Spedizione in A.P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB (Bologna) - Bimestrale n.4/2013 – anno XXII/BO - € 2,00 ottobre/dicembre 2013 Inaugurazione nel segno di Mahler con Mario Brunello e i ‘suoi’ talenti Grandi ritorni con Pires, Meneses e l’Emerson Quartet Tan Dun incanta l’Occidente con la musica della natura SOMMARIO n. 4 ottobre - dicembre 2013 Musica a Bologna - I programmi di Musica Insieme Editoriale 11 L’intervista Gastón Fournier-Facio di Fulvia de Colle Mario Brunello di Elisabetta Collina Emerson String Quartet di Anastasia Miro Antonio Meneses di Alessandro Di Marco Estrio di Cristina Fossati 12 14 16 18 20 Il profilo 22 Ma cos’è questa crisi? di Fabrizio Festa Bedřich Smetana di Giordano Montecchi Artelibro 2013: occhio alla musica 24 Il calendario 27 Per leggere 48 Da ascoltare 50 I luoghi della musica di Maria Pace Marzocchi I concerti ottobre / dicembre 2013 Wagner, Martini e Guarino: libri che suonano di Chiara Sirk I viaggi musicali di Accademia degli Astrusi, Emerson String Quartet e Tamminga di Lucio Mazzi In copertina: Tan Dun 8 MI MUSICA INSIEME EDITORIALE MA COS’È QUESTA CRISI ? Si lamenta l’impresario che il teatro più non va ma non sa rendere vario lo spettacolo che dà “ah, la crisi!” Ma cos’è questa crisi? Ma cos’è questa crisi? Così cantava Rodolfo de Angelis nel lontano 1933. Rileggere oggi quel testo è davvero istruttivo. Impariamo, infatti, che è antico italico malcostume quello di attribuire alla “Crisi” – quella storica, quella del sistema nel suo complesso, quella del mondo intero casomai – anche quei problemi che magari con la “Crisi” (con la “C” maiuscola appunto) non hanno alcun rapporto diretto di causalità. Anzi, in alcuni casi la “Crisi” torna persino utile. Dietro quell’ampio paravento, sotto quel gigantesco nero tabarro, si possono occultare problemi, e relative mancate soluzioni, che, in sua assenza, avrebbero finito per far emergere le ragioni vere, concrete, reali di quei problemi e del perché non si era agito in tempo per risolverli. Una delle domande che, del resto, dovremmo porci di fronte all’attuale crisi è proprio la seguente: le difficoltà odierne del sistema dello spettacolo ed in genere delle arti in Italia sono davvero solo il risultato del difficilissimo momento che stiamo attraversando? In ogni caso, poiché ben più di un’avvisaglia si era palesata già molti anni fa, perché non si sono messe in atto per tempo strategie adeguate per affrontare le difficoltà che erano state previste? Infine, stante il contesto difficile del momento, perché non si dà ampio spazio a quanti stanno dimostrando che la crisi si può affrontare, dando così il giusto risalto ad esempi positivi, magari anche imitabili? C’è chi ha lavorato e la- vora in tal senso. C’è chi ha lavorato e lavora cercando di affrontare il presente prendendo atto di tutte le sue criticità, e proprio per questo ponendo in essere strategie che si fondino su valori assoluti (primo fra tutti la qualità e la varietà delle proposte e delle iniziative), senza arroccarsi sull’esistente, ma al contrario rinnovandosi e innovando. Forse è per questo che la nostra programmazione mantiene salde le sue posizioni: ampio il consenso del pubblico, che anche per la stagione che sta per cominciare ha voluto riconfermarcelo, e ospiti come ormai da ventisette stagioni, i migliori artisti in attività. Anzi, si è ormai creato un vero e proprio sodalizio artistico, che certamente è tornato a vantaggio del pubblico bolognese, quel pubblico che gli artisti stessi non esitano a definire tra i più partecipi e competenti. D’altronde, la qualità della nostra programmazione si è riverberata ben al di là dei confini cittadini ed italiani. Gli artisti stessi si sono fatti portavoce della loro esperienza a Bologna, raccontandola nei loro tour, a volte persino esaltandola. Anche questo è un modo di far conoscere la civiltà bolognese oltre le nostre mura e ben al di là dei nostri meriti. Ovviamente, le difficoltà del momento pesano anche su di noi, ma non riteniamo sia un buon motivo per tirar giù il sipario. Ragione di più, al contrario, per affinare le nostre strategie, per incrementare il nostro impegno, per insistere nell’attuare una progettualità nella quale proprio la qualità e l’innovazione costituiscono gli elementi di forza, qualità e innovazione che innervano e rendono vivo quel mondo delle arti e della cultura, cui diamo il nostro fattivo contributo. Fabrizio Festa MI MUSICA INSIEME 11 L’INTERVISTA GASTÓN FOURNIER-FACIO Un mito per tutti La nuova guida al Ring di Wagner (che verrà presentata a Bologna l’8 ottobre presso la Libreria Coop Zanichelli), firmata da Gastón Fournier-Facio e Alessandro Gamba, avvicina il lettore al progetto teatrale più imponente della storia della musica di Fulvia de Colle D opo Gustav Mahler. Il mio tempo verrà (2010), curato da FournierFacio per Il Saggiatore e divenuto un bestseller con all’attivo seimila copie vendute e ben tre ristampe, l’autore ha saputo applicare la sua rara quanto preziosa vena divulgativa ad un’altra figura fondamentale della storia della musica, ed alla sua opera più imponente: la Tetralogia wagneriana, con le sue 15 ore di musica in 4 giornate, una gestazione di ben ventisei anni ed un teatro, il Festspielhaus di Bayreuth, praticamente concepito per rappresentarla. L’inizio e la fine del mondo, così il suo autore definiva la nuova opera in una lettera a Liszt, e così Fournier ha voluto intitolare la sua ultima fatica, uscita in concomitanza con le celebrazioni che il Teatro alla Scala (di cui è Coordinatore Artistico dal 2007) dedica al bicentenario wagneriano. Un colosso come il Ring wagneriano può spaventare anche l’ascoltatore non del tutto digiuno. A questo proposito il libro ha proprio il pregio di proporsi come divulgativo e invitante all’ascolto: in che modo? «Il mio obiettivo era di stimolare il grande pubblico ad avvicinarsi a qualcosa che può sembrare inavvicinabile e incomprensibile, perché troppo difficile e complesso. L’idea era di rendere appetibile a tutti non soltanto la trama, bensì anche la musica e tutta la complessità filosofica che c’è dentro il libretto, che ritengo vada evidenziata in modo da non spaventare l’ascoltatore/lettore: sono convinto che le cose più profonde si possano avvicinare in modo leggero, il che non significa ovviamente superficiale». A proposito del Ring esiste una bibliografia pressoché sterminata: quali le novità e i punti di forza di 12 MI MUSICA INSIEME narsi alla partitura? Allegare uno o più cd con un’antologia di estratti musicali avrebbe reso meno immediata la lettura. Volevo però ricreare l’impatto diretto di una conferenza, dove quando cito un passo del Ring faccio sentire contestualmente quel brano. Così mi è venuta l’idea di questi QR code, un sussidio tecnologico oggi divenuto addirittura ovvio, ma che stranamente nessuno prima di me aveva utilizzato in un libro di storia della musica. Spero che questo metodo venga adottato da molti altri autori dopo di me, poiché ritengo che sia uno strumento didattico non indifferente... in questo libro ad esempio vi sono più di tre ore di musica accessibili in streaming, tratte dall’edizione diretta da Marek Janowski nel 1980-83 con la Staatskapelle di Dresda». Gastón Fournier-Facio questa nuova pubblicazione? «Partiamo proprio dalla bibliografia: Wagner è il personaggio sul quale si è più scritto nella storia dopo Gesù Cristo e Napoleone... un fatto straordinario, con la conseguenza che se ci si accosta a Wagner attraverso la miriade di pagine pubblicate su di lui si rischia di perdersi. Quasi tutti i buoni libri su Wagner danno inoltre per scontato che il lettore sappia leggere la musica, il che (soprattutto oggi, e nel nostro paese) non è più vero: su un totale di lettori virtuali ci sarà un 5% che sa leggere la musica. Quindi la prima mossa per avvicinare il potenziale ascoltatore alla musica viva dell’Anello del Nibelungo è stata proprio quella di non inserire nel testo gli esempi musicali... Come fare però per consentire comunque al lettore di avvici- A sua volta, la novità del Ring nel mondo in cui viveva ed operava Wagner è straordinaria, come si evidenzia sin dall’Introduzione. «Esattamente. L’idea era infatti di contestualizzare il Ring, partendo dal presupposto che in una guida all’ascolto è fondamentale prima di tutto capire chi fosse Wagner e quale fosse il suo significato per la storia della musica. Così ho cercato di darne una panoramica assai sintetica nell’Introduzione, che è suddivisa in alcuni paragrafi generali: la sua concezione dell’opera lirica, e ciò che nelle sue intenzioni essa doveva diventare, e poi naturalmente l’uso dell’orchestra e delle voci, la grande innovazione del Leitmotiv o motivo-guida. Poi c’è il personaggio in sé, un personaggio fuori dal comune: oggi ad esempio sarebbe inimmaginabile un sovrintendente, com’era Wagner a Dresda durante i moti del ’48 e ’49, che sale sulle barricate e si mette persino a fabbricare granate con le proprie mani. Anche a questo ho cercato Un’immagine dal libro: Il Festspielhaus di Bayreuth in una foto del 1876 di dare spazio, pur senza disporre di una biografia in senso stretto, ma compilando una cronologia molto ricca e dettagliata rispetto ad altre pubblicazioni analoghe». Spesso si paventano nel Ring i troppi intrecci di personaggi e storie: ma in fondo il fantasy (Il Signore degli Anelli fra tutti!) è amato da milioni di giovani proprio in virtù di questo suo carattere di saga… «Certo, sono due saghe analoghe, con moltissimi punti in comune. Va detto che Tolkien conosceva benissimo il Ring wagneriano, e sia Wagner che Tolkien avevano studiato le medesime fonti, a partire dal simbolo dell’anello che è praticamente identico». Nell’Introduzione leggiamo anche di un problema che si ripercuote su tutta la cultura italiana: le lacune nella formazione musicale a livello scolastico e la sempre maggiore tendenza allo zapping, che ci permette di raggiungere tutto in pochi secondi, però con un sempre più breve tempo di fruizione e concentrazione. In che modo la musica può ancora farci ‘perdere nel tempo’? «La storia narrata nell’Anello del Nibelungo è talmente potente che chi leggesse soltanto la sinossi della trama potrebbe già aver voglia di saperne di più, perché è davvero una storia ricchissima. Non è la ‘solita’ opera lirica, che con la consueta ironia Shaw sintetizzava come “quella rappresentazione in cui il tenore cerca di portarsi a letto il soprano, ma c’è sempre un baritono che glielo vuole impedire”. La trama dell’Anello del Nibelungo insomma è qualcosa di molto diverso da tutto quanto è venuto prima, e anche dopo: qui c’è in gioco una guerra fra principi imponenti come la sete di potere, la brama di ricchezza, l’egoismo, la vendetta, e naturalmente la lotta per imporre l’amore, e il sacrificio eroico per la difesa di sentimenti come la lealtà, la fedeltà... Principi fondamentali e messaggi importantissimi per i giovani, e non solo; quindi chi veramente ha il coraggio di avventurarsi all’interno di questa saga può trovare messaggi etici molto importanti anche per il nostro tempo». Altro pregio fondamentale del libro è senz’altro la nuova traduzione del libretto, affidata a Franco Serpa, germanista, latinista e musicologo di eccezionale levatura. «Avevo già invitato Serpa a tenere quattro conferenze sul Ring alla Scala, e poi Franco Pulcini ed io gli abbiamo commissionato questa nuova traduzione. Il tedesco di Wagner infatti è un po’ macchinoso e idiosincratico, complesso da leggere in originale: per questa ragione le traduzioni italiane dei suoi libretti sono spesso caratterizzate da barocchismi non necessari che ne rendono la lettura molto difficile. Serpa si è reso disponibile ad effettuare una traduzione più moderna e fluida, con il risultato di una maggiore facilità di lettura: e sono convinto che sia riuscito egregiamente nell’impresa, e che la sua traduzione diventerà un punto di riferimento. Anche in questo caso, gli esempi musicali presenti nella guida rimandano con dei numerini al libretto di Franco Serpa: quindi non soltanto la musica, ma anche il libretto si può seguire in tempo reale durante gli ascolti, naturalmente con il testo originale a fronte». Non secondaria è la precisa individuazione delle fonti filosofiche che hanno ispirato Wagner, grazie alla collaborazione con Alessandro Gamba: un apparato molto chiaro e stimolante che accompagna con brevi citazioni la guida all’ascolto dell’opera. «Il libro è nato proprio da quattro conferenze che Alessandro Gamba, professore di storia della filosofia alla Cattolica di Milano, mi ha chiesto di tenere nella sua Università sulle implicazioni filosofiche del Ring. Per questo libro ho chiesto quindi la sua collaborazione, vista la sua grande cultura sulla filosofia tedesca dell’epoca, per individuare le fonti cui Wa- gner aveva attinto. Ne sono nati precisi paragrafi che permettono, in modo leggero, breve e circostanziato, di misurarsi con grandissimi classici della storia delle idee senza appesantire la lettura. Presentati in piccoli box, possiamo scegliere di leggerli o di saltarli, ma credo che il lettore curioso li leggerà proprio perché sono brevi e puntuali, ed aiutano a cogliere le sfumature del libretto di Wagner». A completare l’opera, nel libro compaiono anche due serie di immagini... «Trattandosi dell’opera con il più lungo periodo di gestazione della storia, mi incuriosiva molto far vedere al lettore come cambiava il personaggio Wagner in questo lungo periodo: sono andato quindi a cercare la foto più vicina al 1848, quando Wagner cominciò la stesura dell’opera, e quella più vicina al 1876, quando il Ring andò finalmente in scena a Bayreuth. Ne nasce una galleria cronologica che termina peraltro con un disegno, poiché non esiste purtroppo una sola fotografia di Wagner a Bayreuth. Né esiste una sola foto di Wagner nel ’48/’49 a Dresda, quando appunto, fra le barricate, iniziò a scrivere il Ring. Poi ho voluto pubblicare anche una galleria di manoscritti, dal primo abbozzo del 1848 alla riproduzione dell’ultima pagina della partitura, del 1874, dove Wagner chiosa con un “non ho altro da dire”, cosa peraltro comprensibile dopo 24 anni e 15 ore di musica! E la galleria si chiude con una fotografia del Teatro di Bayreuth nel 1876 (anno della prima assoluta del Ring). La scelta è nata dal fatto che avvicinare il lettore a quel dato mondo, in quel dato momento, mi sembrava altrettanto importante dell’analisi dell’opera». MI MUSICA INSIEME 13 L’INTERVISTA MARIO BRUNELLO Avanti con la musica Come noi da sempre in prima linea nella promozione e nella ‘scoperta’ di talenti e nuove vie per la diffusione della musica, Mario Brunello guiderà il 21 ottobre l’inaugurazione della XXVII Stagione dei Concerti: ovviamente con un progetto inedito di Elisabetta Collina O gni incontro con Mario Brunello porta con sé nuove idee, nuovi progetti, ossigeno e antiruggine alla musica: per questo abbiamo voluto affidare proprio a lui l’inaugurazione della nostra XXVII Stagione. A Brunello ci accomuna peraltro la passione e l’impegno di sempre per la promozione di giovani talenti e progetti inediti (ricordiamo fra tutte l’inaugurazione della scorsa edizione dei Concerti di Musica Insieme, con una trascinante Orchestra Giovanile Italiana, e la sua chiusura con l’Orchestra d’Archi Italiana ca- peggiata da Salvatore Accardo). Raccogliendo il nostro invito, Brunello ha creato da parte sua un programma del tutto speciale, incentrato sulle figure di Mahler e di Richard Strauss, che lo vedrà nella doppia veste di violoncellista e direttore alla guida di un ensemble composto da straordinari nuovi talenti, affiancati a solisti già da tempo noti alle scene. Che cosa ha escogitato per quest’occasione per noi così speciale? «In questo progetto sono due gli aspetti principali e paralleli: innanzitutto le inaugurazioni sono sempre occasioni speciali, e proprio per questo vengono spesso riservate a nomi importanti e progetti di richiamo. Per questo mi sembrava bello condividere questo spazio con dei brillantissimi giovani che ogni anno crescono e fanno enormi passi avanti, e che è giusto abbiano delle occasioni importanti per esibirsi, altrimenti li releghiamo sempre nel ruolo di piccoli collegamenti, di comparsate. Invece per una Stagione, com’è quella di Musica Insieme, non soltanto fra le più importanti, ma anche fra quelle che osano di più nel panorama italiano, mi sembrava giusto dare spazio a questi ragazzi». Chi sono dunque i giovani interpreti che ha prescelto per quella che sotto la sua direzione diventerà una vera e propria orchestra da camera? «Sono tutti eccezionali e promettenti, a partire dal Quartetto Mirus, che seguo da un po’ di tempo; fra l’altro casualmente tutti i membri del Quartetto fanno parte anche dell’Orchestra Mozart, per cui c’è un ulteriore collegamento con la vostra città. E poi ci sono i fiati che ho selezionato personalmente ai