Appunti
di
Misure elettroniche
Prof. Ferrero Andrea Pierenrico
Fiandrino Claudio
8 luglio 2009
1
Indice
1 Incertezze
1.1 Nozioni di metrologia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.2 Tipi di incertezze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4
4
4
2 Quarzi
7
3 Oscilloscopi
3.1 Oscilloscopi analogici . . . . . . . . . .
3.1.1 Canale verticale . . . . . . . .
3.1.2 Canale orizzontale . . . . . . .
3.1.3 Doppia base tempi . . . . . . .
3.1.4 Canali di ingresso . . . . . . .
3.1.5 Sonde compensate . . . . . . .
3.2 Oscilloscopi digitali . . . . . . . . . . .
3.2.1 Campionamento Real Time . .
3.2.2 Campionamento Sub Sampling
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8
9
10
12
13
13
13
18
21
21
4 Misure del tempo
22
4.1 Frequenzimetri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22
4.2 Periodimetri e periodimetri medi . . . . . . . . . . . . . . . . 24
4.3 Misure di intervalli di tempo . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26
5 Principio dell’eterodina
27
6 Misure di tensione, corrente e fase
6.1 Voltmetri analogici . . . . . . . . . . . .
6.1.1 Voltmetri in continua . . . . . .
6.1.2 Voltmetri in alternata . . . . . .
6.1.3 Voltmetri a vero valore efficace .
6.1.4 Rosmetri . . . . . . . . . . . . .
6.2 Voltmetri numerici . . . . . . . . . . . .
6.2.1 Voltmetri a semplice integrazione
6.2.2 Voltmetri a doppia integrazione .
6.3 Amperometro . . . . . . . . . . . . . . .
6.3.1 Amperometri in continua . . . .
6.3.2 Amperometri in alternata . . . .
6.4 Fasometro . . . . . . . . . . . . . . . . .
6.4.1 Fasometri analogici . . . . . . . .
6.4.2 Fasometri ad alta frequenza . . .
6.4.3 Fasometri numerici . . . . . . . .
2
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29
29
30
33
35
36
37
39
41
41
42
42
42
44
44
7 Sintetizzatori di frequenza
44
7.1 PLL . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45
7.2 DDS . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49
7.3 Circuito ALC e Modulatore I/Q . . . . . . . . . . . . . . . . 51
8 Analizzatori di spettro
8.1 Tipi di misure . . . . . . . . . . . . . . .
8.1.1 Modulo funzione di trasferimento
8.1.2 Distorsione armonica . . . . . . .
8.1.3 Intermodulazione . . . . . . . . .
9 Power Meter
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57
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57
58
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3
1
Incertezze
1.1
Nozioni di metrologia
Definiamo in questo modo la catena metrologica:
campioni primari
↓
campioni secondari
↓
tarature dello strumento
I campioni primari sono oggetti fisici e vengono conservati in laboratori
nazionali (INRMI-Torino). La loro accuratezza e definita a priori altrimenti
non si potrebbero fare confronti. I campioni secondari servono per tarare gli
strumenti di laboratorio e si trovano in laboratori certificati; periodicamente
devono essere tarati dai campioni primari.
Definizioni
1. Incertezza: misura l’accuratezza.
2. Risoluzione: la piu piccola variazione che uno strumento apprezza sul
misurando.
3. Sensibilità: la risoluzione dello zero.
4. Dinamica: la differenza tra il valore massimo e minimo misurabile, o
campo di funzionamento dello strumento.
5. Ripetibilità: proprieta di ottenere lo stesso valore effettuando più
prove, a parita di avere le stesse condizioni del misurando.
Risoluzione ed incertezza non sono strettamente collegate: su una misura e
possibile avere risoluzione di 1 µm ed incertezza di 1 cm. Ovviamente più è
alta la risoluzione più è facile ottere incertezze basse, ma in generale questa
proprieta non vale.
1.2
Tipi di incertezze
Esistono tipologie di errore che non sono incertezze: sono gli errori sistematici.
Questi tipi di errore sono rimovibili con opportune tarature degli strumenti
mentre le incertezze non sono eliminabili in alcun modo. Per effettuare il
4
calcolo delle incertezze si provvede ad effettuare un certo numero diP
misure
ottenendo cosı̀ una distribuzione. La media, o valore atteso, x̄ = ni=1 x̄i
è il valore centrale della distribuzione se gli eventi sono statisticamente
indipendenti. La varianza tra il campione i-esimo e il valore atteso x̄ è:
σ2 =
n
X
(xi − x̄)2
N −1
i=1
dove con N si intende il numero di misure fatte o campioni acquisiti. Il
valore N-1 a denominatore della frazione indica il numero di intervalli tra
ogni campione ed è un termine di normalizzazione: il significato di questa
formula infatti evidenzia per ogni misura la sua distanza con il valore medio
rispetto al totale delle misure effettuate.
La distribuzione di probabilità più comune è quella gaussiana per cui:
(x−x̄)2
1
e− 2πσ2
P (x) = √
2πσ 2
Anche questa formula prevede che gli eventi siano scorrelati quindi ne deduciamo che una distribuzione gaussiana implica che eseguendo più misure
ognuna di esse non influenzi le altre. L’incertezza si calcola in questo modo:
I = µσ
dove µ è il fattore di copertura che può assumere valore 2 oppure 3.
Utilizzando µ = 2 si ottiene una probabilità pari al 95.4% che il misurando
ricada nell’intervallo {−µ, µ}; aumenta fino al 99.7% nel caso in cui µ = 3.
Elenchiamo di seguito i due tipi di incertezze che tratteremo:
1. incertezze di tipo A;
2. incertezze di tipo B;
Incertezze di tipo A
Per questo tipo di incertezze la misura risulta tanto piu accurata quanti più
campioni vengono prelevati. Questo comportamento viene osservato con i
momenti del secondo ordine.
Incertezze di tipo B
Le incertezze di tipo B non permettono di ridurre gli errori aumentando il
numero delle misure effettuate: un esempio è l’incertezza residua dovuta alla
rimozione degli errori sistematici.
5
Incertezze di lettura
Le incertezze di lettura sono quelle incertezze dovute all’operatore, della sua
accuratezza di lettura del valore da misurare sulla lancetta. Questo tipo di
incertezze infatti sono strettamente legate a strumenti analogici, in quanto
quelli numerici forniscono direttamente il risultato in cifre.
Incertezze di classe
È un’incertezza assoluta solitamente espressa in % del valore di fondoscala.
esempio
1. Si misurano 5 V con un fondo scala di 10 V sapendo che lo strumento
è di classe 2.
Incertezza assoluta:
∆V = 2% su 10 = 0.2
Incertezza relativa:
δV
0.2
=
= 0, 04 −→ 4%
V
5
2. Si misurano 5 V con un fondo scala di 50 V sempre con uno strumento
di classe 2.
Incertezza assoluta:
∆V = 2% su 50 = 1
Incertezza relativa:
δV
1
= = 0, 2 −→ 20%
V
5
Da questo esempio possiamo capire che per misurare qualsiasi grandezza
è preferibile utilizzare il fondo scala più prossimo al misurando al fine di
minimizzare l’incertezza.
6
2
Quarzi
I quarzi sono modellabili con dei circuiti risonanti risonatori che sfruttando
l’ effetto piezoelettrico, trasformando quindi l’energia meccanica delle
vibrazioni in energia elettrica, vengono utilizzati negli orologi per misurare
il tempo.
Per stimarne velocemente l’accuratezza pensiamo che normalmente si regola
l’orologio due volte l’anno (cambi di ora legale-solare). La lancetta che
misura i secondi avrà frequenza di oscillazione di 1 MHz. Stimiamo che la
misura sia affetta da un errore di ± 1 minuto: dunque
I=
△T
1
=
= 3.86 · 10−6
T
259200
dove 259200 sono l’equivalenti in minuti di 6 mesi.
Si consideri che gli orologi atomici al cesio, ad esempio, hanno incertezze
dell’ordine dei 10−12 : sono dunque estremamente piu accurati. Ciò è dovuto proprio ai limiti fisici imposti dalla massima frequenza di oscillazione
(è negli ordini delle centinaia di MHz) che condiziona la massa del quarzo
stesso.
Più e alta la pulsazione ω più la massa diventa piccola, ma per ovvi motivi
non puo essere infinitesimale mentre masse molto grandi di quarzo presentano una pulsazione non interessante per fini pratici.
Gli oscillatori al quarzo inoltre sono caratterizzati da un fenomeno di deterioramento fisico che comporta una diminuzione della massa e, dunque, un
corrispondente aumento della frequenza di oscillazione (deriva).
7
3
Oscilloscopi
La funzionalità di un oscilloscopio è rappresentare una forma d’onda su un
video con assi opportunamente tarati in ampiezza del segnale [V ] (tipicamente asse y) e tempo di visualizzazione [s] (tipicamente asse x).
Esistono 2 categorie di oscilloscopi:
1. oscilloscopi analogici;
2. oscilloscopi digitali;
I primi ad essere stati realizzati sono stati gli oscilloscopi analogici, oggi non
sono quasi piu presenti sul mercato, ma offrono le stesse funzionalità dal
punto di vista utente degli oscilloscopi numerici.
Il grosso vantaggio di questi ultimi deriva dal fatto che, mediante il loro utilizzo è possibile fare confronti tra due segnali contemporaneamente oppure
stimare con precisione un transitorio perchè questi dispositivi sono dotati di
memoria. In questo modo possono memorizzare dei campioni, cosa non fisicamente realizzabile in analogica perchè i fosfori, che permettono la visibiltà
della forma d’onda sullo schermo, hanno una durata finita di tempo in cui
si illuminano e dunque permettono di vedere solo in tempo reale il segnale.
È tuttavia importante precisare che se non si sono acquisiti dati prima dell’istante in cui il trigger comincia ad essere attivo è molto probabile che non si
vedrà nulla sullo schermo: dunque c’è netta separazione tra i due istanti (di
inizio acquisizione dati e di trigger) cosa che non avviene negli oscilloscopi
analogici.
8
3.1
Oscilloscopi analogici
Lo schermo visualizza il segnale quando i fosfori presenti nella superficie
interna del tubo a raggi catodici vengono colpiti dal fascio elettronico
emettendo fotoni (ovvero trasformando la loro energia cinetica in energia
luminosa).
Un singolo elettrone una volta strappato dal filamento caldo viene accellerato ed arriva cosı̀ a colpire i fosfori; senza particolari accorgimenti il fascio
degli elettroni colpirebbe i fosfori nel mezzo dello schermo disegnando un
punto e non una forma d’onda.
Per far sı́ che il raggio elettronico disegni sullo schermo il segnale occorre
deflettere il raggio stesso attraverso placchette di deflessione verticali ed
orizzontali.
