il debito pubblico italiano 1971-2005 nell`apprezzamento

ARTI GRAFICHE APOLLONIO
Università degli Studi
di Brescia
Dipartimento di
Economia Aziendale
Arnaldo CANZIANI - Renato CAMODECA
IL DEBITO PUBBLICO ITALIANO
1971-2005
NELL’APPREZZAMENTO
ECONOMICO-AZIENDALE
Paper numero 59
Università degli Studi di Brescia
Dipartimento di Economia Aziendale
Contrada Santa Chiara, 50 - 25122 Brescia
tel. 030.2988.551-552-553-554 - fax 030.295814
e-mail: [email protected]
Dicembre 2006
IL DEBITO PUBBLICO ITALIANO 1971-2005
NELL'APPREZZAMENTO ECONOMICO-AZIENDALE
di
Arnaldo CANZIANI
Ordinario di Economia Aziendale
Università degli Studi di Brescia
Renato CAMODECA
Associato di Economia Aziendale
Università degli Studi di Brescia
Versione ampliata della Comunicazione presentata al
Convegno “Teorie e qualità dell'amministrazione pubblica”
Cagliari, 12 e 13 maggio 2006
Gasan ammaestrava un giorno i suoi discepoli:
«Quelli che condannano l'assassinio,
e desiderano proteggere la vita di tutti gli essere consapevoli,
sono nella verità:
è giusto salvaguardare anche gli animali e gli insetti.
Ma che dire delle persone che ammazzano il tempo?
Che dire di coloro che distruggono la ricchezza,
di chi rovina l'economia pubblica?
Non dovremmo tollerarli.»
(101 Zen Stories)
Indice
Prefazione....................................................................................................... 1
1. I deficit del bilancio dello Stato fra spese belliche e finti keynesismi ....... 2
2. Disavanzi di bilancio e debito pubblico: natura ragioneristica,
significato economico, profili interpretativi............................................. 10
3. Debito pubblico e deficit in prospettiva dinamica: il caso italiano
1971 - 2005 .............................................................................................. 24
4. Alcuni problemi della finanza pubblica italiana ...................................... 29
5. Conclusioni .............................................................................................. 34
BIBLIOGRAFIA ......................................................................................... 35
Il debito pubblico italiano 1971-2005 nell'apprezzamento economico-aziendale
Prefazione *
Agli inizî degli anni Ottanta del secolo XX si ritenevano la base
monetaria e il debito pubblico dello Stato italiano essere già tanto
drammaticamente cresciuti
—a causa dei deficit di bilancio—
da
originarsene un ampio dibattito in sede accademica, almeno fra gli
economisti consci del problema e dunque preoccupati dello stesso anche in
quanto filosofi sociali (Franco, 1981, 1983; Demaria, 1982).
Se quel dibattito si estinse rapidamente negli sraffian-keynesismi (e
marxismi) all'epoca imperanti, i deficit di bilancio non cessarono tuttavia di
cumularsi, e con essi il debito pubblico particolarmente dopo il 1980.
Questo, ormai dal 1991 superiore al 100% del prodotto interno lordo, è
giunto nel marzo 2006 all'importo di 1.556.993 milioni di euro, in lire
3.014.758.836.000.000: che Luigi Einaudi si riferisse a fenomeniche
consimili quando parlava di "valori impronunciabili"?
Il problema quindi, se costituiva "problema" or è vent'anni, pare non aver
perso la propria attualità, e della gravità è inutile dire; peraltro —tranne
eccezioni—
nella generale trascuranza degli studiosi italiani, vuoi
indifferenti al problema vuoi consci della ardua risolubilità attuale del
medesimo.
Nondimeno, pare ai co-autori che la trattazione medesima del tema
—si tratti poi di politiche economiche, di bilancio di previsione nei suoi
effetti anche sociali, di misure di finanza straordinaria— richieda in via
previa alcune puntualizzazioni, rispettivamente relative:
1. alla natura sistematicamente economico-aziendale dei processi delle
aziende pubbliche — il che può sembrare scontato, ma non certo per
gli Autori che usualmente trattano il tema, e lo trattano appunto in
forme astrattamente, modellisticamente macro-economiche;
2. alla natura delle quantità economiche rilevanti in tema, natura
esclusivamente e perennemente ragioneristica, la quale sola consente
successivamente l'eventuale composizione in equazioni di sistema
*
I contenuti del presente lavoro sono frutto di riflessioni dibattute fra gli autori, e
condivise. Per quanto riguarda la stesura, sono attribuibili ad Arnaldo Canziani i §§ 1. e 4,
a Renato Camodeca i §§ 2. e 3., mentre sono comuni Prefazione e Conclusioni.
Una versione è stata presentata al convegno di <Azienda Pubblica> 2006 Teorie e
qualità dell'amministrazione pubblica (Cagliari, 12-13 maggio 2006) e accolta negli Atti
del medesimo, mentre una più ridotta è stata pubblicata nella rivista "Azienda Pubblica", n.
6-2006.
1
Arnaldo Canziani – Renato Camodeca
comunque realistiche, né di ipotesi o di convenzione come nelle
modellistiche keynesiane (e derivate).
A tali problemi —prima di eventualmente procedere nel campo— sono
dedicate le pagine che seguono.
Brescia, dicembre 2006
gli autori
2
Il debito pubblico italiano 1971-2005 nell'apprezzamento economico-aziendale
1. I deficit del bilancio dello Stato fra spese belliche e finti keynesismi
Storicamente, e in particolare poi dal secolo XIX, il deficit del bilancio
dello Stato —ancorché noto, e non di rado sperimentato— non era tuttavia
favorevolmente percepito dalle mentalità singole e collettive. Esso veniva
ricondotto, a parte le guerre, a fatti speciali o eccezionali e comunque
transitorî, dunque da risolversi con provvedimenti adeguati in breve volgere
d'anni anche per via degli effetti negativi che —in regimi di parità aurea—
esso avrebbe potuto nel tempo manifestare.
E per restare all'Italia nei suoi primi ottant'anni di Unità (cfr. Tab 1.), si
erano chiusi in deficit i bilanci 1862-1874, in conseguenza dei costi
dell'unificazione; erano stati riportati all'avanzo nel 1875-1885 anche grazie
ahinoi alla tassa sul macinato; erano tornati in deficit nel 1885-1897 sotto i
governi della sinistra ma in concomitanza prima con la nostra ritardata
rivoluzione industriale, poi con gli scandali della Banca Romana.
Nuovamente in attivo nel 1898-1911, quando
—forse non per
combinazione— la lira-carta faceva aggio sulla lira-oro, il bilancio dello
Stato italiano torna in perdita con la guerra di Libia e, quasi senza soluzione
di continuità, con il primo conflitto mondiale e i torbidi ad esso conseguenti
(1912-1924). Riportato in avanzo nel periodo 1925-1930 (Volpi di Misurata,
Finanza fascista), esso torna al deficit con gli esiti europei della crisi del
1929 e la crisi finale delle grandi banche-miste, con la guerra d'Etiopia e il
finanziamento dell'Impero, infine con l'ingresso dell'Italia nel II conflitto
mondiale.
Viceversa, è soltanto con i primi anni '60 del secolo XX —quando
cominciano a tramontare le generazioni e le mentalità classiche, quando si
inizia il processo di disgregazione delle moralità singole e collettive— che
possono diffondersi le vulgatae keynesiane modellate da Hicks in Gran
Bretagna ed Europa, da Hansen negli Stati Uniti d'America. Si diffonde così
il verbo magico del deficit spending, però proposto ed esteso a biografie
economiche ben difformi rispetto alla crisi del 1929.
Si iniziano così da quegli anni politiche iterate e continuative —poi veri
processi sistematici— di deficit spending, variamente giustificati dal punto
di vista ideologico con finalismi produttivi, equilibrativi, redistributivi, di
stimolo, di sussidiarietà, di sviluppo, di <pieno impiego> (et al.)
generalmente riferibili a <socialità>, se non ben definite nei proprî effetti
primi e secondi, comunque ben chiare nei loro esiti immediati e nelle
volontà politiche che li promuovevano.
3
Arnaldo Canziani – Renato Camodeca
Tabella 1 – Avanzi e disavanzi del bilancio pubblico 1862 - 1942 1
Anni
1862
1863
1864
1865
1866
1867
1868
1869
1870
1871
1872
1873
1874
1875
1876
1877
1878
Avanzi Anni Avanzi Anni Avanzi Anni Avanzi Anni Avanzi
(Disavanzi)
(Disavanzi)
(Disavanzi)
(Disavanzi)
(Disavanzi)
-446 1879
43 1896
-9 1913
-257 1930
170
-382 1880
28 1897
9 1914
-164 1931
-501
-367 1881
53 1898
32 1915
-2.835 1932
-3.867
-270 1882
6 1899
38 1916
-6.891 1933
-3.519
-721 1883
3 1900
69 1917
-12.250 1934
-6.377
-214 1884
5 1901
64 1918
-17.766 1935
-2.030
-266 1885
-24 1902
99 1919
-22.776 1936
-12.686
-149 1886
-8 1903
99 1920
-7.886 1937
-16.230
-215 1887
-73 1904
59 1921
-17.409 1938
-11.174
-47 1888
-235 1905
75 1922
-15.760 1939
-12.277
-84 1889
-74 1906
86 1923
-3.029 1940
-28.039
-89 1890
-77 1907
98 1924
-418 1941
-63.989
-13 1891
-43 1908
62 1925
417 1942
-77.346
14 1892
-19 1909
35 1926
468
21 1893
-99 1910
32 1927
436
35 1894
-30 1911
11 1928
497
16 1895
-66 1912
-112 1929
555
Fonte: A. Confalonieri,G. Gatti, 1986, pp. varie
Dall'inizio degli anni Sessanta del secolo XX sono dunque le ideologie
politiche a pervadere anche ambiti naturalmente o strettamente tecnici. Per
quanto riguarda la finanza pubblica, esse invadono in particolare i profili
relativi i) ai deficit di bilancio, ii) al finanziamento degli stessi con imposte,
circolazione o debito, iii) agli effetti delle prime —e dell'ultimo nelle sue
varie forme— sulle economie individuali e collettive.
In tema di amministrazione dello Stato si manifestava quindi il
diffondersi sulfureo non solo di noti errori keynesiani ormai a un ventennio
dalla loro comparsa —fra essi la rilevanza esclusivamente presente del
debito—, ma anche di keynesismi, se eterocliti, tuttavia tutti concordi nel
concedere, postulare, suggerire nei fatti l'opportunità di chiudere bilancî in
1
I saldi sono riferiti al bilancio di competenza; sono considerati i) gli anni solari
dal 1862 al 1883, ii) gli <esercizi finanziari> (1 luglio – 30 giugno) a muovere dal
1884.