Corsi di perfezionamento dell’Accademia romana di Santa Cecilia. D’altronde l’Orchestra di Santa Cecilia (che nella sua gloriosa storia è stata diretta anche da Mahler e da Strauss...) ha una sezione fiati straordinaria, non a caso i suoi professori sono anche docenti dell’Accademia omonima. Quindi mi è sembrato importante portare in questo modo anche una rappresentanza di un’Orchestra che negli ultimi anni si è imposta fra le migliori compagini al mondo [e con la quale Mario Brunello ha recentemente inciso un cd, sotto la direzione di Antonio Pappano, nel quale esegue un intensissimo Concerto di Dvořák, ndr]. Accanto ai giovani vi saranno dunque solisti d’esperienza, da Maurizio Ben Omar alle percussioni, ad Ivano Battiston alla fisar- monica: sappiamo che i giovani non possono che ricavare molto dall’esibirsi insieme ai maestri, ma cosa accade viceversa all’interprete già in carriera quando si contorna di queste nuove leve? «È un processo ambivalente, perché anche noi ne usciamo sempre arricchiti. Innanzitutto ti rimetti in discussione: quando suoni insieme ai giovani non devi mai porti dalla parte del docente, o di quello che ha già fatto determinate esperienze, anzi, ti metti in ascolto di cose nuove. A questi ragazzi si possono magari trasmettere, durante le prove come durante le esecuzioni, quei piccoli trucchi del mestiere maturati appunto con l’esperienza; il cosiddetto ‘sapere’ si fonderà poi in quella cosa unica che è la musica, ma se ci si pone in un atteggiamento di docere, credo che l’incontro diventi abbastanza sterile». Se l’ensemble è un sapiente equilibrio fra giovani leve e artisti maturi, anche il programma presenta in un certo senso questa doppia valenza: in apertura il Quartettsatz di Mahler, poi la Sonata per violoncello di Strauss, due lavori particolarissimi, giovanili, casi unici per entrambi i compositori, poi consacratisi alla scrittura orchestrale. «Infatti il secondo aspetto, dei due che ho citato all’inizio, è proprio quello di considerare questi grandi nomi da una prospettiva meno musicologica e più umana, cogliendone il lato giovane, i loro primi passi... fra l’altro Quartettsatz e Sonata sono stati scritti proprio negli stessi anni. Mahler e Strauss sono due autori che hanno poi seguito strade apparentemente diverse, ma che in definitiva rappresentano due facce della stessa medaglia: grandi colori orchestrali e orizzonti ampi sono caratteri comuni ad entrambi, e s’intuiscono fin da queste loro opere giovanili. E poi, a fondere tutto questo, la Quarta Sinfonia di Mahler: una sinfonia che presenteremo in versione cameristica, una sinfonia che parla di giovani e di gioventù, insomma un’opera che mi sembrava si prestasse a chiudere il cerchio in modo ideale». A questo proposito, nel IV movimento il soprano intona “Das himmlische Leben” da Des Knaben Wunderhorn (Il corno magico del fanciullo, la raccolta di poesie curata da Arnim e Brentano assai cara a Mahler): è la visione che un bambino ha del cielo, un pensiero anche tragico se ricordiamo alcuni commenti di Mahler sulla morte dei bambini, che per lui diventa quasi un’ossessione... «Sembra che Mahler ne faccia in un certo senso una metafora dell’ingiustizia dell’umanità, di tutto quello che non deve accadere, e là dentro riversi tutto il dolore, la rabbia e anche l’impotenza dell’ingiustizia». Con i suoi caratteri di innocenza e accessibilità, la Quarta di Mahler è storicamente la più eseguita delle sue sinfonie. Quali sono i pregi della versione cameristica di Klaus Simon che presenterete a Bologna? «Intanto la versione di Simon è già in sé una novità, poiché in genere si esegue sempre una versione di Stein, più o meno coeva alla sinfonia stessa. Questa versione invece appartiene al ciclo che Simon si è impegnato in questi ultimi anni ad ese- guire di tutte le sinfonie mahleriane; ad oggi ha completato la Prima, la Nona e la Quarta (quest’ultima nel 2007). È una versione leggermente diversa quindi da quella che di solito si ascolta, ed anche questa è una riprova del fatto che la musica di Mahler si presti a questa lettura più trasparente e leggera. Direi che la Quarta in particolare si adatta alla perfezione ad una versione cameristica, poiché la sua tessitura è sempre medio-alta, abbastanza solare, e raramente vi sono quelle profondità, o meglio oscurità, che si ritrovano nelle altre sinfonie. Ho avuto la fortuna di interpretare parecchie sinfonie con grandi direttori, a partire da Abbado, e tutte le volte che eseguivo una sinfonia di Mahler avevo sempre la sensazione di suonare una specie di grande musica da camera. Probabilmente, proprio a partire dalla Quarta e dalla Nona, si tratta di sinfonie che raramente ti fanno sentire dentro a un organico mastodontico come quello che è previsto, ma piuttosto ti accolgono dentro a un grande gruppo di musica da camera, appunto, perché c’è un dialogo molto serrato fra tutte le componenti dell’orchestra. A maggior ragione, quindi, nella versione da camera è interessante questa razionalizzazione dei suoni, dei fiati come delle percussioni, oltre alla presenza del pianoforte, e della fisarmonica, che amalgama un po’ tutto, il che va proprio a vantaggio del dialogo. Fra l’altro è da rimarcare che la voce di Elisabetta de Mircovich, cantante della Reverdie specializzata nel repertorio medievale, ha un colore molto particolare: è un registro di soprano, ma con una voce bianca, che è proprio quello che ho sempre immaginato per questa sinfonia...». E intanto il violoncello di Brunello continua a scalare le Dolomiti e a dare l’antiruggine alla musica: quali sono le novità di quest’anno? «Premesso che l’andare a suonare in montagna è diventato ormai uno spazio obbligatorio nel mio calendario, quest’anno ci sono tre progetti di trekking che mi interessano particolarmente: uno è il Quintetto per archi di Schubert con un altro Quartetto di giovani straordinari, il Lyskamm. Fra l’altro il loro nuovo primo violino è Lorenza Borrani, ed il fatto che un’artista come lei si metta in gioco con un quartetto promette grandi cose per il futuro... teniamo le orecchie ben aperte! L’altro progetto è pluriennale, avvicinandosi alle celebrazioni per il centenario della Grande Guerra: con I suoni delle Dolomiti abbiamo anticipato questo anniversario, ed insieme ad altri musicisti italiani incontreremo musicisti appartenenti a quei paesi che si sono combattuti durante il conflitto. Suoneremo quindi lungo le trincee e nei forti dove si svolse la Grande Guerra: dove prima ci si affrontava con le armi, adesso ci si affronterà a suon di musica, imbracciando i nostri archetti. Questo è un progetto che mi impegnerà per un po’ di anni, mentre il terzo progetto riguarda un altro aspetto che amo molto, quello di mettere insieme la parola con la musica: per quest’anno, insieme a Umberto Petrin al pianoforte ed allo scrittore Stefano Benni, facciamo un lavoro sui racconti di Edgar Allan Poe, dal titolo I mille cuori di Poe. Si tratta fra l’altro di racconti molto musicali: talvolta viene citato espressamente un dato brano, talvolta compare anche uno strumento musicale, insomma fra le loro pagine ci sono sempre molti suoni...». MI MUSICA INSIEME 15 L’INTERVISTA EMERSON STRING QUARTET Omaggio all’Europa L Il quartetto americano che nel 1997 festeggiava proprio a Bologna il suo primo ventennio di attività, torna a Musica Insieme con un programma che celebra il Vecchio Continente di Anastasia Miro ’Emerson String Quartet, giunto ormai alla soglia dei quarant’anni di attività, con oltre trenta incisioni discografiche e un repertorio sterminato che abbraccia tutta la storia del quartetto, si appresta a tornare sul nostro palcoscenico dopo quasi due decenni di assenza. Eugene Drucker, che si alterna al collega Philip Setzer nel ruolo di primo violino, ci parla di quali siano gli aspetti più importanti per formare un grande quartetto, e dal momento che l’Emerson da diversi anni si dedica con passione anche all’insegnamento, fornisce qualche utile consiglio per i giovani che si affacciano all’attività concertistica. Sull’onda del ricordo dei concerti più importanti e dei compositori più amati, nonché dei maestri che hanno guidato questo straordinario quartetto fin dagli esordi, l’Emerson si racconta con generosità al pubblico di Musica Insieme. Perché avete deciso di prendere il nome dal poeta americano Ralph Waldo Emerson? «Siamo diventati un quartetto professionista nell’anno del bicentenario degli Stati Uniti d’America, il 1976. Volevamo un nome americano con un significato culturale, ma non necessariamente doveva essere un nome legato nello specifico al mondo della musica. Ralph Waldo Emerson non fu solo un grande poeta, ma anche un importante filosofo, che ebbe un’enorme influenza sulla vita intellettuale e spirituale degli Stati Uniti per la maggior parte del diciannovesimo secolo, esercitando anche un influsso notevole su molti filosofi europei, uno fra tutti Friedrich Nietzsche». Quale è stato per lei il più bel concerto (sia come interprete che come ascoltatore)? 16 MI MUSICA INSIEME «È impossibile citarne uno solo. Da adolescente, mentre già studiavo seriamente violino e musica da camera, ho ascoltato i meravigliosi concerti del Quartetto Guarnieri con vari programmi (Mozart, Schubert, Debussy, Beethoven), ma anche il ciclo completo dei quartetti di Beethoven eseguito a New York dal Juilliard String Quartet. Ho ascoltato Rudolf Serkin in un recital alla Carnegie Hall ed anche numerosi bellissimi concerti del leggendario violinista Nathan Milstein. Ho amato molti concerti della Boston Symphony Orchestra a Tanglewood (frequentavo i loro festival estivi quando studiavo là, dal 1968 al 1970) e sono stato molto felice di ascoltare la Chicago Symphony Orchestra alla Carnegie Hall (e più recentemente nella loro stessa sala a Chicago, mentre mi trovavo là per suonare proprio con l’Emerson String Quartet). Ho anche molto ammirato la Cleveland Orchestra, sia in concerto che nelle sue registrazioni». Quali sono stati i maestri più importanti (non solo in senso musicale) incontrati nella sua vita? «Il mio insegnante, Oscar Shumsky, col quale si è perfezionato anche il mio collega Philip Setzer, era uno dei più grandi violinisti (e musicisti tout court) che io abbia mai incontrato. Aveva una conoscenza enciclopedica del repertorio violinistico e poteva brillantemente eseguire qualunque cosa uno studente gli portasse a lezione. Ricordo poi che a diciotto anni, a Tanglewood, ho avuto la grandissima emozione di essere scelto come Maestro Concertatore dell’orchestra degli studenti quando Leonard Bernstein doveva dirigere la Nona Sinfonia di Bruckner. Quando incontrai nuovamente Bernstein vent’anni dopo (nel 1990, proprio l’anno in cui morì), egli definì quell’esecuzione come una delle migliori interpretazioni della Nona Sinfonia». In quasi 40 anni di carriera l’Emerson String Quartet ha esplorato una gran parte del repertorio per quartetto d’archi: qual è secondo voi un compositore da (ri)scoprire? «Noi abbiamo ‘scoperto’ Šostakovič subito dopo l’inizio della nostra carriera. I suoi quindici quartetti rappresentano un pilastro del repertorio del ventesimo secolo per questo genere, come i sei quartetti di Bartók. Naturalmente anche quelli di Beethoven sono un elemento fondamentale del nostro repertorio e, se vi aggiungiamo l’esecuzione di uno o due quartetti di Haydn per stagione, sarebbero sufficienti per completare la nostra intera carriera! Poi adoriamo i quartetti di Mozart, amiamo il lirismo di Schubert, Schumann, Mendelssohn e Dvořák e siamo affascinati dalla complessità di Schoenberg, Berg e Webern. Amiamo Brahms, anche se i suoi quartetti per archi non rappresentano forse l’apice della sua produzione cameristica (i suoi lavori per pianoforte e archi, come i quintetti e i sestetti, sono forse più pienamente compiuti, almeno dal punto di vista strutturale, dei suoi quartetti per archi, ma non c’è dubbio che Brahms sia stato uno dei massimi compositori della storia)». Come avete concepito Perspectives, la serie di concerti da voi curati per la Carnegie Hall? «Si trattava di una serie di nove concerti organizzati intorno all’integrale dei quartetti di Beethoven (che da soli avrebbero richiesto sei concerti). Volevamo dimostrare l’influenza che Beethoven ha avuto sulle generazioni di compositori che lo hanno seguito fino ad oggi, ma anche Foto Lisa-Marie Mazzucco evidenziare i legami esistenti tra Beethoven e i suoi immediati predecessori, Haydn e Mozart. Abbiamo anche incluso estratti dall’Arte della Fuga di Bach, per mostrare la base contrappuntistica della scrittura a quattro parti che Beethoven ha portato alle estreme conseguenze nella Grosse Fuge, che originariamente costituiva il finale del suo Quartetto op. 130». L’Emerson String Quartet dedica anche molto tempo all’insegnamento. Quali sono a suo avviso gli aspetti più importanti che un giovane quartetto deve curare per costruirsi una carriera solida e duratura? «È importante sviluppare un suono d’insieme, che dipende per una certa misura dall’abilità di fondersi con gli altri, ma anche dalla capacità di ogni singolo musicista di proiettare la propria voce individuale nella tessitura del gruppo. Nei quartetti per archi vi è un’alternanza tra passaggi accordali (per i quali la fusione è preferibile) e passaggi contrappuntistici, in cui è importante l’individualità di ogni membro. È necessaria una considerevole mole di lavoro tecnico nel campo dell’intonazione, dell’assieme e del ritmo, in modo da ottenere un livello qualitativo soddisfacente. È fondamentale infine che ogni musicista rispetti gli altri, non im- porta quanto siano diverse fra loro le personalità, l’approccio allo strumento o le scelte interpretative dei membri di un quartetto». Il programma che presenterete a Bologna ha una sorta di fil rouge? «Il Quartetto op. 20 n. 3 di Haydn è uno dei lavori più cupi del suo autore in questo genere (ad eccezione del movimento lento, così pacifico, e di una bellezza radiosa). Il secondo Quartetto di Bartók rappresenta un punto di svolta nella musica del ventesimo secolo, così come si può dire che i tre Quartetti op. 59 (Razumovskij) di Beethoven abbiano rivoluzionato per sempre la storia del quartetto per archi. L’op. 59 n. 1 è l’unico brano che io conosca ad avere tutti e quattro i movimenti in forma-sonata, e questo è solo uno dei modi in cui Beethoven ha ampliato il ventaglio delle possibilità strutturali del quartetto per archi. Ma Beethoven ha ampliato anche la gamma sonora, la tessitura degli strumenti e l’aspetto emotivo del quartetto. Il movimento lento, che nel manoscritto è preceduto dalle parole «Un salice piangente sulla tomba di mio fratello», quando i due fratelli di Beethoven erano ancora vivi, si potrebbe interpretare come un’espressione di lutto (e di finale conso- lazione) per la caducità della vita umana». Come commenterebbe il Quartetto n. 2 di Bartók, che è stato definito “la marcia funebre del XX secolo”? «Possiamo dire che il primo movimento del Quartetto di Bartók si apre con lunghe frasi impetuose, e con una nostalgia quasi romantica. Dopo una sezione di sviluppo piuttosto violenta, la riesposizione del primo tema è molto più sommessa, quasi smorzata, proseguendo poi in modo estremamente frammentario. È come se, dopo essere stato sottoposto allo sconvolgimento dello sviluppo, il materiale tematico non potesse più essere lo stesso. È importante ricordare che questo quartetto fu composto durante la prima guerra mondiale, che ha rivoluzionato in ogni senso l’arte e la società europee. Il secondo movimento è uno Scherzo martellante, pulsante, diabolico, con una sezione centrale di beffardo lirismo e un elettrizzante Prestissimo a mo’ di coda. Il terzo e ultimo movimento è una delle più desolanti evocazioni della disperazione che io abbia mai udito. L’incedere frammentario della fine del primo movimento ritorna qui, ma con un effetto ancora più profondo. Le due note pizzicate finali di viola e violoncello risuonano come una sorta di campana a morto». “ È fondamentale che ogni musicista rispetti gli altri, a prescindere dalle diversità personali o dalle scelte interpretative dei membri di un quartetto MI “ MUSICA INSIEME 17 L’INTERVISTA ANTONIO MENESES Intimità e armonia Musica Insieme riporta a Bologna dopo quasi un ventennio il grande violoncellista brasiliano, che in Maria João Pires ha trovato una partner ideale di Alessandro Di Marco Quando e come è nata la collaborazione con Maria João Pires? «Per la verità, è un incontro avvenuto quasi per caso. In comune avevamo all’epoca solo il nostro agente, che è anche un amico, brasiliano. Io avevo programmato un tour in Brasile appunto con Menahem Pressler, il grande pianista, fondatore del Trio Beaux Arts. Purtroppo, Pressler fu costretto a cancellare quegli impegni ed io mi sono trovato nella condizione di cercare un nuovo partner. Ed ecco che il nostro comune amico e agente brasiliano suggerisce il