Doping e disagio alimentare SOFIA TAVELLA Nel doping assistiamo al baratto fra la propria salute1 e la propria immagine, cosa che si verifica nei disturbi dell’alimentazione2, essi infatti possono essere letti nell’ottica della patologia dell’immagine. La patologia3 dell’immagine spinge l’individuo ad adeguarsi a un ideale estetico spesso biologicamente4 irraggiungibile e quindi fonte di ansia5 e di conflitti. 1 L’Organizzazione Mondiale della Sanità (O.M.S.) ha affermato: “La salute è lo stato di completo benessere fisico, mentale e sociale”. Seppilli amplia la definizione dicendo che la salute è “come una condizione di armonico equilibrio funzionale, fisico e psichico dell’individuo, dinamicamente integrato nel suo ambiente naturale e sociale” (cf. AA.VV., L’educazione Sanitaria. Studi e documenti degli Annali della Pubblica Istruzione 3, Le Monnier, Roma 1978, pp. 180). 2 Bambini e adolescenti portano in sé le stimmate di un rischio per una patologia che esprime bene ansie e incertezze, difficoltà a comunicare e difficoltà a costruire la propria identità. Non è pensabile che questi quadri psicopatologici in deciso aumento si scatenino senza lasciare intravedere prima dei segni che, se attentamente interpretati, potrebbero almeno aiutare a identificare i ragazzi a maggior rischio. Oggi troppo facilmente il meccanismo di gratificazione davanti alle frustrazioni, anche per i bambini piccoli, è quello che potremo chiamare della “boccapiena”, e molto spesso il bambino, grazie alla disponibilità economica, sgancia anche questo meccanismo di gratificazione dalla dipendenza materno-familiare e ratifica un egocentrismo ancora più frustrante, per cui a lui stesso tocca la gestione di un meccanismo di difesa fragile e incapace di risolvere le ansie che popolano il mondo della sua immaginazione (cf. D. BOUD, Enhancing Learning through self-assessment, Kogan Page, London 1995, p. 54). 3 Nella storia della medicina la patologia è la conoscenza delle malattie; si distingue una patologia generale che studia le leggi biologiche e i loro meccanismi, e le patologie speciali, che si occupano degli organi e delle funzioni. La psicologia si è interessata assai presto alle malattie mentali (cf. R. DORON, Patologia, in R. DORON – F. PAROT – C.M. DEL MIGLIO (edd.), Nuovo Dizionario di Psicologia, Borla, Roma 2001, pp. 524-525). 4 R.A. HINDE, Le basi biologiche del comportamento umano, Zanichelli, Bologna 1974, p. 81. 5 In tutti i disturbi psichici troveremo costantemente presente il fattore “ansia”. Alcuni Autori usano indifferentemente i termini ansia e angoscia come sinonimi. Noi preferiamo parlare di ansia quando il senso di paura e di tensione emotiva viene esternato con tremori, sudorazione, salivazione profusa, secchezza del cavo orale, impulso all’azione che può risolversi in esitamento o fuga o aggressività inconsulta per difesa incongrua da minaccia vera o presunta, oppure blocco psicomotorio. Parlano, invece, di angoscia quando prevalgono il senso di costrizione toracica, la fame d’aria, il soffocamento e la tendenza a non reagire, quasi ad arrendersi (cf. V. POLIZZI, L’identità dell’Homo Sapiens. Parte II. Psicopatologia generale, LAS, Roma 1998, p. 61). 1 L’attenzione al corpo6 sia che declini in ossessione7 per la sua prestanza8 e forma, sia per la sua potenza e prestazioni, assurge a un costrutto dominante che riassumiamo con il termine “narcisismo”. Nelle pagine che seguono prenderemo in considerazione i disturbi alimentari. Infatti come i disturbi alimentari riflettono un disturbo dell’immagine corporea, così le condotte dopanti prendono avvio da alterazioni della concezione di sé e da un elevato “amore per se stessi”. 6 Il corpo è a un tempo soggettività e oggettività, si iscrive nella polarità biologica della naturalità dell’esistenza e nella tragicità dinamica e fluttuante delle esperienze vissute dove si confrontano e dialogano, in modo instabile e problematico, le nostre istanze, sensazioni, sentimenti, ragioni e diritti (cf. D. SARSINI, Op. cit., p. 92; cf. G. TROMBINI – F. BALDONI, Psicosomatica: l’equilibrio tra mente e corpo, Il Mulino, Bologna 1999, pp. 65-77). 7 Al pari dell’isteria, l’ossessione può essere definita un sintomo o insieme di sintomi, e un’organizzazione patologica della personalità. L’ossessione come sintomo consiste in un’idea o gruppo di idee che s’impongono alla mente in modo lancinante e che il soggetto non può scacciare, sebbene le ritenga assurde (cf. A. BRACONNIER, Ossessione, in R. DORON, Patologia, in R. DORON – F. PAROT – C.M. DEL MIGLIO (edd.), Op. cit., p. 514). 8 Avere un corpo bello, magro, tonico, attraente e prestante diventa un progetto di costruzione dell’identità e mantenerlo sempre in forma, ben governato dal regime dietetico e fisico, costituisce testimonianza di impegno formativo e di sfida verso se stessi. Molte infatti sono le persone che assimilano le attività fisiche all’identità e al piacere che possono trarre da tale coinvolgimento e il percorso che conduce a un copro migliore, più sodo e più energico, è spesso vissuto come impegno morale il cui merito è ascritto a quell’individuo che riesce a sfruttare al massimo le potenzialità del suo corpo e a trasformarle (cf. D. SARSINI, Il corpo in occidente. Pratiche pedagogiche, Carocci Editore, Roma 2003, p. 101). 