OTORINOLARINGOIATRIA Prof. Galli, 14/3/2008, ore 8:30-10:30 Le slide di questa lezione sono disponibili sul computer dell’aula Vito. RINOSINUSITI Processo infiammatorio acuto o cronico che interessa la mucosa del naso e dei seni paranasali che progredisce in forma infettiva, a genesi multifattoriale. Oggi c’è un accordo a considerare naso e seni paranasali un continuum in senso anatomico e fisiologico e quindi anche fisiopatologico, perciò le riniti e le sinusiti non sono più considerate separatamente. Infatti la sinusite raramente interessa una sola sede, tranne la sinusite mascellare ad eziologia specifica come ad esempio quella odontogena, in quanto il seno mascellare contrae rapporti con l’arcata dentale, o la sinusite di origine traumatica, altrimenti le sinusiti nascono sempre da un processo infiammatorio della fosse nasali. La rinosinusite è una problematica frequente nella pratica ambulatoriale con cui si confrontano sia i medici generici sia specialisti, che causa importanti problemi sociali come assenze dal lavoro, e che spesso può cronicizzarsi e una volta cronicizzato spesso bisogna ricorrere all’intervento chirurgico, quindi una diagnosi non tardiva della forma acuta evita queste sequele. La forma acuta ha una elevata incidenza dal momento che il 90% della popolazione va incontro a raffreddore comune nell’arco di una stagione. Colpisce il 16% della popolazione USA e l’8% di quella Europea e, anche se i dati epidemiologici sottostimano il fenomeno, rimane elevato l’impatto economico e socio-sanitario che questa patologia può avere. La forma cronica, per la sua sintomatologia più sfumata, consta di dati epidemiologici più nebulosi, comunque l’incidenza si aggira intorno al 14% della popolazione. L’eziologia infettiva gioca un ruolo determinante, le forme infettive a carico delle prime vie aeree, anche a livello faringo-tonsillare, sono dovute a virus influenzali e parainfluenzali che danneggiano l’epitelio ciliato, alterano l’immunità locale e favoriscono l’adesione di batteri. Infatti negli episodi di febbre e faringodinia dei bambini di solito si attendono tre giorni prima di iniziare la terapia antibiotica perché gran parte delle volte l’eziologia è virale. Successivamente compare una flora batterica piuttosto specifica caratterizzata dallo Streptococco pneumoniae, da H.influenzae e dalla Moraxella catarrhalis che spesso agiscono in associazione nelle rinosinusiti acute; questo ha risvolti nella terapia antibiotica, che a livello ambulatoriale è empirica, quindi si deve usare un antibiotico ad ampio spettro cui siano sensibili questi tre germi. Nelle forme croniche invece, che spesso derivano da protratti cicli di terapia antibiotica che selezionano ceppi batterici resistenti, la flora cambia a favore dello S aureo, degli anaerobi e dei gram negativi. Inoltre, vista la presenza della S.pneumoniae, sono possibili complicanze quali una meningite pneumococcica per diffusione del germe da una rinosinusite o un’otite, e in questo caso il primo consulente che l’infettivologo chiama per cercare di identificare il focolaio primario è proprio l’ otorinolaringoiatra. Esistono poi batteri atipici come Mycoplasma, Chlamydia pneumoniae e Legionella coinvolti nei casi di resistenza agli antibiotici comuni. Infine ci sono le forme da miceti, che, mentre prima erano più rare e specifiche di soggetti immunocompromessi, oggi si è visto che possono essere causa, anche come saprofiti, di molte forme di rinosinusite ipereosinofile, come risposta agli antigeni dei miceti. Quindi la regola è che l’infezione è sempre preceduta da un evento infiammatorio, a volte asintomatico, che ne costituisce la premessa indispensabile con un coinvolgimento plurisinusale, ad eccezione della sinusite odontogena che interessa solo il mascellare. Il ruolo fondamentale è svolto dal complesso ostio-meatale, la cui importanza è stata confermata grazie alla TC all’utilizzo delle fibre ottiche: esso è un’unità funzionale costituita dagli osti di sbocco del seno mascellare, delle cellule etmoidali anteriori e dall’infundibulo, che è una zona piuttosto ristretta localizzala a livello del meato medio nasale, e quindi dal turbinato medio e dal meato medio sottostante. Tale complesso è la zona da cui partono gran parte delle infiammazioni naso-sinusali, cioè tutte queste strutture contenute nel meato medio quando vanno incontro al processo infiammatorio determinano lo sviluppo del circolo vizioso della rinosinusite: ostruzione, disventilazione, infiammazione. Quindi un’infiammazione causa il blocco degli osti che permettono il drenaggio ad opera della clearance mucociliare dai seni paranasali alle fosse nasali. In particolare l’ostruzione del complesso ostio-meatale (regione di sbocco dei seni paranasali anteriori: seno mascellare, frontale ed etmoidale anteriore) e del recesso sfeno-etmoidale (regione di sbocco dei seni paranasali posteriori: seno sfenoidale, seno etmoidale posteriore) determinano disventilazione nei relativi distretti di competenza che dà origine al circolo vizioso. Alla base dell’ostruzione possono esserci anche alterazioni strutturali anatomiche, tra queste la deviazione del setto nasale è la più comune, che determinano un restringimento a livello del meato medio, ed essendo questo la sede di sbocco di questi complessi , queste alterazioni predispongono ad una maggiore suscettibilità all’ostruzione in caso di raffreddore, di infezione, di edema anche di natura non infettiva (rinite vasomotoria, allergica, poliposi nasale). Si realizza così un circolo vizioso che a partire dalla disventilazione determina ipossia, cui fa seguito vasodilatazione, aumento del trasudato, ristagno di secrezioni, aumento delle globet