LA LEZIONE
Il campo magnetico terrestre: la determinazione di un campo vettoriale
La rappresentazione del campo geomagnetico come un insieme di linee di forza aventi
come tangenti minuscole bussole (libere di ruotare intorno al proprio baricentro nello
spazio), dà un’idea dei metodi utilizzati per la sua determinazione.
Fig1 Linee di forza del campo magnetico terrestre; Fig2 Bussola statunitense del XVIII secolo
Gli aghi magnetici naturali, da elementi divinatori dell’antica Cina, furono trasformati,
nel periodo delle repubbliche marinare, a strumenti essenziali per la navigazione,
capaci di indicare con buona approssimazione il Nord geografico. Dai primi, capaci di
ruotare solo su un piano orizzontale (che hanno mantenuto la stessa forma fino ai
giorni nostri), a quelli introdotti nella seconda metà del secolo sedicesimo, detti
inclinometri, liberi di ruotare su un piano mantenuto verticale, essi hanno costituito le
basi per le misure del campo magnetico terrestre.
Fig3 Bussola d’inclinazione; Fig4 Prima mappa della declinazione (isogone in gradi) del campo magnetico terrestre
dovuta all’astronomo inglese Edmund Halley dopo alcune spedizioni nell’Oceano Atlantico del 1700
A medie latitudini, la posizione di un piccolo magnete mobile orizzontale (bussola)
differisce dalla direzione del meridiano geografico di un angolo inferiore a 20°,
chiamato declinazione magnetica D. Il piano verticale passante per l’asse dell’ago
magnetico è chiamato meridiano magnetico. Nella fig4 sono rappresentate le isogone
(linee aventi la stessa declinazione) misurate da Edmund Halley nel 1700 durante
viaggi oceanici. Nella mappa odierna della declinazione degli Stati Uniti di figura 5
risulta più chiara la funzione delle isogone. La linea marcata nera rappresenta la linea
del campo dove il meridiano geografico e quello magnetico coincidono. Le isogone
rosse, contrassegnate da valori negativi, determinano di quanti gradi il meridiano
magnetico è ruotato verso Ovest (in senso antiorario) rispetto al meridiano geografico.
Infine le isogone blu, con valori positivi, indicano lo spostamento verso Est della
bussola rispetto al Nord geografico della mappa.
Fig5 Mappa 2010 della declinazione magnetica degli Stati Uniti. Le isogone determinano l’angolo tra una bussola e la
linea meridiana (nord geografico). Le linee rosse corrispondono a valori del meridiano magnetico spostati verso ovest e
le linee blu valori ruotati verso Est; Fig6 Carta mondiale delle isocline della inclinazione I al livello del mare
Applicando lo stesso tipo di procedimento a una bussola verticale, disposta con il piano
coincidente con il meridiano magnetico, si osserva che nell’emisfero boreale il nord
dell’ago magnetico (detto così proprio perché indica approssimativamente il Nord
geografico) si inclina verso il basso, mentre nell’emisfero australe punta verso l’alto.
All’equatore infine rimane quasi orizzontale. L’angolo individuato dall’ago
dell’inclinometro rispetto al piano orizzontale è l’inclinazione magnetica I. Le curve a
inclinazione costante sono dette isocline.
Le linee di forza risultanti sono riportate nella fig1. Esse hanno l’asse geomagnetico
Nord inclinato di 11,5° rispetto all’asse del Nord geografico. La terminologia
convenzionale purtroppo riflette ancora le prime misure. Se immaginiamo che il campo
magnetico principale della Terra sia dovuto a una sorta di grande barretta magnetica
interna alla Terra (dipolo magnetico) questa dev’essere orientata in modo da
presentare il polo Sud in prossimità del polo geomagnetico Nord.
