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Spedizione in A.P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB (Bologna) - Bimestrale n.4/2013 – anno XXII/BO - € 2,00
ottobre/dicembre 2013
Inaugurazione
nel segno di Mahler
con Mario Brunello
e i ‘suoi’ talenti
Grandi ritorni
con Pires, Meneses
e l’Emerson Quartet
Tan Dun incanta l’Occidente
con la musica della natura
SOMMARIO n. 4 ottobre - dicembre 2013
Musica a Bologna - I programmi di Musica Insieme
Editoriale
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L’intervista
Gastón Fournier-Facio di Fulvia de Colle
Mario Brunello di Elisabetta Collina
Emerson String Quartet di Anastasia Miro
Antonio Meneses di Alessandro Di Marco
Estrio di Cristina Fossati
12
14
16
18
20
Il profilo
22
Ma cos’è questa crisi? di Fabrizio Festa
Bedřich Smetana
di Giordano Montecchi
Artelibro 2013: occhio alla musica
24
Il calendario
27
Per leggere
48
Da ascoltare
50
I luoghi della musica
di Maria Pace Marzocchi
I concerti ottobre / dicembre 2013
Wagner, Martini e Guarino:
libri che suonano di Chiara Sirk
I viaggi musicali di Accademia degli Astrusi,
Emerson String Quartet e Tamminga
di Lucio Mazzi
In copertina: Tan Dun
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MI
MUSICA INSIEME
EDITORIALE
MA COS’È QUESTA CRISI ?
Si lamenta l’impresario che il teatro più non va
ma non sa rendere vario lo spettacolo che dà
“ah, la crisi!”
Ma cos’è questa crisi?
Ma cos’è questa crisi?
Così cantava Rodolfo de Angelis nel lontano 1933. Rileggere oggi quel testo è davvero istruttivo. Impariamo, infatti, che è antico italico malcostume quello di attribuire alla
“Crisi” – quella storica, quella del sistema nel
suo complesso, quella del mondo intero casomai – anche quei problemi che magari con
la “Crisi” (con la “C” maiuscola appunto) non
hanno alcun rapporto diretto di causalità.
Anzi, in alcuni casi la “Crisi” torna persino
utile. Dietro quell’ampio paravento, sotto quel
gigantesco nero tabarro, si possono occultare problemi, e relative mancate soluzioni, che,
in sua assenza, avrebbero finito per far emergere le ragioni vere, concrete, reali di quei problemi e del perché non si era agito in tempo per risolverli. Una delle domande che, del
resto, dovremmo porci di fronte all’attuale crisi è proprio la seguente: le difficoltà odierne
del sistema dello spettacolo ed in genere delle arti in Italia sono davvero solo il risultato
del difficilissimo momento che stiamo attraversando? In ogni caso, poiché ben più di
un’avvisaglia si era palesata già molti anni fa,
perché non si sono messe in atto per tempo
strategie adeguate per affrontare le difficoltà che erano state previste? Infine, stante il
contesto difficile del momento, perché non
si dà ampio spazio a quanti stanno dimostrando che la crisi si può affrontare, dando
così il giusto risalto ad esempi positivi, magari anche imitabili? C’è chi ha lavorato e la-
vora in tal senso. C’è chi ha lavorato e lavora cercando di affrontare il presente prendendo atto di tutte le sue criticità, e proprio
per questo ponendo in essere strategie che si
fondino su valori assoluti (primo fra tutti la
qualità e la varietà delle proposte e delle iniziative), senza arroccarsi sull’esistente, ma al
contrario rinnovandosi e innovando. Forse è
per questo che la nostra programmazione
mantiene salde le sue posizioni: ampio il consenso del pubblico, che anche per la stagione che sta per cominciare ha voluto riconfermarcelo, e ospiti come ormai da ventisette
stagioni, i migliori artisti in attività. Anzi, si
è ormai creato un vero e proprio sodalizio artistico, che certamente è tornato a vantaggio
del pubblico bolognese, quel pubblico che gli
artisti stessi non esitano a definire tra i più
partecipi e competenti. D’altronde, la qualità della nostra programmazione si è riverberata ben al di là dei confini cittadini ed italiani. Gli artisti stessi si sono fatti portavoce della loro esperienza a Bologna, raccontandola nei loro tour, a volte persino esaltandola. Anche questo è un modo di far conoscere la civiltà bolognese oltre le nostre
mura e ben al di là dei nostri meriti. Ovviamente, le difficoltà del momento pesano anche su di noi, ma non riteniamo sia un buon
motivo per tirar giù il sipario. Ragione di più,
al contrario, per affinare le nostre strategie,
per incrementare il nostro impegno, per insistere nell’attuare una progettualità nella quale proprio la qualità e l’innovazione costituiscono gli elementi di forza, qualità e innovazione che innervano e rendono vivo quel
mondo delle arti e della cultura, cui diamo
il nostro fattivo contributo.
Fabrizio Festa
MI
MUSICA INSIEME
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L’INTERVISTA
GASTÓN FOURNIER-FACIO
Un mito per tutti
La nuova guida al Ring di Wagner (che verrà presentata a Bologna l’8 ottobre presso la
Libreria Coop Zanichelli), firmata da Gastón Fournier-Facio e Alessandro Gamba, avvicina
il lettore al progetto teatrale più imponente della storia della musica di Fulvia de Colle
D
opo Gustav Mahler. Il mio tempo
verrà (2010), curato da FournierFacio per Il Saggiatore e divenuto un bestseller con all’attivo seimila copie vendute e ben tre ristampe, l’autore ha
saputo applicare la sua rara quanto preziosa vena divulgativa ad un’altra figura
fondamentale della storia della musica,
ed alla sua opera più imponente: la Tetralogia wagneriana, con le sue 15 ore di
musica in 4 giornate, una gestazione di
ben ventisei anni ed un teatro, il Festspielhaus di Bayreuth, praticamente
concepito per rappresentarla. L’inizio e la
fine del mondo, così il suo autore definiva
la nuova opera in una lettera a Liszt, e così
Fournier ha voluto intitolare la sua ultima fatica, uscita in concomitanza con le
celebrazioni che il Teatro alla Scala (di
cui è Coordinatore Artistico dal 2007)
dedica al bicentenario wagneriano.
Un colosso come il Ring wagneriano
può spaventare anche l’ascoltatore
non del tutto digiuno. A questo proposito il libro ha proprio il pregio di
proporsi come divulgativo e invitante all’ascolto: in che modo?
«Il mio obiettivo era di stimolare il grande
pubblico ad avvicinarsi a qualcosa che
può sembrare inavvicinabile e incomprensibile, perché troppo difficile e complesso. L’idea era di rendere appetibile a
tutti non soltanto la trama, bensì anche la
musica e tutta la complessità filosofica
che c’è dentro il libretto, che ritengo vada
evidenziata in modo da non spaventare
l’ascoltatore/lettore: sono convinto che le
cose più profonde si possano avvicinare in
modo leggero, il che non significa ovviamente superficiale».
A proposito del Ring esiste una bibliografia pressoché sterminata:
quali le novità e i punti di forza di
12
MI
MUSICA INSIEME
narsi alla partitura? Allegare uno o più cd
con un’antologia di estratti musicali
avrebbe reso meno immediata la lettura.
Volevo però ricreare l’impatto diretto di
una conferenza, dove quando cito un
passo del Ring faccio sentire contestualmente quel brano. Così mi è venuta l’idea
di questi QR code, un sussidio tecnologico
oggi divenuto addirittura ovvio, ma che
stranamente nessuno prima di me aveva
utilizzato in un libro di storia della musica. Spero che questo metodo venga adottato da molti altri autori dopo di me, poiché ritengo che sia uno strumento
didattico non indifferente... in questo libro ad esempio vi sono più di tre ore di
musica accessibili in streaming, tratte dall’edizione diretta da Marek Janowski nel
1980-83 con la Staatskapelle di Dresda».
Gastón Fournier-Facio
questa nuova pubblicazione?
«Partiamo proprio dalla bibliografia: Wagner è il personaggio sul quale si è più
scritto nella storia dopo Gesù Cristo e
Napoleone... un fatto straordinario, con la
conseguenza che se ci si accosta a Wagner
attraverso la miriade di pagine pubblicate
su di lui si rischia di perdersi. Quasi tutti
i buoni libri su Wagner danno inoltre per
scontato che il lettore sappia leggere la
musica, il che (soprattutto oggi, e nel nostro paese) non è più vero: su un totale di
lettori virtuali ci sarà un 5% che sa leggere
la musica. Quindi la prima mossa per avvicinare il potenziale ascoltatore alla musica viva dell’Anello del Nibelungo è stata
proprio quella di non inserire nel testo gli
esempi musicali... Come fare però per
consentire comunque al lettore di avvici-
A sua volta, la novità del Ring nel
mondo in cui viveva ed operava
Wagner è straordinaria, come si
evidenzia sin dall’Introduzione.
«Esattamente. L’idea era infatti di contestualizzare il Ring, partendo dal presupposto che in una guida all’ascolto è fondamentale prima di tutto capire chi fosse
Wagner e quale fosse il suo significato per
la storia della musica. Così ho cercato di
darne una panoramica assai sintetica nell’Introduzione, che è suddivisa in alcuni
paragrafi generali: la sua concezione dell’opera lirica, e ciò che nelle sue intenzioni
essa doveva diventare, e poi naturalmente
l’uso dell’orchestra e delle voci, la grande
innovazione del Leitmotiv o motivo-guida.
Poi c’è il personaggio in sé, un personaggio fuori dal comune: oggi ad esempio sarebbe inimmaginabile un sovrintendente,
com’era Wagner a Dresda durante i moti
del ’48 e ’49, che sale sulle barricate e si
mette persino a fabbricare granate con le
proprie mani. Anche a questo ho cercato
Un’immagine dal libro:
Il Festspielhaus di Bayreuth
in una foto del 1876
di dare spazio, pur senza disporre di una
biografia in senso stretto, ma compilando
una cronologia molto ricca e dettagliata rispetto ad altre pubblicazioni analoghe».
Spesso si paventano nel Ring i
troppi intrecci di personaggi e storie: ma in fondo il fantasy (Il Signore degli Anelli fra tutti!) è amato
da milioni di giovani proprio in virtù
di questo suo carattere di saga…
«Certo, sono due saghe analoghe, con
moltissimi punti in comune. Va detto che
Tolkien conosceva benissimo il Ring wagneriano, e sia Wagner che Tolkien avevano studiato le medesime fonti, a partire
dal simbolo dell’anello che è praticamente
identico».
Nell’Introduzione leggiamo anche
di un problema che si ripercuote su
tutta la cultura italiana: le lacune
nella formazione musicale a livello
scolastico e la sempre maggiore
tendenza allo zapping, che ci permette di raggiungere tutto in pochi
secondi, però con un sempre più
breve tempo di fruizione e concentrazione. In che modo la musica può
ancora farci ‘perdere nel tempo’?
«La storia narrata nell’Anello del Nibelungo è talmente potente che chi leggesse
soltanto la sinossi della trama potrebbe già
aver voglia di saperne di più, perché è
davvero una storia ricchissima. Non è la
‘solita’ opera lirica, che con la consueta
ironia Shaw sintetizzava come “quella rappresentazione in cui il tenore cerca di portarsi a letto il soprano, ma c’è sempre un
baritono che glielo vuole impedire”. La
trama dell’Anello del Nibelungo insomma
è qualcosa di molto diverso da tutto
quanto è venuto prima, e anche dopo:
qui c’è in gioco una guerra fra principi imponenti come la sete di potere, la brama
di ricchezza, l’egoismo, la vendetta, e naturalmente la lotta per imporre l’amore, e
il sacrificio eroico per la difesa di sentimenti come la lealtà, la fedeltà... Principi
fondamentali e messaggi importantissimi
per i giovani, e non solo; quindi chi veramente ha il coraggio di avventurarsi all’interno di questa saga può trovare messaggi etici molto importanti anche per il
nostro tempo».
Altro pregio fondamentale del libro
è senz’altro la nuova traduzione del
libretto, affidata a Franco Serpa,
germanista, latinista e musicologo
di eccezionale levatura.
«Avevo già invitato Serpa a tenere quattro
conferenze sul Ring alla Scala, e poi
Franco Pulcini ed io gli abbiamo commissionato questa nuova traduzione. Il
tedesco di Wagner infatti è un po’ macchinoso e idiosincratico, complesso da
leggere in originale: per questa ragione le
traduzioni italiane dei suoi libretti sono
spesso caratterizzate da barocchismi non
necessari che ne rendono la lettura molto
difficile. Serpa si è reso disponibile ad effettuare una traduzione più moderna e
fluida, con il risultato di una maggiore facilità di lettura: e sono convinto che sia
riuscito egregiamente nell’impresa, e che
la sua traduzione diventerà un punto di riferimento. Anche in questo caso, gli
esempi musicali presenti nella guida rimandano con dei numerini al libretto di
Franco Serpa: quindi non soltanto la musica, ma anche il libretto si può seguire in
tempo reale durante gli ascolti, naturalmente con il testo originale a fronte».
Non secondaria è la precisa individuazione delle fonti filosofiche che
hanno ispirato Wagner, grazie alla
collaborazione con Alessandro
Gamba: un apparato molto chiaro e
stimolante che accompagna con
brevi citazioni la guida all’ascolto
dell’opera.
«Il libro è nato proprio da quattro conferenze che Alessandro Gamba, professore
di storia della filosofia alla Cattolica di
Milano, mi ha chiesto di tenere nella sua
Università sulle implicazioni filosofiche
del Ring. Per questo libro ho chiesto
quindi la sua collaborazione, vista la sua
grande cultura sulla filosofia tedesca dell’epoca, per individuare le fonti cui Wa-
gner aveva attinto. Ne sono nati precisi paragrafi che permettono, in modo leggero,
breve e circostanziato, di misurarsi con
grandissimi classici della storia delle idee
senza appesantire la lettura. Presentati in
piccoli box, possiamo scegliere di leggerli
o di saltarli, ma credo che il lettore curioso
li leggerà proprio perché sono brevi e puntuali, ed aiutano a cogliere le sfumature del
libretto di Wagner».
A completare l’opera, nel libro compaiono anche due serie di immagini...
«Trattandosi dell’opera con il più lungo
periodo di gestazione della storia, mi incuriosiva molto far vedere al lettore come
cambiava il personaggio Wagner in questo
lungo periodo: sono andato quindi a cercare la foto più vicina al 1848, quando
Wagner cominciò la stesura dell’opera, e
quella più vicina al 1876, quando il Ring
andò finalmente in scena a Bayreuth. Ne
nasce una galleria cronologica che termina peraltro con un disegno, poiché non
esiste purtroppo una sola fotografia di
Wagner a Bayreuth. Né esiste una sola
foto di Wagner nel ’48/’49 a Dresda,
quando appunto, fra le barricate, iniziò a
scrivere il Ring. Poi ho voluto pubblicare
anche una galleria di manoscritti, dal
primo abbozzo del 1848 alla riproduzione
dell’ultima pagina della partitura, del
1874, dove Wagner chiosa con un “non
ho altro da dire”, cosa peraltro comprensibile dopo 24 anni e 15 ore di musica! E
la galleria si chiude con una fotografia del
Teatro di Bayreuth nel 1876 (anno della
prima assoluta del Ring). La scelta è nata
dal fatto che avvicinare il lettore a quel
dato mondo, in quel dato momento, mi
sembrava altrettanto importante dell’analisi dell’opera».
MI
MUSICA INSIEME
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L’INTERVISTA
MARIO BRUNELLO
Avanti con la musica
Come noi da sempre in prima linea nella promozione e nella ‘scoperta’ di talenti e nuove
vie per la diffusione della musica, Mario Brunello guiderà il 21 ottobre l’inaugurazione
della XXVII Stagione dei Concerti: ovviamente con un progetto inedito di Elisabetta Collina
O
gni incontro con Mario Brunello porta con sé nuove
idee, nuovi progetti, ossigeno e antiruggine alla musica: per questo abbiamo voluto affidare proprio a lui
l’inaugurazione della nostra XXVII Stagione. A Brunello ci accomuna peraltro la passione e l’impegno di sempre per la
promozione di giovani talenti e progetti inediti (ricordiamo fra
tutte l’inaugurazione della scorsa edizione dei Concerti di
Musica Insieme, con una trascinante Orchestra Giovanile Italiana, e la sua chiusura con l’Orchestra d’Archi Italiana ca-
peggiata da Salvatore Accardo). Raccogliendo il nostro invito,
Brunello ha creato da parte sua un programma del tutto speciale, incentrato sulle figure di Mahler e di Richard Strauss, che
lo vedrà nella doppia veste di violoncellista e direttore alla
guida di un ensemble composto da straordinari nuovi talenti,
affiancati a solisti già da tempo noti alle scene.
Che cosa ha escogitato per quest’occasione per noi
così speciale?
«In questo progetto sono due gli aspetti principali e paralleli:
innanzitutto le inaugurazioni sono sempre occasioni speciali,
e proprio per questo vengono spesso riservate a nomi importanti e progetti di richiamo. Per questo mi sembrava bello condividere questo spazio con dei brillantissimi giovani che ogni
anno crescono e fanno enormi passi avanti, e che è giusto abbiano delle occasioni importanti per esibirsi, altrimenti li releghiamo sempre nel ruolo di piccoli collegamenti, di comparsate. Invece per una Stagione, com’è quella di Musica
Insieme, non soltanto fra le più importanti, ma anche fra
quelle che osano di più nel panorama italiano, mi sembrava
giusto dare spazio a questi ragazzi».
Chi sono dunque i giovani interpreti che ha prescelto
per quella che sotto la sua direzione diventerà una
vera e propria orchestra da camera?
