi principali, di fronte all’insolvenza, in assenza o
nell’attesa dell’apertura di una procedura principale, avendo in Italia solo una dipendenza, è sottratto nel
nostro Paese alla dichiarazione su iniziativa del pubblico ministero, come dall’istanza di certi
creditori (74). D’altronde nell’ottica del Regolamento questa ipotesi rappresenta una ragionevole
mediazione tra il ruolo della procedura principale e l’esigenza di non rendere troppo difficoltosa
l’iniziativa del creditore, in situazioni di portata meramente locale, parendo spropositato obbligarlo a
rivolgersi all’autorità del Paese dove si trova il centro degli interessi principali del suo debitore. La
valutazione in tal senso è così lasciata al creditore che potrà comunque attivarsi anche per l’apertura
della procedura principale, ad esempio qualora il patrimonio presente nel territorio dello Stato in cui si
trova la dipendenza, a cui è limitata la procedura territoriale, risulti incapiente (75).
Come più volte ribadito, la procedura secondaria indipendente, a differenza di quella territoriale
dipendente, non soggiace ai vincoli del par. 3 dell’art. 3, pertanto non deve essere obbligatoriamente
una procedura di liquidazione, ma può trattarsi di qualsiasi procedura di insolvenza ai sensi dell’allegato
A (76). Solo qualora la procedura principale venisse successivamente aperta, e quindi si instaurasse il
vincolo di subordinazione rispetto alla procedura territoriale, ai sensi dell’art. 37, il curatore della
procedura principale potrebbe chiedere la conversione della procedura territoriale di risanamento in una
procedura liquidatoria.
Occorre però prima soffermarsi sull’art. 36, che detta la disciplina minimale dei rapporti per il
caso in cui alla procedura territoriale, inizialmente indipendente, segua l’apertura di una procedura
principale. La norma stabilisce cha alla procedura territoriale si applichino gli artt. da 31 a 35, ossia le
disposizioni sul coordinamento tra la procedura principale e quelle secondarie aperte successivamente,
norme che secondo l’impostazione del Regolamento vedono una posizione di supremazia della
procedura principale (77). Certo che l’utilizzo di queste norme su una procedura territoriale di tipo
concordatario o di risanamento non pare essere del tutto agevole (78). Tale supremazia si manifesta con
maggior evidenza ancora nel citato art. 37, che consente al curatore della procedura principale di
chiedere che la procedura territoriale non liquidatoria, sia convertita dal giudice di tale procedura in una
delle procedure liquidatorie dell’allegato B. L’unico requisito previsto dalla norma, e presumibilmente
pertanto l’unica condizione che dovrà essere dimostrata dal curatore al giudice della procedura
territoriale per ottenere la conversione, è che tale «conversione si rivela utile per gli interessi dei
creditori della procedura principale». Passa pertanto in secondo piano l’interesse dei creditori della
procedura territoriale, che potranno comunque valersi dell’art. 32, relativo all’esercizio dei loro diritti
nella procedura principale, mentre si manifesta il ruolo preminente della procedura principale. Per i
(72) Come rilevano DE CESARI e MONTELLA, op. cit., p. 121.
(73) Di cui vi sono esperienze in giurisprudenza sulla base della localizzazione nello Stato di una dipendenza e di un
creditore: sentenza resa il 31 marzo 2003 dal Rechtbank van koophandel Tongeren, in EIR Database, n. 38, e la precedente
decisione dello stesso giudice del 9 settembre 2002, ibidem, n. 36; la decisione del Tribunal de commerce di Bruxelles, 25
novembre 2002, Werlin Corporation Ltd., ibidem, n. 54.
(74) Profilo segnalato da E. F. RICCI, op. cit. , p. 916 s.
(75) Vedi DE CESARI e MONTELLA, op. cit., p. 122 che giustamente fanno l’ipotesi del creditore, titolare di un
credito derivante dall’esercizio della dipendenza locale libero di valutare se gli assets di quella dipendenza siano sufficienti a
garantirgli il recupero del proprio credito, magari in funzione di un particolare privilegio riconosciutogli dalla legge di quello
Stato: per esempio, per l’Italia, il creditore di retribuzioni da lavoro dipendente.
(76) Vedi FUMAGALLI, op. cit., p. 693 s.; DE CESARI e MONTELLA, op. cit., p. 122 s.