4
Il debito pubblico italiano 1971-2005 nell'apprezzamento economico-aziendale
deficit, e di finanziarli sia moneta, sia soprattutto con emissioni crescenti di
titoli del debito pubblico.
Tali teorie —piuttosto irrazionali non solo per De Maistre e Solaro della
Margherita ma anche per gli economisti continentali classici— risultavano
peraltro ben gradite alle classi politiche, le quali vi trovavano la
giustificazione —certo solo formale, né importa qui se colposa o dolosa—
per comportamenti economicamente avventurosi, ma in compenso fruttuosi
di temporanea contentezza sociale, e soprattutto di favori elettorali anche
continuati e cospicui.
Certo, il debito pubblico continuamente cresceva, ma il di lui incombere
pareva lontano o allontanabile, mentre —dello stesso— i) i redditi
periodici felicitavano grandi e piccoli rentiers, ii) gli importi assoluti
favorivano negoziatori sistematici e addirittura specializzati, iii) i costi
parevano via via magicamente riassorbiti nel vasto rigiro di partite del
bilancio dello Stato.
E quando nel tempo il crescere già significativo dei disavanzi e dello
stock del debito diffusero un senso di dubbio non fosse che sensitivo, l'uno e
l'altro non indussero però il ritorno ai principî classici della finanza pubblica
dei secoli XIX-XX, in particolare tedesca e italiana da Sax a Wagner, da
Federico Flora a Marco Fanno. Anzi, essi curiosamente contribuirono a
portare in auge teorie denominate lato sensu <new classical
macroeconomics> le quali, invece di risultare risolutive, avallarono esse
pure — in altro senso— il procrastinamento quando non l'ulteriore degrado
delle patologie ricordate.
I principî classici della finanza avrebbero infatti imposto tutt'altro.
Breviter data la loro notorietà, essi —una volta commisurata la spesa alla
capacità tributaria di medio periodo, ed evitato l'eccesso di circolazione in
quanto inflazionista e doloso— statuivano che:
1. si potesse emettere debito fluttuante ma per mere esigenze di cassa;
2. debito ampio e largo, non fluttuante, potesse venire emesso solo per
esigenze straordinarie da limitarsi nel tempo;
3. le emissioni dovessero accompagnarsi a imposte straordinarie (o
anticiparle);
4. il debito dovesse poi venire rapidamente ammortizzato;
5. l'indebitamento dovesse risultare dunque relativo a spese, se talora
purtroppo funzionali alle guerre, però deontologicamente connesse a
investimenti in conto capitale produttivi a propria volta di redditi
categorici originali (i.e. incrementali).
Tali principî, quand'anche interpretati meno rigidamente, non
convenivano certo alle classi politiche per ovvî, intuibili motivi, né
convenivano —per speculari motivi altrettanto intuibili— vuoi a soggetti
5
Arnaldo Canziani – Renato Camodeca
attratti da facili banchetti immediati, vuoi agli economisti professionali alla
ricerca di pubbliche prebende. E poi, suvvia, quei principî classici erano
troppo banali, vieux-jeu, ragioneristici: li si tacciò così di elementari,
meccanici, limitati e obsoleti, tanto inadeguati alle nuove funzioni degli
Stati quanto ignari dei sofisticati sviluppi disciplinari contemporanei.
La <nuova macroeconomia classica> preferì dunque:
•
•
ricostruire il teorema di Ricardo sull'equivalenza fra debito e imposte,
costruire su questo il teorema della neutralità,
dando così spazio —nei fatti—
deficit-debito.
a (ulteriori) politiche cumulate di
Il teorema di Ricardo —che il medesimo Ricardo riteneva non-operante
nella realtà— sostiene l'equivalenza logica fra imposte e debiti ai fini della
copertura del deficit.
Posti i seguenti a priori:
1. gli individui sono immortali,
2. vi è transitività totale fra i fruitori dell'extra-spesa statale e i detentori
dei titoli del debito dello Stato,
esso conclude che "debt financing and tax financing may exert equivalent
effects".
Sulla base del teorema di Ricardo, Barro —ma stava effettuando
proposte alla classe politica? o la stava invece minacciando?— sostenne
quanto segue:
1. poiché, come dimostrato dal teorema di Ricardo, le imposte risultano
equivalenti all'indebitamento a parte la distribuzione temporale,
2. se il tasso di crescita del debito non è maggiore del tasso di crescita
dell'economia,
3. se l’imposizione è una tantum;
4. se i mercati sono perfetti,
5. poiché ogni deficit finanziato con nuovo indebitamento comporterà
incrementi futuri di imposta,
6. poiché gli individui prevedono tale futuro incremento, sono per
carattere <altruisti inter-generazionali> integrali dunque pensosi
della propria discendenza, e quindi riducono i consumi e aumentano
il risparmio oggi (t0) per far fronte ai pagamenti dello Stato domani
(tn+1),
6
Il debito pubblico italiano 1971-2005 nell'apprezzamento economico-aziendale
7. poiché i trasferimenti sono efficienti, cioè i prenditori della spesa in
deficit la risparmiano, e con questi risparmî acquistano i titoli che la
finanziano,
8. poiché dunque il moltiplicatore non opera, la domanda di moneta è
invariata, e i saggi di interesse pure,
dunque gli effetti sulla spesa per consumi e investimenti sono identici in
ambedue i casi —indifferenza, neutralità—, sia si impongano imposte sia
ci si indebiti (Barro 1974, 1976, 1979).
Quella ri-proposizione ricardiana e questa estensione di Barro in fondo
legittimarono i comportamenti corrivi delle amministrazioni pubbliche, le
quali in alcuni casi iterarono i proprî comportamenti spenderecci senza
neppure il bisogno di imporre imposte, ma stampando quantità
apparentemente senza fine di titoli del debito pubblico "con effetti
equivalenti alle imposte".
Sta così di fatto che, dai medesimi anni '60 citati, la classe politica al
governo nella gran parte degli Stati, persa la constraining influence delle
teorie classiche, prese a chiudere sistematicamente i bilanci con disavanzi,
ricorrendo così alla circolazione e al (perenne?) finanziamento in debito
anche per finanziare spesa corrente.
La spiegazione, avrebbe detto Schumpeter, è —dato il tema—,
congiuntamente economica e politica, né per combinazione così ci
2
ammaestra J.M.Buchanan (Nobel 1986) dal Palgrave :
"Public Debt is a topic in political economy in which the level of
understanding experienced serious retrogression over the course of the
middle decades of the 20th century. Policy-motivated macroeconomic
confusion generated political spillovers that remained in the 1980s.
Economists seemed unable to contribute to clarification in analysis.
The classical analysis, out of which emerged precepts that offered simple
guidelines for governmental fiscal authorities, no longer commanded
widespread support, either among political economists or among politicians.
Governments in the 1980s were observed to be financing sizeable shares
of their public consumption outlays by interest-bearing debt. The simple
logic of compoud interests guaranteed that the budgetary regimes observed in
the 1980s were not sustainable.
Public debt, as a revenue-raising instrument, has an appropriate and welldefined use as a means of allowing governments to alter the time streams of
payments for extraordinary outlays.".
2
THE NEW PALGRAVE. A DICTIONARY OF ECONOMICS, London, Macmillan
— New York, Stockton — Tokyo, Maruzen, 1987, vol. III, pp. 1044-1047 (da p. 1047)
7
Arnaldo Canziani – Renato Camodeca
Ne nacquero, a conferma, la teoria del <ciclo politico della spesa>, teoria
recentemente specificata fino a dimostrare su basi empiriche la
3
manipolazione elettoralistica del debito nelle democrazie sviluppate .
Tale sistematica —non-patologica solo per keynesiani, barriani e altri—,
equivale in realtà a distruzione di ricchezza nazionale, in tutti i casi in cui si
finanzino spese pubbliche non produttive di redditi categorici aggiuntivi
(poco importando dunque, a tal fine, che si tratti di distruzioni belliche, o di
lavori pubblici dannosi, o inutili, o addirittura di spesa corrente), per via:
1. del carico di interessi passivi susseguenti (il c.d. servizio del debito);
2. delle cessioni patrimoniali —o delle nuove imposte— necessarie
per finanziare successivamente i rimborsi;
3. per lo spiazzamento (crowding out) che esso produce rispetto al
risparmio-investimento privati;
4. per gli ulteriori problemi finanziarî, monetarî e valutarî che il debito
medesimo induce in quanto collocato sull'estero;
5. dunque per i minori redditi categorici futuri (id. per il minore il
valore attuale scontato dei redditi futuri).
(Ne vi sarebbe differenza sistematica —se non di tempi e di modi— ove
i rimborsi successivi del debito venissero effettuati monetizzandolo, dunque
creando inflazione cartacea prima, di prezzi poi. Possono sostenere il
contrario solo macro-economisti non ancora cogniti oggi delle
(iper)inflazioni successive al 1915, da Weimar al Sud-America.)
I problemi da studiare sono in realtà differenti. Il bilancio dello Stato,
infatti, va apprezzato come qualsivoglia altro bilancio sia nel succedersi
degli esercizî, sia nel vario comporsi di classi di valori che adducono al
risultato finale, e inoltre nel plesso interattivo costituito da componenti
positive e negative (il termine "deficit da finanziare" è dunque una variabile,
e può comparire come dato solo nei modelli econometrici). Non solo quindi
il disavanzo rileva, ma prima ancora la politica delle entrate e la
qualificazione della spesa pubblica: che esso dunque —transeunte, o
viceversa ripetuto, continuato, crescente— derivi da pressione tributaria
carente, o da eccesso di spese; che si ecceda in politiche di investimenti
pubblici, o in spesa corrente; che le uscite all'uno e all'altro titolo siano
responsabilmente orientate all'incivilimento collettivo, o viceversa motivate
da più opportunistici fattori causali.
3
R.J. FRANZESE, Electoral and Partisan Manipulation of Public Debt in Developed
Democracies, 1956-1990, Michigan University Paper, 1999
8
Il debito pubblico italiano 1971-2005 nell'apprezzamento economico-aziendale
Gli effetti del disavanzo pubblico dipendono d'altra parte
—
congiuntamente— e dalla natura del medesimo e dai mezzi prescelti a
<copertura>. Non risulta infatti neutrale la preferenza assegnata nel tempo
alla circolazione eccedente o all'incremento del debito pubblico, con più
rapidi effetti inflattivi nel primo caso, con dinamiche più rallentate —ma
talora cumulate e crescenti— nel secondo. Ancora, gli effetti citati
dipendono nel tempo dall'interazione fra l'una e l'altra misura, in alcuni casi
frutto di lucide scelte aziendali, in altri co-determinate dai mercati, in altri
infine sia indotte dalla ricerca di vie di minor resistenza, sia imposte dal
sistema di vincoli che i processi in discorso non possono eludere nel lungo
periodo (Canziani, 1986).
