I New Media Lezione 10, Sociologia dei Processi culturali, Roma_Lumsa Prof. Mario Salisci Social Network I social network sono molto popolari e ci stanno cambiando. Nella sola Italia gli utenti attivi su Facebook sono oltre 25 milioni, mentre quelli che usano un link professionale come linkedim oltre un milione. Di questi utenti, la maggior parte trascorre oltre due ore giornaliere sul mezzo. A quali bisogni risponde il social network? I social permettono l’unione della nostra vita reale con il cyberspazio, un luogo definito «interrealtà» [Riva 2009; Kokswijk 2003]. New Media e identità Secondo la psicologia sociale l’identità di una persona è definita da due dimensioni: l’identità sociale, che in sociologia è definita status. E la rete sociale: ovvero l’insieme di persone cui sono collegato da una qualsiasi forma di relazione. A caratterizzare la rete sociale non è dunque il tipo di relazione ma l’esistenza stessa della relazione [Riva 2016, 12]. L’identità sociale l’identità sociale in sociologia è definita status e coincide con la posizione che un individuo occupa all’interno di una struttura sociale. Per cui sono figlio quando mi relaziono a mia madre, docente quando sono con i miei studenti ecc. Come si può capire, la posizione sociale cambia di continuo per via del passaggio in ambienti sociali diversi. Gerarchia di posizioni Siamo davanti a una gerarchia di posizioni? Non proprio, perché raramente abbiamo una scala di priorità che sappia inglobare tutte le nostre appartenenze o frequentazioni. Più correttamente ci troviamo di fronte ad un ventaglio di posizioni che bene o male dobbiamo coprire. Tutto ciò implica un forte dispendio di energia fisica e psicologica per il continuo riassetto delle azioni strategiche legate allo status che ci compete. Secondo Harré [2000] queste «posizioni» sono definite da tre dimensioni. La prima è quella semantica: ovvero il riconoscimento delle caratteristiche in me stesso che mi fanno assumere quella posizione. Ad esempio, sono un docente e non un allievo perché ho un contratto di lavoro con la scuola e sono pagato per farlo. Eppure sia io che i miei studenti facciamo parte della stessa istituzione sociale per un discreto numero di ore la settimana. La seconda è la dimensione valoriale che porta ad un investimento emotivo nei confronti della categoria cui si appartiene e alla strutturazione di un sistema morale organizzato attorno a quella appartenenza (ad esempio, come figlio sento il dover di aiutare i miei genitori). La terza è quella che in sociologia viene definita ruolo vero e proprio ed è l’insieme degli atteggiamenti e dei comportamenti ritenuti idonei in riferimento alla posizione che occupo. La rete sociale La seconda dimensione dopo l’identità sociale è la rete sociale: ovvero l’insieme di persone cui sono collegato da una qualsiasi forma di relazione. A caratterizzare la rete sociale non è dunque il tipo di relazione ma l’esistenza stessa della relazione [Riva 2016, 12]. Dopo i lavori di Dunbar [1998; 2001], sappiamo che l’essere umano ha un limite di relazioni sociali possibili, dopodiché non riesce a ricordarsi bene visi, nomi, situazioni. Il limite Questo limite è stato definito in 150 relazioni stabili, cifra che Dunbar scopre attraverso un’analisi dei gruppi umani primari e attraverso uno studio evoluzionistico sulle prime comunità umane. Questo limite sembra dato dalla neocorteccia. Lo studio di Dunbar è stato confermato anche da altri ricercatori che analizzando il comportamento di quasi due milioni di utenti Twitter hanno trovato che anche tra gli utenti dei social network non si hanno più di 150-200 relazioni stabili [Goncalves, Perra e Vespignani 2011]. I neuroni specchio e l’alfabetizzazione emotiva Nella corteccia premotoria della scimmia Rizzolatti ha scoperto l’esistenza di un gruppo di neuroni bimodali motori e percettivi: i neuroni specchio, che sono attivi durante l’osservazione di un individuo che compie delle azioni [Rizzolatti e Senigaglia 2006]. La scoperta dei neuroni specchio ha suggerito l’esistenza di un sistema simulativo che riporta l’azione osservata a “come se fossi io a compierla” e al sistema emotivo legato a quell’azione. Alfabetizzazione emotiva Tali processi sono inconsci e automatici e rappresentano la base del processo di riconoscimento ed espressione emotiva che è definito alfabetizzazione