Lo stesso debitore, solvibile nel Paese in cui lui ha il centro dei propri interessi principali, potrebbe ricorrere, in
relazione ad una sua dipendenza in crisi, e solo per quella, ad una procedura territoriale di risanamento, senza che si apra una
procedura principale.
(77) Su tali articoli vedi il paragrafo seguente.
(78) Le considerazioni di E. F. RICCI, op. cit., p. 918; MARINONI, op. cit., p. 40 s.
18
diritti dei creditori nel nostro ordinamento non dovrebbero sorgere problemi in ordine alla
consecuzione delle procedure così attuata (79).
Un problema di rilievo nei rapporti tra procedura principale e secondaria è quello della possibile
revoca del provvedimento di apertura della procedura principale. Nel Regolamento non è previsto tale
evento patologico, esso fa invece riferimento alla chiusura delle procedure, prevedendo il sistema dei
rapporti tra chiusura delle procedure secondarie e chiusura della procedura principale. È stato
giustamente osservato che nel caso di caducazione del provvedimento di apertura della procedura
principale, che potrebbe avvenire anche a motivo dell’insussistenza dello stato di insolvenza, verrebbe
meno quell’accertamento dell’insolvenza, che nella dichiarazione di apertura della procedura secondaria
non ha formato, né doveva formare, oggetto di valutazione ex art. 27 (80). Si tratta di una situazione
decisamente estrema, ma il Regolamento sul punto non offre soluzioni di sorta (81). In dottrina è stata
prospettata la possibilità di decisioni «condizionate», che dichiarino, cioè, l’apertura della procedura
secondaria, accertando al contempo le condizioni per l’apertura di una procedura principale,
nell’eventualità che, in fase di impugnazione, sia revocata la procedura principale preveniente nello
Stato terzo. Data la gravità dei problemi che sorgono per l’assenza di regole una soluzione simile può
essere ritenuta praticabile pur se criticabile (82). Altre soluzioni, come quella di sospendere il
procedimento, in attesa che la decisione straniera passi in giudicato (83), non sono accettabili sul piano
pratico, la sospensione mal si concilia con le esigenze di una procedura concorsuale in quanto nelle
more potrebbe essere totalmente vanificata l’efficacia della procedura stessa, salvo che per quegli
ordinamenti dove sia possibile nominare un curatore provvisorio, che garantisca la conservazione dei
beni.
In chiusura del paragrafo preme aggiungere qualche considerazione all’affermazione, più volte
ribadita, che le procedure territoriali si caratterizzano nell’avere effetti limitati ai beni del debitore che si
trovano nel territorio dello Stato di apertura. Questo è certo, ma tali beni potrebbero essere soggetti
anche alla giurisdizione dei giudici di altri Paesi, sulla base di regole di competenza internazionale. Va
allora evidenziato quanto dispone l’art. 17, par. 2 Regolamento, nel cui primo inciso è stabilito che «Gli
effetti della procedura di cui all’art. 3, par. 2, non possono essere contestati negli altri Stati membri». La
circostanza che le procedure siano territoriali, delimita l’àmbito entro cui producono i loro effetti, ma
non anche lo spazio entro il quale tali effetti devono essere protetti, questo deve avvenire a livello
dell’intera Unione (84). Inoltre negli altri Stati membri, compresi quelli dove siano state aperte altre
procedure a carico dello stesso debitore, non può essere impedito al curatore della procedura
secondaria di esercitare i poteri concessigli dal Regolamento. Ne è un esempio l’art. 18, par. 2, dove gli
assicura «il potere di far valere in via giudiziaria e stragiudiziaria che un bene mobile è stato trasferito
dal territorio dello Stato membro di apertura nel territorio di altro Stato membro dopo l’apertura della
procedura d’insolvenza». Tale potere potrebbe essere fatto valere negli Stati membri dove sono
pendenti altre procedure di insolvenza, al fine di sottrarre all’attivo di quelle procedure beni che invece
dovrebbero rientrare in quello della procedura secondaria in questione, come potrebbe essere esercitato
anche in altri Stati membri, al fine di ricondurre all’attivo della procedura secondaria beni che si sia
cercato di sottrarre all’esecuzione concorsuale (85).
(79) Vedi le riflessioni di E. F. RICCI, op. cit., p. 919 s.
(80) Come evidenzia PUNZI, Le procedure d’insolvenza transfrontaliere nell’Unione europea, in Riv. dir. proc., 2003, p. 1017.
