IMPRESA & CULTURA Il -i che faceva affari e cultura Centodieci anni fa nasceva Raffaele Mattioli, il più grande banchiere italiano del Novecento. Una figura che, in un impietoso confronto i con il panorama attuale, ha ancora molto da insegnare al mondo politico e finanziario italiano di FRANCESCO BOGLIARI l 1100 non è uno di quegli anniversari che si celebrano spesso, vicino com'è al 1000 e in attesa di arrivare al 150°. Ma se cade in un momento particolare, in cui accadono cose rilevanti che appartengono al mondo dello scomparso, e se lo scomparso è figura di grande autorevolezza, capace di dire ancora qualcosa a quel mondo, allora ben venga l'occasione di un anniversario "debole". Stiamo parlando del mondo bancario e di uno dei suoi più grandi attori, Raffaele Mattioli, che venne al mondo il 20 marzo 1895 e attraversò da protagonista tutto il secolo scorso, fino alla morte avvenuta a Roma nel 1973. I REALISMO CONTRO DEMAGOGIA La parola magica "miracolo economico" non lo incantò mai. Avverso com'era alla retorica, alla demagogia e all'ottimismo superficiale, preferiva affrontare la diagnosi dell'economia con lucido realismo, non senza un pizzico di ironico e aristocratico distacco. Il "punto sulla situazione" andava fatto senza L'IMPRESA - N.6/2005 - PAG. 74 compiacimenti, ma recuperando — diceva — "l'originario senso nautico dell'espressione: ossia l'accertamento di quante miglia abbiamo percorso, e a quanti nodi, sotto l'influsso di quali costellazioni procediamo e verso quali porti, prossimi e remoti, abbiamo indirizzato la nosti.a rotta". Con questa prosa elegante e sobria, Raffaele Mattioli apriva la relazione al Consiglio di amministrazione della Banca Commerciale Italiana per l'esercizio 1960. La crescita dell'economia italiana era esaminata con equilibrio, le cause e la natura del "miracolo" ricondotte alle loro giuste dimensioni, il futuro visto con critico realismo. "Non bisogna farsi illusioni", concludeva in una pagina rimasta giustamente famosa. "I problemi che ancora assillano l'Italia sono tanti e tali che le risorse disponibili vanno inventariate e utilizzate secondo una ben graduata e concatenata scala di priorità. Solo in tal modo si arriverà a far si che la nostra capacità di produrre e di consumare cresca senza interruzione, ossia, nel linguaggio corrente, che il 'miracolo' continui e diventi tanto normale e quoti: diano che a nessuno venga più in mente di chiamarlo 'miracolo". Raffaele Mattioli, rara figura di "uomo integrale", come pochi altri ha lasciato seri profondi in tutti i campi fondamentali della, vita italiana del XX secolo. Ci si trova un P° smarriti di fronte a tanta poliedrica comPles.: sità: il banchiere, l'economista, l'umanista, Politico, l'editore, l'organizzatore di cultura, il collezionista formano in lui una inestricabile unità, che è possibile scindere solo artificiosamente, nel difficile tentativo di analizzarla e descriverla. Nato a Vasto, in Abruzzo, nel 1895, partecipò alla guerra tra gli interventisti democratici. Ferito e decorato, fu poi a Fiume con D'Annunzio. Laureatosi in Economia a Genova nel 1920, due anni dopo diventò segretario della Camera di commercio di Milano, dove rimase fino al 1925. Nello stesso periodo insegnò Economia politica e Politica economica all'Università Bocconi. Nel 1925 entra alla Banca Commerciale Italiana (Comit) come segretario Particolare del presidente Giuseppe Toeplitz. Nel 1931 diventerà direttore centrale e nel 1933 amministratore delegato, contribuendo personalmente allo stesso tempo a costituire l'Iri, risposta italiana alla crisi economica dei primi anni Trenta. Tutta la sua vita è legata a quella del grande istituto di credito milanese che, nato nel 1894 con capitale straniero (soprattutto tedesco), fu uno dei centri propulsori dell'economia italiana e uno s trumento decisivo per il decollo di una moderna struttura industriale. MEZZO SECOLO ALLA GUIDA DELLA COMIT Nei lunghi anni trascorsi alla guida della Comit (nel 1960 lascia le cariche di direttore centrale e amministratore delegato per assu!nere quella di presidente, che manterrà fino al. 1971, due anni prima della morte), Mattioli è uno dei protagonisti di maggior rilievo dell'economia italiana. Fondamentali le sue considerazioni sul ruolo e sulla natura del credito, all'interno di una concezione dell'econonlia che tendeva a privilegiarne gli aspetti strutturali rispetto a quelli monetari. Era il credito, e non la raccolta, la