Russia, Giappone e la pace in Estremo Oriente di Mauro De Tommasi, Cristina Gagliarducci I l recente incontro1 di Irkutsk tra il Presidente russo Putin ed il Primo Ministro giapponese Mori ha focalizzato l’attenzione sulle relazioni bilaterali tra la Russia e il Giappone che, a più di cinquant’anni dalla fine della seconda guerra mondiale e nonostante il superamento del confronto est-ovest, sono tutt’altro che completamente normalizzate. Si tratta di equilibri geopolitici legati alla situazione in Estremo Oriente, che risalgono alla seconda metà del 1800, quando sia Russia che Giappone manifestano l’intenzione di inserirsi nell’enorme vuoto di potenza determinato dalla crisi dell’impero cinese. Nel XIX secolo l'impero zarista, pur in maniera discontinua per le prevalenti esigenze strategiche in Europa, segue nella sua penetrazione in Asia due direttrici d'espansione: la prima verso la Siberia e l'Estremo Oriente, la seconda verso l'Asia centrale. La colonizzazione della Siberia nella prima metà del secolo determina una crescente pressione sulle frontiere cinesi2 e, contemporaneamente, nel 1860, si avvia la costruzione del porto di Vladivostock sul Mar del Giappone. L'iniziativa russa è però destinata a non essere incontrastata in quanto il Giappone, superate le traumatiche conseguenze dell'incontro con le potenze occidentali3, già alla fine del XIX secolo, si affaccia sulla scena della competizione imperialista in Asia, divenendo il rivale naturale della Russia in questo scacchiere. Il contrasto, dopo una fase di relativa collaborazione dovuta alla debolezza nipponica – che si conclude col Trattato di San Pietroburgo del 1875 con cui il Giappone cede alla Russia la metà meridionale dell'isola di Sakhalin riottenendo l'arcipelago delle Curili4 – diviene sempre più evidente. Ciò accade per la prima volta allorché la nuova potenza giapponese, forte del proprio isolamento geografico e di un senso di unicità culturale, guarda al continente sia per ragioni di sicurezza strategica che per trovare mercati e materie prime per un’economia in vertiginosa espansione. Nel 1894, a causa delle divergenti rivendicazioni sulla Corea, conduce una vittoriosa campagna militare e navale contro la Cina, mentre con il trattato di Shimonoseki (1895) ottiene ampie concessioni5, minacciando le ambizioni russe sulla regione mancese – rafforzate dall’avvio, nel 1891, della costruzione della ferrovia Transiberiana6, che avvicina questa sterminata regione rendendo agibile un'ulteriore penetrazione. La Russia interviene immediatamente, e forte dell'appoggio della nuova alleata Francia, e di una Germania interessata ad un maggiore impegno della Russia in Estremo Oriente, esercita pressioni su di un amareggiato governo nipponico costretto a recedere momentaneamente dalle proprie ambizioni sulla Cina continentale. Lo svuotamento della vittoria sulla Cina evidenzia agli occhi del Giappone come le proprie ambizioni su Manciuria e Corea siano inconciliabili con quelle della Russia zarista. E questo mentre la Russia rafforza il proprio impegno nella regione prima concludendo con la Cina un accordo difensivo diretto contro il Giappone (1896) e poi, sul fronte europeo, smussando l'attrito con l'Austria nei Balcani mediante un'intesa diretta nel 1897. In questa fase la Russia sembra infatti trarre maggiori frutti dalla sua pressione sulla Cina, ottenendo il temporaneo controllo della Manciuria e di Port Arthur (1900) in seguito alle rivolte nazionalistiche e xenofobe. Fallita la strada dell'accordo diretto con la Russia, il Giappone trova un alleato insperato nella Gran Bretagna, impegnata in una politica di contenimento su largo fronte della penetrazione