Tucidide - La guerra del Peloponneso (trad. di L. Canfora)
L’autore. Tucidide nacque ad Atene tra il 460 e il 455 a.C. e morì tra il 403 e il 399 a.C. È giudicato da
molti il più grande storico di tutti i tempi. Sulla sua vita siamo pochissimo informati. Sappiamo che
nel 424 ricevette l'incarico di proteggere la posizione chiave di Amfipoli, che non vi riuscì e che in
conseguenza di questo fallimento gli fu inflitto un esilio ventennale. Le sue Storie, divise in 8 libri,
trattano rapidamente della «storia antica» e dei decenni che precedettero la guerra del Peloponneso;
la narrazione parte dagli inizi del conflitto (431 a.C.) e si conclude bruscamente con il 411.
Introduzione. In una riunione delle pòleis del Peloponneso, gli ambasciatori di Corinto tentano di
convincere Sparta a schierarsi apertamente al loro fianco contro Atene, dalla quale i Corinzi avevano
subìto gravi torti. Per stimolare l'orgoglio degli Spartani, i Corinzi ne descrivono l'atteggiamento
improntato all'immobilismo, contrapponendolo al dinamismo degli Ateniesi, che li rendeva aggressivi
e vincenti in tutti i settori della vita civile e politica. Nel racconto di Tucidide, questo contrasto tra
dinamismo e immobilismo riproponeva il motivo delle cause profonde della guerra del Peloponneso.
I, 70-71. Loro caratteristica è di sconvolgere l'ordine esistente: veloci nell'ideare, veloci nel realizzare ciò
che hanno deciso. Vostra caratteristica è invece l'immobilismo: non vi sforzate di ideare vie nuove e, sul
piano dell'azione, non siete all'altezza neanche dello stretto necessario. Ancora: loro osano. Anche al di là
delle loro forze, affrontano i rischi anche forzando le decisioni prese, anche in difficoltà sanno coltivare la
speranza. Il vostro impegno concreto invece è sempre al di sotto delle vostre forze, nelle decisioni non vi
fidate neanche degli elementi più sicuri, e dalle situazioni difficili temete di non riuscire mai ad emergere.
Loro sono intrepidi rispetto al vostro eterno esitare, dinamici tanto quanto voi non vi spostate mai dalle
vostre sedi: la loro idea è che dai loro spostamenti verrà qualche frutto, il vostro timore è che cercando altro
rischiate di perdere ciò che avete. [...]
Se non ottengono gli obiettivi che si proponevano, per loro è come se avessero perso qualcosa di già
acquisito, e se invece raggiungono l'obiettivo, è poco rispetto a quello che avrebbero potuto conseguire. Se
falliscono in un tentativo, concepiscono altre speranze e così rimpiazzano ciò che è mancato loro. Sono gli
unici che nello stesso momento desiderano e ottengono ciò che hanno concepito, giacché passano
immediatamente dal piano all'azione. E tutto questo realizzano affannandosi e correndo pericoli tutta la vita:
quasi per nulla godono di quello che hanno perché sempre protesi alla conquista del nuovo; festa altro non è
per loro se non aver realizzato ciò che si doveva, sventura invece la tranquillità inerte non meno
dell'impegno defatigante. Insomma, in una parola si potrebbe dire degli Ateniesi che sono noti per non avere
pace e non concederne agli altri.
Plutarco - Vita di Alcibiade
Bisogna premettere che Plutarco visse qualche secolo dopo la guerra del Peloponneso e quindi la sua
descrizione di fatti e persone si basa su notizie di seconda e terza mano. Alcibiade viene descritto come
un politico intelligente ma anche come un uomo amorale, rotto ad ogni compromesso, fino al
tradimento della patria, e dedito ad ogni specie di vizio.
I. 3 Parlare della bellezza di Alcibiade, poi, è forse superfluo; basterà dire che essa, fiorente in ogni fase
della sua vita - infanzia, adolescenza, maturità -, gli conferì un aspetto fisico gradevole e amabile. Non
sempre, come sosteneva Euripide, anche l'autunno della bellezza è bello; ma per Alcibiade - e con lui pochi
altri - le cose andarono proprio così: tali erano la prestanza e l'eccezionalità del suo fisico. 4 Anche il suo
difetto di pronuncia - dicono - si addiceva bene alla sua voce, aggiungeva anzi una grazia ricca di fascino al
suo discorrere. Di questa particolarità fa menzione anche Aristofane quando canzona Teoro:
«Così mi disse Alcibiade con la sua pronuncia blesa:
"Lo scolgi Teolo? Ha la testa di un colvo".