Mediante la deflessione verticale si riescono a rappresentare le ampiezze delle
forme d’onda e con il canale orizzontale se ne definisce l’occupazione temporale sul video.
La deflessione D viene calcolata con la seguente formula:
D=
Vd bL
2dVacc
. Vd è la tensione di deflessione
. b è la lunghezza delle placchette
. L è la lunghezza del tubo
. d è distanza tra le placchette
. Vacc è la tensione di accellerazione
La deflessione aumenta aumentando la lunghezza del tubo catodico mentre diminuisce se le placchette sono troppo vicine.
Esse infatti si comportano come condensatori a facce piane con capacità
C = ǫ Sd , dove ǫ è la permittività dielettrica (o costante dielettrica) ed S la
superficie della faccia di una singola armatura.
Se la distanza fra le armature è piccola =⇒ la capacità è grande e siccome il
1
circuito equivalente è di tipo passabasso in cui Vd =
· Ving si nota
1 + sRC
che la pulsazione del polo ωp si sposta verso sinistra.
ω
dunque anche la frequenza diminuisce e questo comRicordiamo che f= 2π
porta la necessità di avere in ingresso segnali con banda limitata perchè
altrimenti non sarebbe possibile visualizzarli sullo schermo.
9
Figura 1: schema generale oscilloscopio canali verticale ed orizzontale
3.1.1
Canale verticale
L’attenuatore condiziona il segnale di ingresso per garantire una dinamica
elevata e quindi una banda più larga a disposizione compatibilmente con
i vincoli imposti dalla deflessione. Generalemente si utilizzano attenuatori
variabili a scatti, composti cioè da celle a k costante (k fattore di attenuazione, es. k= 10 dB).
Figura 2: cella a k costante
Il progettista può determinare il valore di k scegliendo il numero delle celle
in modo tale da ottenere il fattore di attenuazione desiderato:
esempio
10
Occorre realizzare un’ attenuazione complessiva del segnale di 15 dB
avendo a disposizione 6 celle rispettivamente con k1 = 5, k2 = 5, k3 = 9,
k4 = 6, k5 = 1, k6 = 5.
La configurazione migliore è quella che prevede di utilizzare k3 e k4 in quanto
in questo modo si raggiunge un fattore di attenuzione pari a quello desiderato e si minimizzano le resistenze parassite degli interruttori meccanici.
Queste resistenze sono di per sè trascurabili dunque non cambiano il potenziale ne contribuiscono in alcun modo ad aumentare le incertezze, ma in
ogni caso è bene tenerne conto e cercare di ridurle il piu possibile.
Davanti all’attenuatore viene posto un circuito di selezione dell’ingresso
(come in figura... ):
Figura 3: circuito di selezione
. GND permette di porre a zero la scala;
. DC fa passare il segnale;
. AC filtra il segnale.
Dopo l’attenuatore deve essere necessariamente presente un’amplicifatore
con la funzione di amplificare il segnale in modo tale da avere tensioni di
grandezza sufficiente per poter deflettere gli elettroni; queste tensioni sono
dell’ordine dei 100/1000 V.
Ovviamente l’amplificatore non deve operare in zona di saturazione e questo
è il secondo motivo per cui è presente l’attenuatore.
Dopo essere stato amplificato il segnale raggiunge le placchette di deflessione
verticale.
11
3.1.2
Canale orizzontale
Gli elementi che formano il canale orizzontale sono:
. generatore di rampa;
. trigger;
. circuito di blanking;
L’accuratezza sull’asse orizzontale (asse dei tempi) del segnale dipende
dall’accuratezza della rampa: più è ripida piu il pennello viene deflesso velocemente.
Quando il pennello deve tornare verso sinistra dopo aver disegnato parte del
segnale la coda che esso produrrebbe viene eliminata grazie al circuito di
blanking, un sistema che azzerando la tensione di accellerazione fa in modo
di non eccitare i fosfori e quindi di non far visualizzare a video tracce inutili.
Il circuito di trigger è quel circuito che provvede a far partire la rampa
in prossimità di un certo livello di tensione del segnale .
In ingresso del trigger è posto un selettore simile a quello visto per l’attenuatore, ma in particolare al posto di GND la linea di ingresso corrispondente
è LINE (50 Hz, 220 V).
Questa configurazione è molto utile nel caso si voglia fare un’analisi del rumore che, a frequenze molto basse, avrebbe un livello di tensione cosı̀ basso
da non far mai scattare il trigger; usando questo accorgimento si ovvia a
tale problema.
Il livello di tensione necessario a far visualizzare il segnale viene regolato
mediante il LEVEL SLOPE: permette anche di scegliere su quale pendenza
(positiva o negativa) si deve far partire il segnale di trigger.
Il trigger potrebbe non essere mai attivato per due ragioni: in caso di mancanza del segnale di ingresso oppure se la soglia è posta ad un livello piu
alto della massima ampiezza del segnale.
È dunque previsto un meccanismo automatico in grado di azionare il trigger
indipendentemente dal livello del segnale mediante la modalità AUTO; se
invece si vuole avere pieno controllo sul trigger si lascia settata l’altra modalità, NORMAL, che funziona come spiegato precedentemente.
Nel caso su un segnale la soglia di trigger sia presente più volte sullo schermo
si potrebbe visualizzare una traccia sovrapposta; il motivo è semplice: una
volta che il pennello termina un periodo tornando a sinistra viene nuovamente azionato il trigger e dunque a video si visualizza una doppia traccia.
La soluzione è spegnere il circuito di trigger per un certo lasso di tempo:
sull’oscilloscopio si usa l’HOLD/OFF.
12
3.1.3
Doppia base tempi
Occorre fare una distinzione prima di parlare concretamente delle funzioni
della doppia base tempi:
la doppia base tempi non è la stessa cosa di utilizzare due canali di ingresso!
La doppia base tempi serve a evidenziare oppure zoomare una traccia. Utilizzando la modalità ritardata e intensificata la BT1 comandando la BT2
con la sua rampa fa sı̀ che sullo schermo si visualizzi, nel periodo della BT2,
il segnale molto più luminoso sul video.
Quando invece viene utilizzata la modalità ritadata il segnale di ingresso
viene triggerato soltanto dalla BT2 visualizzando sullo schermo il segnale
zoomato.
3.1.4
Canali di ingresso
Quando si utilizzano più canali è presente un selettore che sceglie l’ingresso
appunto da un solo canale alla volta.
Se i segnali da visualizzare sono lenti è consigliabile settare su CHOPPED
il modo in cui il selettore cambia l’ingresso in quanto è pilotato con un’onda
quadra passando velocemente da un’ingresso all’altro.
ALTERNATE invece è preferibile se i segnali variano con frequenze dei KHz
perchè il selettore completa una rampa di trigger con il primo canale prima
di passare sul secondo quindi se il segnala fosse lento sullo schermo verrebbe
visualizzato solo un flash in quanto il pennello non sarebbe deflesso con la
velocità necessaria per far vedere una traccia fissa.
3.1.5
Sonde compensate
Il circuito equivalente dell’oscilloscopio con gli elementi finora considerati è,
nella sua prima approssimazione, come quello mostrato in figura.
Figura 4: circuito in prima approssimazione
13
. RIN ordine delle decine di Ω
. RG ordine dei M Ω
Calcoliamone la funzione di trasferimento (f.d.t):
GG
VIN
=
VG
GG + GIN + sCIN
dove GG e GIN sono l’inverso di RG e RIN .
IN
che
La frequenza di taglio dell’unico polo della funzione è ωp = GGC+G
IN
G
G
∼
possiamo approssimare a ωp = CIN in quanto GIN è trascurabile rispetto a
GG .
Possiamo immediatamente dedurre che avere un polo fisso può essere limitante quindi per migliorare il comportamento in frequenza si adottano delle
sonde compensate per effettuare le misure con il seguente circuito equivalente:
Figura 5: circuito equivalente con le sonde
Analizziamo ora la f.d.t complessiva:
GG //(GS + sCS )
VIN
=
=
VG
GG //(GS + sCS ) + sCIN + GIN
=
GG · (GS + sCS )
GG · (GS + sCS ) + (GG + sCS + GS ) · (sCIN + GIN )
(1)
il cui diagramma di bode è quello mostrato in figura con 2 poli ed 1 zero
alternati.
———————figura
14
———————Agendo sul parametro GS , l’unico sul quale si possa intervenire, realizzando
l’uguaglianza:
CS
CIN
=
(2)
GS
GIN
è possibile semplificare l’espressione precedente in modo da ottenere:
CS
GG · GS · (s G
+ 1)
VIN
S
=
CS
CIN
VG
GG · GS · (s G
+ 1) + GIN · (s G
+ 1) · (sCS + GG + GS )
S
IN
CIN
CS
+ 1) e (s G
+ 1) sono uguali e quindi possono essere
dove i rapporti (s G
S
IN
ridotti:
VIN
GG · GS
=
VG
GG · GS + GIN · (sCS + GG + GS )
(3)
Notiamo immediatamente che in questa equazione sono scomparsi un polo
ed uno zero: si parla di compensazione di un polo con uno zero perchè la
complessità della f.d.t è diminuita di un grado ed inoltre, come si può vedere
graficamente, la frequenza di taglio ωp si è spostata a destra, garantendo
quindi una banda più larga.
———————figura
———————Introduciamo ora il rapporto:
RIN
GS
1
=
=
A
RIN + RS
GS + GIN
con A fattore di attenuazione della sonda (> 1).
Calcoliamo il valore di GS :
GS · A = GS + GIN
dunque
GS =
GIN
A−1
Per questo A > 1 altrimenti questo rapporto non avrebbe senso. Per la (2)
CIN
IN
è equivalente a scrivere GS = G
scrivere CS = A−1
A−1 .
Verifichiamo calcolando quanto vale CS ed esprimiamola come prima in
funzione di A:
CS =
GS · CIN
GIN
=⇒
15
CS =
CIN
(A − 1)
(4)
Rielaborando ulteriormente la (3) otteniamo:
VIN
GG · GS
=
VG
GG · (GS + GIN ) + GIN · GS + sCS · GIN
ora moltiplichiamo e dividiamo per (GS + GIN ):
S
GG · [ (GS G
VIN
+GIN ) ]
=
GIN
S
VG
GG + GIN · [ (GS G
+GIN ) ] + sCS · [ (GS +GIN ) ]
(5)
Indichiamo ora:
Geq =
GS · GIN
GS + GIN
,
Ceq =
CS · CIN
CS + CIN
è possibile ricavare la seconda mediante i seguenti passaggi partendo da:
Ceq =
CS · GIN
1
=
= CS ·
S
GIN · GS
1 + GGIN
= CS ·
CS · CIN
1
=
CS
CS + CIN
1 + CIN
Con queste quantità scriviamo la (5) in questo modo più semplice:
( GAG )
VIN
=
VG
GG + Geq + sCeq
Notiamo subito che è molto simile a quella scritta senza sonde compensate
a patto di sostituire a CIN e GIN con Ceq e Geq tenendo conto del fattore
di attenuazione A.