La determinazione di un campo vettoriale in un punto dello spazio può essere realizzata
attraverso tre valori indipendenti. Questi per il campo magnetico terrestre possono
essere due angoli come D e I, ma rimane aperto il problema dell’intensità del campo
magnetico terrestre F. Dal 1960, le misure geomagnetiche hanno adottato le unità
proprie del Sistema Internazionale espresse in termini del vettore induzione magnetica
B. L’unità di F è da allora un sottomultiplo del tesla (simbolo T), in particolare assai
utile è il nanotesla (1 nT=10-9 T) che coincide numericamente con le vecchie unità di
misura (indicate con il simbolo ) impiegate negli archivi degli osservatori
geomagnetici. In fig7 è rappresentata la carta delle isodinamiche (curve chiuse a
uguale intensità) dell’intensità F del campo principale terrestre 2010 nelle unità
nanotesla. I valori medi annuali variano da un minimo di circa 23000 nT a un massimo
di 61000 nT.
Fig7 Carta mondiale dell’intensità F del campo magnetico terrestre all’epoca 2010: curve isodinamiche espresse
nell’unità nanotesla (nT), a 1000 nT l’una dall’altra
La determinazione del campo magnetico terrestre implica dunque la misura (nei diversi
punti della superficie terrestre e nelle sue immediate vicinanze) di D, I e F.
Un’alternativa possibile è quella di misurare la componente orizzontale del campo
magnetico terrestre H, quella verticale Z e la declinazione D.
Infine è possibile, tramite magnetometri vettoriali, ricavare le componenti di F lungo
tre assi ortogonali arbitrari: Fx, Fy, Fz.
Fig8a Carta magnetica d’Italia 2005 della componente verticale Z del campo magnetico terrestre. isodinamiche
misurate in nT; Fig8b Carta magnetica d’Italia 2005 della componente orizzontale H del campo magnetico terrestre.
isodinamiche misurate in nT
Campo magnetico e correnti elettriche
Come abbiamo già ricordato nella lezione sulla corrente, nel Sistema Internazionale
l’ampere è definito fissando implicitamente il valore di una costante fondamentale. Ciò
implica, per l’intensità del vettore induzione magnetica B a una distanza R da un filo
conduttore rettilineo indefinito (di grandissima lunghezza) percorso da una corrente i,
la validità dell’espressione: B=ki/R, con la costante k=2 10-7 Tm/A. Le linee di forza del
campo magnetico generato dal filo rettilineo sono circolari con il verso regolato da
strane regole mnemoniche (vite destrogira). Viceversa, una spira circolare percorsa da
corrente genera un campo tendenzialmente perpendicolare all’asse della spira, come è
facile mostrare con una bobina, una bussola e una pila.
Fig9 Linee di forza del campo magnetico generato da un filo rettilineo
In genere nelle esperienze alla Oested del filo rettilineo il campo creato dalle correnti è
notevolmente superiore a quello terrestre (ordine di grandezza 10 -4 T), mentre se si
vuole misurare l’intensità del campo geomagnetico attraverso bobine percorse da
corrente bisogna ridurre notevolmente l’intensità della corrente i. Le due bobine di
Helmholtz, molto diffuse nei laboratori di chimica e fisica per le esperienze sulla
deflessione degli elettroni nei tubi a vuoto, grazie alle proprietà di simmetria (distanti R
e di raggio R), con spessore degli avvolgimenti trascurabile rispetto alla distanza
reciproca, aventi N avvolgimenti, percorse entrambe dalla stessa corrente i, generano
al centro tra le due bobine un campo proporzionale al prodotto Ni e inversamente
proporzionale al raggio R. Il valore della costante di proporzionalità va determinato
attraverso una serie di approssimazioni (si veda al proposito l’articolo indicato in
bibliografia http://hep.fi.infn.it/ol/samuele/didactics/campo_bobine.pdf).
Le bobine vanno dapprima orientate secondo il campo magnetico terrestre con un ago
magnetico posto al centro delle stesse (senza collegare ancora le bobine a un
alimentatore variabile). La componente orizzontale del campo magnetico terrestre H
risulterà perpendicolare a B quando le bobine saranno attraversate da corrente. Se
l’intensità di corrente è regolata in modo da ruotare l’ago magnetico di 45°, allora il
modulo di B coincide con H. Di conseguenza dalla misura del numero degli avvolgimenti
N, del raggio e dell’intensità di corrente, è possibile ricavare la componente orizzontale
del campo magnetico terrestre.