russa vero i mari caldi7 e nel febbraio 1904, si risolve ad attaccare Port Arthur. Nella successiva guerra le armi giapponesi sono vittoriose per mare e per terra, fino alla disfatta russa, aggravata dallo scoppio di una rivoluzione interna. La mediazione degli Stati Uniti e gli enormi costi per il Giappone portano alla conclusione, nel settembre 1905, del Trattato di Portsmouth8 che segna l'ingresso del Giappone nel novero delle grandi potenze e la sua assoluta preminenza nella regione. La vittoria sulla Russia altera sostanzialmente l'equilibrio di potenza in Estremo Oriente a favore del Giappone, che da questo momento pone in essere una sistematica penetrazione sulla terraferma, accordandosi anche con il nemico sconfitto9. Tale collaborazione si accentua in occasione dello scoppio della I Guerra Mondiale allorché, per motivazioni diverse in guerra dalla stessa parte, Russia e Giappone stipulano, nel luglio 1916, un accordo segreto volto alla “difesa” della Cina10. Si tratta anche qui di una situazione contingente diretta al conseguimento di immediati vantaggi, che viene a mutare radicalmente nel momento in cui le forze rivoluzionarie in Russia denunciano anche questo trattato segreto mentre il nuovo potere sovietico si trova a dover combattere per la propria sopravvivenza, abbandonando alle forze controrivoluzionarie le immen1 se regioni asiatiche. Il Giappone trae profitto dalla crisi del concorrente occidentale e opera per consolidare le conquiste di Versailles, firmando un trattato di mutua difesa con la Cina e contribuendo con proprie truppe alla lotta delle armate bianche controrivoluzionarie in Siberia. La I Guerra Mondiale segna, quindi, un ulteriore arretramento delle posizioni russe dalla regione, e tocca agli Stati Uniti arginare il Giappone convocando nel 1922 una Conferenza ad hoc a Washington11. Lo stallo dell’iniziativa nipponica è sancito anche dal ritiro dalla Siberia e dalla parte settentrionale di Sakhalin, cui segue nel 1925 il riconoscimento dell’Unione Sovietica e la cessazione formale delle ostilità iniziate dopo la Rivoluzione d’Ottobre, passo questo compiuto dopo essersi garantiti la possibilità di fortificare le isole del Mar di Okhotsk. 300 250 Russia Giappone 200 150 100 50 0 1880 1900 1913 1928 1938 LIVELLI DI INDUSTRIALIZZAZIONE PRO CAPITE, 1880-1938 (RUSSIA 1913=100) Tale inerzia è di breve durata in quanto, a fronte del permanere della debolezza sovietica – particolarmente evidente nella regione – il Giappone all’inizio degli anni Trenta vede minacciati i propri interessi economici dalla caotica situazione interna della Cina e dalla crisi americana. L’esercito, ponendo il debole potere civile di fronte ad un fatto compiuto, rilancia la penetrazione in Manciuria12 fidando nella cronica debolezza della Società delle Nazioni13 assorbita dalle vicende europee. L’episodio mancese origina una “guerra non dichiarata” con la Cina, dilaniata da guerre intestine, mentre l’Unione Sovietica si limita a contenere la pressione nipponica sulle proprie frontiere14, assorbita dal pericolo rappresentato dalla Germania hitleriana15. Un mutamento degli equilibri nella regione pare avviarsi nel momento in cui il sostegno sovietico alla Cina, in funzione antinipponica, si concretizza, nel 1937, in un Patto di non aggressione cino-sovietico, e soprattutto allorché per due volte nel 1938 e nel 1939 gli eserciti sovietico e giapponese ingaggiano due battaglie terrestri su vasta scala in corrispondenza della frontiera mancese16. Ma si tratta di episodi che mutano la politica di cautela condotta da Mosca nei confronti del Giappone allo scopo di evitare una rottura formale. La recrudescenza dell’attrito