G +G
GG
in quanto Geq ≪ GG ;
La nuova posizione del polo è ωp1 = GCeq eq ∼
= C
eq
esprimiamo il valore di Ceq sostituendo a CS la (4):
Ceq =
CS · CIN
CIN
·
=
CS + CIN
(A − 1)
CIN
CIN
CIN
= CIN ·
=
CIN · A
A
+ CIN
CIN
(A−1)
A questo punto osserviamo:
GG
ωp1 ∼
· A = ωp · A
=
CIN
Questa formula ci dice che con una capacità equivalente pari alla capacità
di ingresso divisa per il fattore di attenuazione delle sonde riusciamo ad
allargare la banda di funzionamento dell’oscilloscopio dello stesso fattore.
Ora calcoliamo approssimativamente i valori in continua nel caso si utilizzino
sonde compensate oppure no: nel primo caso si ottiene:
( GAG ) ∼ 1
VIN
=
=
VG s=0 GG + Geq
A
16
tenendo conto che Geq ≪ GG ; se invece non si utilizzano le sonde:
VIN
GG
=
VG
GG + GIN
e trascurando nuovamente GIN perchè GIN ≪ GG si ottiene circa 1. Globalmente con un’aumento di banda abbiamo ottenuto un fattore di attenuazione
sul guadagno di A.
Tuttavia mediante amplificatori è facile riportare il guadagno su valori desiderati mentre sarebbe molto difficile ovviare al problema della banda ristretta di frequenza: è il compromesso banda per guadagno.
17
3.2
Oscilloscopi digitali
Come accennato nella presentazione gli oscilloscopi digitali, o numerici, sono sostanzialmente dei sistemi di acquisizione dati che si prestano molto
bene ad operazioni di confronto tra segnali (i dati campionati sono livelli di
tensione) e a visualizzare transitori, ovvero a mostrare la forma d’onda del
segnale ad un tempo iniziale e molto breve.
Figura 6: schema generale oscilloscopio numerico
Le prestazioni di questi dispositivi sono legate essenzialmente a tre fattori: la capacità della base tempi, la frequenza di clock e la frequenza di
campionamento.
Avendo a disposizione tanta memoria consente di avere una base tempi molto lunga, capace cioè di contenere molti campioni, e ci si può permettere di
lavorare con frequenze alte.
Se al contrario si ha poca memoria sono possibili due scelte:
• scegliere una base tempi lunga con l’obbigo di lavorare a frequenze
basse;
18
• optare per una base tempi corta, ma poter trattare frequenze più elevate;
L’accuratezza dell’oscilloscopio numerico è direttamente proporzionale con
il numero di bit che il convertitore analogico-digitale (ADC) ha: ricordiamo
che le soglie di decisione sono 2N con N che indica il numero di bit. Dunque
se N è grande si riesce a quantizzare il segnale in maniera più ′′ precisa′′
perchè le soglie sono a livelli di tensione più vicini rispetto al caso in cui N
sia piccolo.
Ovviamente migliore è l’accuratezza meno veloce diventa il dispositivo quindi opererà con frequenze basse. La soluzione migliore, quella di compromesso, garantisce la massimizzazione della banda in funzione della base tempi.
esempio
Un segnale con banda 1 kHz modulato ad 1 MHz. Lo spettro di questo
segnale è composto da un segnale portante ogni cento campioni di modulante. Se la memoria contiene pochi campioni il rischio è di riuscire a vedere
solo segnali della modulante e non la portante.
S
è pari a 6N.
Dimostriamo ora che il rapporto segnale-rumore N
Definiamo per prima cosa ∆V come l’intervallo tra una soglia di quantizzazione e l’altra. Esso rappresenta l’intervallo in cui dato un segnale continuo
nel tempo non riusciamo a distinguere due valori diversi di tensione, ma li
rappresentiamo, approssimandoli, con un medesimo livello di soglia: si definisce ′′ rumore di quantizzazione′′ .
in quanto Vmax è la tensione massima
Matematicamente quindi ∆V = 2VNmax
−1
N
che può raggiungere il segnale e 2 − 1 rappresentano il numero di intervalli
in cui si effettua la quantizzazione.
In prima approssimazione possiamo dire che ∆V ∼
= V2max
N .
Ora anzichè effettuare il calcolo rigoroso con gli spettri di potenza trattiamo
il rumore come se fosse un segnale:
S
Vmax ∼ Vmax ∼ N
=
= Vmax = 2
N
∆V
2N
Esprimiamo ora in dB il risultato ottenuto: i rapporti sono fra tensioni
dunque:
2N |dB = 20log10 2N = 20N log10 2 = 6N
Gli oscilloscopi moderni sono sovracampionati (non si faccia confusione
con il campionamento real time o sub sampling trattati in seguito) nel senso
che, una volta stabilita la banda su cui effettuare il campionamento anzichè
utilizzare il numero di campioni minimo indicato da Nyquist generalmente
19
se ne prendono di più.
La motivazione è spiegabile analizzando ancora il rumore di quantizzazione
definito in precedenza: la probabilità di commettere un errore in un intervallo non influisce sugli altri quindi ne deduciamo che il rumore di quantizzazione è gaussiano e quindi bianco.
Ipotizziamo ora un segnale con potenza normalizzata ad 1 che sia affetto dal
rumore di quantizzazione come in figura:
————figura
————definiamo:
PN
Ps
, > ωN =
ω=
B
B
In dBm possiamo scrivere la relazione Ps = PN + 6N dunque linearmente
s
.
PN = P6N
10
10
Ora sovracampioniamo: la banda B aumenta diventando BN ew come in figura:
————figura
————La potenza del segnale Ps rimane la stessa, mentre cambia PN 1 = ωN 1 · B
PN ·B
B
s
· BNew
= P6N
si è distribuito sulla nuova banda.
dove ωN 1 = B
New
10
10
S
sempre sulla banda B e non
A noi però interessa calcolare il rapporto N
BN ew perchè il segnale utile non è variato.
6N
S
Ps
BN ew
· 10 10 ·
=
N bandaB
Ps
B
in dB troviamo che:
S
BN ew
S
= 10log10 = 6N + 10log10
N dB
N
B
Quindi il rumore si riduce in quanto è quello che si avrebbe se si campionasse ad una frequenza pari a quella di sovracampionamento: ciò comporta la
possibilità di aumentare l’accuratezza senza avere un numero elevato di bit
e quindi la risoluzione senza avere complessità di componentistica elevate.
Questo principio è lo stesso che si utilizza nella DFT quando si vuole aumentare la risoluzione in frequenza di sequenze numeriche formate da pochi
campioni nel dominio del tempo: si aggiungono degli zeri con il meccanismo
del zeros padding, che non influiscono sul comportamento del segnale, per
far sı́ che si ricostruisca il segnale interpolando più punti.
20
3.2.1
Campionamento Real Time
Questa modalità di campionamento segue il criterio di Nyquist quindi campiona il segnale ad una frequenza di campionamento che è almeno il doppio della banda per non perdere informazione. Solitamente raggiungono
frequenze di 20 GHz.
fc ≥ 2B
Il problema delle alte frequenze viene risolto parallellizzando l’ingresso, ovvero con più ADC ritardati fra loro con dei τ diversi. Ad esempio in questo
modo si ottiene un campione in 1/4 del tempo utilizzando in ingresso 4 ADC
e le misure sono distribuite nel singolo periodo. Il periodo di trigger è comunque pari a 2B del segnale, tuttavia nel nostro esempio i campioni sono
4 quindi in sostanza si sta triggerando 4 volte nello stesso periodo e questo
significa che è come se l’ADC avesse una frequenza 4 volte superiore.
Questa situazione comporta che le memorie devono essere veloci per scrivere
nel minor tempo possibile la misura effettuata: per questo vengono utilizzate memorie cache il cui pregio è per l’appunto l’elevata velocità compensata
però dal fatto che sono molto piccole. Ne consegue che le base tempi non
possono essere lunghe a piacere, ma devono essere consone alle capacità delle memorie cache; precisiamo che ogni ADC utilizza una memoria cache (4
ADC −→ 4 memorie cache). Effettuaiamo ora le ultime considerazioni sul
circuito di sample & hold: per quanto detto prima la velocità meccanica del
circuito non può che essere veloce altrimenti non si porrebbe nemmeno il
problema di voler visualizzare segnali ad alta frequenza.
1
−11 = 50 ps
Con un segnale di 20 GHz il periodo T = f1 è di (50·10
9) = 2
(picosecondi). Con un calcolo approssimato che stabilisce la velocità del
1
T troviamo che ≃ 2 ps è la minima velocità che deve
campionatore ad 20
avere il sample & hold.
In memoria una volta effettuato il campionamento troviamo dei segnali che
sono l’immagine di quelli analogici affetti da un errore aggiuntivo, dovuto
alla non idealità del campionatore. La porta pT con cui si campiona ha come
risposta all’impulso una sinc e non una δ ideale come teorizzato da Nyquist
quindi lo spettro presenta aliasing in corrispodenza delle code del treno di
sinc, un fenomeno che contribuisce ad aumentare l’incertezza.
3.2.2
Campionamento Sub Sampling
Non risponde al criterio di Nyquist, ma sfrutta il principio delle ′′ bande
equivalenti′′ .
21
4
Misure del tempo
Passiamo ora ad analizzare i principali strumenti utilizzati per effetture
misure del tempo:
. frequenzimetri;
. periodimetri e periodimetri medi;
4.1
Frequenzimetri
Sostanzialmente i frequenzimetri misurano quanti colpi di clock sono presenti in una finestra temporale, o finestra di gate.
Il segnale in ingresso con una propria frequenza fx e periodo tx viene
Figura 7: schema frequenzimetro
mandato ad uno squadratore (che può essere un trigger di Schmitt o un
comparatore di soglia con isteresi) da cui si ricavano impulsi con periodo T.
Questi impulsi sono successivamente mandati ad un porta AND, la quale
riceve anche il risultato del processo non lineare di generazione delle armoniche (con frequenza fck e periodo tck ) di cui si tiene conto del singolo
periodo grazie al divisore.
Il risultato dell’operazione logica rappresenta il numero di impulsi presenti
nel periodo che è la finestra di gate; ad effettuare questo conteggio provvede
un contatore decadico.
22
Effettuiamo ora alcune considerazioni quantitative:
il divisore genera delle finestre ogni τgate = N · tck quindi possiamo dedurre
che il contatore decadico conti n impulsi pari a:
n=
N · fx
N · tck
=
tx
fck
da cui ricaviamo che:
n · fck
N
Calcoliamo ora le incertezze relative per fx :
∆N ∆n ∆fck ∆ fx
+
+
= fx
N n fck fx =
(6)
ma poichè N può essere deciso dal progettista non è un fattore di incertezza
quindi:
∆n ∆fck ∆ fx
+
=
fx
n fck Analizziamo ora i singoli fattori:
.