Fig10 Bobine di Helmholtz orientate secondo la direzione di una bussola; Fig11 Composizione dei campi tra le bobine di
Helmholtz con magnete disposto a 45°
I modelli e le misure recenti del campo geomagnetico
Il campo magnetico terrestre è misurato, in prossimità della superficie della Terra, dalla
rete di osservatori geomagnetici, e, nell’atmosfera, da satelliti specializzati che
impiegano magnetometri scalari e vettoriali. Essi discriminano i diversi contributi dovuti
alle sorgenti che si trovano a diversa distanza dalla superficie terrestre che è
approssimata a una sfera. Le principali sorgenti, nella forma di correnti elettriche e, in
misura minore, di materiali magnetizzati, si trovano sotto la superficie di riferimento; le
secondarie, dovute solo a correnti, sono sopra di questa, nella ionosfera e nella
magnetosfera. Le correnti secondarie esterne inducono cariche in movimento all’interno
della crosta, del mantello e degli oceani. Ogni sorgente può essere localizzata e il suo
contributo all’energia del campo può essere valutato attraverso modelli matematici di
campo principale. Inoltre i dati sperimentali aggiornati permettono di migliorare i
modelli stessi. Il principale campo geomagnetico (campo nucleare, core field) è
prodotto dal movimento delle cariche nel nucleo esterno fluido posto a una profondità
tra 2900 km a 5150 km dalla superficie. Un campo equivalente a quello di una dinamo
autosostenuta che opera oltre il nucleo solido più interno. Circa il 95% del campo sulla
superficie terrestre è dovuto alle correnti nel nucleo terrestre. Materiali magnetici nella
crosta producono invece il campo crostale o indotto (crust field); relativamente debole,
esso contribuisce per pochi punti percentuali al campo complessivo. Nella descrizione
matematica del campo geomagnetico ci si affida ai procedimenti ottocenteschi iniziati
da Karl Friedrich Gauss che per primo sviluppò il campo medio (nel tempo) rilevabile
sulla superficie terrestre e nello spazio esterno alla Terra in una serie di armoniche
(sferiche) dipendenti, oltre che dalle coordinate polari, da coefficienti numerici
identificati da due indici, n il grado e m l’ordine. I coefficienti principali dello sviluppo,
espressi in nanotesla, sono periodicamente aggiornati ogni 5 anni dall’International
Association of Geomagnetism and Aeronomy (IAGA). Gli ultimi, del 2010,
contrassegnati dalla sigla IGRF11(International Geomagnetism Reference Field), sono
reperibili in vari formati a partire dalla pagina web:
www.ngdc.noaa.gov/IAGA/vmod/igrf.html.
I coefficienti principali sono oggi 195 (corrispondenti al grado n da 1 a 13) e
permettono di costruire un campo geomagnetico di riferimento in ogni punto della
Terra. Indicando con Fn la componente armonica dell’intensità del campo si può dare
un’interpretazione fisica al quadrato delle componenti R n=Fn2 come energia
dell’armonica n, realizzando un grafico dello spettro di energia del campo magnetico
terrestre. Dalle misure satellitari e terrestri si ottiene un andamento costituito
principalmente da due contributi molto diversi. Per n compreso tra 1 e 13, le energie
mostrano un valore decrescente linearmente (su una scala semilogaritmica)
all’aumentare del grado n. Nel campo nucleare, il primo termine dello sviluppo n=1 è
notevolmente superiore a tutti gli altri (circa il 90% del totale) ed è approssimabile al
campo di un dipolo. Per n maggiore o uguale a 15 si ha il campo crostale con spettro
delle energie approssimativamente costante. Nella fig12 è rappresentato lo spettro di
energia. In alto, in corrispondenza ai valori di n sono indicate le lunghezze d’onda delle
diverse componenti misurate in kilometri. Il campo crostale presenta uno spettro
bianco con lunghezze d’onda via via decrescenti. I valori 13, 14 ,15 sono quelli che
peggio si adattano alle due linee e rappresentano una sorta di zona di transizione tra il
campo nucleare e quello crostale.
