UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI FIRENZE Facoltà di Scienze M.F.N. Corso di Laurea in Matematica Prof. Andrea Stefanini Appunti aggiuntivi al corso di LABORATORIO DI FISICA 2 CIRCUITI IN CORRENTE CONTINUA Anno Accademico 2009-2010 1 1 Introduzione Si definisce circuito elettrico un insieme di elementi collegati tra loro allo scopo di trasferire energia elettrica. Gli elementi ideali fondamentali che possono contribuire a formare un circuito si dividono in due categorie: elementi passivi ed elementi attivi. Appartengono alla prima categoria quegli elementi, come i resistori, i condensatori e gli induttori, che dissipano o immagazzinano energia. Fanno invece parte della seconda i generatori di tensione e quelli di corrente che forniscono energia agli elementi passivi inseriti nei circuiti di cui fanno parte. Il generatore ideale di tensione è una sorgente di energia capace di fornire ai propri terminali una differenza di potenziale elettrico (d.d.p. nel seguito) costante indipendentemente dalla resistenza di carico che alimenta e quindi dall’intensità della corrente che circola nel circuito. Il generatore ideale di corrente è una sorgente di energia capace di erogare una corrente di intensità costante, indipendentemente dalla resistenza di carico che alimenta e quindi dalla d.d.p. presente ai capi della resistenza. Anche gli elementi passivi verranno considerati inizialmente come elementi ideali, (per es. con il simbolo R indicheremo elementi puramente resistivi), facendo inoltre l’ipotesi che essi non varino né con il tempo né con l’intensità dell’impulso di tensione o corrente applicato. Tale schematizzazione ci permetterà di ottenere delle equazioni differenziali lineari e a coefficienti costanti per la descrizione delle intensità di corrente e delle d.d.p. nelle varie parti del circuito, semplificandone notevolmente la soluzione. Presenteremo nel seguito le leggi fisiche principali valide nei circuiti in corrente continua. 2 La legge di Ohm Se ai capi di un conduttore “ohmico” viene applicata una d.d.p. V , esso viene percorso da una corrente di intensità I. Si può verificare sperimentalmente che al variare della d.d.p. V il rapporto VI rimane costante. A questa costante, caratteristica della natura, dello stato fisico e delle dimensioni del conduttore, si dà il nome di resistenza elettrica e la si indica con R. La legge di Ohm può quindi essere espressa nella forma V = RI (1) Se riportiamo in grafico la corrente I che percorre il conduttore in funzione della d.d.p. V applicata ai suoi capi, ovvero rappresentiamo la relazione I = f (V ), otteniamo quella che viene detta “la curva caratteristica” del conduttore. Per i conduttori ohmici tale curva è una retta che passa per l’origine e la cui pendenza rappresenta l’inverso della resistenza R (detta “conduttanza”). Un conduttore per cui vale tale curva caratteristica viene anche detto “lineare” (essendo I ∝ V ) e “bilaterale”, nel senso che il suo comportamento non dipende dal verso della corrente. 2 3 Le leggi di Kirchhoff Una rete, ovvero un insieme di più circuiti collegati tra loro, contiene elementi circuitali attivi e passivi ed è costituita dalla combinazione di due componenti (logici e fisici) base: i nodi e le maglie. Per nodo si intende un punto in cui convergono più di due elementi; per maglia si intende invece una successione chiusa di elementi che partendo da un nodo permette di tornare ad esso attraversando ogni elemento solo una volta. Viene infine indicato con il termine ramo l’insieme di elementi che collega un nodo ad uno dei nodi adiacenti. Prima legge La somma algebrica delle correnti confluenti in un nodo di un circuito elettrico è sempre nulla. La somma algebrica si intende eseguita considerando positive le correnti che entrano nel nodo e negative quelle che ne escono, o viceversa. Tale principio deriva dal fatto che la quantità di carica elettrica che arriva al nodo in un certo intervallo di tempo è uguale a quella che se ne allontana nello stesso intervallo di tempo; in caso contrario si avrebbe infatti un accumulo o una perdita di carica nel nodo. Seconda legge Lungo una qualsiasi maglia di un circuito elettrico la somma algebrica delle cadute ohmiche Rj Ij è uguale alla somma algebrica delle f.e.m. Vk eventualmente presenti nella maglia stessa. Il secondo principio può essere espresso analiticamente dalla relazione X k Vk = X Rj Ij (2) j relazione che si ottiene fissando un verso positivo arbitrario di percorrenza della maglia e considerando positive le cadute ohmiche associate ad una corrente di ramo concorde con il verso prefissato; le f.e.m. positive sono quelle che vengono attraversate dal polo negativo a quello positivo percorrendo la maglia nel senso positivo prefissato. Questo principio consegue immediatamente dall’applicazione della legge di Ohm ai singoli rami che costituiscono la maglia. Basandosi sulle leggi di Kirchhoff è possibile scrivere un sistema di equazioni lineari con almeno tante equazioni quante sono le incognite (correnti) del problema. In genere le equazioni ricavabili sono in numero maggiore delle incognite, ma alcune delle equazioni non sono indipendenti tra loro. Esistono procedure (ad es. il metodo delle correnti di maglia) che permettono di ricavare solo le equazioni indipendenti e portano velocemente alla soluzione del problema. 