ANNO XVI | N° 41 | FEBBRAIO/APRILE 2015
POSTE ITALIANE S.P.A. / SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE / -70% NO/GENOVA N.41 ANNO 2015
Il matrimonio del
signor Mississippi
Eugenio Bernardi
Ladislao Mittner
2
Il matrimonio del
signor Mississippi
Conversazione con
Marco Sciaccaluga
3
Il matrimonio del
signor Mississippi
Dürrenmatt pittore
Centro di Neuchâtel
4
L’uomo che raccoglieva
bottiglie
L’ultima notte
di Bonhoeffer
5
Café Jerusalem
Amori senza futuro
di Paola Caridi
Teatro del dialogo
6
Nuovo direttore
allo Stabile
Social Network
Giornata del teatro
7
Ospitalità
e Hellzapoppin
12 spettacoli
12 incontri
8
GLI EROI RIDICOLI DI DÜRRENMATT
Una commedia nichilista raccontata in forma comica, specchio esemplare di un mondo grottesco
Saluto
del nuovo
direttore
Con l’uscita di questo primo
numero del 2015 di
Palcoscenico e Foyer
e in coincidenza con
il debutto al Duse di
Il matrimonio del signor
Mississippi, colgo
l’occasione per salutare
il pubblico del Teatro Stabile
di Genova. Sono felice
ed orgoglioso dell’incarico
ricevuto e spero di non
deludere le aspettative
dei genovesi e di tutti coloro
che amano il teatro.
Lo Stabile di Genova
è da molti anni una delle
realtà teatrali più
importanti del nostro Paese
e, con la prossima
imminente riforma del
teatro italiano, Genova,
ne sono certo, confermerà
non solo la sua storia
e il suo prestigio,
conquistato con le direzioni
di Ivo Chiesa e di Carlo
Repetti che mi hanno
preceduto, ma svolgerà
anche un ruolo primario
sin dal prossimo futuro,
diventando come tutti
auspichiamo Teatro
Nazionale. Con la sua
programmazione e con i
suoi spettacoli
(ne trovate un esempio
significativo proprio qui a
fianco e nelle pagine interne
del giornale), il Teatro
Stabile di Genova
confermerà la “necessità”
di “fare teatro”, riservando
una particolare attenzione
alla formazione
e alla crescita dello
spettatore, e punterà anche
nei mesi e negli anni a
venire a scelte produttive
mai banali, che confermino
nella concretezza
del palcoscenico la propria
fondamentale vocazione
a essere insieme un Teatro
Popolare e un Teatro d’Arte.
ANGELO PASTORE
(vedi pagina 7)
Il matrimonio del signor Mississippi L’uomo
al Duse 10 febbraio > 1 marzo che raccoglieva
bottiglie al Duse 4 >8 marzo
Da martedì 10 febbraio (ore 20,30) vanno
in scena al Duse esecuzioni, avvelenamenti,
rivoluzioni e controrivoluzioni, fughe
e travestimenti: in un continuo alternarsi
di tragedia e commedia, di allegoria
e di realismo. Il matrimonio del signor
Mississippi (nella foto di Giuseppe
Maritati, Alice Arcuri e Ugo Dighero)
è una commedia nichilista
raccontata in forma comica.
Un “pamphlet” coniugato con il dramma,
che si propone, ancora una volta in
Friedrich Dürrenmatt (1921-1990), come
specchio esemplare di un mondo grottesco.
Prodotto dallo Stabile di Genova e messo
in scena da Marco Sciaccaluga, con
Ugo Dighero, Alice Arcuri, Andrea Di Casa,
Roberto Serpi e Roberto Alinghieri
nei ruoli protagonisti, la pièce
racconta di due personaggi
che militano in campi opposti, ma sono
cresciuti come fratelli: Mississippi vuole
imporre al mondo la Legge Mosaica
e Saint Claude crede nel comunismo
come via per la liberazione dell’uomo.
Tra questi estremisti del pensiero
e della politica, c’è il Conte Übelohe,
che si autoproclama cavaliere dell’amore;
mentre il terzetto gravita intorno ad
Anastasia: la donna che vive in un eterno
presente. Versione italiana di Eugenio
Bernardi, scene e costumi di Catherine
Rankl, musiche di Andrea Nicolini
e luci di Sandro Sussi.
I Readings finoallaalCorte
23 febbraio Café Jerusalem
di Charles Dickens
Dopo il successo delle prime due serate dedicate
rispettivamente a Un canto di Natale e a David
Copperfield, proseguono alla Corte le letture con
commento dei Readings di Charles Dickens. Lunedì 16
febbraio, Melania Mazzucco accompagna con i suoi
interventi Eros Pagni, impegnato
nella lettura delle riduzioni teatrali
fatte dallo stesso Dickens del
capitolo 34 di Il circolo
Pickwick e di quello
di Oliver Twist
dedicato a Sikes e
Nancy; mentre il ciclo si
conclude il 23 febbraio con la
lettura di Massimo Popolizio di
Dombey e figlio.
Scritto dalla giornalista e storica Paola Caridi
e interpretato da Carla Peirolero
e Pino Petruzzelli (anche regista)
con l’accompagnamento dal vivo della musica
dei Radiodervish, Café Jerusalem
(in scena al Duse dal 18 marzo)
è il canto per una città sovraesposta,
mitologica, dove gli esseri umani,
uomini e donne, appaiono
sovente abbandonati a se
stessi, dimenticati. È in
questo capoluogo esposto alla
violenza e all’odio, che si
svolge la storia d’amore della
palestinese Nura (il suo nome
significa “luce” in arabo)
per l’ebreo Moshe.
Lei lavora in un bar e risiede
Pino Petruzzelli (autore, regista e attore)
è il protagonista dello spettacolo
prodotto dallo Stabile di Genova, che va in scena
al Duse da mercoledì 4 marzo (ore 20,30).
Ispirato alla figura di un maestro d’ascia di Lampedusa,
cui Petruzzelli aveva dedicato un capitolo del suo libro
Gli ultimi, L’uomo che raccoglieva bottiglie
accompagna lo spettatore all’incontro con un personaggio
che coltiva la sua battaglia nel mondo, ma
fuori dal coro, in difesa dei suoi monti,
del suo mare e della sua Storia. E traccia così,
in forma di monologo, il ritratto intenso,
tagliente, ironico e poetico di un
baluardo di resistenza umana. Pasquale
che vive tra i monti e il mare,
in una casa costruita con le sue stesse mani,
unendo al cemento il vetro
delle bottiglie abbandonate dai turisti
sulla spiaggia, non è un perdente,
né un vincente.
Lui ha scelto altre regole
del gioco. È un uomo
per il quale vale ancora
sperare e vivere.
Voce narrante
Paola Piacentini,
musica Arvo Part,
luci e suono
Francesco
Ziello.
al Duse
18 > 22 marzo
in quei luoghi con la sua
famiglia, da sempre. Lui passa
per caso davanti a quel bar,
ed è amore a prima vista.
Ma il loro è un amore
impossibile sullo sfondo degli
odi politici, religiosi e razziali,
alimentati da anni di
conflitto, che dividono
i reciproci mondi. Un amore,
pertanto, costretto a covare
nascosto e silenzioso.
Un amore che comunque
illumina. Una passione che
per Nura è vita, anche se
deve inesorabilmente
fare i conti
con la realtà.
Bonhoeffer
3 marzo al Teatro Duse
Vito Mancuso e Pino Petruzzelli sono
i protagonisti il 3 marzo (ore 20,30)
di un incontro teatrale dedicato a
Dietrich Bonhoeffer (1906-1945),
il pastore luterano che finì la sua vita
nel lager di Flossenburg,
per la colpa di aver partecipato alla
resistenza contro Hitler.
La serata è divisa in due parti:
nella prima, Vito Mancuso racconta
Bonhoeffer; nella seconda,
Pino Petruzzelli, interprete del
monologo L’ultima notte di
Bonhoeffer, dà voce e corpo ai
pensieri, alle meditazioni e alle
poesie di colui che è considerato una
delle più alte menti del Novecento.
2 I Il matrimonio del signor Mississippi
IL PIACERE DEL COLPO DI SCENA
Intrecci noir e divertissement nelle commedie e nell’opera letteraria di Friedrich Dürrenmatt, maestro del paradosso
A Dürrenmatt piacevano i colpi di scena. Ne fa un grande uso
nelle sue pièce teatrali, ma anche nei racconti in prosa costruiti
perlopiù su avvenimenti improvvisi, decisioni sbalorditive,
rivelazioni sconcertanti. Sconcertare, per l’appunto, sembra
essere l’obiettivo precipuo di questo autore. Nulla deve seguire
uno sviluppo logico, nessun personaggio essere prevedibile, ma
neppure la scena o il paesaggio in cui si svolgono le vicende
deve essere individuabile. Può capitare, per esempio, che lo
scenario di una commedia presenti a destra un paesaggio
gotico-alpino e a sinistra uno sfondo mediterraneo. E che un
personaggio salti fuori da un orologio a pendolo. Oppure che da
un cielo sfolgorante di stelle che fa da immenso sfondo alla
scena, cali un angelo destinato a un crudele imperatore di
Babilonia, o che da un treno internazionale scenda non la
bonaria benefattrice che tutti si aspettano, ma una vecchia
grintosa con un seguito di energumeni e con una pantera in
gabbia, una donna pronta a sborsare miliardi in cambio di un
omicidio. Se poi la narrazione assume le movenze del racconto
poliziesco (Dürrenmatt ne ha scritto di strepitosi), il finale
sbaraglia il gioco iniziale fatto di sospetti e punta l’attenzione
non sul criminale da acciuffare, ma sui motivi segreti che
animano il detective facendolo impazzire.