«Sono tutti eccezionali e promettenti, a partire dal Quartetto
Mirus, che seguo da un po’ di tempo; fra l’altro casualmente
tutti i membri del Quartetto fanno parte anche dell’Orchestra Mozart, per cui c’è un ulteriore collegamento con la vostra città. E poi ci sono i fiati che ho selezionato personalmente ai Corsi di perfezionamento dell’Accademia romana di
Santa Cecilia. D’altronde l’Orchestra di Santa Cecilia (che
nella sua gloriosa storia è stata diretta anche da Mahler e da
Strauss...) ha una sezione fiati straordinaria, non a caso i
suoi professori sono anche docenti dell’Accademia omonima.
Quindi mi è sembrato importante portare in questo modo anche una rappresentanza di un’Orchestra che negli ultimi anni
si è imposta fra le migliori compagini al mondo [e
con la quale Mario Brunello ha recentemente
inciso un cd, sotto la direzione di Antonio
Pappano, nel quale esegue un intensissimo
Concerto di Dvořák, ndr].
Accanto ai giovani vi saranno dunque
solisti d’esperienza, da Maurizio Ben Omar
alle percussioni, ad Ivano Battiston alla fisar-
monica: sappiamo che i giovani non possono che ricavare molto dall’esibirsi insieme ai maestri, ma cosa
accade viceversa all’interprete già in carriera quando
si contorna di queste nuove leve?
«È un processo ambivalente, perché anche noi ne usciamo
sempre arricchiti. Innanzitutto ti rimetti in discussione:
quando suoni insieme ai giovani non devi mai porti dalla parte
del docente, o di quello che ha già fatto determinate esperienze, anzi, ti metti in ascolto di cose nuove. A questi ragazzi
si possono magari trasmettere, durante le prove come durante le esecuzioni, quei piccoli trucchi del mestiere maturati
appunto con l’esperienza; il cosiddetto ‘sapere’ si fonderà poi
in quella cosa unica che è la musica, ma se ci si pone in un atteggiamento di docere, credo che l’incontro diventi abbastanza
sterile».
Se l’ensemble è un sapiente equilibrio fra giovani
leve e artisti maturi, anche il programma presenta in
un certo senso questa doppia valenza: in apertura il
Quartettsatz di Mahler, poi la Sonata per violoncello
di Strauss, due lavori particolarissimi, giovanili, casi
unici per entrambi i compositori, poi consacratisi alla
scrittura orchestrale.
«Infatti il secondo aspetto, dei due che ho citato all’inizio, è
proprio quello di considerare questi grandi nomi da una prospettiva meno musicologica e più umana, cogliendone il lato
giovane, i loro primi passi... fra l’altro Quartettsatz e Sonata
sono stati scritti proprio negli stessi anni. Mahler e Strauss
sono due autori che hanno poi seguito strade apparentemente
diverse, ma che in definitiva rappresentano due facce della
stessa medaglia: grandi colori orchestrali e orizzonti ampi
sono caratteri comuni ad entrambi, e s’intuiscono fin da queste loro opere giovanili. E poi, a fondere tutto questo, la
Quarta Sinfonia di Mahler: una sinfonia che presenteremo in
versione cameristica, una sinfonia che parla di giovani e di gioventù, insomma un’opera che mi sembrava si prestasse a chiudere il cerchio in modo ideale».
A questo proposito, nel IV movimento il soprano intona “Das himmlische Leben” da Des Knaben Wunderhorn (Il corno magico del fanciullo, la raccolta di
poesie curata da Arnim e Brentano assai cara a Mahler): è la visione che un bambino ha del cielo, un pensiero anche tragico se ricordiamo alcuni commenti di
Mahler sulla morte dei bambini, che per lui diventa
quasi un’ossessione...
«Sembra che Mahler ne faccia in un certo senso una metafora
dell’ingiustizia dell’umanità, di tutto quello che non deve accadere, e là dentro riversi tutto il dolore, la rabbia e anche l’impotenza dell’ingiustizia».
Con i suoi caratteri di innocenza e accessibilità, la
Quarta di Mahler è storicamente la più eseguita delle
sue sinfonie. Quali sono i pregi della versione cameristica di Klaus Simon che presenterete a Bologna?
«Intanto la versione di Simon è già in sé una novità, poiché in
genere si esegue sempre una versione di Stein, più o meno
coeva alla sinfonia stessa. Questa versione invece appartiene al
ciclo che Simon si è impegnato in questi ultimi anni ad ese-
guire di tutte le sinfonie mahleriane; ad oggi ha completato la
Prima, la Nona e la Quarta (quest’ultima nel 2007). È una versione leggermente diversa quindi da quella che di solito si
ascolta, ed anche questa è una riprova del fatto che la musica
di Mahler si presti a questa lettura più trasparente e leggera.
Direi che la Quarta in particolare si adatta alla perfezione ad
una versione cameristica, poiché la sua tessitura è sempre medio-alta, abbastanza solare, e raramente vi sono quelle profondità, o meglio oscurità, che si ritrovano nelle altre sinfonie.
Ho avuto la fortuna di interpretare parecchie sinfonie con
grandi direttori, a partire da Abbado, e tutte le volte che eseguivo una sinfonia di Mahler avevo sempre la sensazione di
suonare una specie di grande musica da camera. Probabilmente, proprio a partire dalla Quarta e dalla Nona, si tratta di
sinfonie che raramente ti fanno sentire dentro a un organico
mastodontico come quello che è previsto, ma piuttosto ti accolgono dentro a un grande gruppo di musica da camera, appunto, perché c’è un dialogo molto serrato fra tutte le componenti dell’orchestra. A maggior ragione, quindi, nella
versione da camera è interessante questa razionalizzazione dei
suoni, dei fiati come delle percussioni, oltre alla presenza del
pianoforte, e della fisarmonica, che amalgama un po’ tutto, il
che va proprio a vantaggio del dialogo. Fra l’altro è da rimarcare che la voce di Elisabetta de Mircovich, cantante della Reverdie specializzata nel repertorio medievale, ha un colore
molto particolare: è un registro di soprano, ma con una voce
bianca, che è proprio quello che ho sempre immaginato per
questa sinfonia...».
E intanto il violoncello di Brunello continua a scalare
le Dolomiti e a dare l’antiruggine alla musica: quali
sono le novità di quest’anno?
«Premesso che l’andare a suonare in montagna è diventato ormai uno spazio obbligatorio nel mio calendario, quest’anno ci
sono tre progetti di trekking che mi interessano particolarmente: uno è il Quintetto per archi di Schubert con un altro
Quartetto di giovani straordinari, il Lyskamm. Fra l’altro il loro
nuovo primo violino è Lorenza Borrani, ed il fatto che un’artista come lei si metta in gioco con un quartetto promette
grandi cose per il futuro... teniamo le orecchie ben aperte! L’altro progetto è pluriennale, avvicinandosi alle celebrazioni per
il centenario della Grande Guerra: con I suoni delle Dolomiti
abbiamo anticipato questo anniversario, ed insieme ad altri musicisti italiani incontreremo musicisti appartenenti a quei paesi
che si sono combattuti durante il conflitto. Suoneremo quindi
lungo le trincee e nei forti dove si svolse la Grande Guerra: dove
prima ci si affrontava con le armi, adesso ci si affronterà a suon
di musica, imbracciando i nostri archetti. Questo è un progetto
che mi impegnerà per un po’ di anni, mentre il terzo progetto
riguarda un altro aspetto che amo molto, quello di mettere insieme la parola con la musica: per quest’anno, insieme a Umberto Petrin al pianoforte ed allo scrittore Stefano Benni, facciamo un lavoro sui racconti di Edgar Allan Poe, dal titolo I
mille cuori di Poe. Si tratta fra l’altro di racconti molto musicali: talvolta viene citato espressamente un dato brano, talvolta
compare anche uno strumento musicale, insomma fra le loro
pagine ci sono sempre molti suoni...».
MI
MUSICA INSIEME
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L’INTERVISTA
EMERSON STRING QUARTET
Omaggio all’Europa
L
Il quartetto americano che nel 1997 festeggiava proprio a Bologna il suo primo
ventennio di attività, torna a Musica Insieme con un programma che celebra
il Vecchio Continente di Anastasia Miro
’Emerson String Quartet, giunto
ormai alla soglia dei quarant’anni
di attività, con oltre trenta incisioni discografiche e un repertorio sterminato che abbraccia tutta la storia del
quartetto, si appresta a tornare sul nostro
palcoscenico dopo quasi due decenni di
assenza. Eugene Drucker, che si alterna al
collega Philip Setzer nel ruolo di primo
violino, ci parla di quali siano gli aspetti
più importanti per formare un grande
quartetto, e dal momento che l’Emerson
da diversi anni si dedica con passione anche all’insegnamento, fornisce qualche
utile consiglio per i giovani che si affacciano all’attività concertistica. Sull’onda
del ricordo dei concerti più importanti e
dei compositori più amati, nonché dei
maestri che hanno guidato questo straordinario quartetto fin dagli esordi, l’Emerson si racconta con generosità al pubblico di Musica Insieme.
Perché avete deciso di prendere il nome dal poeta americano Ralph Waldo Emerson?
«Siamo diventati un quartetto professionista nell’anno del bicentenario degli Stati
Uniti d’America, il 1976. Volevamo un
nome americano con un significato culturale, ma non necessariamente doveva
essere un nome legato nello specifico al
mondo della musica. Ralph Waldo Emerson non fu solo un grande poeta, ma anche un importante filosofo, che ebbe
un’enorme influenza sulla vita intellettuale e spirituale degli Stati Uniti per la
maggior parte del diciannovesimo secolo,
esercitando anche un influsso notevole
su molti filosofi europei, uno fra tutti
Friedrich Nietzsche».
Quale è stato per lei il più bel concerto (sia come interprete che come
ascoltatore)?
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MI
MUSICA INSIEME
«È impossibile citarne uno solo. Da adolescente, mentre già studiavo seriamente
violino e musica da camera, ho ascoltato
i meravigliosi concerti del Quartetto
Guarnieri con vari programmi (Mozart,
Schubert, Debussy, Beethoven), ma anche il ciclo completo dei quartetti di Beethoven eseguito a New York dal Juilliard
String Quartet. Ho ascoltato Rudolf Serkin in un recital alla Carnegie Hall ed anche numerosi bellissimi concerti del leggendario violinista Nathan Milstein. Ho
amato molti concerti della Boston Symphony Orchestra a Tanglewood (frequentavo i loro festival estivi quando studiavo là, dal 1968 al 1970) e sono stato
molto felice di ascoltare la Chicago Symphony Orchestra alla Carnegie Hall (e
più recentemente nella loro stessa sala a
Chicago, mentre mi trovavo là per suonare proprio con l’Emerson String Quartet). Ho anche molto ammirato la Cleveland Orchestra, sia in concerto che
nelle sue registrazioni».
Quali sono stati i maestri più importanti (non solo in senso musicale) incontrati nella sua vita?
«Il mio insegnante, Oscar Shumsky, col
quale si è perfezionato anche il mio collega Philip Setzer, era uno dei più grandi
violinisti (e musicisti tout court) che io abbia mai incontrato. Aveva una conoscenza
enciclopedica del repertorio violinistico e
poteva brillantemente eseguire qualunque cosa uno studente gli portasse a lezione. Ricordo poi che a diciotto anni, a
Tanglewood, ho avuto la grandissima
emozione di essere scelto come Maestro
Concertatore dell’orchestra degli studenti
quando Leonard Bernstein doveva dirigere la Nona Sinfonia di Bruckner.
Quando incontrai nuovamente Bernstein
vent’anni dopo (nel 1990, proprio l’anno
in cui morì), egli definì quell’esecuzione
come una delle migliori interpretazioni
della Nona Sinfonia».
In quasi 40 anni di carriera l’Emerson String Quartet ha esplorato una
gran parte del repertorio per quartetto d’archi: qual è secondo voi un
compositore da (ri)scoprire?
«Noi abbiamo ‘scoperto’ Šostakovič subito dopo l’inizio della nostra carriera. I
suoi quindici quartetti rappresentano un
pilastro del repertorio del ventesimo secolo per questo genere, come i sei quartetti di Bartók. Naturalmente anche quelli
di Beethoven sono un elemento fondamentale del nostro repertorio e, se vi aggiungiamo l’esecuzione di uno o due
quartetti di Haydn per stagione, sarebbero sufficienti per completare la nostra
intera carriera! Poi adoriamo i quartetti di
Mozart, amiamo il lirismo di Schubert,
Schumann, Mendelssohn e Dvořák e
siamo affascinati dalla complessità di
Schoenberg, Berg e Webern. Amiamo
Brahms, anche se i suoi quartetti per archi non rappresentano forse l’apice della
sua produzione cameristica (i suoi lavori
per pianoforte e archi, come i quintetti e
i sestetti, sono forse più pienamente compiuti, almeno dal punto di vista strutturale, dei suoi quartetti per archi, ma non
c’è dubbio che Brahms sia stato uno dei
massimi compositori della storia)».
Come avete concepito Perspectives,
la serie di concerti da voi curati per
la Carnegie Hall?
«Si trattava di una serie di nove concerti
organizzati intorno all’integrale dei quartetti di Beethoven (che da soli avrebbero
richiesto sei concerti). Volevamo dimostrare l’influenza che Beethoven ha avuto
sulle generazioni di compositori che lo
hanno seguito fino ad oggi, ma anche
Foto Lisa-Marie Mazzucco
evidenziare i legami esistenti tra Beethoven e i suoi immediati predecessori,
Haydn e Mozart. Abbiamo anche incluso
estratti dall’Arte della Fuga di Bach, per
mostrare la base contrappuntistica della
scrittura a quattro parti che Beethoven ha
portato alle estreme conseguenze nella
Grosse Fuge, che originariamente costituiva il finale del suo Quartetto op. 130».
L’Emerson String Quartet dedica anche molto tempo all’insegnamento.
Quali sono a suo avviso gli aspetti
più importanti che un giovane quartetto deve curare per costruirsi una
carriera solida e duratura?
«È importante sviluppare un suono d’insieme, che dipende per una certa misura
dall’abilità di fondersi con gli altri, ma anche dalla capacità di ogni singolo musicista di proiettare la propria voce individuale nella tessitura del gruppo. Nei
quartetti per archi vi è un’alternanza tra
passaggi accordali (per i quali la fusione è
preferibile) e passaggi contrappuntistici,
in cui è importante l’individualità di ogni
membro. È necessaria una considerevole
mole di lavoro tecnico nel campo dell’intonazione, dell’assieme e del ritmo, in
modo da ottenere un livello qualitativo
soddisfacente. È fondamentale infine che
ogni musicista rispetti gli altri, non im-
porta quanto siano diverse fra loro le personalità, l’approccio allo strumento o le
scelte interpretative dei membri di un
quartetto».
Il programma che presenterete a
Bologna ha una sorta di fil rouge?
«Il Quartetto op. 20 n. 3 di Haydn è
uno dei lavori più cupi del suo autore in
questo genere (ad eccezione del movimento lento, così pacifico, e di una bellezza radiosa). Il secondo Quartetto di
Bartók rappresenta un punto di svolta
nella musica del ventesimo secolo, così
come si può dire che i tre Quartetti op.
59 (Razumovskij) di Beethoven abbiano
rivoluzionato per sempre la storia del
quartetto per archi. L’op. 59 n. 1 è l’unico
brano che io conosca ad avere tutti e
quattro i movimenti in forma-sonata, e
questo è solo uno dei modi in cui Beethoven ha ampliato il ventaglio delle possibilità strutturali del quartetto per archi. Ma Beethoven ha ampliato anche la
gamma sonora, la tessitura degli strumenti e l’aspetto emotivo del quartetto. Il
movimento lento, che nel manoscritto è
preceduto dalle parole «Un salice piangente sulla tomba di mio fratello»,
quando i due fratelli di Beethoven erano
ancora vivi, si potrebbe interpretare come
un’espressione di lutto (e di finale conso-
lazione) per la caducità della vita umana».
Come commenterebbe il Quartetto
n. 2 di Bartók, che è stato definito
“la marcia funebre del XX secolo”?
«Possiamo dire che il primo movimento
del Quartetto di Bartók si apre con lunghe frasi impetuose, e con una nostalgia
quasi romantica. Dopo una sezione di
sviluppo piuttosto violenta, la riesposizione del primo tema è molto più sommessa, quasi smorzata, proseguendo poi
in modo estremamente frammentario. È
come se, dopo essere stato sottoposto allo
sconvolgimento dello sviluppo, il materiale tematico non potesse più essere lo
stesso. È importante ricordare che questo
quartetto fu composto durante la prima
guerra mondiale, che ha rivoluzionato in
ogni senso l’arte e la società europee. Il secondo movimento è uno Scherzo martellante, pulsante, diabolico, con una sezione centrale di beffardo lirismo e un
elettrizzante Prestissimo a mo’ di coda. Il
terzo e ultimo movimento è una delle
più desolanti evocazioni della disperazione che io abbia mai udito. L’incedere
frammentario della fine del primo movimento ritorna qui, ma con un effetto ancora più profondo. Le due note pizzicate
finali di viola e violoncello risuonano
come una sorta di campana a morto».
“
È fondamentale che ogni musicista rispetti gli altri, a prescindere dalle
diversità personali o dalle scelte interpretative dei membri di un quartetto
MI
“
MUSICA INSIEME
17
L’INTERVISTA
ANTONIO MENESES
Intimità e armonia
Musica Insieme riporta a Bologna dopo quasi un ventennio il grande violoncellista
brasiliano, che in Maria João Pires ha trovato una partner ideale di Alessandro Di Marco
Quando e come è nata la collaborazione con Maria João Pires?