4 Applicazioni Vediamo subito alcune applicazioni delle leggi sopra enunciate. Circuito serie Quando un certo numero di componenti elettrici sono collegati in un circuito in modo da 3 essere attraversati dalla stessa corrente si dice che sono disposti in serie. Consideriamo ad esempio un circuito, come quello di Fig.1, costituito da un generatore di tensione con tre resistori in serie. Applicando la legge di Ohm ai capi delle tre resistenze si ha: V1 = R1 I V2 = R2 I V3 = R3 I (3) dove I è la corrente che circola nel circuito. Essendo V la tensione ai capi del generatore deve risultare V = V1 + V2 + V3 (4) Dalle 3 e 4 si ottiene Figura 1: Circuito serie V = R1 I + R2 I + R3 I = (R1 + R2 + R3 )I = Req I (5) dove si è introdotta la resistenza equivalente Req pari alla somma delle resistenze connesse in serie. Circuito parallelo Quando un certo numero di componenti elettrici sono collegati in un circuito in modo che ad essi sia applicata la stessa d.d.p. si dice che sono disposti in parallelo. In Fig.2 è riportato l’esempio di un circuito costituito da un generatore e da tre resistori in parallelo. Indicando con V tale d.d.p., la corrente in ogni resistore si ottiene mediante la legge di Ohm V V V I1 = I2 = I3 = (6) R1 R2 R3 Indicando con I la corrente erogata dal generatore, la prima legge di Kirchhoff ci dice che Figura 2: Circuito parallelo I = I1 + I2 + I3 (7) Introducendo le eq.5 nella eq.7 si ricava quindi V V V I= + + =V R1 R2 R3 1 1 1 + + R1 R2 R3 = V R (8) dove si è introdotta la resistenza equivalente R definita da 1 1 1 1 = + + R R1 R2 R3 (9) cioè il reciproco della resistenza equivalente è uguale alla somma dei reciproci delle resistenza presenti nel circuito parallelo. Da tale definizione segue immediatamente che la resistenza equivalente di un circuito costituito da un numero qualsiasi di resistori in parallelo è sempre minore di ciascuna delle resistenze del circuito. 4 Rete Una connessione di circuiti serie e parallelo si chiama rete. L’esempio che segue mostra una rete con un solo generatore nella quale, utilizzando le relazioni ottenute per i circuiti serie e parallelo, è possibile ricavare la resistenza equivalente dell’intera rete vista ai capi del generatore. Nella fig.3 sono riportati i singoli passaggi che permettono di arrivare alla relazione che definisce la resistenza equivalente. Lo studente è invitato a seguirli e ad applicare la stessa procedura anche per altre reti. Figura 3: Rete 5 5 Il teorema di sovrapposizione Se in un circuito lineare agiscono simultaneamente diversi generatori, la corrente totale prodotta in un generico ramo è la somma delle correnti che sarebbero prodotte dai singoli generatori se ciascuno di essi agisse isolatamente. Nel seguito è riportato un esempio di una rete con due generatori di tensione alla quale l’applicazione del teorema permette velocemente di determinare la corrente che scorre sulla resistenza R3 . Nell’esempio la Figura 4: corrente che scorre in R3 viene determinata come somma delle correnti prodotte su R3 dai circuiti a) e b), ottenendo I3 = I3′ + I3′′ = 6 R2 R1 V1 V2 · · R2 R3 + R3 R2 + R3 R1 + R2 +R3 R1 + R3 R2 + RR11+R 3 (10) Circuiti equivalenti, teoremi di Thévenin e di Norton L’analisi dei circuiti elettrici può essere facilitata sostituendo interamente o parzialmente una rete con un circuito equivalente che, per lo scopo che ci si propone, ha le stesse caratteristiche dell’originale. Tale procedura, peraltro già vista per i circuiti serie e parallelo, può essere estesa al caso di un intero circuito lineare comunque complesso riducendolo a due soli elementi finali. Teorema di Thévenin Qualsiasi circuito elettrico lineare attivo può essere schematizzato con un circuito costituito da un generatore ideale di tensione Veq e da una resistenza Req in serie con esso. Fissati due punti A e B del circuito dato, Veq è la d.d.p. esistente tra A e B e Req è la resistenza che il circuito presenta tra A e B nelle condizioni Figura 5: Teorema di Thévenin 6 in cui tutti i generatori ideali di tensione sono sostituiti