Un teatro ambiguo e contraddittorio
L’insistenza con cui Dürrenmatt preme su questo pedale
caratterizzato da ribaltamenti di prospettiva e da trasgressioni
stilistiche (perlopiù assai divertenti), fa pensare a un intento
preciso che l’autore del resto non manca di formulare in
maniera esplicita. Dichiarandosi a favore di un teatro che voglia
mettere in scena di volta in volta “la ricchezza e la molteplicità
del mondo, senza alcun timore di apparire ambiguo e
contraddittorio”, egli prende fin dall’inizio posizione contro una
pratica teatrale costruita invece a partire da una drammaturgia
coerente e da scelte determinanti: quella di Beckett, di Ionesco
e soprattutto di Brecht, a cui Dürrenmatt si riferisce anche
quando non lo nomina. La sua pretende invece di essere “una
drammaturgia caso per caso”, anzi, dice, si potrebbe forse
immaginare “una drammaturgia di tutti i casi possibili, appunto,
così come esiste una geometria che comprende tutte le
dimensioni possibili”. Affermazioni impegnative, cui Dürrenmatt
rimarrà fedele e che lo porteranno a soluzioni sempre più
intricate e labirintiche. Dalla “drammaturgia dell’esperimento”
Alice Arcuri con Davide Mazzella, Davide Mancini, Valerio Puppo, Nicolò Giacalone e Rachele Canella
(in basso) Roberto Alinghieri e Andrea Di Casa
formulata agli esordi egli si avvia negli ultimi anni infatti verso
una concezione estrema di teatro dove ogni personaggio gioca
con la propria identità e ogni vicenda storica si riflette o si
identifica con una vicenda fittizia.
Il concetto di giustizia
Non è però la fantasmagoria e il vortice di un’immaginazione
senza freni a costituire l’impulso profondo di un itinerario
apparentemente stravagante ma in fondo ossessivo come è a
ben guardare quello di questo autore svizzero nato nel 1921 e
morto nel 1990. A sostenerne vigorosamente le mosse e le
variazioni richieste dai singoli generi letterari affrontati (teatro,
narrativa, radiodrammi, interventi saggistici, interviste) è un
concetto onnipresente, scaricato nei modi anche sguaiati della
commedia e del paradosso, ed è il concetto di giustizia, o meglio
Alla ricerca
della moralità assoluta
Dürrenmatt, che nella commedia si definisce «appassionato di
favole crudeli e di commedie inutili», presenta due opposti campioni della «moralità assoluta», Mississippi e Saint-Claude, che
vinsero «la paura della fame» tenendo insieme un bordello: il primo leggeva intanto la Bibbia, il secondo Marx. All’inizio della
commedia Mississippi è giudice temutissimo che ha già fatto
giustiziare trecentocinquanta imputati, restaurando la legge mosaica che punisce con la morte l’adulterio; Saint-Claude è invece
un rivoluzionario che progetta di restaurare il comunismo oramai
corrottosi in Russia, progetta di migliorare «questo putrido
mondo di affamati, ubriaconi e criminali, questo inferno che risuona dei canti dei ricchi e dei pianti degli sfruttati». Ma la rivoluzione risulta irrealizzabile, poiché «l’Ovest ha perso
l’occasione di realizzare la libertà, l’Est di realizzare la giustizia». Fra i due moralisti pone il «compiuto» idealista mistico
Übelohe, disposto a sacrificarsi per compiere il solo miracolo ancora possibile, il miracolo del vero amore. Con ciò però la commedia politica diventa una commedia d’amore, di un amore, com’era
da prevedersi, esso pure irrealizzabile. Anastasia infatti, che si definisce da sé «una puttana che passa immutata attraverso la
morte», l’unico personaggio della commedia che non esce mai e
non può uscire dalla sua parte, non riesce a distanziarsi dalle sue
azioni per spiegarle, poiché non vi è spiegazione per esse’. Così il
dramma politico viene a combaciare col dramma d’amore: il Mississippi è il dramma dell’universale, indivisibile miseria umana
causata dall’universale malvagità umana. Tenendosi sempre in
un labilissimo equilibrio,’ l’autore ha saputo comporre una girandola strabiliante di colpi di scena, in cui non sappiamo se ammirare più la ferrea coerenza con cui egli cerca un impossibile
accordo o il gusto malvagio che prova nel cercarlo invano.
Ladislao Mittner
febbraio I aprile 2015
dei modi con cui questo principio viene applicato da un’umanità
folle e inferocita. Il matrimonio del signor Mississippi (1952)
ne è un chiaro esempio, ma fin dal primo approccio al teatro
un’interminabile tragicommedia sugli Anabattisti e le loro
utopistiche follie si dilatava partendo principalmente da questo
tema, che poi riaffiora ogni volta, da Romolo il Grande (1949),
alla Visita della vecchia signora(1956), a La panne (dello
stesso anno), passando naturalmente per i romanzi polizieschi,
fino a determinare anche la vicenda de I fisici (1962),
una commedia imperniata sulla crisi di coscienza di uno
scienziato atomico. Ed è con un romanzo intitolato Giustizia
(1985) che l’autore, dopo alcuni anni di assenza, ritornò
prepotentemente alla ribalta internazionale.
L’incessante, ossessivo emergere di questo tema entro ogni
spunto inventivo può in fondo far passare in secondo piano,
dopo l’impatto iniziale, l’apparato scenografico o narrativo
(le lunghe didascalie, le puntigliose descrizioni)
visto che l’azione, incalzata com’è dai dialoghi serrati
di grande effetto (proprio Il matrimonio del signor Mississippi
ne è un chiaro esempio) non perde di efficacia.
L’efficacia rimane infatti lo scopo principale, anche quando la
turbolenza delle invenzioni comiche sembra avere il sopravvento.
Il grottesco
Affrontando il discorso sulla giustizia umana nel riflesso di
una probabile/improbabile giustizia divina, proprio negli anni
del dopoguerra e dei processi ai criminali nazisti, ma
intendendo evitare moralismi e pregiudizi ideologici,
Dürrenmatt punta fin dagli inizi, sia per l’opera teatrale che
per quella narrativa, su uno strumento adottato del resto da
gran parte delle letteratura di lingua tedesca di quegli anni,
ossia il grottesco. Più esplicitamente rispetto ad altri autori
(e con un intervento molto preciso al riguardo) egli connette
questo percorso fra tragedia e commedia, alla situazione
creatasi con la spartizione dell’Europa e del mondo in due
blocchi contrapposti, con le conseguenze dovute
all’instaurarsi della guerra fredda e con l’incubo della bomba
atomica. “Il nostro mondo”, dichiarava nel suo breve, ma
penetrante trattato di drammaturgia, “ha generato il grottesco
come ha generato la bomba atomica”. Rispetto all’assurdo
(allora di gran moda) che mira a squalificare il linguaggio e la
razionalità, i personaggi di Dürrenmatt continuano a voler
ragionare, a controbattere le opinioni altrui, ad affermare i
propri principi fino all’estremo e poiché non hanno vera
sostanza personale al di fuori di quelle loro idee, finiscono per
essere personaggi comici, distrutti dal fanatismo che li anima.
Gli utopisti, i giustizieri e i riformatori del mondo, i fanatici
della disciplina, gli eroi del repulisti universale e tutti gli altri
farneticanti che questo esuberante (e divertito) autore
bernese mette in scena non avranno una sorte migliore di
quella degli Anabattisti della prima commedia: ogni volta il
corso degli eventi travolgerà i tentativi di imbrigliarlo, la
realtà darà scaccomatto alla presunzione umana, i conti
risulteranno sempre sbagliati. È quello che succede a
Mississippi e a Saint-Claude che, in nome di ideologie
contrapposte, tentano di cambiare il mondo e sono quindi
irrimediabilmente destinati a fallire e soprattutto a confessare
che quella loro frenesia era soprattutto ansia di rivincita e
spirito di vendetta. È questa del resto la doppia natura delle
situazioni grottesche in cui l’autore caccia i suoi personaggi:
mentre indica la stoltezza del loro procedere non esclude però
la possibilità di un ravvedimento, un ribaltarsi della tragicità
in speranza fosse pure, come accade per il terzo personaggio
di questa commedia, al limite del patetico e della sua
derisione. Negli ultimi anni, in un racconto straordinario
intitolato La morte della Pizia, Dürrenmatt proverà a
scardinare il mito di Edipo ossia la tragedia per eccellenza.