«Per la verità, è un incontro avvenuto
quasi per caso. In comune avevamo all’epoca solo il nostro agente, che è anche
un amico, brasiliano. Io avevo programmato un tour in Brasile appunto con Menahem Pressler, il grande pianista, fondatore del Trio Beaux Arts. Purtroppo,
Pressler fu costretto a cancellare quegli
impegni ed io mi sono trovato nella condizione di cercare un nuovo partner. Ed
ecco che il nostro comune amico e agente
brasiliano suggerisce il nome di Maria
18
MI
MUSICA INSIEME
Foto Marco Borggreve
C
lasse 1957, brasiliano di Recife,
Antonio Meneses ha trovato il
suo mentore nel grande violoncellista italiano Antonio Janigro. Un incontro avvenuto quando lui era ancora
adolescente, appena sedicenne. Forse è
per questo che Meneses ha un così buon
rapporto con il nostro paese, con il pubblico italiano, e quello bolognese in particolare che lo ascolterà insieme a Maria
João Pires, con la quale collabora da anni.
Certo è che proprio in Europa la carriera
del violoncellista brasiliano si costruisce
passo dopo passo, proprio a cominciare
dall’incontro con Janigro, che lo accoglie
nella sua classe a Düsseldorf, dove insegnava presso il Conservatorio “Schumann”. Poi sono venuti i premi internazionali – lo “ARD” a Monaco nel 1982, e
la vittoria al “Čajkovskij” di Mosca – e a
seguire i concerti in tutte le più prestigiose
istituzioni musicali planetarie. Insomma,
Meneses è entrato a buon diritto nel novero dei grandi interpreti internazionali,
reputazione che si è guadagnato anche
grazie alla sua particolare passione per la
musica da camera. Una passione che proprio nella collaborazione con la pianista
portoghese Maria João Pires ha trovato
una speciale, e particolarmente fruttuosa,
opportunità di maturazione.
João e naturalmente chiede a lei se potesse
avere interesse a cominciare una collaborazione con me. L’unico modo per saperlo era provare assieme. E così abbiamo
fatto: abbiamo cominciato a provare assieme, suonando la Seconda e la Terza
delle Sonate di Beethoven. Potremmo
dire che si è trattato di ‘amore a prima vista’. C’è stata un’intesa immediata e subito felice».
Trova parecchia differenza tra il
suonare in duo musica da camera e
l’esibirsi come solista con un’orchestra, collaborando quindi con un direttore?
«No, non c’è una grandissima differenza.
In entrambi i casi resta fondamentale la
capacità di comunicare, sia che il partner
sia un pianista, sia che si tratti di un direttore d’orchestra. Certo, in un duo c’è
per così dire una maggiore intimità, tanto
più quando si ha la fortuna di collaborare
con musicisti come Pressler o come Maria João Pires».
Come avete costruito il programma
che suonerete a Bologna per Musica
Insieme?
«È il frutto di un lungo lavoro. Intanto
cominciamo col dire che lo abbiamo registrato per la Deutsche Grammophon.
Quella registrazione è stata il punto di
partenza per collegare Schubert, Brahms
e Mendelssohn. Soltanto dopo il lavoro
in sala d’incisione abbiamo capito che
quella serie di brani poteva essere interessante anche per un pubblico che li
ascoltasse dal vivo. Così siamo passati in
sala da concerto. Uno dei primi recital
con questo programma lo abbiamo presentato alla Wigmore Hall. La chiave di
lettura potrebbe essere vista nell’armonia.
Tra questi pezzi esiste una certa affinità
armonica, che possiede un suo specifico
carattere. Potrei definirlo un carattere intimo, raccolto, che trova corrispondenza
peraltro nell’essere tutti i brani in programma davvero musica da camera, nel
senso pieno del termine. Inoltre, tutti i
brani hanno in comune un’evidente attitudine melodica. Il violoncello in certo
senso canta in queste pagine vere e proprie melodie dal sapore spesso autenticamente vocale. Certo, nelle pagine di
Brahms i diversi piani della composizione s’intrecciano, creando quella speciale combinazione di elementi che è caratteristica dello stile del musicista
amburghese. Nonostante questo, però,
anche in quelle pagine emerge una componente melodica particolarmente suggestiva, e oserei dire tinta di una sua originale e sincera nostalgia».
Restando allora nella dimensione
del ricordo, vorrebbe dirci qual è il
concerto che, seduto tra il pubblico,
oppure protagonista in scena, lo ha
più colpito?
«Non riuscirei ad indicarne uno in particolare. Però, ad esempio, la scorsa primavera in Brasile ho avuto l’occasione di
ascoltare la Quarta Sinfonia di Gustav
Mahler eseguita dall’Orchestra Giovanile
di San Paolo. È stata una serata indimenticabile. Se devo poi pensare alla mia storia, non ho dubbi: la mia predilezione va
al Trio Beaux Arts e a Menahem Pressler».
L’INTERVISTA
ESTRIO
Note in rosa
Laura Gorna, violinista di Estrio, ci spiega come da un’amicizia possa nascere
una duratura collaborazione professionale, dando vita a quella che lei stessa definisce
“la formazione cameristica per eccellenza” di Cristina Fossati
T
orna a Musica Insieme un ensemble nato dall’incontro di tre artiste
considerate fra le migliori interpreti della nuova generazione. Laura
Gorna (violino), Cecilia Radic (violoncello) e Laura Manzini (pianoforte)
hanno saputo raccogliere e reinterpretare
la tradizione della grande scuola italiana,
resa celebre nel mondo dai loro stessi
maestri: Salvatore Accardo, Rocco Filippini e Bruno Canino. Sul palcoscenico
del Teatro Manzoni, l’11 dicembre prossimo l’Estrio accosterà la “sregolatezza”
del Trio di Arenskij all’appassionato Trio
in sol minore di Smetana, pagina di riferimento per questa formazione, e dedicata
dall’autore alla memoria della figlia scomparsa. A queste due opere se ne aggiunge
una terza, frutto della collaborazione con
Adriano Guarnieri, che Musica Insieme
ha invitato a comporre espressamente per
Estrio il brano Lassù… le stelle… si accorgano… di te, dedicato alla memoria del
piccolo Devid Berghi, la cui vicenda nel
2011 ha commosso il nostro paese, che
ascolteremo in prima esecuzione assoluta.
Insomma, un programma particolarmente ‘sentito’ dalle tre artiste, musiciste
e mamme allo stesso tempo, come ci
spiega la violinista del Trio, Laura Gorna.
Come è nata la vostra collaborazione?
«La storia di Estrio è una storia di amicizia. Nasce dai primi anni di conservatorio tra me e Cecilia, e più tardi alle Settimane Musicali Internazionali di Napoli
anche con Laura Manzini, dove iniziano
le prime collaborazioni cameristiche importanti, in varie formazioni, e cresce un
“
sodalizio umano. Col tempo, è nato in
tutte e tre il desiderio di costruire qualcosa di “nostro”, riassumendo tutte le
esperienze maturate al fianco di grandi interpreti in quella che per noi è la formazione cameristica per eccellenza: il trio
con pianoforte. Nel 2005 nasce Estrio».
Ci raccontereste l’origine e le sfumature… semantiche del nome
Estrio, che avete prescelto per la vostra compagine?
«Non c’è formazione cameristica, come il
trio con pianoforte, che consenta la contemporanea presenza di tre forti individualità in un’entità assolutamente coesa.
Anche la scelta del nome rispecchia
quindi questa “molteplicità”, racchiudendo in sé diversi richiami in un unico
nome: il mi bemolle tedesco (Es), nella
cui tonalità è stato scritto un capolavoro
assoluto come il Trio op. 100 di Schubert, l’Es della “struttura tripartita” della
psiche secondo Freud (l’Io inconscio), la
consonanza con il concetto di estro, l’ardore della fantasia e dell’immaginazione
nella cultura classica greca, e non ultimo
la parola trio. Spesso ci viene chiesto
quale sia la corretta accentuazione del
nostro nome. Proprio per la sua origine
così articolata, a noi piace che la scelta sia
assolutamente libera: èstrio o estrìo sono
entrambe pronunce corrette! L’ambiguità
del nome è parte integrante di esso».
Quali sono stati i più importanti
‘maestri’ che avete incontrato nella
vostra vita?
«Ognuna di noi ha diverse figure di riferimento nella propria crescita umana e artistica. Ad accomunarci Clara Wieck
Schumann, che sin dall’inizio della nostra
collaborazione ha rappresentato un’inesauribile fonte di ispirazione, sia in qualità di artista che di donna. Sorprendente
è la modernità di Clara, in grado di coniugare nel XIX secolo il ruolo di concertista, compositrice, moglie, madre e
figura di spicco del mondo intellettuale
dell’epoca. È a lei che abbiamo dedicato
un lungo lavoro che ci ha coinvolto e appassionato, insieme all’attrice Sonia Bergamasco, la scrittrice e poetessa Maria
Grazia Calandrone e la coreografa Antonella Agati. Ne è nato uno spettacolo nel
quale fiorisce l’avventura umana e spirituale di un incontro predestinato, quello
tra Clara e Robert, eseguito in prima nazionale per il Festival MiTo e, successivamente, in diretta radiofonica per i Concerti di RadioTre».
Fin dal vostro esordio avete riscosso
un grandissimo successo di pubblico
e di critica. Il trio peraltro è formazione che può contare su un repertorio ricco di capolavori, tuttavia
non sono numerosissimi (in confronto ad esempio ai quartetti d’archi) i trii che abbiano lasciato un segno nella storia, né paiono troppo
abbondanti nel panorama musicale
odierno (soprattutto italiano). Quali
ne sono secondo voi i motivi?
«Per rispondere a questa domanda dovremmo prima accordarci sul significato
di “lasciare un segno nella storia”, ma ci
porterebbe troppo lontano. Possiamo sicuramente affermare che le due formazioni richiedono un approccio compositivo molto diverso, per la presenza del
Non c’è formazione cameristica, come il trio con pianoforte, che consenta
la contemporanea presenza di tre forti individualità in un’entità coesa
20
MI
MUSICA INSIEME
“
pianoforte e degli equilibri che gli archi
devono instaurare con questo. La maggior
parte dei compositori di oggi, anche italiani, continua a scrivere per trio, la vera
difficoltà è riuscire a portare tale repertorio a conoscenza del grande pubblico.
Proprio per questo, riteniamo molto importante l’iniziativa di Musica Insieme,
che speriamo possa essere d’esempio per
altre importanti istituzioni concertistiche
italiane».
C’è qualche compagine di ieri o di
oggi alla quale fate riferimento?
«Per aspetti molto diversi, siamo state
ispirate da alcuni Trii che hanno segnato
la storia dell’interpretazione: Stern-RoseIstomin, Trio di Trieste e Trio Beaux
Arts».
Il programma prevede anche una
prima assoluta, scritta da Adriano
Guarnieri proprio per Estrio. Parlando del suo brano, Guarnieri fa
riferimento alla ricerca acustica di
una vita: quella sul suono quasi
‘materico’ e sul tempo sospeso di
molte sue partiture. Come avete affrontato questo nuovo lavoro?
«La ricerca del suono è stata sicuramente
una parte molto stimolante nello studio
di questo brano. Il compositore ha sottolineato l’importanza di rendere trasparenti gli equilibri tra le varie parti, al fine
di enfatizzare le cellule tematiche principali, divise tra i vari strumenti. Importante anche caratterizzare i vari episodi di
cui è composto il Trio, pur nella fluidità
del passaggio tra questi. Il tragico evento,
dal quale trae origine il brano, genera
una fortissima tensione emotiva che pervade l’intera scrittura musicale».
Un drammatico filo conduttore sembra legare il brano di Guarnieri –
che ricorda la morte del piccolo Devid Berghi, a Bologna, nel gennaio
del 2011 – al Trio op. 15 di Smetana, dedicato alla figlia Bedřiška,
scomparsa a 4 anni. Al lutto e alla
tragedia si legano in entrambe le
opere la forza della speranza e la
fede in una ‘rinascita’, oltretutto
nel periodo che precede il Natale.
Quale conforto, o quale messaggio
ritenete possa dare la musica rispetto alle tragedie della vita?
«C’è un’incapacità espressiva della lingua
parlata di fronte a certi eventi a forte impatto emotivo, sia tragici che gioiosi. Sicuramente altre forme d’arte esprimono
bene il sentire umano, ma a nostro avviso
nulla come la musica riesce ad arrivare fin
nel profondo delle emozioni e nulla come
la musica riesce a sublimarle. Ad esempio
il Trio di Smetana ci offre un ventaglio di
sentimenti legati al dolore della perdita,
come la rabbia, la malinconia, l’impotenza e la rassegnazione, unitamente al superamento di essi, in un finale di grande
coinvolgimento e di speranza. Affrontare
Lassù… le stelle… si accorgano… di te di
Guarnieri è stata un’esperienza emotivamente molto impegnativa per noi, sia
come interpreti che come madri, ma allo
stesso tempo anche catartica».
Tutt’altro scenario si apre invece a
proposito di Arenskij, autore assai
meno noto. Come definireste la sua
opera, sicuramente da riscoprire?
«“Sarà presto dimenticato”, sosteneva
Rimskij-Korsakov del suo allievo Arenskij: un giudizio assai severo che era più
che altro determinato da considerazioni di
carattere morale, conducendo il giovane
discepolo una vita piuttosto sregolata,
“dissipata tra il vino e il gioco delle carte”.
Apprezzato, invece, da Prokof ’ev e Stravinskij, Arenskij pare fosse molto stimato
anche da Čajkovskij, del quale aveva seguito l’orientamento verso la tradizione
occidentale, a dispetto del proprio maestro e del resto del “Gruppo dei Cinque”.
Di questo Trio, considerato tra le sue
composizioni migliori, ci appassiona proprio la “sregolatezza”, data dalla libertà
formale, dall’enorme ricchezza tematica
(in cui si possono individuare anche influenze mendelssohniane) e da un sapiente, quanto insolito, uso del colore
strumentale. Sicuramente un compositore da riscoprire».
Parlando di un trio tutto al femminile, viene spontaneo chiedersi se vi
sia nei vostri programmi una particolare attenzione per le (mai abbastanza considerate) ‘quote rosa’
della storia della musica: è così?
«Sin dalla nascita di Estrio abbiamo sentito una forte esigenza di recupero del repertorio ‘al femminile’: non a caso siamo
state inserite nelle celebrazioni che il Quirinale ha organizzato per l’8 marzo 2009,
con un concerto tutto dedicato a musiche
di compositrici nella Cappella Paolina,
alla presenza del Presidente Napolitano.
Cerchiamo di inserire il più spesso possibile brani ‘femminili’ nei nostri programmi e riscontriamo costantemente un
grande interesse da parte del pubblico, e
lo stupore di molti nello scoprire quanti
capolavori dimenticati si celino nelle
‘quote rosa’».
L’impegno a favore della causa
femminile si concretizzerà anche in
una campagna di sensibilizzazione
contro la violenza sulle donne: ce ne
volete parlare?
«Il nostro impegno sociale ed artistico
contro la violenza sulle donne è sempre
presente. Prossimamente Estrio parteciperà ad un grande progetto sul tema, che
è ancora in via di definizione, quindi preferiamo ‘scaramanticamente’ non anticiparne i dettagli. Di sicuro siamo state e saremo sempre disponibili per tutte quelle
iniziative che potranno sensibilizzare
l’opinione pubblica su questo drammatico tema».
MI
MUSICA INSIEME
21
IL PROFILO
BEDŘICH SMETANA
Un’identità universale
N
Simbolo riconosciuto della musica ceca, l’autore della celeberrima Moldava,
del quale proporremo l’11 dicembre lo struggente Trio op. 15,
rifuggì sempre da ogni facile folklorismo di Giordano Montecchi
ella musica dell’Ottocento,
“scuole nazionali” è sinonimo
di novità, giovinezza, ingenuità,
vitalità nativa. Dalle periferie d’Europa e
di un Impero ormai pericolante, l’eredità
del romanticismo, con la sua esaltazione
del popolo e delle mitologie ancestrali,
alimenta il risveglio delle identità nazionali, in un mix di propositi indipendentisti e rivoluzionari.
In questo quadro storico, uno dei protagonisti fu senza dubbio Bedřich Smetana,
considerato giustamente il padre della
musica ceca: musica che per secoli era
stata parte integrante della civiltà musicale
dell’Impero e che ora ambiva a emanciparsi. Il palcoscenico planetario di oggi,
sappiamo bene, è più che mai pieno di
queste aggrovigliate, spesso tragiche vicende, su cui sventolano insegne quali
identità culturali, etniche, nazionali o
pseudo-tali. La musica, per la sua insopprimibile natura di metafora comunitaria,
è da sempre un catalizzatore insostituibile di questi fermenti, una fucina ineguagliata di collanti identitari, di icone
folkloriche la cui ‘autenticità’ nazionale o
linguistica, per quanto esaltata ed esaltante, nasce però non di rado a tavolino.
La figura e l’opera di Smetana ne sono un
esempio magnifico e illuminante. Il padre
della musica ceca non parlava la lingua
čeština, né era interessato alla musica folklorica della propria terra, che non volle
mai utilizzare nelle sue composizioni.
Sulla scorta del suo idolo e mentore, Franz
Liszt, Smetana si sentiva ed era un progressista, musicista d’avanguardia, diremmo oggi. E rifuggiva da ogni folklorismo che riteneva deleterio per la musica
d’arte.