nome di Maria 18 MI MUSICA INSIEME Foto Marco Borggreve C lasse 1957, brasiliano di Recife, Antonio Meneses ha trovato il suo mentore nel grande violoncellista italiano Antonio Janigro. Un incontro avvenuto quando lui era ancora adolescente, appena sedicenne. Forse è per questo che Meneses ha un così buon rapporto con il nostro paese, con il pubblico italiano, e quello bolognese in particolare che lo ascolterà insieme a Maria João Pires, con la quale collabora da anni. Certo è che proprio in Europa la carriera del violoncellista brasiliano si costruisce passo dopo passo, proprio a cominciare dall’incontro con Janigro, che lo accoglie nella sua classe a Düsseldorf, dove insegnava presso il Conservatorio “Schumann”. Poi sono venuti i premi internazionali – lo “ARD” a Monaco nel 1982, e la vittoria al “Čajkovskij” di Mosca – e a seguire i concerti in tutte le più prestigiose istituzioni musicali planetarie. Insomma, Meneses è entrato a buon diritto nel novero dei grandi interpreti internazionali, reputazione che si è guadagnato anche grazie alla sua particolare passione per la musica da camera. Una passione che proprio nella collaborazione con la pianista portoghese Maria João Pires ha trovato una speciale, e particolarmente fruttuosa, opportunità di maturazione. João e naturalmente chiede a lei se potesse avere interesse a cominciare una collaborazione con me. L’unico modo per saperlo era provare assieme. E così abbiamo fatto: abbiamo cominciato a provare assieme, suonando la Seconda e la Terza delle Sonate di Beethoven. Potremmo dire che si è trattato di ‘amore a prima vista’. C’è stata un’intesa immediata e subito felice». Trova parecchia differenza tra il suonare in duo musica da camera e l’esibirsi come solista con un’orchestra, collaborando quindi con un direttore? «No, non c’è una grandissima differenza. In entrambi i casi resta fondamentale la capacità di comunicare, sia che il partner sia un pianista, sia che si tratti di un direttore d’orchestra. Certo, in un duo c’è per così dire una maggiore intimità, tanto più quando si ha la fortuna di collaborare con musicisti come Pressler o come Maria João Pires». Come avete costruito il programma che suonerete a Bologna per Musica Insieme? «È il frutto di un lungo lavoro. Intanto cominciamo col dire che lo abbiamo registrato per la Deutsche Grammophon. Quella registrazione è stata il punto di partenza per collegare Schubert, Brahms e Mendelssohn. Soltanto dopo il lavoro in sala d’incisione abbiamo capito che quella serie di brani poteva essere interessante anche per un pubblico che li ascoltasse dal vivo. Così siamo passati in sala da concerto. Uno dei primi recital con questo programma lo abbiamo presentato alla Wigmore Hall. La chiave di lettura potrebbe essere vista nell’armonia. Tra questi pezzi esiste una certa affinità armonica, che possiede un suo specifico carattere. Potrei definirlo un carattere intimo, raccolto, che trova corrispondenza peraltro nell’essere tutti i brani in programma davvero musica da camera, nel senso pieno del termine. Inoltre, tutti i brani hanno in comune un’evidente attitudine melodica. Il violoncello in certo senso canta in queste pagine vere e proprie melodie dal sapore spesso autenticamente vocale. Certo, nelle pagine di Brahms i diversi piani della composizione s’intrecciano, creando quella speciale combinazione di elementi che è caratteristica dello stile del musicista amburghese. Nonostante questo, però, anche in quelle pagine emerge una componente melodica particolarmente suggestiva, e oserei dire tinta di una sua originale e sincera nostalgia». Restando allora nella dimensione del ricordo, vorrebbe dirci qual è il concerto che, seduto tra il pubblico, oppure protagonista in scena, lo ha più colpito? «Non riuscirei ad indicarne uno in particolare. Però, ad esempio, la scorsa primavera in Brasile ho avuto l’occasione di ascoltare la Quarta Sinfonia di Gustav Mahler eseguita dall’Orchestra Giovanile di San Paolo. È stata una serata indimenticabile. Se devo poi pensare alla mia storia, non ho dubbi: la mia predilezione va al Trio Beaux Arts e a Menahem Pressler». L’INTERVISTA ESTRIO Note in rosa Laura Gorna, violinista di Estrio, ci spiega come da un’amicizia possa nascere una duratura collaborazione professionale, dando vita a quella che lei stessa definisce “la formazione cameristica per eccellenza” di Cristina Fossati T orna a Musica Insieme un ensemble nato dall’incontro di tre artiste considerate fra le migliori interpreti della nuova generazione. Laura Gorna (violino), Cecilia Radic (violoncello) e Laura Manzini (pianoforte) hanno saputo raccogliere e reinterpretare la tradizione della grande scuola italiana, resa celebre nel mondo dai loro stessi maestri: Salvatore Accardo, Rocco Filippini e Bruno Canino. Sul palcoscenico del Teatro Manzoni, l’11 dicembre prossimo l’Estrio accosterà la “sregolatezza” del Trio di Arenskij all’appassionato Trio in sol minore di Smetana, pagina di riferimento per questa formazione, e dedicata dall’autore alla memoria della figlia scomparsa. A queste due opere se ne aggiunge una terza, frutto della collaborazione con Adriano Guarnieri, che Musica Insieme ha invitato a comporre espressamente per Estrio il brano Lassù… le stelle… si accorgano… di te, dedicato alla memoria del piccolo Devid Berghi, la cui vicenda nel 2011 ha commosso il nostro paese, che ascolteremo in prima esecuzione assoluta. Insomma, un programma particolarmente ‘sentito’ dalle tre artiste, musiciste e mamme allo stesso tempo, come ci spiega la violinista del Trio, Laura Gorna. Come è nata la vostra collaborazione? «La storia di Estrio è una storia di amicizia. Nasce dai primi anni di conservatorio tra me e Cecilia, e più tardi alle Settimane Musicali Internazionali di Napoli anche con Laura Manzini, dove iniziano le prime collaborazioni cameristiche importanti, in varie formazioni, e cresce un “ sodalizio umano. Col tempo, è nato in tutte e tre il desiderio di costruire qualcosa di “nostro”, riassumendo tutte le esperienze maturate al fianco di grandi interpreti in quella che per noi è la formazione cameristica per eccellenza: il trio con pianoforte. Nel 2005 nasce Estrio». Ci raccontereste l’origine e le sfumature… semantiche del nome Estrio, che avete prescelto per la vostra compagine? «Non c’è formazione cameristica, come il trio con pianoforte, che consenta la contemporanea presenza di tre forti individualità in un’entità assolutamente coesa. Anche la scelta del nome rispecchia quindi questa “molteplicità”, racchiudendo in sé diversi richiami in un unico nome: il mi bemolle tedesco (Es), nella cui tonalità è stato scritto un capolavoro assoluto come il Trio op. 100 di Schubert, l’Es della “struttura tripartita” della psiche secondo Freud (l’Io inconscio), la consonanza con il concetto di estro, l’ardore della fantasia e dell’immaginazione nella cultura classica greca, e non ultimo la parola trio. Spesso ci viene chiesto quale sia la corretta accentuazione del nostro nome. Proprio per la sua origine così articolata, a noi piace che la scelta sia assolutamente libera: èstrio o estrìo sono entrambe pronunce corrette! L’ambiguità del nome è parte integrante di esso». Quali sono stati i più importanti ‘maestri’ che avete incontrato nella vostra vita? «Ognuna di noi ha diverse figure di riferimento nella propria crescita umana e artistica. Ad accomunarci Clara Wieck Schumann, che sin dall’inizio della nostra collaborazione ha rappresentato un’inesauribile fonte di ispirazione, sia in qualità di artista che di donna. Sorprendente è la modernità di Clara, in grado di coniugare nel XIX secolo il ruolo di concertista, compositrice, moglie, madre e figura di spicco del mondo intellettuale dell’epoca. È a lei che abbiamo dedicato un lungo lavoro che ci ha coinvolto e appassionato, insieme all’attrice Sonia Bergamasco, la scrittrice e poetessa Maria Grazia Calandrone e la coreografa Antonella Agati. Ne è nato uno spettacolo nel quale fiorisce l’avventura umana e spirituale di un incontro predestinato, quello tra Clara e Robert, eseguito in prima nazionale per il Festival MiTo e, successivamente, in diretta radiofonica per i Concerti di RadioTre». Fin dal vostro esordio avete riscosso un grandissimo successo di pubblico e di critica. Il trio peraltro è formazione che può contare su un repertorio ricco di capolavori, tuttavia non sono numerosissimi (in confronto ad esempio ai quartetti d’archi) i trii che abbiano lasciato un segno nella storia, né paiono troppo abbondanti nel panorama musicale odierno (soprattutto italiano). Quali ne sono secondo voi i motivi? «Per rispondere a questa domanda dovremmo prima accordarci sul significato di “lasciare un segno nella storia”, ma ci porterebbe troppo lontano. Possiamo sicuramente affermare che le due formazioni richiedono un approccio compositivo molto diverso, per la presenza del Non c’è formazione cameristica, come il trio con pianoforte, che consenta la contemporanea presenza di tre forti individualità in un’entità coesa 20 MI MUSICA INSIEME “ pianoforte e degli equilibri che gli archi devono instaurare con questo. La maggior parte dei compositori di oggi, anche italiani, continua a scrivere per trio, la vera difficoltà è riuscire a portare tale repertorio a conoscenza del grande pubblico. Proprio per questo, riteniamo molto importante l’iniziativa di Musica Insieme, che speriamo possa essere d’esempio per altre importanti istituzioni concertistiche italiane». C’è qualche compagine di ieri o di oggi alla quale fate riferimento? «Per aspetti molto diversi, siamo state ispirate da alcuni Trii che hanno segnato la storia dell’interpretazione: Stern-RoseIstomin, Trio di Trieste e Trio Beaux Arts». Il programma prevede anche una prima assoluta, scritta da Adriano Guarnieri proprio per Estrio. Parlando del suo brano, Guarnieri fa riferimento alla ricerca acustica di una vita: quella sul suono quasi ‘materico’ e sul tempo sospeso di molte sue partiture. Come avete affrontato questo nuovo lavoro? «La ricerca del suono è stata sicuramente una parte molto stimolante nello studio di questo brano. Il compositore ha sottolineato l’importanza di rendere trasparenti gli equilibri tra le varie parti, al fine di enfatizzare le cellule tematiche principali, divise tra i vari strumenti. Importante anche caratterizzare i vari episodi di cui è composto il Trio, pur nella fluidità del passaggio tra questi. Il tragico evento, dal quale trae origine il brano, genera una fortissima tensione emotiva che pervade l’intera scrittura musicale». Un drammatico filo conduttore sembra legare il brano di Guarnieri – che ricorda la morte del piccolo Devid Berghi, a Bologna, nel gennaio del 2011 – al Trio op. 15 di Smetana, dedicato alla figlia Bedřiška, scomparsa a 4 anni. Al lutto e alla tragedia si legano in entrambe le opere la forza della speranza e la fede in una ‘rinascita’, oltretutto nel periodo che precede il Natale. Quale conforto, o quale messaggio ritenete possa dare la musica rispetto alle tragedie della vita? «C’è un’incapacità espressiva della lingua parlata di fronte a certi eventi a forte impatto emotivo, sia tragici che gioiosi. Sicuramente altre forme d’arte esprimono bene il sentire umano, ma a nostro avviso nulla come la musica riesce ad arrivare fin nel profondo delle emozioni e nulla come la musica riesce a sublimarle. Ad esempio il Trio di Smetana ci offre un ventaglio di sentimenti legati al dolore della perdita, come la rabbia, la malinconia, l’impotenza e la rassegnazione, unitamente al superamento di essi, in un finale di grande coinvolgimento e di speranza. Affrontare Lassù… le stelle… si accorgano… di te di Guarnieri è stata un’esperienza emotivamente molto impegnativa per noi, sia come interpreti che come madri, ma allo stesso tempo anche catartica». Tutt’altro scenario si apre invece a proposito di Arenskij, autore assai meno noto. Come definireste la sua opera, sicuramente da riscoprire? «“Sarà presto dimenticato”, sosteneva Rimskij-Korsakov del suo allievo Arenskij: un giudizio assai severo che era più che altro determinato da considerazioni di carattere morale, conducendo il giovane discepolo una vita piuttosto sregolata, “dissipata tra il vino e il gioco delle carte”. Apprezzato, invece, da Prokof ’ev e Stravinskij, Arenskij pare fosse molto stimato anche da Čajkovskij, del quale aveva seguito l’orientamento verso la tradizione occidentale, a dispetto del proprio maestro e del resto del “Gruppo dei Cinque”. Di questo Trio, considerato tra le sue composizioni migliori, ci appassiona proprio la “sregolatezza”, data dalla libertà formale, dall’enorme ricchezza tematica (in cui si possono individuare anche influenze mendelssohniane) e da un sapiente, quanto insolito, uso del colore strumentale. Sicuramente un compositore da riscoprire». Parlando di un trio tutto al femminile, viene spontaneo chiedersi se vi sia nei vostri programmi una particolare attenzione per le (mai abbastanza considerate) ‘quote rosa’ della storia della musica: è così? «Sin dalla nascita di Estrio abbiamo sentito una forte esigenza di recupero del repertorio ‘al femminile’: non a caso siamo state inserite nelle celebrazioni che il Quirinale ha organizzato per l’8 marzo 2009, con un concerto tutto dedicato a musiche di compositrici nella Cappella Paolina, alla presenza del Presidente Napolitano. Cerchiamo di inserire il più spesso possibile brani ‘femminili’ nei nostri programmi e riscontriamo costantemente un grande interesse da parte del pubblico, e lo stupore di molti nello scoprire quanti capolavori dimenticati si celino nelle ‘quote rosa’». L’impegno a favore della causa femminile si concretizzerà anche in una campagna di sensibilizzazione contro la violenza sulle donne: ce ne volete parlare? «Il nostro impegno sociale ed artistico contro la violenza sulle donne è sempre presente. Prossimamente Estrio parteciperà ad un grande progetto sul tema, che è ancora in via di definizione, quindi preferiamo ‘scaramanticamente’ non anticiparne i dettagli. Di sicuro siamo state e saremo sempre disponibili per tutte quelle iniziative che potranno sensibilizzare l’opinione pubblica su questo drammatico tema». MI MUSICA INSIEME 21 IL PROFILO BEDŘICH SMETANA Un’identità universale N Simbolo riconosciuto della musica ceca, l’autore della celeberrima Moldava, del quale proporremo l’11 dicembre lo struggente Trio op. 15, rifuggì sempre da ogni facile folklorismo di Giordano Montecchi ella musica dell’Ottocento, “scuole nazionali” è sinonimo di novità, giovinezza, ingenuità, vitalità nativa. Dalle periferie d’Europa e di un Impero ormai pericolante, l’eredità del romanticismo, con la sua esaltazione del popolo e delle mitologie ancestrali, alimenta il risveglio delle identità nazionali, in un mix di propositi indipendentisti e rivoluzionari. In questo quadro storico, uno dei protagonisti fu senza dubbio Bedřich Smetana, considerato giustamente il padre della musica ceca: musica che per secoli era stata parte integrante della civiltà musicale dell’Impero e che ora ambiva a emanciparsi. Il palcoscenico planetario di oggi, sappiamo bene, è più che mai pieno di queste aggrovigliate, spesso tragiche vicende, su cui sventolano insegne quali identità culturali, etniche, nazionali o pseudo-tali. La musica, per la sua insopprimibile natura di metafora comunitaria, è da sempre un catalizzatore insostituibile di questi fermenti, una fucina ineguagliata di collanti identitari, di icone folkloriche la cui ‘autenticità’ nazionale o linguistica, per quanto esaltata ed esaltante, nasce però non di rado a tavolino. La figura e l’opera di Smetana ne sono un esempio magnifico e illuminante. Il padre della musica ceca non parlava la lingua čeština, né era interessato alla musica folklorica della propria terra, che non volle mai utilizzare nelle sue composizioni. Sulla scorta del suo idolo e mentore, Franz Liszt, Smetana si sentiva ed era un progressista, musicista d’avanguardia, diremmo oggi. E rifuggiva da ogni folklorismo che riteneva deleterio per la musica d’arte. In seno alle cosiddette “scuole nazionali” (nozione fra le più fuorvianti e scivolose della storia musicale), le spaccature tra 22 MI MUSICA INSIEME folkloristi e progressisti erano già allora profondissime e insanabili: «Smetana... ha riempito una quantità di carta da musica... ma quanto è vuota e priva di senso questa sua opera: Prodaná nevěsta (La sposa venduta). La cosa migliore è il suo lieve sentore di musica ceca, che le dona un po’ di colore e la rende più sopportabile... eppure è vuota. Essa passa in rassegna ogni sorta di nullità: il nulla sentimentale, il nulla pastorale, il nulla poetico, nient’altro che il nulla...». Così Tzezar’ Kjui, membro del kučka, il ‘gruppetto’ dei cinque russi, stroncava l’opera che nel 1866 segnò idealmente la nascita della nuova musica ceca. A suo avviso, la nullità della partitura consisteva nel suo riproporre modelli standardizzati, dove