ANNO XVI | N° 41 | FEBBRAIO/APRILE 2015 POSTE ITALIANE S.P.A. / SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE / -70% NO/GENOVA N.41 ANNO 2015 Il matrimonio del signor Mississippi Eugenio Bernardi Ladislao Mittner 2 Il matrimonio del signor Mississippi Conversazione con Marco Sciaccaluga 3 Il matrimonio del signor Mississippi Dürrenmatt pittore Centro di Neuchâtel 4 L’uomo che raccoglieva bottiglie L’ultima notte di Bonhoeffer 5 Café Jerusalem Amori senza futuro di Paola Caridi Teatro del dialogo 6 Nuovo direttore allo Stabile Social Network Giornata del teatro 7 Ospitalità e Hellzapoppin 12 spettacoli 12 incontri 8 GLI EROI RIDICOLI DI DÜRRENMATT Una commedia nichilista raccontata in forma comica, specchio esemplare di un mondo grottesco Saluto del nuovo direttore Con l’uscita di questo primo numero del 2015 di Palcoscenico e Foyer e in coincidenza con il debutto al Duse di Il matrimonio del signor Mississippi, colgo l’occasione per salutare il pubblico del Teatro Stabile di Genova. Sono felice ed orgoglioso dell’incarico ricevuto e spero di non deludere le aspettative dei genovesi e di tutti coloro che amano il teatro. Lo Stabile di Genova è da molti anni una delle realtà teatrali più importanti del nostro Paese e, con la prossima imminente riforma del teatro italiano, Genova, ne sono certo, confermerà non solo la sua storia e il suo prestigio, conquistato con le direzioni di Ivo Chiesa e di Carlo Repetti che mi hanno preceduto, ma svolgerà anche un ruolo primario sin dal prossimo futuro, diventando come tutti auspichiamo Teatro Nazionale. Con la sua programmazione e con i suoi spettacoli (ne trovate un esempio significativo proprio qui a fianco e nelle pagine interne del giornale), il Teatro Stabile di Genova confermerà la “necessità” di “fare teatro”, riservando una particolare attenzione alla formazione e alla crescita dello spettatore, e punterà anche nei mesi e negli anni a venire a scelte produttive mai banali, che confermino nella concretezza del palcoscenico la propria fondamentale vocazione a essere insieme un Teatro Popolare e un Teatro d’Arte. ANGELO PASTORE (vedi pagina 7) Il matrimonio del signor Mississippi L’uomo al Duse 10 febbraio > 1 marzo che raccoglieva bottiglie al Duse 4 >8 marzo Da martedì 10 febbraio (ore 20,30) vanno in scena al Duse esecuzioni, avvelenamenti, rivoluzioni e controrivoluzioni, fughe e travestimenti: in un continuo alternarsi di tragedia e commedia, di allegoria e di realismo. Il matrimonio del signor Mississippi (nella foto di Giuseppe Maritati, Alice Arcuri e Ugo Dighero) è una commedia nichilista raccontata in forma comica. Un “pamphlet” coniugato con il dramma, che si propone, ancora una volta in Friedrich Dürrenmatt (1921-1990), come specchio esemplare di un mondo grottesco. Prodotto dallo Stabile di Genova e messo in scena da Marco Sciaccaluga, con Ugo Dighero, Alice Arcuri, Andrea Di Casa, Roberto Serpi e Roberto Alinghieri nei ruoli protagonisti, la pièce racconta di due personaggi che militano in campi opposti, ma sono cresciuti come fratelli: Mississippi vuole imporre al mondo la Legge Mosaica e Saint Claude crede nel comunismo come via per la liberazione dell’uomo. Tra questi estremisti del pensiero e della politica, c’è il Conte Übelohe, che si autoproclama cavaliere dell’amore; mentre il terzetto gravita intorno ad Anastasia: la donna che vive in un eterno presente. Versione italiana di Eugenio Bernardi, scene e costumi di Catherine Rankl, musiche di Andrea Nicolini e luci di Sandro Sussi. I Readings finoallaalCorte 23 febbraio Café Jerusalem di Charles Dickens Dopo il successo delle prime due serate dedicate rispettivamente a Un canto di Natale e a David Copperfield, proseguono alla Corte le letture con commento dei Readings di Charles Dickens. Lunedì 16 febbraio, Melania Mazzucco accompagna con i suoi interventi Eros Pagni, impegnato nella lettura delle riduzioni teatrali fatte dallo stesso Dickens del capitolo 34 di Il circolo Pickwick e di quello di Oliver Twist dedicato a Sikes e Nancy; mentre il ciclo si conclude il 23 febbraio con la lettura di Massimo Popolizio di Dombey e figlio. Scritto dalla giornalista e storica Paola Caridi e interpretato da Carla Peirolero e Pino Petruzzelli (anche regista) con l’accompagnamento dal vivo della musica dei Radiodervish, Café Jerusalem (in scena al Duse dal 18 marzo) è il canto per una città sovraesposta, mitologica, dove gli esseri umani, uomini e donne, appaiono sovente abbandonati a se stessi, dimenticati. È in questo capoluogo esposto alla violenza e all’odio, che si svolge la storia d’amore della palestinese Nura (il suo nome significa “luce” in arabo) per l’ebreo Moshe. Lei lavora in un bar e risiede Pino Petruzzelli (autore, regista e attore) è il protagonista dello spettacolo prodotto dallo Stabile di Genova, che va in scena al Duse da mercoledì 4 marzo (ore 20,30). Ispirato alla figura di un maestro d’ascia di Lampedusa, cui Petruzzelli aveva dedicato un capitolo del suo libro Gli ultimi, L’uomo che raccoglieva bottiglie accompagna lo spettatore all’incontro con un personaggio che coltiva la sua battaglia nel mondo, ma fuori dal coro, in difesa dei suoi monti, del suo mare e della sua Storia. E traccia così, in forma di monologo, il ritratto intenso, tagliente, ironico e poetico di un baluardo di resistenza umana. Pasquale che vive tra i monti e il mare, in una casa costruita con le sue stesse mani, unendo al cemento il vetro delle bottiglie abbandonate dai turisti sulla spiaggia, non è un perdente, né un vincente. Lui ha scelto altre regole del gioco. È un uomo per il quale vale ancora sperare e vivere. Voce narrante Paola Piacentini, musica Arvo Part, luci e suono Francesco Ziello. al Duse 18 > 22 marzo in quei luoghi con la sua famiglia, da sempre. Lui passa per caso davanti a quel bar, ed è amore a prima vista. Ma il loro è un amore impossibile sullo sfondo degli odi politici, religiosi e razziali, alimentati da anni di conflitto, che dividono i reciproci mondi. Un amore, pertanto, costretto a covare nascosto e silenzioso. Un amore che comunque illumina. Una passione che per Nura è vita, anche se deve inesorabilmente fare i conti con la realtà. Bonhoeffer 3 marzo al Teatro Duse Vito Mancuso e Pino Petruzzelli sono i protagonisti il 3 marzo (ore 20,30) di un incontro teatrale dedicato a Dietrich Bonhoeffer (1906-1945), il pastore luterano che finì la sua vita nel lager di Flossenburg, per la colpa di aver partecipato alla resistenza contro Hitler. La serata è divisa in due parti: nella prima, Vito Mancuso racconta Bonhoeffer; nella seconda, Pino Petruzzelli, interprete del monologo L’ultima notte di Bonhoeffer, dà voce e corpo ai pensieri, alle meditazioni e alle poesie di colui che è considerato una delle più alte menti del Novecento. 