.
∆n
n
rappresenta l’incertezza di quantizzazione ovvero l’errore dovuto
allo sfasamento del gate che potrebbe non comprendere il primo impulso generato dallo squadratore =⇒ ∆n = ±1 =⇒ ∆nn = ± n1 .
————————
figura
————————
∆fck
fck
rappresenta l’incertezza del clock e nel caso dei risonatori al quarzo abbiamo già dimostrato essere nell’ordine dei 10(−6) .
Passiamo ora a calcolare l’incertezza assoluta di fx senza considerare l’incertezza di fck : dalla la (6) riscriviamo che:
fx =
n
n
=
N · tck
τg
Per cui sapendo che l’incertezza relativa si può esprimere:
∆ fx
1
=
fx
n
determiniamo:
∆ fx =
1
1 n
1
· fx = ·
=
n
n τg
τg
23
Da cui si deduce che aumentando il tempo di gate, ovvero il tempo in cui si
effettuano le misure degli impulsi, si otteranno minori errori e che τ1g rappresenta anche la più piccola frequenza apprezzabile, dunqe è la risoluzione
del frequenzimetro.
Ovviamente questo ragionamento è valido ricordando che abbiamo trascurato l’incertezza del clock in quanto non possiamo intervenire direttamente
(è un’incertezza di tipo B) per migliorarla.
In generale quindi l’incertezza su fx risulta maggiore della risoluzione perchè
somma di due contributi e questo ci porta a concludere che le ultime cifre
significative sono affette da incertezza maggiore e probabilmente sbagliate.
esempio
Consideriamo il caso di un gate con fck = 1Hz e un segnale con fx =
4Hz. In ogni finestra si contano 4 campioni dunque l’incertezza relativa è:
∆ fx
1
1
= = = 0.25 = 25%
fx
n
4
un valore molto alto. Se invece il segnale è più veloce con fx = 1 M Hz
allora in ogni finestra vengono contati 1 milione (106 ) impulsi; l’incertezza
cambia decisamente:
∆ fx
1
1
= = 6 = 0, 000001 = 1ppm
fx
n
10
Questi due semplici esempi ci hanno fatto capire che i frequenzimetri a
contatore sono degli ottimi strumenti quando i segnali di ingresso non sono
a basse frequenze: in quel caso le misure sono affette da errori significativi.
4.2
Periodimetri e periodimetri medi
Per misurare segnali a bassa frequenza abbiamo visto che i frequenzimetri
sono poco adatti: si usano normalmente periodimetri.
In questi dispositivi anzichè avere un divisore per N che genera la finestra di
gate la porta AND riceve direttamente dall’oscillatore al quarzo l’armonica:
il risultato immediato è che il contatore decadico non conta più un numero
di impulsi n come nel frequenzimetro, ma:
n=
fck
tx
=
tck
fx
e dunque la frequenza risulta:
fx =
24
fck
n
esempio
Con un segnale di clock ad fck = 1M Hz e un segnale con fx = 4Hz i
campioni che vengono contati sono:
n=
fck
1 · 106
=
= 250000
fx
4
Effettuiamo ora le analoghe considerazioni sulle incertezze già prese in
esame per i frequenzimetri:
∆n ∆fck ∆ fx
+
=
fx
n fck sarebbe la formula che potremmo scrivere analizzando semplicemente l’espressione di fx .
Invece per i periodimetri abbiamo una causa di incertezza aggiuntiva che è
data dal rumore del segnale che si utilizza come clock definito come ǫN .
Dunque in generale si ha:
∆n ∆fck ∆ fx
+
+ ǫN
= fx
n fck ∆
Abbiamo già discusso del significato di ∆nn pari ad n1 e ffckck quindi procediamo ad analizzare in dettaglio l’incertezza dovuta al rumore.
In generale il rumore di un segnale è l’errore dato da un livello di tensione più alto (o più basso)Vn rispetto al valore del segnale normale cioè una
variazione del segnale s(t) = Vs sin(ωt) rispetto al tempo esprimibile come
δy
∆y = δx
· ∆x; come in figura definiamo te il tempo di errore dovuto al
rumore:
Vn
te = δs(t)
δt
calcoliamo ora la derivata del segnale:
δs(t)
= Vs · ω · cos(ωt)
δt
per t = 0 si ha che:
δs(t)
= Vs · ω
δt
e dunque:
te =
Vn
Vs ω
Analizziamo ora l’espressione:
te
1
1
1
= = =
=
Vs ω
Vs
Vs
T
·
T
·
2πf
·
T
·
2π
Vn
Vn
Vn
25
S
N
1
· 2π
Questa incertezza va calcolata due volte in quanto il segnale di gate generato
dal quarzo avrà un tempo di apertura e chiusura quindi possiamo finalmente
definire:
1
ǫN = S N ·π
È importante far notare che per garantire incertezza minore occorre sempre
considerare come punto di osservazione del fenomeno quel punto in cui la
derivata della grandezza considerata è massima; nel nostro caso la derivata
di sin(ωt) è ωcos(ωt) che in t = 0 vale 1.
Nel periodimetro medio viene aumentato il tempo di misura di N volte,
il che permette di lavorare con notevole accuratezza anche a frequenze molto
più basse del periodimetro.
La spiegazione logica ovviamente è la stessa già spiegata nei frequenzimetri:
aumentando il tempo di misura migliora la risoluzione; poichè utilizziamo
uno strumento ottimo a basse frequenze migliorando ancora l’accuratezza si
riusciranno ad apprezzare frequenze ancora più basse.
Riportiamo di seguito brevemente alcune formule importanti:
n=
4.3
N tx
,
tck
n=
N fck
,
fx
fx =
N fck
n
Misure di intervalli di tempo
-scrittura veloce riguradare meglioAnalizziamo il comportamento di un cronometro.
Occorrerà avere due segnali uno per lo start ed uno per lo stop posti all’ingresso di un flip flop di tipo SR , quindi possiamo ipotizzare uno schema di
questo tipo:
————————–
schema
————————–
L’uscita del flip-flop saranno degli impulsi generati a Tx quindi le incertezze
saranno:
δTx δfck 1 +
=
Tx
fck n e ovviamente sarà bene tenere conto dell’errorre dovuto all’apertura e chisura
degli impulsi quindi più in generale avremo:
δfck 1 δTx
+ + ǫN
=
Tx
fck n 26
5
Principio dell’eterodina
In questa sezione analizziamo un principio fondamentale alla base di quasi
tutte le applicazioni nelle telecomunicazioni, il principio grazie al quale vengono realizzati tutti i mixer.
6
Misure di tensione, corrente e fase
Queste tre grandezze hanno in comune principi e meccanismi praticamente
identici con cui vengono misurate: infatti voltmetro, amperometro e fasometro basano il loro funzionamento sul galvanometro di Arsonval.
Analizziamo quindi brevemente il comportamento di tale dispositivo: il galvanometro misura le correnti che scorrono in una bobina le quali, generando
un campo magnetico ′′ indotto′′ qst è da rivedere da fisica , fanno muovere
l’ago sulla scala tarata.
Il suo circuito equivalente reale è composto dalla serie di un galvanometro
reale ed una resistenza Rg molto bassa e non lineare che tiene conto della
dissipazione di energia data dalla somma dell’energia meccanica dissipata
dall’ago e dell’energia dissipata dal filo (resistenza che incontra la corrente
circolando lungo il filo appunto).
Le correnti che riesce a misurare un galvanometro sono molto piccole (ordine
dei µA) in quanto essendo un meccanismo meccanico di tipo massa-mollasmorzatore non riesce a tollerare oscillazioni veloci (date da una corrente
in alternata) altrimenti la molla fisicamente si romperebbe; tutti gli oggetti
meccanici hanno f.d.t di tipo passabasso con bande a frequenze basse: la
banda di funzionamento del galvanometro è tipicamente di 0.5 Hz.
Oltre al circuito equivalente normalmente sono presenti anche (vedi figura)
due resistenze: RS ed RV .
La RS o Resistenza di Shunt serve per convogliare la maggior parte della
corrente per non causare gli effetti drammatici descritti in precedenza; RV è
una resistenza che si pone in serie ad Rg ed è inserita in modo tale da essere
molto più grande di Rg e quindi rendere possibile il calcolo delle incertezze;
infatti la resistenza interna al galvanometro è molto bassa e non misurabile
direttamente, dunque se non fosse presente Rv non riusciremmo mai a stimare gli errori commessi.
Se anzichè utilizzare una sola Resistenza di Shunt se ne utilizzano di più
intanto possiamo cambiare scala (in base al valore della resistenza e dunque
della corrente che riesce a far passare o bloccare) e a seconda della loro disposizione creiamo uno strumento o un’altro: se vengono poste in serie con
un deviatore che provvede a renderne attiva una alla volta otteniamo un
voltmetro, se invece sono in parallelo (sempre con un deviatore) abbiamo
27
Figura 8: circuito equivalente
costruito un amperometro.
Figura 9: realizzazione di amperometro
28
Figura 10: realizzazione di voltmetro
6.1
Voltmetri analogici
Analizziamo in un primo momento i vari tipi di strumento in analogica e,
solo in seguito, tratteremo le tipologie di strumenti numerici.
6.1.1
Voltmetri in continua
Al fine di non perturbare la misura in corso un voltmetro dovrebbe avere
una resistenza infinita, ovvero misurare in un punto senza cadute di tensione
dovute a resistenza percorse da corrente.
Modellizzando con un circuito equivalente di Thevenin il misurando otteniamo:
dunque la tensione misurata dal voltmetro sarà:
Vm = V0
Rv
Rv + R0
29
per il partitore fra le resistenze del circuito mostrato in figura:
L’errore assoluto commesso risulterà essere:
∆V = V0 − V0
mentre l’errore relativo:
Rv
R0
= V0
Rv + R0
R0 + Rv
R0
δV
=
V
R0 + Rv
Alcune considerazioni: al diminuire di R0 o all’aumentare di Rv diminuisce
l’incertezza; questo tipo di errore non è un’incertezza, ma un errore sistematico in quanto conoscendo i valori di R0 ed Rv si può rimuovere tarando
opportunamente lo strumento.
6.1.2
Voltmetri in alternata
Per capire come i voltmetri effettuano le misure di segnali in alternata occorre definire bene alcune grandezze fondamentali: valore di picco, valore
medio, valore efficace e introdurremo in seguito il valor medio convenzionale.
Il valore di picco Vp è la misura tra la massima e la minima ampiezza del
segnale.
Il valore medio, o componente in continua del segnale, VDC viene definito
come:
Z
1 T
x(t)dt
VDC =
T 0
ovvero la media del segnale nel suo periodo fondamentale.