Fig12 Spettro di energia del campo magnetico terrestre 2009 ottenuto dall’analisi armonica; Fig13 Magnetosfera
terrestre
Le sorgenti interne alla Terra (crostale e nucleare) non esauriscono tutte le generatrici
del campo geomagnetico. Il flusso di plasma supersonico emesso dal Sole è la
principale causa delle variazioni temporali del campo magnetico terrestre. Il vento
solare costituisce un’onda d’urto che modifica la struttura del campo geomagnetico e la
distribuzione delle particelle cariche intorno alla Terra. Gli ioni e gli elettroni in
movimento modificano il campo secondo un contributo regolare (attività solare,
correnti ionosferiche), intermedio (micropulsazioni magnetiche) e irregolari (correnti
nella magnetosfera, precipitazione di particelle). Se si osserva la magnetosfera, solo le
linee del campo magnetico in prossimità della superficie terrestre si avvicinano a quelle
di un dipolo. Allontanandoci dalla Terra, dalla parte del Sole, le linee di forza sono come
schiacciate dal vento solare; mentre, dalla parte opposta, tendono ad allungarsi. Infine,
in prossimità della Terra, la situazione è assai irregolare. Gli elettroni e i protoni sotto
l’azione della forza di Lorentz danno origine alle correnti nella magnetosfera che
modificano il campo esterno. Alcune particelle sono intrappolate in zone chiamate fasce
di Van Allen, il cui punto più basso è a circa 200 km dall’oceano in prossimità del
Brasile. Altre, penetrando nell’atmosfera a quote più basse, in prossimità dei poli danno
origine alle aurore boreali e australi. Nella ionosfera a 120 km di quota si sviluppano
correnti che producono una variazione regolare del campo magnetico terrestre da 10 a
80 nT. Mentre le tempeste magnetiche, che producono correnti a una quota più elevata,
possono talvolta dar luogo a variazioni da 50 nT a 500 nT, anomalie rispetto al valore
principale del campo geomagnetico (valutabile nell’ordine delle decine di migliaia di
nanotesla).
Normalmente nel nostro emisfero l’aurora è visibile fino alla Scozia, ma nel 1859, a
causa di una eccezionale tempesta solare, il fenomeno fu osservato anche nell’Italia
centrale. Monitorare l’attività del Sole per prevenire un possibile evento di Carrington
(dal nome dell’astronomo inglese che per primo collegò attività solare e
geomagnetismo) è importante a causa dei disturbi che un’eccezionale tempesta solare
può provocare alle radiocomunicazioni. Una seconda preoccupazione nasce dagli studi
geologici (paleomagnetismo). La misurazione della magnetizzazione di campioni di
rocce, derivate da vulcani terrestri o da affioramento di fondali oceanici, ha convinto,
da molti anni, la comunità scientifica che il campo magnetico terrestre abbia invertito
molte volte la sua polarità (295 volte negli ultimi 160 milioni di anni). Le inversioni si
sono verificate senza un’apparente regolarità. Lo scambio del polo Nord col polo Sud
magnetico presuppone un periodo di decremento del campo magnetico terrestre. Le
serie storiche degli ultimi secoli, registrate dagli osservatori, mostrano una diminuzione
superiore al 5% in un secolo, con uno spostamento del polo magnetico verso Ovest
(deriva). Tutti elementi, secondo alcuni esperti, di una fase d’inversione. L’eventuale
riduzione dell’intensità del nostro scudo naturale al vento solare è allora la
giustificazione principale per uno sforzo mai registrato prima con l’invio nel 2013 di una
costellazione di tre satelliti dell’ESA (missione Swarm) per monitorare le variazioni del
campo geomagnetico secondo un dettaglio inimmaginabile con la sola strumentazione
terrestre. Essi proseguiranno e miglioreranno le misure effettuate dal satellite Oersted,
portando al perfezionamento di quegli indici opera di Gauss che ogni 5 anni sono
aggiornati e descrivono il campo geomagnetico medio.
Fig14 Paleomagnetismo negli ultimi 5,4 milioni di anni (m. a.). Scala cronologica determinata in base alla datazione di
rocce ignee con il metodo potassio-argo. I diversi periodi vengono denominati in base alla polarità prevalente, i
sottoperiodi (subcroni o eventi) sono a polarità costante, normale (in nero) o inversa (in bianco); Fig15 Magnetometro
vettoriale impiegato nel progetto Swarm