cells, ipersecrezione mucosa, sovrainfezione batterica, rinosinusite. Infatti il trasporto mucociliare è un processo attivo, per di più antigravitario, ad esempio l’ostio del seno mascellare ha una localizzazione più alta rispetto al pavimento, quindi se il trasporto mucociliare non funziona le secrezioni ristagnano. Gli osti accessori invece sono localizzati nella parete laterale del seno paranasale, interessano principalmente il seno mascellare e sono indicativi di un processo cronico, cioè le secrezioni escono dall’ostio principale e rientrano nell’ostio accessorio, ma questa è una variante anatomica. Come già detto, anche varianti strutturali possono concorrere al restringimento degli osti, tramite varianti di strutture localizzate nel meato medio: la concha bullosa: un turbinato medio dilatato perché ripieno d’aria. curvatura paradossa del turbinato medio: ha una convessità anziché verso il tetto, verso la parete laterale del naso. creste settali stenosanti: patologia frequentissima, quando sono così acuminate da spingersi verso il meato medio sono causa di ostruzione dello stesso. Pneumatizzazione del processo uncinato con riduzione dello spazio dell’infundibulo. Megabulla. Ipertrofia agger nasi. Sono una serie di varianti anatomiche che non dovete conoscere ma che ci danno l’idea dell’importanza della disventilazione cui partecipano fattori strutturali (varianti anatomiche), edema della mucosa (allergica, vasomotoria o poliposica), fattori infiammatori su base virale, batterica o micotica. Quindi da ricordare che il meato medio, sede del complesso ostio-meatale, è uno spazio angusto, qualsiasi fattore che ne causa restringimento può portare a ostruzione. In virtù di ciò, oggi la chirurgia del naso è molto più mirata nell’asportazione di mucosa grazie all’aiuto dell’ endoscopia fibre ottiche, che permette di intervenire in maniera più selettiva, mantenere più mucosa indenne possibile senza gli esiti cicatriziali tipici della chirurgia del passato, che denudava della mucosa tutte le fosse nasali e i seni paranasali ritenuti infiammati in maniera irreversibile, tramite un accesso transfacciale, con conseguenze funzionali di ristagno di muco per la perdita del trasporto mucocilare dovuta all’ingente asportazione di mucosa. Inoltre, mentre prima la chirurgia del naso prevedeva la creazione di osti accessori (controaperture) in senso gravitazionale, cioè alla base dei seni paranasali, oggi le controaperture si fanno a livello del complesso ostiomeatale oppure si allargano gli osti naturali per permettere il normale funzionamento del trasporto mucocilare. Le rinosinusiti vengono classificate in base alla durata del processo infiammatorio: Acuta: 10 giorni – 4 settimane. Acuta ricorrente: 4 o più episodi acuti all’anno. Subacuta: 4-12 settimane. Cronica: oltre 12 settimane. Riesacerbazione acuta di forma cronica: cioè un episodio acuto che non si risolve con restitutio ad integrum come nelle acute, ma che si somma a una forma cronica di base e che si risolve con il ritorno alla forma cronica dopo trattamento. La diagnosi di rinosinusite acuta si fa in base a: Criteri maggiori: Ostruzione e congestione nasale Rinorrea mucopurulenta visibile dal naso (anteriore) ma spesso sono viste anche attraverso l’orofaringoscopia, basta deprimere la lingua e guardare la parete posteriore dell’ orofaringe, che essendo in continuità col rinofaringe, si può vedere la secrezione che cola verso il basso. Iposmia-anosmia: cioè disturbi della funzione olfattiva derivanti da edema del processo infiammatorio, definite iposmia-anosmia meccaniche, perché l’aria non può fisicamente stimolare i recettori proprio perché non ci arriva a causa dell’edema. Febbre, solo nel 50% dei casi è significativa (>37,7°) Dolore caratteristico con senso di pressione a carico del volto, acuto, intenso, persistente nei punti di proiezione dei seni paranasali nelle forme acute (cefalea frontale) Congestione, senso di peso al volto, ottundimento, nelle forme croniche. Criteri minori: Febbricola ( più tipica delle forme di sinusite subacuta e cronica) Alitosi, che può essere comune a molte altre patologie Astenia Odontalgia, dolore a carico dell’articolato dentario Tosse notturna, per lo scolo di secrezioni, in paziente con tosse cronica bisogna sempre pensare a rinosinusite. Dolore o ovattamento auricolare, perché un infiammazione nasale può portare a disventilazione anche dell’orecchio attraverso una ostruzione della tuba di Eustachio. Quindi abbiamo un forte sospetto di sinusite quando abbiamo due criteri maggiori o un criterio maggiore e due o più criteri minori, abbiamo una storia suggestiva di sinusite, che va suffragata con altre indagini, in presenza di un criterio maggiore e due o più minori. In conclusione, all’esame obiettivo per sospetto di sinusite acuta andiamo a ricercare: Rinorrea purulenta Dolore facciale, che va evocato tramite pressione sui punti di proiezione dei seni coinvolti: o Parete anteriore del seno mascellare (guancia): sinusite mascellare o Canto mediale dell’occhio: sinusite etmoidale o Fronte e parte mediale dell’orbita: sinusite frontale o Retro-orbitario, occipitale o all’apice: sinusite sfenoidale, soprattutto nelle forme croniche Nelle forme acute può essere utile una radiografia per evidenziare un livello idroaereo ma nelle forme croniche l’esame dirimente è la TC. Il dolore sinusale è sempre presente, ma non tutte le cefalee vanno identificate con le sinusiti perché il dolore sinusale è un dolore specifico, che nel caso delle forme croniche è un dolore molto più sfumato, ma va sempre escluso con un esame clinico, diagnostico (radiologico). Per esempio, se il naso è perfettamente normale, non c’è secrezione e il