con tratti di corto circuito e i generatori ideali di corrente sono aperti. Ne segue che se tra i punti A e B si inserisce un nuovo ramo di resistenza R, in esso passa una corrente I= Veq . R + Req (11) Per dimostrare la (11), che è l’espressione algebrica del teorema di Thévenin, si può ricorrere al teorema di sovrapposizione: si supponga infatti di porre in serie alla resistenza R del ramo aggiunto tra A e B un generatore la cui tensione sia uguale a quella esistente a vuoto tra A e B. La corrente circolante in tali condizioni, che è nulla, deve uguagliare, per il teorema di sovrapposizione, la somma di quella, I, circolante per effetto del solo generatore di d.d.p. Veq e di quella, −I, circolante per effetto del nuovo generatore aggiunto. Da tale uguaglianza segue immediatamente la (11). La resistenza Req può essere determinata come rapporto tra la d.d.p. Veq (detta anche tensione a vuoto per rimarcare il fatto che essa è la d.d.p. esistente tra A e B nel circuito originario, senza l’inserimento di alcun nuovo ramo) e la corrente I0 (detta corrente di corto circuito) che circola in un ramo di resistenza nulla mediante il quale A viene connesso con B. Vediamo subito un esempio di applicazione di questo teorema. Dato il circuito mostrato in figura (ponte di Wheatstone) si determini l’intensità della corrente I5 che circola nella resistenza R5 del ramo aggiunto tra A e B. Per il teorema di Thévenin I5 = Veq . Si tratta di determinare Veq e R5 +Req Req . Per trovare Req basta notare che la sostituzione di un corto circuito al posto del generatore di d.d.p. V porta ad avere che la resistenza vista tra A e B non è altro che la serie delle resistenze parallelo R1 //R3 e R2 //R4 e quindi Req = Figura 6: Ponte di Wheatstone R1 R3 R2 R4 + . R1 + R3 R2 + R4 (12) Per trovare Veq , ovvero la d.d.p. VA −VB esistente tra A e B nel circuito originario, si osservi che essa è data dalla differenza tra (VA − VC ) e (VB − VC ). Dette quindi I1 e I2 le correnti in R1 (ed R3 ) e in R2 (ed R4 ) si ha Veq = I1 R1 − I2 R2 = V V R1 − R2 . R1 + R3 R2 + R4 (13) Teorema di Norton Qualsiasi circuito elettrico lineare attivo può essere schematizzato con un circuito costituito da un generatore ideale di corrente Ieq e da una resistenza Req in parallelo ad esso. 7 Fissati due punti A e B del circuito dato, Ieq è la corrente di corto circuito tra A e B e Req è la resistenza già definita nel teorema di Thévenin. Questa seconda forma di circuito equivalente è utile quando ha interesse considerare generatori di corrente ed è coerente con la schematizzazione di Thévenin. 7 Trasferimento di potenza da un generatore ad un carico Dato il circuito in figura, dove V0 è un generatore di tensione, caratterizzato da una resistenza interna R0 , ed R rappresenta la resistenza di carico, la massima potenza che il generatore può erogare Wmax è quella che corrisponde alla massima corrente, ottenibile chiudendo il generatore stesso su un corto circuito (R = 0). In tali condizioni I = V0 /R0 e quindi Wmax = I 2 · R0 = V02 /R0 . Se invece R 6= 0, la potenza W dissiV0 Figura 7: pata dall’intero circuito è W = V0 R+R 0 mentre la potenza Wu effettivamente utilizzata è quella dissipata dal carico R: Wu = V0 R + R0 2 R= V02 R (R + R0 )2 Wu è quindi funzione della resistenza di carico R ed in particolare presenta un massimo per R = R0 che è uguale alla metà della potenza dissipata in totale. Infatti ∂Wu =0 ∂R → R = R0 → (Wu )max = V02 1 1 V02 = WR=R0 = 4R0 2 2 2R0 In tal caso (R = R0 ) la potenza erogata dal generatore, che è la metà di quella massima Wmax , viene equamente ripartita tra R e R0 . 8 Elementi reali di circuito elettrico 8.1 Resistori Un resistore è un elemento di circuito dotato di uno specifico valore di resistenza. Questi valori vanno da pochi ohm (Ω) o frazione di ohm a migliaia di ohm (kΩ) e milioni di ohm (MΩ). I simboli convenzionali usati per una resistenza sono quelli mostrati in fig.8. I resistori possono essere costruiti in diversi modi: • resistori a filo per un filo conduttore vale la seguente legge (seconda legge di Ohm) R=ρ 8 l S (14) Figura 8: Simboli dei resistori dove ρ è una costante caratteristica del materiale di cui è fatto il filo, che prende il nome di resistenza specifica o resistività, l la lunghezza e S la sezione del filo. Avvolgendo in spire il filo di lunghezza l e sezione S costante è possibile realizzare delle resistenze ad alta precisione purché la sostanza usata abbia una ρ abbastanza indipendente dalla temperatura; materiali molto usati sono la manganina, la costantana e l’argentana. • resistori a pellicola Sono ottenuti depositando una sottile pellicola metallica oppure un sottile strato di granuli di carbone su un