Il valore efficace Vef f rappresenta la tensione che applicata ad una resistenza
di 1 Ω dissiperebbe la stessa potenza di un segnale in continua.
s
Z
1 T
[x(t)]2 dt
Vef f =
T 0
30
Osserviamo che il valore efficace di una tensione continua VC è proprio la
tensione continua; risolvendo l’integrale otteniamo:
s
r
Z
1 T
T [VC ]2
Vef f =
= VC
[VC ]2 dt =
T 0
T
V
Il valore medio efficace di un segnale sinusoidale risulta essere √p2 Se il segnale
presenta sia una componente continua VDC che una componente alternata
con Vef fAlt avremo:
q
Vef f = [VDC ]2 + [Vef fAlt ]2
Introduciamo ora il valor medio convenzionale definito come:
Z
1 T
VM =
| x(t) | dt
T 0
esso rappresenta la componente continua del modulo del segnale di partenza.
Dato un segnale dunque occorre farne il suo modulo e misurare il valore
VM con un semplice voltmetro in continua di cui abbiamo già trattato in
precedenza.
Spostiamo l’attenzione su come fare il modulo di un segnale: utilizziamo un
diodo e sfruttiamo la sua capacità di raddrizzatore a singola semionda per
raggiungere il nostro obbiettivo.
In alternativa con un ponte di diodi è possibile realizzare circuiti raddrizzatori a doppia semionda: effettuiamo alcune considerazioni per capire vantaggi
e svantaggi degli uni e degli altri.
Nel secondo caso i due diodi devono condurre contemporaneamente e la misura non cambia invertendo la polarizzazione; con un diodo solo invece si
avranno sicuramente misure diverse in base ai punti in cui si andranno a
rilevare le tensioni, comportamento dovuto al diverso tipo di polarizzazione
del segnale.
Calcoliamo ora il valore medio convenzionale di un segnale sinusoidale x(t) =
Vp sin(ωt) quando usiamo un raddrizzatore a singola semionda:
Z
Z
1 T
Vp T
VM =
[Vp sin(ωt)]dt =
[sin(ωt)]dt
T 0
T 0
osserviamo che solo tra 0 e
T
2
il segnale è non nullo quindi:
VM =
Vp
T
Z
T
2
[sin(ωt)]dt
0
effettuiamo un cambio di variabili:
z = ωt = 2πf t =
2πdt
dzT
2πt
−→ dz =
→ dt =
T
T
2π
31
quando:
t=0→z=0
t=
T
→z=π
2
riscriviamo dunque l’integrale:
Z π
Vp T
Vp
Vp
Vp
VM =
·
[−cos(z)|π0 ] =
[1 − (−1)] =
[sin(z)]dz =
T 2π 0
2π
2π
π
esprimiamo anche le relazioni fra VM e valore efficace:
√
2Vef f
πVM
−→ Vef f = √
VM =
π
2
Il valore √π2 = 2.22 è la costante di proporzionalità che lega il valor medio
convenzionale con il valore efficace; dunque con opportune tarature dello
strumento è possibile osservare direttamente la lettura che desideriamo.
Se invece il raddrizzatore è a doppia semionda osserviamo immediatamente
che ai fini del calcolo è come avere un raddrizzatore a singola semionda in cui
abbiamo una componente non nulla anche nell’altro semiperiodo: moltiplichiamo dunque per un fattore 2 il risultato ottenuto in precedenza anzichè
ripetere il calcolo integrale.
√
2 2Vef f
2Vp
πVM
VM =
−→ VM =
−→ Vef f = √
π
π
2 2
Abbiamo ottenuto anche in questo caso un coefficiente moltplicativo che lega VM a Vef f pari alla metà di quello precedente.
Ricapitoliamo ora le considerazioni fatte: dato un segnale riusciamo ad individuarne le sue grandezze caratteristiche grazie ad opportune tarature dello
strumento:
32
K
1.11
2.22
√1
2
Descrizione
Circuito a doppia semionda
Circuito a singola semionda
Valore di picco
Tabella 1: Costanti di proporzionalità
Nell’ambito delle telecomunicazioni il valore più importante è il valore
di picco (si usa normalmente nei ricetrasmettitori radio).
Il valore di picco fornisce in continua l’informazione dell’ampiezza del segnale : esistono degli strumenti in grado di fornire direttamente questo valore
utilizzando appunto dei circuiti non lineari con diodi e misurando il valore
di tensione sempre con un semplice voltmetro in continua.
Questi dispositivi, o rilevatori di picco, possono essere formati da una
serie di diodo e condensatore o fra il parallelo di tali componenti: in questa
ipotesi prendono anche il nome di fissatori a zero.
Figura 11: rilevarori serie e parallelo
6.1.3
Voltmetri a vero valore efficace
I voltmetri a vero valore efficace hanno la costante di proporzionalità K=1:
essi misurano infatti, grazie al principio termico, solo Vef f .
Ipotizziamo di avere un generatore di tensione sinusoidale con in serie una
resistenza: essa dissipa potenza e calore che può essere misurato con un
termometro.
Ora pensiamo di scaldare alla stessa temperatura una resistenza di pari
valore collegata ad un generatore in continua: le potenze dissipate dalle resistenze saranno le stesse in entrambi i circuiti quindi la tensione erogata
dal generatore in continua sarà obbligatoriamente la stessa dissipata dal generatore sinusoidale.
33
Figura 12: schema generale
Questa banale considerazione è il principio che sta base delle termocoppie:
quando è presente una differenza di temperature tra le estremità ed il giunto
i fili metallici generano una differenza di potenziale.
∆V = c · ∆T
dove c rappresenta la costante di Siebeck, il teorico che per primo ha osservato questo fenomeno: conversione diretta di energia termica in energia
elettrica (Effetto Siebeck).
A questo punto si potrebbe pensare di utilizzare questo principio per produrre elettricità: applichiamo una differenza di temperatura per fornire l’
energia sufficiente ad alimentare i nostri oggetti quotidiani.
Ciò non è fisicamente realizzabile per la semplice ragione che la costante c
è molto bassa quindi applicando differenze di temperature anche elevate si
ottengono ddp dell’ordine massimo dei mV (generalemente sono µV ). Inoltre non si possono utilizzare metalli qualsiasi per realizzare le termocoppie,
ma servono precise combinazioni per ottenere le migliori costanti di Siebeck;
dunque non si può utilizzare questo principio per produrre elettricità.
Questo è dunque lo schema dei voltmetri a vero valore efficace a termocoppie:
L’amplificatore viene inserito per mantenere uguali le tensioni sulle termocoppie da cui viene letta la misura; in caso contrario cambierebbero le temperature delle termocoppie e la rilevazione, fatta dal voltmetro in continua
(VDC) sarebbe errata. Per questo occorre anche evitare che una delle due
resistenze non cambi la temperatura altrimenti l’amplificatore non manterrebbe la tensione costante ma l’amplificherebbe portando di nuovo ad errori
grossolani.
Inoltre è bene che l’ambiente esterno influisca in modo comune sulle termocoppie oppure l’intero principio cadrebbe: si può ovviare a questo problema
34
Figura 13: realizzazione voltmetri con termocoppie
con isolanti termici.
Esiste un componente elettronico che può anche fuzionare come termometro: è il diodo.
Ricordiamo la sua equazione caratteristica:
h
I = Is · e
V
ηVT
i
−1
dove η rappresenta il fattore di idealità che dipende dalla polarizzazione
(η = 1 ÷ 2) mentre il termine VT = κT
Q è l’equivalente elettrico della temperatura.
Utilizzando dei transistor questo è lo schema dei voltmetri a vero valore efficace:
La corrente che scorre nei transistor è proporzionale alla temperatura (vedi
equazione caratteristica diodi) quindi quando le resistenze si scaldano dissipando potenza fanno variare l’intensità di corrente. Ciò causa una variazione
sulla caduta di tensione ai capi delle resistenze medesime misurata poi dal
voltmetro in continua.
6.1.4
Rosmetri
I voltmetri che misurano il valore di picco per frequenze molto alte (microonde) sono i rosmetri.
35
Figura 14: realizzazione voltmetri con transistor
Con l’analisi dei rosmetri si è conclusa la trattazione degli strumenti
analogici ed ora prenderemo in esame i voltmetri numerici.
6.2
Voltmetri numerici
Lo scopo è sempre quello di misurare una tensione: con lo strumento numerico occorre quindi discretizzare il segnale di ingresso con un convertitore
ADC preceduto da un sample & hold.
Ecco lo schema generale:
Il problema è che le misure sono spot, fatte su un’istante preciso di tempo,
quindi se il rumore in quel momento è molto forte perturba notevolemente
la misura.
36
Se invece prendiamo le misure su un periodo di tempo t limitiamo l’influenza
del rumore perchè esso viene distribuito uniformemente sulla banda essendo
bianco.
Le tecniche utilizzate sono di integrazione sul periodo: singola o doppia.
6.2.1
Voltmetri a semplice integrazione
I voltmetri a semplice integrazione si chiamano anche voltmetri a conversione di frequenza perchè è possibile dato un ingresso in tensione misurare con
un contatore la frequenza in uscita.
Riportiamo lo schema:
Figura 15: modello voltmetro a semplice integrazione
La fdt dell’integratore è:
Vout
1
=−
RC
Z
T0
Vin dt
0
se non fosse presente il generatore di impulsi il sistema tenderebbe a saturare
1
.
alla tensione di alimentazione con una retta negativa di pendenza − RC
Invece con il generatore di impulsi che genera un’ onda quadra di ampiezza
V0 e periodo T0 il comportamento è di questo tipo:
———————–
figura
————————
quando la tensione di ingresso raggiunge la soglia posta a VS = VR02TC0 vengono generati gli impulsi con periodo T: l’incremento fra Tin = 0 e T/2 deve
37
essere pari a quello fra T/2 e T.
∆Vsalita
1
=−
R1 C
Z
T /2
(Vin )dt +
Tin
V0 T0
Vin T /2 V0 T0
=−
+
R2 C
R1 C
R2 C
per l’incremento in salita, mentre quello in discesa risulta essere:
∆Vdiscesa =
Vin (T − T /2)
R1 C
per cui uguagliando i termini otteniamo:
−
Vin T /2 V0 T0
Vin T
Vin T /2
+
=
−
R1 C
R2 C
R1 C
R1 C
in T /2
si elidono. Per cui:
dove i termini − VR
1C
V0 T0
Vin T
=
R2 C
R1 C
da cui ricaviamo:
Vin =
V0 T0 R1
V0 T0 R1 f
=
R2 T
R2
f frequenza di generazione degli impulsi.
Da questa formula possiamo immediatamente capire che tale strumento sarà
poco accurato in quanto le cause di incertezza sono molteplici:
δR δf δVin δV0 δT0 + +
+
2
·
=
R f Vin
V0 T0 La risoluzione di questo strumento dunque è data dalla risoluzione della
frequenza f che sappiamo essere τ1g .