paziente ha una cefalea frontale raramente è una sinusite. La sinusite acuta nella grande maggioranza dei casi si risolve con la terapia medica e un po’ di convalescenza a casa, tuttavia può richiedere ospedalizzazione quando è presente: Marcata iperpiressia: ricovero con terapia antibiotica endovenosa a massimi dosaggi. Sospetta sinusite nosocomiale (per recente intubazione in pazienti in terapia intensiva o per aspirazioni nasali di focolai polmonari), sostenuta da germi particolarmente aggressivi resistenti alle terapie antibiotiche. Soggetti immunocompromessi (diabetici, trapiantati, pazienti in trattamento con immunosoppressori) Sinusiti complicate RINOSINUSITE CRONICA La forma cronica è caratterizzata da danno irreversibile a carico della mucosa sinusale mediato da eosinofili, in particolare per l’azione lesiva della proteina basica maggiore che crea un danno mucosale su cui spesso si aggiunge la sovrainfezione. Ha una durata maggiore di dodici settimane. In linea generale le malattie diventano croniche per diversi motivi che possono essere: la particolare virulenza del germe, la persistenza dell’evento infiammatorio, che non necessariamente deve essere un infezione, per una inefficacia del trattamento antibiotico o antinfiammatorio utilizzato o per l’erronea durata della terapia antibiotica per cui il paziente sospende la terapia al primo miglioramento clinico, che non corrisponde all’eradicazione dell’agente batterico, e quindi si selezionano ceppi resistenti. L’esame clinico è fondamentale per la diagnosi, deve interessare tutti i distretti della testa e del collo, valutare la motilità e funzione oculare; i nervi cranici, ad esempio la sinusite sfenoidale insorge con una paralisi dell’abducente con una diplopia; la dolenzia e la dolorabilità del volto; l’ispezione della cute e dei tegumenti (se un paziente con sinusite ha anche edema della cute dovremo pensare ad una sinusite complicata e il paziente va ricoverato). Inoltre la possibilità di andare a vedere negli spazi angusti della mucosa nasale, oltre che con l’endoscopia tradizionale tramite l’endoscopia a fibre ottiche, cioè gli spazi compresi nei turbinati. Una cosa importante da ricordare è il decorso subdolo della sinusite sfenoidale; in un paziente che presenta, soprattutto nelle forme croniche, tosse notturna, cefalea al vertice della testa o occipitale, algia retrorbitaria e talora un deficit di motilità oculare va sempre fatta una TC del cranio e dei seni paranasali per ricercare la presenza di un focolaio sinusitico a carico del seno sfenoidale. Le indagini che permettono di completare la diagnosi sono: Puntura del seno mascellare: poco usata. Transilluninazione: poco usata. Esami di laboratorio: alterati nelle forme infettive. Prove allergiche Clearance mucocilare Endoscopia nasale Imaging: l’esame di prima scelta è la TC anche senza mezzo di contrasto perché ha una grossa definizione sull’osso, permette di differenziare l’aria dalla secrezione nei seni e permette la diagnosi di varianti anatomiche responsabili delle rinosinusiti ed eventuale indicazione alla chirurgia. Inoltre la correlazione tra dati ematochimici, endoscopici e radiologici fa sì che non sia necessaria la presenza di un opacamento massivo per porre la diagnosi, ma spesso anche un paziente con blocco selettivo degli osti, magari con seno mascellare parzialmente libero nonostante la terapia medica, con una storia clinica di forme ricorrenti viene considerato un paziente con forma cronica suscettibile di terapia chirurgica perché grazie alla fibre ottiche, con interventi superselettivi si può visualizzare e allargare esclusivamente la regione dell’ostio con ripristino della clearance mucocilare. Nelle forme complicate attraverso un trocar si aspirano le secrezioni attraverso il meato medio. Le complicanze della sinusite si dividono in locali, orbitarie ed endocraniche. La complicanza locale più frequente è il mucocele. È una raccolta di muco e può essere: primitivo: nel caso di cisti da ritenzione di una ghiandola che si dilata nello spessore della mucosa nasale. secondario: da infiammazione e cicatrizzazione degli osti del seno derivanti da traumi, interventi chirurgici che causano ostruzione dell’ostio, il seno si riempie di muco, questa sacca di muco si dilata e determina sintomi. Tali sintomi possono essere a carico del seno frontale, più raramente dei seni etmoidali, mascellari o sfenoidali; occasionalmente il mucocele può infettarsi trasformandosi in mucopiocele che è una sacca di muco benigna che si espande assottigliando ed erodendo l’osso e nel caso del seno frontale può andare ad interessare il cervello o l’orbita causando esoftalmo e diplopia. In passato la terapia era chirurgica, oggi con le fibre ottiche si può andare a drenare direttamente il seno interessato. Un’altra complicanza locale, oggi rarissima, è l’osteomielite che è un infezione dell’osso per estensione diretta o per una tromboflebite delle vene contenute nel tavolati ossei (vene diploiche); è più frequente a livello dell’osso frontale, meno frequente a livello delle ossa mascellari e dello sfenoide. Più importanti oggi sono le complicanze orbitarie perché il tetto dell’orbita è rappresentato dal pavimento del seno frontale, il pavimento dell’orbita è rappresentato dal tetto del seno mascellare, la parete mediale è rappresentata dalla lamina papiracea che è la parete laterale del seno etmoidale. Tra le complicanze caratteristiche elenchiamo la cellulite presettale in cui c’è un edema infiammatorio della palpebra per propagazione dell’infezione, senza disturbi del visus, con il bulbo oculare ancora mobile, dovuta anche a una ostruzione venosa. In questo caso il paziente va ospedalizzato, trattato