con il Giappone è una delle concause dell’avvicinamento nazi-sovietico, alla luce del timore di Stalin di essere aggredito su due fronti. Il Patto Ribbentrop-Molotov viene meno all’impegno assunto dalla Germania nell’Anticomintern, ma garantisce il Giappone da un eventuale conflitto contro l’URSS. Questo accordo e il tentativo di coinvolgere l’URSS nel Patto Tripartito, che nel settembre 1940 riconosce al Giappone un ruolo egemone nel Pacifico, spingono l’Impero del Sol Levante a cercare una garanzia, cautelandosi da una possibile guerra su due fronti. Le solide basi giapponesi in Corea, in Manciuria e nelle isole rendono superato il contrasto con l’Unione Sovietica, mentre la vittoria sulla Cina e l’espansione verso l’Asia del Sud-Est appaiono essere obiettivi prioritari, indicando gli Stati Uniti come prossimo avversario. Il conflitto in Europa sembra un’occasione da sfruttare parallelamente, e per questo il Ministro degli esteri giapponese Matsuoka, in visita a Berlino e Mosca nella primavera 1941, all’oscuro delle intenzioni hitleriane di aggredire a breve l’Unione Sovietica, preferisce garantire al proprio paese la neutralità sovietica. Il Patto di neutralità siglato a Mosca nell’aprile del 1941 costituisce anche per l’URSS l’occasione per garantirsi da un attacco su due fronti, liberando le enormi forze stanziate in Estremo Oriente per un eventuale conflitto ad occidente. Si tratta quindi di un ennesimo accordo tra nemici, reso necessario dalla consapevolezza di entrambi di avere altri avversari in Europa e nel Pacifico. La scelta giapponese di non aggredire l’URSS, dopo l’avvio dell’Operazione Barbarossa, non è dettata solo dal prevalere della linea della marina favorevole ad un proseguimento dell’azione in Cina ed Indocina17, ma anche da un calcolo riguardo alla misura del successo tedesco. Le esitazioni giapponesi sono superate in agosto18, al rallentare dell’offensiva tedesca, allorché la scelta per una “guerra parallela” diviene definitiva, e ci si avvia al confronto con gli USA. Garantita ad oriente, l’URSS riversa le enormi riserve siberiane nella difesa di Mosca, mentre il Giappone attacca la flotta statunitense a Pearl Harbour. Eppure anche con l’entrata in guerra di Italia e Germania contro gli Stati Uniti la guerra, ormai “mondiale”, non oppone Giappone e Unione Sovietica come vorrebbero gli angloamericani per alleggerire la pressione nipponica nel Pacifico. Stalin non è disposto ad entrare immediatamente in guerra contro il Giappone e preme, al contrario, per l’apertura di un secondo fronte in Europa. La questione viene affrontata durante la Conferenza di Mosca dell’ottobre 1943 e poi a Teheran dove Stalin chiarisce che l’URSS aprirà il fronte giapponese appena sconfitta la Germania19, impegno questo ribadito a Yalta nel febbraio 1945 in cambio di una cospicua contropartita in omaggio alla politica di potenza staliniana20. Negli stessi mesi il Giappone, costretto ad arretrare di fronte alla controffensiva Alleata, ricerca nella mediazione sovietica una via d’uscita per evitare la resa senza condizioni. Ma Stalin vedendo profilarsi la possibilità di ripetere ad oriente ciò che si va compiendo ad occidente, 2 proprio all’indomani di Hiroshima, il 7 agosto 1945, annuncia che l’URSS entrerà in guerra contro il Giappone. I "TERRITORI DEL NORD" La sconfitta implica per il Giappone non solo la perdita di ampi territori, ma soprattutto l’inizio di sette anni di occupazione militare esercitata a nome degli Alleati dai soli Stati Uniti, i quali, assicurandosi una formidabile testa di ponte nella regione, stipulano col Giappone un Trattato di Sicurezza (1951) che garantisce quest’ultimo dall’alleanza