2 1. Il mito di Narciso9 Narciso10 era un giovane di Tepsi; di lui s’innamorò la ninfa Eco, privata della parola dalla moglie di Zeus, Era. Eco poteva unicamente ripetere le ultime sillabe delle parole che ascoltava da altri. Eco fu respinta da Narciso e morì di crepacuore. Gli dei punirono Narciso per la sua durezza verso Eco, facendolo innamorare della propria immagine. L’oracolo Tiresia aveva predetto la fine di Narciso con la visione della propria immagine: sarebbe morto alla prima vista di sé. Quando Narciso si chinò sopra le limpide acque di una fonte, vide la sua immagine riflessa nell’acqua; si innamorò perdutamente di quella immagine e non volle più abbandonare quel luogo. Morì di languore e si trasformò in un fiore, il narciso, destinato per sempre a stare ai bordi delle fonti. Narciso è destinato a innamorarsi della propria immagine e ad affrontare il suo triste destino solo dopo aver respinto l’amore di Eco. Una punizione per la sua incapacità di amare la voce del suo stesso sé, dell’eco della sua anima. L’incapacità successiva di dire “ti amo” corrisponde ad una distorta proiezione della propria immagine, volta verso il proprio io e non in direzione dell’altro da sé. Nel mondo del body building e del fittness questo fenomeno è frequente e divide in due insiemi distinti le categorie dei suoi esponenti: 9 Il nocciolo della storia di Narciso non è che Narciso si innamora di se stesso, quanto piuttosto che non riconosce la sua immagine riflessa nell’acqua come qualcosa di separato e di distinto da sé, per cui annega cercando di abbracciarla come se fosse un’altra persona. Ed è proprio questa distinzione tra sé e l’ambiente, tra sé e gli altri, che gli impedisce di avere consapevolezza del proprio riflesso. La nostra società, essenzialmente visiva, produce questa mancanza di distinzione tra realtà e immagini, contribuendo a forgiare identità narcisistiche, nella misura in cui risolve l’esperienza nell’apparenza delle immagini e ne altera la qualità attraverso immagini vincenti e affascinanti, tanto da renderle più accattivanti della realtà stessa. In questo ribaltamento dell’ordine delle cose si annullano i limiti, si esaltano gli attributi (bellezza, celebrità, eroismo, salute) alimentando una nuova forma di intolleranza verso coloro che non possiedono fascino e successo ma che si confondono con la mediocrità banale della massa (cf. D. SARSINI, Op. cit., p. 100). 10 Narciso era un bel giovane che disprezzava l’amore. Quando nacque i genitori interrogarono l’indovino Tiresia, il quale risposte che il bambino sarebbe vissuto fino a tarda età, se non avesse conosciuto se stesso (cf. P. GRIMAL, Mitologia, Garzanti, Brescia 2004, p. 434). 3 • Alcuni body builder attraverso una buona forma fisica si avvicinano alla gente. E’ il caso di Arnold Scwartzenegger che, nel massimo della sua forma fisica, si offriva per esibizioni, lezioni gratuite e benefiche in favore dei detenuti, avvicinandoli al tessuto sociale. Queste persone fortificando il proprio io, maturano la consapevolezza di poter cambiare fisicamente e nel comportamento sociale; • Altri body builder desiderano, e talvolta ottengono, una forma fisica a tutti i costi, per compensare un profondo disagio interiore e allontanarsi dal sociale. Si allenano in solitudine, camuffano la loro voglia di distacco con la concentrazione, adottano comportamenti antisociali11 e aggressivi, spesso a copertura di un’autostima carente. 2. Narcisismo: l’ideale nello specchio Il termine “narcisismo”12 nel linguaggio comune indica l’amore esclusivo per se stessi, una posizione egocentrica che relega gli altri nel ruolo di comparse. In ambito clinico il concetto di narcisismo acquista, però, un significato specifico. Nel campo della patologia esiste, infatti, un disturbo narcisistico di personalità, dove per disturbi di personalità intendiamo disturbi psichici caratterizzati da tratti permanenti del carattere che, pur essendo patologici, spesso non sono avvertiti dal soggetto come aspetti problematici. I comportamenti antisociali contrastano, sfidano l’ordine sociale stabilito e difeso da regole e da istituzioni. Possono essere consapevoli, volontari ed esprimere una rivendicazione ribelle; reattivi a situazioni o eventi intollerabili; conflittuali, che violano i limiti mediante scarica di atti sintomatici, messe in atto da soggetti che presentano gravi disturbi della personalità (cf. J. SELOSSE, Antisocialità, in R. DORON – F. PAROT – C.M. DEL MIGLIO (edd.), Op. cit., p. 65). 11 12 Utilizzato inizialmente nel senso restrittivo di perversione sessuale in cui il soggetto ha come oggetto il suo corpo, il concetto di narcisismo è stato sviluppato soprattutto dalla psicoanalisi. Freud ne ha introdotto il termine. Ne ha fatto un concetto teorico che gli consente di spiegare la psicosi come ritorno della libido sul soggetto, ma nello stesso tempo, anche un concetto clinico che descrive un insieme di atteggiamenti umani dominati da due tratti principali: disinteresse per il mondo esterno, immagine del sé grandioso (cf. A. BRACONNIER, Narcisismo, in R. DORON – F. PAROT – C.M. DEL MIGLIO (EDD.), Op. cit., p. 478). 4 I criteri diagnostici del disturbo narcisistico di personalità sono principalmente: una modalità pervasiva di grandiosità13 nelle fantasie e nel comportamento, ed uno stile relazionale14 basato sullo sfruttamento dell’altro.15 Se il narcisismo è espresso in modo esemplare dall’individuo arrogante che pretende di essere sempre al centro dell’attenzione, narcisista può essere anche l’individuo schivo che custodisca in segreto fantasie di grandiosità, evitando accuratamente di esporsi al confronto con gli altri. In entrambi i casi il soggetto si pone su un palcoscenico e relega gli altri nel ruolo di spettatori, sia che decida di occupare prepotentemente la scena reclamando gli applausi, sia che preferisca restare nascosto dietro le quinte in attesa dell’occasione propizia al trionfo. I principali studi sul disturbo narcisistico di personalità hanno evidenziato alla base della patologia narcisistica16 un’alterazione della struttura del Sé,17 una 13 Adler scriveva: “Il più importante fatto psicologico della natura umana è l’aspirazione verso la grandiosità, la superiorità e il successo. Questa aspirazione è strettamente collegata col sentimento di inferiorità, poiché, se non ci sentissimo inferiori, non avremmo alcun desiderio di uscire dallo stato in cui ci troviamo […] l’aspirazione alla superiorità e il sentimento d’inferiorità coesistono in tutti gli esseri umani (cf. L.M. LORENZETTI (ed), Psicologia e Personalità, Franco Angeli, Milano 1995, p. 168). 