In seno alle cosiddette “scuole nazionali”
(nozione fra le più fuorvianti e scivolose
della storia musicale), le spaccature tra
22
MI
MUSICA INSIEME
folkloristi e progressisti erano già allora
profondissime e insanabili: «Smetana...
ha riempito una quantità di carta da musica... ma quanto è vuota e priva di senso
questa sua opera: Prodaná nevěsta (La
sposa venduta). La cosa migliore è il suo
lieve sentore di musica ceca, che le dona
un po’ di colore e la rende più sopportabile... eppure è vuota. Essa passa in rassegna ogni sorta di nullità: il nulla sentimentale, il nulla pastorale, il nulla poetico,
nient’altro che il nulla...». Così Tzezar’
Kjui, membro del kučka, il ‘gruppetto’
dei cinque russi, stroncava l’opera che nel
1866 segnò idealmente la nascita della
nuova musica ceca. A suo avviso, la nullità della partitura consisteva nel suo riproporre modelli standardizzati, dove la
presenza vivificante dell’idioma locale era
assolutamente marginale. In effetti, erano
soprattutto i cinque russi (e neppure all’unisono) a propugnare una musica nazionale che scaturisse da tradizioni popolari autentiche. Ma a fronteggiarli, in
Russia come nel resto d’Europa, insieme
a Smetana c’era uno schieramento formi-
Bedřich Smetana (1824-1884)
dabile. Anche perché in un immaginario
che mescolava musica ed emancipazione
dei popoli, l’impero zarista era visto da
molti come un Moloch ben più oppressivo e imperialista dell’Austria.
Dove Smetana pone il suo sigillo all’idea
musicale della patria è nei sei poemi sinfonici di Má vlast (La mia nazione), di cui
Vltava (Moldava) è anche una delle pagine
orchestrali più ammirate di tutto l’Ottocento: il luogo dove il fiume di Praga si incarna in quel tema celeberrimo, di inconfondibile matrice popolare e divenuto
emblema musicale di una nazione in cerca
di se stessa. Un tema indimenticabile grazie a Smetana, ma che seppur (forse) popolare, di certo non aveva nulla a che fare
con la tradizione ceca. Da emigrante in
cerca di fortuna, infatti, Smetana lo aveva
ascoltato quindici anni addietro, a Göteborg: Ack Värmeland, du sköna (Oh Värmeland, tu bellissima). Ma quel canto gli
svedesi l’avevano ereditato a loro volta
chissà per quali vie. Già sul finire del Cinquecento infatti, il cantante e compositore
Giuseppino del Biado intonava questa
melodia, divenuta famosa come Il ballo di
Mantova e diffusasi poi ovunque, dalla
Spagna alla Polonia, dalla Scozia alla Romania, fino al mondo della diaspora.
Tanto che oggi la ritroviamo come Hatikvah (Speranza): l’inno dello stato di
Israele. E di certo anche Guglielmo Cottrau (o chi per esso) nel mettere in pentagramma Fenesta che lucive, l’aveva nelle
orecchie...
Identità e autenticità non come dati di natura, ma come costruzione sociale o estetica. Chissà se lo scetticismo modernista di
Smetana nasceva da qui. Di certo in una
cosa fu lungimirante: quando scelse quella
melodia, che lui sentiva non “boema” ma
“universale”, per eleggerla a simbolo della
propria identità.
I LUOGHI DELLA MUSICA
Occhio alla musica
Artelibro 2013, in programma a fine settembre a Bologna, offre numerose occasioni per
scoprire i significati nascosti nell’universo sonoro, fra stampe storiche, vinili e fotografie;
perché qualche volta la musica si può anche solo guardare... di Maria Pace Marzocchi
A
l traguardo dei 10 anni, l’edizione di Artelibro – Festival del
Libro d’Arte in calendario a Bologna dal 22 al 25 settembre 2013, ha
avuto come tema guida “MUSICA PER
GLI OCCHI. Collezionismo all’Opera”.
All’inaugurazione in Cappella Farnese, il
Sovrintendente del Teatro Comunale
Francesco Ernani ha introdotto l’appuntamento musicale d’apertura: arie verdiane cantate dal soprano Felicia Bongiovanni. Temi musicali vi saranno poi nelle
tavole rotonde e nei convegni, tra cui
quello promosso dalla Soprintendenza ai
Beni Archivistici e Librari, dedicato all’illustrazione di alcuni fra i più importanti
fondi musicali di cui la nostra regione è
ricchissima (Bologna in primis, e poi
Parma, Modena, Reggio Emilia, Ravenna
e molti centri della Romagna), ed al progetto di digitalizzazione dei libretti
d’opera. Da segnalare poi, fra le attività rivolte alla scuola e in consonanza con
l’anno verdiano, la lezione-concerto “Giuseppe Verdi a scuola”, rivolta ai bambini
delle scuole primarie.
Musica anche in alcune delle esposizioni
promosse da Artelibro, visitabili ben oltre
i quattro giorni del festival. In mostra alla
Biblioteca dell’Archiginnasio (fino al 6
ottobre) “Una tipografia musicale”, di Tallone Editore. Nelle bacheche, i caratteri di
una tipografia musicale gregoriana tuttora attiva: una sequenza di bulini, punzoni, matrici, tipi mobili originali fusi a
Parigi nel corso dell’Ottocento, affiancati
da pagine tratte dai tipi in mostra. Nell’Aula Magna della Biblioteca Universitaria, fino al 10 ottobre, “Records by Artists
(1960-1990)”, circa 300 dischi d’artista,
tra cui quelli realizzati da John Cage,
Brian Eno, Laurie Anderson, Filippo
Tommaso Marinetti, Marcel Duchamp,
Mimmo Rotella… Fino al 20 ottobre, al
Museo Internazionale e Biblioteca della
Musica si può visitare “Literary Lennon”,
una sorprendente raccolta della produzione letteraria e grafica di John Lennon.
Si protrarrà fino all’11 novembre l’esposizione “Musica da vedere” presso la fototeca Zeri che, attraverso la straordinaria
documentazione fotografica dell’istituzione (quasi 300.000 stampe), illustra il
A sinistra: John Lennon, A Spaniard in
the Works (“Literary Lennon”, Museo
Internazionale e Biblioteca della Musica).
Sopra: Jan Bruegel il Giovane, Allegoria
dell’udito, (“Musica da vedere”, Fondazione Zeri)
24
MI
MUSICA INSIEME
tema della rappresentazione della musica
nei dipinti tra la fine del Cinquecento ed
i primi decenni del Settecento, con particolare attenzione al genere della natura
morta. Tradotti nelle stampe a colori e in
quelle storiche in bianco e nero (quasi
tutte gelatine ai sali d’argento), i dipinti di
Caravaggio, Orazio Gentileschi, Baschenis, dei Bruegel e di tanti altri pittori italiani ed europei illustrano quattro fondamentali temi-guida: la scrittura musicale
nei dipinti caravaggeschi, la ‘natura morta’
di strumenti musicali in area lombarda, la
rappresentazione della musica nell’ambito
delle Allegorie dei sensi, la musica nelle
Vanitas, secondo un filo conduttore costituito dalla rappresentazione del testo
musicale dipinto accanto agli strumenti. E
quando i testi musicali sono identificabili,
sanno fare luce sui gusti e sugli ideali musicali del contesto culturale che ha prodotto le immagini. Le stampe in mostra
sono state scelte da un nucleo di 13.900
fotografie che rappresenta il più importante archivio fotografico al mondo dedicato al genere della natura morta. Tale sezione della fototeca Zeri non è stata
ancora digitalizzata, e la mostra in corso
costituisce anche un’occasione per promuoverne il progetto di schedatura.
I CONCERTI ottobre/dicembre 2013
Lunedì 21 ottobre 2013
AUDITORIUM MANZONI ore 20.30
MARIO BRUNELLO / GUSTAV MAHLER: UN RITRATTO
QUARTETTO MIRUS
“I FIATI”, ACCADEMIA NAZIONALE DI SANTA CECILIA
ELISABETTA DE MIRCOVICH.......soprano
LEONORA ARMELLINI............................pianoforte
DANIELE CARNIO........................................contrabbasso
IVANO BATTISTON.....................................fisarmonica
MAURIZIO BEN OMAR........................percussioni
MARIO BRUNELLO....................................violoncello e direttore
Musiche di Mahler, R. Strauss
Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme”
e “Invito alla Musica” – per i Comuni della provincia di Bologna
Lunedì 11 novembre 2013
AUDITORIUM MANZONI ore 20.30
EMERSON STRING QUARTET
EUGENE DRUCKER..........................................violino
PHILIP SETZER..................................................violino
LAWRENCE DUTTON......................................viola
PAUL WATKINS..................................................violoncello
Musiche di Haydn, Bartók, Beethoven
Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme”
e “Invito alla Musica” – per i Comuni della provincia di Bologna
Lunedì 25 novembre 2013
AUDITORIUM MANZONI ore 20.30
ANTONIO MENESES................................violoncello
MARIA JOÃO PIRES.............................pianoforte
Musiche di Schubert, Brahms, Mendelssohn
Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme”
e “Invito alla Musica” – per i Comuni della provincia di Bologna
Mercoledì 4 dicembre 2013
AUDITORIUM MANZONI ore 20.30
ORCHESTRA DELLA TOSCANA
SOLISTI DA DEFINIRE.............................percussioni
TAN DUN...............................................................direttore
Musiche di Tan Dun
Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme”
e “Invito alla Musica” – per i Comuni della provincia di Bologna
Mercoledì 11 dicembre 2013
AUDITORIUM MANZONI ore 20.30
ESTRIO
LAURA GORNA....................................................violino
CECILIA RADIC...................................................violoncello
LAURA MANZINI...............................................pianoforte
Musiche di Arenskij, Guarnieri, Smetana
Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme” e “Musica per le Scuole”
Per ulteriori informazioni rivolgersi alla Segreteria di Musica Insieme:
Galleria Cavour, 2 - 40124 Bologna - tel. 051.271932 - fax 051.279278
[email protected] - www.musicainsiemebologna.it
Foto Massimo Branca
Inaugurazione straordinaria
per la XXVII Stagione di Musica
Insieme: protagonista Mario
Brunello nella doppia veste
di solista e direttore, in
programma la più celebre
sinfonia di Mahler
di Daniele Follero
Un ritratto
eccellente
Mario Brunello
Lunedì 21 ottobre 2013
N
el provare a ritrarre attraverso la sua musica una personalità tanto controversa come quella di Mahler, Mario Brunello ha scelto due diversi momenti della vita
del compositore boemo: i primi anni di Conservatorio, e quelli della definitiva affermazione come direttore e compositore,
segnati in maniera indelebile dall’incontro con Alma Schindler.
Un ritratto che accosta ad un’opera giovanile, rimasta inedita
per molti anni, quella che, nel tempo, è divenuta la sua sinfonia più eseguita: la Quarta. Del giovane Mahler, ancora interessato alla musica da camera prima di dedicarsi totalmente all’orchestra sinfonica, molte opere sono andate perse, o sono state distrutte dall’autore stesso. Tra le partiture giovanili recuperate
dopo la sua morte, quella che per (relativa) compiutezza meglio si adatta ad un’esecuzione è il Quartetto per pianoforte e
archi, noto anche come Quartettsatz poiché, in realtà, si tratta di un quartetto rimasto incompiuto, fatta eccezione per il
primo movimento e per poche battute del secondo, uno Scherzo. Inevitabili i modelli di riferimento, per uno studente di composizione quale egli era nel 1876: Schubert, Schumann e
Brahms. È lo stile di quest’ultimo, in particolare, ad influenzare lo sviluppo delle idee tematiche, anche se è già percepibile la tendenza mahleriana a condurre l’ascoltatore oltre i limiti della tradizione. La sezione dello sviluppo è quella che maggiormente si adatta alla ricerca di soluzioni originali e raffinate, che infrangono le convenzioni classiche, mettendone in crisi le strutture formali e quelle armoniche.
A questa immagine giovanile di Mahler, Brunello affianca, come
se fosse sullo sfondo del ritratto, quella di un altro grande compositore, vicino al suo mondo, ma molto lontano dalle sue idee
e dal suo modo di vivere l’arte: Richard Strauss. Bambino prodigio, prolifico compositore ed acclamato direttore, famoso e
ben integrato nella società, fin dai primi anni di carriera Strauss
ha incrociato il suo destino con quello di Mahler, che nel 1897
descrisse così ad un critico musicale il loro rapporto: «Schopenhauer utilizza l’immagine di due minatori che scavano dai
due lati contrapposti dello stesso pozzo e che si incontrano poi
nel loro percorso sotterraneo. È così che mi sembra correttamente rappresentato il mio rapporto con Strauss». Come il
LUNEDÌ 21 OTTOBRE 2013
AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30
Mario Brunello / Gustav Mahler: un ritratto
QUARTETTO MIRUS
I “FIATI”, ACCADEMIA NAZIONALE DI SANTA CECILIA
ELISABETTA DE MIRCOVICH soprano
LEONORA ARMELLINI pianoforte
DANIELE CARNIO contrabbasso
IVANO BATTISTON fisarmonica
MAURIZIO BEN OMAR percussioni
MARIO BRUNELLO violoncello e direttore
in collaborazione con l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Dipartimento di Alta Formazione - Programma di Alto Perfezionamento “I Fiati”
Gustav Mahler
Quartettsatz in la minore per pianoforte e archi
Richard Strauss
Sonata in fa maggiore op. 6 per violoncello e pianoforte
Gustav Mahler
Sinfonia in sol maggiore n. 4 – versione per soprano
e orchestra da camera di Klaus Simon
Introduce Mario Brunello
Quartettsatz di Mahler, anche la Sonata per violoncello e pianoforte op. 6 di Strauss, composta nell’inverno 1882-83 e pubblicata quello stesso anno con dedica al “Caro amico Hans Winan”, risente dell’influenza del romanticismo europeo. Qui sono
Mendelssohn e Schumann, e non ancora Wagner, i punti di riferimento. Eppure, il piglio baldanzoso del primo movimento (Allegro con brio) sembra anticipare le atmosfere del Don Juan.
Molto affine allo stile di Mendelssohn si presenta il successivo Andante ma non troppo, ricco di intimo pathos, mentre il
movimento finale torna ad un carattere vivo ed ironico.
«A quarant’anni si è raggiunta la cima del monte, ci fermiamo
in silenzio e guardiamo giù», recitava un Lied di Brahms, Mit
I protagonisti
Dopo la vittoria al prestigioso Concorso “Čajkovskij” di Mosca, Mario Brunello si è esibito con le più importanti orchestre, quali London Philharmonic, Philadelphia Orchestra, Orchestre National de France, Filarmonica della Scala, Accademia di Santa
Cecilia, al fianco di direttori quali Gergiev, Mehta, Muti, Chailly, Gatti, Abbado, Pappano, e solisti come Kremer, Bashmet, Pollini, nonché dei Quartetti Borodin e Alban Berg. Per il suo ritratto di Mahler, Brunello ha voluto circondarsi di un gruppo di straordinari artisti, a cominciare dalla soprano Elisabetta de Mircovich, membro dell’ensemble La Reverdie, perfezionatasi in
canto e vocalità antica e nella prassi degli strumenti medievali. L’ensemble comprende poi la pianista Leonora Armellini, vincitrice del Premio “Janina Nawrocka” al Concorso “Chopin” di Varsavia nel 2010 e del Premio “Abbiati” nel 2013, già esibitasi alla Carnegie Hall di New York come alla Musashino Concert Hall di Tokyo. Accanto a loro il percussionista Maurizio Ben
Omar, attivo fra gli altri al fianco di Bruno Canino, Jill Feldmann, Andrea Lucchesini, Giuseppe Sinopoli, il contrabbassista Daniele Carnio, che collabora assiduamente con importanti compagini, fra cui l’Orchestra Mozart e l’Orchestra della Fenice di
Venezia, e il pluripremiato fisarmonicista Ivano Battiston, esibitosi con I Solisti di Mosca di Yuri Bashmet, l’Orchestra dell’Opéra
de Lyon e l’Orchestra della RAI di Torino. Completano la formazione i talentuosi Fiati dell’Accademia Nazionale di Santa
Cecilia e il Quartetto Mirus, costituitosi nel 2008 e perfezionatosi presso l’Accademia “Stauffer” di Cremona.
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MUSICA INSIEME
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Lunedì 21 ottobre 2013
vierzig Jahren, su versi di Rückert. Chissà se, quando compì quarant’anni, il 7 luglio del 1900, Gustav Mahler conosceva quest’opera. Se non altro, la sua visione del mondo, la sua voglia
di dare le spalle al presente, si rispecchiava perfettamente in quei
versi. Nonostante le difficoltà e una salute precaria, gli anni a
cavallo tra i due secoli rappresentarono un periodo di grande
attività e di affermazione professionale. Tra acclamazioni e clamorose critiche, euforia per i successi e profonda delusione per
i fallimenti, la doppia attività di direttore e compositore si legò
in maniera inscindibile alle vicende biografiche dell’uomo. Se
si legge in quest’ottica, la Quarta Sinfonia (proposta da Brunello nella versione per soprano e ensemble cameristico di Klaus
Simon), terminata nel 1901, nonostante il suo carattere apparentemente solare, mostra tutti i suoi lati oscuri sotto una
coltre di serenità fanciullesca. Il riferimento al passato è evidente,
ma è un passato guardato con nostalgia, irraggiungibile nel mondo reale, dove i sogni e i ricordi diventano grotteschi. Il carattere
classico, equilibrato, mozartiano della Quarta Sinfonia, snobbata da Alma e liquidata con un secco e ingeneroso commento («Le stesse cose le ha scritte Haydn, e meglio»), viene messo in discussione fin dall’introduzione del primo movimento
(Riflessivo. Non troppo mosso). Prima di lasciare il posto al limpido tema in sol maggiore, le quinte ribattute dei flauti, accompagnate dal tintinnio dei sonagli, creano un’atmosfera inquietante, come di un sinistro presagio. Un presagio che ritorna,
inesorabile, in diversi momenti del primo tempo, riaffioran-
Leonora Armellini
Ivano Battiston
figura popolare che accompagna i fanciulli morti nell’Aldilà.