2 I Il matrimonio del signor Mississippi IL PIACERE DEL COLPO DI SCENA Intrecci noir e divertissement nelle commedie e nell’opera letteraria di Friedrich Dürrenmatt, maestro del paradosso A Dürrenmatt piacevano i colpi di scena. Ne fa un grande uso nelle sue pièce teatrali, ma anche nei racconti in prosa costruiti perlopiù su avvenimenti improvvisi, decisioni sbalorditive, rivelazioni sconcertanti. Sconcertare, per l’appunto, sembra essere l’obiettivo precipuo di questo autore. Nulla deve seguire uno sviluppo logico, nessun personaggio essere prevedibile, ma neppure la scena o il paesaggio in cui si svolgono le vicende deve essere individuabile. Può capitare, per esempio, che lo scenario di una commedia presenti a destra un paesaggio gotico-alpino e a sinistra uno sfondo mediterraneo. E che un personaggio salti fuori da un orologio a pendolo. Oppure che da un cielo sfolgorante di stelle che fa da immenso sfondo alla scena, cali un angelo destinato a un crudele imperatore di Babilonia, o che da un treno internazionale scenda non la bonaria benefattrice che tutti si aspettano, ma una vecchia grintosa con un seguito di energumeni e con una pantera in gabbia, una donna pronta a sborsare miliardi in cambio di un omicidio. Se poi la narrazione assume le movenze del racconto poliziesco (Dürrenmatt ne ha scritto di strepitosi), il finale sbaraglia il gioco iniziale fatto di sospetti e punta l’attenzione non sul criminale da acciuffare, ma sui motivi segreti che animano il detective facendolo impazzire. Un teatro ambiguo e contraddittorio L’insistenza con cui Dürrenmatt preme su questo pedale caratterizzato da ribaltamenti di prospettiva e da trasgressioni stilistiche (perlopiù assai divertenti), fa pensare a un intento preciso che l’autore del resto non manca di formulare in maniera esplicita. Dichiarandosi a favore di un teatro che voglia mettere in scena di volta in volta “la ricchezza e la molteplicità del mondo, senza alcun timore di apparire ambiguo e contraddittorio”, egli prende fin dall’inizio posizione contro una pratica teatrale costruita invece a partire da una drammaturgia coerente e da scelte determinanti: quella di Beckett, di Ionesco e soprattutto di Brecht, a cui Dürrenmatt si riferisce anche quando non lo nomina. La sua pretende invece di essere “una drammaturgia caso per caso”, anzi, dice, si potrebbe forse immaginare “una drammaturgia di tutti i casi possibili, appunto, così come esiste una geometria che comprende tutte le dimensioni possibili”. Affermazioni impegnative, cui Dürrenmatt rimarrà fedele e che lo porteranno a soluzioni sempre più intricate e labirintiche. Dalla “drammaturgia dell’esperimento” Alice Arcuri con Davide Mazzella, Davide Mancini, Valerio Puppo, Nicolò Giacalone e Rachele Canella (in basso) Roberto Alinghieri e Andrea Di Casa formulata agli esordi egli si avvia negli ultimi anni infatti verso una concezione estrema di teatro dove ogni personaggio gioca con la propria identità e ogni vicenda storica si riflette o si identifica con una vicenda fittizia. Il concetto di giustizia Non è però la fantasmagoria e il vortice di un’immaginazione senza freni a costituire l’impulso profondo di un itinerario apparentemente stravagante ma in fondo ossessivo come è a ben guardare quello di questo autore svizzero nato nel 1921 e morto nel 1990. A sostenerne vigorosamente le mosse e le variazioni richieste dai singoli generi letterari affrontati (teatro, narrativa, radiodrammi, interventi saggistici, interviste) è un concetto onnipresente, scaricato nei modi anche sguaiati della commedia e del paradosso, ed è il concetto di giustizia, o meglio Alla ricerca della moralità assoluta Dürrenmatt, che nella commedia si definisce «appassionato di favole crudeli e di commedie inutili», presenta due opposti campioni della «moralità assoluta», Mississippi e Saint-Claude, che vinsero «la paura della fame» tenendo insieme un bordello: il primo leggeva intanto la Bibbia, il secondo Marx. All’inizio della commedia Mississippi è giudice temutissimo che ha già fatto giustiziare trecentocinquanta imputati, restaurando la legge mosaica che punisce con la morte l’adulterio; Saint-Claude è invece un rivoluzionario che progetta di restaurare il comunismo oramai corrottosi in Russia, progetta di migliorare «questo putrido mondo di affamati, ubriaconi e criminali, questo inferno che risuona dei canti dei ricchi e dei pianti degli sfruttati». Ma la rivoluzione risulta irrealizzabile, poiché «l’Ovest ha perso l’occasione di realizzare la libertà, l’Est di realizzare la giustizia». Fra i due moralisti pone il «compiuto» idealista mistico Übelohe, disposto a sacrificarsi per compiere il solo miracolo ancora possibile, il miracolo del vero amore. Con ciò però la commedia politica diventa una commedia d’amore, di un amore, com’era da prevedersi, esso pure irrealizzabile. Anastasia infatti, che si definisce da sé «una puttana che passa immutata attraverso la morte», l’unico personaggio della commedia che non esce mai e non può uscire dalla sua parte, non riesce a distanziarsi dalle sue azioni per spiegarle, poiché non vi è spiegazione per esse’. Così il dramma politico viene a combaciare col dramma d’amore: il Mississippi è il dramma dell’universale, indivisibile miseria umana causata dall’universale malvagità umana. Tenendosi sempre in un labilissimo equilibrio,’ l’autore ha saputo comporre una girandola strabiliante di colpi di scena, in cui non sappiamo se ammirare più la ferrea coerenza con cui egli cerca un impossibile accordo o il gusto malvagio che prova nel cercarlo invano. Ladislao Mittner febbraio I aprile 2015 dei modi con cui questo principio viene applicato da un’umanità folle e inferocita. Il matrimonio del signor Mississippi (1952) ne è un chiaro esempio, ma fin dal primo approccio al teatro un’interminabile tragicommedia sugli Anabattisti e le loro utopistiche follie si dilatava partendo principalmente da questo tema, che poi riaffiora ogni volta, da Romolo il Grande (1949), alla Visita della vecchia signora(1956), a La panne (dello stesso anno), passando naturalmente per i romanzi polizieschi, fino a determinare anche la vicenda de I fisici (1962), una commedia imperniata sulla crisi di coscienza di uno scienziato atomico. Ed è con un romanzo intitolato Giustizia (1985) che l’autore, dopo alcuni anni di assenza, ritornò prepotentemente alla ribalta internazionale. L’incessante, ossessivo emergere di questo tema entro ogni spunto inventivo può in fondo far passare in secondo piano, dopo l’impatto iniziale, l’apparato scenografico o narrativo (le lunghe didascalie, le puntigliose descrizioni) visto che l’azione, incalzata com’è dai dialoghi serrati di grande effetto (proprio Il matrimonio del signor Mississippi ne è un chiaro esempio) non perde di efficacia. L’efficacia rimane infatti lo scopo principale, anche quando la turbolenza delle invenzioni comiche sembra avere il sopravvento. Il grottesco Affrontando il discorso sulla giustizia umana nel riflesso di una probabile/improbabile giustizia divina, proprio negli anni del dopoguerra e dei processi ai criminali nazisti, ma intendendo evitare moralismi e pregiudizi ideologici, Dürrenmatt punta fin dagli inizi, sia per l’opera teatrale che per quella narrativa, su uno strumento adottato del resto da gran parte delle letteratura di lingua tedesca di quegli anni, ossia il grottesco. Più esplicitamente rispetto ad altri autori (e con un intervento molto preciso al riguardo) egli connette questo percorso fra tragedia e commedia, alla situazione creatasi con la spartizione dell’Europa e del mondo in due blocchi contrapposti, con le conseguenze dovute all’instaurarsi della guerra fredda e con l’incubo della bomba atomica. “Il nostro mondo”, dichiarava nel suo breve, ma penetrante trattato di drammaturgia, “ha generato il grottesco come ha generato la bomba atomica”. Rispetto all’assurdo (allora di gran moda) che mira a squalificare il linguaggio e la razionalità, i personaggi di Dürrenmatt continuano a voler ragionare, a controbattere le opinioni altrui, ad affermare i propri principi fino all’estremo e poiché non hanno vera sostanza personale al di fuori di quelle loro idee, finiscono per essere personaggi comici, distrutti dal fanatismo che li anima. Gli utopisti, i giustizieri e i riformatori del mondo, i fanatici della disciplina, gli eroi del repulisti universale e tutti gli altri farneticanti che questo esuberante (e divertito) autore bernese mette in scena non avranno una sorte migliore di quella degli Anabattisti della prima commedia: ogni volta il corso degli eventi travolgerà i tentativi di imbrigliarlo, la realtà darà scaccomatto alla presunzione umana, i conti risulteranno sempre sbagliati. È quello che succede a Mississippi e a Saint-Claude che, in nome di ideologie contrapposte, tentano di cambiare il mondo e sono quindi irrimediabilmente destinati a fallire e soprattutto a confessare che quella loro frenesia era soprattutto ansia di rivincita e spirito di vendetta. È questa del resto la doppia natura delle situazioni grottesche in cui l’autore caccia i suoi personaggi: mentre indica la stoltezza del loro procedere non esclude però la