14 Adler parlava di stile di vita descrivendolo come “l’impronta psichica inimitabile di ogni individuo, in cui confluiscono tratti di comportamento, le idee e le opinioni elaborate dal pensiero, i sentimenti e le emozioni, articolati al servizio di finalità prevalenti”. Lo stile di vita prende corpo già nell’infanzia (cf. F. PARENTI – P.L. PAGANI, Lo stile di vita, De Agostini, Novara 1987, p. 87). 15 Si tratta di senso di grandiosità, bisogno imperioso di ammirazione, mancanza di empatia. I soggetti con questo disturbo si ritengono importanti, sopravvalutano le loro doti e le loro abilità ed elogiano da se stessi i risultati delle loro prestazioni. Appaiono presuntuosi e pretenziosi. Sono convinti che gli altri debbano ammirarli. Tendono a svalutare gli altri con la sensazione o la speranza di innalzare se stessi. Hanno fantasie di successo illimitato, di potere e di unicità (cf. V. POLIZZI, Op. cit., p. 141). 16 Uno dei massimi studiosi del narcisismo, Otto Kernberg, riassume così i comportamenti che fanno riconoscere l’individuo affetto da narcisismo: forte convinzione della propria importanza e di essere unico al mondo, straordinario, perfetto. Il soggetto esagera sempre i suoi successi, i risultati che ottiene, le proprie capacità e fa sempre notare quanto siano speciali i suoi problemi; assorbimento in continue fantasie di grandi successi, potenza, bellezza, intelligenza; esibizionismo, una costante richiesta di attenzione e di ammirazione; le critiche o l’indifferenza da parte degli altri vengono affrontati con totale indifferenza o con scoppi di rabbia (cf. O. KERNBERG, Sindromi marginali e Narcisismo patologico, Boringhieri, Torino 1975, pp. 45-59). 5 mancanza di coesione del Sé,18 dove per “sé”19 intendiamo quell’istanza psichica che sostiene e permette alle strutture superiori di personalità, quelle egoiche, di interagire con l’ambiente patendo da una base sicura. Questa immagine difettosa di sé20 viene compensata da un sé grandioso, un ideale di perfezione che diventa il miraggio da inseguire, sacrificando ad esso il confronto con se stesso e con l’altro. Il narcisista alterna rapidamente l’idealizzazione alla svalutazione; l’illimitato amor proprio è rivolto, in effetti, soltanto alla fantasia di grandiosità e si accompagna ad un profondo disprezzo di sé. Incapace di compiere una valutazione realistica di se stesso, il narcisista non è in grado di riappropriarsi in modo consapevole della sua soggettività. Nel narcisismo il soggetto sembra abbagliato dal suo ideale di perfezione, ideale che ha posto come un baluardo tra sé e il mondo. 17 In fondo sono delle personalità deboli che vorrebbero essere quello che desiderano o si illudono di essere, per questo cercano conferma autorevole alla loro presunta grandezza; la ricerca di ammirazione diventa un vero bisogno di assicurazione. Si aspettano trattamenti e favori speciali, mentre tendono a sfruttare gli altri con insolenza. Sono altezzosi e arroganti. La vulnerabilità della loro autostima rende questi soggetti ipersensibili alla critica e agli insuccessi; possono perciò andare in depressione (cf. V. POLIZZI, Op. cit., p. 141). Un sé forte, sicuro e padrone, si ottiene non tanto trascurando l’aspetto fisico, abbandonandolo agli inestetismi e alle degenerazioni del grasso e della sedentarietà, ma stimolandolo ad aumentare l’energia e a raggiungere una forma sempre più armonica in una sorte di identificazione preformativa tra il sé e il corpo (cf. D. SARSINI, Op. cit., p. 102). 18 19 Il sé, ma quello creativo, rappresenta il coronamento degli studi adleriani sulla personalità. Ogni individuo per mezzo del sé creativo interpreta in modo soggettivo, inimitabile e inconfondibile l’immagine di sé e della realtà che lo circonda e la sua esistenza assume il significato di esperienza unica e irripetibile, in continua evoluzione, perché la psiche è movimento. Il sé creativo corrisponde all’istanza che rende significative le esperienze di ogni individuo, ma che nel contempo gli consente di serbare per tutta l’esistenza quelle particolari modalità che gli permettono di perseguire a lungo termine i suoi scopi; e tali modalità saranno da lui custodite per sempre, a partire da quando, nella lontana infanzia, egli ha fissato il suo stile di vita, progettato e, in seguito, amministrato proprio dal sé creativo (cf. L.M. LORENZETTI, Op. cit., pp. 169-170). 20 I corpi adolescenziali si trasformano in connessione con profondi e laceranti mutamenti psichici che implicano la separazione dal proprio sé infantile, la ricerca dell’identità e la costruzione di una sessualità individuale che spesso si oppone a quei cliché di prestanza fisica deduttiva che la società narcisistica proietta (cf. D. SARSINI, Op. cit., p. 93). 