Un divertissement, certo, condotto con mano abilissima, ma
sempre improntato a quella drammaturgia del possibile che
attraversa tutta l’opera di questo autore radicale ma non
disperato. Nella sua drammaturgia lo smacco può significare
salvezza. Anche nelle vicende della storia non è da escludere
il colpo di scena. Ne abbiamo visto qualcuno.
Eugenio Bernardi
Il matrimonio del signor Mississippi I 3
Conversazione con Marco Sciaccaluga regista dello spettacolo in scena al Duse di Genova
La vita e il suo non senso Il matrimonio
messi in scena con allegria del signor Mississippi
R accontata così ha tutta
l’apparenza di una storiaccia... e in
parte lo è veramente. Ma la cosa
affascinante in Dürrenmatt è che, a
differenza di tanti autori teatrali del
Novecento, a lui piace proprio
raccontare sul palcoscenico una
storia, farvi vivere dei personaggi
nelle loro reciproche relazioni,
senza preoccuparsi – come invece
quasi contemporaneamente faceva
un altro drammaturgo di lingua
tedesca, Bertolt Brecht, da lui poco
amato – di indirizzare questa storia
verso esiti didattico-pedagogici.
Dürrenmatt non ha ricette per
risolvere i problemi del mondo, ma
come tutti i poeti visionari è
sempre all’opposizione del mondo.
Con l’amore per il paradosso che lo
contraddistingueva, infatti, amava
dire: «Se io fossi un cinese o un
russo, sarei sicuramente un
conservatore liberale, ma siccome
vivo in quel giardino di cioccolata
che è la Svizzera non posso che
essere comunista». In questo senso,
Dürrenmatt è, con Samuel Beckett,
il vero grande nichilista della
drammaturgia del Novecento.
Entrambi si occupano di quel
“niente” che riconoscono essere
questo mondo, così privo di senso e
di progetto, di strategia, ma che è
anche un mondo interessante, dove
vale la pena alzare la sfida contro
l’insensatezza sino al livello di Dio.
I suoi eroi, come del resto quelli di
Beckett, sono ridicoli, sovente
comici, ma non sono mai degli
omuncoli. Nel crogiuolo
trasbordante di eventi, ideologie e
religioni di Il matrimonio del signor
Mississippi, ciascuno dei quattro
personaggi principali (e in
particolare i tre uomini) combatte
la sua battaglia alla ricerca di una
sensatezza del mondo, ma così
facendo non riesce che ad apparire
un folle. Mississippi è l’eroe ridicolo
o tragicomico di alcune delle
ideologie totalitarie che hanno
insanguinato il Novecento,
compreso il nazismo; Saint-Claude
abbraccia uno dei sogni egualitari
più paradossali e disastrosi del
Novecento, quale è stato il
comunismo; Übelohe è una sorta di
cavaliere generoso di tutte le onlus
del mondo, ma quando va nel
Borneo scopre che la medicina
locale è molto più efficace di quella
della cosiddetta civiltà. Egli, che lo
scrittore ha creato simile a sé, ama
l’umanità, ma ama anche una
donna, Anastasia, che è un
personaggio straordinario.
Anastasia non appartiene né al cielo
né all’inferno, è una donna di questo
mondo che non muta, che non si
può correggere, né migliorare, né
purificare; ma che si può amare.
Come dice il Primo Ministro, che è il
personaggio più cinico della
commedia: tutto si può cambiare
tranne gli esseri umani, il mondo è
malvagio ma non è senza speranza...
È proprio questo il paradosso
grottesco della drammaturgia di
Dürrenmatt: occuparsi del “niente”
con uno sfrenato amore per il
niente. Ma elevando la propria
protesta sino a Dio. Nel suo
monologo, entrando in scena,
Übelohe protesta contro il suo
creatore, autore di favole insensate;
contro quel protestante dalla penna
crudele e dalla fantasia sfrenata.
Rivolgendosi al pubblico dice:
«A questo punto così cruciale
dell’azione in cui sia voi, signore e
signori, in quanto spettatori, sia noi
qui sulla scena siamo stati coinvolti
dall’astuzia di uno scrittore quanto
mai infido, è il caso di chiederci in
che modo l’autore abbia concepito
tutto questo: se si è lasciato
trascinare alla cieca da una trovata
all’altra, o se aveva un piano
segreto». L’autore che ci ha creati e
ci tiene prigionieri (voi in platea e
noi sul palcoscenico) aveva in
mente un piano preciso o ci ha
abbandonato al nostro destino?
È chiaro che qui la sfida si eleva
metaforicamente a Dio. Dio ci ha
creato per caso o perché aveva un
piano? Da metafora a metafora, il
problema così posto investe anche
la narrazione e il teatro. Il senso di
un racconto o di un testo teatrale
non sta tanto nel suo contenuto,
quanto soprattutto nel modo in cui
la narrazione si svolge, sulla pagina
scritta o sul palcoscenico.
Da qui, la grande importanza che
Dürrenmatt assegna anche in Il
matrimonio del signor Mississippi
alla struttura drammaturgica?
L a struttura di questa commedia
è molto salda e nello stesso tempo
molto mossa. Inizia con un
personaggio (Saint-Claude) che si
rivolge al pubblico dicendo:
«Signore e signori sono stato
appena ucciso»; e prosegue
entrando e uscendo continuamente
dalla dimensione drammatica a
quella epica, con la dichiarata
ambizione di raccontare una storia
venata di “noir” e, contestualmente,
di scrivere un pamphlet,
inventando una drammaturgia che
sia in grado di tenere sempre in
bilico la riflessione sull’uomo (con
tutte le sue implicazioni politiche,
filosofiche, religiose, ecc.) e lo
svolgimento di una vicenda ricca di
suspense e di tensione, come se
fosse un “noir”. Dürrenmatt ci dice
continuamente che non ci può
essere riflessione sull’uomo se
insieme non c’è anche narrazione
dell’uomo. E questa è una delle
cose che da sempre mi hanno più
affascinato in lui. Lavorando su
questo splendido testo si avvertono
continuamente i suoi modelli
archetipici, dal teatro greco a
Shakespeare, da Schiller a Ibsen,
sino anche a quel rivolgersi dei
personaggi al pubblico e ai cartelli
tanto cari a Brecht, che egli però
(in alto) Ugo Dighero e Roberto Serpi
(qui sopra) Roberto Serpi, Roberto Alinghieri, Alice Arcuri, Ugo Dighero, Andrea Di Casa
di Friedrich Dürrenmatt
PERSONAGGI E INTERPRETI
Anastasia
Florestano Mississippi
Frédéric René Saint-Claude
Conte Bodo von Übelohe - Zabernsee
Il ministro Diego
La cameriera
Tre uomini con l’impermeabile, tre ecclesiastici,
tre psichiatri
Alice Arcuri
Ugo Dighero
Andrea Di Casa
Roberto Serpi
Roberto Alinghieri
Rachele Canella
Davide Mancini
Davide Mazzella
Valerio Puppo
Nicolò Giacalone
Teatro Stabile di Genova
Marco Sciaccaluga
Catherine Rankl
Andrea Nicolini
Sandro Sussi
Eugenio Bernardi
Il professor Überhuber
produzione
regia
scene e costumi
musiche
luci
versione italiana
Teatro Duse
10 febbraio > 1 marzo
sostenitore
“
sostenitore
partner della stagione
Esporsi al mondo
Confesso che quando cominciai a scrivere Mississippi non sapevo
dove volevo arrivare. Certo, col passare del tempo si formarono
diverse intuizioni e diversi piani su come un giorno avrebbe
potuto configurarsi la pièce, ma quelle intuizioni generalmente
non si avverarono. Continuavo a scrivere addentrandomi su
terreni che rendevano continuamente necessari nuovi progetti.
Il lavoro era avvincente, chi capiva scuoteva la testa.
Personalmente osai abbandonarmi alle mie trovate, perché come
artista sono convinto che uno scrittore si espone al mondo
soprattutto se osa esporsi alle proprie trovate: è così che vorrei
venisse compreso il mio modo di sperimentare in Mississippi.
L’avventura in questo lavoro era sicuramente data dal fatto di
dover trovare l’argomento, non la forma. Che poi mi aspettasse
l’arduo compito di comprendere anche l’argomento trovato in
maniera così avventurosa è un altro paio di maniche.
Friedrich Dürrenmatt
usa sempre con molta ironia. A
Dürrenmatt dà fastidio
l’impostazione brechtiana della
favola pedagogica di origine
medievale che divide il Bene dal
Male, come gli dà fastidio la teoria
dello straniamento. Egli sa che se il
racconto funziona, lo spettatore
inevitabilmente si emoziona, ed è
bene per l’arte che sia così.
La mancanza di un progetto
pedagogico del testo non fa correre il
rischio che lo spettatore, soprattutto
quello più giovane, si senta un poco
abbandonato a se stesso?
F orse che lo spettatore si sente
abbandonato davanti a una
tragedia di Shakespeare? Le storie
di Dürrenmatt raccontano, con
grande competenza anche visiva, la
complessità e la contraddittorietà
del mondo. Certo non lo
semplificano dandone una
soluzione didascalica, ma in
compenso egli ha la capacità di dar
vita a personaggi simpaticissimi.