Il tratto irridente, grottesco, del motivo affidato al violino, così
come il timbro stridente, graffiante derivato dalla particolare
accordatura, conducono attraverso una danza macabra che si
La discografia mahleriana, vasta, quasi sterminata, è di particolare interesse e per una semplice ragione: Mahler già
avvolge su se stessa e nella quale, come ha scritto Quirino Prinvive l’era, almeno nei suoi esordi, della musica riprodotta.
cipe: «la Morte è più un’ombra volteggiante che un’orrida e scheIl prototipo del fonografo viene presentato da Edison nel
letrica figura, e procede camminando sul gelo, con movimen1877. Certo Mahler non potrà usufruire degli ultimi ritroti aggraziati». Con la calma estatica che apre il terzo movimento
vati della tecnologia digitale, ma riuscirà ad incidere alcuni
si realizza una sorta di purificazione espressiva. L’abbandono del
rulli per pianoforte meccanico, oggi disponibili anche su cd
per i tipi dell’etichetta Dal Segno. Titolo del disco: Masters
“tutti”, l’uso di suoni lunghi e tenuti, la dolcezza degli impaof the Piano Roll, che contiene, tra le altre incisioni intesti timbrici, creano un effetto di rarefazione e distensione, atressanti, anche la registrazione su rullo di Bartók che intraverso cui si compie la transizione verso la vita ultraterrena.
terpreta le sue Danze Rumene. Mahler suona tre brani, fra
La calma è interrotta soltanto verso la fine da un’esplosione di
cui il primo movimento dalla Quinta e l’ultimo proprio dalsuoni che anticipa il tema della “musica celeste”, alla base del
la Quarta delle sue sinfonie. Ascoltatelo, non mancherà di
sorprendervi! Poi ci sono le incisioni storiche e quelle momovimento successivo. Anche in questo caso, però, la rottura
derne: oltre cinquanta quelle disponibili oggi della Quardell’equilibrio, della calma, non è catartica. La transizione è già
ta. Da Kubelik a Inbal, difficile è la scelta e acceso il dibattito
compiuta e i suoni della terra riecheggiano lontani e, dopo pofra i critici, anche perché sulla voce di soprano si discute
chi secondi, scompaiono, lasciando il posto alla trasparenza che
con la consueta ferocia. Bernstein, uno o due? Solti? Abavevano improvvisamente squarciato. Con una tecnica strabado? Karajan oppure Tilson Thomas? In conclusione: Maordinaria nell’unire rondò e variazioni, Mahler elabora i due
hler, pur godendo di una fortuna discografica notevole, resta autore che merita l’ascolto in sala da concerto.
temi principali, molto affini tra loro, variandoli sino a fonderli
e confonderli, per farli poi definitivamente scomparire, in attesa del Lied finale. Nella scelta del compositore di utilizzare
do spaventoso, freddo, come un brusco richiamo alla realtà, in il Lied Das himmlische Leben (La vita celeste, tratto dalla raccontrasto con l’atmosfera sognante dei due temi principali. «Un colta Des Knaben Wunderhorn), scritto quasi dieci anni prima
campanello birbone – lo definì Adorno – che, senza dirlo, dice: della stesura definitiva della sinfonia, sta il senso stesso della
Nulla di ciò che state ascoltando è vero». Sebbene lo sviluppo Quarta, la sua chiave di lettura. È qui che appare chiara l’oridei vari elementi musicali faccia chiaramente riferimento alla gine degli elementi musicali che nei movimenti precedenti eraforma-sonata, la logica del discorso non appare sempre con- no comparsi come lugubri presagi. Ritorna, in particolare, l’insequenziale. Dopo l’esposizione dei due temi principali, infatti, quietante tintinnio di sonagli del primo tema, testimonianza
di un insistente richiamo alla realtà. A scanritorna, inatteso, il primo tema, quasi a sotdire il testo è la voce del soprano (anche se
tolineare l’indicazione programmatica che
Mahler avrebbe preferito una voce bianca),
Mahler aveva attribuito, nel progetto origicui è indicato esplicitamente in partitura di
nario dell’opera, al primo movimento: Il moncantare «con espressione infantilmente seredo come eterno presente. Nello sviluppo, l’elana… Assolutamente senza parodia!». Dunque,
borazione del materiale musicale si intensiè la voce dei fanciulli che parla, descrivendo
fica, si addensa, diventa allucinata, via via che
una vita celeste tutt’altro che idilliaca, fatta di
il sogno e il ricordo entrano in conflitto con
cibo in quantità, Santi divenuti esperti e sala realtà e si frammentano in schegge imdici macellai, il tutto sotto lo sguardo vigile
pazzite di emozioni. Rispetto all’esposizione
di San Pietro. L’umorismo amaro del testo,
e allo sviluppo, la ripresa appare piuttosto orespresso attraverso il divertito e innocente citodossa nella forma, come se il discorso riElisabetta De Mircovich
nismo dei bambini, crea un forte contrasto
tornasse sempre su se stesso, ma senza una risoluzione, in una forma gelida e statica. Qualcosa che, ormai, (ancora una volta lo scontro tra realtà e sogno) con la musica,
è già passato. Tratto distintivo del secondo movimento (In moto che s’incupisce, allontanandosi dal carattere gioioso delle patranquillo, senza fretta), uno Scherzo in do minore in forma di role. L’ambiguità del lieto fine, a differenza delle precedenti sinrondò, è il tema del violino, volutamente accordato un tono fonie di Mahler, non lascia soluzione, né si propone di allonsopra rispetto al resto dell’orchestra, così da creare un effetto tanare i fantasmi che sin dall’inizio del primo movimento avedi ‘stonatura’. Il richiamo è al suono del fiedel, violino dei men- vano inquietato l’ascoltatore, mettendo in discussione da sudicanti, e, in particolare, alla leggenda dell’amico Hein, tetra bito tutte le sue certezze.
DA ASCOLTARE
Lo sapevate che...
Brunello ha creato a Castelfranco Veneto Antiruggine, un laboratorio dedicato alle
contaminazioni artistiche, per accostare il pubblico a una diversa idea di fare musica
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MUSICA INSIEME
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Lunedì 11 novembre 2013
Per quattro
Musica Insieme riporta a Bologna dopo diciassette anni
di assenza l’ormai leggendario ensemble americano,
con un programma che è una vera e propria antologia
storica del quartetto di Maria Chiara Mazzi
L
a storia del quartetto d’archi, e in
questo concerto la percorriamo in
tre tappe quasi tutta, sin dalla sua
nascita mette insieme ideali musicali
molto diversi e talora persino opposti.
Nato attorno a metà Settecento – quando
nella barocca Sonata a quattro il violoncello assume una sua autonomia e rende
inutile la presenza della tastiera assieme
alla quale aveva fino a quel momento
svolto la funzione di sostegno armonico –
il quartetto per archi diventa subito la
realizzazione perfetta degli ideali di cortesia e colloquialità illuministici, sintetizzati nella famosa definizione di Goethe
che lo paragona ad una «conversazione tra
quattro persone ragionevoli», simbolo di
una musica ‘da fare’ e non ‘da ascoltare’.
Ed è infatti il mondo della musica da camera intesa come musica da casa, quello
testimoniato nei primi quartetti di Haydn
(considerato forse non a torto l’inventore
del genere), nelle mani del quale tuttavia
Emerson String Quartet
l’apparente, esteriore ‘facilità’ nasconde
l’essenzialità razionalistica, e l’arricchimento del tessuto strumentale serve a recuperare un’intensità della scrittura da
troppo tempo smarrita nel rococò e nello
stile galante. Se partiamo dai suoi primi
quartetti, composti attorno alla metà del
Settecento, è evidente che essi sono ancora pensati per lo svago di gruppi di
colti dilettanti, poiché il loro aspetto è
quello del piacevole passatempo nel quale
i violini dialogano tra loro, mentre viola
e violoncello hanno perlopiù una funzione di sostegno. Dopo una trentina
circa di lavori concepiti in questo modo,
con l’op. 17 (del 1771) Haydn cambia
completamente rotta, e grazie all’utilizzazione di un ‘nuovo contrappunto’ elimina
la gerarchia predeterminata tra le parti e
costruisce una struttura nella quale ogni
voce è fondamentale e dove nessuna prevale in modo continuativo e assoluto.
Sono però i Quartetti op. 20, del 1772,
Nella sua lunga carriera, coronata da oltre trenta incisioni discografiche, l’Emerson String Quartet si è aggiudicato prestigiosissimi premi, tra cui nove Grammy e tre Gramophone Awards, il Premio Avery Fisher, oltre al Premio come “Ensemble dell’anno” della rivista Musical America. L’intensa attività concertistica
ha portato il Quartetto a calcare i palcoscenici più prestigiosi del mondo, con
un progetto speciale, nel 2006/2007, per la Carnegie Hall: Perspectives, una
serie di nove concerti intitolata Beethoven in Context, che rappresenta un riconoscimento mai tributato prima ad un quartetto d’archi. Da oltre trent’anni
l’Emerson è Quartetto Residente alla Stony Brook University, dove cura una
rassegna concertistica, affiancata da numerose attività didattiche, tenute anche presso lo Smithsonian Institute di Washington. Il repertorio esplorato dall’Emerson è vastissimo e comprende le memorabili esecuzioni dell’integrale dei
Quartetti di Beethoven, di Šostakovič, di Bartók e di Mendelssohn, con un’attenzione particolare riservata a composizioni contemporanee, di cui il Quartetto è spesso dedicatario o primo esecutore. Nel maggio 2013, con il primo
cambiamento di un suo componente dal 1979, il gruppo ha dato il benvenuto
al violoncellista Paul Watkins, già attivo come solista e direttore.
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MUSICA INSIEME
ma pubblicati a Parigi nel 1774 (noti col
titolo di Sonnen-Quartette, cioè “Quartetti del sole”, dal simbolo grafico dell’editore che campeggiava sul frontespizio
della prima edizione), ad assumere la funzione di svolta decisiva, e a trasformare il
genere, definitivamente innalzandolo a
simbolo e sublimazione del concetto di
Musica da Camera. La definizione barocca che Haydn ne diede di “Divertimenti a quattro” (dove la definizione “a
quattro” serve ad eliminare ogni gerarchia
anche nominale) ribadisce proprio questa
nuova parità tra gli strumenti, e, lungi
dall’essere un ritorno al vecchio genere
d’intrattenimento, sottolinea il recupero
della sapienza costruttiva barocca, confermata in ben tre dei quartetti della raccolta con la sostituzione del consueto mo-
Foto di Lisa-Marie Mazzucco
vimento conclusivo con una fuga. Il Quartetto n. 3 propone già dalla scelta della tonalità, l’inquietante sol minore, un’altra
temperie espressiva e uno scarto quasi psicologico, nella struttura delle frasi musicali
(dalla scrittura originalissima e densissima), nella nuova concezione del tempo
lento e in una sorta di ‘circolarità’ che
lega i temi in particolare del primo e dell’ultimo movimento, quasi ad indicare
una strada ai compositori futuri.
Per passare dalla meraviglia dei quartetti
di Haydn a quelli di Beethoven occorre
attivare una sorta di contraddizione interna, se ancora vogliamo giocare con le
parole. Se i quartetti di Haydn sono infatti ‘musica da camera’ al più alto grado
di perfezione, coi quartetti di Beethoven
nasce invece la ‘musica da camera da con-
LUNEDÌ 11 NOVEMBRE 2013
AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30
EMERSON STRING QUARTET
EUGENE DRUCKER violino
PHILIP SETZER violino
LAWRENCE DUTTON viola
PAUL WATKINS violoncello
Joseph Haydn
Quartetto in sol minore op. 20 n. 3
Béla Bartók
Quartetto n. 2 op. 17
Ludwig van Beethoven
Quartetto in fa maggiore op. 59 n.1
Razumovskij
Introduce Maria Chiara Mazzi, docente
al Conservatorio di Pesaro e autrice
di libri di educazione e storia musicale
certo’, cioè un repertorio destinato a esecutori professionisti e ad un pubblico di
scelti, ammirati ed esperti ascoltatori. Insomma, in un sol colpo la ‘musica da
casa’ diviene, proprio grazie al quartetto,
sinonimo di ‘musica essenziale’, modificando insieme sia la tipologia dell’esecutore che quella dell’ascoltatore. «Tre nuovi
quartetti di Beethoven, molto lunghi e
molto difficili, dedicati all’ambasciatore di
Russia, conte Razumovskij, attirano l’attenzione di tutti i conoscitori. Sono profondamente pensati e scritti in modo eccellente, ma non sono comprensibili da
tutti, ad eccezione forse di quello in do
che piace ad ogni persona istruita per la
sua originalità, la sua melodia, la sua energia armoniosa». In questo modo si esprimeva la Gazette Musicale nel 1807, alMI
MUSICA INSIEME
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Lunedì 11 novembre 2013
l’indomani dell’arrivo sul mercato editoriale dei tre Quartetti op. 59 che Beethoven dedicava all’ambasciatore di Russia a
Vienna e, per questa ragione, passati alla
storia col sottotitolo di Quartetti Razumovskij. Il passaggio dal primo gruppo di
quartetti (op. 18) a questi è brusco e inatteso, più di quanto possano far supporre
le date di composizione e di pubblicazione. Non sono infatti gli anni trascorsi,
ma ciò che di arte e di storia è accaduto
nel frattempo, non solo nel mondo, ma
soprattutto nel percorso artistico del compositore, a far assumere a queste pagine
una posizione-chiave all’interno dell’estetica beethoveniana, nella quale questi tre
lavori hanno un’enorme rilevanza, ponendosi come punto di ‘non ritorno’ nell’evoluzione del genere, per il nuovo
modo di trattare le idee tematiche e di elaborare la struttura formale, così tipica del
‘Beethoven di mezzo’. Composti tra il
1804 e il 1805, vengono ricordati anche
come Quartetti russi, poiché sembra che
l’ambasciatore avesse esplicitamente chiesto a Beethoven (cosa che l’autore fece) di
inserire in ciascuno di essi almeno una
melodia appartenente al repertorio folkloristico russo. Tuttavia occorre precisare
subito che l’impiego di temi tradizionali
non conferisce a questi brani alcun carattere russo in particolare e nemmeno più
largamente folklorico, dal momento che
qui il compositore stravolge e idealizza
qualsiasi germe melodico o ritmico caratteristico in una sfera che nulla ha a
che fare, nemmeno esternamente, con la
valorizzazione del patrimonio popolare.
Prendiamo, ad esempio, proprio il Quartetto n. 1, di proporzioni e sonorità che
mai si erano avute nella storia del quartetto, la cui novità di scrittura è chiara sin
dal primo movimento, dove il peso e la
densità dell’intreccio delle parti consentono di alternare momenti energici e cantabili grazie allo strettissimo filo del contrappunto. Se il secondo movimento
supera di gran lunga i confini dello
Scherzo tradizionale stravolgendo e mescolando insieme in maniera irriconoscibile gli aspetti del rondò e quelli della
DA ASCOLTARE
Che la discografia di un quartetto di lunghissima navigazione come l’Emerson
sia ricca e varia è nell’ordine naturale delle cose musicali, tanto più da quando queste si sono fatte digitali. Peraltro l’ensemble americano incide solo per
Deutsche Grammophon e Sony, e dunque eccolo saldamente incluso nel Gotha dei migliori, di quelle compagini le cui registrazioni vengono distribuite urbi
et orbi ed attraverso tutti i possibili canali (rete inclusa). Per stare in quella lista ovviamente bisogna pagare pegno. Così accanto ad album importanti, come
quello che raccoglie l’ottima incisione dei beethoveniani Quartetti Razumovskij (DG, 1189144, pubblicato proprio quest’anno), troviamo gli immancabili
Encores, accanto ad antologie celebrative di varia natura. Fa parte del gioco,
nel mentre l’anno in corso vede l’uscita di un altro cd (Sony questa volta), dal
titolo Journeys. Un album tutt’altro che disimpegnato. In una sorta di apoteosi fin de siècle, sotto quel titolo vagamente omerico il Souvenir de Florence di
Čajkovskij incontra la Verklärte Nacht di Schoenberg.
forma-sonata, il terzo va ben al di là del
consueto ‘momento di riflessione’ (negli
schizzi l’autore scrive: «Un salice piangente o un’acacia sulla tomba di mio fratello») e si trasforma in una sorta di meditativa marcia funebre che costituisce
sicuramente il vertice espressivo dell’opera. Finalmente, nel tempo conclusivo
(che si collega direttamente al movimento
precedente) viene utilizzato il “tema
russo” tanto atteso dal committente, anche se esso viene sommerso e quasi travolto dalla forza vitale che chiude la composizione.
Se il ‘popolare’ in Beethoven è solamente
un omaggio esteriore, il cui senso viene
smarrito nell’elaborazione astratta della
struttura, in Bartók, e proprio nei quartetti, esso entra come parte organica della
composizione, attraverso un modello di
assimilazione del tutto estraneo a qualsiasi precedente sette-ottocentesco. Ricercatore appassionato della vera musica
etnica, all’inizio della sua carriera Bartók
recupera i modi della musica balcanica e
centro-europea in pagine dal sapore e dal
carattere apertamente popolare, come le
danze. Solo in un secondo momento,
dopo la prima guerra mondiale, egli ne
analizza tutti i parametri costitutivi e li
utilizza come nuovi materiali da costruzione all’interno delle forme ereditate
dalla tradizione colta europea. È questa la
vera rivoluzione del musicista magiaro,
convinto, come afferma egli stesso, che
proprio attraverso le scale e i modelli esecutivi (in particolare per gli strumenti
ad arco) della musica etnica si possa operare il rinnovamento del linguaggio musicale del nuovo secolo. Se dopo Beethoven i Romantici avevano prodotto
quartetti senza riuscire in ogni caso a ‘superare’ i traguardi degli ultimi capolavori del musicista di Bonn, Bartók riprende il discorso verso un’altra direzione
e affronta nei suoi sei quartetti territori
inesplorati, traghettando definitivamente
il genere nel Novecento. Ogni quartetto
sembra porsi al culmine di un momento
creativo, quasi riassumendone i problemi, le tendenze e le aspirazioni essenziali, come accade a questo Quartetto n.