6 3. Le patologie dell’immagine: i disturbi dell’alimentazione21 Oggi, mentre una parte dell’umanità si alimenta poco e male, l’altra affronta i problemi di un’alimentazione eccessiva e squilibrata. D’altra parte, la coesistenza di questi due aspetti caratterizza, da sempre, la storia dell’umanità. Il problema del cibo è un tema dominante e fondamentale in ogni cultura. Il cibo rappresenta un indispensabile elemento per la sopravvivenza e la modalità di procacciarlo ha determinato le forme organizzative delle prime società umane (cacciatori, ecc.). Le valenze che ruotano attorno al cibo sono molteplici: psicologiche, sociali, ideologiche, religiose, affettive. Potremmo affermare che l’alimentazione è quell’attività umana più ricca di significati a vari livelli; essendo essa infatti fisiologicamente necessaria, si svolge per la specie umana in un contesto interattivointerazionale fin dalla nascita. E’ molto importante avere presente la complessità dell’alimentazione, anche ai fini di questo lavoro. Infatti gli stessi problemi alimentari che è possibile individuare sul piano sociale e che si esprimono a volte nelle patologie, sono presenti nel 21 Modelli eziopatogenetici correnti indicano che molti fattori possono agire aumentando la probabilità che si sviluppi un disturbo alimentare [DCA = Disturbi del Comportamento Alimentare]. Questi fattori, detti fattori di rischio, sono di vario tipo e possono essere classificati in personali e ambientali. Le influenze dei fattori personali biologici (es. l’identità di genere, la quantità di grasso corporeo, ecc) e psicologici (es. distorsione dell’immagine corporea, una bassa autostima, ecc.) è riconosciuta da tempo. Più recente è, invece, il riconoscimento che la propensione a sviluppare disturbi del comportamento alimentare vari anche in funzione di fattori socio-culturali come l’adozione di modelli di bellezza socialmente condivisi e diffusi dai mass media. La letteratura scientifica indica che valori diffusi nelle culture occidentali, come il culto dell’aspetto fisico, spesso coincidente con il culto della magrezza estrema nel caso dei modelli di bellezza femminili e della forza per i modelli di bellezza maschili, costituiscono delle norme sociali da rispettare. Nei gruppi e nelle categorie in cui tali imperativi sono più forti spesso si riscontra una maggiore incidenza e prevalenza dei DCA. Alcuni studi indicano che la pratica sportiva si associa a tassi di incidenza e prevalenza sia di anoressia che di bulimia, più elevati che nella popolazione generale. Per questa ragione qualcuno ha proposto di includere fra le categorie diagnostiche dei DCA, una categoria a sé: l’anoressia dell’atleta (cf. C. LOMBARDO – F. LUCIDI – A. DEVOTO – P.M. RUSSO – S. TAVELLA – M. PIRRITANO – C. VIOLANI, Pratica sportiva e fattori di rischio per i disturbi dell’alimentazione, in Movimento, 18 (2002), p. 64). 7 fenomeno doping. Vediamo pertanto in che cosa consistono i disturbi dell’alimentazione. 3.1. Caratteristiche generali dei disturbi alimentari22 I disturbi del comportamento alimentare23 sono patologie caratterizzate da un’alterazione del rapporto che una persona ha con il cibo e con il proprio corpo. Insorgono prevalentemente nel corso dell’adolescenza. Sono riconoscibili da comportamenti particolari, collegati a questa alterazione; i più tipici sono: • rifiuto del cibo e digiuno; • abbuffate che si definiscono tali per l’ingestione di inusitate quantità di cibo in breve tempo; • vomito; • uso improprio di lassativi e diuretici; • intensa attività fisica finalizzata al dimagrimento. E’ un’opera, quella citata qui di seguito, che senza creare allarmismi cerca di dare supporto a genitori e insegnanti in difficoltà. Fornisce loro utili e pratici consigli distinguendo fra tutte le gamme di disturbi alimentari che colpiscono i giovani (cf. R. BRYANT WAUGH – B. LASK, Disturbi alimentari. Guida per genitori e insegnanti, Erikson, Trento 2005). 22 23 Esiste una disorganizzazione sul piano cognitivo dell’adolescente che può essere letta a livello di vita familiare attraverso una condotta che appare disturbata sul piano alimentare. Il bambino è capriccioso e alterna momenti in cui rifiuta il cibo, perché totalmente assorbito dal gioco, a momenti in cui sembra incapace di stare senza avere qualcosa in bocca o in mano (patatine, gelati, coca-cola, merendine, ecc.) Il vissuto delle prime esperienze alimentari è molto significativo nei pazienti a rischio che, a detta della famiglia, risultano avere sempre avuto almeno due delle seguenti caratteristiche: proverbiale lentezza a mangiare e intolleranza per alcuni cibi; attrazione specifica per altri, soprattutto di tipo interpasto; disagio vivissimo quando non avevano a disposizione cibo; tendenza a lasciarsi assorbire da attività ludiche, con ostentata ignoranza dei momenti dei pasti. Il senso che il bambino ha del mondo e dei suoi contenuti deriva dai contenuti della vita affettiva della madre, che appare sempre molto legata alla sua funzione di nutrice, sia perché è lei a preparare i pasti, sia perché comunque ha la regia dei momenti di vita a tavola e comunque funge da cassiere per poter avere o meno a disposizione soldi da spendere in dolciumi di vario tipo (cf. G. PARSELL – J. BLIGH, Contract learning. Clinical learning and clinicians, in Postgraduate Medical Journal 72 [1996], p. 30; cf. M. CHALLIS, AMEE Medical Education Guide No. 19: Personal Learning plans, in Medical Teacher, 22/3 [2000], p. 27). 8 Alcune persone possono presentare solo uno di questi comportamenti, mentre altre ne presentano più di uno, in momenti diversi della loro vita, o anche contemporaneamente. La presenza di tali comportamenti non è di per sé un indice di malattia. Se ne possono infatti trovare in adolescenti, in persone che praticano attività sportiva o nei soggetti che per motivi diversi (ad esempio diabete o altre patologie) si mettono a dieta. E’ di fondamentale importanza quindi distinguere tra comportamenti sintomatici e sindromi vere e proprie, per evitare di etichettare come bulimica una persona per il solo fatto che vomita. Perché si possano fare diagnosi è necessario che siano soddisfatti tutta una serie di criteri, detti appunto diagnostici, che la comunità scientifica ha ben delineato. Secondo il DSM–IV,24 il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi mentali, nella sua più recente edizione (quarta), i disturbi dell’alimentazione si distinguono secondo le seguenti categorie diagnostiche: • anoressia; • bulimia nervosa; • disturbi dell’alimentazione non altrimenti specificato (NAS = Non Altrimenti Specificato). Il DSM–IV aggiunge poi in appendice (la B) un’ulteriore categoria considerata utile per successivi studi e ricerche: disturbi da alimentazione incontrollata. Penso sia utile, ai fini di un inquadramento più preciso e pertinente del discorso doping, prendere in considerazione le categorie diagnostiche elencate sopra, per due ragioni fondamentali: 24 AMERICAN PSYCHIATRIC ASSOCIATION, DSM-IV. Manuale Diagnostico e statistico dei disturbi mentali, Masson, Milano 2004, pp. 200-303. 