Abbiamo considerato fino ad ora il comportamento ideale, trascurando cioè
l’effetto degli offset che saranno sicuramente presenti sia sull’integratore sia
sul comparatore di soglia.
Analizziamo separatamente i due casi cercando di capire come influenzano
la misura del voltmetro:
. effetto sull’integratore: la tensione che integriamo non è più Vin ,
ma VI data dalla somma fra Vin e Vof f . Provvediamo dunque a rifare
velocemente i calcoli:
Z T /2
(V0 + Vof f )T0
1
(Vin + Vof f )dt +
∆Vsalita = −
R1 C Tin
R2 C
deve essere uguale a:
∆Vdiscesa =
(Vin + Vof f )(T − T /2)
R1 C
38
da cui trascurando alcuni passaggi otteniamo:
(V0 + Vof f )T0
(Vin + Vof f )T
=
R2 C
R1 C
T0 · R1
V0 · T0 · R1
− Vof f 1 −
Vin =
R2 · T
T · R2
il fattore chiave dunque è Vof f 1 − TT0RR21 che rappresenta l’errore
commesso integrando come tensione di ingresso VI ;
. effetto sul comparatore di soglia: guardando il grafico in figura
osserviamo che la tensione di soglia si sposta (VSO = VS + Vof f ) quindi la retta a pendenza positiva inizia dopo; poichè stiamo integrando
sempre per un periodo di tempo fisso deduciamo immediatamente che
il punto in cui ci sarà l’inversione di tendenza sarà ad un livello di
tensione 0+Vof f . Il risultato complessivo dunque è una semplice traslazione che non influisce sulla frequenza della forma d’onda.
———————inserire grafico
———————-
6.2.2
Voltmetri a doppia integrazione
Schema:
Figura 16: modello voltmetro a doppia integrazione
Lo scopo è di integrare per un tempo noto una tensione incognita (prima
integrazione) e per un tempo incognito una tensione nota.
———————
39
grafico
———————Vediamo il contributo dato dall’integrazione per un periodo noto (0-T0 ):
1
∆V1 = −
RC
Z
T0
Vin dt = −
0
Vin T0
RC
che deve essere uguale al contributo dell’integrazione per un tempo incognito
del livello di tensione VR raggiunto a T0 :
Z Tx
VR Tx
1
VR dt =
∆V1 =
RC 0
RC
uguagliando le espressioni ricaviamo:
−
Vin T0
VR Tx
=
RC
RC
per cui possiamo esprimere la tensione di ingresso come:
Vin = −VR
Tx
T0
(7)
Se vengono generati dal clock N Tck impulsi in T0 ed nTck in Tx :
Vin = −VR
n
N
con Tck = f1ck frequenza del clock (quarzo ad esempio).
Abbiamo implicitamente eliso Tck sia a numeratore che a denominatore quindi si è ipotizzato che il clock generi in modo uguale gli impulsi in entrambi i
periodi T0 e Tx ; con questa supposizione lo strumento a doppia integrazione
presenta le seguenti incertezze:
δVin δVR 1
+
=
Vin
VR n
o, altrimenti, più in generale:
δVin δVR δT0 δTx +
+
=
Vin
VR T0 Tx Notiamo che questo strumento è più intrinsecamente accurato in quanto
non è presente alcuna incertezza sulla componenetistica come nel caso di
semplice integrazione in cui comparivano le incertezze dovute alle resistenze
presenti nel circuito.
La risoluzione del voltmetro a doppia integrazione risulta essere VNR .
Come per i voltemetri a semplice integrazione ora prendiamo in analisi gli
effetti dovuti agli offset:
40
. effetto sull’integratore: il procedimento è il medesimo di prima
quindi saltando alcuni passaggi si ottiene:
−
(Vin + Vof f )T0
(VR + Vof f )Tx
=
RC
RC
da cui si può ricavare:
Tx
Tx
− Vof f 1 −
Vin = −VR
T0
T0
in questo caso Vof f 1 − TTx0 rappresenta l’errore dovuto agli offset
presenti sulla maglia di ingresso dell’integratore;
. effetto sul comparatore di soglia: questa volta cambia il tempo
incognito su cui integro la tensione nota; anzichè integrare su Tx =
′
′
Tx + Terr si integra su Tx .
——————–
inserire grafici
——————–
Terr
Valutiamo in Terr il livello di tensione: Vof f = VRRC
dunque Terr =
Vof f RC
VR .
′
Sostituendo nella (7) Tx = Tx + Terr e Terr =
Vin
6.3
Vof f RC
′
Tx + VR
T + Terr
= −VR x
= −VR
T0
T0
′
Vof f RC
VR
= −VR
otteniamo:
Tx
RC
− Vof f
T0
T0
Amperometro
6.3.1
Amperometri in continua
Analogamente con quanto enunciato per il voltmetro possiamo dire che la
misura di corrente idealmente non sarebbe perturbata nel caso in cui la
resistenza dell’amperometro fosse nulla.
Per dualità modelliziamo il misurando con un circuito di Norton ottenendo:
L’amperometro misura una corrente pari a:
1
Im = I0
1
RA
G0 GA
G0
1
G
GA
= I0 1 A 1 = I0 G +G
·
= I0
= I0
0
A
RA + R0
GA G0 + GA
GA + G0
G0 + GA
G G
0
A
in quanto si calcola il partitore di corrente fra le resistenze del circuito mostrato in figura:
il cui errore assoluto è uguale a:
∆I = I0 − I0
GA
G0
= I0
GA + G0
G0 + GA
41
mentre l’errore relativo:
δI
GA
=
I
G0 + GA
Anche in questo caso le espressioni sono da considerarsi errori sistematici
definiti come ′′ errori di consumo′′ o anche ′′ ef f etti di carico′′ . Questi errori
che abbiamo trattato per i voltmetri e multimetri in realtà sono riscontrabili
in tutti gli strumenti.
6.3.2
Amperometri in alternata
Per quanto riguarda questi strumenti di misura valgono le stesse considerazioni fatte per i voltmetri in alternata.
6.4
6.4.1
Fasometro
Fasometri analogici
Il fasometro è uno strumento che, dati due ingressi, un segnale di test e un
segnale di reference misura lo sfasamento tra il primo ed il secondo.
Questo è il modello di un fasometro a lettura diretta:
—————42
figura
—————I due segnali di ingresso sono inviati ad uno squadratore che genera degli
impulsi; essi sono gli ingressi di un flip flop S-R il quale genera un’onda quadra con duty cycle proporzionale allo sfasamento misurata da un voltmetro
in continua.
—————figura
—————VDC = VM
T1
T2
Indicando dunque con T1 il periodo ′′ alto′′ del segnale e con T2 il periodo
complessivo descriviamo lo sfasamento mediante la proporzione:
ϕ : T1 = 360 : T2
Da cui ricaviamo che:
ϕ = 360 ·
T1
T2
sostituiamo nell’espressione in cui si determina VDC :
VDC = VM
T1
ϕ
= VM
T2
360
Osserviamo che abbiamo a disposizione una formula che permette di ottenere immediatamente la misura di fase con una misura indiretta di tensione,
informazione che ci viene data dal voltmetro in continua tarando opportunamente lo strumento.
La fase è una grandezza periodica, si ripete uguale a se stessa a multipli di
k · 2π (k ∈ N), per cui misurare una fase di 0 gradi o di 359 gradi è un rilevamento molto simile. Tuttavia sullo strumento l’ago continuerà ad oscillare
fra il minimo del fondo scala ed il massimo in quanto seppure lo sfasamento
tra 0 e 359 è minimo.
Questo comportamento accade solo per segnali la cui fase è prossima a 2π.
Cosa succede se poniamo un inverter su un ingresso del flip flop?
Ciò che accade è che uno dei due segnali viene negato e il duty cycle diventa pari al 50%. In questo modo sullo strumento riusciamo ad apprezzare
sfasamenti piccoli vicini allo 0, ma al contempo spostiamo il problema a
π: il risultato sarà dunque di non riuscire più ad osservare una misura di
fase prossima a 180 gradi senza che lo strumento oscilli tra il minimo ed il
massimo del fondoscala.
Questi strumenti vengono definiti ′′ a zero centrale′′ perchè appunto lo zero
della scala si trova a metà del periodo complessivo del segnale.
43
6.4.2
Fasometri ad alta frequenza
Per realizzare lo strumento ad alta frequenza si utilizza il principio dell’eterodina.
6.4.3
Fasometri numerici
Se si utilizzano fasometri numerici il problema della visualizzazione di sfasamenti piccoli prossimi ad un punto particolare (π oppure 2π) in quanto il
risultato viene fornito direttamente in cifre.
Occorre convertire in digitale una parte del segnale, ovvero la sua componente continua poi sovracampionare il segnale per avere una buona risoluzione.
Altre soluzioni, come quella di convertire gli ingressi non sono praticabili
perchè è molto difficile calcolare uno sfasamento partendo solo da tabelle
numeriche; in teoria è possibile, guardando per i due segnali gli istanti di attraversamento dello zero, ma bisogna tenere conto che si commette un errore
dovuto quanto meno alla quantizzazione (su una certa fascia ±∆V0 tutti i
campioni vengono approssimati a 0) che dipende ovviamente dal campionamento e dalla risoluzione del quantizzatore in numero di bit, quindi non è
un metodo valido.
7
Sintetizzatori di frequenza
I sintetizzatori di frequenza generano (processo di sintesi), data in ingresso
una frequenza fin , una frequenza diversa:
fout = κ · fin
con κ idealmente reale (κ ∈ ℜ).
Sulla base del modo in cui si può effettuare la sintesi distinguiamo due
categorie di dispositivi: PLL e DDS.
44
7.1
PLL
I sintetizzatori di frequenza utilizzati negli oscillatori locali prendono il nome di PLL: essi effettuano una sintesi diretta.
Un PLL o (Phase-locked-loop) nel caso più generale è formato da un comparatore di fase, un filtro ad anello ed un Vco (Voltage Controlled oscillator).
Il Vco è un circuito oscillante la cui componente principale è un varactor, un
diodo che polarizzato inversamente viene utilizzato come capacità variabile
controllata in tensione.
Figura 17: schema generale PLL
Ci occupiamo ora di creare un sintetizzatore che abbia la costante κ reale.
Data in ingresso una fin inseriamo un divisore per N prima del comparatore
di fase in modo da ottenere f1 ; inseriamo ora un secondo divisore, per M
questa volta tra il comparatore di fase, il V.c.o. e l’uscita del sistema che
garantisca di avere di nuovo f1 .
In questo modo abbiamo creato una relazione tra la frequenza di ingresso e
quella in uscita data da:
fout
fin
=
N
M
da cui banalmente ricaviamo:
fout = fin
M
N
del tutto simile alla relazione precedentemente riportata nell’introduzione
generale.