possibilità di un ravvedimento, un ribaltarsi della tragicità in speranza fosse pure, come accade per il terzo personaggio di questa commedia, al limite del patetico e della sua derisione. Negli ultimi anni, in un racconto straordinario intitolato La morte della Pizia, Dürrenmatt proverà a scardinare il mito di Edipo ossia la tragedia per eccellenza. Un divertissement, certo, condotto con mano abilissima, ma sempre improntato a quella drammaturgia del possibile che attraversa tutta l’opera di questo autore radicale ma non disperato. Nella sua drammaturgia lo smacco può significare salvezza. Anche nelle vicende della storia non è da escludere il colpo di scena. Ne abbiamo visto qualcuno. Eugenio Bernardi Il matrimonio del signor Mississippi I 3 Conversazione con Marco Sciaccaluga regista dello spettacolo in scena al Duse di Genova La vita e il suo non senso Il matrimonio messi in scena con allegria del signor Mississippi R accontata così ha tutta l’apparenza di una storiaccia... e in parte lo è veramente. Ma la cosa affascinante in Dürrenmatt è che, a differenza di tanti autori teatrali del Novecento, a lui piace proprio raccontare sul palcoscenico una storia, farvi vivere dei personaggi nelle loro reciproche relazioni, senza preoccuparsi – come invece quasi contemporaneamente faceva un altro drammaturgo di lingua tedesca, Bertolt Brecht, da lui poco amato – di indirizzare questa storia verso esiti didattico-pedagogici. Dürrenmatt non ha ricette per risolvere i problemi del mondo, ma come tutti i poeti visionari è sempre all’opposizione del mondo. Con l’amore per il paradosso che lo contraddistingueva, infatti, amava dire: «Se io fossi un cinese o un russo, sarei sicuramente un conservatore liberale, ma siccome vivo in quel giardino di cioccolata che è la Svizzera non posso che essere comunista». In questo senso, Dürrenmatt è, con Samuel Beckett, il vero grande nichilista della drammaturgia del Novecento. Entrambi si occupano di quel “niente” che riconoscono essere questo mondo, così privo di senso e di progetto, di strategia, ma che è anche un mondo interessante, dove vale la pena alzare la sfida contro l’insensatezza sino al livello di Dio. I suoi eroi, come del resto quelli di Beckett, sono ridicoli, sovente comici, ma non sono mai degli omuncoli. Nel crogiuolo trasbordante di eventi, ideologie e religioni di Il matrimonio del signor Mississippi, ciascuno dei quattro personaggi principali (e in particolare i tre uomini) combatte la sua battaglia alla ricerca di una sensatezza del mondo, ma così facendo non riesce che ad apparire un folle. Mississippi è l’eroe ridicolo o tragicomico di alcune delle ideologie totalitarie che hanno insanguinato il Novecento, compreso il nazismo; Saint-Claude abbraccia uno dei sogni egualitari più paradossali e disastrosi del Novecento, quale è stato il comunismo; Übelohe è una sorta di cavaliere generoso di tutte le onlus del mondo, ma quando va nel Borneo scopre che la medicina locale è molto più efficace di quella della cosiddetta civiltà. Egli, che lo scrittore ha creato simile a sé, ama l’umanità, ma ama anche una donna, Anastasia, che è un personaggio straordinario. Anastasia non appartiene né al cielo né all’inferno, è una donna di questo mondo che non muta, che non si può correggere, né migliorare, né purificare; ma che si può amare. Come dice il Primo Ministro, che è il personaggio più cinico della commedia: tutto si può cambiare tranne gli esseri umani, il mondo è malvagio ma non è senza speranza... È proprio questo il paradosso grottesco della drammaturgia di Dürrenmatt: occuparsi del “niente” con uno sfrenato amore per il niente. Ma elevando la propria protesta sino a Dio. Nel suo monologo, entrando in scena, Übelohe protesta contro il suo creatore, autore di favole insensate; contro quel protestante dalla penna crudele e dalla fantasia sfrenata. Rivolgendosi al pubblico dice: «A questo punto così cruciale dell’azione in cui sia voi, signore e signori, in quanto spettatori, sia noi qui sulla scena siamo stati coinvolti dall’astuzia di uno scrittore quanto mai infido, è il caso di chiederci in che modo l’autore abbia concepito tutto questo: se si è lasciato trascinare alla cieca da una trovata all’altra, o se aveva un piano segreto». L’autore che ci ha creati e ci tiene prigionieri (voi in platea e noi sul palcoscenico) aveva in mente un piano preciso o ci ha abbandonato al nostro destino? È chiaro che qui la sfida si eleva metaforicamente a Dio. Dio ci ha creato per caso o perché aveva un piano? Da metafora a metafora, il problema così posto investe anche la narrazione e il teatro. Il senso di un racconto o di un testo teatrale non sta tanto nel suo contenuto, quanto soprattutto nel modo in cui la narrazione si svolge, sulla pagina scritta o sul palcoscenico. Da qui, la grande importanza che Dürrenmatt assegna anche in Il matrimonio del signor Mississippi alla struttura drammaturgica? L a struttura di questa commedia è molto salda e nello stesso tempo molto mossa. Inizia con un personaggio (Saint-Claude) che si rivolge al pubblico dicendo: «Signore e signori sono stato appena ucciso»; e prosegue entrando e uscendo continuamente dalla dimensione drammatica a quella epica, con la dichiarata ambizione di raccontare una storia venata di “noir” e, contestualmente, di scrivere un pamphlet, inventando una drammaturgia che sia in grado di tenere sempre in bilico la riflessione sull’uomo (con tutte le sue implicazioni politiche, filosofiche, religiose, ecc.) e lo svolgimento di una vicenda ricca di suspense e di tensione, come se fosse un “noir”. Dürrenmatt ci dice continuamente che non ci può essere riflessione sull’uomo se insieme non c’è anche narrazione dell’uomo. E questa è una delle cose che da sempre mi hanno più affascinato in lui. Lavorando su questo splendido testo si avvertono continuamente i suoi modelli archetipici, dal teatro greco a Shakespeare, da Schiller a Ibsen, sino anche a quel rivolgersi dei personaggi al pubblico e ai cartelli tanto cari a Brecht, che egli però (in alto) Ugo Dighero e Roberto Serpi (qui sopra) Roberto Serpi, Roberto Alinghieri, Alice Arcuri, Ugo Dighero, Andrea Di Casa di Friedrich Dürrenmatt PERSONAGGI E INTERPRETI Anastasia Florestano Mississippi Frédéric René Saint-Claude Conte Bodo von Übelohe - Zabernsee Il ministro Diego La cameriera Tre uomini con l’impermeabile, tre ecclesiastici, tre psichiatri Alice Arcuri Ugo Dighero Andrea Di Casa Roberto Serpi Roberto Alinghieri Rachele Canella Davide Mancini Davide Mazzella Valerio Puppo Nicolò Giacalone Teatro Stabile di Genova Marco Sciaccaluga Catherine Rankl Andrea Nicolini Sandro Sussi Eugenio Bernardi Il professor Überhuber produzione regia scene e costumi musiche luci versione italiana Teatro Duse 10 febbraio > 1 marzo sostenitore “ sostenitore partner della stagione Esporsi al mondo Confesso che quando cominciai a scrivere Mississippi non sapevo dove volevo arrivare. Certo, col passare del tempo si formarono diverse intuizioni e diversi piani su come un giorno avrebbe potuto configurarsi la pièce, ma quelle intuizioni generalmente non si avverarono. Continuavo a scrivere addentrandomi su terreni che rendevano continuamente necessari nuovi progetti. Il lavoro era avvincente, chi capiva scuoteva la testa. Personalmente osai abbandonarmi alle mie trovate, perché come artista sono convinto che uno scrittore si espone al mondo soprattutto se osa esporsi alle proprie trovate: è così che vorrei venisse compreso il mio modo di sperimentare in Mississippi. L’avventura in questo lavoro era sicuramente data dal fatto di dover trovare l’argomento, non la forma. Che poi mi aspettasse l’arduo compito di comprendere anche l’argomento trovato in maniera così avventurosa è un altro paio di maniche. Friedrich Dürrenmatt usa sempre con molta ironia. A Dürrenmatt dà fastidio l’impostazione brechtiana della favola pedagogica di origine medievale che divide il Bene dal Male, come gli dà fastidio la teoria dello