L'Economia aziendale, pertanto, non è interessata alle leggende
macroeconomiche narrate più sopra, se ignare di tutte le scuole classiche di
finanza pubblica, ignare soprattutto delle leggi di comportamento e di
sviluppo delle aziende, dunque del vero essere delle cose.
Essa si fonda infatti —da sempre— su ipotesi esclusivamente
realistiche, indagate con il metodo sintetico riferito a vaste fenomeniche di
soli <fatti scientifici>, per inferirne strutture teoriche dalla sistematicità
intrinseca e della ampia validità spazio-temporale.
In particolare, per quanto riguarda la Finanza pubblica —cioè in realtà le
branche speciali della Ragioneria Pubblica e dell'Economia delle Pubbliche
Amministrazioni—, esse postulano ulteriori canoni veritativi specifici,
fondati nella teoria della misura.
Questa richiede di venire applicata:
1. a fatti scientifici espressivi delle fenomenologie indagate,
descrivibili tramite variabili effettive (i.e. riscontrabili nella realtà),
connotative dei fenomeni oggetto di indagine;
2. variabili manifestate in quantità definite in moneta (misura appunto
economica),
3. derivanti da obbligazioni (anche tributarie),
4. riscontrabili in scambi, ove si formano le quantità economichevalori.
E poiché è noto (Masini, Valutazioni e rivalutazioni; Lavoro e risparmio)
come rilevi: a) identificare il momento nel quale la variazione di moneta o
di credito si manifesti, b) misurarla con tecniche adeguate, c) tramite tale
misura determinare analiticamente prezzi-costo e prezzi-ricavo, unica
tecnica che possa compiere le misurazioni di cui ai nn. 2-3-4 supra è la
Ragioneria Generale, la quale sola:
9
Arnaldo Canziani – Renato Camodeca
•
•
•
•
•
identifica
i
fenomeni
caratteristicamente
rappresentativi
dell’economia delle aziende,
li coglie nel cuore del sistema al momento del loro manifestarsi
misurabile (cioè all’atto dello scambio inter-aziendale, i.e. fra
soggetti aziendali),
li misura nei loro fondi e flussi di moneta assegnandoli
sistematicamente a classi di valori,
li connette in modo altrettanto sistematico —per variazioni singole e
per classi—, tramite le sistematiche della partita doppia, dei piani dei
conti, delle procedure dei piani dei conti;
li sintetizza in prospetti unitarî (bilanci) che ne rappresentano i
risultati e che servono dunque a fini di controllo, analisi, previsione.
I fenomeni economici così identificati, misurati, sistematizzati, fanno
così emergere le quantità più rappresentative dell’economia delle aziende: a)
valori-flusso, i.e. variazioni di esercizio, i.e. costi e ricavi, b) valori-fondo,
i.e. attività e passività e loro variazioni (comprese le variazioni finanziarie).
I valori realistici della Ragioneria si differenziano dunque rispetto ai valori
astratti (i.e. irrealistici) sia della microeconomia classica, sia di molta
macro-economia contemporanea.
In particolare, la Ragioneria pubblica consente, per le aziende pubbliche
territoriali, sia di vagliare equilibri e squilibri, sia di misurare le <erogazioni
di ricchezza> in generale, e in particolare le funzioni pubbliche di i) raccolta
di risorse (tributi), ii) spesa corrente e in conto capitale, iii) gestione della
moneta e del debito, iv) gestione dei beni pubblici.
2. Disavanzi di bilancio e debito pubblico: natura ragionerestica, significato economico, profili interpretativi
L’andamento della finanza pubblica, e le conseguenti valutazioni di
politica economica, trovano fondamentale parametro di misurazione negli
indicatori di sintesi dei conti dello Stato. Tali misurazioni —di norma— si
fondano su alcune variabili di fondo dell’economia nazionale, le quali
costituiscono grandezze —cioè valori— direttamente desumibili dal
bilancio pubblico (sia esso dello Stato quale amministrazione centrale, sia
del complesso delle amministrazioni pubbliche).
Gli indicatori della finanza pubblica, pertanto, pur se lato sensu oggetto
del discorso macroeconomico, costituiscono in realtà grandezze di natura
ragioneristica in quanto fondate —direttamente, o indirettamente per il
tramite di aggregazioni statistiche— sui valori del bilancio dello Stato,
delle amministrazioni locali e degli enti di previdenza.
10
Il debito pubblico italiano 1971-2005 nell'apprezzamento economico-aziendale
Fra tali grandezze —da sempre (Repaci, 1962), ma soprattutto dopo
l’approvazione del Trattato di Maastricht (1992) e del successivo <patto di
4
stabilità e crescita> —, hanno acquisito rilievo le seguenti:
1. l’indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche, così
denominato nel sistema europeo dei conti nazionali, ma in realtà
meglio definibile quale avanzo/disavanzo di bilancio, ovvero quale
somma algebrica —rispettivamente positiva o negativa— fra
entrate e uscite dello Stato, del settore statale o, per l’appunto, delle
amministrazioni pubbliche nel loro complesso;
2. il debito pubblico, cioè —in sintesi— l’esposizione finanziaria delle
amministrazioni pubbliche nei confronti di terzi, sia esso fruttifero o
5
infruttifero .
L’indagine che qui si conduce attiene all’analisi economico-aziendale
delle quantità-valori ora ricordate:
i. il disavanzo, oggi sovente cronico, del bilancio dello Stato,
ii. il debito pubblico, quale modalità particolare di <copertura> del
predetto deficit.
Tale analisi, tuttavia, non pare potersi utilmente condurre senza aver
annotato alcune considerazioni preliminari, di ordine per lo più
metodologico e tecnico-contabile, appunto in ordine alla natura delle
grandezze "disavanzo" e "debito", e al conseguente significato economico
che esse possono assumere nel quadro interpretativo del sistema dei conti
pubblici nazionali.
Sul punto, allora, occorre in via previa individuare:
a. il perimetro definitorio delle grandezze,
4
Tra i quattro criteri di convergenza necessari per l’accesso alla terza fase del processo
di unione politica e monetaria dell’Europa, l’art. 109 del Trattato di Maastricht includeva la
condizione che gli Stati non si trovassero in situazioni definite di <disavanzo pubblico
eccessivo>, condizione che —per espressa previsione normativa— non si verificava ove
non si fossero registrati valori di deficit annuale non superiore al 3% del PIL e di debito
pubblico non superiore al 60% del PIL. Va peraltro ricordato che —ai fini del rispetto di
quest'ultimo indicatore— furono da subito assunti margini di discrezionalità, che diedero al
Consiglio Europeo la possibilità di valutare se il criterio si sarebbe potuto ritenere
comunque soddisfatto ove il debito pubblico, superiore alla soglia del 60% del PIL, fosse
"sufficientemente" calato.
5
Il cosiddetto “Protocollo sulla procedura per i disavanzi eccessivi”, allegato al Trattato
di Maastricht, all’art. 2 stabilisce che il “disavanzo” è l’indebitamento netto così come
stabilito dal Sistema Europeo dei Conti economici integrati (Sec 95), mentre il “debito
pubblico” è il debito lordo al valore nominale in essere alla fine dell’esercizio.
11
Arnaldo Canziani – Renato Camodeca
b. i procedimenti di calcolo relativi agli aggregati in questione,
chiarendone la natura ragioneristica e da questa traendo l'effettivo
valore segnaletico, poi anche macroeconomico.
I concetti di avanzo-disavanzo del bilancio pubblico si esprimono
nell’equazione che definisce l’equilibrio finanziario dell’azienda di
erogazione e dunque anche dello Stato, economia complessa ma in fondo
sintetizzabile —in logica economico-aziendale— nel plesso <servizi
6
pubblici-imposte> , il quale si traduce poi nell'altro plesso <uscite/entrate
monetarie>, unitario e sempre in divenire nello spazio-tempo.
Pur nella nota complessità dell’economia pubblica, unico è allora il
profilo di osservazione della medesima, fondato sulla rilevazione (nella
contabilità) e sulla rappresentazione (nel bilancio) delle uscite e delle
entrate, suddivise per <categorie-tipo> e variamente articolate in funzione
7
dei risultati differenziali che si intendono misurare ed esaminare .
L’equazione cui più sopra si è fatto cenno —in forme semplificate, ma
non per questo meno rispondenti alla realtà— così si esprime:
(Et + Eet) + (Edis + Ecr ) = Uc + Ucap
(1),
ove è:
Et
Eet
Edis
Ecr
Uc
Ucap
=
=
=
=
=
=
entrate tributarie;
entrate extra-tributarie;
entrate da disinvestimenti;
entrate da rimborso di crediti;
uscite correnti;
uscite in conto capitale.
Dalla (1) si evince, in forme altrettanto schematiche, come —dal
confronto fra entrate e uscite monetarie— emerga di volta in volta a) il
pareggio del bilancio, b) l’avanzo, c) il disavanzo, esprimibili in forme
algebriche come:
•
•
Ef ≥ Uf = avanzo o pareggio;
Ef < Uf = disavanzo;
6
Il binomio <servizi pubblici-imposte> diviene più ampiamente il plesso <servizi
pubblici e sociali- imposte e contributi> nell’ipotesi di allargamento del perimetro della
pubblica amministrazione
7
Uscite ed entrate si rilevano nella contabilità pubblica; il bilancio, che ne offre la
sintesi periodica,
rappresenta le medesime per competenza giuridica
(accertamenti/impegni), per cassa (entrate/uscite monetarie effettive), o – da ultimo, con il
Sec 95 - per competenza economica.
12
Il debito pubblico italiano 1971-2005 nell'apprezzamento economico-aziendale
ove è:
Ef = entrate finali (in simboli, Et + Eet + Edis + Ecr);
Uf = uscite finali (in simboli, Uc + Uinv +Ucr).
Tali termini, auto-evidenti nel proprio significato logico-aritmeticocontabile, ove classificati ed esaminati nei valori di sintesi che evidenziano,
per tipo ed oggetto, le entrate, le uscite e i relativi risultati differenziali,
danno conto di come concretamente si svolga l’economia
dell’amministrazione pubblica.