45
Ora poichè i divisori non possono che avere sia N che M reali (N, M ∈ ℜ) il
risultato è di aver creato una costante κ ∈ ℜ.
Figura 18: schema PLL con κ ∈ ℜ
Analizziamo alcuni parametri fondamentali come il range di frequenze
che possono essere utilizzate, il passo minimo quindi la sensibilità e la risoluzione.
in
Per quanto riguarda il passo minimo si osserva che è pari a Nfmax
, ovvero la
frequenza più bassa che può essere introdotta in ingresso (si guardi il ramo
iniziale dello schema); per questo motivo il divisore per N prende il nome di
divisore di riferimento.
Il range del sintetizzatore invece risulta essere fin ·Mmax la massima frequenza ottenibile quando N=1 (non viene cioè divisa la frequenza di ingresso,
min
la minima.
mentre viene divisa al massimo la frequenza di uscita) e finNM
max
fin Mmin
Range =
÷ (fin · Mmax )
Nmax
Già da queste osservazioni si può intuire che la risoluzione è fortemente vincolata dai fattori di divisione N ed M. Supponiamo N elevato e che si voglia
avere una buona risoluzione (1 Hz): il PLL sarà lento perchè la banda del
filtro ad anello è dell’ordine dei kHz quindi il V.c.o non riesce ad agganciare
il segnale.
Una soluzione può essere quella di restringere la banda del filtro in modo tale
che sia compatibile con il campo d’aggancio; queste considerazioni portano a
concludere che in prima approssimazione possiamo ipotizzare la risoluzione
46
del PLL pari a quella del suo filtro ad anello.
Se invece, in un’applicazione come può essere la telefonia cellulare, il parametro fondamentale è la velocità del sistema, possiamo introdurre un secondo
filtro ad anello che permette di risolvere i problemi legati alla banda ottenendo un buon compromesso tra risoluzione, velocità ed accuratezza.
Come succede per quasi tutti gli strumenti da noi affrontati, quando si
tratta di lavorare a radiofrequenza, non è possibile utilizzare lo strumento
senza alcuni cambiamenti.
Per quanto riguarda i PLL è il Vco che avendo una banda di funzionamento
stretta non permette il solito funzionamento del dispositivo.
Una soluzione è far seguire al PLL un moltiplicatore, realizzato con un diodo
SRD (Step Recovery Diod) come mostrato in figura:
I sintetizzatori di questo tipo seguiti da un moltiplicatore prendono il nome
di Single Band Multiplie (SBM). Essi vengono seguiti da un filtro variabile che serve a selezionare una specifica armonica: ad esempio, se si deve
sintetizzare una frequenza di 10GHz il PLL può funzionare ad 1GHz e il
filtro variabile verrà posto sulla 10◦ armonica creata dal moltiplicatore.
La velocità complessiva del sistema risulta essere quella del PLL, ma questo
meccanismo peggiora la qualità perchè il jitter aumenta.
Una seconda soluzione è quella di realizzare direttamente oscillatori a
larga banda utilizzando alcune terre rare che godono di buone proprietà su
larga banda: tali dispositi vengono definiti Yig filter (Yittering Ipon Garnet).
Gli Yig sono pilotati con un campo magnetico statico generato da una corrente che scorre in una bobina e il loro circuito equivalente alle alte frequenze
47
è di questo tipo:
Essi sono tunabili a larga banda (2÷40GHz), mantengono un Q molto buono
ed una selettività elevata (20MHz).
Analizziamo ora un dispositivo PLL con Vco Yig: si utilizza la tecnica
subsampling già vista negli oscilloscopi perchè il divisore M non riesce ad
operare a frequenze cosı̀ alte.
Il campionatore deve riuscire a garantire una frequenza di campionamento
adeguata per agganciare il Vco Yig quindi la fcampionamento deve essere anch’essa ottenuta per sintesi mediante un PLL.
48
Figura 19: schema PLL a campionatore
7.2
DDS
La sintesi indiretta di frequenza è ottenuta attraverso i dispositivi DDS (Direct Digital Synthesis).
Un sintetizzatore digitale elimina gli errori che introduce un PLL, le sue
cause di incertezza sono quelle del clock che utilizza come oscillatore interno
e il rumore introdotto dalle porte logiche.
Ipotizziamo inizialmente M=1 costante: dopo 2N colpi di clock con frequenza fck si otterranno in uscita i campioni necessari a creare una forma d’onda
avente frequenza fout .
Le memorie solitamente contengono un numero di bit N pari a 8 o 10 quindi
possono contenere 28 = 256 oppure 210 = 1024 campioni.
fout =
fck
2N
Tout =
1
fout
= 2N · tck
δfout
δfck
=
fout
fck
esempio
Calcoliamo la frequenza di uscita di un segnale generato con un clock di
cui fck = 10M Hz, una memoria capace di contenere N=10 (numero di bit)
49
Figura 20: schema DDS
pari a 210 = 1024 locazioni di campioni e M=1.
fout =
10M Hz
fck
=
= 9.766kHz
N
2
210
Tout =
1
fout
= 102µs
In generale M può essere diverso da uno: in questo caso vengono presi
meno campioni per periodo e ciò permette la sintesi di segnali a frequenza
maggiore.
fck
1
2N
T
=
=
· tck
out
2N
fout
M
Da velocissime considerazioni osserviamo che la frequenza minima realizzabile è proprio quando M=1 ossia fmin = f2ck
N ; la frequenza massima invece
è quella per cui si ha il minor numero di campioni che il teorema di Nyquist impone di avere per periodo, 2, quindi fmax = f2ck condizione verificata
quando poniamo M = 2N −1 .
fout = M ·
I DDS dunque godono di ottima risoluzione, data dal numero di bit della
memoria, e una buona velocità; si può agire su questi parametri semplicemente cambiando il valore di M senza modificare il clock.
Questi dispositivi però non riescono a sintetizzare frequenze elevate.
50
Come si può osservare anche dall’esempio al massimo si riesce ad ottenere
un segnale con frequenza pari alla metà di quella del clock ed essi, con la
tecnologia ad oggi disponibile, non possono essere costruiti per lavorare ad
alte frequenze.
Inoltre, per valori di M molto grandi, abbiamo già concluso che il segnale
in uscita è generato partendo da pochi campioni per periodo; esso dunque
dovrà essere filtrato con filtri numerici per eliminare le componenti spurie.
Un aspetto decisamente rilevante consiste nella facilità con cui è possibile
fare la modulazione: per i DDS è sufficiente agire sul parametro M mentre
per i PLL non è cosı̀ semplice. Utilizzare un mixer posto tra il Vco e il
filtro ad anello è una possibile implementazione, a patto che il segnale di
modulazione rientri nel campo di aggancio del Vco.
In alternativa si può realizzare il divisore per N, che ricordiamo è il divisore
essenziale per realizzare il passo minimo di frequenza, con un DDS che con
le sue proprietà consente di migliorare notevolemente le prestazioni generali
del sistema risultante complessivo.
7.3
Circuito ALC e Modulatore I/Q
In questo capitolo ci occuperemo di trattare i moduli che generalmente seguono un sintetizzatore di frequenza, ed in particolare gli ALC e i modulatori
I/Q.
Il circuito ALC (Automathic Level Clock) è un circuito che serve essenzialmente per stabilizzare l’ampiezza della portante.
È formato da un attenuatore variabile a cui viene posto in serie un rilevatore
51
di picco ed un amplificatore per controllare appunto il livello di tensione.
———————
figura
———————
Il modulatore I/Q (In phaze & quadrature) genera le costellazioni che si
usano nelle comunicazioni.
Agisce in modo separato sulla modulante (ramo in fase e in quadratura) e
sulla portante (ramo in fase) per generare dispositivi modulatori e demodulatori.
Figura 21: demodulatore
Inoltre inserendo degli attenuatori variabili prima dei mixer si riescono
a creare costellazioni anche molto complicate.
———————
figura
———————
52
Figura 22: modulatore
8
Analizzatori di spettro
Gli analizzatori di spettro sono degli strumenti che permettono di osservare
lo spettro di un segnale nel dominio della frequenza, di calcolare in modo
accurato la funzione di trasferimento di sistemi e.... Si distinguono alcune
categorie di analizzatori di spettro in base alla loro realizzazione e al tipo
di informazioni trattate: analizzatori di spettro a banchi di filtri per
segnali analogici e analizzatori di spettro a FFT che trattano l’informazione numerica.
———————a.s banchi di filtri
———————Il comportamento del dispositivo è molto semplice: il segnale viene filtrato
con filtri molto stretti al fine di ottenere le singole componenti in frequenza
e mediante un selettore si sceglie la componente che si vuole visualizzare; a
questo punto il funzionamento è molto simile a quello dell’oscilloscopio in
cui sull’asse orizzontale (asse x) si definisce l’occupazione temporale mentre
su quello verticale (asse y) il rilevatore di picco provvede a calcolare le ampiezze in tensione.
53
Poichè non si possono inserire infiniti filtri di selezione la banda risultante del sistema non potrà che essere limitata; inoltre i filtri, al fine di far
osservare solo una singola componente avranno un Q elevatissimo e una banda molto stretta quindi saranno molto accurati, ma le scansioni risulteranno
essere lente.
Per questi motivi gli analizzatori di spettro a banchi di filtri non vengono
utilizzati.
Per quanto riguarda lo strumento numerico esso è costituito essenzialmente da un oscilloscopio da cui, attraverso un meccanismo di digital signal
processing (DSP), si calcola la FFT (Fast Fourier Transform).
Il problema è sempre trovare un buon compromesso tra velocità e risoluzione: più le memorie sono lunghe più si ottiene elevata risoluzione a discapito
della velocità; se invece sono corte il sistema sarà veloce, ma poichè i campioni per periodo memorizzati saranno pochi non si osserverà una forma
d’onda con accuratezza.
esempio
Calcoliamo la risoluzione di un analizzatore di spettro con memoria contenente 106 campioni e banda del segnale di 50M Hz.
50 · 106
= 50Hz
106
La risoluzione è molto accurata in rapporto con la banda del segnale, ma il
sistema dovrà effettuare i calcoli per 106 campioni.
Risoluzione =
Effettuiamo nuovamente il calcolo con il medesimo segnale, ma con una
memoria di 104 campioni.
Risoluzione =
50 · 106
= 50 · 102 Hz = 5kHz
104
Se il sistema ha 102 calcoli in meno da fare la risoluzione peggiora dello
stesso fattore e l’accuratezza diminuisce sensibilmente.