(81) Vedi LUPOI, Conflitti di giurisdizione e decisioni nel regolamento sulle procedure d’insolvenza: il caso «Eurofood» e non solo, in
Riv. trim. dir. e proc. civ., 2005, p. 1406.
(82) Sono le parole di LUPOI, op. cit., p. 1407, pur se rese in chiave di soluzione dei conflitti di giurisdizioni,
riprendendo quanto suggerito da SANTINI, La quaestio jurisdictionis nel regolamento comunitario n. 1346/2000 sulle procedure di
insolvenza, in www.judicium.it, par. 5, che sempre nell’ottica della soluzione dei conflitti positivi di giurisdizione ritiene che se,
valutando la propria competenza internazionale, il giudice prevenuto ritenga comunque sussistere la propria giurisdizione in
via principale, pur non potendo dichiararla sic et simpliciter, potrà emettere un provvedimento di accoglimento dell’istanza di
apertura della procedura principale espressamente assoggettato alla condizione sospensiva della eventuale caducazione in
sede di gravame del provvedimento di apertura della procedura principale nello Stato estero. Pare orientato in tal senso
anche SAMORÌ, Conflitti di competenza nell’apertura delle procedure concorsuali, Napoli - Roma, 2002, p. 294.
(83) Nuovamente SANTINI, op. loc. citt.
(84) Così E. F. RICCI, op. cit., p. 906; DE CESARI e MONTELLA, op. cit., p. 192 s.
(85) Cfr. DANIELE, Il regolamento n. 1346/20002000 relativo alle procedure di insolvenza: spunti critici, in Dir. fall., 2004, I,
p. 611 s.
19
L’art. 17, par. 2, prosegue prevedendo che qualsiasi limitazione dei diritti dei creditori, come
dilazioni di pagamento o remissioni di debito, risultante da una procedura territoriale, possa essere fatta
valere, per i beni situati nel territorio di un altro Stato membro, soltanto nei confronti dei creditori che
vi hanno acconsentito. Il significato di tale disposizione va presumibilmente legato alle procedure aventi
natura concordataria, ed opera una distinzione tra creditori che hanno consentito alle limitazioni dei
loro diritti, e creditori che, non avendo approvato la soluzione concordataria, tuttavia subiscono tali
limitazioni a seguito dell’approvazione della soluzione concordataria stessa. I creditori che hanno
approvato la soluzione concordataria restano vincolati a questo loro consenso e non potranno aggredire
beni del debitore localizzati in Stati diversi da quello della procedura, mentre i creditori che non erano
disposti a consentire la limitazione di loro diritti mantengono inalterato il potere di soddisfarsi anche
esecutivamente sui beni del debitore pur se siano situati sul territorio di altro Stato membro (86). A
questa norma si affianca quella contenuta nell’art. 34, par. 2, che esplicita l’ipotesi in cui la procedura
secondaria si concluda mediante un concordato od un piano di risanamento. La dizione non è
felice (87), prevedendo che in tale caso «qualsiasi limitazione dei diritti dei creditori … può produrre
effetti nei confronti dei beni del debitore che non siano oggetto di detta procedura soltanto con
l’assenso di tutti i creditori interessati». Per dare un senso alla norma si può ipotizzare che, a differenza
dell’art. 17, par. 2, si riferisca ai beni che si trovano nello Stato in cui la procedura ha avuto luogo,
precisando che i creditori possono aggredire i beni che non sono stati inclusi nell’attivo della procedura.
7. – La territorialità delle procedure secondarie comporta un richiamo alla lex fori, come
esplicitato dall’art. 28, che le assoggetta appunto alla legge dello Stato di apertura e non a quella della
procedura principale, richiamo che vale anche in tema di legittimazione, infatti oltre al citato curatore
della procedura principale, per individuare gli altri aventi diritto di chiedere l’apertura, l’art. 29, lett.
b), rinvia alla legge dello Stato in cui la procedura viene aperta (88). La legittimazione competerà a
qualunque creditore, anche residente all’estero ed anche per crediti non relativi all’attività della
dipendenza. Non si deve dimenticare che l’ottica del Regolamento è quella di affrontare
unitariamente il dissesto del debitore, tendenzialmente creando un’unica massa attiva ed un’unica
massa passiva, pur se le procedure territoriali consentono anche la tutela degli interessi locali. È solo
nell’ottica di una gestione unitaria che si può comprendere l’art. 32, relativo all’esercizio dei diritti dei
creditori, secondo il quale ogni creditore può insinuare il proprio credito nella procedura principale
ed in qualsiasi procedura secondaria ed i curatori della procedura principale e delle procedure
secondarie possono insinuare nelle altre procedure i crediti già insinuati nella procedura cui sono
preposti.