E tali sono anche i più malvagi e
corrotti. Come suoi eredi più o
meno consapevoli, potrei citare
“
S critto da un giovane che non
aveva ancora trent’anni, alla metà
del Novecento – il secolo più folle,
sanguinoso e grottesco della storia
dell’umanità –, Il matrimonio del
signor Mississippi di Friedrich
Dürrenmatt porta a teatro il piacere
di raccontare una storia, con
personaggi ben definiti e molti colpi
di scena, momenti di suspense
degni di Hitchcock (le tazzine di
caffè avvelenato), amore e
tradimento, in un crescendo narrativo
in cui “tutti ammazzano tutti”.
Sembra un “giallo” capace di attirare
l’attenzione di un pubblico giovane.
E lo è. Dürrenmatt non è solo un
grande autore di teatro, ma anche
un coinvolgente “giallista” (basti
pensare ai suoi romanzi, da Greco
cerca greca a La promessa) capace di
mescolare tensione e ironia,
allegoria etico-politica e
travolgente umorismo. Tutti
ingredienti, questi, che si ritrovano
anche in Il matrimonio del signor
Mississippi che, forse, solo all’inizio,
però, potrà anche disorientare un
poco gli spettatori più giovani,
come è accaduto nelle prime prove
dello spettacolo a tavolino agli
attori chiamati a interpretarlo, ma
ben presto infonderà anche nei
giovani spettatori un senso
profondo di allegria,
perché non c’è nulla di più allegro
di questa rappresentazione
dell’insensatezza del mondo e della
vita. Insensatezza che, lungi dal
deprimere, spinge
il pubblico a dirsi: «La vita non ha
senso? Ebbene io come Don
Chisciotte, con il quale uno dei
protagonisti della commedia
(il conte Bodo von ÜbeloheZabernsee) alla fine si identifica, mi
impegnerò a darle un senso».
E questa è cosa che mette una
grande allegria. Del resto, che cosa
ci si poteva aspettare di diverso da
uno scrittore e pittore, intendo
Dürrenmatt, che affrescò con
immagini grottesche tutte le pareti
del cesso di casa sua e intitolò
quest’opera “La Cappella Sistina”?
Entriamo allora dentro a quest’opera
teatrale abitata da un personaggio
(Mississippi), che sogna di
rigenerare l’umanità attraverso la
norma punitiva e repressiva
dell’Antico Testamento e della Legge
Mosaica, da un suo coetaneo (SaintClaude), che persegue lo stesso fine
di giustizia nel nome del comunismo,
e da un terzo personaggio (Bodo von
Übelohe-Zabernsee), conte
alcolizzato e filantropo, che ama
l’umanità ma scopre ben presto che
questo amore non ha senso; mentre
tutti e tre, con l’aggiunta anche del
Primo Ministro di un paese non
specificato, ruotano intorno a una
donna (Anastasia), che ama l’attimo
fuggente, una donna furba e
appassionata, capace di bugie
sensazionali, ma totalmente sincera
anche quando mente.
Martin McDonagh o Quentin
Tarantino. La prima scena di
Bastardi senza gloria è infatti molto
“dürenmattiana” e così anche il
personaggio di Christoph Waltz
evoca l’immagine di un Male
assoluto, che pur risulta simpatico.
No, lo spettatore non è proprio mai
abbandonato da Dürrenmatt.
Egli lo accompagna con gioia
all’interno di questo mondo
sovente anche surreale; ma
non lo mette mai a disagio, anche
se a volte tende a provocarlo.
Per questo lo chiama
così sovente in causa?
C osì gli ricorda in ogni momento
che è a teatro. Gli dice attraverso
i suoi personaggi: comunque siamo
qui insieme. Di noi non ti libererai
mai. Anche se morti torniamo a
vivere con te. E in questo modo
i protagonisti di Il matrimonio
del signor Mississippi, come accade
a tutti i grandi personaggi
del teatro e della letteratura,
rivendicano la loro legittima
possibilità di essere immortali.
(a cura di Aldo Viganò)
febbraio I aprile 2015
4 I Il matrimonio del signor Mississippi
LA CASA DI DÜRRENMATT PITTORE
Tra il Centro di Neuchâtel e il Teatro Stabile di Genova una “joint-venture” per Mississippi
Nel 2015 cadono contemporaneamente
il venticinquesimo anniversario della
morte di Friedrich Dürrenmatt
(Konolfingen 5 gennaio 1921 - Neuchâtel
14 dicembre 1990) e i 15 anni del
Centre Dürrenmatt Neuchâtel,
inaugurato nel settembre 2000.
Scrittore e drammaturgo noto in tutto il
mondo per la sua opera teatrale e per
i suoi romanzi polizieschi, Friedrich
Dürrenmatt è stato anche per tutta la vita
pittore e autore di disegni. Dopo la sua
morte, il governo svizzero ha invitato
l’architetto Mario Botta a realizzare
il Centre Dürrenmatt Neuchâtel,
con lo scopo di valorizzare la sua opera
pittorica e letteraria e di continuare
a far vivere il suo pensiero universale.
In occasione del duplice anniversario
del 2015, il Centre Dürrenmatt Neuchâtel
ha chiesto al Teatro Stabile di Genova
di essere suo partner nella reciproca
informazione degli avvenimenti in corso:
da una parte la messa in scena genovese
di Il matrimonio del signor Mississippi,
dall’altra una serie di manifestazioni
il cui dettaglio può essere conosciuto,
accedendo al sito www.cdn.ch
Progettato da Mario Botta e inaugurato nel
2000, il Centre Dürrenmatt Neuchâtel
integra nella sua architettura la vecchia casa
di Friedrich Dürrenmatt. Il centro, il cui
compito è raccogliere, conservare e divulgare
l’opera pittorica di Friedrich Dürrenmatt,
vuole essere uno spazio vivente, aperto a
tutti. Il museo espone regolarmente anche le
opere di artisti che hanno affiancato le arti
visive alla scrittura. Luogo di riflessione e di
scambio, il CDN organizza convegni,
conferenze e letture pubbliche sui temi
affrontati nell’opera di Friedrich Dürrenmatt.
Durante tutto l’anno propone inoltre diversi
concerti. Oltre a ospitare esposizioni e
manifestazioni varie, il CDN è un punto
d’incontro per ricercatori che promuove
l’approccio critico all’opera letteraria e
pittorica del drammaturgo svizzero.
L’opera pittorica di Dürrenmatt, i cui inizi
risalgono alla prima giovinezza, è rimasta a
lungo sconosciuta al grande pubblico. Nei
suoi quadri “drammaturgici” Dürrenmatt
ricorre spesso a motivi mitologici religiosi.
La collezione del Centre Dürrenmatt conta
circa 1000 opere originali e diversi quaderni
con disegni. Poco prima di iniziare gli studi,
Dürrenmatt scrive a suo padre: «Non si tratta
In alto e di fianco, esterno e interno del Centre Dürrenmatt Neuchâtel
(foto Pino Musi)
Qui sopra, La Chapelle Sixtine di Friedrich Dürrenmatt
Gestire reti
complesse
in tempo reale?
Assolutamente.
febbraio I aprile 2015
di decidere se diventerò un artista o no,
perché non è una cosa che si può decidere:
artista si diviene per necessità. [...]
Per me il problema è un altro. Devo
dedicarmi alla pittura o alla scrittura? Ho una
vocazione per entrambe». Dürrenmatt
deciderà poi di diventare scrittore di
professione, ma continuerà a disegnare e
dipingere per tutta la vita. A parte alcune
caricature e illustrazioni di libri, la sua opera
pittorica è però stata a lungo ignorata. «I
miei disegni non sono lavori accessori alle
mie opere letterarie, ma i campi di battaglia
disegnati e dipinti su cui si svolgono le mie
lotte, le mie avventure, i miei esperimenti e
le mie sconfitte di scrittore» scrive
Dürrenmatt nel 1978 nella nota personale sul
primo volume illustrato delle sue opere.
Nella maggior parte dei casi, le illustrazioni
non sono strettamente legate ai testi
dell’autore e si rifanno soprattutto a temi
mitologici e religiosi, come il labirinto e il
Minotauro, la Torre di Babele o la
Crocifissione. Dürrenmatt ha anche
realizzato alcune serie di disegni in parallelo
a testi letterari (Sta scritto, Re Giovanni, Il
Minotauro, Mida o lo schermo nero). Se
l’influenza dell’espressionismo è innegabile,
la sua opera è profondamente marcata anche
da artisti come Bosch, Brueghel, Piranesi,
Goya o il pittore svizzero Varlin, suo amico.
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generazione, trasmissione e distribuzione di energia per incrementare
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L’uomo che raccoglieva bottiglie I 5
Uomini e cocci di bottiglia
per recuperare il futuro
Dalla spiaggia di Lampedusa, orgogliosa sfida al progresso
del protagonista dello spettacolo di Pino Petruzzelli
vendere formaggette in paese con il
padre: e parla della fatica ma anche
della sua voglia di aggrapparsi alla
vita». Nel racconto i personaggi del
figlio e del padre si intrecciano e, nel
gioco della memoria e del teatro,
cedono la voce l’uno all’altro.