la presenza vivificante dell’idioma locale era assolutamente marginale. In effetti, erano soprattutto i cinque russi (e neppure all’unisono) a propugnare una musica nazionale che scaturisse da tradizioni popolari autentiche. Ma a fronteggiarli, in Russia come nel resto d’Europa, insieme a Smetana c’era uno schieramento formi- Bedřich Smetana (1824-1884) dabile. Anche perché in un immaginario che mescolava musica ed emancipazione dei popoli, l’impero zarista era visto da molti come un Moloch ben più oppressivo e imperialista dell’Austria. Dove Smetana pone il suo sigillo all’idea musicale della patria è nei sei poemi sinfonici di Má vlast (La mia nazione), di cui Vltava (Moldava) è anche una delle pagine orchestrali più ammirate di tutto l’Ottocento: il luogo dove il fiume di Praga si incarna in quel tema celeberrimo, di inconfondibile matrice popolare e divenuto emblema musicale di una nazione in cerca di se stessa. Un tema indimenticabile grazie a Smetana, ma che seppur (forse) popolare, di certo non aveva nulla a che fare con la tradizione ceca. Da emigrante in cerca di fortuna, infatti, Smetana lo aveva ascoltato quindici anni addietro, a Göteborg: Ack Värmeland, du sköna (Oh Värmeland, tu bellissima). Ma quel canto gli svedesi l’avevano ereditato a loro volta chissà per quali vie. Già sul finire del Cinquecento infatti, il cantante e compositore Giuseppino del Biado intonava questa melodia, divenuta famosa come Il ballo di Mantova e diffusasi poi ovunque, dalla Spagna alla Polonia, dalla Scozia alla Romania, fino al mondo della diaspora. Tanto che oggi la ritroviamo come Hatikvah (Speranza): l’inno dello stato di Israele. E di certo anche Guglielmo Cottrau (o chi per esso) nel mettere in pentagramma Fenesta che lucive, l’aveva nelle orecchie... Identità e autenticità non come dati di natura, ma come costruzione sociale o estetica. Chissà se lo scetticismo modernista di Smetana nasceva da qui. Di certo in una cosa fu lungimirante: quando scelse quella melodia, che lui sentiva non “boema” ma “universale”, per eleggerla a simbolo della propria identità. I LUOGHI DELLA MUSICA Occhio alla musica Artelibro 2013, in programma a fine settembre a Bologna, offre numerose occasioni per scoprire i significati nascosti nell’universo sonoro, fra stampe storiche, vinili e fotografie; perché qualche volta la musica si può anche solo guardare... di Maria Pace Marzocchi A l traguardo dei 10 anni, l’edizione di Artelibro – Festival del Libro d’Arte in calendario a Bologna dal 22 al 25 settembre 2013, ha avuto come tema guida “MUSICA PER GLI OCCHI. Collezionismo all’Opera”. All’inaugurazione in Cappella Farnese, il Sovrintendente del Teatro Comunale Francesco Ernani ha introdotto l’appuntamento musicale d’apertura: arie verdiane cantate dal soprano Felicia Bongiovanni. Temi musicali vi saranno poi nelle tavole rotonde e nei convegni, tra cui quello promosso dalla Soprintendenza ai Beni Archivistici e Librari, dedicato all’illustrazione di alcuni fra i più importanti fondi musicali di cui la nostra regione è ricchissima (Bologna in primis, e poi Parma, Modena, Reggio Emilia, Ravenna e molti centri della Romagna), ed al progetto di digitalizzazione dei libretti d’opera. Da segnalare poi, fra le attività rivolte alla scuola e in consonanza con l’anno verdiano, la lezione-concerto “Giuseppe Verdi a scuola”, rivolta ai bambini delle scuole primarie. Musica anche in alcune delle esposizioni promosse da Artelibro, visitabili ben oltre i quattro giorni del festival. In mostra alla Biblioteca dell’Archiginnasio (fino al 6 ottobre) “Una tipografia musicale”, di Tallone Editore. Nelle bacheche, i caratteri di una tipografia musicale gregoriana tuttora attiva: una sequenza di bulini, punzoni, matrici, tipi mobili originali fusi a Parigi nel corso dell’Ottocento, affiancati da pagine tratte dai tipi in mostra. Nell’Aula Magna della Biblioteca Universitaria, fino al 10 ottobre, “Records by Artists (1960-1990)”, circa 300 dischi d’artista, tra cui quelli realizzati da John Cage, Brian Eno, Laurie Anderson, Filippo Tommaso Marinetti, Marcel Duchamp, Mimmo Rotella… Fino al 20 ottobre, al Museo Internazionale e Biblioteca della Musica si può visitare “Literary Lennon”, una sorprendente raccolta della produzione letteraria e grafica di John Lennon. Si protrarrà fino all’11 novembre l’esposizione “Musica da vedere” presso la fototeca Zeri che, attraverso la straordinaria documentazione fotografica dell’istituzione (quasi 300.000 stampe), illustra il A sinistra: John Lennon, A Spaniard in the Works (“Literary Lennon”, Museo Internazionale e Biblioteca della Musica). Sopra: Jan Bruegel il Giovane, Allegoria dell’udito, (“Musica da vedere”, Fondazione Zeri) 24 MI MUSICA INSIEME tema della rappresentazione della musica nei dipinti tra la fine del Cinquecento ed i primi decenni del Settecento, con particolare attenzione al genere della natura morta. Tradotti nelle stampe a colori e in quelle storiche in bianco e nero (quasi tutte gelatine ai sali d’argento), i dipinti di Caravaggio, Orazio Gentileschi, Baschenis, dei Bruegel e di tanti altri pittori italiani ed europei illustrano quattro fondamentali temi-guida: la scrittura musicale nei dipinti caravaggeschi, la ‘natura morta’ di strumenti musicali in area lombarda, la rappresentazione della musica nell’ambito delle Allegorie dei sensi, la musica nelle Vanitas, secondo un filo conduttore costituito dalla rappresentazione del testo musicale dipinto accanto agli strumenti. E quando i testi musicali sono identificabili, sanno fare luce sui gusti e sugli ideali musicali del contesto culturale che ha prodotto le immagini. Le stampe in mostra sono state scelte da un nucleo di 13.900 fotografie che rappresenta il più importante archivio fotografico al mondo dedicato al genere della natura morta. Tale sezione della fototeca Zeri non è stata ancora digitalizzata, e la mostra in corso costituisce anche un’occasione per promuoverne il progetto di schedatura. I CONCERTI ottobre/dicembre 2013 Lunedì 21 ottobre 2013 AUDITORIUM MANZONI ore 20.30 MARIO BRUNELLO / GUSTAV MAHLER: UN RITRATTO QUARTETTO MIRUS “I FIATI”, ACCADEMIA NAZIONALE DI SANTA CECILIA ELISABETTA DE MIRCOVICH.......soprano LEONORA ARMELLINI............................pianoforte DANIELE CARNIO........................................contrabbasso IVANO BATTISTON.....................................fisarmonica MAURIZIO BEN OMAR........................percussioni MARIO BRUNELLO....................................violoncello e direttore Musiche di Mahler, R. Strauss Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme” e “Invito alla Musica” – per i Comuni della provincia di Bologna Lunedì 11 novembre 2013 AUDITORIUM MANZONI ore 20.30 EMERSON STRING QUARTET EUGENE DRUCKER..........................................violino PHILIP SETZER..................................................violino LAWRENCE DUTTON......................................viola PAUL WATKINS..................................................violoncello Musiche di Haydn, Bartók, Beethoven Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme” e “Invito alla Musica” – per i Comuni della provincia di Bologna Lunedì 25 novembre 2013 AUDITORIUM MANZONI ore 20.30 ANTONIO MENESES................................violoncello MARIA JOÃO PIRES.............................pianoforte Musiche di Schubert, Brahms, Mendelssohn Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme” e “Invito alla Musica” – per i Comuni della provincia di Bologna Mercoledì 4 dicembre 2013 AUDITORIUM MANZONI ore 20.30 ORCHESTRA DELLA TOSCANA SOLISTI DA DEFINIRE.............................percussioni TAN DUN...............................................................direttore Musiche di Tan Dun Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme” e “Invito alla Musica” – per i Comuni della provincia di Bologna Mercoledì 11 dicembre 2013 AUDITORIUM MANZONI ore 20.30 ESTRIO LAURA GORNA....................................................violino CECILIA RADIC...................................................violoncello LAURA MANZINI...............................................pianoforte Musiche di Arenskij, Guarnieri, Smetana Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme” e “Musica per le Scuole” Per ulteriori informazioni rivolgersi alla Segreteria di Musica Insieme: Galleria Cavour, 2 - 40124 Bologna - tel. 051.271932 - fax 051.279278 [email protected] - www.musicainsiemebologna.it Foto Massimo Branca Inaugurazione straordinaria per la XXVII Stagione di Musica Insieme: protagonista Mario Brunello nella doppia veste di solista e direttore, in programma la più celebre sinfonia di Mahler di Daniele Follero Un ritratto eccellente Mario Brunello Lunedì 21 ottobre 2013 N el provare a ritrarre attraverso la sua musica una personalità tanto controversa come quella di Mahler, Mario Brunello ha scelto due diversi momenti della vita del compositore boemo: i primi anni di Conservatorio, e quelli della definitiva affermazione come direttore e compositore, segnati in maniera indelebile dall’incontro con Alma Schindler. Un ritratto che accosta ad un’opera giovanile, rimasta inedita per molti anni, quella che, nel tempo, è divenuta la sua sinfonia più eseguita: la Quarta. Del giovane Mahler, ancora interessato alla musica da camera prima di dedicarsi totalmente all’orchestra sinfonica, molte opere sono andate perse, o sono state distrutte dall’autore stesso. Tra le partiture giovanili recuperate dopo la sua morte, quella che per (relativa) compiutezza meglio si adatta ad un’esecuzione è il Quartetto per pianoforte e archi, noto anche come Quartettsatz poiché, in realtà, si tratta di un quartetto rimasto incompiuto, fatta eccezione per il primo movimento e per poche battute del secondo, uno Scherzo. Inevitabili i modelli di riferimento, per uno studente di composizione quale egli era nel 1876: Schubert, Schumann e Brahms. È lo stile di quest’ultimo, in particolare, ad influenzare lo sviluppo delle idee tematiche, anche se è già percepibile la tendenza mahleriana a condurre l’ascoltatore oltre i limiti della tradizione. La sezione dello sviluppo è quella che maggiormente si adatta alla ricerca di soluzioni originali e raffinate, che infrangono le convenzioni classiche, mettendone in crisi le strutture formali e quelle armoniche. A questa immagine giovanile di Mahler, Brunello affianca, come se fosse sullo sfondo del ritratto, quella di un altro grande compositore, vicino al suo mondo, ma molto lontano dalle sue idee e dal suo modo di vivere l’arte: Richard Strauss. Bambino prodigio, prolifico compositore ed acclamato direttore, famoso e ben integrato nella società, fin dai primi anni di carriera Strauss ha incrociato il suo destino con quello di Mahler, che nel 1897 descrisse così ad un critico musicale il loro rapporto: «Schopenhauer utilizza l’immagine di due minatori che scavano dai due lati contrapposti dello stesso pozzo e che si incontrano poi nel loro percorso sotterraneo. È così che mi sembra correttamente rappresentato il mio rapporto con Strauss». Come il LUNEDÌ 21 OTTOBRE 2013 AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30 Mario Brunello / Gustav Mahler: un ritratto QUARTETTO MIRUS I “FIATI”, ACCADEMIA NAZIONALE DI SANTA CECILIA ELISABETTA DE MIRCOVICH soprano LEONORA ARMELLINI pianoforte DANIELE CARNIO contrabbasso IVANO BATTISTON fisarmonica MAURIZIO BEN OMAR percussioni MARIO BRUNELLO violoncello e direttore in collaborazione con l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia Dipartimento di Alta Formazione - Programma di Alto Perfezionamento “I Fiati” Gustav Mahler Quartettsatz in la minore per pianoforte e archi Richard Strauss Sonata in fa maggiore op. 6 per violoncello e pianoforte Gustav Mahler Sinfonia in sol maggiore n. 4 – versione per soprano e orchestra da camera di Klaus Simon Introduce Mario Brunello Quartettsatz di Mahler, anche la Sonata per violoncello e pianoforte op. 6 di Strauss, composta nell’inverno 1882-83 e pubblicata quello stesso anno con dedica al “Caro amico Hans Winan”, risente dell’influenza del romanticismo europeo. Qui sono Mendelssohn e Schumann, e non ancora Wagner, i punti di riferimento. Eppure, il piglio baldanzoso del primo movimento (Allegro con brio) sembra anticipare le atmosfere del Don Juan. Molto affine allo stile di Mendelssohn si presenta il successivo Andante ma non troppo, ricco di intimo pathos, mentre il movimento finale torna ad un carattere vivo ed ironico. «A quarant’anni si è raggiunta la cima del monte, ci fermiamo in silenzio e guardiamo giù», recitava un Lied di Brahms, Mit I protagonisti Dopo la vittoria al prestigioso Concorso “Čajkovskij” di Mosca, Mario Brunello si è esibito con le più importanti orchestre, quali London Philharmonic, Philadelphia Orchestra, Orchestre National de France, Filarmonica della Scala, Accademia di Santa Cecilia, al fianco di direttori quali Gergiev, Mehta, Muti, Chailly, Gatti, Abbado, Pappano, e solisti come Kremer, Bashmet, Pollini, nonché dei Quartetti Borodin e Alban Berg. Per il suo ritratto di Mahler, Brunello ha voluto circondarsi di un gruppo di straordinari artisti, a cominciare dalla soprano Elisabetta de Mircovich, membro dell’ensemble La Reverdie, perfezionatasi in canto e vocalità antica e nella prassi degli strumenti medievali. L’ensemble comprende poi la pianista Leonora Armellini, vincitrice del Premio “Janina Nawrocka” al Concorso “Chopin” di Varsavia nel 2010 e del Premio “Abbiati” nel 2013, già esibitasi alla Carnegie Hall di New York come alla Musashino Concert Hall di Tokyo. Accanto a loro il percussionista Maurizio Ben Omar, attivo fra gli altri al fianco di Bruno Canino, Jill Feldmann, Andrea Lucchesini, Giuseppe Sinopoli, il contrabbassista Daniele Carnio, che collabora assiduamente con importanti compagini, fra cui l’Orchestra Mozart e l’Orchestra della Fenice di Venezia, e il pluripremiato fisarmonicista Ivano Battiston, esibitosi con I Solisti di Mosca di Yuri Bashmet, l’Orchestra dell’Opéra de Lyon e l’Orchestra della RAI di Torino. Completano la formazione i talentuosi Fiati dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e il Quartetto Mirus, costituitosi nel 2008 e perfezionatosi presso l’Accademia “Stauffer” di Cremona. MI MUSICA INSIEME 29 Lunedì 21 ottobre 2013 vierzig Jahren, su versi di Rückert. Chissà se, quando compì quarant’anni, il 7 luglio del 1900, Gustav Mahler conosceva quest’opera. Se non altro, la sua visione del mondo, la sua voglia di dare le spalle al presente, si rispecchiava perfettamente in quei versi. Nonostante le difficoltà e una salute precaria, gli anni a cavallo tra i due secoli rappresentarono un periodo di grande attività e di affermazione professionale. Tra acclamazioni e clamorose critiche, euforia per i successi e profonda delusione per i fallimenti, la doppia attività di direttore e compositore si legò in maniera inscindibile alle vicende biografiche dell’uomo. Se si legge in quest’ottica, la Quarta Sinfonia (proposta da Brunello nella versione per soprano e ensemble cameristico di Klaus Simon), terminata nel 1901, nonostante il suo carattere apparentemente solare, mostra tutti i suoi lati oscuri sotto una coltre di serenità fanciullesca. Il riferimento al passato è evidente, ma è un passato guardato con nostalgia, irraggiungibile nel mondo reale, dove i sogni e i ricordi diventano grotteschi. Il carattere classico, equilibrato, mozartiano della Quarta Sinfonia, snobbata da Alma e liquidata con un secco e ingeneroso commento («Le stesse cose le ha scritte Haydn, e meglio»), viene messo in discussione fin dall’introduzione del primo movimento (Riflessivo. Non troppo mosso). Prima di lasciare il posto al limpido tema in sol maggiore, le quinte ribattute dei flauti, accompagnate dal tintinnio dei sonagli, creano un’atmosfera inquietante, come di un sinistro presagio. Un presagio che ritorna, inesorabile, in diversi momenti del primo tempo, riaffioran- Leonora Armellini Ivano Battiston figura popolare che accompagna i fanciulli morti nell’Aldilà. Il tratto irridente, grottesco, del motivo affidato al violino, così come il timbro stridente, graffiante derivato dalla particolare accordatura, conducono attraverso una danza macabra che si La discografia mahleriana, vasta, quasi sterminata, è di particolare interesse e per una semplice ragione: Mahler già avvolge su se stessa e nella quale, come ha scritto Quirino Prinvive l’era, almeno nei suoi esordi, della musica riprodotta. cipe: «la Morte è più un’ombra volteggiante che un’orrida e scheIl prototipo del fonografo viene presentato da Edison nel letrica figura, e procede camminando sul gelo, con movimen1877. Certo Mahler non potrà usufruire degli ultimi ritroti aggraziati». Con la calma estatica che apre il terzo movimento vati della tecnologia digitale, ma riuscirà ad incidere alcuni si realizza una sorta di purificazione espressiva. L’abbandono del rulli per pianoforte