9 • la dinamica psicologica di base che sostiene i disturbi alimentari e il doping è la stessa: la dipendenza da un oggetto (sostanza o cibo) usato in modo distruttivo; • identiche sono le attivazioni comportamentali che inducono i ragazzi a cercare l’una o l’altra sostanza: modalità compulsiva centrata fortemente sul problema dell’immagine di sé. • come conseguenza di questi due aspetti la prevenzione dei disturbi alimentari consente al bambino e poi all’adolescente, di orientare la costruzione dell’immagine di sé all’interno dei legami affettivi significativi, realizzati con altre persone, svincolandola dalla diretta dipendenza dell’uso del cibo o di sostanze sostitutive. 3.2. Anoressia mentale L’anoressia mentale25 è una condizione morbosa che, contrariamente a quanto spesso si crede, si caratterizza non per la mancanza di appetito (come indica erroneamente anche il nome), quanto per una grave riduzione volontaria dell’alimentazione26 che può portare a cachessia (dimagrimento eccessivo) e alla morte. 25 L’anoressia mentale o nervosa è di origine psicologica e si manifesta con un apparentemente immotivato rifiuto del cibo per il desiderio di mantenere la linea o per il timore di ingrassare. Questa riduzione viene giustificata spesso con la mancanza di appetito o con disturbi della sfera digestiva (nausea, dolori di stomaco, senso di gonfiore, digestione difficile). Il nucleo fondamentale di questa malattia non risiede nell’assenza o nella perversione del senso di appetito, ma nel desiderio di ridursi a uno stato quasi di incorporeità. Ne consegue che esse sono indifferenti di fronte alle loro scadenti condizioni fisiche, ritengono normale il loro aspetto scheletrico, non tentano di porvi alcun rimedio, anzi, hanno il continuo terrore di ingrassare. Questo desiderio cosciente di raggiungere un dimagrimento estremo, fin quasi all’incorporeità, induce alcuni a interpretare l’anoressia come una forma di suicidio a piccole dosi; altri ritengono invece che il loro desiderio di incorporeità abbia un significato opposto: l’anoressica cioè rifiuta l’esistenza in quanto questa comporta la necessità di vivere in un corpo che essa associa all’idea dell’invecchiamento, dell’ingrassamento e della morte (cf. FONDAZIONE UMBERTO VERONESI, Salute, Vol. I. Dizionario medico, Milano 2005, pp. 265-266). 26 Si tratta di un processo fisiologico che consiste nell’assunzione di alimenti da parte dell’organismo vivente al fine di soddisfare il proprio fabbisogno energetico. Nel calcolare la 10 Tale comportamento non è conseguente ad altra patologia psichiatrica (ad esempio depressione27 o schizofrenia)28 o organica (ad esempio cachessia ipofisaria e tumorale). Si stima che ogni anno sono colpite 3-4 persone su 10.000: le donne sono 20 volte più numerose degli uomini. L’età di maggiore incidenza è quella compresa fra i 14 e i 18 anni,29 ma si può anche iniziare dai 10 anni. Se quindi isoliamo l’età in cui tale disturbo si presenta con maggior frequenza e consideriamo il solo sesso femminile, abbiamo un’incidenza di un caso su 250, che risulta un rischio più significativo rispetto ai 3-4 casi su 10.000. E’ da sottolineare che non sono descritti casi di anoressia nei paesi sottosviluppati. La valutazione dell’incidenza del disturbo non è quindi semplice non reazione alimentare di un individuo si deve tener conto del fabbisogno calorico, cioè della quantità di energia, espressa in calorie, necessaria all’organismo, e del fabbisogno qualitativo, legato ai singoli principi nutritivi. I fabbisogni di riferimento dell’uomo e della donna sono rispettivamente di 3200 e 2300 calorie giornaliere; questi dati variano naturalmente in rapporto a fattori costituzionali, all’età, al clima, alle abitudini di vita e alla presenza di particolari condizioni quali la gravidanza e l’allattamento (cf. Ibid., pp. 142-143). 27 Depresso è un soggetto che presenta un aspetto cascante, trascurato, con viso triste e amimico, che denota una scontentezza cronica profonda apparentemente immotivata. Soffre di insonnia o di ipersonnia, di stanchezza continua, di inappetenza; prova un senso di malessere diffuso e indefinito; mostra disinteresse per qualsiasi cosa (apatia). Fa trasparire un senso di irritazione che rivolge contro se stesso con autoaccuse. I movimenti sono lenti, forzati, impacciati. Il discorso è monotono, di contenuto pessimistico, rassegnato. Tende piuttosto al silenzio o a continue lamentele disfattiste. Caratteristico è il senso di disistima e di colpa contro se stesso. La trascuratezza e la mancanza di gusto nell’alimentazione lo fanno indebolire confermando le sensazioni soggettive di insufficienza (cf. V. POLIZZI, Op. cit., pp. 113-114). 28 Fra le psicosi, la più studiata, la più preoccupante e la più complessa è la schizofrenia (= scissione della mente). Denominata così nel 1911 dallo psichiatra svizzero Eugen Bleuler che cercò di sostituire un termine più appropriato a quello di demenza precoce posto da Kraepelin. Tale termine è in grado di farci intuire che alla base di questa sindrome c’è una tendenza alla dissociazione fra le varie componenti della personalità (cf. Ibid., pp. 121-122). 