«Ricordare significa recuperare, la
propria storia e le proprie radici, ed è
solo partendo da lì – spiega
Petruzzelli – che si può recuperare
anche la speranza e si possono
superare i momenti di crisi e di
difficoltà». In quell’altalena di
guadagnare di più, la terra, invece, è
stata abbandonata da tutti. E allora a
cosa serve il progresso?». E un’altra
metafora dell’ambivalenza del
progresso può essere quel rombo
ingombrante del motore di un aereo
che più volte, nello spettacolo, copre
la voce del protagonista proprio
quando il dialogo con se stesso
diventa più intimo, lasciando in
sospeso – anche per lo spettatore –
parole e pensieri.
Nel racconto di Pasquale ha poi un
posto anche Genova, dove Petruzzelli
vivono le speranze degli ultimi. Ed è il
protagonista a raccontare come un
giorno, guardando il mare assieme alla
moglie, si fosse accorto di un cadavere
che galleggiava nell’acqua, prima
apparso da lontano e confuso con
rifiuti galleggianti e poi riconosciuto
come essere umano, anche lui
rifiutato. «Dopo aver visto il cadavere
Pasquale prende un crocifisso e fa il
giro delle spiagge dell’isola fino ad
arrivare vicino al corpo dell’uomo
morto in mare» racconta Petruzzelli:
«E mentre cammina con il crocifisso si
di Pino Petruzzelli
INTERPRETI
voce narrante
produzione
regia ed elemento scenico
musiche
luci e suono
Pino Petruzzelli
Paola Piacentini
Teatro Stabile di Genova
Pino Petruzzelli
Arvo Part
Francesco Ziello
Teatro Duse
4 > 8 marzo
sostenitore
sostenitore
partner della stagione
In occasione della messa in scena di L’uomo che raccoglieva
bottiglie, spettacolo dedicato dal suo autore e interprete Pino
Petruzzelli al regista russo Andrej Tarkovskij, lo Stabile ha
organizzato per martedì 24 febbraio (ore 17,30) nel foyer del
Teatro della Corte una conversazione tra Petruzzelli e il professore Marco Salotti. L’INGRESSO È LIBERO.
“
“
Raccogliere per ricostruire, recuperare
per non sprecare e non dimenticare:
cocci di bottiglia e persone, ricordi e
radici, vite e pezzi di vita. Sono i gesti
e le metafore che s’intrecciano in
L’uomo che raccoglieva bottiglie,
lo spettacolo di e con Pino Petruzzelli,
prodotto dal Teatro Stabile di Genova,
che andrà in scena al Duse
dal 4 all’8 marzo. Lo spettacolo,
di cui Petruzzelli è interprete e regista,
aveva già debuttato l’estate scorsa
al Festival di Borgio Verezzi ma,
per ragioni logistiche, in una versione
non completa e, quindi, al Duse
sarà per la prima volta in scena
nella versione integrale.
Su un palcoscenico con tanta
spazzatura e con le musiche di Arvo
Part a fare da colonna sonora,
Petruzzelli racconta ancora una volta
un viaggio, attraverso luoghi e
persone, evocati e interpretati solo con
la sua voce, in un monologo-dialogo
con un albero secco, un pezzo di
tronco di ulivo trovato dal regista su
una spiaggia e diventato unico coprotagonista, muto, dello spettacolo. Il
testo trae spunto dalla vicenda
raccontata da Petruzzelli in un capitolo
del suo libro Gli ultimi (pubblicato da
Chiarelettere), dedicato a Pasquale,
l’uomo che raccoglieva cocci di
bottiglia su una spiaggia di
Lampedusa, isola all’estremo sud
dell’Italia e, quindi, in un certo senso,
ultima. «Nei miei spettacoli si
mescolano sempre realtà e finzione e
anche in questo caso lo spunto è
reale» racconta l’autore. «Avevo
conosciuto Pasquale qualche anno fa a
Lampedusa: è una delle tante persone
speciali che ho incontrato. Spesso
sono proprio gli ultimi, persone che
nella nostra società non contano
niente, che, apparentemente, non
hanno niente da dire e da dare e che a
volte vivono emarginate dalla società:
in tanti casi sono persone speciali».
Pasquale, che con il cemento, i cocci di
bottiglia raccolti su una spiaggia e le
piastrelle recuperate fra i rifiuti si è
costruito una casetta «che luccica
quando c’è il sole», è una di queste.
«Mi interessa l’idea del recuperare,
non solo cose, anche vite che
sembrano dimenticate e rifiutate»
spiega l’attore-regista. Sul
palcoscenico, davanti a quell’albero
secco che Pasquale si ostina a
innaffiare convinto che prima o poi si
riprenderà, l’uomo incomincia a
raccontare la sua vita. «Lo spettacolo
si apre con una citazione da Sacrificio,
il film del regista russo Andrej
Tarkovskij al quale ho dedicato lo
spettacolo» spiega Petruzzelli. E nel
racconto molte delle persone che sono
entrate nella vita reale e immaginaria
di Pasquale diventano personaggi
dello spettacolo, ai quali Petruzzelli dà
voce e pensieri in prima persona.
«Pasquale inizia a raccontare di
quando, da ragazzino, andava a
L’uomo
che raccoglieva
bottiglie
L’ultima notte
di Bonhoeffer
responsabilità e di leggerezza, di
dramma e di sorriso che è nella vita e
che l’autore cerca di trasferire anche
sulla scena, con un lavoro di
sottrazione e di semplificazione.
«Nello spettacolo – continua – c’è
anche una riflessione sul progresso e
una critica all’idea diffusa di progresso.
Pasquale si chiede che cos’è e se serve
davvero e la risposta è che serve se
aiuta tutti a vivere meglio, altrimenti
no, non ci riguarda, anche se tutti
sono “uniti nel grande stadio della
religione dell’economia”. Pasquale
parla della terra, dell’agricoltura,
riflette sul fatto che adesso che con le
macchine e con il progresso tutti
potrebbero faticare meno e
Pino Petruzzelli
immagina che il protagonista sia
emigrato per poi ripartire, prima per
imbarcarsi su una nave e poi per
tornare a Lampedusa, dove diventa
maestro d’ascia e si costruisce una
casetta con i cocci di bottiglia. «La
casa costruita anche con i rifiuti è un
altro modo di recuperare, di non
sprecare» sottolinea l’autore. «Nello
spettacolo ci sono anche alcune
citazioni, da Mario Rigoni Stern, da
Anna Maria Ortese, che insistono su
questi temi e sulla necessità di
ricordare e di recuperare, anche
persone che vivono ai margini e che
sono come le briciole, non della tavola
ma della società». Ma Lampedusa è
anche l’isola simbolo dove muoiono o
rivolge a Gesù Cristo e gli chiede dove
fosse, se si fosse distratto e perché
avesse fatto gli uomini così. Il dialogo
con l’albero diventa così un dialogo
con Dio». Un dialogo drammatico alla
ricerca di un senso difficile da trovare,
ma che non chiude le porte alla
speranza. La speranza di riuscire a
spostare una montagna con un
cucchiaino «perché se tutti gli abitanti
dell’isola scavassero la terra con un
cucchiaino farebbero il lavoro di una
ruspa», di sentirsi liberi guardando il
mare, e la speranza di cambiare la
realtà poco alla volta. «Lo spettacolo si
chiude con la citazione del brano di
Tolstoj sugli “appena appena”» spiega
Petruzzelli: «Tolstoj dice che i grandi
cambiamenti avvengono attraverso gli
“appena appena”, i piccoli
cambiamenti, le piccole opere.
E la speranza è affidata all’azione,
perché bisogna rimboccarsi le
maniche e agire. Per uscire dalla crisi
non si può stare fermi, bisogna
ripartire dalle proprie radici e dalla
propria storia. Questo spettacolo –
conclude l’attore e regista – è
dedicato alla generazione dei miei
nonni che, nella povertà, si sono
rimboccati le maniche e hanno
permesso ai propri figli di vivere in
condizioni molto migliori rispetto a loro».
(a cura di Annamaria Coluccia)
L’ultima notte di Bonhoeffer
è il titolo del monologo che Pino
Petruzzelli porterà in scena al
Duse martedì 3 marzo, in una
serata dedicata a Dietrich Bonhoeffer (1906-1945), il pastore
luterano ucciso nel lager di Flossenburg per aver partecipato
alla resistenza e all’organizzazione del complotto contro HiDietrich Bonhoeffer
tler. Nella prima parte della serata il teologo Vito Mancuso
racconterà la figura di Bonhoeffer e poi Petruzzelli interpreterà il monologo che ha scritto ispirandosi ai
testi lasciati dal pastore luterano. «L’idea che un pastore
avesse partecipato al complotto contro Hitler mi aveva
incuriosito e interessato» racconta Petruzzelli: «Ho
letto i suoi testi, che sono pieni di umanità, e uno dei
temi che mi ha colpito di più è quello dell’assunzione
di responsabilità. Bonhoeffer dice che noi dobbiamo
pensare che tutto ciò che facciamo deve servire a chi
verrà dopo e che, quindi, dobbiamo sentire su di noi
questa responsabilità e agire di conseguenza».