Aveva ragione, in quel caso, Alcibiade a usare la "l" invece della "r"!».
E Archippo, prendendosi gioco del figlio di Alcibiade, diceva: «Cammina con movenze effeminate,
strascina il mantello, per sembrare il più possibile simile a suo padre,
e ha l'aria affettata, adopra la "l" per la "r"».
1
XVI 1 Ma questa sua condotta politica, capacità oratoria, notevole abilità e intelligenza era accompagnata da
una vita alquanto dissoluta. Alcibiade era smodato nel bere e negli amori, si abbigliava con effeminatezza
(camminando per l'agorà, strascicava la veste rosso porpora), sfoggiava un lusso arrogante. Sulle sue triremi,
per dormire più comodamente, aveva fatto tagliare parte del ponte e il suo letto non posava sul pavimento
ma era appeso con cinghie. Il suo scudo, tramato d'oro, non aveva impresso lo stemma di famiglia, 2 bensì
Eros con in mano il fulmine. Di fronte a tali eccessi, la gente rispettabile era sdegnata e disgustata, ma
soprattutto paventava l'insolenza e la prevaricazione di Alcibiade di fronte alle leggi. Ai loro occhi era un
comportamento mostruoso e da tiranno. Interpretando non male i sentimenti del popolo verso Alcibiade,
Aristofane scrisse:
«Lo ama, lo detesta, e vuole averlo»;
ed è ancora più pungente quando si serve di un linguaggio figurato:
«Non si deve assolutamente nutrire in città un leone;
ma se lo fai, bisogna adattarsi alle sue abitudini».
3 Le donazioni, le coregie, le elargizioni alla città, fatte con munificenza straordinaria, la fama degli
antenati, il potere dell'eloquenza, la bellezza e la robustezza del fisico, a cui si aggiungevano esperienza e
gagliardia in guerra, rendevano gli Ateniesi accomodanti e indulgenti di fronte al resto. Alle sue colpe
davano sempre i nomi più benevoli, definendole puerilità, desiderio di distinguersi.
XXIII3 A Sparta, Alcibiade si guadagnò la stima pubblica e l'ammirazione dei singoli, si conquistò il favore
della massa, e la stregò adottando il regime di vita spartano. Si era rasato a zero, si lavava con l'acqua fredda,
divideva con gli altri il pane d'orzo, beveva il brodo nero; sicché era molto difficile credere che quest'uomo
avesse mai avuto un cuoco, un tempo, a casa sua, o posato gli occhi su un profumiere o sperimentato il tocco
di una leggera sopravveste milesia. 4 Ma tra le sue tante doti - come dicono - spiccava la capacità di attirarsi
le simpatie della gente, assimilando e adattandosi agli usi e ai comportamenti di chi gli stava attorno, con
una serie di mutamenti più rapidi di quelli di un camaleonte. Ma, a quanto si racconta, questo animale è in
grado di mimetizzarsi con tutti i colori, tranne il bianco; Alcibiade, invece, poteva passare tranquillamente
dal bene al male e viceversa; non vi era nulla che non sapesse imitare o praticare. 5 A Sparta eccelleva
nell'attività ginnica, viveva con frugalità, aveva l'aspetto serio. In Ionia era devoto ai piaceri, alla mollezza,
all'indolenza. In Tracia era sempre ubriaco, in Tessaglia andava a cavallo; alla corte del satrapo Tissaferne,
superò in fasto e sontuosità persino la magnificenza persiana. Non che gli fosse così facile passare da un
modo di vita a un altro e neanche subiva ogni volta una reale modificazione del carattere; ma appena
avvertiva che la sua vera natura avrebbe infastidito le persone con cui aveva a che fare, correva ai ripari,
adottando di volta in volta modi e atteggiamenti consoni ai loro. 6 Ecco perché a Sparta, giudicando in base
alle apparenze, si sarebbe potuto affermare: «Non è figlio di Achille, ma Achille in persona, un perfetto
discepolo di Licurgo»; ma sulla scorta dei suoi veri sentimenti e azioni si sarebbe esclamato: «È la stessa
donna di un tempo».
2