29 L’adolescente con tendenze anoressiche si pone come soggetto che vuole svolgere la sua funzione di controllo sul contesto, mostrando di poterne fare a meno, mentre il bulimico sembra voler esprimere la sua volontà di potenza riducendo la distanza tra sé e il mondo, perché il mondo è dentro di sé. In entrambi il mangiare è lo spartiacque del rapporto tra io e mondo, tra sé e gli altri, ciò che mi allontana o mi avvicina, ciò che posso dominare o che può dominarmi. La solitudine familiare ingigantisce questo bisogno ed esaspera questa relazione, abbattendo qualsiasi esigenza di qualità di cibo […] l’accidente quantità diventa di gran lunga il più importante in questa relazione abnorme, per cui l’adolescente che si sente solo, vuoto, ha bisogno di riempirsi fino a star male e fino a spostare su di sé quei sentimenti di ostilità che nutre verso il contesto familiare. Il senso di disprezzo con cui giudica la sua impotenza a controllarsi è segno di un aiuto che non trova (cf. A.N. SIRIWARDENA, The acceptability of personal learning plans in vocational training, in Postgraduate Medical Journal 73 [1997], p. 21). 11 solo per la difficoltà ad isolarlo da restrizioni alimentari di diversa e varia eziologia, ma anche per le caratterizzazioni culturali e sociali che pongono problemi in un’ottica trans-culturale. Le persone che soffrono di anoressia sono molto spesso giovani donne che hanno in genere un buon livello intellettivo con un curriculum scolastico superiore alla norma. Le caratteristiche psicologiche più frequenti sono il perfezionismo, l’iperattivismo e una bassa autostima associati ad una paura irrealistica dei fallimenti, a difficoltà nella sfera sessuale (rifiuto della femminilità e del proprio corpo,30 non accettazione della sessualità e del divenire adulte) a problemi relazionali (insicurezza). Anche nei maschi, accanto all’infaticabile ricerca di una magrezza assoluta, prevarrebbero la brama di diventare “qualcuno”, l’iperattivismo,31 il perfezionismo; ugualmente importanti i difetti dell’autostima e della consapevolezza del proprio valore. E’ importante evidenziare il fatto che sebbene non siano descritti sicuri elementi predisponenti, è frequente trovare nella storia di questi pazienti un passato infantile e adolescenziale di modesta obesità che determina l’inizio delle restrizioni alimentari. Dobbiamo inoltre ricordare che la nostra cultura sostiene ed incoraggia un modello di magrezza. Per le anoressiche il corpo è come una cosa suicida e grossolana di cui esse hanno totalmente orrore. Il rifiuto del proprio corpo sarebbe legato al desiderio inconscio di non assumere l’aspetto e le forme caratteristiche del proprio sesso, di negarsi quindi un ruolo e un’identità sessuali. La psicoanalisi ha anche indicato la presenza nelle anoressiche di fantasie relative alla possibilità della fecondazione attraverso la bocca: il senso di colpa derivante da tali fantasie attiva un conflitto inconscio dal quale il soggetto si difende con il rifiuto di alimentarsi (cf. FONDAZIONE UMBERTO VERONESI – CORRIERE DELLA SERA (edd.), Salute, vol. I: Dizionario Medico, Milano 2005, p. 266). 30 La quantità di azioni in cui s’impegna un soggetto può costituire un sintomo che quasi sempre è difficile riconoscere quando viene valutato da solo, perché confina con il comportamento normale. Analizzata come condotta isolata, si può supporne il carattere morboso quando attesta l’incapacità del soggetto a non impegnarsi in un’azione. Costituisce allora un’anomalia. Questo segno è caratteristico di tutti gli stati di iperattività, principalmente degli stati maniacali (cf. M. HARDY – C. BAYLE, Iperattività, in R. DORON– F. PAROT– C. DEL MIGLIO (edd.), Nuovo Dizionario di psicologia, Borla, Roma 2001, pp. 390-391). 31 12 Diete e canoni estetici improntati ad un corpo snello, agile, scattante e possente sono elementi co-causali nello scatenare e/o mantenere il disturbo. Sono queste le stesse caratteristiche psicologiche che sostengono l’uso di sostanze dopanti anabolizzanti. Di solito, l’inizio della condotta anoressica coincide con una dieta, che segue un’evoluzione precisa: da una prima esclusione degli alimenti più ingrassanti (la carne è una delle prime a sparire) si passa a restrizioni sempre più estese, fino a consumare soltanto qualche verdura scondita. Anche il doping – come l’anoressia – produce riduzione dell’appetito. L’anoressica cerca qualsiasi scusa per non nutrirsi. Lamenta di non aver digerito, di non sentirsi bene o di non poter mangiare un certo alimento, fornendo spiegazioni dettagliate, oppure non si presenta ai pasti, e si organizza in modo da essere sempre altrove. Se poi non riesce a farla franca i sistemi per rimediare sono tanti: dal buttare il cibo nel tovagliolo per poi gettarlo, al lasciare tutto nel piatto cercando di catalizzare l’attenzione altrui il più lontano possibile. Queste condotte di evitamento sono presenti anche nei giovani che usano sostanze dopanti. Ad esempio, per sfuggire ai controlli antidoping i giovani atleti possono ricorrere a varie strategie quali l’uso preventivo e nascosto dei diuretici o di altre sostanze che hanno la funzione di mascherare e di eliminare le sostanze dopanti. A tavola, poi, l’anoressica sminuzza il cibo in parti piccolissime, seguendo una specie di rito dai contorni maniacali. Parla sempre dei cibi che mangiano gli altri, non esitando a cucinare ogni volta che ne ha l’occasione. E’ anche molto informata sulla composizione dei cibi e sul loro valore nutrizionale.32 Il DSM-IV distingue due tipologie di anoressia nervosa: • nel sottotipo con restrizioni il decremento ponderale è dovuto a restrizioni alimentari; 32 Cf. A. CODIGNOLA, Un impegno di peso, in Corriere Salute 11/21 (1999), p. 5. 