cino-sovietica. Si pongono così le basi per un definitivo abbandono da parte giapponese delle proprie ambizioni sul continente, essendo ormai evidente la dipendenza militare nei confronti degli USA. Parallelamente, l’irrigidimento delle relazioni con Mosca impedisce la firma del trattato di pace (8 settembre 1951). L’Unione Sovietica torna, di fatto, ad essere l’avversario storico del Giappone e, nonostante la dichiarazione congiunta del 1956 – che ristabilisce le relazioni diplomatiche e permette al Giappone di diventare membro delle Nazioni Unite – durante tutto il periodo della guerra fredda Giappone e Russia non sono in grado di arrivare alla conclusione di un trattato di pace. Da un punto di vista formale, l’assenza di un quadro di riferimento giuridico fa sì che i due paesi risultino ancora “tecnicamente” in guerra e ciò determina una situazione del tutto anomala, impedendo uno svolgimento lineare delle relazioni bilaterali in qualsiasi possibile ambito di collaborazione, dalla diplomazia alla sicurezza, dal commercio agli scambi nei settori scientifico e culturale. Inoltre, in termini più generali, un simile contesto esercita un’influenza negativa sugli equilibri dell’intera regione e sulle dinamiche globali della politica internazionale. Con il crollo dell’Unione Sovietica e la fine della guerra fredda, i governi di Tokyo e Mosca si trovano infatti a fronteggiare un ambiente di sicurezza radicalmente trasformato, all’interno del quale la scomparsa di una rigida contrapposizione est-ovest elimina qualsiasi garanzia di stabilità21ma offre anche nuove possibilità di cooperazione regionale. Negli ultimi dieci anni non mancano, periodicamente, i tentativi di avviare un processo di normalizzazione dei rapporti reciproci. Si pensi alla visita in Giappone compiuta da Eltsin nell’ottobre 1993 e alla serie di gesti dimostrativi – quale il riconoscimento delle responsabilità di Mosca nell’esecrabile trattamento dei prigionieri di guerra giapponesi – compiuti nell’ottica di favorire un clima politico più disteso. In un discorso pronunciato davanti al Comitato per lo sviluppo economico, il Primo Ministro Hashimoto annuncia nel 1996 la nuova strategia diplomatica giapponese nei confronti della Russia, improntata alla “fiducia, all’interesse reciproco e ad una prospettiva di lungo termine per un approccio multilaterale”. Sempre nel 1996, Russia e Giappone firmano a Tokyo un documento sul rafforzamento del dialogo bilaterale sulla sicurezza, nell’ambito del primo incontro tra i più alti ufficiali dei rispettivi Ministeri della Difesa. Secondo l’accordo, Tokyo e Mosca si impegnano per uno scambio di informazioni sui rispettivi programmi di esercitazioni militari e promuovono il dialogo ad alto livello sulla sicurezza22. In campo economico, al vertice di Krasnoyarsk del novembre del 1997 il piano Eltsin-Hashimoto ha rivelato collaborazione tra le due parti nell’incoraggiare gli investimenti e facilitare l’integrazione dell’economia russa nell’economia mondiale; si raggiunge un accordo di massima rispetto al debito russo nei confronti del settore privato giapponese (circa un miliardo di dollari) e dopo molti anni di opposizione il governo di Tokyo sostiene la candidatura della Russia all’APEC e la sua ammissione al G7. A tali iniziative non corrispondono tuttavia progressi di rilievo nella soluzione dei problemi che si frappongono ad un effettivo ravvicinamento fra le parti, condizionato in modo negativo da radicati reciproci sospetti. Tokyo considera infatti la Russia come una potenza ostile, nonostante la riduzione degli armamenti, e la Russia contraccambia con sentimenti di sfiducia. Il principale ostacolo alla normalizzazione