ragione vitale del- l'esistenza di una banca, e il rapporto impieghi/depositi doveva sempre Secondo Plattioli mantenersi elevato, perché la vitalità del sistema economico dipendeva era il credito dalla capacità delle banche di eserci- e non la raccolta tare nella maniera più efficace l'in- la ragione vitale termediazione finanziaria. dell'esistenza Gli istituti di credito, insomma, non dovevano puntare alla rapida massi- di una banca, mizzazione dell'utile ma guardare e il rapporto oltre l'immediato, alla crescita com- impieghi/depositi plessiva del sistema, la sola condiziodoveva sempre ne che avrebbe permesso alla banca il conseguimento di profitti non mantenersi elevato. occasionali. Sulla base di questa filosofia nacque Mediobanca, istituto specializzato in finanziamenti a medio termine che Mattioli promosse nel 1946 riuscendo a coinvolgere nell'iniziativa, oltre alla Comit, le altre banche di interesse nazionale. Niente di più lontano dal gretto spirito bottegaio, dall'ingordigia di tanti industriali e finanzieri che facevano del A centro pagina, "pochi, maledetti, subi- Raffaele Mattioli. to" il loro motto. Mat- Le immagini tioli guardava al sistema che illustrano creditizio come alla base, questo articolo provengono al polmone della crescita dall'Archivio industriale italiana, in Storico grado di garantire quel di Banca Intesa, credito a medio e lungo patrimonio Banca termine, che a un più alto grado di rischio Commerciale univa però un più alto tasso di ritorno sul- Italiana (Asi-Bci) l'investimento, sia per le banche sia per il Le carte di Mattioli, sistema economico nel suo complesso. sono divise Questa filosofia faceva di Mattioli un capitali- in due fondi: sta "diverso", ammirato dalla finanza interna- gli atti della zionale ma temuto, e forse poco amato, dal- Segreteria degli amministratori l'establishment economico italiano, di cui ben delegati di Comit conosceva i vizi e verso il quale spesso non (1926-1972) mancava di mostrare un aperto disprezzo. e le carte Mattioli è stato uno dei pochi "grandi bor- "personali di lavoro" ghesi" che il nostro Paese abbia avuto. Un'I- (1925-1972). talia priva di cultura industriale, dove il ban- L'IMPRESA - N.6/2005 - PAG. 75 IMPRESA & CULTURA A destra, Raffaele Mattioli e Michelangelo Facconi, caricatura di Giorgio Tabet (1933). chiere abruzzese (ma anche, su un piano diverso, Luigi Einaudi) rappresentava più l'eccezione che la regola. IL BANCHIERE UMANISTA Se scorriamo i titoli degli articoli apparsi in occasione della sua morte (avvenuta a Roma il 27 luglio 1973), le espressioni più ricorrenti che troviamo sono queste: "banchiere umanista", "banchiere mecenate", "banchiere letterato". In realtà non era di per sé un fatto straordinario che un banchiere fosse anche un umanista. Ma - come scrisse Eugenio Montale - "resta raro e quasi incre"Resta raro e quasi dibile che le due componenti, l'economia e l'humanitas, si siano incredibile che le due integrate senza produrre un moncomponenti, l'economia strurn, un uomo più ammirabile e l'humanitas, si siano che accostabile". Qualcuno ha detto che Mattioli fu integrate senza produrre uno degli ultimi appartenenti alla un monstrum." generazione cresciuta nel culto del EUGENIO MONTALE Risorgimento. La sua formazione culturale è infatti legata al laicismo combattivo e tollerante dei grandi intellettuali napoletani dell'Ottocento, come Silvio e Bertrando Spaventa. La sua stessa partecipazione come volontario alla prima guerra mondiale - che considerava l'atto conclusivo del Risorgimento - è una conferma degli umori che nutrirono la crescita intellettuale del giovane Mattioli. Umanista fu per scelta e connaturata predisposizione, e la pratica delle lettere non fu per lui un semplice hobby, per quanto geniale potesse essere. Nel 1925 rese possibile, con un adeguato finanziamento, l'uscita della Fiera letteraria di Umberto Fracchia e Giovanni Titta Rosa; poi, negli anni Trenta, contribuì a far rinascere La Cultura, dopo la LIMPRESA - N.6/2005 - PAG. 76 morte di Cesare De Lollis. Durante il periodo fascista continuò a studiare i classici dell'economia, della storia, della filosofia e della letteratura, facendo della sua casa un polo di attrazione per quegli intellettuali laici che sarebbero stati i protagonisti della rinascita culturale italiana del dopoguerra. Legato da affinità elettive con l'intellighentsia laica napoletana raccolta intorno a Benedetto Croce, Mattioli si accollò il gravoso