con antibiotici e corticosteroidi a pieni dosaggi. Problemi più seri ci sono in caso di ascesso sottoperiosteo, ancora più grave è l’infezione che entra nell’orbita dando vita prima a una cellulite orbitaria, poi a un ascesso orbitario o trombosi del seno cavernoso. Quindi in caso di interessamento infiammatorio del bulbo oculare il trattamento antibiotico non è sufficiente, bisogna ricorrere a un intervento chirurgico perché in questi pazienti che si presentano con calo del visus, oftalmoplegia, bulbo oculare fisso, in poche ore si può arrivare alla perdita definitiva della vista. Le complicanze endocraniche comprendono: meningite ascesso epidurale, non supera la dura madre ascesso subdurale, più temibile ascesso cerebrale propriamente detto In questo caso il paziente va trattato chirurgicamente, va risolto il processo infettivo cerebrale e poi va operata la rinosinusite. Se nonostante la terapia medica l’ascesso continua a crescere si fa un drenaggio dell’ascesso e contestuale drenaggio del focolaio sinusitico. Esistono poi delle forme di rinosinusiti difficili rappresentate dalle sinusiti nosocomiali, già trattate. sinusiti micotiche che danno forme croniche non invasive extramucose, da Aspergillus nel 75% dei casi, che cioè non coinvolgono l’osso ma solo la mucosa che diventa iperplastica. sinusiti invasive dei pazienti immunocompromessi, da Aspergillus e mucoracee, che possono portare a morte il paziente. In questo caso la necrosi settica si verifica a carico della mucosa e dell’osso che bisogna asportare per evitare l’ulteriore necrosi; proprio in virtù dell’estesa necrosi si associano ad una forte sintomatologia algica. Micosi eosinofila: alla base c’è una iperattivazione degli eosinofili nei confronti di antigeni batterici o dei miceti normalmente presenti nel naso con liberazione della proteina basica maggiore. Per la diagnosi di queste forme: La presenza all’endoscopia di un muco molto spesso chiamato mucina allergica. Conta degli eosinofili nella secrezione Rast per miceti IgE totali TC Spirometria, perché spesso si accompagnano all’asma. EPISTASSI L’epistassi è un fenomeno emorragico della mucosa nasale che è caratterizzata da una ricca vascolarizzazione; si possono verificare tre tipologie di lesione del vaso responsabili del sanguinamento: ressi (da ferita), diabrosi (da ulcerazione), per diapedesi (da alterata permeabilità). È una patologia molto frequente perché il 60% della popolazione va incontro almeno una volta nella vita a un fenomeno di sanguinamento dal naso. La classificazione dell’epistassi può essere fatta in base all’eziologia, alla sede d’origine e alla gravità; la più seguita è quella eziologica che suddivide epistassi in sintomatiche ed essenziali. A loro volta le epistassi sintomatiche si dividono in epistassi locali da cause spontanee, epistassi locali da cause sistemiche e in epistassi provocate, che sono sempre sintomatiche, che possono essere da traumi, da interventi chirurgici o da lesioni accidentali. Le cause locali sono quello di più frequente pertinenza otorinolaringoiatria, sono ulcere del setto nasale per esempio causate dall’oso di cocaina che provoca vasocostrizione, ischemia, necrosi dei tessuti e si creano delle perforazioni settali, delle ulcere torbide che non guariscono mai e che continuano a sanguinare. formazioni sanguinanti a carico del setto nasale, formazioni benigne come: polipi sanguinanti del setto neoformazioni angiomatose un’altra forma temibile rappresentata dall’angiofibroma nasofaringeo che è una neoplasia benigna naso-sinusale così riccamente vascolarizzata dai rami arteriosi, vasi a grossa portata come quelli carotidei, che può portare a delle emorragie molto ingenti. flogosi acute della mucosa nasale, che danno vasodilatazione, congestione e quindi una maggiore facilità di fenomeni di sanguinamento per fenomeni di diapedesi. Rinopatie granulomatose: alcune malattie infiammatorie nasali possono essere la conseguenza di malattie autoimmunitarie sistemiche, pensiamo alla granulomatosi di Wegener. fenomeni vasomotori nasali: un esempio classico è quello della prolungata esposizione al sole. fenomeni di congestione venosa passiva nasale: pensiamo ai tumori della tiroide, del mediastino, del timo che comprimono la vena cava superiore, le vene giugulari o le vene anonime aumentando la pressione nei capillari venosi e rendendoli più suscettibili alla rottura. In generale tutti i fenomeni che causano un diminuito ritorno venoso del sangue cefalico verso il corpo, anche una posizione con la testa verso il basso nell’anziano può dare un’epistassi. In un paziente anziano o di media età, magari iperteso, diabetico, con epistassi vanno escluse le cause sistemiche. La prima causa di epistassi nella pratica clinica è rappresentata da picchi ipertensivi, è la causa di epistassi più temibile perché dà forme di sanguinamento recidivanti, copiose e che si controllano con difficoltà. Pazienti cardiopatici con diminuzione dell’attività di pompa, pazienti con malattie valvolari, in generale tutte condizioni che causano aumento di pressione nei distretti cefalici. Malattie del fegato che si ripercuotono sulla cascata della coagulazione, o deficit della vitamina K, deficit di fibrinogeno, sono malattie che si manifestano per prime a livello del naso. le emopatie: o tutte le malattie della serie rossa,( l’anemia perniciosa, malattia di Vaquez) o della serie bianca (agranulocitosi, leucomi acute) o della serie piastrinica (piastrinopenie, porpore) o diatesi emorragiche, che causano sanguinamenti cronici con conseguente anemizzazione che necessita di trasfusioni. Tutte queste diverse eziologie ci fanno capire che in un paziente con epistassi va ricercata