supporto cilindrico isolante. La difficoltà di depositare pellicole di spessore rigorosamente costante ha come conseguenza la scarsa precisione delle resistenze ottenute, ma questi resistori hanno tuttavia il vantaggio di non risentire di effetti capacitivi e induttivi come quelli a filo. • resistori ad impasto Sono ottenuti comprimendo il carbone in granuli in forma di cilindro insieme con altre sostanze isolanti, ottenendo in tal modo resistenze molto elevate. Sulla superficie esterna dei resistori a pellicola e ad impasto vengono di solito tracciate bande colorate che permettono di conoscere il valore in ohm della resistenza mediante un codice di colori (vedi fig.9). La banda più vicina all’estremità del resistore rappresenta la prima cifra significativa, la seconda la seconda cifra significativa e la terza banda il numero degli zeri da aggiungere alle prime due cifre significative secondo il codice di seguito riportato: colore numero nero 0 marrone rosso 1 2 arancio giallo verde 3 4 5 azzurro 6 viola grigio bianco 7 8 9 Resistenze con valori compresi tra 1 e 10 Ω sono indicate con una terza banda dorata mentre una terza banda color argento indica resistenze tra 0.1 e 1 Ω. La quarta banda, che può avere colore marrone, rosso, oro e argento, indica la tolleranza sul valore indicato dalle prime Figura 9: Resistore 9 tre bande. Il colore marrone indica una tolleranza di ±1%; il colore rosso una tolleranza di ±2%, il colore oro una tolleranza di ±5% e l’argento di ±10%. Se la quarta banda è assente la tolleranza è del ±20%. Indicando con a, b, c e d i valori numerici corrispondenti a ciascuna delle 4 bande, nel loro ordine, si può quindi determinare il valore della resistenza e della sua incertezza tramite le seguenti semplici relazioni: R = (10a + b) · 10c ∆R = (d/100) · R (15) Sui resistori di alta potenza (P ≥ 1 W ) al posto del codice di colori viene spesso utilizzato un codice alfanumerico nel quale una lettera indica la posizione della virgola e l’unità di misura. Sono utilizzate 3 lettere: R indica che l’unità di misura è Ω, K per kΩ e M per MΩ. Ad esempio un resistore su cui sia riportato un codice 47R ha una resistenza di 47 Ω, per un codice 4R7 si ha 4.7 Ω, per un codice R47 si ha 0.47 Ω. In questi casi anche la tolleranza è indicata tramite una ulteriore lettera successiva al codice resistivo: la lettera M corrisponde ad una tolleranza del 20%, K al 10%, J al 5%, G al 1% e F al 1%. Le dimensioni del resistore sono legate alla potenza massima che è capace di dissipare senza un apprezzabile aumento di temperatura causato dall’effetto Joule. Valori tipici di questa potenza massima sono 1 W, 1/2 W e 1/4 W, ai quali corrispondono valori decrescenti delle dimensioni del resistore. Può essere utile inserire in un circuito elementi con valori di resistenza variabili. Si parla allora di “potenziometri” con tre terminali e di “reostati”, che hanno due terminali (vedi fig.8). I potenziometri sono realizzabili con un filo di lega, o con un supporto conduttore depositato su un materiale isolante, sul quale scorre un pattino, detto cursore, che realizza un contatto strisciante. La maniera più semplice per realizzare un reostato è quella di collegare tra loro il cursore e un estremo del filo di lega di un potenziometro. Nella misura di resistenze e nel loro impiego bisogna tener conto di due possibili fonti di errore: • resistenza delle connessioni e dei contatti, che assume importanza relativamente a resistenze basse, e cattivo isolamento dei terminali, che può dar luogo a fenomeni perturbativi di dispersione nel caso si vogliano realizzare resistenze elevate; • capacità non infinita (come ci si aspetterebbe nel caso in cui siano assenti i piccoli effetti capacitivi legati alla presenza di conduttori affacciati) e induttanza non nulla del resistore (dovuta ad effetti di induzione tra le varie parti conduttrici che costituiscono il resistrore). Per i motivi sopra elencati un resistore reale viene spesso schematizzato tramite la serie di un resistore e di un induttore ideali, con in parallelo un condensatore ideale. 