straniamento. Egli sa che se il racconto funziona, lo spettatore inevitabilmente si emoziona, ed è bene per l’arte che sia così. La mancanza di un progetto pedagogico del testo non fa correre il rischio che lo spettatore, soprattutto quello più giovane, si senta un poco abbandonato a se stesso? F orse che lo spettatore si sente abbandonato davanti a una tragedia di Shakespeare? Le storie di Dürrenmatt raccontano, con grande competenza anche visiva, la complessità e la contraddittorietà del mondo. Certo non lo semplificano dandone una soluzione didascalica, ma in compenso egli ha la capacità di dar vita a personaggi simpaticissimi. E tali sono anche i più malvagi e corrotti. Come suoi eredi più o meno consapevoli, potrei citare “ S critto da un giovane che non aveva ancora trent’anni, alla metà del Novecento – il secolo più folle, sanguinoso e grottesco della storia dell’umanità –, Il matrimonio del signor Mississippi di Friedrich Dürrenmatt porta a teatro il piacere di raccontare una storia, con personaggi ben definiti e molti colpi di scena, momenti di suspense degni di Hitchcock (le tazzine di caffè avvelenato), amore e tradimento, in un crescendo narrativo in cui “tutti ammazzano tutti”. Sembra un “giallo” capace di attirare l’attenzione di un pubblico giovane. E lo è. Dürrenmatt non è solo un grande autore di teatro, ma anche un coinvolgente “giallista” (basti pensare ai suoi romanzi, da Greco cerca greca a La promessa) capace di mescolare tensione e ironia, allegoria etico-politica e travolgente umorismo. Tutti ingredienti, questi, che si ritrovano anche in Il matrimonio del signor Mississippi che, forse, solo all’inizio, però, potrà anche disorientare un poco gli spettatori più giovani, come è accaduto nelle prime prove dello spettacolo a tavolino agli attori chiamati a interpretarlo, ma ben presto infonderà anche nei giovani spettatori un senso profondo di allegria, perché non c’è nulla di più allegro di questa rappresentazione dell’insensatezza del mondo e della vita. Insensatezza che, lungi dal deprimere, spinge il pubblico a dirsi: «La vita non ha senso? Ebbene io come Don Chisciotte, con il quale uno dei protagonisti della commedia (il conte Bodo von ÜbeloheZabernsee) alla fine si identifica, mi impegnerò a darle un senso». E questa è cosa che mette una grande allegria. Del resto, che cosa ci si poteva aspettare di diverso da uno scrittore e pittore, intendo Dürrenmatt, che affrescò con immagini grottesche tutte le pareti del cesso di casa sua e intitolò quest’opera “La Cappella Sistina”? Entriamo allora dentro a quest’opera teatrale abitata da un personaggio (Mississippi), che sogna di rigenerare l’umanità attraverso la norma punitiva e repressiva dell’Antico Testamento e della Legge Mosaica, da un suo coetaneo (SaintClaude), che persegue lo stesso fine di giustizia nel nome del comunismo, e da un terzo personaggio (Bodo von Übelohe-Zabernsee), conte alcolizzato e filantropo, che ama l’umanità ma scopre ben presto che questo amore non ha senso; mentre tutti e tre, con l’aggiunta anche del Primo Ministro di un paese non specificato, ruotano intorno a una donna (Anastasia), che ama l’attimo fuggente, una donna furba e appassionata, capace di bugie sensazionali, ma totalmente sincera anche quando mente. Martin McDonagh o Quentin Tarantino. La prima scena di Bastardi senza gloria è infatti molto “dürenmattiana” e così anche il personaggio di Christoph Waltz evoca l’immagine di un Male assoluto, che pur risulta simpatico. No, lo spettatore non è proprio mai abbandonato da Dürrenmatt. Egli lo accompagna con gioia all’interno di questo mondo sovente anche surreale; ma non lo mette mai a disagio, anche se a volte tende a provocarlo. Per questo lo chiama così sovente in causa? C osì gli ricorda in ogni momento che è a teatro. Gli dice attraverso i suoi personaggi: comunque siamo qui insieme. Di noi non ti libererai mai. Anche se morti torniamo a vivere con te. E in questo modo i protagonisti di Il matrimonio del signor Mississippi, come accade a tutti i grandi personaggi del teatro e della letteratura, rivendicano la loro legittima possibilità di essere immortali. (a cura di Aldo Viganò) febbraio I aprile 2015 4 I Il matrimonio del signor Mississippi LA CASA DI DÜRRENMATT PITTORE Tra il Centro di Neuchâtel e il Teatro Stabile di Genova una “joint-venture” per Mississippi Nel 2015 cadono contemporaneamente il venticinquesimo anniversario della morte di Friedrich Dürrenmatt (Konolfingen 5 gennaio 1921 - Neuchâtel 14 dicembre 1990) e i 15 anni del Centre Dürrenmatt Neuchâtel, inaugurato nel settembre 2000. Scrittore e drammaturgo noto in tutto il mondo per la sua opera teatrale e per i suoi romanzi polizieschi, Friedrich Dürrenmatt è stato anche per tutta la vita pittore e autore di disegni. Dopo la sua morte, il governo svizzero ha invitato l’architetto Mario Botta a realizzare il Centre Dürrenmatt Neuchâtel, con lo scopo di valorizzare la sua opera pittorica e letteraria e di continuare a far vivere il suo pensiero universale. In occasione del duplice anniversario del 2015, il Centre Dürrenmatt Neuchâtel ha chiesto al Teatro Stabile di Genova di essere suo partner nella reciproca informazione degli avvenimenti in corso: da una parte la messa in scena genovese di Il matrimonio del signor Mississippi, dall’altra una serie di manifestazioni il cui dettaglio può essere conosciuto, accedendo al sito www.cdn.ch Progettato da Mario Botta e inaugurato nel 2000, il Centre Dürrenmatt Neuchâtel integra nella sua architettura la vecchia casa di Friedrich Dürrenmatt. Il centro, il cui compito è raccogliere, conservare e divulgare l’opera pittorica di Friedrich Dürrenmatt, vuole essere uno spazio vivente, aperto a tutti. Il museo espone regolarmente anche le opere di artisti che hanno affiancato le arti visive alla scrittura. Luogo di riflessione e di scambio, il CDN organizza convegni, conferenze e letture pubbliche sui temi affrontati nell’opera di Friedrich Dürrenmatt. Durante tutto l’anno propone inoltre diversi concerti. Oltre a ospitare esposizioni e manifestazioni varie, il CDN è un punto d’incontro per ricercatori che promuove l’approccio critico all’opera letteraria e pittorica del drammaturgo svizzero. L’opera pittorica di Dürrenmatt, i cui inizi risalgono alla prima giovinezza, è rimasta a lungo sconosciuta al grande pubblico. Nei suoi quadri “drammaturgici” Dürrenmatt ricorre spesso a motivi mitologici religiosi. La collezione del Centre Dürrenmatt conta circa 1000 opere originali e diversi quaderni con disegni. Poco prima di iniziare gli studi, Dürrenmatt scrive a suo padre: «Non si tratta In alto e di fianco, esterno e interno del Centre Dürrenmatt Neuchâtel (foto Pino Musi) Qui sopra, La Chapelle Sixtine di Friedrich Dürrenmatt Gestire reti complesse in tempo reale? Assolutamente. febbraio I aprile 2015 di decidere se diventerò un artista o no, perché non è una cosa che si può decidere: artista si diviene per necessità. [...] Per me il problema è un altro. Devo dedicarmi alla pittura o alla scrittura? Ho una vocazione per entrambe». Dürrenmatt deciderà poi di diventare scrittore di professione, ma continuerà a disegnare e dipingere per tutta la vita. A parte alcune caricature e illustrazioni di libri, la sua opera pittorica è però stata a lungo ignorata. «I miei disegni non sono lavori accessori alle mie opere letterarie, ma i campi di battaglia disegnati e dipinti su cui si svolgono le mie lotte, le mie avventure, i miei esperimenti e le mie sconfitte di scrittore» scrive Dürrenmatt nel 1978 nella nota personale sul primo volume illustrato delle sue opere. Nella maggior parte dei casi, le illustrazioni non sono strettamente legate ai testi dell’autore e si rifanno soprattutto a temi mitologici e religiosi, come il labirinto e il Minotauro, la Torre di Babele o la Crocifissione. Dürrenmatt ha anche realizzato alcune serie di disegni in parallelo a testi letterari (Sta scritto, Re Giovanni, Il Minotauro, Mida o lo schermo nero). Se