l’origine con esami del sangue, visita cardiologica, valutazione della funzionalità epatica, verificare un’eventuale terapia anticoagulante-antiaggregante in corso. In questa immagine vediamo la ricca vascolarizzazione della mucosa nasale con i rami dell’arteria etmoidale superiormente, della sfeno-palatina posteriormente, così come la zona del locus di Valsalva che è una rete anastomotica nella parete anteriore del setto nasale. Altre cause sistemiche possono essere: l’uso di anticoagulanti-antiaggreganti il diabete i barotraumi (le grosse depressioni aeree cui possono andare incontri gli aviatori, i subacquei che creano uno squilibrio tra la pressione nasale e la pressione atmosferica con una improvvisa vasodilatazione); malattie virali e batteriche, ad esempio morbillo, scarlattina, difterite che attraverso una congestione della mucosa possono esordire con epistassi; alcune intossicazioni esogene possono avere un effetto tossico a livello della mucosa nasale. L’ultima parte riguarda i traumi: frattura dell’etmoide frattura del mascellare superiore frattura del basicranio traumi digitali, tipici dei bambini che si mettono le dita nel naso e vanno a erodere la mucosa della regione anteriore del setto nasale (locus Valsalvae) traumi operatori per interventi a livello del setto, dei turbinati o dei seni paranasali. Poi all’interno delle epistassi sintomatiche abbiamo le forme essenziali, definite come epistassi in cui l’eziologia non è ben definita. Per esempio le forme dei bambini, monolaterali (il sangue esce solo da un lato), moderate (autolimitantesi), spontanee, anteriori (il sangue esce dal davanti), sono quelle che appunto si verificano per le manipolazioni digitali, per l’esposizione prolungata della testa al sole o per sforzi improvvisi anche perché i bambini hanno una maggiore fragilità capillare e una maggiore congestione di queste varici nell’ambito del setto nasale. Oppure negli adolescenti ad habitus linfatico, è una popolazione infantile-pediatrica con una spiccata iperreattività del tessuto linfatico dell’anello del Waldeyer e quindi una maggiore predisposizione alla congestione attiva e passiva e quindi ai fenomeni di vasodilatazione. Infine ci sono le epistassi catameniali che si verificano nelle donne nel corso della mestruazione soprattutto nel periodo della prime mestruazioni. Nell’ambito della classificazione clinica per sede: le forme anteriori sono quelle che sono più facilmente diagnosticabili, perché si vedono, ed anche più facilmente trattabili. Le forme superiori e posteriori sono più gravi: le superiori nascono da un danno di un vaso a grossa portata, le arterie etmoidali anteriori e posteriori che sono rami dell’arteria oftalmica che è un ramo della carotide interna; le posteriori sono conseguenza di lesioni di un ramo dell’arteria sfenopalatina che è un ramo della mascellare interna a sua volta derivante dalla carotide interna e che quindi possono portare ad epistassi notevoli. Infine le epistassi possono essere classificate in base alla gravità: moderate, quelle che si trattano bene e sono rappresentate nella maggioranza dei casi dalle epistassi anteriori; severe, possono richiedere interventi invasivi tra cui l’intervento chirurgico con le fibre ottiche, questo perché, come già detto, la carotide è responsabile tramite i suoi rami della ricca vascolarizzazione nasale. Quindi in un paziente con epistassi bisogna fare un anamnesi accurata per accertare le cause: nell’immediato valutare l’entità della perdita ematica, lo stato generale, il ritmo, il polso e la pressione oltre che intervenire solo a tamponare il sangue, perché magari in un paziente con 220 di pressione magari si arresta il sanguinamento nasale ma, in assenza di interventi sulla causa scatenante, si espone il paziente ad emorragie in altri distretti, in primis quello cerebrale. L’esame obiettivo otorinolaringoiatrico è essenziale per valutare la sede e la gravità del sanguinamento. Le epistassi anteriori, quelle dei bambini da dilatazione delle varici, spesso si risolvono da sole, con la digitopressione coadiuvata con l’acqua ossigenata o con po’ di ghiaccio. Viceversa,per le epistassi anteriori che non si fermano in questo modo esistono dei tamponi, delle spugne di gelatina, delle spugne emostatiche o dei tamponi che si dilatano a contatto con il sangue, che posti nella fossa nasale determinano l’arresto dell’epistassi per compressione o favorendo la formazione del coagulo; queste sostanze spugnose hanno totalmente soppiantato il vecchio tamponamento a palizzata che ormai oggi non si fa più. Un’altra modalità di trattamento delle epistassi anteriori è quella di procedere con la causticazione del vaso responsabile tramite elettrobisturi o sostanze caustiche quali nitrato d’argento o l’acido tricloroacetico. Tuttavia la causticazione può essere fatta solo quando il responsabile del sanguinamento è facilmente identificabile in un'unica varice o in un unico vaso sanguinante Per quanto riguarda le epistassi posteriori il tamponamento nasale posteriore, è una manovra invasiva, più difficile, cui oggi si ricorre sempre meno, che consiste nell’introduzione attraverso la bocca di un tampone di garza oltre il rinofaringe a contatto con le coane dopo aver tamponato il naso anteriormente; il principio è quello di bloccare il sanguinamento derivante da rami arteriosi che spesso possono portare ad anemizzazione. Questo tampone, però, non può rimanere in loco più di 48 ore per il rischio di infezione da parte della flora batterica saprofita ma soprattutto perché causa un ingombro alla respirazione, ipossiemia nel paziente anziano o gastrite per ingestione di secrezioni infette. Si fa inserendo dal naso un catetere di