E, proprio in nome di questa assunzione di responsabilità
nei confronti delle generazioni future, il pastore decide
di partecipare al complotto contro Hitler. «Bonhoeffer
sa che, in senso assoluto, ammazzare Hitler è un male,
perché è un essere umano, ma dice che, in quel caso, è
il male minore per l’umanità» spiega Petruzzelli, che
nello spettacolo immagina di far
parlare Bonhoeffer nella sua ultima notte di vita prima di essere
ammazzato nel lager di Flossenburg. «Bonhoeffer non sapeva
che sarebbe stato ucciso il giorno
dopo ma – racconta l’autore –
sapeva che sarebbe potuto accadere e anche nel mio spettacolo le sue riflessioni sono segnate dalla consapevolezza di
Vito Mancuso
poter morire presto».
(a. c.)
febbraio I aprile 2015
6 I Café Jerusalem
Storie di vita quotidiana in un caffè di Gerusalemme, crocevia di civiltà e di conflitti
Amori senza futuro Café Jerusalem
Quanto può essere invisibile
una città agli occhi del
mondo? E quanto può
esserlo Gerusalemme,
l’archetipo della città?
Sembrano – e forse sono –
domande paradossali.
Come può un corpo vivo,
fisicamente esteso,
imponente com’è una città,
essere invisibile al nostro
sguardo? Ancor più
sconcertante è che sia
ignota la città par excellence,
la più narrata, la più vista nei
telegiornali, la più adorata
da chi ha fede. Gerusalemme
invisibile. Sì, succede.
Accade quando nascosti
sono i suoi abitanti, le sue
storie quotidiane, i passi
sulle strade, la pioggia sulla
pietra antica della Città
Vecchia. Café Jerusalem
nasce da questo paradosso.
La città raccontata e
mitizzata ben più di altre è
anche quella meno visibile,
nelle sue dimensioni e nelle
sue giornate. Al contrario, la
sua realtà nascosta, difficile,
e spesso crudele, è proprio il
tessuto di relazioni e conflitti
di cui ho fatto parte
integrante, nei miei dieci
anni di vita a Gerusalemme,
(in alto) Carla Peirolero e la band
dei Radiodervish (foto Max Valle)
(qui sopra) la Porta di Gerusalemme
e di lavoro come giornalista
e scrittrice. È l’umanità
dolente, gli sguardi, i ritmi
religiosi e prosaici,
indecifrabili ai più.
Ne avevo scritto, certo.
E tanto. Ne ho scritto molto
anche in un libro,
Gerusalemme senza Dio, da
cui Café Jerusalem prende
più di qualche spunto.
Neanche un libro, però, è
riuscito a sanare una
necessità, quasi un dovere:
rendere carne gli sguardi e le
vite degli altri. Le vite dei
gerosolimitani, distillate nei
ricordi anche dolorosi,
sempre intensi, di un
decennio fatto di giorni e
giorni e suoni e ritmi e canti
e sirene. Il testo teatrale
sublima questa necessità. E
lo fa partendo dalla
febbraio I aprile 2015
di Paola Caridi
INTERPRETI
musiche dal vivo Radiodervish:
produzione
regia
musiche originali e testi
Carla Peirolero
Pino Petruzzelli
Nabil Salameh canto, buzuki e percussioni
Michele Lobaccaro chitarra e basso
Alessandro Pipino tastiere e fisarmonica
Teatro Stabile di Genova
Pino Petruzzelli
Radiodervish
Teatro Duse
18 > 22 marzo
sostenitore
sostenitore
partner della stagione
SUQ Festival
nostalgia. La mia nostalgia di
Gerusalemme è tutta, o
quasi, nei suoni. Nel ritmo
antico del giorno di
Gerusalemme, che inizia
prima dell’alba con l’adhan,
la chiamata alla preghiera
musulmana. Un canto dolce,
che prelude all’ingresso –
potente e abbacinante –
della luce del sole. La luce
che conclude la notte, cioè la
tregua a Gerusalemme, e
mostra la città nel suo tran
tran di quotidianità difficile,
spaccature, conflitti.
Café Jerusalem va dunque
oltre il mito della città. Ed
entra nei suoi suoni. È per
questo che il progetto
teatrale nasce con i
Radiodervish, che assieme a
me più volte hanno vissuto e
ascoltato la città, nei loro
frequenti viaggi a
Gerusalemme. I suoni – e
dunque la musica e i brani
dei Radiodervish, band culto
nel panorama della world
music italiana – sono nella
trama del testo teatrale.
Nabil ben Salameh, Michele
Lobaccaro e Alessandro
Pipino sono lì, sulla scena.
Filo ineludibile per tessere
l’intreccio, perché la spola
possa entrare e uscire dal
telaio e comporre la storia di
Nura, gerosolimitana,
palestinese, cristiana,
e di Moshe, gerosolimitano,
israeliano, ebreo.
Nura ricorda. Ricorda una
storia sopita, prima di
metterla in valigia e di
lasciare una Gerusalemme,
la sua, che non c’è più.
Ricorda soprattutto le parole
non dette, l’afasia che
stringe la città e i suoi
abitanti in un cappio. Le
parole che non furono dette,
le parole per conoscersi,
sono quelle tra Nura e
Moshe, ma anche tra il
giovane palestinese Musa e
la ragazza-soldato israeliana
che gli chiede i documenti.
In un passaggio di testimone
tra le generazioni che
tramanda la sofferenza, e
rinvia a data da destinarsi la
soluzione del conflitto.
Perché poco è stato detto, e
dunque poco si è chiesto al
proprio nemico, per sapere
chi è, quali sono i suoi sogni,
cosa rivendica.
Quando ho pensato a Nura,
alla sua dolente serenità, ho
subito raccordato il suo volto
con quello di Carla Peirolero.
L’avevo vista in Madri
clandestine, un altro
progetto del suo multicolore
Suq, laboratorio culturale del
dialogo, oggi ancor più
necessario, di cui Genova
dovrebbe andare ancor più
fiera. Carla aveva nelle Madri
clandestine, e ha in Café
Jerusalem, quella empatia
non affettata, quella
saldezza che volevo far
emergere dal volto e dalla
voce di Nura. E Carla conosce
anche lei Gerusalemme, e da
Gerusalemme è stata anche
lei colpita. Come Pino
Petruzzelli, non solo regista
di un progetto così singolare
che ha sposato con gioia, ma
Moshe-Musa, l’uno e il suo
antagonista, il vecchio
gerosolimitano che ha visto
tutte le recenti guerre, e il
giovane gerosolimitano che
non sa come comporre
rabbia e richiesta di diritti
inalienabili.
Come nei mosaici bizantini
che la ritraggono,
Gerusalemme è ancora oggi
una città-fortezza. Nascosta
al mondo dai suoi muri, fisici
prima ancora che mentali.
Oltre quei muri, c’è una città
complessa, ricca di persone,
di facce, di storie che sono
spesso annullate dalla
semplice cronaca che tutto
appiattisce. La realtà, però,
non può essere dimenticata
solo perché la cronaca non
ne parla. Dimenticare la
realtà significa ritrovarla poi,
un giorno, nella cronaca di
sangue, senza saperne le
ragioni e la storia.
Il mio regalo alla
Gerusalemme di cui ho fatto
parte è darle corpo, lacrime,
suono, voce, perché su un
palcoscenico si possa
illuminare la vita e la dignità
delle persone, di ognuno dei
cittadini. Il mio dovere verso
gli invisibili.
Paola Caridi
TEATRO DEL DIALOGO
Café Jerusalem è un’idea che si è sviluppata anche grazie
alla collaborazione tra il Teatro Stabile di Genova e l’Associazione
Chance Eventi, artefice di quel Suq Festival divenuto simbolo
di una integrazione possibile tra genti e culture, riconosciuto
dalla Commissione Europea quale esempio di “best practice”
per il dialogo e la promozione della diversità. La 17a edizione
si svolgerà al Porto Antico, dal 13 al 24 giugno 2015.
Giovedì 19 marzo
(ore 17.30, nel foyer della Corte, ingresso libero)
nell’ambito delle Conversazioni con i protagonisti
si svolgerà l’incontro con Paola Caridi
e gli attori Carla Peirolero e Pino Petruzzelli
protagonisti di Café Jerusalem.
Conduce Umberto Basevi.