meccanico, oggi disponibili anche su cd per i tipi dell’etichetta Dal Segno. Titolo del disco: Masters “tutti”, l’uso di suoni lunghi e tenuti, la dolcezza degli impaof the Piano Roll, che contiene, tra le altre incisioni intesti timbrici, creano un effetto di rarefazione e distensione, atressanti, anche la registrazione su rullo di Bartók che intraverso cui si compie la transizione verso la vita ultraterrena. terpreta le sue Danze Rumene. Mahler suona tre brani, fra La calma è interrotta soltanto verso la fine da un’esplosione di cui il primo movimento dalla Quinta e l’ultimo proprio dalsuoni che anticipa il tema della “musica celeste”, alla base del la Quarta delle sue sinfonie. Ascoltatelo, non mancherà di sorprendervi! Poi ci sono le incisioni storiche e quelle momovimento successivo. Anche in questo caso, però, la rottura derne: oltre cinquanta quelle disponibili oggi della Quardell’equilibrio, della calma, non è catartica. La transizione è già ta. Da Kubelik a Inbal, difficile è la scelta e acceso il dibattito compiuta e i suoni della terra riecheggiano lontani e, dopo pofra i critici, anche perché sulla voce di soprano si discute chi secondi, scompaiono, lasciando il posto alla trasparenza che con la consueta ferocia. Bernstein, uno o due? Solti? Abavevano improvvisamente squarciato. Con una tecnica strabado? Karajan oppure Tilson Thomas? In conclusione: Maordinaria nell’unire rondò e variazioni, Mahler elabora i due hler, pur godendo di una fortuna discografica notevole, resta autore che merita l’ascolto in sala da concerto. temi principali, molto affini tra loro, variandoli sino a fonderli e confonderli, per farli poi definitivamente scomparire, in attesa del Lied finale. Nella scelta del compositore di utilizzare do spaventoso, freddo, come un brusco richiamo alla realtà, in il Lied Das himmlische Leben (La vita celeste, tratto dalla raccontrasto con l’atmosfera sognante dei due temi principali. «Un colta Des Knaben Wunderhorn), scritto quasi dieci anni prima campanello birbone – lo definì Adorno – che, senza dirlo, dice: della stesura definitiva della sinfonia, sta il senso stesso della Nulla di ciò che state ascoltando è vero». Sebbene lo sviluppo Quarta, la sua chiave di lettura. È qui che appare chiara l’oridei vari elementi musicali faccia chiaramente riferimento alla gine degli elementi musicali che nei movimenti precedenti eraforma-sonata, la logica del discorso non appare sempre con- no comparsi come lugubri presagi. Ritorna, in particolare, l’insequenziale. Dopo l’esposizione dei due temi principali, infatti, quietante tintinnio di sonagli del primo tema, testimonianza di un insistente richiamo alla realtà. A scanritorna, inatteso, il primo tema, quasi a sotdire il testo è la voce del soprano (anche se tolineare l’indicazione programmatica che Mahler avrebbe preferito una voce bianca), Mahler aveva attribuito, nel progetto origicui è indicato esplicitamente in partitura di nario dell’opera, al primo movimento: Il moncantare «con espressione infantilmente seredo come eterno presente. Nello sviluppo, l’elana… Assolutamente senza parodia!». Dunque, borazione del materiale musicale si intensiè la voce dei fanciulli che parla, descrivendo fica, si addensa, diventa allucinata, via via che una vita celeste tutt’altro che idilliaca, fatta di il sogno e il ricordo entrano in conflitto con cibo in quantità, Santi divenuti esperti e sala realtà e si frammentano in schegge imdici macellai, il tutto sotto lo sguardo vigile pazzite di emozioni. Rispetto all’esposizione di San Pietro. L’umorismo amaro del testo, e allo sviluppo, la ripresa appare piuttosto orespresso attraverso il divertito e innocente citodossa nella forma, come se il discorso riElisabetta De Mircovich nismo dei bambini, crea un forte contrasto tornasse sempre su se stesso, ma senza una risoluzione, in una forma gelida e statica. Qualcosa che, ormai, (ancora una volta lo scontro tra realtà e sogno) con la musica, è già passato. Tratto distintivo del secondo movimento (In moto che s’incupisce, allontanandosi dal carattere gioioso delle patranquillo, senza fretta), uno Scherzo in do minore in forma di role. L’ambiguità del lieto fine, a differenza delle precedenti sinrondò, è il tema del violino, volutamente accordato un tono fonie di Mahler, non lascia soluzione, né si propone di allonsopra rispetto al resto dell’orchestra, così da creare un effetto tanare i fantasmi che sin dall’inizio del primo movimento avedi ‘stonatura’. Il richiamo è al suono del fiedel, violino dei men- vano inquietato l’ascoltatore, mettendo in discussione da sudicanti, e, in particolare, alla leggenda dell’amico Hein, tetra bito tutte le sue certezze. DA ASCOLTARE Lo sapevate che... Brunello ha creato a Castelfranco Veneto Antiruggine, un laboratorio dedicato alle contaminazioni artistiche, per accostare il pubblico a una diversa idea di fare musica MI MUSICA INSIEME 31 Lunedì 11 novembre 2013 Per quattro Musica Insieme riporta a Bologna dopo diciassette anni di assenza l’ormai leggendario ensemble americano, con un programma che è una vera e propria antologia storica del quartetto di Maria Chiara Mazzi L a storia del quartetto d’archi, e in questo concerto la percorriamo in tre tappe quasi tutta, sin dalla sua nascita mette insieme ideali musicali molto diversi e talora persino opposti. Nato attorno a metà Settecento – quando nella barocca Sonata a quattro il violoncello assume una sua autonomia e rende inutile la presenza della tastiera assieme alla quale aveva fino a quel momento svolto la funzione di sostegno armonico – il quartetto per archi diventa subito la realizzazione perfetta degli ideali di cortesia e colloquialità illuministici, sintetizzati nella famosa definizione di Goethe che lo paragona ad una «conversazione tra quattro persone ragionevoli», simbolo di una musica ‘da fare’ e non ‘da ascoltare’. Ed è infatti il mondo della musica da camera intesa come musica da casa, quello testimoniato nei primi quartetti di Haydn (considerato forse non a torto l’inventore del genere), nelle mani del quale tuttavia Emerson String Quartet l’apparente, esteriore ‘facilità’ nasconde l’essenzialità razionalistica, e l’arricchimento del tessuto strumentale serve a recuperare un’intensità della scrittura da troppo tempo smarrita nel rococò e nello stile galante. Se partiamo dai suoi primi quartetti, composti attorno alla metà del Settecento, è evidente che essi sono ancora pensati per lo svago di gruppi di colti dilettanti, poiché il loro aspetto è quello del piacevole passatempo nel quale i violini dialogano tra loro, mentre viola e violoncello hanno perlopiù una funzione di sostegno. Dopo una trentina circa di lavori concepiti in questo modo, con l’op. 17 (del 1771) Haydn cambia completamente rotta, e grazie all’utilizzazione di un ‘nuovo contrappunto’ elimina la gerarchia predeterminata tra le parti e costruisce una struttura nella quale ogni voce è fondamentale e dove nessuna prevale in modo continuativo e assoluto. Sono però i Quartetti op. 20, del 1772, Nella sua lunga carriera, coronata da oltre trenta incisioni discografiche, l’Emerson String Quartet si è aggiudicato prestigiosissimi premi, tra cui nove Grammy e tre Gramophone Awards, il Premio Avery Fisher, oltre al Premio come “Ensemble dell’anno” della rivista Musical America. L’intensa attività concertistica ha portato il Quartetto a calcare i palcoscenici più prestigiosi del mondo, con un progetto speciale, nel 2006/2007, per la Carnegie Hall: Perspectives, una serie di nove concerti intitolata Beethoven in Context, che rappresenta un riconoscimento mai tributato prima ad un quartetto d’archi. Da oltre trent’anni l’Emerson è Quartetto Residente alla Stony Brook University, dove cura una rassegna concertistica, affiancata da numerose attività didattiche, tenute anche presso lo Smithsonian Institute di Washington. Il repertorio esplorato dall’Emerson è vastissimo e comprende le memorabili esecuzioni dell’integrale dei Quartetti di Beethoven, di Šostakovič, di Bartók e di Mendelssohn, con un’attenzione particolare riservata a composizioni contemporanee, di cui il Quartetto è spesso dedicatario o primo esecutore. Nel maggio 2013, con il primo cambiamento di un suo componente dal 1979, il gruppo ha dato il benvenuto al violoncellista Paul Watkins, già attivo come solista e direttore. 32 MI MUSICA INSIEME ma pubblicati a Parigi nel 1774 (noti col titolo di Sonnen-Quartette, cioè “Quartetti del sole”, dal simbolo grafico dell’editore che campeggiava sul frontespizio della prima edizione), ad assumere la funzione di svolta decisiva, e a trasformare il genere, definitivamente innalzandolo a simbolo e sublimazione del concetto di Musica da Camera. La definizione barocca che Haydn ne diede di “Divertimenti a quattro” (dove la definizione “a quattro” serve ad eliminare ogni gerarchia anche nominale) ribadisce proprio questa nuova parità tra gli strumenti, e, lungi dall’essere un ritorno al vecchio genere d’intrattenimento, sottolinea il recupero della sapienza costruttiva barocca, confermata in ben tre dei quartetti della raccolta con la sostituzione del consueto mo- Foto di Lisa-Marie Mazzucco vimento conclusivo con una fuga. Il Quartetto n. 3 propone già dalla scelta della tonalità, l’inquietante sol minore, un’altra temperie espressiva e uno scarto quasi psicologico, nella struttura delle frasi musicali (dalla scrittura originalissima e densissima), nella nuova concezione del tempo lento e in una sorta di ‘circolarità’ che lega i temi in particolare del primo e dell’ultimo movimento, quasi ad indicare una strada ai compositori futuri. Per passare dalla meraviglia dei quartetti di Haydn a quelli di Beethoven occorre attivare una sorta di contraddizione interna, se ancora vogliamo giocare con le parole. Se i quartetti di Haydn sono infatti ‘musica da camera’ al più alto grado di perfezione, coi quartetti di Beethoven nasce invece la ‘musica da camera da con- LUNEDÌ 11 NOVEMBRE 2013 AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30 EMERSON STRING QUARTET EUGENE DRUCKER violino PHILIP SETZER violino LAWRENCE DUTTON viola PAUL WATKINS violoncello Joseph Haydn Quartetto in sol minore op. 20 n. 3 Béla Bartók Quartetto n. 2 op. 17 Ludwig van Beethoven Quartetto in fa maggiore op. 59 n.1 Razumovskij Introduce Maria Chiara Mazzi, docente al Conservatorio di Pesaro e autrice di libri di educazione e storia musicale certo’, cioè un repertorio destinato a esecutori professionisti e ad un pubblico di scelti, ammirati ed esperti ascoltatori. Insomma, in un sol colpo la ‘musica da casa’ diviene, proprio grazie al quartetto, sinonimo di ‘musica essenziale’, modificando insieme sia la tipologia dell’esecutore che quella dell’ascoltatore. «Tre nuovi quartetti di Beethoven, molto lunghi e molto difficili, dedicati all’ambasciatore di Russia, conte Razumovskij, attirano l’attenzione di tutti i conoscitori. Sono profondamente pensati e scritti in modo eccellente, ma non sono comprensibili da tutti, ad eccezione forse di quello in do che piace ad ogni persona istruita per la sua originalità, la sua melodia, la sua energia armoniosa». In questo modo si esprimeva la Gazette Musicale nel 1807, alMI MUSICA INSIEME 33 Lunedì 11 novembre 2013 l’indomani dell’arrivo sul mercato editoriale dei tre Quartetti op. 59 che Beethoven dedicava all’ambasciatore di Russia a Vienna e, per questa ragione, passati alla storia col sottotitolo di Quartetti Razumovskij. Il passaggio dal primo gruppo di quartetti (op. 18) a questi è brusco e inatteso, più di quanto possano far supporre le date di composizione e di pubblicazione. Non sono infatti gli anni trascorsi, ma ciò che di arte e di storia è accaduto nel frattempo, non solo nel mondo, ma soprattutto nel percorso artistico del compositore, a far assumere a queste pagine una posizione-chiave all’interno dell’estetica beethoveniana, nella quale questi tre lavori hanno un’enorme rilevanza, ponendosi come punto di ‘non ritorno’ nell’evoluzione del genere, per il nuovo modo di trattare le idee tematiche e di elaborare la struttura formale, così tipica del ‘Beethoven di mezzo’. Composti tra il 1804 e il 1805, vengono ricordati anche come Quartetti russi, poiché sembra che l’ambasciatore avesse esplicitamente chiesto a Beethoven (cosa che l’autore fece) di inserire in ciascuno di essi almeno una melodia appartenente al repertorio folkloristico russo. Tuttavia occorre precisare subito che l’impiego di temi tradizionali non conferisce a questi brani alcun carattere russo in particolare e nemmeno più largamente folklorico, dal momento che qui il compositore stravolge e idealizza qualsiasi germe melodico o ritmico caratteristico in una sfera che nulla ha a che fare, nemmeno esternamente, con la valorizzazione del patrimonio popolare. Prendiamo, ad esempio, proprio il Quartetto n. 1, di proporzioni e sonorità che mai si erano avute nella storia del quartetto, la cui novità di scrittura è chiara sin dal primo movimento, dove il peso e la densità dell’intreccio delle parti consentono di alternare momenti energici e cantabili grazie allo strettissimo filo del contrappunto. Se il secondo movimento supera di gran lunga i confini dello Scherzo tradizionale stravolgendo e mescolando insieme in maniera irriconoscibile gli aspetti del rondò e quelli della DA ASCOLTARE Che la discografia di un quartetto di lunghissima navigazione come l’Emerson sia ricca e varia è nell’ordine naturale delle cose musicali, tanto più da quando queste si sono fatte digitali. Peraltro l’ensemble americano incide solo per Deutsche Grammophon e Sony, e dunque eccolo saldamente incluso nel Gotha dei migliori, di quelle compagini le cui registrazioni vengono distribuite urbi et orbi ed attraverso tutti i possibili canali (rete inclusa). Per stare in quella lista ovviamente bisogna pagare pegno. Così accanto ad album importanti, come quello che raccoglie l’ottima incisione dei beethoveniani Quartetti Razumovskij (DG, 1189144, pubblicato proprio quest’anno), troviamo gli immancabili Encores, accanto ad antologie celebrative di varia natura. Fa parte del gioco, nel mentre l’anno in corso vede l’uscita di un altro cd (Sony questa volta), dal titolo Journeys. Un album tutt’altro che disimpegnato. In una sorta di apoteosi fin de siècle, sotto quel titolo vagamente omerico il Souvenir de Florence di Čajkovskij incontra la Verklärte Nacht di Schoenberg. forma-sonata, il terzo va ben al di là del consueto ‘momento di riflessione’ (negli schizzi l’autore scrive: «Un salice piangente o un’acacia sulla tomba di mio fratello») e si trasforma in una sorta di meditativa marcia funebre che costituisce sicuramente il vertice espressivo dell’opera. Finalmente, nel tempo conclusivo (che si collega direttamente al movimento precedente) viene utilizzato il “tema russo” tanto atteso dal committente, anche se esso viene sommerso e quasi travolto dalla forza vitale che chiude la composizione. Se il ‘popolare’ in Beethoven è solamente un omaggio esteriore, il cui senso viene smarrito nell’elaborazione astratta della struttura, in Bartók, e proprio nei quartetti, esso entra come parte organica della composizione, attraverso un modello di assimilazione del tutto estraneo a qualsiasi precedente sette-ottocentesco. Ricercatore appassionato della vera musica etnica, all’inizio della sua carriera Bartók recupera i modi della musica balcanica e centro-europea in pagine dal sapore e dal carattere apertamente popolare, come le danze. Solo in un secondo momento, dopo la prima guerra mondiale, egli ne analizza tutti i parametri costitutivi e li utilizza come nuovi materiali da costruzione all’interno delle forme ereditate dalla tradizione colta europea. È questa la vera rivoluzione del musicista magiaro, convinto, come afferma egli stesso, che proprio attraverso le scale e i modelli esecutivi (in particolare per gli strumenti ad arco) della musica etnica si possa operare il rinnovamento del linguaggio musicale del nuovo secolo. Se dopo Beethoven i Romantici avevano prodotto quartetti senza riuscire in ogni caso a ‘superare’ i traguardi degli ultimi capolavori del musicista di Bonn, Bartók riprende il discorso verso un’altra direzione e affronta nei suoi sei quartetti territori inesplorati, traghettando definitivamente il genere nel Novecento. Ogni quartetto sembra porsi al culmine di un momento creativo, quasi riassumendone i problemi, le tendenze e le aspirazioni essenziali, come accade a questo Quartetto n. 2, composto fra il 1915 e il 1917, eseguito per la prima volta nel 1918 e pubblicato nel 1920, che gode del singolare primato di essere stato il primo brano di Bartók inciso su disco, nel 1925. È proprio in questo brano che i modelli popolari (come l’elaborazione continua di motivi di pochissime note, le complessità bitonali, i cambiamenti di tempo improvvisi, gl’intervalli inconsueti) smettono per sempre di essere un ‘apporto esterno’ alla composizione, ma