gomma, riprendendolo dalla bocca, collegando il tampone posteriore all’estremità che è stata estratta dal cavo orale, poi si ritira il catetere dal naso e si va a posizionare questo tampone di garza dietro il rinofaringe. Effettuare questa manovra, in un paziente anziano, sveglio, durante l’epistassi e con i riflessi che suscita è molto complicato, spesso però è necessario. Queste categorie di pazienti sono cardiopatici, ipertesi, oltre i 50 anni e si è visto che la correlazione dell’epistassi con l’ipertensione è più con la sua durata che con la gravità. Quando si è fatto ricorso a tutte le procedure non chirurgiche, cioè tamponamento anteriore, tamponamento posteriore, ma alla rimozione del tampone c’è una ripresa dell’epistassi è necessario ricorrere a misure invasive. Esse sono di due tipologie: quella chirurgica, che oggi grazie alle fibre ottiche consente di individuare il vaso sanguinante e quindi di legarlo in periferia, e l’embolizzazione. Il principio è quello di andare a legare il vaso responsabile del sanguinamento, perché in una zona così vascolarizzata più a monte si fa la legatura più facile è la ripresa dell’epistassi grazie ai circoli anastomotici di compenso del sistema carotideo controlaterale. La legatura arteriosa, che va fatta nei traumi facciali con fratture del basicranio, negli angiofibromi del rinofaringe, in caso di neoplasie, può essere effettuata a vari livelli: legatura della carotide esterna, quindi nel collo, ma con un’alta percentuale di insuccesso, infatti nel 45% c’è risanguinamento perché c’è l’altra carotide con circoli anastomotici; legatura della mascellare interna con un intervento transmascellare, andando a prendere la mascellare interna nella fossa pterigomascellare. La percentuale di risanguinamenti è del 10% per anastomosi crociate del lato dominante, inoltre sono possibili complicanze come il danno del nervo infraorbitario derivante dalle procedure per accedere al seno mascellare. Via endoscopica trans-nasale, è la procedura utilizzata oggi perché è possibile conoscere bene l’anatomia della fossa nasale e vedere l’emergenza dei rami terminali dell’arteria sfenopalatina che si vanno a legare tramite clip metalliche o causticazioni. In questo modo si ha una percentuale di successo quasi del 100% in maniera molto poco invasiva. La embolizzazione arteriosa oggi si fa prima di interventi su masse facilmente sanguinanti, pensiamo all’ angiofibroma del rinofaringe, un tempo si operava preparando la carotide a livello del collo. Viceversa oggi prima di questo intervento si fa una arteriografia superselettiva, si identificano i vasi da cui è vascolarizzata la massa e si embolizzano il giorno prima, questo ha drasticamente abbattuto le percentuali di sanguinamento. Le controindicazioni di questa metodica sono: spesso ci può essere un sanguinamento di un ramo della carotide interna o ci possono essere dei rami anastomotici tra carotide interna ed esterna, in questo caso l’embolizzazione non si può fare perché andando ad embolizzare un ramo della carotide esterna c’è il rischio che passi nel circolo della carotide interna rendendo il paziente emiplegico; alterazioni ateromasiche vascolari, quindi il rischio di mobilizzare la placca e causare degli emboli nel distretto vascolare; allergia ai mezzi di contrasto; la non disponibilità di questa metodica in tutti i centri per gli elevati costi; un 94% di successo ma un 27% di complicanze. In definitiva oggi il metodo più sicuro per bloccare i vasi sanguinanti è l’intervento chirurgico con le fibre ottiche che consente di identificare l’arteria sanguinante e di legarla in maniera chirurgica, in alternativa l’embolizzazione quando ci sono circoli anastomotici tra carotide interna ed esterna. TUMORI DEL RINOFARINGE I tumori del rinofaringe sono considerati un gruppo di patologie molto insidiose per l’otorino, un tempo erano chiamati la “tomba dell’otorino”, proprio perché il distretto rinofaringeo è di difficile esplorazione, soprattutto con le vecchie metodiche. Oggi gran parte di queste difficoltà sono state risolte dalla possibilità di utilizzare fibroscopi flessibili, di piccolissimo diametro che consentono di esplorare perfettamente tutte le pareti del rinofaringe. Il rinofaringe si estende dalla base del cranio (quindi dalla parte più alta del canale faringeo) al velo palatino, ha una conformazione grossolanamente cubica e una serie di pareti: la parete anteriore è rappresentata dalle coane nasali, che la mettono in diretta comunicazione con il naso la parete inferiore è rappresentata dal velo palatino le pareti laterali sono la zona più insidiosa rappresentata dagli orletti tubarici, che sono lo sbocco delle tube di Eustachio, condotti muscolo-membranosi che mettono in comunicazione il faringe con l’orecchio medio. Le tube di Eustachio sono l’elemento fondamentale della fisiologia dell’orecchio medio, riforniscono le tube di aria, favoriscono il drenaggio e l’eliminazione delle secrezioni infette dall’orecchio e la loro ostruzione porta a patologie dell’orecchio. Poi ci sono le fossette di Rosenmuller, che sono degli spazi situati tra gli orletti e la volta del rinofaringe nella parete laterale. parete superiore: sfenoide. I tumori maligni del rinofaringe sono l’elemento centrale di questa trattazione e possono essere di diversi istotipi: epiteliali: o il carcinoma indifferenziato in questo sottogruppo è l’istotipo più frequente ed anche quello più radiochemiosensibile. o il carcinoma cellule squamose: più raro perché meno radiochemiosensibili e perché il rinofaringe è un distretto difficilmente aggredibile chirurgicamente. o di tipo ghiandolare, in quanto la mucosa è ricca di ghiandole salivari, tra questi possiamo avere: carcinoma mucoepidermoide carcinoma adenoidocistico adenocarcinoma Il faringe a livello delle tonsille palatine, della tonsilla faringea e alla base della lingua ha anche una ricca rappresentazione linfatica, il cosiddetto anello del Waldeyer, che può andare incontro a una trasformazione di tipo linfomatoso e quindi avremo tumori di istotipi linfatici: o linfomi non Hodgkin o plasmocitomi oltre a questi una serie di tumori più rari rappresentati da: condrosarcomi, osteosarcomi, fibrosarcomi, melanomi, cordomi e craniofaringiomi (gli ultimi due sono tumori che originano da residui della notocorda). Come abbiamo già detto il tipo istologico di tumore del rinofaringe più frequente è il carcinoma nel suo istotipo indifferenziato che può essere più o meno cheratinizzato (lo è per esempio nel carcinoma a cellule squamose), è tipico del Sud-Est asiatico, nelle nostre zone è meno frequente (15 casi per milione di abitanti), l’eziologia è multifattoriale come gran parte dei tumori del distretto otorinolaringoiatrico e sicuramente fattori genetici, ambientali e virali sono implicati, infatti studi di genetica molecolare hanno associato il carcinoma indifferenziato del rinofaringe all’Epstein-Barr virus ritrovato all’interno delle cellule neoplastiche. Le sede di insorgenza più frequente è rappresentata dalle fossette di Rosenmuller, quindi dalla regione sovratubarica delle pareti laterali del rinofaringe, zona di difficile esplorazione con le tecniche di indagine tradizionali quali la rinoscopia posteriore. I tumori del rinofaringe hanno la peculiarità di avere una fase iniziale con scarsa sintomatologia, quindi vengono spesso diagnosticati in maniera tardiva. L’accrescimento può essere anteriore, posteriore, laterale o inferiore e in base all’accrescimento si giustificano i sintomi del tumore: se il tumore avrà un accrescimento anteriore le manifestazioni saranno prevalentemente nasali e prima di arrivare ad una ostruzione delle coane avremo una rinorrea mucosa con striature ematiche, che va sempre indagata per escludere una neoplasia. Altri segni o sintomi che devono insospettire sono rappresentati da quelli otologici, associati ad un accrescimento laterale delle neoplasie peritubariche: il paziente riferisce ovattamento auricolare, presenta un quadro di otite siero-mucosa, una riduzione della capacità uditiva dovuta all’accumulo di secrezione mucosa dovuta a una stenosi tubarica che non si risolve dopo terapia medica. Un segno tardivo è rappresentato dalle linfoadenopatie, il rinofaringe drena a livello della catena accessoria post-spinale, cioè la catena posteriore del collo, la presenza di adenopatia a questo livello deve sempre far pensare a un tumore del rinofaringe. Ovviamente con il passare del tempo i sintomi diventano più manifesti, allora i sintomi auricolari, inizialmente sfumati, diventeranno persistenti. Per esempio in un paziente adulto che ha un’otite media sieromucosa, monolaterale e che non risponde a nessuna terapia va escluso assolutamente il tumore rinofaringeo o con la TC o con la faringoscopia. Oppure in un paziente che ha una rinolalia chiusa posteriore con un ingombro del rinofaringe, in questo caso il tumore è manifesto, il paziente non riesce a respirare e parla come quando si ha il naso tappato per via dell’ostruzione nasale spesso completa. Altre volte abbiamo il coinvolgimento dei nervi cranici che possono determinare le sindromi paralitiche associate, anteriori o posteriori, che si realizzano quando il tumore è in fase avanzata in cui dal naso si è diffuso, attraverso i forami del basicranio e lo sfenoide, verso la base del cranio andando a coinvolgere nelle forme anteriori il II, III, IV, V, VI paio di nervi cranici variamente combinati fra di loro, oppure le ultime quattro paia di nervi cranici (IX, X, XI, XII) nella sindrome paralitica associata posteriore. Esse danno una serie di sintomi visibili all’esame obiettivo, con ripercussioni sulla sensibilità e sulla motilità: nel caso degli ultimi nervi cranici a carico del faringe, del velo palatino, della lingua, della motilità delle corde vocali, nel caso della sindrome paralitica anteriore a carico del distretto rino-orbitario con deficit di sensibilità, deficit di mobilità dell’occhio, ptosi palpebrale. Quindi all’esame obiettivo un paziente che presenta una massa nel rinofaringe, una ptosi palpebrale, un’oftalmoplegia, uno ipoestesia dei distretti di innervazione naso-sinusale e cutanei facciali deve far sospettare un tumore alla base del cranio. Vediamo quali sono le paralisi associate anteriori: se la paralisi interessa il III, IV, la prima branca del V e il VI paio di nervi cranici viene chiamata sindrome di Charles Foix o sindrome della parete laterale del seno cavernoso. Il seno cavernoso e quella struttura venosa situata lateralmente allo sfenoide, questo spiega come il tumore del rinofaringe attraverso lo sfenoide va a coinvolgere il seno cavernoso. Questa sindrome è caratterizzata da oftalmoplegia, si bloccano i nervi che regolano la muscolatura estrinseca dell’occhio, ptosi palpebrale (per l’interessamento del III, IV, VI paio di nervi cranici), nevralgia, ipoestesia, parestesia (per il coinvolgimento della prima branca del V) localizzate alla cute del naso, alla fronte, alla palpebra superiore e al bulbo oculare. se a questi nervi (III, IV, prima branca del V, VI) si aggiunge la paralisi del II paio avremo la sindrome di Rochon-Duvigneaud o sindrome dell’apice dell’orbita con cecità o netta diminuzione dell’acuità visiva. Il tumore si accresce attraverso lo sfenoide verso l’apice dell’orbita e il seno cavernoso. Quindi l’esame otorinolaringoiatrico non si deve limitare solo a una valutazione morfologica dei distretti