Il disavanzo allora —sia esso misurato ex post nei consuntivi, o ex ante
nei bilanci di previsione— per definizione risulta espressione contabile
delle risorse mancanti alla pubblica amministrazione in un tempo definito;
esso evidenzia uno squilibrio sul piano finanziario che in termini
ragioneristici —forse elementari, ma non per questo meno efficaci nella
propria concretezza anche storica— non può che risolversi —in prima
battuta, e in assenza della <variabile debito>—
alternativamente o
unitariamente in:
a) aumento delle entrate, realizzabile sostanzialmente con l’inasprimento
8
della pressione tributaria o con il realizzo, diretto o indiretto , di
attività patrimoniali,
b) riduzione delle uscite, attuabile mediante interventi sulla spesa
pubblica, corrente o in conto capitale;
si può risolvere in altre parole —per riprendere le terminologie oggi
ampiamente diffuse— solo e soltanto con l’aumento del cosiddetto <avanzo
primario>, somma algebrica fra entrate e uscite monetarie che non tiene
conto, come nella (1) appunto, della variabile <indebitamento pubblico>.
In questa logica, l’innesto della variabile <debito> —tipicamente
rappresentato dai titoli di Stato— quale via di copertura del disavanzo,
completa la (1) e ne consente la rappresentazione seguente:
(Et + Eet) + (Edis + Ecr ) + Eind = Uc + Ucap + (Ur +Uint)
8
(2)
La collocazione di attività al di fuori del perimetro della pubblica amministrazione,
con la costituzione di società veicolo costituisce una forma di realizzo indiretto (sempre che
poi si realizzi la cessione a terzi dei titoli azionari).
13
Arnaldo Canziani – Renato Camodeca
ove è:
Et
Eet
Edis
Ecr
Eind
Uc
Ucap
Ur
Uint
=
=
=
=
=
=
=
=
=
entrate tributarie;
entrate extra-tributarie;
entrate da disinvestimenti;
entrate da rimborso di crediti;
entrate da indebitamento;
uscite correnti
uscite in conto capitale;
uscite per rimborso di debiti;
uscite per pagamento di interessi sui debiti.
Dalla (2) si evince come in concreto, e prescindendo per il momento dai
profili normativi e regolamentari, siano oggi in sostanza tre le fonti delle
risorse finanziarie destinate a dare copertura alla spesa e agli investimenti
pubblici:
1. le entrate tributarie ed extra-tributarie (fra le quali i frutti degli
investimenti immobiliari e finanziari);
2. le entrate derivanti dal realizzo di beni patrimoniali o di investimenti
9
finanziari, nonché dal rimborso dei crediti ;
10
3. le entrate derivanti da indebitamento .
Ognuno dei suddetti canali, noto in dottrina, assume una propria valenza,
sociale ed economica, nel quadro delle azioni di finanza pubblica adottate
dal Governo: le entrate, in altri termini, si correlano sistematicamente al
complesso delle uscite, queste ultime riferite vuoi alla spesa pubblica —sia
di parte corrente, sia in conto capitale— vuoi ai flussi ulteriori relativi al
"servizio del debito".
Dalla (2), inoltre, possono ricavarsi molteplici risultati differenziali, tutti
di rilievo nei processi interpretativi del sistema dell’economia pubblica:
a) avanzo-disavanzo di bilancio, espresso quale somma algebrica fra i
totali delle entrate e delle uscite come definite nella (1); tale valore
—si diceva— configura l’<indebitamento netto> nel conto
9
Rilevano, al proposito, alcune operazioni di finanza straordinaria di una certa attualità,
fra cui le privatizzazioni e le cartolarizzazioni.
10
Il riferimento al debito pubblico, quale via tradizionalmente alternativa alla stampa di
carta moneta nel finanziamento dei deficit pubblici, va in questa sede interpretato tenendo
presente la distinzione fra emissioni per il settore privato (famiglie, imprese, resto del
mondo) ed emissioni per la Banca Centrale, la quali possono determinare un aumento della
circolazione monetaria.
14
Il debito pubblico italiano 1971-2005 nell'apprezzamento economico-aziendale
economico consolidato delle amministrazioni pubbliche redatto
secondo le metodologie accolte a livello europeo;
b) avanzo-disavanzo primario, espresso quale somma algebrica fra
entrate e uscite, al netto delle spese per interessi passivi sul debito;
c) indebitamento lordo e netto (debito pubblico), espresso dal volume
lordo di debito, e dal volume stesso al netto dei rimborsi in quota
capitale.
Peraltro, la misura dell’avanzo e del disavanzo, sia esso totale o primario,
appaiono in sé non sempre significative se confrontate per valori assoluti fra
sistemi-Paese; ecco allora che —per convenzione limitativa, e in aderenza
alle prescrizioni valide a livello europeo— esse vengono espresse mediante
il rapporto percentuale con il prodotto interno lordo, grandezza che, va
evidenziato, non è quantità del bilancio pubblico come le altre, ma
unicamente aggregato statistico, elaborato nel quadro delle determinazioni
di contabilità nazionale.
L’indicatore che ne deriva, il parametro Deficit / P.i.l., pur non essendo
sempre soddisfacente vista la natura, l’attendibilità complessiva e il
11
significato economico della grandezza al denominatore (Tabella 2), risulta
comunque di un certo rilievo per i confronti spaziali e temporali; vale allora
considerare, soprattutto nel caso italiano, caratterizzato da disavanzi cronici
del bilancio pubblico, il rapporto che segue, con segno algebrico negativo:
(Ef – Uf) /P.i.l. (3)
ove è:
Ef = totale delle entrate;
Uf = totale delle uscite, ivi compresa la quota interessi sul debito.
11
Nell’interpretazione del rapporto percentuale fra un dato del bilancio dello Stato,
quale il disavanzo, e un dato meramente statistico, quale il PIL, occorre tenere inoltre
presente alcuni ulteriori interrogativi, fra cui: qual è il rilievo del PIL in una nazione con
elevati tassi di economia sommersa? Quali sono le tecniche di calcolo dell’aggregato in
questione? Quali gli effetti reciprocamente compensatori delle transazioni fra operatori
appartenenti al sistema? La risposta, articolata e complessa, apre una tematica di sicuro
interesse, ma fuori dal perimetro delle presenti riflessioni.
15
Arnaldo Canziani – Renato Camodeca
Tabella 2 – Il P.i.l. italiano 2000 – 2004 nei dati Istat e del Ministero del Tesoro
Tipologia di documento
Ministero del Tesoro:
Relazione previsionale e
programmatica 2004
2001
1.032.985
Istat:
Conti economici nazionali 1970
- 2005 - nuova serie - marzo
1.248.648
2006
2002
2003
2004
1.036.945 1.069.581 1.052.308
2005 Note
"valori a prezzi correnti milioni di eurolire 1995"
"valori a prezzi correnti 1.295.226 1.335.354 1.338.870 1.417.241 milioni di euro"
Fonte: ISTAT, Conti nazionali, nuove serie storiche, marzo 2006; Ministero dell’Economia,
Relazioni generali sulla situazione economica del Paese 1998 - 2004
Il concetto di disavanzo, peraltro chiaro nella sua natura ragioneristica,
non è però grandezza univoca nel sistema dei conti pubblici: esso, infatti,
varia nella sua dimensione quantitativa in relazione alla tipologia di entrate
e uscite incluse nel perimetro della misurazione.
Sotto questo profilo, e quale corollario metodologico a quanto sinora
annotato, occorre infatti distinguere il risultato differenziale di cui si discute
a seconda che il riferimento sia:
a) al bilancio dello Stato quale amministrazione centrale, approvato dal
Parlamento e tradizionalmente identificato nel <bilancio finanziario,
di previsione e consuntivo>, di cui all’art. 2 della legge n. 468 del 5
agosto 1978;
b) al conto consolidato di cassa del settore statale;
c) al conto consolidato di cassa del settore pubblico;
d) al conto economico delle amministrazioni pubbliche.
Il bilancio di previsione, e il correlato conto consuntivo, identificano
tradizionalmente i conti entrate-uscite dell’amministrazione centrale dello
Stato: essi sono elaborati dal Ministero del Tesoro, per il tramite della
Ragioneria Generale dello Stato, e presentano natura intrinsecamente
contabile; in quanto tale, esso è da sempre oggetto di studio della Ragioneria
12
italiana .
12
Dal Villa, al Cerboni, al Besta, allo Zappa (tramite Arnaldo Marcantonio): in sintesi,
dalla seconda metà del Secolo XIX fino agli anni Cinquanta-Sessanta del Secolo scorso,
fino cioè alla diffusione delle logiche alla base della contabilità nazionale e alla
conseguente impostazione dei conti pubblici su base statistico-economica, con la
conseguenza –ancora oggi palese e non sempre soddisfacente– di vedere approvati in
Parlamento conti e prospetti (il bilancio dello Stato tradizionale appunto) che in sede
europea e addirittura nel DPEF, non vengono di fatto presi in considerazione.
16
Il debito pubblico italiano 1971-2005 nell'apprezzamento economico-aziendale
I valori differenziali dell’avanzo e del disavanzo, desumibili dai prospetti
in parola, non sono però neutrali in relazione alla tecnica adottata per
redigere i suddetti bilanci.
E’ noto infatti, sul punto, che il bilancio finanziario —di previsione o
consuntivo— assume connotati differenti, e dunque diverso significato
economico, a seconda della prospettiva con la quale vengono osservate e
rilevate, nel sistema di contabilità finanziaria, le entrate e le uscite.
In tale logica, il bilancio di competenza rileva entrate e uscite in relazione
alle fasi dell’accertamento e dell’impegno: esso, pertanto, è tipicamente
rivolto all’azione di controllo esercitata dal Parlamento ed esalta il criterio
della programmazione nel contesto delle azioni di politica economica.
Il bilancio di cassa, viceversa, accoglie direttamente la manifestazione
monetaria dei fenomeni, risulta svincolato dall’esercizio amministrativo, e
per questi motivi esprime in termini maggiormente realistici la situazione
finanziaria dell’ente con riferimento a un periodo dato. Esso dunque,
almeno per quanto attiene all’interpretazione delle vicende della gestione
nel profilo monetario-finanziario, offre spunti interpretativi di maggior
rilievo nel processo di analisi del sistema dei conti pubblici nazionali; esso,
in particolare, meglio si presta all’analisi del fabbisogno finanziario
dell’ente, nonché delle vie per il suo soddisfacimento.
Ciò posto, l’avanzo-disavanzo del bilancio dello Stato assume allora
significato differente a seconda non solo che il riferimento sia al bilancio di
previsione dello Stato o, ad esempio, al conto economico delle
amministrazioni pubbliche, ma altresì che il primo sia redatto per cassa
oppure per competenza.
Il conto consolidato del settore statale è formato dal Ministero del Tesoro
sulla base del criterio di cassa e non è approvato dal Parlamento; esso,
tuttavia, esprime l’aggregazione dei valori finanziari riferiti alle gestioni del
bilancio (bilancio di previsione e conto consuntivo), della Tesoreria dello
Stato, nonché dei conti relativi ai bilanci delle aziende autonome e, sino al
13
2003, della Cassa Depositi e Prestiti .