Coordinare questo sistema di insinuazioni si presenta decisamente complesso. L’art. 32 non
prevede automatismi o l’obbligo di insinuazioni incrociate, sia i singoli creditori che i curatori possono
insinuarsi in una, in alcune o in tutte le procedure. Sorge una prima questione: nel Regolamento vi è una
norma di carattere generale, l’art. 25, che prevede il riconoscimento automatico anche delle «decisioni
relative allo svolgimento ed alla chiusura di una procedura». Occorre chiarire se la decisione adottata
sull’istanza di insinuazione di un credito rientri tra le «decisioni relative allo svolgimento» di una
procedura, perché in caso di risposta positiva gli organi della seconda procedura in cui intendo
insinuare il credito saranno vincolati alla prima decisione adottata su tale credito. Penso che si debba
dare risposta positiva al quesito (89), conduce a questo la portata dell’art. 25, da cui parrebbe incongruo
escludere decisioni strutturalmente centrali per l’individuazione della massa passiva, sia l’illogicità che
l’esistenza di un credito sia riconosciuta in una procedura ed esclusa in un’altra, anche se qui occorrono
alcuni distinguo. Non si può avere una decisione difforme sull’esistenza del credito, ma, come detto, ogni
procedura è retta dalla propria lex concursus, e secondo tale normativa potrebbero essere possibili
decisioni anche diverse, purché non siano incompatibili con la prima decisione adottata. Un punto
(86) Nuovamente E. F. RICCI, op. cit. , p. 907; DE CESARI e MONTELLA, op. cit., p. 123.
(87) Tant’è che DE CESARI e MONTELLA, op. cit., p. 247, la ritengono norma priva di senso.
(88) In realtà la dizione utilizzata prevede il diritto di chiedere l’apertura da parte di «qualsiasi altra persona o
autorità legittimata a chiedere l’apertura di una procedura d’insolvenza secondo la legge dello Stato membro nel cui territorio
è chiesta l’apertura di una procedura secondaria».
(89) In tal senso DE CESARI e MONTELLA, op. cit., p. 240.
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particolare va preso in considerazione, quello del rango con cui viene ammesso un credito sul quale sia
già intervenuta una pronuncia di ammissione in altra procedura. Si può ipotizzare il caso del creditore di
una procedura secondaria che, ottenuta l’ammissione del proprio credito con privilegio ai sensi della sua
legge nazionale, lo voglia insinuare nella procedura principale. La normativa che regge la procedura
principale può seguire criteri diversi per l’ammissione con privilegio, per cui il credito può risultare
chirografario alla stregua della disciplina della procedura principale. Credo che la decisione sul rango del
credito vada adottata ai sensi della legge della procedura principale, in sostanza non si deve procedere
ad un’indiscriminata inserzione nello stato passivo del credito già ammesso in altra procedura, questo
come regola di carattere generale, anche perché l’art. 32 utilizza il termine «insinuare», che non può
essere svuotato di significato, pur se deve essere letto nel quadro di coordinamento tra le
procedure (90). Il problema si propone in maniera ancora più significativa per l’insinuazione da parte di
curatori di altre procedure dell’intero passivo che hanno formato. Riprendendo l’esempio ora utilizzato
si può ipotizzare il caso del curatore di una procedura secondaria che, formata la massa passiva secondo
i criteri di ammissione dei crediti con privilegio propri della sua legge nazionale, la voglia insinuare nella
procedura principale. La normativa che regge la procedura principale segue criteri diversi per
l’ammissione con privilegio, per cui i crediti che figurano come privilegiati nella procedura secondaria,
sono invece chirografari alla stregua della disciplina della procedura principale. Il problema va risolto,
pur se sul piano pratico si tratta di operazione laboriosa, negando che il curatore della procedura
secondaria possa ottenere il puro e semplice inserimento dello stato passivo della procedura da lui
gestita nello stato passivo della procedura principale. Si dovrà seguire in senso letterale il disposto
dell’art. 32 secondo cui «i curatori della procedura principale e delle procedure secondarie insinuano
nelle altre procedure i crediti già insinuati nella procedura cui sono preposti», per cui i crediti verranno
singolarmente insinuati e quel che importa vagliati, sia per il profilo che interessa sia per evitare doppie
insinuazioni se un singolo creditore si fosse già attivato autonomamente, da parte della procedura in cui
avviene l’insinuazione (91).