onere di salvare e valorizzare il grande patrimonio crociano assumendo la direzione dell'Istituto Italiano per gli Studi Storici di Napoli alla morte del fondatore nel 1952. Sempre a Napoli è legata la sua più importante esperienza editoriale, la direzione insieme ad Alfredo Schiaffini - dopo la morte di Pietro Pancrazi - della Letteratura italiana. Storia e testi della casa Ricciardi: 64 splendidi volumi divenuti celebri anche per la raffinata eleganza tipografica. Mattioli fu collezionista e mecenate (si ricorda la sua predilezione per Morandi) e fondatore a Firenze della Fondazione Roberto Longhi per la storia dell'arte; e anche traduttore di Shakespeare e Coleridge, finanziatore del Vocabolario della Crusca, sostenitore del prestito internazionale Per Venezia. La sua testimonianza forse più alta esempio di cultura letteraria ed economica sono le relazioni annuali alle assemblee gene" rali della Comit: testi da antologia in cui l'analisi acuta e spregiudicata della situazione economica del Paese è condotta con un'ele: ganza linguistica, un'esuberanza di umori intellettuali, una freschezza di intelligenza d9 lasciare stupiti ancora oggi. MATTIOLI "POLITICO" Mattioli "politico", infine. Non a ppartenue mai a un partito, ma la sua fu una delle figu re principali della democrazia laica che si opP°- se al fascismo e tentò di dare all'Italia dell'immediato dopoguerra un volto più civile di quello che ebbe. Durante gli anni del fascismo — pur restando al suo posto e non scegliendo la strada dell'opposizione aperta — mantenne rapporti clandestini con la direzione estera del Partito comunista tramite l'amico Piero Sraffa, professore di Economia a Cambridge. In quegli anni la Comit diventò una specie di università "segreta" della classe dirigente antifascista: Vi si studiavano Keynes, il laburismo inglese, il fabianesimo, il New deal americano. Fu Mattioli che salvò — conservandoli nelle casseforti della Comit — i Quaderni del carcere di Antonio Gramsci, prima di farli arrivare, sempre per mezzo di Sraffa, a Togliatti in Francia. Di Togliatti fu amico ed estimatore, ma rapporti di affinità ideologica particolarmente stretti lo legarono agli esponenti del Partito d'azione (Ugo La Malfa, Adolfo Tino), di cui durante la Resistenza salvò Pubblicazioni e documenti nascondendoli nelle stesse casseforti che avevano occultato i Quaderni gramsciani. La Comit di Mattioli fu, direttamente e in direttamente, un importante punto di riferiment o (che spesso significò la salvezza) Per ebrei, perseguitati politici, economisti eretici" (come Ugo La Malfa) o di formazione troppo anglosassone (come Giovanni Malagodi) per essere graditi al fascismo. Corrie riconoscimento per il sostegno prestato alla Resistenza, all'indomani della liberazione Mattioli volò a Washington per trattare con gli alleati. Fu la prima di una serie di missioni economiche all'estero — alcune delle quali nei Paesi comunisti — che ne confermarono la statura internazionale: tra le sue cariche vanno ricordate le vicepresidenze della Banque Frangoise et Italienne pour l'Arneriq ue du Sud e della Banca della Svizzera Italiana, l'appartenenza alla Royal Econurnic Society di Londra e all'American Economic Association di Chicago, l'attività In alto, di consulente dell'International Finance la segreteria Comit di Giorgio Corporation di Washington. Toepliz nel 1926: Sempre nel dopoguerra assistette impotente da sinistra, allo scioglimento del Partito d'azione, strin- Emilio Brusa, se amicizia con i cattolici Ezio Vanoni ed Giulio Stock, Raffaele Mattioli Enrico Mattei, assunse Leo Valiani alla e Valentino Bona. banca e appoggiò discretamente la svolta di centrosinistra del Paese. "Sono un liberale", dichiarò in un'intervista a Corrado Stajano, "con una tale dose di anarchia che Negli anni della dittatura mi consente di non essere necessa- la Comit di Mattioli fu riamente democratico. Sono un con- una specie di università servatore, ma con tale dose di senso storico che mi consente di non esse- "segreta" della classe dirigente antifascista. re necessariamente anticomunista". Una figura del genere andrebbe studiata e rivalutata come merita. Se non altro per incoraggiare quanti — in Italia e all'estero — non vogliono arrendersi a credere che i protagonisti del nostro mondo bancario e finanziario siano quelli che hanno riempito le pagine dei giornali — italiani e stranieri — di questa ultima deprimente estate. LIMPRESA - N.6/2005 - PAG. 77