l’influenza dell’espressionismo è innegabile, la sua opera è profondamente marcata anche da artisti come Bosch, Brueghel, Piranesi, Goya o il pittore svizzero Varlin, suo amico. ABB offre un ampio portfolio di prodotti, sistemi e servizi per la generazione, trasmissione e distribuzione di energia per incrementare la capacità di produzione, migliorare l’affidabilità delle reti e l’efficienza energetica, diminuendo al contempo l’impatto ambientale. Con 125 anni di continua innovazione tecnologica, ABB contribuisce ancora oggi a modellare la rete del futuro. www.abb.it ABB SpA Power Systems Division via Albareto 35, 16153 Genova Email: [email protected] L’uomo che raccoglieva bottiglie I 5 Uomini e cocci di bottiglia per recuperare il futuro Dalla spiaggia di Lampedusa, orgogliosa sfida al progresso del protagonista dello spettacolo di Pino Petruzzelli vendere formaggette in paese con il padre: e parla della fatica ma anche della sua voglia di aggrapparsi alla vita». Nel racconto i personaggi del figlio e del padre si intrecciano e, nel gioco della memoria e del teatro, cedono la voce l’uno all’altro. «Ricordare significa recuperare, la propria storia e le proprie radici, ed è solo partendo da lì – spiega Petruzzelli – che si può recuperare anche la speranza e si possono superare i momenti di crisi e di difficoltà». In quell’altalena di guadagnare di più, la terra, invece, è stata abbandonata da tutti. E allora a cosa serve il progresso?». E un’altra metafora dell’ambivalenza del progresso può essere quel rombo ingombrante del motore di un aereo che più volte, nello spettacolo, copre la voce del protagonista proprio quando il dialogo con se stesso diventa più intimo, lasciando in sospeso – anche per lo spettatore – parole e pensieri. Nel racconto di Pasquale ha poi un posto anche Genova, dove Petruzzelli vivono le speranze degli ultimi. Ed è il protagonista a raccontare come un giorno, guardando il mare assieme alla moglie, si fosse accorto di un cadavere che galleggiava nell’acqua, prima apparso da lontano e confuso con rifiuti galleggianti e poi riconosciuto come essere umano, anche lui rifiutato. «Dopo aver visto il cadavere Pasquale prende un crocifisso e fa il giro delle spiagge dell’isola fino ad arrivare vicino al corpo dell’uomo morto in mare» racconta Petruzzelli: «E mentre cammina con il crocifisso si di Pino Petruzzelli INTERPRETI voce narrante produzione regia ed elemento scenico musiche luci e suono Pino Petruzzelli Paola Piacentini Teatro Stabile di Genova Pino Petruzzelli Arvo Part Francesco Ziello Teatro Duse 4 > 8 marzo sostenitore sostenitore partner della stagione In occasione della messa in scena di L’uomo che raccoglieva bottiglie, spettacolo dedicato dal suo autore e interprete Pino Petruzzelli al regista russo Andrej Tarkovskij, lo Stabile ha organizzato per martedì 24 febbraio (ore 17,30) nel foyer del Teatro della Corte una conversazione tra Petruzzelli e il professore Marco Salotti. L’INGRESSO È LIBERO. “ “ Raccogliere per ricostruire, recuperare per non sprecare e non dimenticare: cocci di bottiglia e persone, ricordi e radici, vite e pezzi di vita. Sono i gesti e le metafore che s’intrecciano in L’uomo che raccoglieva bottiglie, lo spettacolo di e con Pino Petruzzelli, prodotto dal Teatro Stabile di Genova, che andrà in scena al Duse dal 4 all’8 marzo. Lo spettacolo, di cui Petruzzelli è interprete e regista, aveva già debuttato l’estate scorsa al Festival di Borgio Verezzi ma, per ragioni logistiche, in una versione non completa e, quindi, al Duse sarà per la prima volta in scena nella versione integrale. Su un palcoscenico con tanta spazzatura e con le musiche di Arvo Part a fare da colonna sonora, Petruzzelli racconta ancora una volta un viaggio, attraverso luoghi e persone, evocati e interpretati solo con la sua voce, in un monologo-dialogo con un albero secco, un pezzo di tronco di ulivo trovato dal regista su una spiaggia e diventato unico coprotagonista, muto, dello spettacolo. Il testo trae spunto dalla vicenda raccontata da Petruzzelli in un capitolo del suo libro Gli ultimi (pubblicato da Chiarelettere), dedicato a Pasquale, l’uomo che raccoglieva cocci di bottiglia su una spiaggia di Lampedusa, isola all’estremo sud dell’Italia e, quindi, in un certo senso, ultima. «Nei miei spettacoli si mescolano sempre realtà e finzione e anche in questo caso lo spunto è reale» racconta l’autore. «Avevo conosciuto Pasquale qualche anno fa a Lampedusa: è una delle tante persone speciali che ho incontrato. Spesso sono proprio gli ultimi, persone che nella nostra società non contano niente, che, apparentemente, non hanno niente da dire e da dare e che a volte vivono emarginate dalla società: in tanti casi sono persone speciali». Pasquale, che con il cemento, i cocci di bottiglia raccolti su una spiaggia e le piastrelle recuperate fra i rifiuti si è costruito una casetta «che luccica quando c’è il sole», è una di queste. «Mi interessa l’idea del recuperare, non solo cose, anche vite che sembrano dimenticate e rifiutate» spiega l’attore-regista. Sul palcoscenico, davanti a quell’albero secco che Pasquale si ostina a innaffiare convinto che prima o poi si riprenderà, l’uomo incomincia a raccontare la sua vita. «Lo spettacolo si apre con una citazione da Sacrificio, il film del regista russo Andrej Tarkovskij al quale ho dedicato lo spettacolo» spiega Petruzzelli. E nel racconto molte delle persone che sono entrate nella vita reale e immaginaria di Pasquale diventano personaggi dello spettacolo, ai quali Petruzzelli dà voce e pensieri in prima persona. «Pasquale inizia a raccontare di quando, da ragazzino, andava a L’uomo che raccoglieva bottiglie L’ultima notte di Bonhoeffer responsabilità e di leggerezza, di dramma e di sorriso che è nella vita e che l’autore cerca di trasferire anche sulla scena, con un lavoro di sottrazione e di semplificazione. «Nello spettacolo – continua – c’è anche una riflessione sul progresso e una critica all’idea diffusa di progresso. Pasquale si chiede che cos’è e se serve davvero e la risposta è che serve se aiuta tutti a vivere meglio, altrimenti no, non ci riguarda, anche se tutti sono “uniti nel grande stadio della religione dell’economia”. Pasquale parla della terra, dell’agricoltura, riflette sul fatto che adesso che con le macchine e con il progresso tutti potrebbero faticare meno e Pino Petruzzelli immagina che il protagonista sia emigrato per poi ripartire, prima per imbarcarsi su una nave e poi per tornare a Lampedusa, dove diventa maestro d’ascia e si costruisce una casetta con i cocci di bottiglia. «La casa costruita anche con i rifiuti è un altro modo di recuperare, di non sprecare» sottolinea l’autore. «Nello spettacolo ci sono anche alcune citazioni, da Mario Rigoni Stern, da Anna Maria Ortese, che insistono su questi temi e sulla necessità di ricordare e di recuperare, anche persone che vivono ai margini e che sono come le briciole, non della tavola ma della società». Ma Lampedusa è anche l’isola simbolo dove muoiono o rivolge a Gesù Cristo e gli chiede dove fosse, se si fosse distratto e perché avesse fatto gli uomini così. Il dialogo con l’albero diventa così un dialogo con Dio». Un dialogo drammatico alla ricerca di un senso difficile da trovare, ma che non chiude le porte alla speranza. La speranza di riuscire a spostare una montagna con un cucchiaino «perché se tutti gli abitanti dell’isola scavassero la terra con un cucchiaino farebbero il lavoro di una ruspa», di sentirsi liberi guardando il mare, e la speranza di cambiare la realtà poco alla volta. «Lo spettacolo si chiude con la citazione del brano di Tolstoj sugli “appena appena”» spiega Petruzzelli: «Tolstoj dice che i grandi cambiamenti avvengono attraverso gli “appena appena”, i piccoli cambiamenti, le piccole opere. E la speranza è affidata all’azione, perché bisogna rimboccarsi le maniche e agire. Per uscire dalla crisi non si può stare fermi, bisogna ripartire dalle proprie radici e dalla propria