E' questo documento in altri termini il "bilancio di cassa” dello Stato: da
esso, infatti, muovono le analisi del fabbisogno finanziario e vengono di
13
Si tratta della definizione da ultimo utilizzata dal Tesoro, che però non coincide con
quella della Banca d’Italia. Nella definizione del Tesoro, il settore statale si costruisce
sommando alle gestioni dell’amministrazione centrale dello Stato – gestione di bilancio e
gestione di tesoreria – la Cassa depositi e prestiti (sino al 2003), l’Azienda per il
Mezzogiorno (sino al 1993, anno di soppressione), le Aziende Autonome (cioè Anas e
Foreste Demaniali).
17
Arnaldo Canziani – Renato Camodeca
conseguenza determinate le vie —fra le quali appunto il debito— per il suo
soddisfacimento.
Il conto consolidato di cassa del settore pubblico aggrega —sempre e
solo in logica di cassa— sia i bilanci appartenenti al settore statale, sia i
conti di tutti gli enti esterni a questo, ma tuttavia lato sensu riferibili alle
amministrazioni pubbliche, fra cui gli Enti Locali e di Previdenza.
Il Conto economico delle amministrazioni pubbliche si distingue dai
precedenti per alcuni profili peculiari.
Esso infatti:
a) è costruito dall’Istituto Nazionale di Statistica nel rispetto delle
regole contenute nel sistema dei conti economici integrati comuni a
14
livello europeo ; per questi motivi, fra l’altro, esso è l’unico
sistema di valori preso in considerazione nella determinazione degli
indicatori di finanza pubblica oggetto delle presenti note;
b) si riferisce a un aggregato —le amministrazioni pubbliche—
sostanzialmente coincidente con il “settore pubblico” come definito
dal Tesoro, ma articolato sulla base della tripartizione b)1)
Amministrazioni Centrali, b)2) Amministrazioni Locali, b)3) Enti di
Previdenza;
15
c) è fondato sul criterio della competenza economica , secondo una
metodologia di rilevazione —approvata con l’European System of
16
17
Accounts — propria della contabilità nazionale , per natura
diversa e dalla competenza giuridica e dal criterio di cassa sui quali
si fonda la contabilità finanziaria dell'amministrazione centrale dello
18
Stato .
14
Regolamento n. 2223/1996.
Paragrafo 1.57 del Sec 95.
16
Il Sistema Europeo dei Conti – c.d. Sec 95 – definisce fra l’altro la logica della
competenza economica, avvicinando le rilevazioni del sistema entrate-uscite ai criteri
accrual-based utilizzati nelle aziende private.
17
In sostanza, vengono registrate solo le operazioni finali in grado di incidere sulla
situazione economica o patrimoniale degli altri soggetti istituzionali; vengono invece
escluse le operazioni finanziarie con le quali a una passività di un settore corrisponde
un’attività di un altro settore.
18
In sostanza, nell’attuale sistema, l’Istat elabora le stime di contabilità nazionale e
determina l’indebitamento della Pubblica Amministrazione; il Ministero dell’Economia
calcola invece il fabbisogno di cassa del settore statale e del settore pubblico; la Banca
d’Italia, infine, conteggia il fabbisogno con riferimento alle vie di copertura. I problemi di
raccordo fra i dati sono in corso di analisi da parte dei soggetti ora ricordati e dovrebbero
15
18
Il debito pubblico italiano 1971-2005 nell'apprezzamento economico-aziendale
Il prospetto in parola, in quanto redatto secondo regole comuni a livello
europeo, è il solo documento che possa oggi venire utilizzato per confronti
19
internazionali significativi : per questo motivo, è oggi considerato
direttamente nel Documento di Programmazione Economica e Finanziaria
in sostituzione dei conti consolidati del settore statale e del settore pubblico.
La Tabella 3 che segue, costruita sulla base dei dati al 31 dicembre 2004,
illustra quantitativamente quanto sopra, evidenziando dati di avanzo e
disavanzo differenti, e dunque diversamente interpretabili sia in logica
ragioneristica, sia soprattutto per quanto attiene alle successive valutazioni
di politica economica.
Tabella 3 - Entrate-uscite e risultati differenziali nel sistema dei conti pubblici italiani: i
saldi dell’anno 2004
Tipologia di bilancio
Entrate
Uscite
Avanzo/
(Disavanzo)
Bilancio dello Stato - gestione di cassa
394.159 -434.960
-40.801
Conto consolidato di cassa del settore statale
356.371 -397.624
-41.253
Conto consolidato di cassa del settore pubblico
631.513 -679.437
-47.924
Conto economico delle amministrazioni pubbliche
612.349 -653.226
-40.877
Fonte: Ministero dell’Economia, Relazione sulla stima del fabbisogno di cassa per l’anno
2005 e situazione di cassa al 31 dicembre 2004
Il rapporto Deficit / P.i.l., oggi di comune dominio nel linguaggio tecnico
in materia di politica economica, pur nella propria indiscutibile rilevanza va
allora letto e interpretato sulla base delle premesse di natura tecnica e
metodologica sopra illustrate, tenendo in particolare conto, fra l’altro:
a) dell’esistenza di diverse configurazioni del disavanzo pubblico,
alcune di esse costruite quali aggregazioni statistiche di dati,
b) della peculiare natura del P.i.l quale parametro di relativizzazione,
quantità fondamentale nelle determinazioni di contabilità nazionale,
avviarsi a soluzione anche per effetto dell’utilizzazione e del potenziamento del sistema
SIOPE (Sistema Informativo delle Operazioni degli Enti Pubblici).
19
La stessa Banca d’Italia, ad esempio, nel Bollettino economico utilizza oggi questo
documento in sostituzione del riferimento al conto consolidato di cassa del settore statale.
19
Arnaldo Canziani – Renato Camodeca
ma pur sempre logicamente diversa dalle quantità-valori del bilancio,
singolo o aggregato, dell’amministrazione pubblica.
Ai saldi finanziari del bilancio pubblico —avanzo/pareggio/disavanzo—
si associa il dato relativo al debito pubblico, in senso generale definibile
quale stock di risorse finanziarie che lo Stato, o l’insieme delle
amministrazioni pubbliche, deve rimborsare a terzi a un tempo dato.
Qui pure, come già si è avuto modo di osservare con riferimento ai
risultati differenziali del bilancio, il debito pubblico non risulta
univocamente individuabile nelle determinazioni della contabilità di Stato.
Le problematiche di definizione, di conseguente valutazione, sono
tuttavia sul tema ampie e complesse, e come tali non trattabili in questa
sede.
Basti ricordare, sul punto, in primo luogo le divergenze fra le definizioni
accolte i) dalla Tesoreria dello Stato, che lo definisce come posizione netta,
rispetto al conto di disponibilità del Tesoro, ii) da Eurostat, che lo considera
al lordo delle disponibilità presso il Tesoro.
Ancora, va annotato che il concetto in parola include grandezze comuni
nella propria natura ragioneristica, ma pur tuttavia dissimili in funzione del
significato economico e della rilevanza quantitativa che assumono nel
quadro della posizione debitoria complessiva dello Stato all’interno o
all’esterno dell’economia: in argomento, ad esempio, si suole distinguere
fra a) debito fruttifero, rappresentato dai titoli di Stato e dai debiti
generalmente onerosi, b) debito infruttifero, tipicamente la moneta in
circolazione e i debiti almeno non esplicitamente onerosi, questi di ampia
rilevanza ove la considerazione del deficit di bilancio sia effettuata su base
aggregata (ai fini della presente analisi si utilizzerà la grandezza
tradizionalmente riferibile al <debito pubblico>, ovvero la consistenza dei
titoli di stato in circolazione).
Accanto al problema della definizione vi è poi il problema della
valutazione, dunque della quantificazione del debito in essere: per
riprendere una terminologia nota in Ragioneria, quale allora deve essere il
riferimento quantitativo per lo stock di debito pubblico in essere a un tempo
dato, il valore nominale o il fair value ?
Sotto questo profilo, il riferimento delle autorità europee (Eurostat) è al
valore nominale, ma va tuttavia osservato che, per esprimere in termini
maggiormente realistici la situazione finanziaria dello Stato, meglio sarebbe
riferirsi al valore di mercato: basti ricordare, al riguardo, l’operazione di
concambio, attuata nel 2002, di titoli di Stato immobilizzati nel bilancio
della Banca d’Italia per 39,4 miliardi di euro, scadenza 2044 e rendimento
1%, con titoli di analogo valore di mercato, cioè di minore importo ma con
un più elevato rendimento, riducendo così il debito pubblico —a valore
20
Il debito pubblico italiano 1971-2005 nell'apprezzamento economico-aziendale
nominale— di 27 miliardi di euro, ma non mutando, nella sostanza, il fair
20
value del debito stesso .
Ciò posto in termini generali, va ora annotato che anche per il debito le
misurazioni economiche si fondano per lo più sull’analisi della sua dinamica
in rapporto al prodotto interno lordo: qui pure, allora, valgono le
considerazioni già svolte sulla prospettiva di crescita dinamica del
medesimo, in valore assoluto o appunto in rapporto al P.i.l.
Il modello di evoluzione del debito pubblico, noto in dottrina, unitamente
alla sua espressione relativa in rapporto al P.i.l., consente di porre in
evidenza il rilievo critico dell’indicatore in questione per la valutazione
—sintetica, ma comunque significativa—, dello stato della finanza pubblica
di una nazione.
La relazione che segue esprime il processo di evoluzione del debito
pubblico in relazione allo sviluppo delle entrate e delle uscite dello Stato o
dell’insieme delle amministrazioni pubbliche; in logica economicoaziendale, infatti, risulta sempre quanto segue:
∆ D = (Ef - Uf) + Uint + Ur
(4)
ove è:
∆D
Ef
Uf
Uint
Ur
= nuove emissioni;
= totale entrate;
= totale uscite.
= uscite per interessi;
= uscite per rimborsi in quota capitale.
La (4), se opportunamente rielaborata, esprime
—sulla base
dell’equivalenza contabile secondo la quale ceteris paribus l’incremento di
debito pubblico da un periodo all’altro dipende dalle uscite legate al
servizio del debito in essere (per quote capitale e interesse), nonché dagli
ulteriori disavanzi primari che potrebbero generarsi per effetto della
gestione—, l’equazione che sta alla base dell’andamento Debito/P.i.l.,
l’altro indicatore di rilievo per la valutazione dell'equilibrio economico
statale.
20
Si ricorda, inoltre, l’ipotesi degli “swap” di tassi fissi e variabili, con riduzione del
debito e invarianza del valore di mercato dello stesso.