2, composto fra il 1915 e il 1917, eseguito per la prima volta nel 1918 e pubblicato nel 1920, che gode del singolare
primato di essere stato il primo brano di
Bartók inciso su disco, nel 1925. È proprio in questo brano che i modelli popolari (come l’elaborazione continua di
motivi di pochissime note, le complessità
bitonali, i cambiamenti di tempo improvvisi, gl’intervalli inconsueti) smettono per sempre di essere un ‘apporto
esterno’ alla composizione, ma ne diventano la linfa, determinandone la struttura
in maniera profonda e proponendo per la
prima volta quella forma ‘ad arco’ (due
tempi lenti alle estremità e un allegro
centrale) che sarà così caratteristica degli
ultimi grandissimi capolavori.
Lo sapevate che...
Il Quartetto si è costituito nel 1976 in occasione del bicentenario della nascita degli
Stati Uniti, e prende il nome dal filosofo e poeta americano Ralph Waldo Emerson
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MUSICA INSIEME
Lunedì 25 novembre 2013
Cantando
senza parole
Un duo di grandi solisti per la prima volta
insieme nella nostra Stagione, con un
programma raffinato che ci conduce in
un viaggio attraverso le corde quasi ‘vocali’
del violoncello di Mariateresa Storino
L
’arte della citazione: delle proprie opere o di altrui fattura, di un’idea
musicale o di un pensiero poetico, di un paradigma formale o di
un concetto estetico, in una scala graduata che va dall’assoluta fedeltà al già esistente, fino alla libera rielaborazione che nasconde le tracce del passato. La citazione istituisce una catena di rinvii che offre all’esecutore
e all’ascoltatore un ampio ventaglio di possibili interpretazioni. In tutte
le sue molteplici forme e sfumature, la citazione ondeggia tra le pagine dell’Arpeggione di Schubert, del Lied ohne Worte di Mendelssohn, degli Intermezzi op. 117 e della Sonata op. 38 di Brahms. A volte domina lo scorrere temporale, altre volte si cela quieta, in attesa di essere scoperta. Il com-
positore non sempre è consapevole del rimando; quell’idea musicale e poetica giace lì, in fondo al misterioso mondo della creatività che, pur sottoposto ad indagine serrata, custodisce gelosamente il fascino del suo essere insondabile.
L’Arpeggione di Schubert, ovvero la Sonata
in la minore D 821, nasconde tra le pieghe più riposte una serie di rinvii. Composta alla fine del 1824, anno prolifico per
il compositore nel campo della musica da
camera, sorprende per la scelta dello strumento. L’arpeggione (da qui il titolo con
cui è nota la Sonata) era stato inventato
nel 1823 da Johann Georg Stauffer. Si presentava come uno strumento ibrido tra la
chitarra e il violoncello: sei corde e manico
tastato come la chitarra; tenuto tra le ginocchia e suonato con l’arco come il violoncello. Descritto dai contemporanei
come uno strumento dal «suono di magica bellezza, affine al suono di un oboe
nel registro acuto e di un corno di bassetto
in quello grave», ebbe diffusione limitata ai soli anni Venti dell’Ottocento. Suo
massimo esponente, nonché autore di un
metodo, fu Vincenz Schuster, probabile
committente della Sonata. Schubert era realmente interessato a questo strumento?
La Sonata, in verità, mostra pochi segni
di una scrittura idiomatica: qualche accordo e pochi passaggi pizzicati nel primo
e nel terzo movimento, un’estensione
più acuta rispetto al registro del violoncello,
ma nulla di più, tant’è che oggigiorno viene eseguita sul violoncello. Da pochi
mesi il compositore aveva terminato la stesura del Quartetto D 810 Der Tod und das
Mädchen (La morte e la fanciulla), in cui
citava il tema dell’omonimo Lied, ed ecco
risuonare a conclusione del secondo movimento della Sonata – Adagio – il gesto
conclusivo del primo movimento del
Quartetto. Ma è la stessa melodia dell’Adagio ad evocare un altro mondo – quel-
Maria João Pires
lo del Lied – e ad assumerne le dimensioni,
al punto da costituirsi come un’introduzione all’Allegretto finale più che come movimento a sé. Il primo e il terzo movimento presentano un’architettura sostanzialmente classica. L’Allegro moderato iniziale è in forma-sonata. Il primo tema,
di traboccante liricità, si imprime nella memoria in modo ossessivo; ad esso si oppone
un secondo tema dal carattere popolare
(questo è il senso da dare in questo contesto all’aggettivo ‘triviale’ spesso associato a questo tema). Silenzi improvvisi e scarti bruschi segnano l’Allegretto finale in forma di rondò; un amabile ritornello incastona due episodi – il primo dal carattere virtuosistico e dalla ritmica serrata, il secondo più salottiero – fino a spegnersi con
due accordi finali, entrambi di tonica ma
con dinamica fortemente contrastante: dal
primo, in fortissimo, la sonata si dissolve,
quasi irrisolta, in piano. Qual è il rimando del Lied ohne Worte (Romanza senza parole) op. 109 di Mendelssohn? Certo, ancora una volta, il mondo del Lied, la sua
cantabilità struggente, appassionata, leggera e danzante: tutto quell’universo variegato di emozioni che i testi messi in musica evocano. Ma “senza parole” come interpretarlo? Sebbene l’etichetta Lieder
ohne Worte inizialmente fosse stata coniata
per gioco da Felix Mendelssohn e da sua
sorella Fanny, dati i frutti che entrambi
produssero in questa forma, in una lettera a Marc-André Souchay del 1842 Felix
precisò il pensiero estetico sotteso a tale categoria: «Le parole non possono dire
nulla della musica. […]. Se mi domanda
cosa io abbia pensato mentre componevo, Le posso rispondere: proprio il Lied
così com’è. Anche se sapessi descrivere
l’uno o l’altro brano con parole appropriate, non potrei farlo, poiché le parole
non significano per una persona quello che
significano per un’altra, mentre il Lied dice
Dopo la vittoria al Concorso internazionale “Beethoven” di Bruxelles nel 1970,
Maria João Pires ha tenuto concerti con le orchestre più prestigiose, dal Royal
Concertgebouw di Amsterdam alla London Philharmonic, dall’Orchestre de Paris ai Wiener Philharmoniker, collaborando con Abbado, Gardiner, Dutoit, Prévin. Interprete appassionata anche in ambito cameristico, ha preso parte ai più
prestigiosi festival internazionali, da Tanglewood ai BBC Proms, da Ravinia a Lucerna. Nel 2002 è stata insignita dell’IMC-Unesco International Music Prize.
LUNEDÌ 25 NOVEMBRE 2013
AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30
ANTONIO MENESES
MARIA JOÃO PIRES
violoncello
pianoforte
Franz Schubert
Sonata in la minore D 821 per
violoncello e pianoforte – Arpeggione
Johannes Brahms
Tre Intermezzi op.117 per pianoforte
Felix Mendelssohn
Lied ohne Worte in re maggiore
op.109 per violoncello e pianoforte
Johannes Brahms
Sonata in mi minore op. 38
per violoncello e pianoforte
Introduce Giuseppe Fausto Modugno,
concertista e docente di pianoforte principale
presso l’Istituto “Orazio Vecchi” di Modena
all’una e all’altra le stesse cose, e riesce a
risvegliare gli stessi sentimenti – sentimenti
che però non si possono esprimere con le
stesse parole». La musica per Mendelssohn
è di una chiarezza suprema, ma la comprensione del suo senso non è affidata alla
ragione, bensì all’intuito. Composto nel
1845 e dedicato alla violoncellista Lisa Cristiani, il Lied op. 109 si articola nella classica forma ABA, in cui il mondo incantato della sezione A, sentimentalmente
coinvolgente, incornicia il canto appassionato della sezione centrale B.
La citazione negli Intermezzi op. 117 per
pianoforte solo (1892) è resa nota dallo
stesso compositore: definiti «ninne nanne per i miei dolori», Brahms introduce
il primo intermezzo della terna con i versi del canto popolare scozzese Lady Anne
Bothwell’s Lament, pubblicato da Herder
nella raccolta Stimmen der Völker: «Schlaf
sanft mein Kind, schlaf sanft und schön!
Mich dauert’s sehr, dich weinen sehn»
(«Dormi bene, bimbo mio, dormi bene e
sereno! Mi dà tanta pena vederti piangere»). Sebbene Brahms indichi esplicitamente solo questi versi, le strofe successive
della ninna nanna si adattano perfettamente al secondo intermezzo, e il terzo potrebbe essere stato ispirato dalla poesia O
weh!, O weh!, hinab ins Thal (Ahimè, ahimè!, giù nella valle) che segue Lady Anne
nel testo curato da Herder. I tre brani sono
strutturati secondo la forma canzone,
ossia in tre sezioni di cui la terza è una ripresa variata della prima (ABA’). Dall’intimismo romantico dell’incantevole tema
MI
MUSICA INSIEME
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Lunedì 25 novembre 2013
del primo intermezzo, tinteggiato di un colore scuro nella sezione centrale, nel secondo si passa ad un andamento inquieto, ondeggiante; il tutto sfocia nella cupa
atmosfera dell’ultimo intermezzo con un
incedere in ottave del tema principale in
do diesis minore, sottoposto a sottili e preziose trasformazioni. La memoria del
passato musicale si affaccia anche nella Sonata in mi minore op. 38. Composta da
Brahms in due riprese (1862 e 1865) e dedicata al violoncellista Josef Gänsbacher in
segno di ringraziamento per l’aiuto ricevuto da questi nell’assunzione dell’incarico a direttore della Wiener Singakademie,
il lavoro manifesta alcune somiglianze con
la Sonata in mi minore del compositore
amburghese Bernhard Romberg (17671841). Che l’opera di Brahms sia debitrice
della Sonata di Romberg per taluni prestiti tematici – del primo movimento in
particolare – e per il trattamento della linea del violoncello, nulla toglie al capolavoro brahmsiano. L’arte della citazione
in questa composizione assume forme ben
più esplicite sia come omaggio, sia come
libera rielaborazione di materiale preesistente: il primo tema dell’Allegro non
troppo iniziale si rifà al Contrapunctus IV
dell’Arte della Fuga di Bach; uno dei tre
soggetti della fuga dell’Allegro finale deriva dal Contrapunctus XIII, sempre dall’Arte
della fuga. Il progetto originario della Sonata prevedeva quattro movimenti con un
Adagio affettuoso e un Allegretto quasi
Menuetto in posizione centrale. A conclusione della stesura, nel 1865, Brahms
tuttavia si trovò davanti un insieme dalle
dimensioni ‘eccessivamente’ monumentali,
così che decise di snellire il peso dell’ar-
Antonio Meneses
DA ASCOLTARE
A riprova della rodatissima collaborazione del duo Meneses-Pires, e del programma che ascolteremo nel loro recital per Musica Insieme, ecco che mentre
scriviamo queste righe il web annuncia per settembre 2013 una nuova uscita discografica edita da Deutsche Grammophon: è The Wigmore Hall Recital, il cui
titolo si riferisce ad un concerto sold out tenuto nel gennaio 2012 dal duo e contenente esattamente l’impaginato Schubert - Brahms - Mendelssohn che ascolteremo
a Bologna. Cantabilità quasi vocale del violoncello, carattere ora liederistico ora
popolare dei brani, con un tris di Intermezzi op. 117, non a caso pezzi squisitamente vocali anch’essi, quasi a prendere il fiato prima della Sonata op. 38 dell’Amburghese. Infine, la Pastorale BWV 590 di Bach permette a Meneses di ‘cantare’ il violoncello. A questa prima uscita in duo fa da contraltare la ricchissima
discografia ‘in proprio’ dei solisti, della quale segnaliamo per inevitabili limiti di
spazio solo i titoli più recenti: per Meneses i Concerti di Hans Gál (in prima assoluta) ed Elgar con la Northern Sinfonia diretta da Claudio Cruz (Avie, 2012),
e per la Pires un’importante uscita schubertiana del febbraio 2013 (sempre per
DG), con la Sonata D 845 e l’ultima quanto definitiva Sonata D 960.
Lo sapevate che...
Nel 2002 Maria João Pires
ha messo a disposizione
la propria residenza di
Castelo Branco in
Portogallo per la fondazione del Belgais Centre
for the Study of Arts, nato
per offrire ai giovani artisti
la possibilità di sviluppare
il proprio talento
Aggiudicatosi il Primo Premio al Concorso internazionale “ARD”di Monaco nel 1977 e il Primo Premio e la Medaglia d’oro al “Čajkovskij” di Mosca nel 1982, Antonio
Meneses si è esibito in America, Europa e Asia con le più importanti orchestre, quali Berliner Philharmoniker,
London Symphony, New York Philharmonic, NHK Symphony Orchestra
di Tokyo, collaborando con Karajan,
Muti, Abbado, Temirkanov, Rostropovič, Spivakov e Chailly. Insieme a Daniel Hope e Menahem Pressler, ha fattopartedelleggendarioBeauxArtsTrio.
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MUSICA INSIEME
chitettura eliminando l’Adagio. Questo
movimento non venne però distrutto, nonostante la ben nota autocritica di Brahms:
a distanza di vent’anni riemergerà, rielaborato in altra tonalità, nella Sonata in fa
maggiore op. 99, sempre per violoncello
e pianoforte. Le prime esecuzioni pubbliche dell’op. 38 non suscitarono particolare entusiasmo: Oskar Paul, pur apprezzando «la purezza delle intenzioni artistiche dell’autore» e l’accurata elaborazione, riteneva che la Sonata fosse scarsamente inventiva e poco interessante dal
punto di vista armonico e ritmico. La critica arrivò persino a definire «disdicevole»
il Trio del Minuetto! Diverso il giudizio
espresso nella cerchia privata di amici e professionisti: come non riconoscere nell’elaborata scrittura del primo movimento in forma-sonata l’eredità beethoveniana innestata dalle proposte di Schubert
(uso di tre gruppi tematici anziché due)?
E come non apprezzare il variegato intreccio dei due strumenti, che diventa
sempre più stringente nei momenti
cadenzali? E l’Allegro finale? Un omaggio alla grande tradizione contrappuntistica con una fuga a tre soggetti su tre voci
(le due linee del pianoforte e il canto del
violoncello) che viene integrata all’interno di una forma-sonata: ancora una
citazione da Beethoven, mentre a
Schubert si rivolge l’Allegretto quasi
Menuetto con Trio centrale. Uno
sguardo retrospettivo quello di
Brahms, un legame con le forme classiche ma con una memoria che rende presente il passato.
Mercoledì 4 dicembre 2013
Trilogia
universale
Vincitore di un Oscar nel
2000 e compositore ufficiale
delle Olimpiadi di Pechino,
Tan Dun guida una delle più
prestigiose orchestre italiane
con un programma tutto
costituito da sue partiture
di Fabrizio Festa
Orchestra della Toscana
Nata nel 1980, l’Orchestra della Toscana è ospite delle principali istituzioni concertistiche in Europa, Giappone e America. Con la direzione
artistica di Berio, è diventata Istituzione Concertistica Orchestrale per riconoscimento del Ministero del Turismo e dello Spettacolo. Prestigiose le
collaborazioni che può vantare: Accardo, Argerich, Bashmet, Brunello, Kremer, Yo-Yo Ma. Il suo repertorio spazia dal barocco alla musica contemporanea, sperimentando contaminazioni di generi diversi.
Tan Dun
Direttore e compositore cinese, Tan Dun ha guidato le più prestigiose orchestre
europee e americane. Ha composto le colonne sonore di The Banquet, Hero e La
tigre e il dragone, con la quale si è aggiudicato un Grammy e un Oscar, e le sue opere sono state selezionate da importanti festival internazionali. Nel 2008 ha scritto
la colonna sonora per la cerimonia di premiazione delle Olimpiadi di Pechino,
e nel 2010 è stato Ambasciatore Culturale nel mondo per l’EXPO di Shanghai.
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MI
MUSICA INSIEME
I
l nome di Tan Dun è assurto agli onori della cronaca, di
quella che tutti leggono, che tutti ascoltano e vedono, nel
2008. A lui fu affidata, infatti, la ‘colonna sonora’ delle
Olimpiadi, che in quell’anno ebbero luogo a Pechino. Gli internauti, poi, lo conoscono anche perché è stato il primo compositore a scrivere una sinfonia apposta per la rete. Il titolo non
lascia dubbi: The Internet Symphony n. 1. E neppure il nome
del committente: si tratta della Google Inc., che poi, proprio
per eseguirla nel 2009, creò la YouTube Symphony Orchestra,
compagine costituita da musicisti selezionati (per la prima volta nella storia) da provini inviati tramite YouTube. Dunque, siamo di fronte ad un musicista al passo coi tempi. Come del resto per secoli i compositori sono stati. Spesso, anzi, anticipandoli
i tempi, leggendo tra le righe, magari degli eventi (quanta musica celebrativa e d’occasione si è poi trasformata in repertorio),
e quindi dando un loro autonomo contributo certo al presente, ma anche al futuro.
Classe 1957, Tan Dun dunque interpreta appieno il ruolo del
compositore oggi. Dalla produzione sinfonica al teatro musicale, alla musica per il cinema, dirigendo e scrivendo, ha conquistato grazie al suo talento un meritato ed ampio successo.
Così non stupisce certo che sia fra i compositori non solo più
spesso presenti coi loro brani nei programmi delle stagioni di
tutto il mondo, ma anche fisicamente, sul podio, nelle sale da
concerto. Con l’Orchestra della Toscana, compagine che alla
musica dei nostri giorni dedica da sempre una speciale attenzione, e qui basterebbe ricordare il suo solido e proficuo legame con Luciano Berio (di cui proprio Musica Insieme è stata
solidale testimone), presenterà tre suoi brani importanti. Una
trilogia che fin dai titoli dice del suo legame strettissimo con
la cultura cinese. In quella cultura affonda le radici l’estetica di
Tan Dun. Di essa si nutre, non avendo il compositore di Hunan mai cercato di approcciare l’Occidente, per così dire, sotto mentite spoglie, ossia tentando magari di conquistarsi il suo
favore attraverso l’adozione di stilemi compositivi tipicamente occidentali. Al contrario, Tan Dun ha fatto del suo ‘esotismo’
la chiave di volta di un’affermazione planetaria, che è andata
consolidandosi di pari passo peraltro con il progressivo affermarsi della cultura e dell’economia cinese nel suo complesso.