A sostegno di quanto ora sostenuto si può portare l’art. 41, sul contenuto delle domande
d’insinuazione, disposizione che si presenta come una norma di diritto uniforme e pertanto di diretta
applicazione a tutte le procedure, in deroga al riferimento alla lex concursus dell’art. 4, par. 2, lett. h). Il
disposto della norma, che impone al creditore di documentare la propria istanza, non avrebbe senso se
si ritenesse che l’ammissione di un credito in altra procedura ne rendesse incontestabile non solo l’an,
ma anche le modalità, perché in tal caso sarebbe sufficiente corredarla dell’attestazione che il proprio
credito è già stato ammesso in altra procedura (92). Nello stesso senso va risolto il problema della
documentazione che deve produrre il curatore che voglia insinuare i crediti della procedura di cui è
responsabile in un’altra procedura concorrente ex art. 32, par. 2, ossia nel senso che non sarà sufficiente
il semplice riferimento al proprio stato passivo.
Un profilo importante è quello della c.d. hotchpot rule, per cui si deve fare riferimento all’art. 20,
par. 2, ossia al meccanismo di imputazione delle quote già ottenute in altre procedure. Presupposto di
funzionamento di tale regola pare l’insinuazione del credito in ogni procedura per il suo intero
ammontare, dopodiché si dovrà conoscere quale quota di tale credito sia già stata soddisfatta altrove e
non disporre alcun riparto fino a quando i creditori dello stesso grado e della stessa categoria non
abbiano ottenuto «una quota equivalente». Per «quota» pare non doversi intendere una somma, ma una
quota percentuale, anche alla luce dell’ultimo inciso del punto 21 della premessa, che utilizza
l’allocuzione «quota proporzionale equivalente». Pertanto il creditore chirografario che abbia ottenuto
una percentuale del 3% del proprio credito in altra procedura, parteciperà al riparto solo se liquidi ai
chirografari una quota superiore (es 6%, ed allora otterrà un ulteriore 3%), nulla avrà invece se la quota
sia inferiore (es. 2%) (93). L’art. 35 Regolamento, dovrebbe completare il sistema stabilendo che se
residua dell’attivo dalla chiusura della liquidazione della procedura secondaria, il curatore lo trasferisce
(90) Cfr. anche DANIELE, Il regolamento n. 1346/2000, cit., p. 614 s. Vedi la sentenza del giudice olandese 15 marzo
2001, Suned, in EIR Database, n. 15, secondo cui il credito insinuato resta soggetto alla propria legge regolatrice.
(91) Nuovamente DE CESARI e MONTELLA, op. loc. ultt. citt., secondo i quali il curatore si pone come rappresentante
ex lege dei creditori che figurano nello stato passivo della procedura da lui gestita.
(92) Come infatti sostengono DE CESARI e MONTELLA, op. cit., p. 259.
(93) Nuovamente FUMAGALLI, op. cit., p. 696, nota 46.
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senza ritardo al curatore della procedura principale. Va però rilevato che così non si contemplano due
ipotesi. La prima è quella di una liquidazione della procedura secondaria che non comprenda tutti i beni
del debitore perché non necessario per soddisfare i creditori, tali beni verranno restituiti al debitore e
non residuerà attivo da riversare nella procedura principale. Questo può essere forse giustificabile di
fronte alla possibilità d’insinuare il proprio stato passivo da parte del curatore della procedura
principale. La seconda ipotesi riguarda invece il caso opposto a quello previsto nella norma, ossia il
Regolamento non contempla l’utilizzo del residuo attivo della procedura principale per soddisfare i
creditori insoddisfatti delle procedure secondarie, ovviamente si tratterà dei creditori che non si siano
insinuati nella procedura principale. Questo, a parte l’ipotesi del creditore che per le più varie ragioni
non possa veder riconosciuto il suo credito nella procedura principale, grava i singoli creditori di un
onere di insinuazione nella procedura al di fuori del loro Stato, forse eccessivo (94).