21
Arnaldo Canziani – Renato Camodeca
A parità di condizioni, dunque, risulta che il rapporto Debito/P.i.l.
dipende fondamentalmente dai fattori che seguono, sempre reciprocamente
interagenti:
• dal tasso di interesse, dunque dal costo complessivo del debito, il quale
—se aumenta, a parità di P.i.l.—, fa aumentare anche lo stock di
debito finale e dunque il rapporto stesso Debito /P.i.l.;
• dalla dimensione programmata dei rimborsi in quota capitale, il cui
aumento/riduzione —sempre a parità di altre condizioni e a parità di
Pil— aumenta o riduce lo stock di debito finale e dunque ancora il
rapporto debito/P.i.l.;
• dalle risultanze della gestione tipica, dunque dall’avanzo/disavanzo
primario, il quale —se migliora, come già ricordato— non può che
determinare la riduzione dello stock di debito finale e dunque il
miglioramento del rapporto debito/P.i.l.;
• dalla dinamica stessa del P.i.l., che di per sé non determina
automaticamente un aumento o una riduzione dello stock di debito, ma
—nel contesto di un parametro che misura gli andamenti economici
della nazione in termini relativi— migliora o peggiora il rapporto in
relazione alla sua diminuzione o al suo aumento quale grandezza posta
al denominatore di un rapporto, così amplificando o compensando
effetti di variazione che invece incidono in termini sostanziali sullo
stato del debito pubblico nazionale nel suo complesso.
Il tema della dinamica del debito pubblico è ampiamente trattato anche
21
nella letteratura macroeconomica ; dal punto di vista appunto
macroeconomico, ad esempio, la problematica in questione viene in via
previa inquadrata dalla (5) seguente:
G — T (Y) = ∆ M + ∆B
(5),
ove è:
G
= spesa pubblica,
T (Y) = flusso netto di entrate fiscali (imposte meno trasferimenti,
determinato tramite una funzione data di politica economica del
Reddito Nazionale Y);
∆ M = variazione dello stock di titoli,
∆B = variazione dello stock di moneta.
21
I riferimenti, sul punto, sono molteplici e non possono essere ripresi in questa sede.
Per una sintesi dell’argomento cfr. Ministero del Tesoro, Direzione Generale del Debito
Pubblico, Il debito pubblico in Italia 1861 – 1987, Roma, Istituto Poligrafico della Zecca
dello Stato, 1988.
22
Il debito pubblico italiano 1971-2005 nell'apprezzamento economico-aziendale
E, nell'ipotesi di interessi (tassati) su titoli, la [5] diventa (Blinder e
Solow, 1973, 1974):
G + iB — T (Y + iB) = ∆ M + ∆B
(6),
giacché in tale modello il pagamento di interessi funge da incremento del
reddito disponibile.
Con tale notazione, tuttavia, il rapporto Deficit/P.i.l. diviene i) non solo
grandezza relativa, internazionalmente comparabile in quanto
"normalizzata", ma anche, e specificamente, ii) grandezza ottenuta
automaticamente dal modello, rendendo quindi superfluo l'apprezzamento
effettivo e la misura ragioneristica del flusso netto di entrate fiscali.
Le considerazioni fin qui svolte determinano allora, se analizzate in
prospettiva concreta, dunque economico-aziendale, l’opportunità di valutare
le problematiche in questione sia nella dimensione relativa del rapporto
“Debito/P.i.l.”, sia in quella assoluta del volume di debito complessivamente
considerato.
Dalle identità contabili (1)-(4) antecedenti, infatti, emerge con evidenza
che le uniche vie possibili per inquadrare e trattare i problemi c.d. della
“sostenibilità” del debito, i quali dipendono solo e soltanto dalle variabili
che sintetizzano il sistema del bilancio pubblico, sono sostanzialmente
riconducibili a:
1) politica dei saggi e dunque della remunerazione del debito, con i
conseguenti ragionamenti in termini di valore di mercato dello stesso,
2) politica dei rimborsi in quota-capitale, e relative conseguenze in
termini di possibilità
—già riscontrate nel passato— di
consolidamento del debito,
3) andamento della gestione tipica dell’Amministrazione pubblica,
ovvero dinamica delle entrate e delle uscite, questa però riconducibile
ai vari comparti della Pubblica Amministrazione e non semplicemente
riferibile allo Stato (nel computo dell’avanzo/disavanzo primario del
conto economico delle amministrazioni pubbliche, si è visto infatti più
sopra, rientrano sia lo Stato inteso quale amministrazione centrale, sia
gli Enti Locali, sia –soprattutto– il comparto previdenziale).
Le relazioni fin qui analizzate, per concludere, evidenziano la necessità
di relazionare disavanzo e debito e dunque di individuare —sulla base non
23
Arnaldo Canziani – Renato Camodeca
di algoritmi ma dei valori espressi dai bilanci pubblici—, gli elementi che
possano chiarire la relazione fra crescita dell’uno ed aumento dell’altro.
In questo senso, allo stato attuale, si ravvisa un limite nel sistema delle
informazioni prodotte dai conti pubblici nazionali e sovra-nazionali: la
misurazione nazionale, che determina il fabbisogno e fa scattare l’esigenza
di “nuovo debito”, è basata sull’analisi dei flussi monetari, tipicamente
desumibili dai conti di cassa del settore statale e del settore pubblico; la
misurazione europea, associata al rapporto Deficit/P.i.l. che completa il
quadro dello stato di salute di un’economia meritevole di accedere
all’unione monetaria, è invece fondata sui flussi accrual-based del Sec 95, a
propria volta costruiti su base statistico-economica e non contabile.
Mancano allora, in questo senso, la ricostruzione e la riconciliazione
ufficiale che uniscano il profilo contabile e bilancistico —entrate, uscite e
fabbisogno finanziario— con il profilo dell’aggregazione statistica e che
consentano di determinare, muovendo dal parametro dell’indebitamento
netto (disavanzo) risultante dai conti economici delle amministrazioni
pubbliche, il volume di debito al quale si è fatto ricorso quale mezzo di
copertura del disavanzo, a propria volta riscontrabile nei conti di cassa che
esprimono il fabbisogno finanziario effettivo dello Stato e delle
amministrazioni pubbliche nel loro insieme.
3. Debito pubblico e deficit in prospettiva dinamica: il caso italiano 1971
- 2005
Il disavanzo del bilancio pubblico, ma soprattutto il reperimento delle
risorse mancanti tramite l’indebitamento dello Stato, pare profilo
caratteristico dell’andamento della finanza pubblica italiana non solo per il
periodo che qui si prende in esame (1971-2005). Storicamente infatti
—seppur con misure differenti, e con motivazioni di base ben spiegabili
dagli eventi che hanno caratterizzato l’evoluzione socio-politica ed
economica della nazione— il ricorso al debito pubblico è sempre stata
opzione costante nelle politiche economiche nazionali.
La Tabella 4 che segue, sotto questo profilo, dimostra quanto ora
ricordato giacché pone in luce, per gli anni che vanno dall’Unità d’Italia
fino ai primi anni Settanta del secolo scorso, il pressoché costante ricorso al
debito quale via per la copertura dei disavanzi di bilancio.
24
Il debito pubblico italiano 1971-2005 nell'apprezzamento economico-aziendale
Tabella 4 – L’evoluzione del debito pubblico italiano 1865 – 1971
Anni
Debito/
Debito/
Debito/
Debito/
Debito/
Debito/
Pil
Pil
Pil
Pil
Pil
Pil
Anni
Anni
Anni
Anni
Anni
%
%
%
%
1915
92 1897
120 1916
83
%
%
1934
98
1953
29
88 1935
96
1954
32
1861
45
1879
1862
46
1880
87 1898
117 1917
98 1936
93
1955
32
1863
60
1881
104 1899
114 1918
112 1937
90
1956
31
1864
70
1882
107 1900
111 1919
124 1938
90
1957
31
1865
78
1883
114 1901
108 1920
125 1939
88
1958
31
1866
77
1884
110 1902
108 1921
123 1940
93
1959
33
1867
78
1885
107 1903
102 1922
121 1941
106 1960
31
1868
82
1886
104 1904
103 1923
116 1942
117 1961
29
1869
86
1887
106 1905
100 1924
111 1943
118 1962
29
1870
96
1888
111 1906
100 1925
96 1944
77
1963
28
1871
87
1889
116 1907
93 1926
63 1945
91
1964
27
1872
79
1890
111 1908
92 1927
61 1946
32
1965
30
1873
70
1891
109 1909
88 1928
63 1947
24
1966
31
1874
75
1892
114 1910
87 1929
64 1948
28
1967
31
1875
84
1893
115 1911
84 1930
68 1949
30
1968
33
1876
95
1894
116 1912
79 1931
76 1950
31
1969
33
1877
85
1895
118 1913
80 1932
84 1951
27
1970
34
1878
90
1896
119 1914
81 1933
90 1952
29
1971
40
Fonte: Relazione della Direzione Generale del Debito Pubblico, Ministero del Tesoro,
1988, p. 90
L’opzione per l’indebitamento, peraltro, si pone in termini molto diversi
a seconda del periodo preso in considerazione; l’incidenza del debito
pubblico, come si è avuto modo di ricordare nel § 1., varia negli anni e ciò
sia per motivi di carattere straordinario —ad esempio il finanziamento
dell’unificazione nazionale o delle due guerre mondiali— sia più in
generale per ragioni di politica economica, variamente fondate sulle logiche
del bilancio in pareggio o sul deficit spending, questo a propria volta
perdurante o congiunturale.
Tuttavia, e ciò risulta anche dalla Tabella 2, escludendo il periodo del
secondo conflitto, gli anni Cinquanta e Sessanta evidenziano una politica di
contenimento sia del deficit di bilancio, sia del conseguente ricorso al
debito, che per quasi tutto il periodo si assesta intorno al 30% del Prodotto
interno lordo; tale dinamica, pare a chi scrive, è spiegata non tanto
dall’assenza di politiche di deficit spending, quanto piuttosto dagli effetti
25
Arnaldo Canziani – Renato Camodeca
compensativi dovuti al rilevante tasso di crescita dell’economia nazionale
nei due decenni ricordati.
Tabella 5– Disavanzo e rapporto Disavanzo/P.i.l. 1951 - 1971
Anni
Disavanzo
Disavanzo/Pil
Anni
Disavanzo
%
Disavanzo/Pil
%
1951
-388
-3,63
1962
-580
-2,00
1952
-584
-5,03
1963
-792
-2,39
1953
-492
-3,84
1964
-817
-2,24
1954
-563
-4,14
1965
-1.546
-3,95
1955
-564
-3,76
1966
-1.831
-4,32
1956
-330
-2,01
1967
-1.269
-2,72
1957
-270
-1,53
1968
-2.028
-4,01
1958
-481
-2,60
1969
-1.720
-3,08
1959
-513
-2,57
1970
-3.234
-4,81
1971
-4.777
-6,54
1960
-382
-1,65
1961
-357
-1,38
Fonte: F. Forte, 1999, p. 104
La situazione economia italiana, a muovere dai primi anni Settanta, muta
profondamente, e con essa mutano gli indicatori di andamento della finanza
pubblica e i connessi valori del bilancio dello Stato.