ma bisogna fare un’ ispezione del volto e del collo, una palpazione andando a vedere possibili masse nel collo, la sensibilità della faccia, degli occhi, la motilità palpebrale. In seguito anche una ispezione delle cavità, anche qui non bisogna soffermarsi ad una valutazione morfologica ma andare a valutare la motilità della lingua per accertare un eventuale deficit dell’ipoglosso, far pronunciare delle vocali e vedere se il velo palatino si innalza (per verificare se c’è un deficit del IX) o se le corde vocali si muovono. Bisogna fare quindi tutta una serie di manovre semeiologiche che consentono di valutare l’integrità dei singoli nervi cranici. Se poi alla paralisi del II, III, IV, VI si associa la paralisi della seconda branca e della terza branca e della radice motoria del V avremo una sindrome completa, di ipoestesia-anestesia estesa a tutto il territorio di innervazione cutaneo-mucoso oltre a sintomi e segni prima elencati, che si chiama sindrome petro-sfenoidale o sindrome di Negri-Jacod. Infine possiamo avere l’evoluzione postero-laterale del tumore del rinofaringe che dà le sindromi paralitiche associate posteriori, cioè degli ultimi nervi cranici. Queste più che per un interessamento diretto del tumore si realizzano per la compressione, da parte di una grossa adenopatia laterocervicale posteriore spesso nella parte superiore del collo, dei nervi all’emergenza dal foro lacero posteriore. Per fare diagnosi dei tumori del rinofaringe bisogna fare innanzitutto una ispezione accurata con l’utilizzo delle fibre ottiche, nel sospetto una TC o RMN, dei prelievi bioptici spesso eseguibili anche in anestesia locale, e in presenza di grosse adenopatie mai asportare i linfonodi ma fare l’esame citologico con agobiopsia. Essendo questi tumori maligni, spesso ad insorgenza giovanile quanto più la diagnosi sarà precoce tanto maggiori saranno le possibilità di trattamento, considerando che nelle forme prevalentemente indifferenziate, che sono le più frequenti, questi tumori presi in tempo rispondono benissimo ai trattamenti radiochemioterapici che oggi sono molto più selettivi e privi di effetti avversi. In caso di diagnosi tardiva, con infiltrazione del basicranio o con grosse masse nel collo, bisogna integrare il trattamento radiochemioterapico con la chirurgia andando ad asportare le adenopatie laterocervicali che non hanno risposto al trattamento. Possono esserci anche degli istotipi benigni nelle neoplasie del rinofaringe che sono: fibromi, lipomi, papillomi, condromi, osteomi, schwannomi, miomi, linfo-adenomi, che sono tutti molto rari. Più temibili sono quelli che abbiamo trattato prima, analoghi maligni delle forme benigne: fibrosarcomi, condrosarcomi, osteosarcomi, ecc. Nell’ambito dei tumori del rinofaringe dovete studiare il fibroma rinofaringeo o angiofibroma, tipico della pubertà maschile, di cui avevamo parlato nell’ambito delle epistassi per la sua facilità al sanguinamento vista la sua ricca vascolarizzazione. La lezione finisce qui, riporto le diapositive mancanti sull’angiofibroma faringeo che il prof non ha proiettato a lezione. ANGIOFIBROMA RINOFARINGEO Fibroma rinofaringeo o angiofibroma della pubertà maschile: si manifesta, talvolta, con sintomi simili a quelli dell’ipertrofia delle vegetazioni adenoidi, anche se più sfumati e tardivi. La definizione classica di Sébileau di “fibroma sanguinante della pubertà maschile” ne indica gli aspetti più salienti Tumore vascolare Raro Istologicamente benigno ma localmente aggressivo del distretto epifaringeo Esclusivo del sesso maschile nell’età fra i 12 e i 20 anni. All’esame obiettivo si presenta come: Neoformazione sessile, a larga base di impianto A superficie liscia, non ulcerata, di colorito giallastro, spesso con ricco reticolo venoso di superficie, Di consistenza duro lignea, provvista di un peduncolo tenacemente ancorato al di sotto di uno dei due recessi sfeno-etmoidali ISTOLOGIA Stroma connettivale costituito da fibre collagene irregolari e fitta rete di vasi provvisti di tonaca elastica e muscolare solo a livello del peduncolo Nel corpo della neoplasia invece: lacune vascolari rivestite da solo endotelio Il tumore è rivestito da epitelio pavimentoso pluristratificato ma è privo di capsula Si localizza prevalentemente tra la volta e le coane lateralmente. PATOGENESI Infiammatoria: secondaria ad episodi ricorrenti di adenoidite (la neoplasia sarebbe meno frequente nella popolazione infantile sottoposta ad adenotomia), sinusite e flogosi allergiche Disembriogenetica Ormonale (massimo accrescimento all’epoca della pubertà, caratteristica involuzione negli anni successivi, sensibilità alla terapia con androgeni) CLINICA Ripetute e gravi emorragie Usura delle strutture ossee che il suo lento e costante accrescimento determina (setto, basisfenoide, pareti inter-sinuso-nasali), Invasione delle cavità paranasali e dell’endocranio SINTOMI E SEGNI CLINICI Epistassi talvolta irrefrenabile (70% dei casi) Ostruzione respiratoria nasale Stenosi tubarica (otite media secretoria cronica) Deformità nasale Esoftalmo Sintomi neurologici per l’interessamento di nervi cranici Anemizzazione DIAGNOSI Rinoscopia antero-posteriore Rinofibroscopia TC, RM: estensione locale e rapporti con strutture viciniori Arteriografia selettiva: (vascolarizzazione del tumore fornita in gran parte dalla mascellare interna; talora vi partecipa anche la carotide interna (arteria oftalmica) TERAPIA La rimozione del fibro-angioma nasofaringeo: Problemi complessi di accesso e radicalita’ chirurgica Via endoscopica Approcci a cielo aperto (rinotomia para-latero-nasale; midfacial degloving) Resezioni craniofacciali Embolizzazione preventiva della carotide esterna Rossi Matteo