Sportelli aperti alla teoria. In: Il sole 24 ore, 24 giugno 2001, p. III

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VETRINA
IL SOLE-24 ORE
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Domenica 24 Giugno 2001— PAGINA III
- UN INEDITO DI MATTIOLI
di Sandro Gerbi
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enerdì 29 maggio 1959 ventisette economisti delle
banche mondiali
giunsero a Milano, invitati dalla
Banca Commerciale Italiana (due
giorni dopo si sarebbero trasferiti
a Sirmione, sul lago di Garda, per
una prima settimana di discussioni
informali e confidenziali). Sistemati i bagagli all'hotel Continental, si
recarono a un cocktail nella sede
della Comit, in piazza della Scala,
per poi seguire il senior economist, Antonello Gerbi, in una visita guidata all'Ufficio studi della
banca, da lui diretto. Infine, tutto
il gruppo con l'aggiunta di qualche direttore centrale si trasferì al
ristorante Savini, in Galleria. Fu in
quella occasione conviviale che
Raffaele Mattioli, all'epoca amministratore delegato della Comit,
pronunciò in inglese il breve di-
Sportelli aperti alla teoria
scorso di benvenuto ufficiale, il
cui testo viene qui pubblicato per
la prima volta. Chi ha frequentato
Mattioli non stenterà a riconoscerne l'eloquio brillante, il gusto per
le citazioni e la pungente ironia.
Era la sesta volta che gli economisti di banca si davano appuntamento. Tutto era cominciato verso
la metà degli anni Trenta, con il
pressoché simultaneo sviluppo degli uffici studi delle principali
aziende di credito internazionali.
Poiché in ogni parte del mondo gli
economisti tendono a pensare in
termini simili e a parlare la stessa
lingua, i responsabili di alcuni uffici studi avevano trovato proficuo
incontrarsi di tanto in tanto con i
colleghi e discutere i reciproci metodi di lavoro. Si erano così formate delle solide amicizie individuali
tra un oceano e l'altro, specie tra i
rappresentanti della Berliner Handelsgesellschaft (Arzet), della Midland Bank (Crick), della Svenska
Handelsbanken (Norberg) e della
First National City Bank (Roberts). A costoro venne l'idea di organizzare degli incontri più regolari,
avvalendosi del convinto sostegno
dei vertici della Midland, nelle per-
sone del suo presidente, il famoso
Reginald McKenna, e dell'amministratore delegato, Frederick Hyde.
Fu così che la bella cittadina di
Eastbourne, sulla Manica, tra il 5 e
il 18 giugno del 1937 potè ospitare
il primo congresso internazionale
degli economisti di banca, con 15
partecipanti di 11 Paesi (Gerbi per
la Comit): un successo, per l'agenda informale e il carattere pratico
del dibattito (sul modus operandi
dei vari uffici studi, sui metodi di
controllo del credito, sui singoli
andamenti economici, eccetera),
tanto più notevole in un periodo di
forti tensioni internazionali (postsanzioni). Il successivo incontro
era programmato per il 1940, ma
lo scoppio della guerra ne determinò l'inevitabile rinvio. Si dovette
aspettare il maggio del '47 per
poter ripetere l'esperienza. Toccò
ancora una volta, a mo' di auspicio, a Eastbourne. Sul tappeto la
ricostruzione postbellica' (in quei
giorni fu annunciato il «piano Marshall»), i problemi monetari del
momento e i sistemi bancari dei
vari Paesi. Due i partecipanti italiani: Enrico Cuccia per la Banca di
Credito Finanziario (poi Medio-
banca) e ancora Gerbi, questa volta però in rappresentanza del Banco de Crédito del Peni (tornerà
alla Comit nel '48).
Seguiranno Atlantic City nel
1950, Benelux nel 1953, Canada
nel 1956 e per l'appunto Italia nel
1959, con un calendario più fitto
del solito: due settimane di lavori,
la prima come accennato a Sirmione e la seconda a Rapallo, in un
clima di grande fiducia da parte
europea, all'indomani della costituzione del Mec, con una particolare enfasi sui problemi monetari
e sui rischi di inflazione. Il tutto
corredato da spedizioni culturali,
una cena da Ernesto Fassio (nella
sua villa di Portofino) e una "coda" turistica di quattro giorni a
Napoli e dintorni, da cui gli economisti di banca
usciranno esausti ma assolutamente inebriati.
Raffaele Mattioli al museo
di Paestum nel 1960; in
alto, Mattioli negli anni '30
(foto di Antonello Gerbi)
di Raffaele Mattioli
ari amici, è stato, se
C
ben ricordo, un vostro
collega-economista,
John Maynard Keynes, ad affermare che non si dovrebbe
prestare alcuna attenzione a
ciò che i banchieri dicono,
bensì a ciò che fanno.
Se fossi disposto ad accettare a scatola chiusa questa
asserzione, dovrei semplicemente sedermi, e rinunciare
al piacere di rivolgermi a
voi. Ma cerchiamo di guardare un po' più da vicino a ciò
che Lord Keynes ha inteso
effettivamente dire (ho constatato che approfondire le
sue battute più "provocatone" è sempre un'esperienza
proficua) e ci accorgeremo
che dopo tutto un banchiere
in conversazione non è peggio di una donna in preghiera
— e una donna in preghiera,
come abbiamo appreso dal
dr. Johnson — non è peggio
di un cane deambulante sulle
zampe posteriori.
Mi sembra peraltro che la
stoccata di Keynes non fosse
rivolta contro le opinioni teoriche di alcuni banchieri, né
contro i tentativi spesso insinceri di dare un assetto razionale alle loro decisioni, né,
naturalmente, contro i discorsi dei presidenti e così via,
che si avvalgono di una duplice protezione: da un lato,
ed è una verità ovvia, questi
stessi discorsi attengono più
a quanto i banchieri fanno
che non a ciò che dicono;
dall'altro, spesso e volentieri sono ahimé redatti da economisti professionali, o addirittura professorali.