Insomma, siamo di fronte all’ennesimo confronto con quella
Cina che nei secoli ci è apparsa vicina e lontana, misteriosa spesso, ma altrettanto spesso oggetto delle mire politiche di un colonialismo mai sazio, ed infine, agli inizi di questo terzo millennio, protagonista ancora una volta della scena mondiale. La
cultura cinese di questi nostri giorni si è lasciata in gran parte
alle spalle l’eredità maoista, trovando un nuovo rapporto con
le sue profondissime ed intricate radici. È in questo rinnovato rapporto con la tradizione che si è innestata la rinascita della cinematografia cinese, che è tornata a sfruttare soggetti favolistico-mitologici (lontanissimi peraltro dal naturalismo
schietto e brutale proposto quarant’anni fa da Bruce Lee), dando così modo ai compositori cinesi di reinventare sonorità che
alle nostre occidentali orecchie suonano da un lato etniche, dall’altro esotiche, appunto. Tan Dun, in questo contesto, ha sa-
MERCOLEDÌ 4 DICEMBRE 2013
AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30
ORCHESTRA DELLA TOSCANA
SOLISTI DA DEFINIRE percussioni
TAN DUN direttore
Tan Dun
Water Concerto per percussioni dÊacqua e orchestra
Paper Concerto per percussioni di carta e orchestra
Earth Concerto per percussioni di pietra e ceramica e orchestra
Introduzione a cura dell’Orchestra della Toscana
puto trovare, come sovente accade nell’ambito applicativo della composizione musicale, una sua maniera, una sua estetica,
che richiama da vicino certe soluzioni morriconiane. La scuola italiana resta un riferimento per tutti. Così, pur tenendo conto delle differenze, il mescolare all’organico sinfonico strumenti
della tradizione cinese non può non far pensare alle combinazioni strumentali del Morricone degli spaghetti western o dei polizieschi. Tan Dun compositore di colonne sonore guarda per
un verso all’Italia, e per l’altro al suo concorrente giapponese,
Ryuichi Sakamoto, del quale peraltro è solo di pochi anni più
giovane (il giapponese è nato infatti nel 1952).
Tan Dun compositore, poi, non si discosta né intenzionalmente,
né ideologicamente dal suo operare nel contesto cinematografico. Le due attività s’intrecciano, come ben dimostra la trilogia sulla quale è costruito questo concerto, e che ha un suo
titolo suggestivo ed esplicativo: Trilogia di Musica Organica.
Organica, ovvero biologica, ecologica, naturale. Organico, in
più, ci dice che si vuol sottolineare l’essere ‘integrati nell’ecosistema’. Quindi, Tan Dun vuole comporre musica a suo modo
‘naturale’. Si tratta, però, della maniera cinese d’intendere la
natura, una visione ecologica decisamente diversa dalla nostra,
fondata su una filosofia che fa dell’equilibrio tra uomo e am-
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MUSICA INSIEME
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Mercoledì 4 dicembre 2013
DA ASCOLTARE
La discografia del compositore cinese Tan Dun, già abbastanza nutrita, si divide in due tronconi: le colonne sonore cinematografiche da un lato, la musica da concerto
dall’altro. Che nel suo caso (diversamente ad esempio
da Ennio Morricone, ma in modo affine a John Williams)
le due modalità compositive non differiscano di molto,
rende tale differenziazione solo una questione di genere.
E magari di affezione. Chi ha amato La tigre e il dragone, pellicola del regista Ang Lee uscita nel 2000, non
ha certamente dimenticato la forza evocativa della colonna sonora firmata appunto da Tan Dun. Per chi volesse avvicinarsi alla sua musica da concerto, molte le
opportunità su cd: dalle Nine Songs (pubblicate nel ’90
dalla CRI, cd 603) alla Water Passion, che proprio nel
2000 vide la luce per la Sony (S2K 89927). Tra le registrazioni immesse sul mercato di recente, ancora film,
e ancora per la Sony, che nel 2011 ha pubblicato la Martials Arts Trilogy, un’antologia che raccoglie i brani più
celebri delle colonne sonore composte da Tan Dun per
quel genere cinematografico. Tra gli interpreti spiccano
altri ‘cinesi famosi’, come Yo-Yo Ma e Lang Lang.
biente un punto di forza. Che non si tratti, del resto, di un ciclo sinfonico costruito sul modello, ad esempio, delle stagioni e dei temperamenti, tanto caro all’Occidente, lo dimostrano i titoli dei singoli brani. In ordine di composizione, Concerto dell’Acqua, Concerto della Carta, Concerto della Terra. Acqua e Terra non sono viste come gli elementi costitutivi, assieme
a fuoco e aria, di una cosmogonia più o meno mitologica, ma
come costituenti della realtà, in cui l’uomo vive quotidianamente. Tant’è che i tre concerti hanno in comune una specifica caratteristica: la ricerca fisica sul suono, resa attraverso l’utilizzo di strumenti non convenzionali, connessi direttamente con
l’acqua, la carta e la terra. Vediamo come, analizzando uno ad
uno i tre concerti.
Il Concerto dell’Acqua nasce nel 1999 da una commissione della New York Philharmonic Orchestra. La prima esecuzione risale al giugno di quell’anno, a dirigerlo è Kurt Masur, Tan Dun
dedicando questa partitura alla memoria del celebre compositore giapponese Toru Takemitsu, scomparso tre anni prima. Il
pubblico accoglie subito questo Concerto con grande favore. Tan
Dun sfrutta, per la sua ricerca sul suono, il moto dell’acqua, allo
scopo di creare sonorità inattese ed inusuali. Così facendo riesce a strutturare una nuova categoria di sonorità, mettendola
a disposizione di chiunque in seguito possa pensare di utilizzarla. L’acqua è fisicamente presente in palcoscenico. Il solista
è un percussionista, che utilizza diversi strumenti, tra cui due
timpani pieni d’acqua dai quali è stata rimossa la pelle. A volte percuote l’acqua con le mani; a volte con battenti di diversa forma; altre ancora immerge nell’acqua delle piccole per-
cussioni, che poi batte. Insomma: l’acqua non è evocata, suggerita, magari raccontata. È la protagonista in scena, è una sorgente sonora autonoma, che s’inserisce naturalmente nel contesto dell’orchestra sinfonica.
Secondo elemento della trilogia è il Concerto della Carta. Composto nel 2003, esso segue con coerenza quanto sperimentato
nel precedente Concerto. L’attenzione si sposta sulla carta. Tan
Dun parte da un semplice assunto: «Siamo circondati nella nostra vita quotidiana dalla carta». Carta che è notoriamente il mezzo sul quale registriamo le nostre memorie, i nostri sentimenti, le nostre emozioni, sia in forma di parole, sia in forma di immagini. Insomma, la carta è uno degli elementi che caratterizzano l’ambiente in cui viviamo, ma è anche parte integrante della nostra cultura. Lo stesso Tan Dun, infatti, dichiara di avere
«sviluppato l’idea di una musica organica, che racchiudesse in
sé i suoni della natura, come l’acqua, la carta e la terra, ma anche l’anima». Dunque, la carta aggiunge un elemento antropico
specifico alla dimensione tipicamente naturalistica evocata dall’acqua. Ancora soliste le percussioni, ma questa volta cartacee
(cartone incluso) e di varia foggia.
Al 2009 risale infine il terzo dei Concerti: quello della Terra. Questa volta in scena ci sono 99 strumenti costruiti in pietra o in
ceramica. L’occasione è davvero particolare: si celebrano i centocinquant’anni dalla nascita di Gustav Mahler. «Ho sempre considerato – afferma il compositore cinese – Das Lied von der Erde
la mia opera mahleriana preferita». Com’è noto i testi del capolavoro di Mahler sono tratti da un’antologia di scritti cinesi, tradotti in tedesco da Hans Bethge, elemento che lo stesso
Tan Dun sottolinea, richiamando in particolare le liriche di Li
T’ai-po, celebrato poeta all’epoca della dinastia Tang, che Mahler utilizza in ben quattro dei sei Lieder che compongono la
sua sinfonia. I tre movimenti del Concerto richiamano intenzionalmente tre dei quattro Lieder su testo di Li T’ai-po composti da Mahler: Della giovinezza s’intitola il primo (terzo nella partitura mahleriana), Il brindisi dei mali della terra è il secondo (primo in Mahler), L’ebbro in primavera il terzo (quinto nel Das Lied). Fra questi Tan Dun focalizza la sua attenzione proprio su Il brindisi dei mali della terra. Un testo in cui il
vino e l’ebbrezza che esso provoca servono in realtà a parlare delle umane miserie, concludendosi con un distico programmatico: «Vuotate fino in fondo le vostre coppe d’oro. Oscura è la vita,
oscura è la morte». Insomma, il compositore cinese ritrova una
comunanza d’intenti e di visione con il Mahler maturo, che riflette a suo modo sui grandi temi della filosofia, e ne trae a sua
volta una conclusione musicale: «Come afferma l’antica saggezza
cinese: umanità più natura fa sempre uno. In armonia con tale
convinzione filosofica, utilizzo i suoni degli strumenti di terra
e di pietra per simboleggiare la connessione tra cielo e terra, affidando all’orchestra il compito di rappresentare l’umanità. Il
dialogo antifonario tra i suoni della natura e quello della voce
degli esseri umani è, nel mio sentire, il vero canto della terra».
Lo sapevate che...
Nato in una regione della Cina centro-meridionale, Tan Dun ha appreso dallo shimao,
il capo religioso locale, le regole ancestrali della musica eseguita con pietre e acqua
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MI
MUSICA INSIEME
Mercoledì 11 dicembre 2013
Musica
per ricordare
Una prima assoluta
commissionata da Musica
Insieme, un capolavoro
da riscoprire e un classico
del repertorio nel concerto
di Estrio, formazione
cameristica fra le più
interessanti del nostro
Paese di Valentina De Ieso
«
Un’unica lira / la pianse più che
schiera di prèfiche nel tempo / e
dal lamento un mondo nuovo
nacque». Rainer Maria Rilke così dipinge il dolore di Orfeo, il musico per eccellenza, per la perdita della sua Euridice: una
musica che è la più alta manifestazione di
dolore e l’estrema ricerca di consolazione,
una musica per non dimenticare. Questo
è il drammatico fil rouge che lega i tre brani in programma: da Lassù… le stelle… si
accorgano… di te (titolo tratto proprio da
un verso di Rilke), prima assoluta di
Adriano Guarnieri dedicata al piccolo Devid Berghi, tragicamente deceduto a Bologna nel 2011, al Trio in sol minore op.
15 di Bedřich Smetana, ispirato dalla morte della figlia Bedřiška, al Trio in re minore
op. 32 di Anton Arenskij, scritto in meMERCOLEDÌ 11 DICEMBRE 2013
AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30
ESTRIO
LAURA GORNA
CECILIA RADIC
LAURA MANZINI
violino
violoncello
pianoforte
Anton Arenskij
Trio in re minore op. 32
Adriano Guarnieri
Lassù…le stelle…si accorgano…di te
PRIMA ESECUZIONE ASSOLUTA
Bedřich Smetana
Trio in sol minore op.15
Introduzione a cura di Estrio
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MI
MUSICA INSIEME
moria del maestro Karl Davidov.
«La sua musica sarà presto dimenticata».
«Pittoresco manierismo salottiero». Quelli di Rimskij-Korsakov e di Massimo
Mila sono due esempi illustri dei giudizi
lapidari che l’opera di Anton Stepanovič
Arenskij ha ricevuto sia dai suoi contemporanei che dalla critica posteriore. In una
Russia dove prima Glinka e poi il “Gruppo dei Cinque” avevano gettato le basi di
una scuola musicale nazionale, egli guardava invece all’Occidente, ricorrendo al
folklore slavo solo di quando in quando
per dare un colore caratteristico alle sue
melodie. L’Europa stava però, in un
modo o nell’altro, facendo i conti con l’eredità di Wagner, ma Arenskij sembrò non
accorgersene, componendo una musica che
all’orecchio dei suoi contemporanei aveva un sapore troppo tradizionale ed accademico. E accademico lo fu davvero: a soli
ventuno anni ottenne la cattedra di armonia e contrappunto al Conservatorio di
Mosca, divenendo così l’insegnante di una
generazione di importantissimi compositori russi, da Rachmaninov a Skrjabin. Una
carriera brillante per un giovane nato in
provincia che era stato iniziato alla musica dai genitori, appassionati dilettanti, che
da Novgorod, dove lo avevano dato alla
luce nel 1861, si erano trasferiti a San Pietroburgo per permettergli di frequentare
il Conservatorio. Là studiò con RimskijKorsakov, che lo criticava per essere troppo legato al suo stile e a quello di Č ajkovskij. Rispetto agli altri repertori frequentati da Arenskij, quello cameristico ha
goduto e gode di maggior considerazione,
a partire dal Trio con pianoforte in re minore op. 32, del 1894. Il lavoro fu scritto in ricordo di Karl Davidov, violoncellista di grande fama, amico di Arenskij e
Estrio
Nato dall’incontro di tre apprezzatissime soliste, Laura Gorna (violino),
Cecilia Radic (violoncello) e Laura
Manzini(pianoforte), Estrio sièimposto
all’attenzione del pubblico e della critica come una delle migliori formazioni cameristiche italiane. Formatesi con
Salvatore Accardo, Rocco Filippini e
Bruno Canino, fin dagli esordi le tre artiste hanno raccolto e reinterpretato la
tradizione della grande scuola italiana. Estrio è presente nei più importanti cartelloni italiani, tra cui Società dei
Concerti di Milano, Festival di Ravello, Festival Mito, Accademia Chigiana
di Siena, Teatro San Carlo di Napoli,
Amici della Musica di Firenze e Accademia di Santa Cecilia a Roma, e nel
2009 ha suonato al Quirinale alla presenza del Presidente della Repubblica.
Numerosi i concerti in tutta Europa, ma
ancheinGiappone,StatiUniti,SudAmerica, Medio Oriente, al fianco di DavidFinckel,RainerKussmaul,BrunoGiuranna, Toby e Gary Hoffmann, Franco Petracchi. Grande l’interesse di
Estrio per la musica contemporanea:
ha all’attivo importanti collaborazioni con compositori a cui ha commissionato nuove opere. L’eclettismo delle tre musiciste si è concretizzato nella
realizzazione di progetti che coinvolgono altri generi musicali, come il jazz,
la danza, la poesia e il teatro, al fianco di Luca Zingaretti, Sonia Bergamasco e Maria Grazia Calandrone.
di Č ajkovskij, direttore del Conservatorio di San Pietroburgo proprio durante i
suoi anni di studio, e fondatore della scuola russa di violoncello. Il primo movimento, Allegro moderato, presenta due temi
di grande cantabilità, venata di tristezza,
introdotti rispettivamente dal violino e dal
violoncello, che si rispondono quasi come
un’eco. Dopo un breve sviluppo, denso di
nervosi virtuosismi, i tre strumenti ripropongono dolorosamente il primo tema
per spegnersi lentamente su un più che pianissimo. Nonostante l’abbandono nostalgico, l’accompagnamento del pianoforte,
quasi pulsante, conferisce vigore all’intero movimento. Lo Scherzo: Allegro molto,
vede nuovamente protagonista il violino,
che abdica al suo consueto ruolo centrale per fare spazio a un appassionato tema
di valzer affidato al violoncello. Nell’Elegia: Adagio è ancora il violoncello ad espor-
re il tema, questa volta in sordina; lo stesso tema viene subito riesposto dal violino,
anch’esso in sordina; i due strumenti si sovrappongono poi sino a confondersi insieme come voci di un ricordo lontano. Il
Finale: Allegro non troppo è un drammatico rondò con un primo tema struggente e vigoroso ed un secondo invece delicato e gentile, prima affidato al violoncello
e poi al violino. In un dialogo, quasi uno
scontro, tra i due archi, cui si alternano
momenti di mutismo dell’uno e dell’altro,
incalza incessantemente l’accompagnamento del pianoforte, per giungere ad un
trascinante finale in cui i tre strumenti si
riuniscono. In tutto il Trio il ruolo del violoncello predomina su quello del violino,
con un evidente omaggio a Davidov, ma
anche al padre di Arenskij, violoncellista
dilettante. La cantabilità delle frasi di ampio respiro e l’abbandono al lirismo che
soverchia la rigidità della forma caratterizzano la produzione cameristica di Arenskij, rispetto agli altri repertori, decretandone un successo più duraturo e un
grande apprezzamento anche presso gli appassionati dell’epoca: fra tutti Tolstoj,
che dopo aver ascoltato le sue Silhouettes
(Suite n. 2 op. 23 per due pianoforti) scrisse che Arenskij lo aveva riconciliato con
la “nuova musica”.