I7
Angelo Pastore nuovo direttore dello Stabile
I n c a r i c a d a l l ’i n i z i o d e l 2 0 1 5 h a f i r m a t o i l p r o g e t t o p e r d i v e n t a r e Te a t r o N a z i o n a l e
D
al gennaio 2015, il Teatro Stabile di Genova,
che si accinge a diventare
Teatro Nazionale, ha un nuovo direttore: Angelo Pastore,
il quale ha proposto al Consiglio di Amministrazione di
affiancare a sé Marco Sciaccaluga con il duplice ruolo
di consulente artistico e di
regista stabile. Costituitosi
ufficialmente nel 1951, il Teatro Stabile di Genova è in
Italia tra i due o tre più antichi teatri nazionali a gestione
pubblica. La sua storia è
stata caratterizzata dalla continuità temporale e qualitativa della sua direzione artistica. Dopo un breve periodo
di assestamento, infatti, la
direzione dello Stabile è stata
affidata a Ivo Chiesa, il quale
ha concorso a dare al Teatro
di Genova notorietà e riconoscimenti nazionali e internazionali, rimanendo ininterrottamente alla guida del
teatro pubblico della prosa
genovese dal 1955 al 1999.
Dopo le dimissioni di Chiesa,
il Teatro di prosa pubblico
genovese ha trovato in Carlo
Repetti, cresciuto all’interno
del suo staff dirigenziale sin
dall’inizio degli anni Settanta,
colui che l’ha diretto, coniugando continuità e innovazione, dal 2000 al 2014. Avendo Repetti rassegnato le di-
missioni volontarie e anticipate a partire dal 31 dicembre 2014, nel corso di quest’anno il Consiglio di Amministrazione del Teatro (in
rappresentanza degli enti
fondatori dello Stabile: Comune di Genova, Provincia
di Genova e Regione Liguria)
ha scelto di emanare un bando pubblico per la designazione del nuovo Direttore.
Bando al quale sono state
presentate 84 domande, provenienti sia dall’Italia sia
dall’estero, selezionate da
una commissione di esperti
che ha proposto al Consiglio
di Amministrazione una rosa
ristretta di nomi, tra i quali
è stato scelto con assoluta
trasparenza Angelo Pastore,
cui è stata affidata la direzione del Teatro Stabile di
Genova per cinque anni (rinnovabili) a partire dal gennaio 2015. Nato nel 1954,
Angelo Pastore ha iniziato
la propria esperienza professionale nel mondo del teatro nei primi anni Ottanta,
LA GIORNATA MONDIALE DEL TEATRO
DIVENTA UNA FESTA
Il 27 marzo è la Giornata Mondiale del Teatro, istituita a Vienna nel 1961
con l’obiettivo di “incoraggiare gli scambi internazionali nel campo della
conoscenza e della pratica delle Arti della Scena, stimolare la creazione
ed allargare la cooperazione tra le persone di teatro, sensibilizzare l’opinione pubblica alla presa in considerazione della creazione artistica nel
campo dello sviluppo, approfondire la comprensione reciproca per partecipare al rafforzamento della pace e dell’amicizia tra i popoli”.
Genova celebra la Giornata Mondiale del Teatro dedicando l’intera settimana dal 23 al 27 marzo ad una festa del teatro. La “Settimana del Teatro”
nasce all’interno del Tavolo Genovateatro, ed è realizzata dai componenti
del tavolo, i teatri della città e il Comune di Genova.
Questa prima edizione sarà dedicata principalmente alle scuole.
Ministero Beni e Attività Culturali
soci fondatori
COMUNE DI GENOVA
PROVINCIA DI GENOVA
REGIONE LIGURIA
sostenitore
partner della stagione
sostenitore
numero 41 • febbraio | aprile 2015
Edizioni Teatro Stabile di Genova
piazza Borgo Pila, 42 | 16129 Genova
www. teatrostabilegenova.it
Presidente Prof. Eugenio Pallestrini
Direttore Angelo Pastore
Condirettore Marco Sciaccaluga
Direttore responsabile Aldo Viganò
Collaborazione Annamaria Coluccia
Segretaria di redazione Monica Speziotto
Autorizzazione Trib. di Genova n° 34 del 17/11/2000
Progetto grafico:
art: Bruna Arena, Genova (00815)
Stampa: Microart’s Genova
Angelo Pastore con Marco Sciaccaluga durante le prove di Il matrimonio del signor Mississippi
occupandosi di promozione
allo Stabile di Torino e del
rapporto con il territorio.
Sempre a Torino si è occupato anche di programmazione delle ospitalità, delle
tournées, delle attività culturali e dell’ufficio produzio-
ne. Nel 2000 inizia a collaborare con il CTB Teatro
Stabile di Brescia, del quale
dal 2010 al 2014 diventa direttore. Nel primo decennio
del Duemila collabora come
direttore organizzativo con
il Teatro Franco Parenti di
Milano e con l’associazione
Teatro Europeo diretta da
Beppe Navello, poi TPE; è
commissario straordinario
della Fondazione circuito
Teatrale Piemontese e direttore organizzativo del Teatro
Quirino di Roma.
Aperta la pagina Facebook
L a c o m u n i c a z i o n e d e l Te a t r o d i G e n o v a p a s s a o r a a n c h e d a i s o c i a l n e t w o r k
Con la nuova Direzione, Il Teatro
di Genova si propone di aprire
anche ai social network la sua
strategia di comunicazione con
gli spettatori, la città e il mondo
culturale nazionale e internazionale. Da qui, la scelta di affiancare al costante ampliamento
del proprio sito internet, completamente rinnovato lo scorso
autunno, e all’applicazione informatica dedicata ai dispositivi
mobili (APP), anche il ricorso all’uso dei nuovi media e alla partecipazione attiva rappresentato
dai social network. È questo un
terreno moderno e dinamico, al
quale il Teatro di Genova intende
dedicare da subito uno specifico
sforzo programmatico e organizzativo. Tutto ciò, ovviamente, continuando a usare le nuove tecnologie anche per l’invio quasi quotidiano delle newsletter (l’archivio del Teatro dispone oggi di circa
8000 indirizzi di persone che hanno accettato di ricevere le sue
newsletter ed altri ancora si spera che si aggiungeranno) e per
PENSARE LE COSE IN GRANDE
conservare la memoria della propria storia e dei propri spettacoli,
con le accurate riprese video di
tutte le proprie produzioni e la
valorizzazione del grande archivio
del Teatro (foto, lettere, documenti) di cui è in corso il trasferimento su supporti telematici,
permettendo così un accesso
sempre più agevole a questo
patrimonio culturale che studiosi
e tesisti provenienti dalle Università di tutta Italia (e non solo)
chiedono sempre più di studiare
e consultare. Il Teatro di Genova
è già su Youtube, con i trailers
dei propri spettacoli di produzione, di quelli ospitati nella stagione in corso e con le registrazioni audio delle Grandi Parole. Da pochi giorni è attiva anche una
pagina Facebook, alla quale si può accedere digitando “Teatro
Stabile di Genova”, e prossimamente comunicherà con i propri
spettatori anche attraverso i “cinguettii” di Twitter e le immagini
fotografiche di Instagram.
È DARE ATTENZIONE
AI PARTICOLARI
R I C E V I M E N T I
D I
N O Z Z E
•
W E D D I N G
P L A N N I N G
tel. 010 377.35.14 - tel. 010 362.80.33
[email protected]
[email protected]
VILLA LO ZERBINO • GENOVA
www.capurroricevimenti.it
febbraio I aprile 2015
8I
Spettacoli ospiti
dal 10 febbraio al 12 aprile
SEI PERSONAGGI
IN CERCA D’AUTORE
di Luigi Pirandello
CERCANDO
SEGNALI D’AMORE
NELL’UNIVERSO
Corte, 3 - 8 marzo
di Luca Barbareschi
Corte, 31 marzo -
Regia: Gabriele Lavia
2 aprile
Regia: Chiara Noschese
“HELLZAPOPPIN”
Nato nel 2000 con l’intento di far vivere il foyer del Teatro della Corte anche
nelle ore pomeridiane, quando in sala non c’è spettacolo, il progetto
denominato «Hellzapoppin» giunge nel 2015 alla sua sedicesima edizione,
avendo visto crescere stagione dopo stagione la partecipazione del pubblico,
degli artisti e delle associazioni culturali coinvolte. Spazio aperto alle sollecitazioni artistiche e culturali di Genova e della Liguria, il foyer della
Corte si propone come luogo d’incontri, conferenze e letture; sempre
disposto ad accogliere i suggerimenti culturali delle più qualificate
associazioni cittadine e a favorire le iniziative autogestite dai giovani artisti
che avvertono l’esigenza di approfondire il discorso sul teatro e sull’arte.
FOYER DELLA CORTE // PROGRAMMA FINO AL 15 APRILE 2015 // INGRESSO LIBERO
ERANO TUTTI MIEI FIGLI
MERCOLEDÌ 11 FEBBRAIO – ORE 17.30
di Arthur Miller
Corte, 17 - 22 marzo
IL GIUOCO DELLE PARTI
di Luigi Pirandello
Corte, 10 - 15 febbraio
Regia: Roberto Valerio
Il marito, la moglie e l’amante.
Il triangolo secondo Luigi Pirandello,
raccontato in “flash-back”. Come conciliare
i doveri coniugali con l’amore per la
filosofia e la cucina. Basta capire
“il giuoco della vita” e al momento giusto
saper “girare la frittata”. Con Umberto
Orsini protagonista.