L'accento della battuta di
no è
Nel dialogo con gli studiosi
non bisogna cercare
un'Ispirazione Superiore
ma buoni suggerimenti
per fare scelte più. sagge
Keynes andrebbe allora spostato sulla parte terminale
della frase: osservate ciò
che i banchieri fanno. Prendete l'attività pratica dei
banchieri come un esempio
concreto da analizzare e da
cui trarre vantaggio. Guardateli, e cercate di dare un senso alle loro azioni.
Naturalmente questa mi
pare un'interpretazione molto più lusinghiera. Poiché io
sono un banchiere pratico,
la mia vanità è solleticata
quando la mia routine quotidiana, assoggettata a un riesame radicale, diventa qualcosa di ricco e singolare, trasformandosi come per magia nel nobile materiale da
cui dotti economisti traggono leggi e teoremi.
Ma, allo stesso tempo, divento un poco sospettoso. Temo che ci stiamo troppo avvicinando a quella pericolosa
mezza verità, secondo cui
l'attività dei banchieri è qualcosa che va al di là delle
motivazioni razionali, una
sorta di istinto, una specie di
talento, un effetto dell'intuito, o di misteriose premonizioni, che pongono il banchiere in un'appartata adorazione delle Forze Economiche e in una mistica identificazione con esse.
Questa è una leggenda che
va combattuta e distrutta. Il
banchiere è un membro della
comunità degli affari, non ne
è distaccato, e men che meno
è al di sopra della clientela,
non dispone di alcun filo
diretto con il Cielo né di
alcun tripode fumante su
cui ergersi o sedersi. Deve
usare il proprio cervello, come chiunque altro, se è provvisto di cervello; e pagare,
come chiunque altro, se ne è
sprovvisto.
Nulla può aiutarlo, certamente non l'Ispirazione Superiore, se ignora i fatti, giudica male gli avvenimenti o si
basa su prove obsolete. E
questo è il punto in cui voi
entrate nel quadro. Non presumo di conoscere il rapporto di ciascuno di voi con il
management delle vostre
banche -- eer acnte i singoli casi differiscono molto
fra di loro — ma altrettanto
certamente voi tutti contribuite a rendere la gestione delle vostre banche un'attività
più seria e meno "profetica".
Voi fornite gli strumenti, le
verifiche e gli stimoli che
impediscono agli amministratori di credersi essi stessi infallibili o ispirati da Dio.
Voi rendete le loro vite talvolta più difficili e agitate,
più piatte e terra-terra. Ma
questo è un processo salutare. Dopo una conversazione
con il proprio economista, il
banchiere pratico è spesso
un uomo più triste, ma di
solito anche più saggio.
VESPE
Isabella, la Dark Lady che volle diventare santa
4ra la Dark Lady dei cannibali, il prototipo della «cattiva ragazza». Intingeva il pennino nel sangue e nel fiele, per fare
inorridire i benpensanti con la benedizione del marketing. Ma
ora Isabella Santacroce è diventata grande, ha cambiato strategia.
Dimenticati chiodi e piercing, ha scritto un libro in simil-versi, Lovers
(Mondadori), che il risvolto di copertina definisce «una canzone
sull'amicizia e sulla giovinezza». E per confermare l'autenticità di
questa trasfigurazione, ha aggiunto una dedica che commuoverà i
vescovi: «Alla mia famiglia con amore». Ormai è chiaro: Isabella ha scoperto la vera
vocazione implicita nel suo cognome. Si è incamminata sul sentiero della santità. Il suo
nuovo libro, promette l'editore, è una «narrazione-canto che fluisce con un moto ondoso
analogo a quello del mare testimone alla vicenda delle due protagoniste». Per la verità,
di moto ondoso non c'è quasi traccia. Solo una bonaccia di leziosaggini e di manierismi
tardo-dannunziani, come «rincorrendo voluttà in pomeriggi che diventavano notte nella
stanza del desiderio», o «lei era solo l'amante da amare senza amore». Insomma, sotto il
sado-maso, niente.
F1
Ora vi renderete conto
del perché io sia felice di
accogliervi a Milano, e perché guardi alla vostra prossima settimana di discussioni
a Sirmione con il vivo rammarico di chi non potrà essere presente.
Ma perché Sirmione?... Li
avrete informazioni su tutti i
grandi poeti, a cominciare da
Catullo e Virgilio, collegati
al luogo. Ma l'idea di scegliere Sirmione ci è venuta dal
più grande di tutti, da William Shakespeare. Voi sapete che una delle sue opere
più deboli è I due gentiluomini di Verona. E ben presto
saprete, entrando a Sirmione, che la zona è di fatto un
promontorio boscoso, sulla
via tra Milano e Verona.
Ora, aprite i Due gentiluomini, e leggete: «Atto IV, scena I, Una foresta tra Milano
e Verona. Entrano alcuni
masnadieri...».
Ciò che segue, tra economisti o tra briganti, non è
affar mio. Ma lasciate che vi
ricordi — e me ne complimento con voi — che secondo Shakespeare quegli esseri
posti al bando sono alla fine
riconosciuti come:
uomini dotati di grandi
qualità...
...Sono pentiti, cortesi,
d'animo buono.
E degni di alti incarichi,
nobile Signore!
E poiché quel Signore, il
Duca di Milano, è d'accordo, io non posso fare altro
che unirmi a lui augurandovi di partecipare a questo
Congresso e di concluderlo,
come egli dice,
Con trionfi, allegria
e rara solennità