8.2 Condensatori I condensatori possono avere capacità fissa o variabile. Quelli a capacità fissa più diffusamente usati sono: 10 • condensatori a carta o a mica, costituiti da due sottili fogli metallici separati da un sottile strato di isolante, o dielettrico, come la carta o la mica. Questo insieme viene arrotolato in modo da fargli assumere forma cilindrica, ricoperto di isolante e dotato, per le connessioni, di due fili metallici collegati ciascuno con una delle armature. Per aumentare la capacità il dielettrico deve essere il più sottile possibile; in tal modo però si riduce la massima tensione che può essere applicata senza che l’isolante sia danneggiato dall’intenso campo elettrico prodotto dalle cariche presenti sulle armature. Inoltre, il piccolo spessore e la grande superficie dell’isolante aumentano la resistenza di perdita tra le armature. I condensatori a dielettrico di carta o di mica sono disponibili con capacità variabili da 0.001 a 1 µF e possono essere usati in circuiti in cui la tensione massima è dell’ordine delle centinaia di V; • condensatori a ceramica ed a film di plastica, realizzati depositando le armature in forma di sottile strato metallico direttamente sul dielettrico. I dielettrici di plastica hanno resistività molto alta, cioè resistenza di perdita molto piccola. L’elevata costante dielettrica di molte ceramiche consente di ottenere notevoli capacità con piccole dimensioni del condensatore. • condensatori elettrolitici, costituiti da un foglio metallico ossidato immerso in una pasta o soluzione conduttrice. Il sottile strato di ossido è il dielettrico tra il foglio metallico e la soluzione, e proprio il suo piccolo spessore consente di raggiungere elevati valori di capacità (da 1 a 103 µ F). La tensione applicata non può tuttavia superare qualche V, ed il foglio metallico non deve mai assumere potenziale negativo rispetto alla soluzione, altrimenti lo strato di ossido viene danneggiato da effetti elettrolitici. Per evitare questo inconveniente, sull’involucro esterno del condensatore è riportata la segnalazione del terminale al quale deve essere applicata la polarità negativa. Il valore della capacità di un condensatore è usualmente riportato in forma estesa oppure segue un codice alfanumerico o di colori simile a quello visto per i resistori. I condensatori a capacità variabile sono di solito costituiti da due insiemi di strati metallici alternati, uno fisso e l’altro rotante intorno ad un asse in modo da poter variare l’area della superficie affacciata degli strati. Poiché il dielettrico è l’aria, è necessario lasciare tra le armature una certa distanza affinché ruotando non si tocchino. Il valore massimo della capacità ottenibile non supera all’incirca i 500 Figura 10: Condensatore µF. Il valore minimo della capacità, quando gli strati non sono sovrapposti, si aggira intorno a 10 µF. I condensatori variabili trimmer usano un dielettrico di mica; vengono di solito regolati per mezzo di un giravite e sono comunemente usati quando la capacità deve essere variata solo raramente. I valori di capacità ottenibili sono pressappoco gli stessi che per conden11 satori variabili che hanno come dielettrico l’aria. I simboli convenzionalmente usati per i condensatori sono rappresentati in fig.10. Il segno curvo rappresenta il terminale negativo nel caso di condensatori elettrolitici e l’armatura esterna nei condensatori a carta o a mica; questa convenzione può essere utile per connettere correttamente i condensatori, anche se per i condensatori a carta e a mica la polarità della tensione applicata è indifferente. La schematizzazione più utilizzata per un condensatore reale, almeno fino a che non si opera con segnali varabili nel tempo con frequenza superiore alla decina di MHz, è quella di un condensatore ideale con in parallelo un resistore ideale, la cui resistenza è legata agli effetti di perdita del dielettrico interposto tra le due armature del condensatore reale. 8.3 Induttori Sono costituiti da molte spire di filo conduttore, ciascuna isolata dalle adiacenti, avvolte su un supporto. Circuiti elettronici ad alta frequenza impiegano spesso induttori le cui induttanze sono dell’ordine di 10−6 H che possono essere realizzate dall’avvolgimento di poche spire su un supporto del diametro di circa 1 cm. Qualche decina di spire dà valori di induttanza intorno a 10−3 H. Induttanze fino a parecchie centinaia di henry, da usarsi a basse frequenze, sono ottenute avvolgendo molte centinaia di spire su un nucleo di materiale ferromagnetico, in particolare ferro. Questo nucleo è sovente laminato allo scopo di interrompere le correnti indotte (correnti di Foucault) da variazioni del flusso di induzione magnetica; questo accorgimento riduce le perdite per effetto Joule. Per lo stesso motivo, cioè per diminuire le perdite causate da correnti parassite, per frequenze elevate vengono usati induttori con nucleo di ferrite, che è un materiale ferromagnetico ad alta resistività. Gli induttori a ferrite non sono usati a basse frequenze perché le proprietà magnetiche di questo materiale non sono altrettanto favorevoli quanto quelle del ferro. Il valore dell’induttanza di un induttore è usualmente riportato in forma estesa oppure segue un codice alfanumerico o di colori simile a quello visto per i resistori. I simboli