Se il Trio del compositore russo è dedicato
alla memoria di due figure paterne, quello di Bedřich Smetana è, invece, il lamento
funebre di un padre per la figlia prediletta. Egli scrisse la sua prima composizione
da camera, il Trio in sol minore op. 15 per
violino, violoncello e pianoforte, nel
1855, subito dopo la morte della piccola
Bedřiška. La bambina, che il padre chiamava Fritzi, si spense a quattro anni a causa della scarlattina, poco più di un anno
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MUSICA INSIEME
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Mercoledì 11 dicembre 2013
dopo la sorellina minore, Gabriela, un lutto che già aveva fortemente provato Smetana. Il compositore definì il Trio come “un
poema in ricordo di un angelo”. Bedřiška
era straordinariamente intelligente e musicalmente dotata, a due anni già conosceva
il tedesco, a tre cantava con intonazione
perfetta, a quattro suonava semplici melodie al pianoforte, e la sua perdita fu un
dolore enorme per il padre. Smetana, che
aveva costanti rapporti professionali e
personali con Franz Liszt, eseguì per lui la
sua composizione. ricordando così quel
momento: «La perdita della mia figlia maggiore, una bambina straordinariamente dotata, mi ha ispirato a comporre musica da
camera nel 1855. Nell’inverno dello stesso anno il Trio fu eseguito pubblicamente a Praga con poco successo. I critici lo
hanno condannato aspramente, ma un
anno più tardi lo eseguimmo in casa nostra per Liszt, che mi abbracciò e espresse le sue congratulazioni a mia moglie». Il
movimento iniziale, Moderato assai, si apre
con il primo tema enunciato dal violino,
una sorta di lamento nel registro grave, una
lugubre melodia pentatonica che verrà rielaborata ritmicamente in tutti e tre i movimenti del Trio, quasi come un tormentoso pensiero ossessivo, che riaffiora inesorabilmente. Viene poi proposto il secondo tema, più sereno, ma malinconico,
affidato al violoncello: un rimpianto col-
DA ASCOLTARE
Per il Trio op. 15 di Smetana la discografia è talmente vasta da lasciare l’ascoltatore nell’imbarazzo di una scelta che va dall’esemplare Beaux Arts Trio (con
un’edizione, fra le altre, pubblicata nel 2009 da Philips) all’incisione del Vienna Piano Trio (MDG 2008), subito divenuta Editor’s Choice per la blasonatissima rivista Gramophone. Quasi altrettanto ricca, seppure di assai più difficile reperibilità, è la discografia del Trio op. 32 di Arenskij, che sebbene
di non frequentissima esecuzione sui palchi italiani vanta incisioni (prevalentemente made in Russia) affidate a compagini come il Trio Borodin o il Trio
Rachmaninov di Mosca. Di tutt’altro segno la prima pubblicazione dell’Estrio,
uscita nel 2007 per l’etichetta Fonè, che riunisce un capolavoro come il secondo Trio op. 67 di Šostakovič e il secondo, op. 80, di Schumann, a detta
dello stesso autore in grado di esercitare «una seduzione più immediata e
fascinosa» rispetto al primo. Quanto di meglio quindi per lasciar emergere
la passionalità e la coinvolgente temperie espressiva dell’Estrio, ben note al
pubblico e riconosciute dalla critica fra i loro tratti distintivi.
Lo sapevate che...
Il nome Estrio nasce
dalla fusione tra diversi
richiami: il mi bemolle
tedesco Es, l’Es della
psicanalisi freudiana e la
parola Trio, che insieme
evocano la consonanza
con il concetto di estro
Lassù… le stelle… si accorgano… di te
PRIMA ESECUZIONE ASSOLUTA
Il brano è liberamente ‘ispirato’ ad una frase poetica di Rilke (da Poesie alla notte), e mi è stato sollecitato dalla richiesta stimolante di Bruno Borsari per Musica
Insieme, che mi ha invitato a comporre un trio con pianoforte che avesse caratteristiche natalizie, non però tramite citazioni legate magari all’Avvento ed ai suoi
canti, ma con un nuovo spirito sacro di ‘rinascita’ che spero il pubblico possa percepire. La linearità dei contrappunti arriva sino a 5 parti reali. Infatti violino e violoncello vengono trattati sempre per terze e seste, e non nella classica linearità
monodica. Il trio forma così una camera acustica ‘massiva’ e di autodissolvenze.
Le strie sonore materiche sono in continua espansione circolare. Espansività ed
implosività dei blocchi sonori sono tratti peculiari della mia ricerca da oltre quarant’anni. Oltre il tempo — il tempo sospeso (cioè non metronomico) con episodi
sempre coronati — il rallentare stringere e riallentare: questi i tratti principali poetici ai limiti della temporalità. Le linee dunque non sono melodiche ma armoniche
e danno poi un senso di somma materica cantabile. Ne sovviene una diversa percezione dell’ascolto, che viene sollecitato nei suoi profondi aspetti psicologici e
spirituali. Come nell’uomo di oggi, che convoglia sempre ormai la percezione del
suono in una sfera meta-psichica. Una strada alla riscoperta anche di una nuova
‘sacralità’. Resta poi, e non in secondo piano, un aspetto di simbolismo musicale
legato alla vita quotidiana di una straordinaria Piazza Maggiore quale centro di
cultura e di vita anche drammatica. Adriano Guarnieri
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MUSICA INSIEME
mo di dolcezza, un ricordo felice che rifiorisce prima di essere soffocato nuovamente dal dolore. Lo sviluppo, estremamente drammatico, si apre talvolta a nervosi interventi solistici alternati a momenti
elegiaci: ancora i ricordi del padre della piccola Fritzi che si fanno strada nel pensiero luttuoso. Il secondo movimento, Allegro ma non agitato, in forma di rondò, ripropone il primo tema del Moderato assai, ma ritmicamente trattato in forma di
danza, una tristissima polka che lascia spazio a due interludi, definiti in partitura Alternativo I e II: uno pacato e quasi pastorale, l’altro una sorta di marcia funebre, al
termine del quale si ripropone la luttuosa danza. Nel Finale: Presto viene proposto un tema che Smetana recupera dalla
Sonata in sol minore, scritta nel 1846, ripetuto per centodiciotto battute. Il ritmo
incalzante, frenetico, irregolare, richiama
il battito del cuore della bambina morente.
I tre strumenti procedono generalmente insieme, ma talvolta i due archi si separano
dal pianoforte con gruppi di note staccate e singole note pizzicate che simulano un
ansimare sempre più faticoso. S’inserisce
periodicamente una struggente melodia del
violoncello, come un triste rimpianto che
riaffiora tormentoso, sempre interrotto dall’improvviso ritorno ai ritmi pulsanti, che
si fanno sempre più rarefatti, fin quasi a tacere. Il Finale termina poi in modo inaspettato con la Coda: Grave, quasi marcia,
un momento di insperata serenità, dovuta al repentino passaggio al modo maggiore,
che conclude il Trio come una sorta di riconciliazione con la vita e con il destino.
PER LEGGERE
Gastón Fournier-Facio
e Alessandro Gamba
L’inizio e la fine del
mondo. Nuova guida
al Ring di Richard Wagner
(Il Saggiatore, 2013)
Gastón Fournier-Facio, musicologo, coordinatore artistico
del Teatro alla Scala, e Alessandro Gamba, docente
all’Università Cattolica, sono gli autori del volume L’inizio e la fine del mondo. Nuova guida al Ring
di Richard Wagner (567 pagine, Il Saggiatore,
2013). Nel libro troviamo la pubblicazione integrale dei libretti delle opere, con testo tedesco
a fronte, nella nuova traduzione di Franco Serpa, germanista, latinista e musicologo, che ha reso
più fluido il testo. Di un certo interesse sono le
citazioni da scritti di vari filosofi, Aristotele, Feuerbach, Schopenhauer, e altri, di cui Wagner aveva letto le opere. La novità della pubblicazione è
l’inserimento dei QR Code per smartphone, grazie ai quali il lettore può ascoltare alcuni passaggi di ogni opera nell’esecuzione diretta da Janowski
alla guida della Staatskapelle di Dresda nel 198083. Per questo motivo, il volume viene definito
“il libro che suona”. Manca un collegamento con
la partitura perché secondo l’autore la maggior parte dei lettori non è in grado di leggere la musica.
Il volume resta una guida per orientarsi in
un’opera ineludibile per la storia non solo della
musica, ma anche della cultura occidentale.
Micaela Guarino (a cura di)
Piero Guarino.
La vita e la musica
(Albisani editore, 2013)
È uscito Piero Guarino. La
vita e la musica (Albisani editore, 2013), un volume che
ricorda un protagonista della musica tra il
1950 e il 1990. Questo omaggio, affettuoso e doveroso, data l’assenza di pubblicazioni specifiche
precedenti, è principalmente promosso dalla figlia Micaela, diventando corale, dato che vi partecipano con ricordi e testimonianze tanti interpreti e allievi. Guarino fu pianista, compositore, didatta, direttore dei conservatori di Sassari (1969-1975) e di Parma (1975-1989) dove,
nel 1976, precorrendo i tempi, inaugurò il primo Liceo sperimentale quinquennale in Italia.
Il ritratto di Piero Guarino emerge dalle testimonianze di Gian Paolo Minardi, Fay Banoun
Caracciolo, Riccardo Chailly, Enzo Porta, Azio
Corghi, Marcello Conati, Michele Ballerini, solo
per citarne alcuni: persone che hanno condiviso aspetti particolarmente significativi della sua
vita musicale, a partire dagli studi all’Accademia
di Santa Cecilia a Roma con Alfredo Casella. Al
libro è allegato un cd che propone la registrazione
del concerto dell’Orchestra da Camera di Trento dedicato alle composizioni del Maestro, tenutosi a Trento il 2 novembre 2011.
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MI
MUSICA INSIEME
LIBRI
di Chiara Sirk
CHE SUONANO
Tre libri-ritratto sulle figure
di illustri compositori: la vita
e le opere di Piero Guarino,
il rapporto con la nostra
città di Giuseppe Verdi e
di Richard Wagner, e una
guida all’ascolto del Ring
curata da Gastón Fournier
Esce, curato da Piero Mioli, il volume
Sonata a Tre 1867-1871. Verdi, Wagner
e Bologna 1813-2013 (742 pagine, Libreria Musicale Italiana, 2013), scritto
a più mani da noti studiosi, musicologi e musicisti. La pubblicazione prende avvio dai rapporti fra i due compositori – di cui si ricorda il bicentenario
della nascita – e la città emiliana, nella
quale ebbero luogo le prime italiane del
Don Carlo di Verdi (1867) e del Lohengrin di Wagner (1871), allargando
la trattazione alla vita culturale bolognese. Si crea così un inedito ritratto che
mette in rete molte e diverse caratteristiche di un dinamismo forse oggi dimenticato, ma esistito e ben riconoscibile. Per coordinare trentuno studiosi,
autori di ben trentasei contributi (se il
conto è esatto), servono un progetto
chiaro e un impegno notevole: entrambi sono da ascriversi a Piero Mioli, docente di Storia della musica al Conservatorio “G.B. Martini”, curatore e autore di due saggi. Il primo, “Don Carlo a Bologna il 27 ottobre 1867” apre
il tomo e il capitolo intitolato “Sui due
eventi”; il secondo (“Turrita d’opere. Al
Bibiena dal ’60 al ’75”) è nella seconda parte dedicata a “Davanti alle quinte”. La terza parte (“Dell’altra musica”)
affronta varie attività musicali (lo studio, la cameristica, la coralità, fino ai rapporti tra musica e dialetto indagati da
Luigi Verdi). Nella quarta è presentata
un’esauriente disamina della Bologna di
due secoli or sono (“La vita, la scuola,
la società”), con scritti dedicati a Carducci, alle donne (giornaliste, scrittrici, insegnanti), a Panzacchi, ai salotti, ai
teatri e alle chiese, ai protagonisti di una
Bologna non solo musicale, ma anche
patria d’importanti personalità nei
campi della scienza, dell’arte, della letteratura e persino della santità. Difficile ricordare tutti i titoli e gli autori; mentre Piero Mioli indaga il versante verdiano, Maurizio Giani esplora quello wagneriano. Il problema della ricezione nella stampa d’oltralpe del Don Carlos è analizzato da Lucia Navarrin Dell’Atti,
mentre quella del Don Carlo è esaminata
da Annarosa Vannoni. Giusi Cuccaro affronta un tema interessante nel contributo intitolato “Da voi lontan, in petroniana terra. I due traduttori e qualche esempio di traduzione”, mentre
Stefano Orioli guarda le ricadute dei due
titoli, che tanta eco ebbero a Bologna,
nella produzione per pianoforte di Franz
Liszt. Questo è solo il primo capitolo, i
successivi è meglio scoprirli sfogliando
il volume, un volume prezioso, che
esce grazie al contributo della Fondazione
del Monte e del Conservatorio di Musica “G.B. Martini”.
Piero Mioli (a cura di)
Sonata a Tre 1867-1871. Verdi, Wagner
e Bologna 1813-2013
(Libreria Musicale Italiana, 2013)
DA ASCOLTARE
VIAGGI MUSICALI
di Lucio Mazzi
L’ensemble guidato da Ferri e Proni, complice la
Fondazione del Monte, riscopre l’opera di Padre
Martini, l’Emerson Quartet si misura con Schoenberg,
mentre Tamminga ci sorprende con le danze pugliesi
Emerson String Quartet, Paul Neubauer,
Colin Carr
Journeys
(Sony 2013)
Tante novità in questo lavoro. Intanto il celebre
ensemble evade dall’usuale mainstream Haydn /
Beethoven / Brahms per spingersi fino ai confini tra Otto e Novecento con due sestetti di Čajkovskij (Souvenir de Florence) e Schoenberg (Verklärte Nacht); poi, per
la prima volta nella sua longeva carriera, affronta quest’ultimo autore;
infine, per eseguire i due sestetti, si fa ‘famiglia allargata’ ospitando il violista Paul Neubauer e il violoncellista Colin Carr. Ecco, quest’ultima cosa
è interessante perché dell’Emerson conoscevamo la limpida maestria quanto la mirabile consonanza d’intenti, figlia di una profonda conoscenza
reciproca dei musicisti. Che in un equilibrio già perfetto potessero inserirsi in maniera naturale due musicisti ‘esterni’ non poteva essere dato
per scontato. Eppure il brillantissimo risultato è sotto le orecchie di tutti, in questa mirabile esecuzione di due lavori per tanti versi assimilabili (a cominciare dall’organico impiegato), nei quali un nervoso e dissonante Čajkovskij sembra inconsapevolmente cercare un cenno d’intesa
con un altrettanto inaspettato Schoenberg sorridente e romantico.
Liuwe Tamminga, Fabio Tricomi, Luigi
Mangiocavallo, Ottavia Rausa, Stefano Albarello
La tarantella
(Accent 2013)
Apprezzeremo sempre quei musicisti che scelgono
di allargare i propri orizzonti al di fuori dell’ambito in cui si tende a collocarli. Jazzisti che
si misurano con Bach, musicisti popular che tentano incursioni ‘colte’
o, come in questo caso, affermati organisti ‘classici’ alla ricerca di lontane radici popolari. L’olandese Tamminga, peraltro, non è nuovo a questi ‘viaggi italiani’: sempre per Accent in passato aveva esplorato Mantova e la Basilicata. Un musicista ‘in cerca’, come ogni artista dovrebbe essere. Qui lo troviamo alle prese con la tarantella e la pizzica salentina:
muovendosi sulle tastiere degli storici organi di Galatina, Corigliano
d’Otranto e Casarano, convocando accanto a sé specialisti come Fabio
Tricomi (dal mandolino alle percussioni) e Stefano Albarello (chitarra
battente), Tamminga esplora un repertorio popolare (anonimo) e colto, dovuto a compositori che dalla tarantella e da tutto il suo universo
di magia e tradizione sono stati ispirati: da Rossini a Herold, da Vecchiotti a Kircher, Storace, Cid... Il risultato è affascinante e, grazie all’acume di Tamminga, in grado di ampliare gli orizzonti di chi ragiona ancora a compartimenti stagni. La musica è una.
Da anni Federico Ferri e Daniele Proni portano
avanti, con il fondamentale contributo della
Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, un
lodevolissimo progetto sulla riscoperta dell’opera
di Padre Martini. Del resto Ferri (direttore d’orchestra e violoncellista) e Proni (pianista, organista e clavicembalista) non sono di sicuro fra quei
musicisti il cui mondo inizia e finisce tra corde e
tasti: oltre a questa corposa iniziativa, a loro si devono rassegne concertistiche d’alto livello, iniziative che hanno portato grande musica nei luoghi
di sofferenza come nei più bei parchi naturali, produzioni musicali, ecc… Bene, Progetto Martini,
dunque, che con questo DVD di Deutsche Harmonia Mundi raggiunge uno dei suoi momenti più
alti. Racchiuse nel dischetto d’argento, infatti, due
opere inedite, due intermezzi, del frate francescano
che entusiasmò Mozart e Gluck: Il Maestro di Musica e Don Chisciotte. Ferri dirige il complesso barocco dell’Accademia degli Astrusi, Proni è impegnato al clavicembalo nei recitativi e nelle
arie. Accanto a loro il mezzosoprano Laura Polverelli, il tenore Aldo Caputo e (nel Don Chisciotte)
l’attore Matteo Belli. Tutto per la regia di Gabriele
Marchesini, che si muove in una scenografia basata su bozzetti di Dario Fo, uno dei quali riportato sulla copertina del sontuoso libretto che accompagna il DVD. I due lavori (registrati al Teatro Comunale di Bologna nell’ottobre del 2011)
contribuiscono a delineare maggiormente la personalità artistica di Martini. Celebre come insegnante, come teorico, come trattatista, molto meno
come compositore, quasi per niente come compositore di musiche per il teatro. Come in questo
caso. Di sicuro il lavoro compiuto da Ferri, Proni e colleghi è quanto di meglio si possa immaginare, dal punto di vista sia filologico che artistico.
Ci piace pensare che lo stesso padre Martini, da
maestro austero e rigoroso quale lo conosciamo,
ne sarebbe stato grandemente soddisfatto.
Accademia degli Astrusi, Laura Polverelli, Aldo Caputo, Matteo Belli, Gabriele Marchesini, Federico Ferri
Giovanni Battista Martini
Il Maestro di Musica, Don Chisciotte
(DVD Deutsche Harmonia Mundi 2013)
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