Per coordinare le procedure l’ultimo paragrafo dell’art. 32 prevede che il curatore di una
procedura principale o secondaria sia legittimato a partecipare a un’altra procedura di insolvenza allo
stesso titolo di qualsiasi creditore ed in particolare a partecipare all’assemblea dei creditori.
L’interpretazione più logica è quella che vede i vari curatori rappresentanti dei reciproci rapporti di
debito – credito tra le procedure, ma se questa è probabilmente la ratio della norma, va risolto il
problema pratico del concreto esercizio dei diritti. Il problema è quello ad esempio del curatore di una
procedura secondaria aperta all’estero che partecipa all’adunanza dei creditori della procedura di
concordato preventivo in essere in Italia quale procedura principale. Si pone il problema di quale debba
essere il peso del suo voto, come vada calcolato, tenendo presente che alcuni dei creditori della
procedura secondaria potrebbero essere autonomamente già presenti nel novero dei creditori della
procedura italiana. Una soluzione, in linea con quello sopra affermato, è quella di riconoscere al
curatore della procedura secondaria straniera diritto di voto, sia come numero che come crediti, per
quei creditori ammessi allo stato passivo della sua procedura, che non abbiano optato per agire
direttamente nella procedura italiana di concordato (95).
Il buon funzionamento del sistema è legato alla collaborazione tra i curatori, che l’art. 31
configura come un vero e proprio obbligo sia di informazione che di cooperazione (96). Sono doveri
alla cui violazione non è collegata una sanzione e pertanto eventuali responsabilità saranno valutabili
solo all’interno delle singole procedure. Al di là del piano delle responsabilità l’aspetto che appare più
rilevante è però quello dei possibili contrasti tra i curatori. La norma, al par. 3, prevede che il curatore
della procedura secondaria debba dare in tempo utile la possibilità al curatore della procedura principale
di presentare proposte riguardanti la liquidazione o qualsiasi altro uso dell’attivo. L’eventualità di
contrasti non è impossibile, come possono sorgere divergenze sulla gestione. Anche in questo caso
sembra che i rimedi vadano trovati sul piano interno delle procedure. In una procedura italiana si può
ipotizzare, anche secondo la riformulazione della norma operata dal d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 (97), un
ricorso al giudice delegato ed eventuale successivo utilizzo del sistema del reclamo ex art. 26 l.fall. (98).
Il curatore della procedura principale, stante il ruolo di punto di riferimento per la gestione
dell’insolvenza del debitore affidato a tale procedura, vede attribuito il potere di chiedere la sospensione
delle operazioni di liquidazione della procedura secondaria (99). Questo può risultare utile per aver
modo di comporre un quadro complessivo sulla distribuzione del ricavato, identificando i creditori delle
diverse procedure concorrenti e la misura della loro soddisfazione. Tale potere è sancito dall’art. 33,
dalla cui lettera emerge trattarsi di un vero e proprio diritto ad ottenere la sospensione, non della
procedura secondaria, ma unicamente delle operazioni di liquidazione, pur se condizionato alla non
(94) Altre considerazioni in DE CESARI e MONTELLA, op. cit., p. 247 ss.
(95) Così DE CESARI e MONTELLA, op. cit., p. 241.
(96) Vedi DIALTI, Cooperazione tra curatori e corti in diritto internazionale fallimentare: un’analisi comparata, in Dir. fall., 2005,
I, p. 1012 ss.
(97) Per esteso d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 Rifroma organica della disciplina delle procedure concorsuali a norma dell’articolo 1,
comma 5, della legge 14 maggio 2005, n.80, in Gazz. uff., serie generale, 16 gennaio 2006, n. 12, suppl. ord. n. 13/L.
(98) Cfr. DE CESARI e MONTELLA, op. cit., p. 238.
(99) Come risulta evidenziato nel considerando n. 20, dove l’efficace liquidazione dell’attivo delle procedure principali
e secondarie è legato non solo al coordinamento tra tutte le procedure pendenti, di cui è presupposto una stretta
collaborazione tra i diversi curatori che deve comportare in particolare un sufficiente scambio di informazioni, ma anche a
strumenti che garantiscano comunque un ruolo dominante alla procedura principale d’insolvenza, come la sospensione della
liquidazione dell’attivo delle procedure secondarie.