convenzionalmente usati per gli induttori sono rappresentati in fig.10. Con a) viene riportato il simbolo per un induttore, mentre con b) quello per un induttore con nucleo di ferro o ferrite. Si possono ottenere induttanze variabili Figura 11: Induttore muovendo l’avvolgimento rispetto al nucleo, ma componenti di questo tipo sono raramente usati; la maggior parte degli induttori sono ad induttanza fissa. La miglior rappresentazione dal punto di vista elettrico di un induttore reale è quella di un induttore ideale con in serie un resistore ideale (di resistenza pari a quella del filo che costituisce l’avvolgimento) e, in parallelo a questi due componenti, un condensatore ideale (la cui capacità è legata al fatto che si hanno dei conduttori affacciati tra loro). 12 8.4 Generatori reali Un generatore reale di tensione può essere schematizzato mediante la serie di un generatore ideale di tensione e di un resistore di resistenza Rint che rappresenta la resistenza interna del generatore. A differenza di quanto accade nel caso del generatore ideale di tensione, la d.d.p. VR ai capi A, B del generatore reale quando tra essi è inserito un carico R dipende dal carico stesso; se IR è la corrente che circola a carico R inserito e V0 la d.d.p tra i capi del generatore a circuito aperto si ha infatti R 1 V0 (16) VR = IR · R = V0 · = V0 · IR = Rint + R Rint + R 1 + RRint da cui si vede che un generatore reale di tensione approssima un generatore ideale (per il quale V = V0 = cost.) tanto meglio quanto più la resistenza di carico R è grande rispetto alla resistenza interna Rint . Si definisce forza elettromotrice (f.e.m.) di un generatore reale di tensione la d.d.p. presente tra i capi del generatore a circuito aperto (nella simbologia da noi adottata, V0 ). I generatori reali di tensione sono sistemi mediante i quali si realizza la trasformazione in energia elettrica di energia di altra natura (meccanica, chimica, termica, ecc.). Un tipico generatore reale è rappresentato da un “alimentatore di tensione” che opera un raddrizzamento della tensione alternata fornita in un normale impianto elettrico domestico. Il valore della resitenza interna per tali alimentatori è dell’ordine dell’ohm, ma si trovano in commercio anche alimentatori, cosiddetti “stabilizzati”, che, grazie ad un circuito di controllo interno, forniscono in uscita una tensione continua di valore indipendente dal carico, purché la corrente erogata si mantenga entro limiti dichiarati. In tali casi la resistenza interna è praticamente nulla. La pila costituisce un altro esempio di generatore reale in cui energia chimica viene trasformata in energia elettrica; il simbolo convenzionalmente adottato per la pila è rappresentato in fig.12, in cui il tratto più lungo e sottile rappresenta il polo positivo e quello più corto e spesso il polo negativo. Le resistenze interne delle comuni pile variano da 0.1 ad alcune decine di Ω, a seconda del tipo Figura 12: Pila di utilizzo. Un generatore reale di corrente può essere schematizzato mediante il parallelo di un generatore ideale di corrente e di una resistenza Rint che è la resistenza interna del generatore. L’intensità della corrente che un generatore reale di corrente è capace di far circolare in una resistenza R inserita tra i suoi terminali dipende da R. Dette IRint e IR le correnti in Rint ed R si ha infatti I0 = IRint + IR IRint Rint = IR R (17) da cui IR = I0 · Rint 1 = I0 · Rint + R 1 + RRint 13 (18) Come si vede, un generatore reale di corrente approssima un generatore ideale (per il quale IR = I0 = cost.) tanto meglio quanto più la resistenza interna Rint è grande rispetto alla resistenza di carico R. 9 9.1 Misure in corrente continua Misure di intensità di corrente con l’amperometro Un amperometro è uno strumento tarato con il quale si eseguono misure di intensità di corrente. Esso è caratterizzato dalla portata, dalla resistenza interna e dalla classe: - la portata è l’intensità di corrente massima misurabile If.s. , cioè quella per la quale l’indice si porta al fondo scala (f.s.); - la resistenza interna è la resistenza elettrica complessivamente presentata dallo strumento; - la classe è un numero che convenzionalmente indica la sensibilità di lettura consentita dall’amperometro, ed è pari a 100 volte l’errore relativo ∆I/If.s. sulla corrente di fondo scala. Se ad esempio un amperometro è di classe 2 , l’errore relativo sulla corrente di fondo scala è del 2%, e l’errore assoluto su quella scala è pari al 2% della corrente di fondo scala. E’ possibile misurare con un amperometro correnti di intensità maggiore di quella di f.s. inserendo in parallelo alla resistenza interna RA opportune resistenze. Tali