A valle del mutato modello di sviluppo dell’economia, con il passaggio
dalla domanda interna alla estera quale vettore della crescita; a valle del
biennio 1968-1970 e della sempre maggiore rilevanza delle politiche sociali
(Welfare State); a valle infine degli effetti macroeconomici indotti dalla crisi
del petrolio e dalle congiunture valutarie internazionali (fra cui
l’inconvertibilità del dollaro statunitense), si manifestano pienamente gli
effetti del passaggio dalla finanza neutrale alla finanza funzionale (Arena,
1963). Tali effetti, fra l’altro, risultano comprovati anche dall’importante
riforma legislativa dettata dalla legge 5 agosto 1978 n. 468, la quale
—introducendo la legge finanziaria e il bilancio pluriennale—, ha di fatto
avviato il metodo della programmazione finanziaria nelle scelte di politica
economica.
I dati riportati nelle Tabelle 6 e 7 che seguono, nell’evidenziare la
dinamica da un lato dei rapporti “Deficit/P.i.l.”, “Debito Pubblico/P.i.l.” e
“Spesa Pubblica/P.i.l.” per il periodo 1971-2005, consentono di comprovare
quanto ora ricordato in termini generali, ma soprattutto di entrare nel
26
Il debito pubblico italiano 1971-2005 nell'apprezzamento economico-aziendale
merito del caso italiano di questi ultimi quarant’anni di storia, articolando
convenzionalmente la scansione temporale prescelta in tre sotto-periodi, dal
1971 al 1992, dal 1992 al 2001, infine dal 2001 ai nostri giorni, tutti
rilevanti sia per meglio spiegare l’evoluzione dei valori del bilancio
pubblico, sia dunque per meglio focalizzarne le prospettive future.
Tabella 6 – Disavanzo/P.i.l e Debito pubblico/P.i.l. 1971 – 2005
Anni
Disavanzo/P.i.l.
%
Debito/ P.i.l.
Anni
Disavanzo/P.i.l.
Debito/ P.i.l.
%
%
%
1971
-6,54%
38,27%
1989
-11,22%
96,04%
1972
-7,38%
42,51%
1990
-11,07%
98,69%
1973
-8,29%
43,93%
1991
-10,68%
101,75%
1974
-7,34%
43,95%
1992
-9,50%
108,70%
1975
-10,44%
49,83%
1993
-9,60%
115,90%
1976
-8,50%
48,70%
1994
-9,00%
121,40%
1977
-10,53%
51,27%
1995
-7,70%
124,20%
1978
-13,53%
57,02%
1996
-6,70%
124,00%
1979
-9,81%
56,57%
1997
-2,70%
121,60%
1980
-9,55%
54,82%
1998
-2,80%
116,30%
1981
-11,49%
57,65%
1999
-1,90%
114,90%
1982
-13,35%
62,69%
2000
-1,80%
110,60%
1983
-13,93%
68,25%
2001
-2,60%
109,50%
1984
-13,18%
73,14%
2002
-2,90%
106,70%
1985
-15,13%
80,79%
2003
-3,40%
104,30%
1986
-12,24%
85,19%
2004
-3,40%
103,80%
1987
-11,61%
89,85%
2005
-4,10%
106,4
1988
-11,51%
92,67%
Fonte: elaborazione su dati Bankitalia e Ministero del Tesoro
27
Arnaldo Canziani – Renato Camodeca
Tabella 7 – Spesa Pubblica /P.i.l. 1973 - 2004
Anni
Spesa
pubblica/Pil
(%)
Anni
Spesa
pubblica/Pil
(%)
Anni
Spesa
pubblica/Pil
(%)
Anni
Spesa
pubblica/Pil
(%)
1973
41,83
1981
46,29
1989
51,89%
1997
50,86%
1974
41,18
1982
48,45
1990
53,59%
1998
49,28%
1975
43,75
1983
50,04
1991
53,41%
1999
48,39%
1976
42,88
1984
50,14
1992
56,10%
2000
46,46%
1977
43,43
1985
51,43
1993
57,34%
2001
48,32%
1978
46,57
1986
51,21
1994
54,37%
2002
47,60%
1979
45,95
1987
50,70
1995
53,16%
2003
48,78%
1980
46,64
1988
50,81
1996
52,89%
Fonte : F. Zaccaria, 2005.
Il primo periodo, che muove dal 1971, può convenzionalmente giungere
al 1992, anno di avvio delle politiche di risanamento culminate con
l’introduzione dell’Euro e i connessi mutamenti nelle direttrici della politica
economica e monetaria anche a livello europeo. E’ questo, si è visto, il
periodo della progressiva espansione dei disavanzi del bilancio dello Stato,
coperti dapprima prevalentemente con la stampa di biglietti (1971-1980),
successivamente con emissione di debito oneroso. E’ questo, ancora, il
periodo ove la dinamica della spesa pubblica —in particolare gli interessi
sempre crescenti sul debito e la sempre maggiore incidenza delle uscite
correnti— in parte spiega l’ampliamento progressivo del deficit,
contribuendo altresì ad evidenziare le ragioni che hanno determinato
l’incremento del fabbisogno finanziario.
Il secondo periodo, qui pure convenzionalmente tracciabile fra il 1992 e
il 2001, si caratterizza invece per il convergere degli obiettivi di finanza
pubblica verso i parametri di Maastricht, con la dinamica dei rapporti
Deficit/P.i.l. e Debito/P.i.l. in progressiva riduzione, a livelli giudicati
fisiologici per quanto attiene al parametro del deficit, a livelli non accettabili
secondo le regole europee, ma comunque più contenuti rispetto agli anni
passati, del debito pubblico. Tale risultato, determinato da politiche di
contenimento della spesa e non di meno da azioni sul fronte delle entrate,
trova altresì giustificazione nell’inversione di tendenza nella dinamica dei
saggi di interesse, che ha favorevolmente inciso sulla formazione del
fabbisogno finanziario.
28
Il debito pubblico italiano 1971-2005 nell'apprezzamento economico-aziendale
Il terzo e ultimo periodo, che dal 2001 giunge fino ai giorni nostri, non
consente di svolgere considerazioni conclusive giacché troppo recente; di
certo si ravvisa —nel periodo— – e il significativo rallentamento nella
crescita dell’economia e l’inversione di tendenza nella dinamica del deficit,
anche spiegata —quest’ultima— dalla ripresa delle spese per investimenti.
4. Alcuni problemi della finanza pubblica italiana
Dalle politiche cumulate di disavanzo-debito derivano noti effetti
patologici i) all'economia pubblica, ii) alle psicologie collettive, iii) al
sistema produttivo, iv) alla collocazione internazionale.
Per quanto riguarda l'Azienda-Stato essi sono stati in generale già trattati
al § 1.; ove si tratti poi di processi attuati per largheggiare in spesa corrente
si può soltanto aggiungervi a) la minore qualificazione della spesa pubblica,
b) la produttività via via minore dell'apparato e delle istituzioni statuali, c) la
corruttela progressiva di govenanti e governati.
Riassumendo brevemente gli altri per gruppi si potrà ricordare quanto
segue:
•
•
•
(per le psicologie collettive): minore propensione al lavoro, o
propensione al lavoro pubblico e all'affiliazione partitica;
propensione mista al risparmio, mediamente minore; minore
propensione agli impieghi privati del medesimo; maggiore
propensione ai consumi, oggi ampiamente internazionalizzati;
mutamento infine sistematico delle psicologie singole e collettive,
con l'originarsi progressivo di una classe di <fruitori della spesa
pubblica> —prima diretti poi anche indiretti— dalla produttività
discutibile, ma dalla influenza politica anche ampia;
(per il sistema produttivo): rarefazione dei flussi di risparmio
intercettabili; interazione con propagatori pubblici via via meno
efficienti; perturbamenti nel mercato del lavoro; maggiori flussi di
domanda aggregata per consumi anche voluttuarî ed effimeri, però
prontamente aperti alla concorrenza internazionale; eventuali
difficoltà finanziarie e valutarie ove il sostegno dello stock richieda
l'incremento dei saggi-segnale, o comporti la svalutazione della
divisa nazionale;
(per la collocazione internazionale): modifica artificiale, e via via
peggiore, della collocazione internazionale dal punto di vista
commerciale, valutario, talora finanziario; favore alterno degli
investitori internazionali, almeno fino a che continui il <servizio del
debito> né sia dichiarata l'insolvenza (default); degrado progressivo
29
Arnaldo Canziani – Renato Camodeca
del potere negoziale di tipo lato sensu politico nel concerto delle
nazioni.
Al fine della soluzione di continuità —o comunque del miglioramento—
del plesso patologico <disavanzo d'esercizio - indebitamento statale> i
rimedî sono noti in letteratura sin dal tempo di Massimiliano di Sully (15601641), il grande ministro di Enrico IV che risana le finanze di Francia per
poi ritirarsi a vita privata, e descriverli nelle proprie memorie (1638).
Del resto anche nella pubblicistica oggi corrente si dice occorra:
- dal punto di vista delle grandezze assolute ristabilire l'<avanzo primario>,
- dal punto di vista relativo —e dei giudizî internazionali— migliorare il
rapporto disavanzo/Pi.l.
Ora, questa seconda annotazione si ricollega da un lato appunto al
volume del P.i.l., dall'altro, ancora una volta, all'avanzo primario.
Tralasciando qui il problema delle dimensioni e della dinamica del Prodotto
interno lordo (in parte noto, in parte estraneo a questa sede), si ritorna
dunque al suggerimento tante volte oggi predicato —anche con toni
dottrinali— quale nuova panacea: <ristabilire l'avanzo primario>.
Il punto, anche alla luce del § 2. supra, è meno immediato di quanto non
sia a dire; e potrebbe anche venire descritto nei due tempi denominabili a)
azzeramento del fabbisogno primario, b) generazione di avanzo primario.
Al fine di ricostituirlo, d'altra parte (cfr. i §§ 1. e 2.), esistono
sostanzialmente i soli modi seguenti, che sono poi quelli tradizionali della
Finanza pubblica classica e dell'Economia aziendale di sempre
[aprioristicamente escluse dunque le vie pur possibili —storicamente
note— i) dell'inflazione della circolazione, ii) del disconoscimento del
debito sovrano]:
1. applicazione della struttura impositiva data a un accresciuto volume
di P.i.l.;
2. aumenti di gettito tributario per inasprimento delle imposte ordinarie
(dirette o indirette) o per imposte nuove;
3. imposte straordinarie una tantum;
4. privatizzazioni-cartolarizzazioni anche speciali, il cui gettito venga
peraltro versato in <Casse di Ammortamento del Debito Pubblico>
come nella Francia degli anni Trenta o negli Stati Uniti d'America
dei nostri giorni (questo sì ai fini finanziarî, ma complementarmente
deontologici, politici, pedagogici e commotivi).