storia. Questo spettacolo – conclude l’attore e regista – è dedicato alla generazione dei miei nonni che, nella povertà, si sono rimboccati le maniche e hanno permesso ai propri figli di vivere in condizioni molto migliori rispetto a loro». (a cura di Annamaria Coluccia) L’ultima notte di Bonhoeffer è il titolo del monologo che Pino Petruzzelli porterà in scena al Duse martedì 3 marzo, in una serata dedicata a Dietrich Bonhoeffer (1906-1945), il pastore luterano ucciso nel lager di Flossenburg per aver partecipato alla resistenza e all’organizzazione del complotto contro HiDietrich Bonhoeffer tler. Nella prima parte della serata il teologo Vito Mancuso racconterà la figura di Bonhoeffer e poi Petruzzelli interpreterà il monologo che ha scritto ispirandosi ai testi lasciati dal pastore luterano. «L’idea che un pastore avesse partecipato al complotto contro Hitler mi aveva incuriosito e interessato» racconta Petruzzelli: «Ho letto i suoi testi, che sono pieni di umanità, e uno dei temi che mi ha colpito di più è quello dell’assunzione di responsabilità. Bonhoeffer dice che noi dobbiamo pensare che tutto ciò che facciamo deve servire a chi verrà dopo e che, quindi, dobbiamo sentire su di noi questa responsabilità e agire di conseguenza». E, proprio in nome di questa assunzione di responsabilità nei confronti delle generazioni future, il pastore decide di partecipare al complotto contro Hitler. «Bonhoeffer sa che, in senso assoluto, ammazzare Hitler è un male, perché è un essere umano, ma dice che, in quel caso, è il male minore per l’umanità» spiega Petruzzelli, che nello spettacolo immagina di far parlare Bonhoeffer nella sua ultima notte di vita prima di essere ammazzato nel lager di Flossenburg. «Bonhoeffer non sapeva che sarebbe stato ucciso il giorno dopo ma – racconta l’autore – sapeva che sarebbe potuto accadere e anche nel mio spettacolo le sue riflessioni sono segnate dalla consapevolezza di Vito Mancuso poter morire presto». (a. c.) febbraio I aprile 2015 6 I Café Jerusalem Storie di vita quotidiana in un caffè di Gerusalemme, crocevia di civiltà e di conflitti Amori senza futuro Café Jerusalem Quanto può essere invisibile una città agli occhi del mondo? E quanto può esserlo Gerusalemme, l’archetipo della città? Sembrano – e forse sono – domande paradossali. Come può un corpo vivo, fisicamente esteso, imponente com’è una città, essere invisibile al nostro sguardo? Ancor più sconcertante è che sia ignota la città par excellence, la più narrata, la più vista nei telegiornali, la più adorata da chi ha fede. Gerusalemme invisibile. Sì, succede. Accade quando nascosti sono i suoi abitanti, le sue storie quotidiane, i passi sulle strade, la pioggia sulla pietra antica della Città Vecchia. Café Jerusalem nasce da questo paradosso. La città raccontata e mitizzata ben più di altre è anche quella meno visibile, nelle sue dimensioni e nelle sue giornate. Al contrario, la sua realtà nascosta, difficile, e spesso crudele, è proprio il tessuto di relazioni e conflitti di cui ho fatto parte integrante, nei miei dieci anni di vita a Gerusalemme, (in alto) Carla Peirolero e la band dei Radiodervish (foto Max Valle) (qui sopra) la Porta di Gerusalemme e di lavoro come giornalista e scrittrice. È l’umanità dolente, gli sguardi, i ritmi religiosi e prosaici, indecifrabili ai più. Ne avevo scritto, certo. E tanto. Ne ho scritto molto anche in un libro, Gerusalemme senza Dio, da cui Café Jerusalem prende più di qualche spunto. Neanche un libro, però, è riuscito a sanare una necessità, quasi un dovere: rendere carne gli sguardi e le vite degli altri. Le vite dei gerosolimitani, distillate nei ricordi anche dolorosi, sempre intensi, di un decennio fatto di giorni e giorni e suoni e ritmi e canti e sirene. Il testo teatrale sublima questa necessità. E lo fa partendo dalla febbraio I aprile 2015 di Paola Caridi INTERPRETI musiche dal vivo Radiodervish: produzione regia musiche originali e testi Carla Peirolero Pino Petruzzelli Nabil Salameh canto, buzuki e percussioni Michele Lobaccaro chitarra e basso Alessandro Pipino tastiere e fisarmonica Teatro Stabile di Genova Pino Petruzzelli Radiodervish Teatro Duse 18 > 22 marzo sostenitore sostenitore partner della stagione SUQ Festival nostalgia. La mia nostalgia di Gerusalemme è tutta, o quasi, nei suoni. Nel ritmo antico del giorno di Gerusalemme, che inizia prima dell’alba con l’adhan, la chiamata alla preghiera musulmana. Un canto dolce, che prelude all’ingresso – potente e abbacinante – della luce del sole. La luce che conclude la notte, cioè la tregua a Gerusalemme, e mostra la città nel suo tran tran di quotidianità difficile, spaccature, conflitti. Café Jerusalem va dunque oltre il mito della città. Ed entra nei suoi suoni. È per questo che il progetto teatrale nasce con i Radiodervish, che assieme a me più volte hanno vissuto e ascoltato la città, nei loro frequenti viaggi a Gerusalemme. I suoni – e dunque la musica e i brani dei Radiodervish, band culto nel panorama della world music italiana – sono nella trama del testo teatrale. Nabil ben Salameh, Michele Lobaccaro e Alessandro Pipino sono lì, sulla scena. Filo ineludibile per tessere l’intreccio, perché la spola possa entrare e uscire dal telaio e comporre la storia di Nura, gerosolimitana, palestinese, cristiana, e di Moshe, gerosolimitano, israeliano, ebreo. Nura ricorda. Ricorda una storia sopita, prima di metterla in valigia e di lasciare una Gerusalemme, la sua, che non c’è più. Ricorda soprattutto le parole non dette, l’afasia che stringe la città e i suoi abitanti in un cappio. Le parole che non furono dette, le parole per conoscersi, sono quelle tra Nura e Moshe, ma anche tra il giovane palestinese Musa e la ragazza-soldato israeliana che gli chiede i documenti. In un passaggio di testimone tra le generazioni che tramanda la sofferenza, e rinvia a data da destinarsi la soluzione del conflitto. Perché poco è stato detto, e dunque poco si è chiesto al proprio nemico, per sapere chi è, quali sono i suoi sogni, cosa rivendica. Quando ho pensato a Nura, alla sua dolente serenità, ho subito raccordato il suo volto con quello di Carla Peirolero. L’avevo vista in Madri clandestine, un altro progetto del suo multicolore Suq, laboratorio culturale del dialogo, oggi ancor più necessario, di cui Genova dovrebbe andare ancor più fiera. Carla aveva nelle Madri clandestine, e ha in Café Jerusalem, quella empatia non affettata, quella saldezza che volevo far emergere dal volto e dalla voce di Nura. E Carla conosce anche lei Gerusalemme, e da Gerusalemme è stata anche lei colpita. Come Pino Petruzzelli, non solo regista di un progetto così singolare che ha sposato con gioia, ma Moshe-Musa, l’uno e il suo antagonista, il vecchio gerosolimitano che ha visto tutte le recenti guerre, e il giovane gerosolimitano che non sa come comporre rabbia e richiesta di diritti inalienabili. Come nei mosaici bizantini che la ritraggono, Gerusalemme è ancora oggi una città-fortezza. Nascosta al mondo dai suoi muri, fisici prima ancora che mentali. Oltre quei muri, c’è una città complessa, ricca di persone, di facce, di storie che sono spesso annullate dalla semplice cronaca che tutto appiattisce. La realtà, però, non può essere dimenticata solo perché la cronaca non ne parla. Dimenticare la realtà significa ritrovarla poi, un giorno, nella cronaca di sangue, senza saperne le ragioni e la storia. Il mio regalo alla Gerusalemme di cui ho fatto parte è darle corpo, lacrime, suono, voce, perché su un palcoscenico si possa illuminare la vita e la dignità delle persone, di ognuno dei cittadini. Il mio dovere verso gli invisibili. Paola Caridi TEATRO DEL DIALOGO Café Jerusalem è un’idea che si è sviluppata anche grazie alla collaborazione tra il Teatro Stabile di Genova e l’Associazione Chance Eventi, artefice di quel Suq Festival divenuto simbolo di una integrazione possibile tra genti e culture, riconosciuto dalla Commissione Europea quale esempio di “best practice” per il