ne diventano la linfa, determinandone la struttura in maniera profonda e proponendo per la prima volta quella forma ‘ad arco’ (due tempi lenti alle estremità e un allegro centrale) che sarà così caratteristica degli ultimi grandissimi capolavori. Lo sapevate che... Il Quartetto si è costituito nel 1976 in occasione del bicentenario della nascita degli Stati Uniti, e prende il nome dal filosofo e poeta americano Ralph Waldo Emerson 34 MI MUSICA INSIEME Lunedì 25 novembre 2013 Cantando senza parole Un duo di grandi solisti per la prima volta insieme nella nostra Stagione, con un programma raffinato che ci conduce in un viaggio attraverso le corde quasi ‘vocali’ del violoncello di Mariateresa Storino L ’arte della citazione: delle proprie opere o di altrui fattura, di un’idea musicale o di un pensiero poetico, di un paradigma formale o di un concetto estetico, in una scala graduata che va dall’assoluta fedeltà al già esistente, fino alla libera rielaborazione che nasconde le tracce del passato. La citazione istituisce una catena di rinvii che offre all’esecutore e all’ascoltatore un ampio ventaglio di possibili interpretazioni. In tutte le sue molteplici forme e sfumature, la citazione ondeggia tra le pagine dell’Arpeggione di Schubert, del Lied ohne Worte di Mendelssohn, degli Intermezzi op. 117 e della Sonata op. 38 di Brahms. A volte domina lo scorrere temporale, altre volte si cela quieta, in attesa di essere scoperta. Il com- positore non sempre è consapevole del rimando; quell’idea musicale e poetica giace lì, in fondo al misterioso mondo della creatività che, pur sottoposto ad indagine serrata, custodisce gelosamente il fascino del suo essere insondabile. L’Arpeggione di Schubert, ovvero la Sonata in la minore D 821, nasconde tra le pieghe più riposte una serie di rinvii. Composta alla fine del 1824, anno prolifico per il compositore nel campo della musica da camera, sorprende per la scelta dello strumento. L’arpeggione (da qui il titolo con cui è nota la Sonata) era stato inventato nel 1823 da Johann Georg Stauffer. Si presentava come uno strumento ibrido tra la chitarra e il violoncello: sei corde e manico tastato come la chitarra; tenuto tra le ginocchia e suonato con l’arco come il violoncello. Descritto dai contemporanei come uno strumento dal «suono di magica bellezza, affine al suono di un oboe nel registro acuto e di un corno di bassetto in quello grave», ebbe diffusione limitata ai soli anni Venti dell’Ottocento. Suo massimo esponente, nonché autore di un metodo, fu Vincenz Schuster, probabile committente della Sonata. Schubert era realmente interessato a questo strumento? La Sonata, in verità, mostra pochi segni di una scrittura idiomatica: qualche accordo e pochi passaggi pizzicati nel primo e nel terzo movimento, un’estensione più acuta rispetto al registro del violoncello, ma nulla di più, tant’è che oggigiorno viene eseguita sul violoncello. Da pochi mesi il compositore aveva terminato la stesura del Quartetto D 810 Der Tod und das Mädchen (La morte e la fanciulla), in cui citava il tema dell’omonimo Lied, ed ecco risuonare a conclusione del secondo movimento della Sonata – Adagio – il gesto conclusivo del primo movimento del Quartetto. Ma è la stessa melodia dell’Adagio ad evocare un altro mondo – quel- Maria João Pires lo del Lied – e ad assumerne le dimensioni, al punto da costituirsi come un’introduzione all’Allegretto finale più che come movimento a sé. Il primo e il terzo movimento presentano un’architettura sostanzialmente classica. L’Allegro moderato iniziale è in forma-sonata. Il primo tema, di traboccante liricità, si imprime nella memoria in modo ossessivo; ad esso si oppone un secondo tema dal carattere popolare (questo è il senso da dare in questo contesto all’aggettivo ‘triviale’ spesso associato a questo tema). Silenzi improvvisi e scarti bruschi segnano l’Allegretto finale in forma di rondò; un amabile ritornello incastona due episodi – il primo dal carattere virtuosistico e dalla ritmica serrata, il secondo più salottiero – fino a spegnersi con due accordi finali, entrambi di tonica ma con dinamica fortemente contrastante: dal primo, in fortissimo, la sonata si dissolve, quasi irrisolta, in piano. Qual è il rimando del Lied ohne Worte (Romanza senza parole) op. 109 di Mendelssohn? Certo, ancora una volta, il mondo del Lied, la sua cantabilità struggente, appassionata, leggera e danzante: tutto quell’universo variegato di emozioni che i testi messi in musica evocano. Ma “senza parole” come interpretarlo? Sebbene l’etichetta Lieder ohne Worte inizialmente fosse stata coniata per gioco da Felix Mendelssohn e da sua sorella Fanny, dati i frutti che entrambi produssero in questa forma, in una lettera a Marc-André Souchay del 1842 Felix precisò il pensiero estetico sotteso a tale categoria: «Le parole non possono dire nulla della musica. […]. Se mi domanda cosa io abbia pensato mentre componevo, Le posso rispondere: proprio il Lied così com’è. Anche se sapessi descrivere l’uno o l’altro brano con parole appropriate, non potrei farlo, poiché le parole non significano per una persona quello che significano per un’altra, mentre il Lied dice Dopo la vittoria al Concorso internazionale “Beethoven” di Bruxelles nel 1970, Maria João Pires ha tenuto concerti con le orchestre più prestigiose, dal Royal Concertgebouw di Amsterdam alla London Philharmonic, dall’Orchestre de Paris ai Wiener Philharmoniker, collaborando con Abbado, Gardiner, Dutoit, Prévin. Interprete appassionata anche in ambito cameristico, ha preso parte ai più prestigiosi festival internazionali, da Tanglewood ai BBC Proms, da Ravinia a Lucerna. Nel 2002 è stata insignita dell’IMC-Unesco International Music Prize. LUNEDÌ 25 NOVEMBRE 2013 AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30 ANTONIO MENESES MARIA JOÃO PIRES violoncello pianoforte Franz Schubert Sonata in la minore D 821 per violoncello e pianoforte – Arpeggione Johannes Brahms Tre Intermezzi op.117 per pianoforte Felix Mendelssohn Lied ohne Worte in re maggiore op.109 per violoncello e pianoforte Johannes Brahms Sonata in mi minore op. 38 per violoncello e pianoforte Introduce Giuseppe Fausto Modugno, concertista e docente di pianoforte principale presso l’Istituto “Orazio Vecchi” di Modena all’una e all’altra le stesse cose, e riesce a risvegliare gli stessi sentimenti – sentimenti che però non si possono esprimere con le stesse parole». La musica per Mendelssohn è di una chiarezza suprema, ma la comprensione del suo senso non è affidata alla ragione, bensì all’intuito. Composto nel 1845 e dedicato alla violoncellista Lisa Cristiani, il Lied op. 109 si articola nella classica forma ABA, in cui il mondo incantato della sezione A, sentimentalmente coinvolgente, incornicia il canto appassionato della sezione centrale B. La citazione negli Intermezzi op. 117 per pianoforte solo (1892) è resa nota dallo stesso compositore: definiti «ninne nanne per i miei dolori», Brahms introduce il primo intermezzo della terna con i versi del canto popolare scozzese Lady Anne Bothwell’s Lament, pubblicato da Herder nella raccolta Stimmen der Völker: «Schlaf sanft mein Kind, schlaf sanft und schön! Mich dauert’s sehr, dich weinen sehn» («Dormi bene, bimbo mio, dormi bene e sereno! Mi dà tanta pena vederti piangere»). Sebbene Brahms indichi esplicitamente solo questi versi, le strofe successive della ninna nanna si adattano perfettamente al secondo intermezzo, e il terzo potrebbe essere stato ispirato dalla poesia O weh!, O weh!, hinab ins Thal (Ahimè, ahimè!, giù nella valle) che segue Lady Anne nel testo curato da Herder. I tre brani sono strutturati secondo la forma canzone, ossia in tre sezioni di cui la terza è una ripresa variata della prima (ABA’). Dall’intimismo romantico dell’incantevole tema MI MUSICA INSIEME 37 Lunedì 25 novembre 2013 del primo intermezzo, tinteggiato di un colore scuro nella sezione centrale, nel secondo si passa ad un andamento inquieto, ondeggiante; il tutto sfocia nella cupa atmosfera dell’ultimo intermezzo con un incedere in ottave del tema principale in do diesis minore, sottoposto a sottili e preziose trasformazioni. La memoria del passato musicale si affaccia anche nella Sonata in mi minore op. 38. Composta da Brahms in due riprese (1862 e 1865) e dedicata al violoncellista Josef Gänsbacher in segno di ringraziamento per l’aiuto ricevuto da questi nell’assunzione dell’incarico a direttore della Wiener Singakademie, il lavoro manifesta alcune somiglianze con la Sonata in mi minore del compositore amburghese Bernhard Romberg (17671841). Che l’opera di Brahms sia debitrice della Sonata di Romberg per taluni prestiti tematici – del primo movimento in particolare – e per il trattamento della linea del violoncello, nulla toglie al capolavoro brahmsiano. L’arte della citazione in questa composizione assume forme ben più esplicite sia come omaggio, sia come libera rielaborazione di materiale preesistente: il primo tema dell’Allegro non troppo iniziale si rifà al Contrapunctus IV dell’Arte della Fuga di Bach; uno dei tre soggetti della fuga dell’Allegro finale deriva dal Contrapunctus XIII, sempre dall’Arte della fuga. Il progetto originario della Sonata prevedeva quattro movimenti con un Adagio affettuoso e un Allegretto quasi Menuetto in posizione centrale. A conclusione della stesura, nel 1865, Brahms tuttavia si trovò davanti un insieme dalle dimensioni ‘eccessivamente’ monumentali, così che decise di snellire il peso dell’ar- Antonio Meneses DA ASCOLTARE A riprova della rodatissima collaborazione del duo Meneses-Pires, e del programma che ascolteremo nel loro recital per Musica Insieme, ecco che mentre scriviamo queste righe il web annuncia per settembre 2013 una nuova uscita discografica edita da Deutsche Grammophon: è The Wigmore Hall Recital, il cui titolo si riferisce ad un concerto sold out tenuto nel gennaio 2012 dal duo e contenente esattamente l’impaginato Schubert - Brahms - Mendelssohn che ascolteremo a Bologna. Cantabilità quasi vocale del violoncello, carattere ora liederistico ora popolare dei brani, con un tris di Intermezzi op. 117, non a caso pezzi squisitamente vocali anch’essi, quasi a prendere il fiato prima della Sonata op. 38 dell’Amburghese. Infine, la Pastorale BWV 590 di Bach permette a Meneses di ‘cantare’ il violoncello. A questa prima uscita in duo fa da contraltare la ricchissima discografia ‘in proprio’ dei solisti, della quale segnaliamo per inevitabili limiti di spazio solo i titoli più recenti: per Meneses i Concerti di Hans Gál (in prima assoluta) ed Elgar con la Northern Sinfonia diretta da Claudio Cruz (Avie, 2012), e per la Pires un’importante uscita schubertiana del febbraio 2013 (sempre per DG), con la Sonata D 845 e l’ultima quanto definitiva Sonata D 960. Lo sapevate che... Nel 2002 Maria João Pires ha messo a disposizione la propria residenza di Castelo Branco in Portogallo per la fondazione del Belgais Centre for the Study of Arts, nato per offrire ai giovani artisti la possibilità di sviluppare il proprio talento Aggiudicatosi il Primo Premio al Concorso internazionale “ARD”di Monaco nel 1977 e il Primo Premio e la Medaglia d’oro al “Čajkovskij” di Mosca nel 1982, Antonio Meneses si è esibito in America, Europa e Asia con le più importanti orchestre, quali Berliner Philharmoniker, London Symphony, New York Philharmonic, NHK Symphony Orchestra di Tokyo, collaborando con Karajan, Muti, Abbado, Temirkanov, Rostropovič, Spivakov e Chailly. Insieme a Daniel Hope e Menahem Pressler, ha fattopartedelleggendarioBeauxArtsTrio. 38 MI MUSICA INSIEME chitettura eliminando l’Adagio. Questo movimento non venne però distrutto, nonostante la ben nota autocritica di Brahms: a distanza di vent’anni riemergerà, rielaborato in altra tonalità, nella Sonata in fa maggiore op. 99, sempre per violoncello e pianoforte. Le prime esecuzioni pubbliche dell’op. 38 non suscitarono particolare entusiasmo: Oskar Paul, pur apprezzando «la purezza delle intenzioni artistiche dell’autore» e l’accurata elaborazione, riteneva che la Sonata fosse scarsamente inventiva e poco interessante dal punto di vista armonico e ritmico. La critica arrivò persino a definire «disdicevole» il Trio del Minuetto! Diverso il giudizio espresso nella cerchia privata di amici e professionisti: come non riconoscere nell’elaborata scrittura del primo movimento in forma-sonata l’eredità beethoveniana innestata dalle proposte di Schubert (uso di tre gruppi tematici anziché due)? E come non apprezzare il variegato intreccio dei due strumenti, che diventa sempre più stringente nei momenti cadenzali? E l’Allegro finale? Un omaggio alla grande tradizione contrappuntistica con una fuga a tre soggetti su tre voci (le due linee del pianoforte e il canto del violoncello) che viene integrata all’interno di una forma-sonata: ancora una citazione da Beethoven, mentre a Schubert si rivolge l’Allegretto quasi Menuetto con Trio centrale. Uno sguardo retrospettivo quello di Brahms, un legame con le forme classiche ma con una memoria che rende presente il passato. Mercoledì 4 dicembre 2013 Trilogia universale Vincitore di un Oscar nel 2000 e compositore ufficiale delle Olimpiadi di Pechino, Tan Dun guida una delle più prestigiose orchestre italiane con un programma tutto costituito da sue partiture di Fabrizio Festa Orchestra della Toscana Nata nel 1980, l’Orchestra della Toscana è ospite delle principali istituzioni concertistiche in Europa, Giappone e America. Con la direzione artistica di Berio, è diventata Istituzione Concertistica Orchestrale per riconoscimento del Ministero del Turismo e dello Spettacolo. Prestigiose le collaborazioni che può vantare: Accardo, Argerich, Bashmet, Brunello, Kremer, Yo-Yo Ma. Il suo repertorio spazia dal barocco alla musica contemporanea, sperimentando contaminazioni di generi diversi. Tan Dun Direttore e compositore cinese, Tan Dun ha guidato le più prestigiose orchestre europee e americane. Ha composto le colonne sonore di The Banquet, Hero e La tigre e il dragone, con la quale si è aggiudicato un Grammy e un Oscar, e le sue opere sono state selezionate da importanti festival internazionali. Nel 2008 ha scritto la colonna sonora per la cerimonia di premiazione delle Olimpiadi di Pechino, e nel 2010 è stato Ambasciatore Culturale nel mondo per l’EXPO di Shanghai. 40 MI MUSICA INSIEME I l nome di Tan Dun è assurto agli onori della cronaca, di quella che tutti leggono, che tutti ascoltano e vedono, nel 2008. A lui fu affidata, infatti, la ‘colonna sonora’ delle Olimpiadi, che in quell’anno ebbero luogo a Pechino. Gli internauti, poi, lo conoscono anche perché è stato il primo compositore a scrivere una sinfonia apposta per la rete. Il titolo non lascia dubbi: The Internet Symphony n. 1. E neppure il nome del committente: si tratta della Google Inc., che poi, proprio per eseguirla nel 2009, creò la YouTube Symphony Orchestra, compagine costituita da musicisti selezionati (per la prima volta nella storia) da provini inviati tramite YouTube. Dunque, siamo di fronte ad un musicista al passo coi tempi. Come del resto per secoli i compositori sono stati. Spesso, anzi, anticipandoli i tempi, leggendo tra le righe, magari degli eventi (quanta musica celebrativa e d’occasione si è poi trasformata in repertorio), e quindi dando un loro autonomo contributo certo al presente, ma anche al futuro. Classe 1957, Tan Dun dunque interpreta appieno il ruolo del compositore oggi. Dalla produzione sinfonica al teatro musicale, alla musica per il cinema, dirigendo e scrivendo, ha conquistato grazie al suo talento un meritato ed ampio successo. Così non stupisce certo che sia fra i compositori non solo più spesso presenti coi loro brani nei programmi delle stagioni di tutto il mondo, ma anche fisicamente, sul podio, nelle sale da concerto. Con l’Orchestra della Toscana, compagine che alla musica dei nostri giorni dedica da sempre una speciale attenzione, e qui basterebbe ricordare il suo solido e proficuo legame con Luciano Berio (di cui proprio Musica Insieme è stata solidale testimone), presenterà tre suoi brani importanti. Una trilogia che fin dai titoli dice del suo legame strettissimo con la cultura cinese. In quella cultura affonda le radici l’estetica di Tan Dun. Di essa si nutre, non avendo il compositore di Hunan mai cercato di approcciare l’Occidente, per così dire, sotto mentite spoglie, ossia tentando magari di conquistarsi il suo favore attraverso l’adozione di stilemi compositivi tipicamente occidentali. Al contrario, Tan Dun ha fatto del suo ‘esotismo’ la chiave di volta di un’affermazione planetaria, che è andata consolidandosi di pari passo peraltro con il progressivo affermarsi della cultura e dell’economia cinese nel suo complesso. Insomma, siamo di fronte all’ennesimo confronto con quella Cina che nei secoli ci è apparsa vicina e lontana, misteriosa spesso, ma altrettanto spesso oggetto delle mire politiche di un colonialismo mai