Peraltro, gli esiti delle vie ora ricordate (non di rado, e opportunamente,
complementari), andranno poi valutati —negli importi, nelle scadenze,
30
Il debito pubblico italiano 1971-2005 nell'apprezzamento economico-aziendale
negli effetti eventualmente deflattivi sul sistema, nelle conseguenze
finanziarie, sociali e politiche— in funzione del rapporto fra le variabilichiave note in letteratura, fra le quali ci si limita qui a rammentare:
i.
ii.
iii.
iv.
l'extra-gettito di cui al n. 1., da acclararsi ragioneristicamente in
effettivo, e non astrattamente secondo soluzioni esatte di più o meno
plausibili equazioni macroeconomiche;
lo stock esistente di debito, anche nella sua distribuzione per importi,
per scadenze, per saggi;
il costo del <servizio del debito>,
la potenzialità tributaria di breve e di medio periodo, e gli effetti dei
nn. 2. e 3. citati sia sul gettito effettivo (e sulla sua distribuzione
temporale) sia, più ampiamente, sull'efficienza produttiva del sistema
(compresa l'eventuale depressione del P.i.l. medesimo).
Nell'attesa, è peraltro noto che importi difficilmente pronunciabili di
debito pubblico inducono comunque problemi gravosi, oltre a quanto più
sopra variamente ricordato, anche da due specifici punti di vista:
1. della struttura che lo stock del debito viene ad assumere nel tempo
nell'incrocio fra scelte politiche, esigenze di finanziamento, volontà
tecniche e varia risposta dei mercati;
2. della gestione dello stock medesimo.
Per quanto riguarda la struttura si ricomprendano in essa le seguenti
variabili: a) l'ammontare totale del debito, suddiviso per struttura di
scadenze, e posto in relazione sia con il P.i.l. sia —per i motivi ricordati—
con le entrate tributarie stabilizzate nonché con l'avanzo/disavanzo primario;
b) il classamento dello stesso in portafogli interni o internazionali, privati o
pubblici, familiari o istituzionali; c) i saggi di interesse nominali, d) la
volatilità del medesimo, in funzione delle dinamiche standard (nonché
straordinarie) dei flussi finanziarî internazionali, del fattore (c) supra, e
degli fattori nazional-tipici.
A) In tema di ammontare assoluto, lo stock italiano ha superato 1.500
miliardi di Euro, ed è uno dei primi tre al mondo; come ammontare
relativo, esso è pari al 105% del P.i.l., rispetto al 27-33% del periodo
1948-1969. La struttura di scadenze è preponderantemente accentrata sul
breve periodo.
B) Il classamento, largo in precedenza nei portafogli nazionali, ora è per
circa l'80% in portafogli internazionali (stima), eminentemente pubblici o
comunque istituzionali.
31
Arnaldo Canziani – Renato Camodeca
C) Il saggio di interesse nominale, già maggiore fino a 200-250 punti-base
al tempo della denominazione in lire, riavvia (mentre si scrive) tale
tendenza, esso quotando circa 20 punti-base rispetto a prestititi
comparabili denominati in Euro emessi da altri Stati sovrani.
D) La volatilità —che necessiterebbe beninteso di informazioni altre per
venire adeguatamente valutata— pare temporaneamente acquetata dalla
(ri)denominazione in Euro di vaste masse di investimenti internazionali
non-azionarî, ri-denominazione che probabilmente attutisce (occulta?)
pro tempore la continua ricollocazione fra emittenti, e fra scadenze
relativamente al medesimo emittente (cfr. anche ultra).
I ricordati mutamenti nella struttura sia sono produttori autonomi di
ulteriori modifiche strutturali, sia manifestano effetti di rilievo nei processi
di gestione dello stock.
La ri-denominazione in Euro del debito dello Stato italiano, se ne ha
favorita la stabilizzazione relativa come pure il minor costo assoluto —vuoi
per la stabilizzazione citata vuoi per la sottomissione alle restrittive politiche
monetarie dell'Unione—, ne ha anche indotto l'internazionalizzazione
ampia e definitiva, questa nondimeno favorita dalle politiche di
smobilizzazione delle famiglie italiane per finanziamento di investimenti
immobiliari o di consumi effimeri o durevoli (e favorita anche da
investimenti estero-vestiti?). Ma con l'ingresso in un mercato secondario
infinitamente più ampio, se si è guadagnato in stabilità e liquidabilità, è
comunque diminuito, fra l'altro, il potere sovrano —diretto e indiretto—
dell'emittente sui sottoscrittori.
Tale internazionalizzazione di prenditori, nel passaggio da residenti a
non-residenti, si è inoltre traslata da portafogli generalmente privati (o di
istituzioni nazionali) a portafogli degli operatori finanziari internazionali,
tipicamente le grandi banche globali.
Questa traslazione non è senza effetti sulla stabilità dello stock
medesimo: maggiore per la ri-denominazione ricordata, essa può tornare a
volatile giacché gli investitori di cui trattasi sono operatori specializzati,
descrivibili anche come marginali nel senso che applicano la logica
dell'efficienza marginale (Leporati, 1987).
Essi sono quindi i) acquirenti all'ingrosso, ii) contraenti sistematicamente
attenti alla qualità del debito (rating)(e anche più sensibili alla sola qualità
percepita?), iii) valutatori anticipati, iper-critici sia delle convenienze
comparate sia del rischio di interesse nelle sue varie forme (Leporati, id.).
Essi possono dunque caratterizzarsi, nell'ampliarsi delle partite o nel
deteriorarsi del rischio-paese, per preferenze anche rapidamente volatili (ad
32
Il debito pubblico italiano 1971-2005 nell'apprezzamento economico-aziendale
esempio preannunciate sull'interbancario) nonché per pressioni sui prezzi
anche con grandi volumi, così anticipando-accentuando-accelerando il rigiro
delle partite rispetto al trend.
La distribuzione prevalente sul breve rispecchia condizioni molteplici sia
di mercato sia di politica del bilancio pubblico e di soddisfacimento delle
esigenze di esso. Rispecchia dunque fra gli altri i fattori seguenti:
• la frequente pressione del fabbisogno di cassa;
• il <potere di mercato> degli acquirenti per timing-scadenze-volumicaratteristiche tecniche (Ranuzzi, 1989);
• l'impossibilità (o l'onerosità) di emissioni a medio-lungo termine;
• la difficoltà di allungare la durata media del debito e la vita media delle
emissioni anche per i timori di rischio-interesse da parte dei prenditori (i
titoli a breve sono senz'altro più flessibili, ma fatalmente plasmati sulla
famiglia dei saggi di interesse correnti comparati —più l'eventuale risk
premium—, dunque sia forieri di alterni vantaggi al discendereascendere e stabilizzarsi dei saggi, sia produttivi di effetti per tutte le
famiglie di saggi variamente riconducibili al breve); infine,
• processi di gestione non sempre unificati nel senso di Tobin.
Forse, il miglioramento della situazione potrebbe risultare
esclusivamente dalla realizzazione dei nn. 1-4 supra (cfr. p. 29).
In realtà, come in tutte le ristrutturazioni economiche d'azienda —in
particolare reddituali-finanziarie—, le misure ricordate ivi potrebbero
costituire un unicum strutturale di politica economica (con risvolti anche
internazionali) il quale potrebbe apportare vantaggi funzionali (i.e. ai profili
di gestione finanziario-monetarî citati) che, a propria volta, contribuirebbero
all'ulteriore miglioramento strutturale: per questo le aziende —e fra essi
l'Azienda-Stato— sono sistemi unitarî nello spazio e nel tempo.
Si potrebbero quindi ipotizzare, quale effetto congiunto —certo né
immediato né semplice, una volta ridotto (o addirittura invertito?) il riskpremium dunque migliorata la famiglia di costi unitarî—:
•
•
l'allungamento della durata media del debito, dunque il
miglioramento della sua struttura per scadenze;
la progressiva trasformazione a saggio fisso per classamento di grandi
emissioni "in tendenza", ove sia poi lasciato al mercato —via
stripping, strapping, hedging et al.— di costruirsi le sofisticate
famiglie di portafogli che così ben corrispondono alla di lui
specializzazione.
33
Arnaldo Canziani – Renato Camodeca
5. Conclusioni
I problemi dell'equilibrio —o del minore squilibrio— del bilancio
pubblico dello Stato italiano, e dei grandi aggregati della finanza pubblica,
costituiscono ormai oggetto quotidiano della cronaca economico-politica, e
la complessità della situazione è così nota da consentire di non trattenervisi
in questa sede.
Peraltro, pareva rilevante ai co-autori —prima di trattare il tema in modo
più organico anche per identificare gli ipotetici rimedî— precisare alcune
riflessioni riferibili a due punti prevî, economico-tecnici.
Il primo riguarda le quantità in discorso le quali —siano esse reddituali,
patrimoniali, monetarie o finanziarie— sono di natura economico-aziendale
e di determinazione ragioneristica, con quanto deve conseguirne dal punto
di vista:
a. della natura delle grandezze,
b. dei principî della loro determinazione, incluso il non irrilevante
problema del perimetro di riferimento,
c. dell'analisi di fondi e di flussi e per cassa e per competenza;
d. della combinazione —e della manovra— economico-tecniche delle
grandezze medesime.
Il secondo concerne la logica di gestione dell'azienda pubblica
territoriale, difficile mixtum —dall'Attica, da Mitridate Eupator Re del
Ponto, dalla Roma repubblicana— di economia e di politica, di idealità e
ideologie, di altruismi e interessi privati: talora l'incivilimento dei filosofi
antichi riproposto poi da Giandomenico Romagnosi, talaltra il sulfureo, non
infrequente ladroneccio della cosa pubblica.
Quella gestione va cioè pensata (ri-pensata?) sulla base dei principî
propriamente economico-aziendali dell'equilibrio economico (reddituale,
patrimoniale, finanziario-monetario) inter-temporale, dello sviluppo, della
crescita. Abbandonando così ipotesi macroeconomiche talora insensate
nelle loro premesse —dunque nefaste nelle loro conseguenze—, per
fondare viceversa proprio in quei principî le prescrizioni (e le progettualità
futuribili) della politica economica e della finanza pubbliche.
34
Il debito pubblico italiano 1971-2005 nell'apprezzamento economico-aziendale
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