emotiva [Riva 2016, 28]. Goleman [1995] nel suo libro Intelligenza emotiva ricorda che la base dell’alfabetizzazione emotiva sia l’empatia, ossia la capacità di riconoscere le emozioni e i sentimenti degli altri. I Social come strumento sociale In quanto strumento, i social network sembrerebbero svolgere tre funzioni: a. organizzare e espandere la propria rete sociale (organizzazione-estensione); b. luogo di espressione e descrizione della propria identità (descrizione-definizione); c. luogo di analisi e confronto dell’identità sociale degli altri (esplorazione-confronto). Sono un potentissimo strumento di modificazione e ri- creazione della propria esperienza sociale [van Kokswijk 2003]. Nella sola Italia gli utenti attivi su Facebook sono oltre 25 milioni, mentre quelli che usano un link professionale come linkedim oltre un milione. Di questi utenti, la maggior parte trascorre oltre due ore giornaliere sul mezzo. I social permettono l’unione della nostra vita reale con il cyberspazio, un luogo definito «interrealtà» [Riva 2009; Kokswijk 2003]. Come i Social ci stanno cambiando La rivoluzione tecnologica che ha investito l’Occidente sta riconfigurando i processi relazionali, sociali e cognitivi; oltre che la formazione dell’identità, delle persone. Non solo: la riconfigurazione è così profonda da mettere in discussione anche la stessa corporeità dei soggetti [Riva 2016, 27]. I punti critici sono tre: 1. la rimozione dall’interazione del corpo e dei significati che porta con sé (cosa che altera la nostra capacità di percepire ed esprimere emozioni). Nell’interazione faccia a faccia il soggetto è il suo corpo. I processi empatici sono automatici e inconsapevoli e rappresentano la base del processo di riconoscimento ed espressione emotiva che è definito alfabetizzazione emotiva [Riva 2016, 28]. Goleman [1995] nel suo libro Intelligenza emotiva ricorda che la base dell’alfabetizzazione emotiva sia l’empatia, ossia la capacità di riconoscere le emozioni ei sentimenti degli altri. Disembodied Con l’introduzione di un medium il soggetto diviene disincarnato (disembodied) e la sua fisicità viene sostituita da quella del medium, o meglio dalle immagini che il medium trasmette del suo corpo. Le conseguenze sono tre: A. impossibilità di comprendere le emozioni; B. il mio corpo non comunica identità, che viene ricostruita sulla base dei messaggi del medium; C. infine, la comunicazione prima legata indissolubilmente al mio corpo, per cui evanescente, diventa stabile e acquisisce vita propria. Potrebbero così determinarsi delle fissazioni di caratteristiche, volute oppure no, dovute alla stabilità delle mie immagini o comunicazione che il web offre. Infine, modifica gli schemi sociali e cognitivi in riferimento all’azione e alla comunicazione. L’uso dei social media crea degli schemi cognitivi di strutturazione dell’esperienza. Basti pensare al limite dei 140 di Twitter. L’ultimo effetto dei social riguarda il loro ruoli come punti di riferimento sociali. Comunicazione allo egocentrica Rende allocentriche (indipendenti da me) le reti sociali di cui faccio parti – che esistono al di là della mia partecipazione e presenza. Questo permette al soggetto, ad esempio, di mappare la propria rete sociale (con tutti i vantaggi connessi). Allo stesso tempo però la comunicazione della rete mediatica, che per decenni è stata allocentrica per definizione, come quella della tv, chiaramente separata da me, diventa egocentrica, ovvero mi tira in ballo continuamente e inevitabilmente si lega in qualche modo a me. Empowerment e vero Sé I social offrono una opportunità: la creazione potenzialmente infinità di nuovi Sé o Sé possibili. Se usata correttamente, questa possibilità può attivare un processo di self-empowerment [Piccardo 1995; Riva 2016]. Nei social si possono sperimentate identità e ruoli diversi, che se fatti sotto pseudonimo possono creare vere e proprie esistenze parallele virtuali. In generale, è vero però che sperimentare ruoli diversi non è di per se un male. Ad esempio, la psicologia sociale sottolinea come una vita di successo sia legata alla capacità di gestire ruoli diversi. Nei social si può decidere come presentarsi alle persone. Allo stesso modo la psicologa americana Katelyn McKenna [2007; 1999] ha trovato che nei social le persone sono più disponibili a svelare tratti intimi del proprio Sé.