Teatro nel teatro. Sei personaggi “rifiutati”
dall’autore irrompono sulla scena dove
si sta provando una commedia
di Pirandello e reclamano il loro diritto
alla rappresentazione e la loro assoluta
volontà di vivere. La famiglia
in un classico del ‘900,
con Gabriele Lavia regista
e interprete.
Regia: Giuseppe Dipasquale
Teatro civile e di denuncia.
Nell’immediato dopoguerra,
la famiglia di un capitalista deve
fare i conti con le conseguenze della
propria avidità di denaro.
La speculazione di guerra provoca
la morte e lascia un cumulo di macerie
esistenziali. Con Mariano Rigillo
e Anna Teresa Rossini.
Percorso artistico
e umano, ironico e pieno
di energia, fatto con le parole dei grandi
autori, con i quali Luca Barbareschi
si è confrontato nel corso della sua
quarantennale vita professionale.
Da Shakespeare a Mamet,
da Eschilo a Peter Shaffer,
da Mozart a Simon & Garfunkel.
LE DUE VITE
di Marcello Fera
fuori abbonamento
Duse, 31 marzo - 1 aprile
Regia: Marcello Fera
HOTEL BELVEDERE
di Autori Vari
di Marco Baliani
da Giovanni Boccaccio
Corte, 18 - 22 febbraio
Corte, 10 - 15 marzo
Corte, 24 - 29 marzo
Con Peppe e Toni Servillo
Un po’ concerto, un po’“reading”
e un po’ recital di poesie, La parola canta
è prima di tutto una dichiarazione
d’amore che i fratelli Servillo, Peppe e
Toni, rivolgono a Napoli, facendo ricorso
al patrimonio della cultura partenopea.
Dai classici ai contemporaei.
Fra letteratura, musica e teatro.
Regia: Marco Baliani
Stefano Accorsi (protagonista)
e Marco Baliani (regista) portano a teatro
il capolavoro di Boccaccio, in una società
appestata, dalla quale si fugge per evitare
il contagio. Un pugno di novelle messe in
scena per esorcizzare il male di esistere
nella realtà conte.
Regia: Paolo Magelli
Tra humour e violenza, sette personaggi
si aggirano nei polverosi saloni di un
grande hotel di montagna.
Una premonizione degli orrori della
seconda Guerra Mondiale e della crisi
odierna, scritta da Ödön von Horváth,
grande autore della cultura
mitteleuropea, messa in scena
guardando all’oggi.
di Ödön von Horváth
Tra memoria popolare e straniamento,
sullo sfondo degli anni Venti. La doppia
vita di una prostituta che si fa moglie e
madre rispettata, afflitta dalle
responsabilità quotidiane. Dal degrado
sociale nell’atrocità della guerra al ritorno
da signora nel paese di origine.
MASTRO DON GESUALDO
Duse, 25 - 29 marzo
MORTE DI UN COMMESSO
VIAGGIATORE
IL MONDO
NON MI DEVE NULLA
MAGAZZINO 18
di Arthur Miller
di Massimo Carlotto
di Simone Cristicchi
Duse, 11 - 15 marzo
Regia: Francesco Zecca
Incontro vivificante tra un ladro
di appartamenti e una croupier tedesca
che si gode la pensione nella Rimini
non ancora invasa dai turisti.
Un “giallo” in forma di riflessione sul senso
della vita e sulla libertà di scelta
e di coscienza. Uno spettacolo con
Pamela Villoresi e Claudio Casadio.
Corte, 8 - 12 aprile
Negli anni del difficile processo
di unificazione nazionale, trionfano
le passioni di un “parvenu” ossessionato
dal culto della “roba”, accumulata
con foga e con ogni mezzo.
Conflitti e passioni. La parabola
esistenziale di un uomo ambizioso
che sogna di poter andare al di là
dei propri limiti sociali.
MOSTRE
a Palazzo Ducale
I pensieri delle parole
Intorno a Morte di un commesso viaggiatore
intervengono Elio De Capitani, Nando Fasce, Curzio Maltese
VENERDÌ 27 FEBBRAIO – ORE 17.30
Un ingiustificato silenzio: poeti liguri dimenticati
Luciano De Giovanni (Sanremo 1922 - Montichiari 2001)
a cura di Alessandro Ferraro
(Fondazione Mario Novaro)
Speed Limit 40. Eugenio Carmi 27 febbraio_27 maggio 2015 – Loggia degli Abati
Espressionismo tedesco. Da Kirchner a Nolde
5 marzo_12 luglio 2015 – Appartamento del Doge
August Sander
10 aprile_23 agosto 2015 – Sottoporticato
VENERDÌ 6 MARZO – ORE 17.30
Un ingiustificato silenzio: poeti liguri dimenticati
Nicola Ghiglione (Genova Voltri 1915 - Genova 1990))
a cura di Francesco De Nicola
(Fondazione Mario Novaro)
MERCOLEDÌ 11 MARZO – ORE 17.30
Conversazione con i protagonisti
incontro con Stefano Accorsi
e gli altri attori della compagnia di “Decamerone”
a cura di Umberto Basevi
(Associazione per il Teatro Stabile di Genova)
VENERDÌ 20 MARZO – ORE 17.30
Un ingiustificato silenzio: poeti liguri dimenticati
Adriano Guerrini (Alfonsine/RA 1923 - Genova 1986)
a cura di Enrico Parodi
(Fondazione Mario Novaro)
Regia: Daniela Ardini
Corte, 25 febbraio - 1 marzo
GIOVEDÌ 26 FEBBRAIO – ORE 17.30
VENERDÌ 13 MARZO – ORE 17.30
Un ingiustificato silenzio: poeti liguri dimenticati
Gherardo Del Colle (Genova Cesino 1920 - Genova Pontedecimo 1978)
a cura di Pino Boero
(Fondazione Mario Novaro)
dal romanzo di Giovanni Verga
Regia: Elio De Capitani
La parabola esistenziale di un commesso
viaggiatore con i piedi sui gradini della
metropolitana e la testa nelle stelle.
L’odissea della difficoltà d’invecchiare,
sullo sfondo della crisi economica.
Un uomo qualunque nell’America
del dopoguerra. Con Elio De Capitani
regista e protagonista.
VENERDÌ 13 FEBBRAIO – ORE 17
Donne e cibo nelle pagine letterarie
Il cibo come elaborazione del lutto
Letture da Donna Flor e i suoi due mariti di Jorge Amado
(Associazione “L’incantevole aprile”)
MERCOLEDÌ 4 MARZO – ORE 17.30
COOP Liguria incontra Gabriele Lavia
conduce Laura Guglielmi
DECAMERONE
Vizi, virtù e passioni
LA PAROLA CANTA
Conversazione con i protagonisti
incontro con Umberto Orsini
e gli altri attori della compagnia di “Il giuoco delle parti”
a cura di Umberto Basevi
(Associazione per il Teatro Stabile di Genova)
Regia: Antonio Calenda
La tragedia degli italiani costretti
a fuggire dai territori assegnati
dagli Alleati alla Jugoslavia.
L’esilio dei fuoriusciti e la tragedia di chi
scelse di rimanere e finì nelle foibe di Tito.
Un’odissea punteggiata dalla musica
e dalle canzoni eseguite dal vivo da
Simone Cristicchi, attore e cantautore.
VENERDÌ 27 MARZO – ORE 17.30
Un ingiustificato silenzio: poeti liguri dimenticati
Ettore Serra (La Spezia 1890 - Roma 1980)
a cura di Francesca Corvi
(Fondazione Mario Novaro)
GIOVEDÌ 9 APRILE – ORE 17.30
I pensieri delle parole
Intorno a Magazzino 18
intervengono Silvio Ferrari, Adriano Sansa, Simone Cristicchi
VENERDÌ 10 APRILE – ORE 17
Donne e cibo nelle pagine letterarie
Il cibo come filo conduttore della storia di una o più vite
Letture da Il conto delle minne di Giuseppina Torregrossa
(Associazione “L’incantevole aprile”)
INCONTRI
Geografie per l’Uomo 2.0, segnali dal macrocosmo a cura di Alberto Diaspro.
In collaborazione con IIT Istituto Italiano di Tecnologie – 20 gennaio_17 febbraio, ore 17.45
I capolavori raccontati a cura di Marco Carminati – 29 gennaio_26 marzo 2015, ore 21
Le rappresentazioni del Sacro in collaborazione con Centro Studi Antonio Balletto – 19 gennaio_23 febbraio, ore 17.45
Ragion pubblica a cura di Remo Bodei e Nicla Vassallo – 21 gennaio_28 maggio 2015, ore 17.45
L’invenzione dell’eterosessualità a cura di Emanuela Abbatecola e Luisa Stagi – 3 marzo_31 marzo 2015, ore 17.45
FESTIVAL DI LIMES Il Segno del Comando a cura di Lucio Caracciolo – 6_7_8 marzo
Germanica a cura di Alessandro Cavalli – 19 marzo_21 maggio, ore 17.45
La città stratificata a cura di Giovanna Rotondi Terminiello – 9 marzo_27 aprile, ore 17.45
LA STORIA IN PIAZZA – 16_19 aprile
Per tutto il programma della Fondazione www.palazzoducale.genova.it
febbraio I aprile 2015