delle relazioni russo-giapponesi rimane comunque l’esistenza di un conflitto territoriale diretto. Si tratta delle quattro isole meridionali delle Curili, a nord di Hokkaido (Etorofu, Kunashiri, Shikotan e le Habomai, chiamate “Territori del nord” dai giapponesi), annesse dai sovietici al termine della seconda guerra mondiale e da allora reclamate dal governo di Tokyo, prima all’URSS poi alla Russia. Quattro i principali tentativi che in passato hanno cercato di risolvere la disputa: il primo nel 1956, quando la menzione alla restituzione delle due isole meridionali contenuta nella dichiarazione nippo-sovietica è avversata dagli Stati Uniti; il secondo nel 1973, in occasione della visita a 3 Mosca del Primo Ministro giapponese Tanaka; il terzo nel 1991, quando Gorbaciov e Kaifu Toshini firmano una dichiarazione congiunta che riconosce ufficialmente l’esistenza della questione dei Territori del nord e identifica le quattro isole quali oggetto della contesa23; il quarto infine nel 1993, nel quadro della dichiarazione russogiapponese di Tokyo che prevede, fra l’altro, consultazioni urgenti in merito tra i due paesi, sulla base del “Joint Compendium of Documents on the History of Japanese-Russian Territorial Questions” compilato dai rispettivi Ministeri degli esteri. Il contenzioso si è andato rafforzando con il passare del tempo, determinando una contrapposizione di principio che va al di là dell’importanza effettiva di un territorio periferico di rilievo – anche strategico – relativo24. Anche la recente politica del Presidente russo Putin, eletto nel maggio 2000, non sembra dare speranza alle richieste giapponesi25. Nonostante le iniziali dichiarazioni di apertura, le intenzioni del nuovo capo del Cremlino sembrano quelle dei suoi predecessori, rimandare cioè la questione delle isole il più a lungo possibile, e in tal senso è stata rifiutata la proposta del Primo Ministro giapponese Mori di sfruttare l’occasione del summit di KyushuOkinawa – nell’estate del 2000 – per organizzare un vertice bilaterale tra Russia e Giappone. Putin sembra piuttosto interessato a coinvolgere il Giappone in un progetto di sviluppo di vasta portata riguardante l’Estremo oriente russo Al di là del problema territoriale, Russia e Giappone hanno certamente bisogno di un contesto geopolitico internazionale favorevole, che tenga conto dei nuovi equilibri in materia di sicurezza – prime tra tutte la questione coreana e la “minaccia” cinese – affinché il contenzioso sulle isole venga risolto e si possa giungere alla stipulazione di un trattato di pace che, dopo mezzo secolo, porrebbe formalmente fine alla guerra del Pacifico. A Yalta l’URSS si garantisce: l’indipendenza della Mongolia esterna, l’acquisizione della parte meridionale dell’isola di Sakhalin e delle Curili, l’internazionalizzazione del porto di Dairen, l’affitto di Port Arthur e l’amministrazione congiunta con la Cina della ferrovia mancese. 21 In generale, si veda P. Calzini, La Russia e l’area del Pacifico. La nuova geopolitica di una potenza euro-asiatica in Pax pacifica? Il futuro della sicurezza asiatica e le nuove responsabilità dell’Europa, a cura di M. Dassù Franco Angeli, Milano, 1997 22 Sulla base di questo documento, nell’agosto del 1998 sono state organizzate le prime esercitazioni navali congiunte fra la flotta russa e quella nipponica, nel Mare del Giappone, e nell’agosto del 1999 i rispettivi vertici militari hanno firmato un memorandum di collaborazione nel campo della difesa. 23 La sovranità sulle isole viene definita come “in una zona grigia”, né sovietica né giapponese. In virtù di ciò, ai cittadini giapponesi che prima risiedevano nei Territori del nord viene accordato il permesso di visitare le isole senza bisogno del visto da parte del governo russo. 