13 • nel sottotipo con abbuffate/condotte di eliminazione, il soggetto si sottopone regolarmente ad abbuffate e condotte di eliminazione. Numerose differenze fra questi due sottotipi convalidano tale distinzione. Il sottotipo con abbuffate/condotte di eliminazione sembra essere di natura maggiormente psicopatologica: i soggetti presentano turbe della personalità, comportamenti impulsivi, cleptomania, abuso di sostanze quali alcolici e stupefacenti, fobia sociale e manie suicide in misura maggiore rispetto a coloro che appartengono al sottotipo con restrizioni.33 Anche in relazione all’uso di sostanze dopanti possiamo distinguere un sottotipo con restrizione, come nel caso dei body builder che si sottopongono a diete molto rigide; e un sottotipo con abbuffate e/o condotte di eliminazione, come nel caso in cui gli atleti ricorrono ad una assunzione ripetuta e compulsiva di sostanze, o ad una assunzione più massiccia come dosi in vista di una prestazione sportiva agonistica importante. 3.3. Bulimia nervosa Caratteristica fondamentale della bulimia34 è l’ingestione di grandi quantità di cibo in breve tempo (letteralmente bulimia significa fame da bue). Bisogna distinguere il comportamento sintomatico dalla sindrome bulimica vera e propria. Il comportamento bulimico può essere presente in altri disturbi alimentari (anoressia, obesità, disturbi da eccessi alimentari saltuari), in malattie psichiatriche 33 Cf. G.C. DAVIDSON – J.M. NEALE, Psicologia clinica, Zanichelli, Bologna 22000, pp. 210-211. Le cause della bulimia possono essere molteplici: le più chiare sono quelle che fanno riferimento a squilibri organici. Disturbo al tubo digerente (ulcera gastrica e duodenale), malattie metaboliche (diabete mellito, obesità, gotta) e dell’apparato endocrino (ipertiroidismo, acromegalia) possono presentare la bulimia come sintomo. Un caso particolare è dato dalla sensazione di fame insaziabile derivata dalla presenza nell’intestino dell’organismo umano della tenia (cf. FONDAZIONE UMBERTO VERONESI, Op. cit., p. 566). 34 14 (schizofrenia, distimie e isteria), in malattie neurologiche (traumi, demenza, epilessia temporale), in disendocrinie. La frequenza della sindrome è 10 volte superiore nel sesso femminile e l’esordio è in età adolescenziale o giovanile. Le cause, come per l’anoressia, non sono state precisate. Anoressia e bulimia sono strettamente collegate, infatti, il 50% delle anoressiche presenta episodi bulimici ed il 3% circa dei bulimici presenta episodi di anoressia. Inoltre gli episodi bulimici spesso caratterizzano il processo di guarigione dell’anoressia. Sono stati sottolineati i legami con la depressione che è comunque molto frequente nelle famiglie dei bulimici. L’esordio è spesso improvviso e talvolta segue un periodo di dieta ferrea. Il cibo viene inghiottito in grandi quantità, spesso senza venir masticato opportunamente o senza venir cotto, addirittura può essere ingerito allo stato congelato. Le crisi possono essere scatenate da situazioni ed emozioni spiacevoli ma anche da esperienze positive. Seguono malessere, nausea, sentimenti di vergogna e di colpa, depressione. Possono essere presenti anche sentimenti di depersonalizzazione35 e derealizzazione. Infine si verificano comportamenti finalizzati a compensare l’abbuffata quali il vomito auto-indotto, l’uso improprio di lassativi e/o diuretici, pericolosi sul piano fisico. Tali comportamenti compensatori sono legati alle alterazioni dell’immagine corporea, che costituisce una costante dei disturbi dell’alimentazione, attraversando le varie categorie. Nei periodi di remissione sintomatica sono spesso presenti labilità emotiva oppure freddezza emotiva, tossicodipendenza e disadattamento. 35 Simile al disturbo di personalità multipla, la depersonalizzazione si attua quando si perde il senso della propria realtà che fa parte essenziale dell’identità. Questo quadro comporta un’alterazione nella percezione o nell’esperienza di sé, in cui l’abituale sensazione della propria realtà risulta temporaneamente perduta o cambiata. Ciò si manifesta con un sentimento di distacco e con la sensazione di essere un osservatore esterno dei propri processi mentali e del proprio corpo, o di sentirsi come se fosse un automa o come se fosse in un sogno. Sono spesso presenti vari tipi di anestesia sensoriale e la sensazione di non avere il completo controllo delle proprie azioni, compreso il discorso (cf. V. POLIZZI, Op. cit., p. 85). 15 Anche per la bulimia nervosa, come per l’anoressia, si distinguono due sottotipi: con condotte di eliminazione e senza condotte di eliminazione. In quest’ultimo caso i comportamenti compensatori sono il digiuno e l’attività fisica eccessiva. Come prevedibile, i soggetti con bulimia senza condotte di eliminazione tendono ad avere un peso corporeo maggiore di quelli appartenenti al primo sottotipo. Inoltre, hanno crisi bulimiche meno frequenti e una psicopatologia di minore entità rispetto ai soggetti con bulimia con condotte di eliminazione.36 Molti elementi comuni all’uso di sostanze dopanti sono già state messe in evidenza nel paragrafo precedente. Ritengo tuttavia sia stato particolarmente importante delineare il quadro di queste condotte alimentari soprattutto per evidenziare la presenza di sentimenti di de-realizzazione e di de-personalizzazione in quegli atleti che, in seguito a sconfitte e insuccessi, possono ricorrere all’uso delle sostanze dopanti allo stesso modo dei bulimici. Inoltre, una condotta analoga a quella bulimica può essere rintracciata nell’uso di alcune sostanze che aumentano la massa muscolare (es. la creatina e gli anabolizzanti) e di altre che servono invece per eliminare il peso corporeo (es. i diuretici). 