sazio, ed infine, agli inizi di questo terzo millennio, protagonista ancora una volta della scena mondiale. La cultura cinese di questi nostri giorni si è lasciata in gran parte alle spalle l’eredità maoista, trovando un nuovo rapporto con le sue profondissime ed intricate radici. È in questo rinnovato rapporto con la tradizione che si è innestata la rinascita della cinematografia cinese, che è tornata a sfruttare soggetti favolistico-mitologici (lontanissimi peraltro dal naturalismo schietto e brutale proposto quarant’anni fa da Bruce Lee), dando così modo ai compositori cinesi di reinventare sonorità che alle nostre occidentali orecchie suonano da un lato etniche, dall’altro esotiche, appunto. Tan Dun, in questo contesto, ha sa- MERCOLEDÌ 4 DICEMBRE 2013 AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30 ORCHESTRA DELLA TOSCANA SOLISTI DA DEFINIRE percussioni TAN DUN direttore Tan Dun Water Concerto per percussioni dÊacqua e orchestra Paper Concerto per percussioni di carta e orchestra Earth Concerto per percussioni di pietra e ceramica e orchestra Introduzione a cura dell’Orchestra della Toscana puto trovare, come sovente accade nell’ambito applicativo della composizione musicale, una sua maniera, una sua estetica, che richiama da vicino certe soluzioni morriconiane. La scuola italiana resta un riferimento per tutti. Così, pur tenendo conto delle differenze, il mescolare all’organico sinfonico strumenti della tradizione cinese non può non far pensare alle combinazioni strumentali del Morricone degli spaghetti western o dei polizieschi. Tan Dun compositore di colonne sonore guarda per un verso all’Italia, e per l’altro al suo concorrente giapponese, Ryuichi Sakamoto, del quale peraltro è solo di pochi anni più giovane (il giapponese è nato infatti nel 1952). Tan Dun compositore, poi, non si discosta né intenzionalmente, né ideologicamente dal suo operare nel contesto cinematografico. Le due attività s’intrecciano, come ben dimostra la trilogia sulla quale è costruito questo concerto, e che ha un suo titolo suggestivo ed esplicativo: Trilogia di Musica Organica. Organica, ovvero biologica, ecologica, naturale. Organico, in più, ci dice che si vuol sottolineare l’essere ‘integrati nell’ecosistema’. Quindi, Tan Dun vuole comporre musica a suo modo ‘naturale’. Si tratta, però, della maniera cinese d’intendere la natura, una visione ecologica decisamente diversa dalla nostra, fondata su una filosofia che fa dell’equilibrio tra uomo e am- MI MUSICA INSIEME 41 Mercoledì 4 dicembre 2013 DA ASCOLTARE La discografia del compositore cinese Tan Dun, già abbastanza nutrita, si divide in due tronconi: le colonne sonore cinematografiche da un lato, la musica da concerto dall’altro. Che nel suo caso (diversamente ad esempio da Ennio Morricone, ma in modo affine a John Williams) le due modalità compositive non differiscano di molto, rende tale differenziazione solo una questione di genere. E magari di affezione. Chi ha amato La tigre e il dragone, pellicola del regista Ang Lee uscita nel 2000, non ha certamente dimenticato la forza evocativa della colonna sonora firmata appunto da Tan Dun. Per chi volesse avvicinarsi alla sua musica da concerto, molte le opportunità su cd: dalle Nine Songs (pubblicate nel ’90 dalla CRI, cd 603) alla Water Passion, che proprio nel 2000 vide la luce per la Sony (S2K 89927). Tra le registrazioni immesse sul mercato di recente, ancora film, e ancora per la Sony, che nel 2011 ha pubblicato la Martials Arts Trilogy, un’antologia che raccoglie i brani più celebri delle colonne sonore composte da Tan Dun per quel genere cinematografico. Tra gli interpreti spiccano altri ‘cinesi famosi’, come Yo-Yo Ma e Lang Lang. biente un punto di forza. Che non si tratti, del resto, di un ciclo sinfonico costruito sul modello, ad esempio, delle stagioni e dei temperamenti, tanto caro all’Occidente, lo dimostrano i titoli dei singoli brani. In ordine di composizione, Concerto dell’Acqua, Concerto della Carta, Concerto della Terra. Acqua e Terra non sono viste come gli elementi costitutivi, assieme a fuoco e aria, di una cosmogonia più o meno mitologica, ma come costituenti della realtà, in cui l’uomo vive quotidianamente. Tant’è che i tre concerti hanno in comune una specifica caratteristica: la ricerca fisica sul suono, resa attraverso l’utilizzo di strumenti non convenzionali, connessi direttamente con l’acqua, la carta e la terra. Vediamo come, analizzando uno ad uno i tre concerti. Il Concerto dell’Acqua nasce nel 1999 da una commissione della New York Philharmonic Orchestra. La prima esecuzione risale al giugno di quell’anno, a dirigerlo è Kurt Masur, Tan Dun dedicando questa partitura alla memoria del celebre compositore giapponese Toru Takemitsu, scomparso tre anni prima. Il pubblico accoglie subito questo Concerto con grande favore. Tan Dun sfrutta, per la sua ricerca sul suono, il moto dell’acqua, allo scopo di creare sonorità inattese ed inusuali. Così facendo riesce a strutturare una nuova categoria di sonorità, mettendola a disposizione di chiunque in seguito possa pensare di utilizzarla. L’acqua è fisicamente presente in palcoscenico. Il solista è un percussionista, che utilizza diversi strumenti, tra cui due timpani pieni d’acqua dai quali è stata rimossa la pelle. A volte percuote l’acqua con le mani; a volte con battenti di diversa forma; altre ancora immerge nell’acqua delle piccole per- cussioni, che poi batte. Insomma: l’acqua non è evocata, suggerita, magari raccontata. È la protagonista in scena, è una sorgente sonora autonoma, che s’inserisce naturalmente nel contesto dell’orchestra sinfonica. Secondo elemento della trilogia è il Concerto della Carta. Composto nel 2003, esso segue con coerenza quanto sperimentato nel precedente Concerto. L’attenzione si sposta sulla carta. Tan Dun parte da un semplice assunto: «Siamo circondati nella nostra vita quotidiana dalla carta». Carta che è notoriamente il mezzo sul quale registriamo le nostre memorie, i nostri sentimenti, le nostre emozioni, sia in forma di parole, sia in forma di immagini. Insomma, la carta è uno degli elementi che caratterizzano l’ambiente in cui viviamo, ma è anche parte integrante della nostra cultura. Lo stesso Tan Dun, infatti, dichiara di avere «sviluppato l’idea di una musica organica, che racchiudesse in sé i suoni della natura, come l’acqua, la carta e la terra, ma anche l’anima». Dunque, la carta aggiunge un elemento antropico specifico alla dimensione tipicamente naturalistica evocata dall’acqua. Ancora soliste le percussioni, ma questa volta cartacee (cartone incluso) e di varia foggia. Al 2009 risale infine il terzo dei Concerti: quello della Terra. Questa volta in scena ci sono 99 strumenti costruiti in pietra o in ceramica. L’occasione è davvero particolare: si celebrano i centocinquant’anni dalla nascita di Gustav Mahler. «Ho sempre considerato – afferma il compositore cinese – Das Lied von der Erde la mia opera mahleriana preferita». Com’è noto i testi del capolavoro di Mahler sono tratti da un’antologia di scritti cinesi, tradotti in tedesco da Hans Bethge, elemento che lo stesso Tan Dun sottolinea, richiamando in particolare le liriche di Li T’ai-po, celebrato poeta all’epoca della dinastia Tang, che Mahler utilizza in ben quattro dei sei Lieder che compongono la sua sinfonia. I tre movimenti del Concerto richiamano intenzionalmente tre dei quattro Lieder su testo di Li T’ai-po composti da Mahler: Della giovinezza s’intitola il primo (terzo nella partitura mahleriana), Il brindisi dei mali della terra è il secondo (primo in Mahler), L’ebbro in primavera il terzo (quinto nel Das Lied). Fra questi Tan Dun focalizza la sua attenzione proprio su Il brindisi dei mali della terra. Un testo in cui il vino e l’ebbrezza che esso provoca servono in realtà a parlare delle umane miserie, concludendosi con un distico programmatico: «Vuotate fino in fondo le vostre coppe d’oro. Oscura è la vita, oscura è la morte». Insomma, il compositore cinese ritrova una comunanza d’intenti e di visione con il Mahler maturo, che riflette a suo modo sui grandi temi della filosofia, e ne trae a sua volta una conclusione musicale: «Come afferma l’antica saggezza cinese: umanità più natura fa sempre uno. In armonia con tale convinzione filosofica, utilizzo i suoni degli strumenti di terra e di pietra per simboleggiare la connessione tra cielo e terra, affidando all’orchestra il compito di rappresentare l’umanità. Il dialogo antifonario tra i suoni della natura e quello della voce degli esseri umani è, nel mio sentire, il vero canto della terra». Lo sapevate che... Nato in una regione della Cina centro-meridionale, Tan Dun ha appreso dallo shimao, il capo religioso locale, le regole ancestrali della musica eseguita con pietre e acqua 42 MI MUSICA INSIEME Mercoledì 11 dicembre 2013 Musica per ricordare Una prima assoluta commissionata da Musica Insieme, un capolavoro da riscoprire e un classico del repertorio nel concerto di Estrio, formazione cameristica fra le più interessanti del nostro Paese di Valentina De Ieso « Un’unica lira / la pianse più che schiera di prèfiche nel tempo / e dal lamento un mondo nuovo nacque». Rainer Maria Rilke così dipinge il dolore di Orfeo, il musico per eccellenza, per la perdita della sua Euridice: una musica che è la più alta manifestazione di dolore e l’estrema ricerca di consolazione, una musica per non dimenticare. Questo è il drammatico fil rouge che lega i tre brani in programma: da Lassù… le stelle… si accorgano… di te (titolo tratto proprio da un verso di Rilke), prima assoluta di Adriano Guarnieri dedicata al piccolo Devid Berghi, tragicamente deceduto a Bologna nel 2011, al Trio in sol minore op. 15 di Bedřich Smetana, ispirato dalla morte della figlia Bedřiška, al Trio in re minore op. 32 di Anton Arenskij, scritto in meMERCOLEDÌ 11 DICEMBRE 2013 AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30 ESTRIO LAURA GORNA CECILIA RADIC LAURA MANZINI violino violoncello pianoforte Anton Arenskij Trio in re minore op. 32 Adriano Guarnieri Lassù…le stelle…si accorgano…di te PRIMA ESECUZIONE ASSOLUTA Bedřich Smetana Trio in sol minore op.15 Introduzione a cura di Estrio 44 MI MUSICA INSIEME moria del maestro Karl Davidov. «La sua musica sarà presto dimenticata». «Pittoresco manierismo salottiero». Quelli di Rimskij-Korsakov e di Massimo Mila sono due esempi illustri dei giudizi lapidari che l’opera di Anton Stepanovič Arenskij ha ricevuto sia dai suoi contemporanei che dalla critica posteriore. In una Russia dove prima Glinka e poi il “Gruppo dei Cinque” avevano gettato le basi di una scuola musicale nazionale, egli guardava invece all’Occidente, ricorrendo al folklore slavo solo di quando in quando per dare un colore caratteristico alle sue melodie. L’Europa stava però, in un modo o nell’altro, facendo i conti con l’eredità di Wagner, ma Arenskij sembrò non accorgersene, componendo una musica che all’orecchio dei suoi contemporanei aveva un sapore troppo tradizionale ed accademico. E accademico lo fu davvero: a soli ventuno anni ottenne la cattedra di armonia e contrappunto al Conservatorio di Mosca, divenendo così l’insegnante di una generazione di importantissimi compositori russi, da Rachmaninov a Skrjabin. Una carriera brillante per un giovane nato in provincia che era stato iniziato alla musica dai genitori, appassionati dilettanti, che da Novgorod, dove lo avevano dato alla luce nel 1861, si erano trasferiti a San Pietroburgo per permettergli di frequentare il Conservatorio. Là studiò con RimskijKorsakov, che lo criticava per essere troppo legato al suo stile e a quello di Č ajkovskij. Rispetto agli altri repertori frequentati da Arenskij, quello cameristico ha goduto e gode di maggior considerazione, a partire dal Trio con pianoforte in re minore op. 32, del 1894. Il lavoro fu scritto in ricordo di Karl Davidov, violoncellista di grande fama, amico di Arenskij e Estrio Nato dall’incontro di tre apprezzatissime soliste, Laura Gorna (violino), Cecilia Radic (violoncello) e Laura Manzini(pianoforte), Estrio sièimposto all’attenzione del pubblico e della critica come una delle migliori formazioni cameristiche italiane. Formatesi con Salvatore Accardo, Rocco Filippini e Bruno Canino, fin dagli esordi le tre artiste hanno raccolto e reinterpretato la tradizione della grande scuola italiana. Estrio è presente nei più importanti cartelloni italiani, tra cui Società dei Concerti di Milano, Festival di Ravello, Festival Mito, Accademia Chigiana di Siena, Teatro San Carlo di Napoli, Amici della Musica di Firenze e Accademia di Santa Cecilia a Roma, e nel 2009 ha suonato al Quirinale alla presenza del Presidente della Repubblica. Numerosi i concerti in tutta Europa, ma ancheinGiappone,StatiUniti,SudAmerica, Medio Oriente, al fianco di DavidFinckel,RainerKussmaul,BrunoGiuranna, Toby e Gary Hoffmann, Franco Petracchi. Grande l’interesse di Estrio per la musica contemporanea: ha all’attivo importanti collaborazioni con compositori a cui ha commissionato nuove opere. L’eclettismo delle tre musiciste si è concretizzato nella realizzazione di progetti che coinvolgono altri generi musicali, come il jazz, la danza, la poesia e il teatro, al fianco di Luca Zingaretti, Sonia Bergamasco e Maria Grazia Calandrone. di Č ajkovskij, direttore del Conservatorio di San Pietroburgo proprio durante i suoi anni di studio, e fondatore della scuola russa di violoncello. Il primo movimento, Allegro moderato, presenta due temi di grande cantabilità, venata di tristezza, introdotti rispettivamente dal violino e dal violoncello, che si rispondono quasi come un’eco. Dopo un breve sviluppo, denso di nervosi virtuosismi, i tre strumenti ripropongono dolorosamente il primo tema per spegnersi lentamente su un più che pianissimo. Nonostante l’abbandono nostalgico, l’accompagnamento del pianoforte, quasi pulsante, conferisce vigore all’intero movimento. Lo Scherzo: Allegro molto, vede nuovamente protagonista il violino, che abdica al suo consueto ruolo centrale per fare spazio a un appassionato tema di valzer affidato al violoncello. Nell’Elegia: Adagio è ancora il violoncello ad espor- re il tema, questa volta in sordina; lo stesso tema viene subito riesposto dal violino, anch’esso in sordina; i due strumenti si sovrappongono poi sino a confondersi insieme come voci di un ricordo lontano. Il Finale: Allegro non troppo è un drammatico rondò con un primo tema struggente e vigoroso ed un secondo invece delicato e gentile, prima affidato al violoncello e poi al violino. In un dialogo, quasi uno scontro, tra i due archi, cui si alternano momenti di mutismo dell’uno e dell’altro, incalza incessantemente l’accompagnamento del pianoforte, per giungere ad un trascinante finale in cui i tre strumenti si riuniscono. In tutto il Trio il ruolo del violoncello predomina su quello del violino, con un evidente omaggio a Davidov, ma anche al padre di Arenskij, violoncellista dilettante. La cantabilità delle frasi di ampio respiro e l’abbandono al lirismo che soverchia la rigidità della forma caratterizzano la produzione cameristica di Arenskij, rispetto agli altri repertori, decretandone un successo più duraturo e un grande apprezzamento anche presso gli appassionati dell’epoca: fra tutti Tolstoj, che dopo aver ascoltato le sue Silhouettes (Suite n. 2 op. 23 per due pianoforti) scrisse che Arenskij lo aveva riconciliato con la “nuova musica”. Se il Trio del compositore russo è dedicato alla memoria di due figure paterne, quello di Bedřich Smetana è, invece, il lamento funebre di un padre per la figlia prediletta. Egli scrisse la sua prima composizione da camera, il Trio in sol minore op. 15 per violino, violoncello e pianoforte, nel 1855, subito dopo la morte della piccola Bedřiška. La bambina, che il padre chiamava Fritzi, si spense a quattro anni a causa della scarlattina, poco più di un anno MI MUSICA INSIEME 45 Mercoledì 11 dicembre 2013 dopo la sorellina minore, Gabriela, un lutto che già aveva fortemente provato Smetana. Il compositore definì il Trio come “un poema in ricordo di un angelo”. Bedřiška era straordinariamente intelligente e musicalmente dotata, a due anni già conosceva il tedesco, a tre cantava con intonazione perfetta, a quattro suonava semplici melodie al pianoforte, e la sua perdita fu un dolore enorme per il padre. Smetana, che aveva costanti rapporti professionali e personali con Franz Liszt, eseguì per lui la sua composizione. ricordando così quel momento: «La perdita della mia figlia maggiore, una bambina straordinariamente dotata, mi ha ispirato a comporre musica da camera nel 1855. Nell’inverno dello stesso anno il Trio fu eseguito pubblicamente a Praga con poco successo. I critici lo hanno condannato aspramente, ma un anno più tardi lo eseguimmo in casa nostra per Liszt, che mi abbracciò e espresse le sue congratulazioni a mia moglie». Il movimento iniziale, Moderato assai, si apre con il primo tema enunciato