24 I principali interessi per le isole sono legati alle risorse minerarie, ittiche e alle riserve di gas. Dal punto di vista strategico, l’ambiente militare russo è determinato a proteggere il controllo dello stretto del mare di Okhotsk che, essendo largo e profondo, risulta utile per le esercitazioni dei sottomarini nucleari. 25 La mattina del giorno previsto del suo arrivo a Tokyo, Putin ha visitato la capitale dell’isola di Sakhalin, dove proprio il 3 settembre si commemora la vittoria dell’URSS sul Giappone, quasi a voler dimostrare la legittimità della partecipazione sovietica alla guerra contro il Giappone. 20 Incontro che si è tenuto il 25 marzo 2001 nella città di Irkutsk, in Siberia, e che ha avuto come principale oggetto di discussione il quadro negoziale per un futuro trattato di pace. 2 Con i trattato di Aigun (1858) e di Pechino (1860) si impone alla Cina la cessione dei distretti dell'Ussuri e dell'Amur. 3 La spedizione del Commodoro Perry nel 1854 e l'imposizione dei "trattati ineguali" del 1858, ad opera delle potenze occidentali, determinano l'abbattimento dello shogunato e la c.d. "restaurazione Meiji" nel 1858 che si risolve in una modernizzazione accelerata, voluta dall'alto, dell'intera società giapponese. 4 Il Trattato di Shimoda del 1855 assegna alla Russia larga parte dell’arcipelago. 5 Con la Pace di Shimonoseki il Giappone ottiene dalla Cina: Formosa, la penisola del Liao-tung, Port Arthur e l'indipendenza formale del regno di Corea. 6 Completata nel 1904 collega Mosca a Vladivostock con un percorso di circa 9000 km. 7 Con il trattato di alleanza anglo-giapponese del gennaio 1902 si stabilisce la neutralità di una delle parti nell'eventualità che l'altra parte sia impegnata in guerra con un'altra potenza, mentre il casus foederis si applica nel caso di una guerra con più di una potenza. 8 La Russia cede al Giappone la metà meridionale dell'isola di Sakhalin e l'affitto della penisola del Liao-tung e di Port Arthur. Concede mano libera in Corea, ed evacua la Manciuria a favore della Cina. 9 Nel luglio 1909 viene raggiunto con la Russia un accordo sulla spartizione delle rispettive zone di influenza sulla Manciuria a danno della Cina. L’anno successivo, formalizzando una realtà già in essere dopo Portsmouth, il Giappone s’annette il regno di Corea. 10 Costretta ad accettare nel 1915 le “Ventuno domande” che danno al Giappone ampi privilegi. 11 Venuta meno la presenza russa l’iniziativa congiunta anglo-americana costringe il Giappone ad accettare di vedere ridimensionate le proprie ambizioni sulla regione –ritiro dallo Shantung- pur mantenendo le proprie concessioni sulla ferrovia mancese. 12Nel settembre del 1931 con l’occupazione di Mukden si da il via alla creazione di uno stato fantoccio nella regione: il Manciukuò (1933-1945). 13 Da cui si ritira nel 1933. 14 Nel 1935 l’Unione Sovietica acconsentendo al prolungamento della ferrovia mancese meridionale rafforza paradossalmente il Manchukuò, ma nel 1936 stipula con la Mongolia Esterna un Trattato di assistenza. 15 Con cui il Giappone ha stipulato nel novembre 1936 il Patto AntiComintern 16 Cfr. P. Kennedy, Ascesa e declino delle grandi potenze, pp. 453-455. 17 Nel luglio 1941 la Francia di Vichy cede ad un ultimatum permettendo alle truppe nipponiche di occupare la penisola. 18 In agosto il nuovo Ministro degli esteri ammiraglio Toyoda promette all’ambasciatore sovietico il mantenimento dell’accorso di neutralità. 19 L’URSS denuncia, un anno prima della scadenza, il trattato di neutralità lasciando trapelare al Giappone le proprie intenzioni. 1 4