resistenze, dette resistenze di shunt, sono di solito predisposte all’interno dello strumento e la loro utilizzazione si ottiene mediante un opportuno inserimento dei puntali oppure mediante l’utilizzo di comandi situati sul pannello frontale dello strumento stesso. La fig.13 mostra una resistenza di shunt Rs connessa in parallelo a RA ; con ovvi simboli si ottiene I = Is + IA IA RA = Is Rs (19) da cui IA = I Rs RA + Rs (20) Figura 13: Misura di corPerciò si ottiene I moltiplicando l’intensità IA della corrente s rente misurata dall’amperometro per un fattore costante k = RAR+R (ad es. se Rs = s 0.1 · RA si ha k ≃ 10). Una misura di intensità di corrente con l’amperometro si esegue interrompendo il ramo in cui scorre la corrente da misurare e richiudendolo mediante lo strumento. Nel far questo si modifica però il circuito originario perché vi si inserisce la resistenza interna RA , o il parallelo tra RA e Rs , dell’amperometro; al fine di eseguire una Figura 14: 14 corretta misura di intensità di corrente è necessario valutare l’entità della perturbazione arrecata onde poter eseguire l’eventuale correzione. In fig.14 è riportata la schematizzazione secondo Thevenin del circuito in studio, prima e dopo l’inserimento dell’amperometro. La corrente da misurare ha intensità I = V0 /R0 . L’intensità IA letta sull’amperometro è V 0 I V0 = R0RA = IA = RA + R0 1 + R0 1 + RRA0 (21) Come si vede l’entità della correzione da apportare al valore letto IA dipende dal rapporto tra la resistenza interna RA dello strumento e la resistenza equivalente R0 del circuito. La A correzione è da ritenersi trascurabile se RRA0 = I−I è molto minore dell’errore percentuale IA commesso nella lettura di IA . Il valore di RA è indicato nel libretto di istruzioni che di solito correda l’amperometro. 9.2 Misure di differenza di potenziale con il voltmetro Il voltmetro è uno strumento tarato con il quale si eseguono misure di differenze di potenziale mediante la misura dell’intensità di corrente che fluisce in un resistore di resistenza nota. In pratica basterebbe utilizzare un misuratore di corrente collegato in serie con un resistore di resistenza RV nota e avente la scala moltiplicata per il valore di RV . Per misurare la d.d.p. tra due punti A e B il voltmetro, che è sostanzialmente un amperometro con un’elevata resistenza interna RV , si dispone tra A e B, in parallelo al ramo o ai rami di circuito preesistenti tra A e B. Anche la portata di un voltmetro, definita come la massima d.d.p., misurabile, cioè quella per la quale l’indice va al fondo scala, come quella di un amperometro può essere aumentata; in questo caso però la resistenza di shunt Rs deve essere messa in serie alla resistenza interna. Infatti (vedi fig.15) se VA − VB è la d.d.p, da misurare, IV l’intensità della corrente deviata nel ramo dello strumento, VV e Vs le d.d.p. rispettivamente ai capi di RV e di Rs , si ha Figura 15: Misura di d.d.p. VA − VB = IV (RV + Rs ) = VV + Vs (22) Se Rs = (n − 1)RV avremo che Vs = (n − 1)VV ed infine VV = (1/n)(VA − VB ). Si può allora ricavare VA − VB moltiplicando per n la d.d.p. VV misurata dal voltmetro. L’inserimento di un voltmetro in un circuito ne perturba le condizioni di equilibrio preesistenti perché parte della corrente continua che fluisce viene deviata attraverso la resistenza interna RV del voltmetro. Allo scopo di valutare l’entità della perturbazione si può considerare la schema secondo Thévenin del Figura 16: voltmetro Misura di d.d.p. con 15 circuito in studio prima e dopo l’inserimento del voltmetro (vedi fig.16). La d.d.p. da 0 misurare è V0 ; la corrente che circola in RV ha intensità IV = RVV+R per cui la d.d.p. ai 0 capi del voltmetro (che è quella che lo strumento misura) è quindi 1 V0 RV = V0 VV = IV RV = RV + R0 1 + RRV0 → V0 = Vv R0 1+ RV (23) Come si vede l’entità della correzione da apportare al valore letto Vv dipende dal rapporto R0 tra la resistenza equivalente R0 del circuito e la resistenza interna RV del voltmetro. RV V La correzione è da ritenersi trascurabile se il rapporto V0V−V è minore dell’errore perV centuale commesso nella lettura di VV . 