dal violino, una sorta di lamento nel registro grave, una lugubre melodia pentatonica che verrà rielaborata ritmicamente in tutti e tre i movimenti del Trio, quasi come un tormentoso pensiero ossessivo, che riaffiora inesorabilmente. Viene poi proposto il secondo tema, più sereno, ma malinconico, affidato al violoncello: un rimpianto col- DA ASCOLTARE Per il Trio op. 15 di Smetana la discografia è talmente vasta da lasciare l’ascoltatore nell’imbarazzo di una scelta che va dall’esemplare Beaux Arts Trio (con un’edizione, fra le altre, pubblicata nel 2009 da Philips) all’incisione del Vienna Piano Trio (MDG 2008), subito divenuta Editor’s Choice per la blasonatissima rivista Gramophone. Quasi altrettanto ricca, seppure di assai più difficile reperibilità, è la discografia del Trio op. 32 di Arenskij, che sebbene di non frequentissima esecuzione sui palchi italiani vanta incisioni (prevalentemente made in Russia) affidate a compagini come il Trio Borodin o il Trio Rachmaninov di Mosca. Di tutt’altro segno la prima pubblicazione dell’Estrio, uscita nel 2007 per l’etichetta Fonè, che riunisce un capolavoro come il secondo Trio op. 67 di Šostakovič e il secondo, op. 80, di Schumann, a detta dello stesso autore in grado di esercitare «una seduzione più immediata e fascinosa» rispetto al primo. Quanto di meglio quindi per lasciar emergere la passionalità e la coinvolgente temperie espressiva dell’Estrio, ben note al pubblico e riconosciute dalla critica fra i loro tratti distintivi. Lo sapevate che... Il nome Estrio nasce dalla fusione tra diversi richiami: il mi bemolle tedesco Es, l’Es della psicanalisi freudiana e la parola Trio, che insieme evocano la consonanza con il concetto di estro Lassù… le stelle… si accorgano… di te PRIMA ESECUZIONE ASSOLUTA Il brano è liberamente ‘ispirato’ ad una frase poetica di Rilke (da Poesie alla notte), e mi è stato sollecitato dalla richiesta stimolante di Bruno Borsari per Musica Insieme, che mi ha invitato a comporre un trio con pianoforte che avesse caratteristiche natalizie, non però tramite citazioni legate magari all’Avvento ed ai suoi canti, ma con un nuovo spirito sacro di ‘rinascita’ che spero il pubblico possa percepire. La linearità dei contrappunti arriva sino a 5 parti reali. Infatti violino e violoncello vengono trattati sempre per terze e seste, e non nella classica linearità monodica. Il trio forma così una camera acustica ‘massiva’ e di autodissolvenze. Le strie sonore materiche sono in continua espansione circolare. Espansività ed implosività dei blocchi sonori sono tratti peculiari della mia ricerca da oltre quarant’anni. Oltre il tempo — il tempo sospeso (cioè non metronomico) con episodi sempre coronati — il rallentare stringere e riallentare: questi i tratti principali poetici ai limiti della temporalità. Le linee dunque non sono melodiche ma armoniche e danno poi un senso di somma materica cantabile. Ne sovviene una diversa percezione dell’ascolto, che viene sollecitato nei suoi profondi aspetti psicologici e spirituali. Come nell’uomo di oggi, che convoglia sempre ormai la percezione del suono in una sfera meta-psichica. Una strada alla riscoperta anche di una nuova ‘sacralità’. Resta poi, e non in secondo piano, un aspetto di simbolismo musicale legato alla vita quotidiana di una straordinaria Piazza Maggiore quale centro di cultura e di vita anche drammatica. Adriano Guarnieri 46 MI MUSICA INSIEME mo di dolcezza, un ricordo felice che rifiorisce prima di essere soffocato nuovamente dal dolore. Lo sviluppo, estremamente drammatico, si apre talvolta a nervosi interventi solistici alternati a momenti elegiaci: ancora i ricordi del padre della piccola Fritzi che si fanno strada nel pensiero luttuoso. Il secondo movimento, Allegro ma non agitato, in forma di rondò, ripropone il primo tema del Moderato assai, ma ritmicamente trattato in forma di danza, una tristissima polka che lascia spazio a due interludi, definiti in partitura Alternativo I e II: uno pacato e quasi pastorale, l’altro una sorta di marcia funebre, al termine del quale si ripropone la luttuosa danza. Nel Finale: Presto viene proposto un tema che Smetana recupera dalla Sonata in sol minore, scritta nel 1846, ripetuto per centodiciotto battute. Il ritmo incalzante, frenetico, irregolare, richiama il battito del cuore della bambina morente. I tre strumenti procedono generalmente insieme, ma talvolta i due archi si separano dal pianoforte con gruppi di note staccate e singole note pizzicate che simulano un ansimare sempre più faticoso. S’inserisce periodicamente una struggente melodia del violoncello, come un triste rimpianto che riaffiora tormentoso, sempre interrotto dall’improvviso ritorno ai ritmi pulsanti, che si fanno sempre più rarefatti, fin quasi a tacere. Il Finale termina poi in modo inaspettato con la Coda: Grave, quasi marcia, un momento di insperata serenità, dovuta al repentino passaggio al modo maggiore, che conclude il Trio come una sorta di riconciliazione con la vita e con il destino. PER LEGGERE Gastón Fournier-Facio e Alessandro Gamba L’inizio e la fine del mondo. Nuova guida al Ring di Richard Wagner (Il Saggiatore, 2013) Gastón Fournier-Facio, musicologo, coordinatore artistico del Teatro alla Scala, e Alessandro Gamba, docente all’Università Cattolica, sono gli autori del volume L’inizio e la fine del mondo. Nuova guida al Ring di Richard Wagner (567 pagine, Il Saggiatore, 2013). Nel libro troviamo la pubblicazione integrale dei libretti delle opere, con testo tedesco a fronte, nella nuova traduzione di Franco Serpa, germanista, latinista e musicologo, che ha reso più fluido il testo. Di un certo interesse sono le citazioni da scritti di vari filosofi, Aristotele, Feuerbach, Schopenhauer, e altri, di cui Wagner aveva letto le opere. La novità della pubblicazione è l’inserimento dei QR Code per smartphone, grazie ai quali il lettore può ascoltare alcuni passaggi di ogni opera nell’esecuzione diretta da Janowski alla guida della Staatskapelle di Dresda nel 198083. Per questo motivo, il volume viene definito “il libro che suona”. Manca un collegamento con la partitura perché secondo l’autore la maggior parte dei lettori non è in grado di leggere la musica. Il volume resta una guida per orientarsi in un’opera ineludibile per la storia non solo della musica, ma anche della cultura occidentale. Micaela Guarino (a cura di) Piero Guarino. La vita e la musica (Albisani editore, 2013) È uscito Piero Guarino. La vita e la musica (Albisani editore, 2013), un volume che ricorda un protagonista della musica tra il 1950 e il 1990. Questo omaggio, affettuoso e doveroso, data l’assenza di pubblicazioni specifiche precedenti, è principalmente promosso dalla figlia Micaela, diventando corale, dato che vi partecipano con ricordi e testimonianze tanti interpreti e allievi. Guarino fu pianista, compositore, didatta, direttore dei conservatori di Sassari (1969-1975) e di Parma (1975-1989) dove, nel 1976, precorrendo i tempi, inaugurò il primo Liceo sperimentale quinquennale in Italia. Il ritratto di Piero Guarino emerge dalle testimonianze di Gian Paolo Minardi, Fay Banoun Caracciolo, Riccardo Chailly, Enzo Porta, Azio Corghi, Marcello Conati, Michele Ballerini, solo per citarne alcuni: persone che hanno condiviso aspetti particolarmente significativi della sua vita musicale, a partire dagli studi all’Accademia di Santa Cecilia a Roma con Alfredo Casella. Al libro è allegato un cd che propone la registrazione del concerto dell’Orchestra da Camera di Trento dedicato alle composizioni del Maestro, tenutosi a Trento il 2 novembre 2011. 48 MI MUSICA INSIEME LIBRI di Chiara Sirk CHE SUONANO Tre libri-ritratto sulle figure di illustri compositori: la vita e le opere di Piero Guarino, il rapporto con la nostra città di Giuseppe Verdi e di Richard Wagner, e una guida all’ascolto del Ring curata da Gastón Fournier Esce, curato da Piero Mioli, il volume Sonata a Tre 1867-1871. Verdi, Wagner e Bologna 1813-2013 (742 pagine, Libreria Musicale Italiana, 2013), scritto a più mani da noti studiosi, musicologi e musicisti. La pubblicazione prende avvio dai rapporti fra i due compositori – di cui si ricorda il bicentenario della nascita – e la città emiliana, nella quale ebbero luogo le prime italiane del Don Carlo di Verdi (1867) e del Lohengrin di Wagner (1871), allargando la trattazione alla vita culturale bolognese. Si crea così un inedito ritratto che mette in rete molte e diverse caratteristiche di un dinamismo forse oggi dimenticato, ma esistito e ben riconoscibile. Per coordinare trentuno studiosi, autori di ben trentasei contributi (se il conto è esatto), servono un progetto chiaro e un impegno notevole: entrambi sono da ascriversi a Piero Mioli, docente di Storia della musica al Conservatorio “G.B. Martini”, curatore e autore di due saggi. Il primo, “Don Carlo a Bologna il 27 ottobre 1867” apre il tomo e il capitolo intitolato “Sui due eventi”; il secondo (“Turrita d’opere. Al Bibiena dal ’60 al ’75”) è nella seconda parte dedicata a “Davanti alle quinte”. La terza parte (“Dell’altra musica”) affronta varie attività musicali (lo studio, la cameristica, la coralità, fino ai rapporti tra musica e dialetto indagati da Luigi Verdi). Nella quarta è presentata un’esauriente disamina della Bologna di due secoli or sono (“La vita, la scuola, la società”), con scritti dedicati a Carducci, alle donne (giornaliste, scrittrici, insegnanti), a Panzacchi, ai salotti, ai teatri e alle chiese, ai protagonisti di una Bologna non solo musicale, ma anche patria d’importanti personalità nei campi della scienza, dell’arte, della letteratura e persino della santità. Difficile ricordare tutti i titoli e gli autori; mentre Piero Mioli indaga il versante verdiano, Maurizio Giani esplora quello wagneriano. Il problema della ricezione nella stampa d’oltralpe del Don Carlos è analizzato da Lucia Navarrin Dell’Atti, mentre quella del Don Carlo è esaminata da Annarosa Vannoni. Giusi Cuccaro affronta un tema interessante nel contributo intitolato “Da voi lontan, in petroniana terra. I due traduttori e qualche esempio di traduzione”, mentre Stefano Orioli guarda le ricadute dei due titoli, che tanta eco ebbero a Bologna, nella produzione per pianoforte di Franz Liszt. Questo è solo il primo capitolo, i successivi è meglio scoprirli sfogliando il volume, un volume prezioso, che esce grazie al contributo della Fondazione del Monte e del Conservatorio di Musica “G.B. Martini”. Piero Mioli (a cura di) Sonata a Tre 1867-1871. Verdi, Wagner e Bologna 1813-2013 (Libreria Musicale Italiana, 2013) DA ASCOLTARE VIAGGI MUSICALI di Lucio Mazzi L’ensemble guidato da Ferri e Proni, complice la Fondazione del Monte, riscopre l’opera di Padre Martini, l’Emerson Quartet si misura con Schoenberg, mentre Tamminga ci sorprende con le danze pugliesi Emerson String Quartet, Paul Neubauer, Colin Carr Journeys (Sony 2013) Tante novità in questo lavoro. Intanto il celebre ensemble evade dall’usuale mainstream Haydn / Beethoven / Brahms per spingersi fino ai confini tra Otto e Novecento con due sestetti di Čajkovskij (Souvenir de Florence) e Schoenberg (Verklärte Nacht); poi, per la prima volta nella sua longeva carriera, affronta quest’ultimo autore; infine, per eseguire i due sestetti, si fa ‘famiglia allargata’ ospitando il violista Paul Neubauer e il violoncellista Colin Carr. Ecco, quest’ultima cosa è interessante perché dell’Emerson conoscevamo la limpida maestria quanto la mirabile consonanza d’intenti, figlia di una profonda conoscenza reciproca dei musicisti. Che in un equilibrio già perfetto potessero inserirsi in maniera naturale due musicisti ‘esterni’ non poteva essere dato per scontato. Eppure il brillantissimo risultato è sotto le orecchie di tutti, in questa mirabile esecuzione di due lavori per tanti versi assimilabili (a cominciare dall’organico impiegato), nei quali un nervoso e dissonante Čajkovskij sembra inconsapevolmente cercare un cenno d’intesa con un altrettanto inaspettato Schoenberg sorridente e romantico. Liuwe Tamminga, Fabio Tricomi, Luigi Mangiocavallo, Ottavia Rausa, Stefano Albarello La tarantella (Accent 2013) Apprezzeremo sempre quei musicisti che scelgono di allargare i propri orizzonti al di fuori dell’ambito in cui si tende a collocarli. Jazzisti che si misurano con Bach, musicisti popular che tentano incursioni ‘colte’ o, come in questo caso, affermati organisti ‘classici’ alla ricerca di lontane radici popolari. L’olandese Tamminga, peraltro, non è nuovo a questi ‘viaggi italiani’: sempre per Accent in passato aveva esplorato Mantova e la Basilicata. Un musicista ‘in cerca’, come ogni artista dovrebbe essere. Qui lo troviamo alle prese con la tarantella e la pizzica salentina: muovendosi sulle tastiere degli storici organi di Galatina, Corigliano d’Otranto e Casarano, convocando accanto a sé specialisti come Fabio Tricomi (dal mandolino alle percussioni) e Stefano Albarello (chitarra battente), Tamminga esplora un repertorio popolare (anonimo) e colto, dovuto a compositori che dalla tarantella e da tutto il suo universo di magia e tradizione sono stati ispirati: da Rossini a Herold, da Vecchiotti a Kircher, Storace, Cid... Il risultato è affascinante e, grazie all’acume di Tamminga, in grado di ampliare gli orizzonti di chi ragiona ancora a compartimenti stagni. La musica è una. Da anni Federico Ferri e Daniele Proni portano avanti, con il fondamentale contributo della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, un lodevolissimo progetto sulla riscoperta dell’opera di Padre Martini. Del resto Ferri (direttore d’orchestra e violoncellista) e Proni (pianista, organista e clavicembalista) non sono di sicuro fra quei musicisti il cui mondo inizia e finisce tra corde e tasti: oltre a questa corposa iniziativa, a loro si devono rassegne concertistiche d’alto livello, iniziative che hanno portato grande musica nei luoghi di sofferenza come nei più bei parchi naturali, produzioni musicali, ecc… Bene, Progetto Martini, dunque, che con questo DVD di Deutsche Harmonia Mundi raggiunge uno dei suoi momenti più alti. Racchiuse nel dischetto d’argento, infatti, due opere inedite, due intermezzi, del frate francescano che entusiasmò Mozart e Gluck: Il Maestro di Musica e Don Chisciotte. Ferri dirige il complesso barocco dell’Accademia degli Astrusi, Proni è impegnato al clavicembalo nei recitativi e nelle arie. Accanto a loro il mezzosoprano Laura Polverelli, il tenore Aldo Caputo e (nel Don Chisciotte) l’attore Matteo Belli. Tutto per la regia di Gabriele Marchesini, che si muove in una scenografia basata su bozzetti di Dario Fo, uno dei quali riportato sulla copertina del sontuoso libretto che accompagna il DVD. I due lavori (registrati al Teatro Comunale di Bologna nell’ottobre del 2011) contribuiscono a delineare maggiormente la personalità artistica di Martini. Celebre come insegnante, come teorico, come trattatista, molto meno come compositore, quasi per niente come compositore di musiche per il teatro. Come in questo caso. Di sicuro il lavoro compiuto da Ferri, Proni e colleghi è quanto di meglio si possa immaginare, dal punto di vista sia filologico che artistico. Ci piace pensare che lo stesso padre Martini, da maestro austero e rigoroso quale lo conosciamo, ne sarebbe stato grandemente soddisfatto. Accademia degli Astrusi, Laura Polverelli, Aldo Caputo, Matteo Belli, Gabriele Marchesini, Federico Ferri Giovanni Battista Martini Il Maestro di Musica, Don Chisciotte (DVD Deutsche Harmonia Mundi 2013) 50 MI MUSICA INSIEME Fondazione Musica Insieme Galleria Cavour, 2 – 40124 Bologna Tel. 051 271932 – Fax 051 279278 Editore Fabrizio Festa Direttore responsabile Bruno Borsari, Fulvia de Colle, Marco Fier, Cristina Fossati, Roberto Massacesi, Alessandra Scardovi In redazione Elisabetta Collina, Valentina De Ieso, Alessandro Di Marco, Daniele Follero, Maria Pace Marzocchi, Lucio Mazzi, Maria Chiara Mazzi, Anastasia Miro, Giordano Montecchi, Chiara Sirk, Mariateresa Storino Hanno collaborato Kore Edizioni - Bologna Grafica e impaginazione Grafiche Zanini - Anzola Emilia (Bologna) Stampa Registrazione al Tribunale di Bologna n° 6975 del 31-01-2000 Musica Insieme ringrazia: BANCA DI BOLOGNA, BANCA ETRURIA, BANCA POPOLARE DELL’EMILIA ROMAGNA, BANCO DI DESIO E DELLA BRIANZA, CAMERA DI COMMERCIO INDUSTRIA ARTIGIANATO E AGRICOLTURA DI BOLOGNA, CASSA DI RISPARMIO DI BOLOGNA, CASSA DI RISPARMIO DI CENTO, COCCHI TECHNOLOGY, CONFCOMMERCIO ASCOM BOLOGNA, COOP ADRIATICA, COSWELL, FATRO, FONDAZIONE CAMST, FONDAZIONE CASSA DI RISPARMIO IN BOLOGNA, FONDAZIONE DEL MONTE DI BOLOGNA E RAVENNA, GRAFICHE ZANINI, GRUPPO GRANAROLO, GRUPPO HERA, MAURIZIO GUERMANDI E ASSOCIATI, MAX INFORMATION, M. CASALE BAUER, PELLICONI, PILOT, S.O.S. GRAPHICS, UNICREDIT BANCA, UNINDUSTRIA, UNIPOL BANCA, UNIPOL GRUPPO FINANZIARIO MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI, REGIONE EMILIA-ROMAGNA PROVINCIA DI BOLOGNA, COMUNE DI BOLOGNA