4. Disturbi dell’alimentazione non altrimenti specificati La categoria include quei disturbi dell’alimentazione che non soddisfano i criteri di nessuno specifico disturbo dell’alimentazione. A questa categoria appartiene la sindrome da assunzioni incontrollate di cibo (BED). La BED (Binge Eating Disorder) è una sindrome caratterizzata da incontrollate assunzioni di cibo (BED).37 36 cf. G.C. DAVIDSON – J.M. NEALE, Op. cit., p. 213. L’allarme arriva dallo psichiatra Mario Maj, Presidente della Società Italiana di Psichiatria, e dal neuro-psico-farmacologo Michele Carruba: il BED (binge eating disorder) colpisce persone che non hanno nessuna fame, ma in realtà soltanto un grave e improvviso attacco d’ansia. Si tratta di un disturbo differente dalla più nota bulimia, che è invece un’alterazione cronica. Gli attacchi di BED durano almeno due ore e quando arrivano, spesso come meccanismo che tenta di alleviare l’ansia o la depressione, sono fortissimi. Chi ne è colpito, ingurgita letteralmente quantità di cibo 37 16 Tipico è l’assalto notturno al frigorifero e alla dispensa della cucina. Durante un attacco di BED il soggetto prova la netta sensazione di non riuscire più a fermarsi, né di poter controllare cosa sta mangiando e come lo stia mangiando. In America il BED colpisce il 3,5% della popolazione adulta, con punte del 5% fra le donne. E’ un disturbo che interessa entrambi i sessi (2 maschi ogni 3 donne), mentre la bulimia riguarda soprattutto il sesso femminile. In Italia uno studio condotto dall’Università di Napoli su 919 studentesse fra i 13 e i 19 anni, ha individuato 37 pazienti BED, delle quali solo 2 apparivano subito pienamente affette. Ad essere interessati sono comunque soprattutto giovani adulti: il disturbo insorge in genere nella tarda adolescenza, oppure fra i 30 e i 40 anni.38 Particolarmente colpiti sembrano gli individui in soprappeso che stanno facendo una dieta: in questo caso la frequenza arriva al 50% e in media il 30% di chi si sottopone a programmi di controllo del peso sarebbe affetto da BED. Alcuni sintomi dei soggetti affetti da BED: • mangiano ad una velocità impressionante; • continuano fino a sentirsi scoppiare; • si abbuffano senza avere in realtà alcuna fame; • lo fanno da soli perché si vergognano; • quando hanno finito sono disgustati da ciò che hanno fatto e si sentono depressi e pieni di sensi di colpa; • dopo l’abbuffata non cercano mai di autoindursi il vomito, né prendono purghe o tentano di restare un po’ di tempo a digiuno, come invece accade nell’anoressia e nella bulimia. E’ possibile rintracciare comportamenti analoghi nei body builder che mangiano solo determinati cibi (prevalentemente carne e proteine), fanno uso di creatina in pantagrueliche ad una velocità incredibile (cf. C. PECCARISI, Abbuffate d’ansia, in Corriere Salute, 14/17 (2002), p. 3). 38 Cf. Ibid. 17 polvere e “bibitoni” di altre sostanze energizzanti, mentre si sottopongono ad allenamenti intensi e ripetuti in più sedute nell’arco della stessa giornata. 5. In sintesi La conclusione cui possiamo giungere, al termine di questo percorso, suggerisce che i disturbi del comportamento alimentare si accompagnano ad una sofferenza psicologica spesso molto intensa anche se poco visibile e negata. Come abbiamo cercato di delineare è la stessa sofferenza psichica (patologia della dipendenza e dell’appartenenza) che sostiene l’uso di sostanze dopanti. Il fatto di trovarsi di fronte ad un disturbo psichico può spaventare, ed essere motivo di vergogna, per cui si può essere indotti a nasconderlo agli altri oltre che a se stessi. Inoltre se si tiene presente che i comportamenti troppo restrittivi e le pratiche per perdere peso sono i fattori scatenanti un disturbo alimentare, è evidente che la pubblicità non fornisce certo una corretta ed equilibrata informazione ma piuttosto, facendo leva sui fattori di vulnerabilità psicologica, può indurre atteggiamenti irrazionali e a rischio. Queste motivazioni hanno la loro validità anche nel caso di ricorso al doping. Le diete, le creme anticellulite, gli integratori alimentari, sono un argomento costante e in aumento esponenziale. I costrutti del peso,39 della forma, della potenza, dell’efficienza e del controllo, sono delle costanti nei modelli culturali veicolati dalla pubblicità. Controllare l’alimentazione equivale a controllare il peso, la forma, l’identità stessa: significa avere un campo in cui giocare e sperimentare il proprio successo; significa 39 Il peso corporeo rappresenta l’espressione tangibile del bilancio energetico tra entrate e uscite caloriche. L’energia viene introdotta con gli alimenti e utilizzata dal corpo sia durante il riposo (per mantenere in funzione i suoi organi interni, quali cervello, polmoni, cuore, ecc.), sia durante l’attività fisica (per far funzionare i muscoli). Se si introduce più energia di quanta se ne consuma, l’eccesso si accumula nel corpo sotto forma di grasso, determinando un aumento di peso oltre la norma, sia nell’adulto che nel bambino (cf. ISTITUTO NAZIONALE DELLA NUTRIZIONE, Linee guida per una sana alimentazione italiana, Roma 1997, p. 3). 18 proteggersi anche dal rischio di fare uso di sostanze dopanti per migliorare la prestazione sportiva. Parafrasando un’affermazione della professoressa Anna Oliverio Ferraris, riferita al cibo, possiamo concludere questo capitolo in questo modo: “Sotto la spinta di un riflesso condizionato, mangiare in eccesso, come fare uso di doping, può diventare un modo rapido e immaturo di consolarsi, di fronteggiare le frustrazioni, reagire alla noia, riempire un vuoto affettivo, con tutte le conseguenze che questa abitudine comporta per la salute fisica e lo sviluppo psicologico”.40 Non poteva a questo punto mancare un resoconto dettagliato delle sostanze dopanti e degli effetti delle stesse sul corpo41 di chi ne fa uso. E’ un capitolo, quello che segue, fondamentale anche per l’assenza, in letteratura, di un contributo scientifico ragionato che metta insieme tutte le sostanze e gli effetti delle stesse. 40 cf. A. OLIVERIO FERRARIS, Il ricatto della pappa, in Mente e cervello 4/19 (2006), p. 43; cf. WINNICOTT D.W., Sviluppo affettivo e ambiente, Armando, Roma 21997 pp. 102-103. 41 cf. E. GADDINI, Note sul problema mente-corpo, in Rivista di psicoanalisi, 17 (1981), pp. 33-47. 19