dialogo e la promozione della diversità. La 17a edizione si svolgerà al Porto Antico, dal 13 al 24 giugno 2015. Giovedì 19 marzo (ore 17.30, nel foyer della Corte, ingresso libero) nell’ambito delle Conversazioni con i protagonisti si svolgerà l’incontro con Paola Caridi e gli attori Carla Peirolero e Pino Petruzzelli protagonisti di Café Jerusalem. Conduce Umberto Basevi. I7 Angelo Pastore nuovo direttore dello Stabile I n c a r i c a d a l l ’i n i z i o d e l 2 0 1 5 h a f i r m a t o i l p r o g e t t o p e r d i v e n t a r e Te a t r o N a z i o n a l e D al gennaio 2015, il Teatro Stabile di Genova, che si accinge a diventare Teatro Nazionale, ha un nuovo direttore: Angelo Pastore, il quale ha proposto al Consiglio di Amministrazione di affiancare a sé Marco Sciaccaluga con il duplice ruolo di consulente artistico e di regista stabile. Costituitosi ufficialmente nel 1951, il Teatro Stabile di Genova è in Italia tra i due o tre più antichi teatri nazionali a gestione pubblica. La sua storia è stata caratterizzata dalla continuità temporale e qualitativa della sua direzione artistica. Dopo un breve periodo di assestamento, infatti, la direzione dello Stabile è stata affidata a Ivo Chiesa, il quale ha concorso a dare al Teatro di Genova notorietà e riconoscimenti nazionali e internazionali, rimanendo ininterrottamente alla guida del teatro pubblico della prosa genovese dal 1955 al 1999. Dopo le dimissioni di Chiesa, il Teatro di prosa pubblico genovese ha trovato in Carlo Repetti, cresciuto all’interno del suo staff dirigenziale sin dall’inizio degli anni Settanta, colui che l’ha diretto, coniugando continuità e innovazione, dal 2000 al 2014. Avendo Repetti rassegnato le di- missioni volontarie e anticipate a partire dal 31 dicembre 2014, nel corso di quest’anno il Consiglio di Amministrazione del Teatro (in rappresentanza degli enti fondatori dello Stabile: Comune di Genova, Provincia di Genova e Regione Liguria) ha scelto di emanare un bando pubblico per la designazione del nuovo Direttore. Bando al quale sono state presentate 84 domande, provenienti sia dall’Italia sia dall’estero, selezionate da una commissione di esperti che ha proposto al Consiglio di Amministrazione una rosa ristretta di nomi, tra i quali è stato scelto con assoluta trasparenza Angelo Pastore, cui è stata affidata la direzione del Teatro Stabile di Genova per cinque anni (rinnovabili) a partire dal gennaio 2015. Nato nel 1954, Angelo Pastore ha iniziato la propria esperienza professionale nel mondo del teatro nei primi anni Ottanta, LA GIORNATA MONDIALE DEL TEATRO DIVENTA UNA FESTA Il 27 marzo è la Giornata Mondiale del Teatro, istituita a Vienna nel 1961 con l’obiettivo di “incoraggiare gli scambi internazionali nel campo della conoscenza e della pratica delle Arti della Scena, stimolare la creazione ed allargare la cooperazione tra le persone di teatro, sensibilizzare l’opinione pubblica alla presa in considerazione della creazione artistica nel campo dello sviluppo, approfondire la comprensione reciproca per partecipare al rafforzamento della pace e dell’amicizia tra i popoli”. Genova celebra la Giornata Mondiale del Teatro dedicando l’intera settimana dal 23 al 27 marzo ad una festa del teatro. La “Settimana del Teatro” nasce all’interno del Tavolo Genovateatro, ed è realizzata dai componenti del tavolo, i teatri della città e il Comune di Genova. Questa prima edizione sarà dedicata principalmente alle scuole. Ministero Beni e Attività Culturali soci fondatori COMUNE DI GENOVA PROVINCIA DI GENOVA REGIONE LIGURIA sostenitore partner della stagione sostenitore numero 41 • febbraio | aprile 2015 Edizioni Teatro Stabile di Genova piazza Borgo Pila, 42 | 16129 Genova www. teatrostabilegenova.it Presidente Prof. Eugenio Pallestrini Direttore Angelo Pastore Condirettore Marco Sciaccaluga Direttore responsabile Aldo Viganò Collaborazione Annamaria Coluccia Segretaria di redazione Monica Speziotto Autorizzazione Trib. di Genova n° 34 del 17/11/2000 Progetto grafico: art: Bruna Arena, Genova (00815) Stampa: Microart’s Genova Angelo Pastore con Marco Sciaccaluga durante le prove di Il matrimonio del signor Mississippi occupandosi di promozione allo Stabile di Torino e del rapporto con il territorio. Sempre a Torino si è occupato anche di programmazione delle ospitalità, delle tournées, delle attività culturali e dell’ufficio produzio- ne. Nel 2000 inizia a collaborare con il CTB Teatro Stabile di Brescia, del quale dal 2010 al 2014 diventa direttore. Nel primo decennio del Duemila collabora come direttore organizzativo con il Teatro Franco Parenti di Milano e con l’associazione Teatro Europeo diretta da Beppe Navello, poi TPE; è commissario straordinario della Fondazione circuito Teatrale Piemontese e direttore organizzativo del Teatro Quirino di Roma. Aperta la pagina Facebook L a c o m u n i c a z i o n e d e l Te a t r o d i G e n o v a p a s s a o r a a n c h e d a i s o c i a l n e t w o r k Con la nuova Direzione, Il Teatro di Genova si propone di aprire anche ai social network la sua strategia di comunicazione con gli spettatori, la città e il mondo culturale nazionale e internazionale. Da qui, la scelta di affiancare al costante ampliamento del proprio sito internet, completamente rinnovato lo scorso autunno, e all’applicazione informatica dedicata ai dispositivi mobili (APP), anche il ricorso all’uso dei nuovi media e alla partecipazione attiva rappresentato dai social network. È questo un terreno moderno e dinamico, al quale il Teatro di Genova intende dedicare da subito uno specifico sforzo programmatico e organizzativo. Tutto ciò, ovviamente, continuando a usare le nuove tecnologie anche per l’invio quasi quotidiano delle newsletter (l’archivio del Teatro dispone oggi di circa 8000 indirizzi di persone che hanno accettato di ricevere le sue newsletter ed altri ancora si spera che si aggiungeranno) e per PENSARE LE COSE IN GRANDE conservare la memoria della propria storia e dei propri spettacoli, con le accurate riprese video di tutte le proprie produzioni e la valorizzazione del grande archivio del Teatro (foto, lettere, documenti) di cui è in corso il trasferimento su supporti telematici, permettendo così un accesso sempre più agevole a questo patrimonio culturale che studiosi e tesisti provenienti dalle Università di tutta Italia (e non solo) chiedono sempre più di studiare e consultare. Il Teatro di Genova è già su Youtube, con i trailers dei propri spettacoli di produzione, di quelli ospitati nella stagione in corso e con le registrazioni audio delle Grandi Parole. Da pochi giorni è attiva anche una pagina Facebook, alla quale si può accedere digitando “Teatro Stabile di Genova”, e prossimamente comunicherà con i propri spettatori anche attraverso i “cinguettii” di Twitter e le immagini fotografiche di Instagram. È DARE ATTENZIONE AI PARTICOLARI R I C E V I M E N T I D I N O Z Z E • W E D D I N G P L A N N I N G tel. 010 377.35.14 - tel. 010 362.80.33 [email protected] [email protected] VILLA LO ZERBINO • GENOVA www.capurroricevimenti.it febbraio I aprile 2015 8I Spettacoli ospiti dal 10 febbraio al 12 aprile SEI PERSONAGGI IN CERCA D’AUTORE di Luigi Pirandello CERCANDO SEGNALI D’AMORE NELL’UNIVERSO Corte, 3 - 8 marzo di Luca Barbareschi Corte, 31 marzo - Regia: Gabriele Lavia 2 aprile Regia: Chiara Noschese “HELLZAPOPPIN” Nato nel 2000 con l’intento di far vivere il foyer del Teatro della Corte anche nelle ore pomeridiane, quando in sala non c’è spettacolo, il progetto denominato «Hellzapoppin» giunge nel 2015 alla sua sedicesima edizione, avendo visto crescere stagione dopo stagione la partecipazione del pubblico, degli artisti e delle associazioni culturali coinvolte. Spazio aperto alle sollecitazioni artistiche e culturali di Genova e della Liguria, il foyer della Corte si propone come luogo d’incontri, conferenze e letture; sempre disposto ad accogliere i suggerimenti culturali delle più qualificate associazioni cittadine e a favorire