22
«mancanza manifesta di interesse dei creditori della procedura principale» e legato alla predisposizione
di «misure atte a garantire gli interessi dei creditori della procedura secondaria e di taluni gruppi di
creditori». Per il nostro ordinamento il riferimento a «gruppi» di creditori non è immediato, e va
probabilmente inteso come rivolto a particolari categorie di creditori privilegiati. Non è agevole
identificare le forme di garanzia, perché per assicurare la garanzia degli interessi dei creditori della
procedura secondaria si possono ipotizzare anche misure conservative, forse in contrasto con la logica
stessa della sospensione (100). Quanto fin qui esposto conduce a pensare che la sospensione possa
essere disposta quando si debba procedere ad un riparto totale o parziale (101). L’art. 33, par. 1,
attribuisce il potere di sospensione «al giudice che ha aperto la procedura secondaria» (102), la
sospensione può essere stabilita per un periodo massimo di tre mesi e prorogata o rinnovata per periodi
della stessa durata, senza che sia fissato alcun limite ai rinnovi. Non è pertanto agevole inquadrare il
provvedimento. Da un lato lo si può identificare come un provvedimento di natura ordinatoria, non
riguardando neppure l’intera procedura secondaria, ma solo le operazioni di liquidazione, per un tempo
definito, e pertanto non soggetto a gravame (103), dall’altro è però vero che la possibilità di proroga
può portare ad una sospensione per un tempo non determinato, con riflessi sull’effettiva possibilità di
procedere alla liquidazione (104).
I poteri del curatore della procedura principale si esplicano anche nella fase di chiusura della
procedura secondaria, secondo l’art. 34 Regolamento, egli ha potere d’iniziativa relativamente alla
possibilità di chiudere la procedura secondaria senza liquidazione, ossia mediante un piano di
risanamento, un concordato o una misura analoga (105), e comunque la chiusura della procedura
secondaria mediante una misura alternativa alla liquidazione diventa definitiva soltanto con l’assenso del
curatore della procedura principale. Tale assenso può essere superato solo qualora la misura proposta
non leda gli interessi finanziari dei creditori della procedura principale.
(100) Come osserva FERRI, Creditori e curatore della procedura principale nel Regolamento comunitario sulle procedure di
insolvenza transnazionali, in Riv. dir. proc., 2004, p. 717.
(101) Come rileva OLIVIERI, Il Regolamento comunitario sulle procedure d’insolvenza, in www.judicium.it., par. 7. Questo
significa che il tribunale potrà subordinare la sospensione o alla dimostrazione che i creditori della procedura secondaria
siano stati ammessi al passivo della procedura principale e che, specialmente per quanto concerne i creditori privilegiati,
questi non ottengano un trattamento peggiore rispetto agli altri, oppure al fatto che siano state adottate (sempre nello Stato
della procedura principale) le opportune misure conservative, in grado di evitare che la distribuzione del ricavato della
procedura principale escluda i creditori della procedura secondaria.
(102) Pertanto in Italia il provvedimento di sospensione deve essere pronunciato dal tribunale fallimentare.
(103) Nuovamente OLIVIERI, op. loc. citt., che aggiunge come il provvedimento appaia inidoneo a ledere diritti
soggettivi dei creditori, sicché, nell’ordinamento italiano, non sembra invocabile la garanzia del ricorso per cassazione
previsto dall’art. 111 Cost.
(104) Vedi le argomentazioni di FERRI, op. cit., p. 717.
(105) Chiaramente se tali possibilità siano previste dalla legge applicabile alla procedura secondaria.
La dizione letterale del par. 1, dell’art. 34, è infelice, infatti sancisce che prevista «la possibilità di chiudere la
procedura senza liquidazione mediante un piano di risanamento, un concordato o una misura analoga, tale misura è
proposta dal curatore della procedura principale», sembrerebbe allora che la misura di chiusura possa essere proposta
unicamente dal curatore della procedura principale, ma non è così, egli ha un potere concorrente con quello degli altri
soggetti legittimati secondo le regole ordinarie della procedura secondaria. In tal senso DE CESARI e MONTELLA, op. cit., p.
245 s. Diversamente sarebbe incomprensibile il secondo inciso della norma secondo cui «la chiusura della procedura
secondaria mediante una misura di cui al primo comma diventa definitiva soltanto con l'assenso del curatore della procedura
principale», evidentemente si richiede l’assenso del curatore della procedura principale in quanto altri hanno proposto una
chiusura alternativa alla liquidazione.
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