1 Il valore di RV si calcola a partire dall’inverso If.s. della corrente di fondo scala del mil1 liamperometro base del voltmetro. Il valore di If.s. , espresso in Ω/V e detto impropriamente sensibilità voltmetrica, uguaglia, per la legge di Ohm, il rapporto tra la resistenza 1 interna RV e la d.d.p. di fondo scala Vf.s. . Per ottenere RV basta quindi moltiplicare If.s. 1 per Vf.s. . Se, ad esempio, If.s. = 20.000 Ω/V , la resistenza interna del voltmetro, quando lo si usi con il fondo scala 50 V , è RV = 20.000 Ω/V · 50 V = 1MΩ. 9.3 9.3.1 Misure di resistenza Metodo voltamperometrico Dopo aver connesso la resistenza incognita ad un opportuno generatore, questo metodo consiste nel misurare la d.d.p. ai suoi capi e l’intensità della corrente che vi fluisce, applicando poi la prima legge di Ohm. Nel realizzare tali misure si possono presentare i due casi illustrati in fig.17, in cui amperometro e voltmetro sono disposti diversamente. Caso a) - Il voltmetro misura una d.d.p. VV uguale a quella VR ai capi di R, ma l’amperometro misura una corrente IA diversa dalla corrente IR che percorre R. Figura 17: Metodo voltamperometrico Per trovare come il rapporto tra le letture effettuate sia legato al valore vero della resistenza R si può utilizzare le leggi di Kirchhoff per ottenere IA · RV R = IR R RV + R IR = IA · → RV RV + R (24) da cui VV VR = R= IR IA R 1+ RV 16 (25) Caso b) - L’amperometro misura una corrente IA uguale a quella IR che scorre in R, ma il voltmetro misura una d.d.p. VV diversa dalla d.d.p. VR ai capi di R. Partendo nuovamente dalle leggi di Kirchhoff si ricava RA RA VV = IR (R + RA ) = IR R 1 + = VR 1 + (26) R R e si ottiene VV 1 VR = R= (27) IR IA 1 + RA R Come si vede, nel caso a) il valore di R è tanto meglio approssimato dal rapporto VIAV quanto più piccolo rispetto a 1 è il rapporto RRV ; nel caso b) quanto più piccolo rispetto a 1 è il rapporto RRA . In ambedue i casi l’approssimazione introdotta dovrà essere confrontata con l’incertezza di misura, al fine di valutarne la significatività. 9.3.2 Ponte di Wheatstone Questo metodo si presta a misure notevolmente precise di resistenze in un vasto intervallo di valori (≃ 10−2 ÷ 106 Ω). Il circuito usato è rappresentato in fig.18, dove Rx è la resistenza incognita, R1 , R2 ed R3 sono resistenze note, delle quali almeno una variabile, R un reostato per regolare l’intensità della corrente totale, P un generatore di tensione, G un milliamperometro, Rs una resistenza di shunt, T e T1 due tasti. Chiuso T1 e regolata opportunamente R col tasto T inizialmente chiuso, in modo che il milliamperometro sia protetto dalla resistenza di shunt, e successivamente aperto, per realizzare le condizioni di massima sensibilità, si varia R finché si realizza la condizione VB = VD per cui il ponte si dice bilanciato. In tali condizioni nel ramo BD non passa corrente e ciò viene controllato mediante il milliamperometro, usato in questo caso come strumento di zero. Nelle resistenze R1 ed Rx scorre dunque la stessa corrente I1 e nelle resistenze R2 ed R3 la stessa corrente I3 . Valgono quindi le relazioni Figura 18: Ponte di Wheatstone R1 R3 R1 I1 = R2 I3 Rx I1 = R3 I3 → Rx = (28) R2 9.3.3 Ohmetro L’ohmetro è uno strumento tarato con il quale si eseguono misure di resistenza in modo semplice e rapido anche se non con elevata sensibilità e precisione. Un ohmetro è costituito essenzialmente da una pila P e da un milliamperometro A ai quali viene connessa la resistenza Rx da misurare. Evidentemente la corrente che passa nel milliamperometro è funzione della resistenza Rx e, se la scala del milliamperometro è tarata in ohm, 17 Figura 19: IA = I Rs P = RA + Rs Rint + Rx + l’indicazione dello strumento permette di leggere direttamente il valore di Rx . In realtà il semplice schema sopra riportato non permette di variare la sensibilità dello strumento né di tener conto di eventuali variazioni della f.e.m. del generatore. Occorre quindi ricorrere ad uno schema del tipo di quello riportato in fig.19. Indicando con I la corrente che percorre la resistenza Rx , con IA quella che passa nel milliamperometro, con Rs la sua resistenza di shunt, con P la f.e.m. del generatore e con RA ed Rint le resistenze interne del milliamperometro e del generatore si ha RA Rs RA +Rs Rs P = RA + Rs (Rint + Rx ) 1 + RA Rs + RA (29) Considerati costanti gli altri parametri, l’andamento della funzione IA = IA (Rx ) (ovvero la funzione che permette la trasformazione della scala milliamperometrica in scala ohmmetrica) è di tipo iperbolico ed ha come conseguenza un progressivo peggioramento dell’incertezza relativa di misura di Rx man mano che ci si avvicina agli estremi (corrispondenti a IA = If ondoscala per Rx = 0 e a IA = 0 per Rx → ∞). Per tale motivo la misura di Rx con il multimetro ha massima sensibilità se ci si mantiene tra il 20% e l’80% della scala; per mantenersi in questo ambito ottimale di misura si dovrà operare cambiando opportunamente la resistenza di shunt Rs . La forza elettromotrice P , essendo il generatore realizzato di solito mediante una pila, può subire variazioni; per compensare tali variazioni si usa regolare finemente la resistenza di shunt Rs del milliamperometro in modo che lo strumento risulti azzerato quando i puntali sono in contatto tra loro. 18