Per trattare segnali a radiofrequenza i due dispositivi citati finora non
sono adeguati: per l’analizzatore di spettro a banchi di filtri il problema
è appunto la banda limitata di utilizzo, dovuta al numero di filtri che si
devono avere per osservare le singole componenti; nel caso di analizzatore
di spettro a FFT il problema è scegliere quale capacità di memoria si deve
utilizzare per avere velocità ed accuratezza allo stesso tempo.
Si utilizzano, grazie al principio dell’eterodina di cui al capitolo 5, gli analizzatori ad eterodina.
54
———————
a.s eterodina
———————
L’oscillatore locale è pilotato da una rampa che determina la velocità di
scansione e il filtro a banda variabile RBW (Resolution Bandwidth) permette di cambiare la risoluzione.
La fif al fine di ottenere un’elevata risoluzione non può appartenere alla
banda del segnale di ingresso; siccome si vogliono trattare segnali a radiofrequenza si divide l’elevata banda di ingresso in bande più piccole in cui si
lavora con metodologie diverse per ognuna:
——————–
divisione in bande
——————–
1◦ fif : sulla banda più bassa si utilizza un metodo di up conversion,
ossia si modulano i 100kHz su una banda più larga, di circa 400MHz
e successivamente il segnale viene inviato nel ramo di cui al punto
seguente;
2◦ fif : viene posta tra la banda del segnale di ingresso (100kHz ÷3GHz)
e quella dell’oscillatore locale (più alta di 3GHz); il battimento che
crea la frequenza immagine viene filtrato con un passa basso;
3◦ fif : anche in questo caso deve essere in alto rispetto alla banda di
ingresso del segnale (> 3GHz); a differenza del punto precedente non
è possibile eliminare la frequenza immagine con un filtro passa basso,
ma si preseleziona lo spettro utile e si taglia questa componente con
un filtro tunabile.
Se la risoluzione non fosse ottimale, dopo questo primo step, si può nuovamente applicare una seconda volta il principio (progressione in frequenza)
con una seconda frequenza intermedia:
55
È possibile dopo, la seconda fif applicare un ADC per digitalizzare il sistema e, all’occorrenza, operare una terza volta il principio con tecniche
numeriche.
La risoluzione del sistema complessivo dipende soltanto dall’ultimo step
compiuto applicando la progressione in frequenza.
L’accuratezza dell’asse x dipende dall’accuratezza dell’oscillatore locale;
come abbiamo visto nel capitolo precedente una sintesi accurata si ha con i
PLL quindi negli analizzatori di spettro gli oscillatori locali sono sintetizzati
con tali dispositivi.
Per quanto riguarda l’asse y, invece, la sua accuratezza dipende da tutti i
mixer (che hanno perdita di conversione), dai filtri e dagli amplificatori che
vengono inseriti.
56
8.1
Tipi di misure
Gli analizzatori di spettro vengono utilizzati per diversi tipi di misure: in
certi casi sono ottimi, mentre, ad esempio, per la misura assoluta di potenza,
non vanno bene in quanto offrono una rilevazione molto incerta.
8.1.1
Modulo funzione di trasferimento
Il tracking generator mantiene costante l’ampiezza del segnale di ingresso (Ving ) per tutte le frequenze; misurando con l’analizzatore di spettro la
Vout che varierà rispetto alla Ving costante, si ricava il modulo della funzione
di trasferimento.
|Vout | = |Ving | · |H(ω)|
8.1.2
=⇒
|H(ω)| =
|Vout |
|Ving |
Distorsione armonica
Si definisce THD (Total Harmonic Distorsion):
v
uX
Pi
u
T HD = t
P0
i6=o
dove Pi è la potenza della i-esima armonica e Po la potenza della fondamentale.
57
Un dispositivo non lineare è distorcente:
v2 (t) = f (v1 (t)) = αv1 (t) + βv1 (t)2 + ...
Se la funzione in ingresso è sin(f1 ) la distorsione provocherà la nascita di
tante armoniche:
sin(f1 ) = sin(f2 ) + sin(f3 ) + sin(f4 ) + ...
—————–
grafici
—————–
Il grafico riporta la potenza di uscita alla quale il guadagno è diminuito di
1 dB rispetto al caso lineare.
Le curve con la 2◦ armonica, poichè appunto sono di 2◦ grado presenteranno
un fattore 2 espresse in dB e in particolar modo sono importanti le curve di
3◦ armonica che definiscono l’IP3 (Intercept Point of 3◦ order), un indice di
distorsione significativo.
—————–
grafico IP3
—————–
8.1.3
Intermodulazione
58
Se il sistema è lineare sull’analizzatore di spettro si osservano due righe,
ma in caso contrario sono presenti tutti i prodotti di intermodulazione:
f0 = ±(m · f1 ) ± (n · f2 )
f2 = f1 ± ∆f
—————–
grafici
—————–
Ordine
3◦
5◦
7◦
Prodotti di intermodulazione
Distanza dalla f0
[(2 · f0 ) − (f0 + ∆f )] = f0 − ∆f
[(3 · f0 ) − 2 · (f0 + ∆f )] = f0 − 2 · ∆f
[(4 · f0 ) − 3 · (f0 + ∆f )] = f0 − 3 · ∆f
Tabella 2: riassunto ordini importanti di intermodulazione
Se consideriamo un sistema trasmissivo occorre tenere ben presente questi disturbi: sul canale principale si trasmette ad una frequenza f0 ben
determinata, ma i prodotti di intermodulazione, essendo equispaziati di ∆f
costante rispetto alla carrier (f0 ), vanno a sovrapporsi perfettamente su altri
canali trasmissivi causando rumore.
Il disturbo causato si misura solitamente di dBc (c significa carrier) definito
come rapporto di tensione tra la Carrier e l’i-esima intermodulazione.
Ad esempio 30 dBc del 3◦ ordine vuol dire che il prodotto di intermodulazione del 3◦ ordine è attenuato di 30 dB rispetto alla carrier.
L’estensione ad un’infinità di coppie del prodotto di intermodulazione prende il nome di ricrescita spettrale; per misurare la potenza del canale
adiacente rispetto al canale di riferimento si introduce l’ACPR (Adiacent
Channel Power Ratio).
—————–
grafico acpr
—————–
R
P otenza (f0 ) df
ACP R = RT0
T1 P otenza (f1 ) df
9
Power Meter
I power meter sono dispositivi che misurano la potenza di un segnale.
Come abbiamo visto anche gli analizzatori di spettro offrono la stessa possibilità, ma sono selettivi in frequenza: l’energia calcolata è in funzione della
bandata dalla fif che è stata selezionata.
59
I power meter invece riescono ad operare su larga banda, da frequenze basse
fino a quelle ottiche sfruttando la tecnologia bolometrica.
Un bolometro è un resistore variabile con la temperatura che viene inserito
in un ponte di wheatstone; nel ponte sono presenti sia componente continua
sia componente a radiofrequenza: per garantire un corretto funzionamento
del ponte occorre che le due componenti non disturbino gli altri elementi del
circuito.
La cella bias-tee è un elemento che permette alla componente a radiofrequenza applicata in ingresso sul condensatore di non influire in altre zone
del circuito se non sull’uscita grazie all’induttore; viceversa la componente
continua posta in ingresso sull’induttore viene tagliata dal condensatore; in
questo modo solo sull’uscita sono presenti entrambe le componenti DC+RF.
——————
cella bias-tee
—————–
Funzionamento del ponte di wheatstone
Definiamo Rbol il resistore bolometrico e osserviamo il comportamento del
circuito mostrato in figura:
—————ponte di wheatstone
—————Ipotizziamo inizialmente che la componente RF sia nulla: il ponte si equilibra
quando Rbol = R ossia quando il resistore bolometrico sarà ad una temperatura tale che gli permetterà di dissipare una certa potenza Pdiss = PDC .
La corrente che scorre in ciascun ramo è pari ad I20 (lettura dell’amperometro) quindi deduciamo che:
I0 · R 2
Pdiss =
2
Ora invece applichiamo anche la componente RF: la potenza dissipata da
Rbol sarà questa volta:
′
Pdiss = PDC + PRF
e se leggiamo dall’amperometro una misura di corrente I1 si otterrà:
I1 · R 2
′
Pdiss =
+ PRF
2
′
′
ovviamente Pdiss 6= Pdiss e più in particolare Pdiss > Pdiss .
Se però si cambia la tensione di alimentazione, abbassandola, come immediata conseguenza si ha che diminuisce la corrente che scorre nei due rami
del ponte e dunque anche la potenza dissipata cala.
′
Mettiamoci nella condizione in cui Pdiss = Pdiss :
I1 · R 2
I0 · R 2
=
+ PRF
2
2
60
da cui possiamo determinare la potenza dissipata dalla componente a radiofrequenza:
I0 − I1
PRF =
·R
2
Possiamo fare l’ipotesi che le due potenze dissipate siano uguali per il principio di sostituzione in continua: quando il ponte è equilibrato (Vout = 0)
viene dissipata sempre la stessa potenza qualunque siano le componenti applicate.
Procediamo ora ad analizzare i principali problemi del dispositivo considerato: inanzi tutto è immediatamente intuibile che il sistema risente fortemente della temperatura esterna a cui è posto; per questo motivo è bene
tarare lo 0 della scala prima di fare le misure.
In secondo luogo la ripetibilità della misura è strettamente legata alla variazione della temperatura esterna. Per garantire stabilità si crea un sistema
più complesso con due ponti: uno, che ha componente RF come abbiamo
visto in precedenza e un secondo ponte di wheatstone in cui è solo presente
componente continua che prende il nome di ponte dummy.
Poichè entrambi i ponti risentiranno pressochè in modo uguale delle differenze di temperatura operando una differenza tra la potenza dissipata dal
ponte con la componente RF e quella dissipata dal ponte dummy si riesce a
stimare PRF .
Per ottenere una misura occorre aspettare che la temperatura sul bolometro
sia tale da far si che la sua resistenza sia pari a quella delle altre presenti
sul ponte quindi la velocità dei power meter sarà bassa.
L’accuratezza e il dynamic range dipendono anche loro dal bolometro, in
particolare dal range di resistenze che riesce ad ottenere alle varie temperature e da un secondo parametro.
Questo secondo parametro è che la corrente continua e l’effetto del segnale
RF scaldino nello stesso modo Rbol e purtroppo non è una condizione vera.
In base al modo in cui si propaga l’onda a radiofrequenza avrà sicuramente
dei massimi, ossia dei punti in cui la potenza dissipata è maggiore che scalderanno maggiormente la resistenza rispetto a quei punti dove l’onda avrà i
minimi; questi punti vengono definiti hot spot. Inoltre il bolometro non è
adattato quindi sarà presente un coefficiente di riflessione che riflette l’onda
incidente, e anche la potenza incidente causando una potenza reattiva che
non è possibile quantificare.
Tutti i power meter sono tarati in azienda con i cosiddetti cal factor
(calibration factor) i quali contengono i valori delle incertezze discusse sopra
(95% ÷ 100%).
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