le iniziative autogestite dai giovani artisti che avvertono l’esigenza di approfondire il discorso sul teatro e sull’arte. FOYER DELLA CORTE // PROGRAMMA FINO AL 15 APRILE 2015 // INGRESSO LIBERO ERANO TUTTI MIEI FIGLI MERCOLEDÌ 11 FEBBRAIO – ORE 17.30 di Arthur Miller Corte, 17 - 22 marzo IL GIUOCO DELLE PARTI di Luigi Pirandello Corte, 10 - 15 febbraio Regia: Roberto Valerio Il marito, la moglie e l’amante. Il triangolo secondo Luigi Pirandello, raccontato in “flash-back”. Come conciliare i doveri coniugali con l’amore per la filosofia e la cucina. Basta capire “il giuoco della vita” e al momento giusto saper “girare la frittata”. Con Umberto Orsini protagonista. Teatro nel teatro. Sei personaggi “rifiutati” dall’autore irrompono sulla scena dove si sta provando una commedia di Pirandello e reclamano il loro diritto alla rappresentazione e la loro assoluta volontà di vivere. La famiglia in un classico del ‘900, con Gabriele Lavia regista e interprete. Regia: Giuseppe Dipasquale Teatro civile e di denuncia. Nell’immediato dopoguerra, la famiglia di un capitalista deve fare i conti con le conseguenze della propria avidità di denaro. La speculazione di guerra provoca la morte e lascia un cumulo di macerie esistenziali. Con Mariano Rigillo e Anna Teresa Rossini. Percorso artistico e umano, ironico e pieno di energia, fatto con le parole dei grandi autori, con i quali Luca Barbareschi si è confrontato nel corso della sua quarantennale vita professionale. Da Shakespeare a Mamet, da Eschilo a Peter Shaffer, da Mozart a Simon & Garfunkel. LE DUE VITE di Marcello Fera fuori abbonamento Duse, 31 marzo - 1 aprile Regia: Marcello Fera HOTEL BELVEDERE di Autori Vari di Marco Baliani da Giovanni Boccaccio Corte, 18 - 22 febbraio Corte, 10 - 15 marzo Corte, 24 - 29 marzo Con Peppe e Toni Servillo Un po’ concerto, un po’“reading” e un po’ recital di poesie, La parola canta è prima di tutto una dichiarazione d’amore che i fratelli Servillo, Peppe e Toni, rivolgono a Napoli, facendo ricorso al patrimonio della cultura partenopea. Dai classici ai contemporaei. Fra letteratura, musica e teatro. Regia: Marco Baliani Stefano Accorsi (protagonista) e Marco Baliani (regista) portano a teatro il capolavoro di Boccaccio, in una società appestata, dalla quale si fugge per evitare il contagio. Un pugno di novelle messe in scena per esorcizzare il male di esistere nella realtà conte. Regia: Paolo Magelli Tra humour e violenza, sette personaggi si aggirano nei polverosi saloni di un grande hotel di montagna. Una premonizione degli orrori della seconda Guerra Mondiale e della crisi odierna, scritta da Ödön von Horváth, grande autore della cultura mitteleuropea, messa in scena guardando all’oggi. di Ödön von Horváth Tra memoria popolare e straniamento, sullo sfondo degli anni Venti. La doppia vita di una prostituta che si fa moglie e madre rispettata, afflitta dalle responsabilità quotidiane. Dal degrado sociale nell’atrocità della guerra al ritorno da signora nel paese di origine. MASTRO DON GESUALDO Duse, 25 - 29 marzo MORTE DI UN COMMESSO VIAGGIATORE IL MONDO NON MI DEVE NULLA MAGAZZINO 18 di Arthur Miller di Massimo Carlotto di Simone Cristicchi Duse, 11 - 15 marzo Regia: Francesco Zecca Incontro vivificante tra un ladro di appartamenti e una croupier tedesca che si gode la pensione nella Rimini non ancora invasa dai turisti. Un “giallo” in forma di riflessione sul senso della vita e sulla libertà di scelta e di coscienza. Uno spettacolo con Pamela Villoresi e Claudio Casadio. Corte, 8 - 12 aprile Negli anni del difficile processo di unificazione nazionale, trionfano le passioni di un “parvenu” ossessionato dal culto della “roba”, accumulata con foga e con ogni mezzo. Conflitti e passioni. La parabola esistenziale di un uomo ambizioso che sogna di poter andare al di là dei propri limiti sociali. MOSTRE a Palazzo Ducale I pensieri delle parole Intorno a Morte di un commesso viaggiatore intervengono Elio De Capitani, Nando Fasce, Curzio Maltese VENERDÌ 27 FEBBRAIO – ORE 17.30 Un ingiustificato silenzio: poeti liguri dimenticati Luciano De Giovanni (Sanremo 1922 - Montichiari 2001) a cura di Alessandro Ferraro (Fondazione Mario Novaro) Speed Limit 40. Eugenio Carmi 27 febbraio_27 maggio 2015 – Loggia degli Abati Espressionismo tedesco. Da Kirchner a Nolde 5 marzo_12 luglio 2015 – Appartamento del Doge August Sander 10 aprile_23 agosto 2015 – Sottoporticato VENERDÌ 6 MARZO – ORE 17.30 Un ingiustificato silenzio: poeti liguri dimenticati Nicola Ghiglione (Genova Voltri 1915 - Genova 1990)) a cura di Francesco De Nicola (Fondazione Mario Novaro) MERCOLEDÌ 11 MARZO – ORE 17.30 Conversazione con i protagonisti incontro con Stefano Accorsi e gli altri attori della compagnia di “Decamerone” a cura di Umberto Basevi (Associazione per il Teatro Stabile di Genova) VENERDÌ 20 MARZO – ORE 17.30 Un ingiustificato silenzio: poeti liguri dimenticati Adriano Guerrini (Alfonsine/RA 1923 - Genova 1986) a cura di Enrico Parodi (Fondazione Mario Novaro) Regia: Daniela Ardini Corte, 25 febbraio - 1 marzo GIOVEDÌ 26 FEBBRAIO – ORE 17.30 VENERDÌ 13 MARZO – ORE 17.30 Un ingiustificato silenzio: poeti liguri dimenticati Gherardo Del Colle (Genova Cesino 1920 - Genova Pontedecimo 1978) a cura di Pino Boero (Fondazione Mario Novaro) dal romanzo di Giovanni Verga Regia: Elio De Capitani La parabola esistenziale di un commesso viaggiatore con i piedi sui gradini della metropolitana e la testa nelle stelle. L’odissea della difficoltà d’invecchiare, sullo sfondo della crisi economica. Un uomo qualunque nell’America del dopoguerra. Con Elio De Capitani regista e protagonista. VENERDÌ 13 FEBBRAIO – ORE 17 Donne e cibo nelle pagine letterarie Il cibo come elaborazione del lutto Letture da Donna Flor e i suoi due mariti di Jorge Amado (Associazione “L’incantevole aprile”) MERCOLEDÌ 4 MARZO – ORE 17.30 COOP Liguria incontra Gabriele Lavia conduce Laura Guglielmi DECAMERONE Vizi, virtù e passioni LA PAROLA CANTA Conversazione con i protagonisti incontro con Umberto Orsini e gli altri attori della compagnia di “Il giuoco delle parti” a cura di Umberto Basevi (Associazione per il Teatro Stabile di Genova) Regia: Antonio Calenda La tragedia degli italiani costretti a fuggire dai territori assegnati dagli Alleati alla Jugoslavia. L’esilio dei fuoriusciti e la tragedia di chi scelse di rimanere e finì nelle foibe di Tito. Un’odissea punteggiata dalla musica e dalle canzoni eseguite dal vivo da Simone Cristicchi, attore e cantautore. VENERDÌ 27 MARZO – ORE 17.30 Un ingiustificato silenzio: poeti liguri dimenticati Ettore Serra (La Spezia 1890 - Roma 1980) a cura di Francesca Corvi (Fondazione Mario Novaro) GIOVEDÌ 9 APRILE – ORE 17.30 I pensieri delle parole Intorno a Magazzino 18 intervengono Silvio Ferrari, Adriano Sansa, Simone Cristicchi VENERDÌ 10 APRILE – ORE 17 Donne e cibo nelle pagine letterarie Il cibo come filo conduttore della storia di una o più vite Letture da Il conto delle minne di Giuseppina Torregrossa (Associazione “L’incantevole aprile”) INCONTRI Geografie per l’Uomo 2.0, segnali dal macrocosmo a cura di Alberto Diaspro. In collaborazione con IIT Istituto Italiano di Tecnologie – 20 gennaio_17 febbraio, ore 17.45 I capolavori raccontati a cura di Marco Carminati – 29 gennaio_26 marzo 2015, ore 21 Le rappresentazioni del Sacro in collaborazione con Centro Studi Antonio Balletto – 19 gennaio_23 febbraio, ore 17.45 Ragion pubblica a cura di Remo Bodei e Nicla Vassallo – 21 gennaio_28 maggio 2015, ore 17.45 L’invenzione dell’eterosessualità a cura di Emanuela Abbatecola e Luisa Stagi – 3 marzo_31 marzo 2015, ore 17.45 FESTIVAL DI LIMES Il Segno del Comando a cura di Lucio Caracciolo – 6_7_8 marzo Germanica a cura di Alessandro Cavalli – 19 marzo_21 maggio, ore 17.45 La città stratificata a cura di Giovanna Rotondi Terminiello – 9 marzo_27 aprile, ore 17.45 LA STORIA IN PIAZZA – 16_19 aprile Per tutto il programma della Fondazione www.palazzoducale.genova.it febbraio I aprile 2015