L’oro del vero sapere
Antichi mondi Il piacere in cambio della conoscenza: il giovane e bell’Alcibiade arrivò ad offrirsi a Socrate
– in cambio desiderava unicamente poterlo ascoltare
Maria Bettetini
«Allora, credendo che prendesse sul serio il fiore della mia giovinezza, pensai
che questo fosse un tesoro e una fortuna straordinari, se con il concedere a
Socrate i miei favori, potevo in cambio
ascoltare tutto ciò che costui sapeva». Il
giovane, brillante, bellissimo Alcibiade spera di poter diventare amante di
Socrate e quindi di poter avere accesso
alla sua sapienza. Nell’antica Grecia si
riteneva equo lo scambio che vedeva il
giovane concedersi all’uomo maturo,
un bel corpo in cambio della sapienza.
Nel Simposio di Platone, scritto tra
il 380 e il 370 a.C., è riportato con tinte
vivaci il tardivo ingresso di Alcibiade
alla festa in onore del poeta tragico Agatone: la vista di Socrate sul triclinio accanto al padrone di casa lo porta a una
scenata di gelosia, che ci fa comprendere
molto della sessualità nel mondo occidentale antico. Prima però di seguire la
vicenda del militare destinato a morte
prematura, qui consapevole di dire la
verità in quanto ubriaco, è opportuna
qualche considerazione. Nel passato
si è già detto di quanto fossero colorate
Atene e Roma, e tutti i territori ad esse
legati. Dove noi immaginiamo bianchi
marmi e candide vesti, dobbiamo inve-
ce pensare templi colorati e abiti ai limiti del pacchiano. Le donne si truccavano
senza timore di eccessi (soprattutto a
Roma), si adornavano con pettinature complesse, vestivano volentieri con
luccicanti stoffe orientali. Lo stesso si
può dire degli uomini, a eccezione dei
militari. Inoltre, sia Atene che Roma
non erano composte solo di agorà, palazzi del governo, tribunali e sontuose
ville patrizie. Queste potevano essere in
centro città o nelle vicine campagne, ma
la gran parte delle polis e delle civitates
erano composte da estesi bassifondi,
dove le strade diventavano strette e non
lastricate, le case erano stamberghe,
anche a più piani, quindi più facili al
crollo. Molti sono i testi sull’argomento, uno storico è il libro di Catherine
Salles, I bassifondi dell’antichità. Prostitute, ladri, schiavi, gladiatori: dietro lo
scenario eroico del mondo classico (Bur
1984), mentre molto recente è quello di
Maurizio Bettini, Dèi e uomini nella città. Antropologia, religione e cultura nella Roma antica (Carocci 2016). Erano
tempi in cui era normale la compravendita di esseri umani (fossero prigionieri,
trovatelli, vittime dei pirati), non solo
per il sesso ma anche per avere o scambiare personale di servizio senza passare per le avide mani dei venditori pro-
fessionisti. Qui si davano anche tutte le
possibili forme di servizi sessuali a pagamento, le prostitute vecchie smettevano la professione per diventare a loro
volta tenutarie di altri mercati di ragazze e bambini, facilmente riconoscibili
per l’insegna e i dipinti. A Roma fuori
dai lupanari (dal nome dato alle prostitute, le «lupe») erano appese un paio di
lucerne a più becchi, accanto a un’insegna con le tre Grazie, nude, affiancate
da una quarta donna corpulenta, a simboleggiare le prostitute e la mezzana.
L’insegna era completata dalla
scritta su marmo Ad sorores IIII (Alle
quattro sorelle). Al posto di questa, si
potevano trovare dipinti molto espliciti, come quelli di alcune case di Pompei
(vedi l’immagine qui sopra). All’entrata,
appariscenti donne dai capelli azzurri abbordavano i clienti, invitandoli a
entrare attraverso una tenda che dava
su uno stretto corridoio illuminato da
lucerne. Ai lati del corridoio si aprivano
stanzette spartane, chiamate cubicoli,
dove venivano consumati i rapporti. Al
piano superiore si trovavano le stanze
private delle prostitute. Alcuni lupanari
disponevano di un salone, dove spesso
venivano serviti cibi e bevande e dove le
ragazze giravano nude sotto la supervisione di un lenone (protettore).
A Roma come ad Atene, la collocazione di questa sorta di taverne non
deve far pensare necessariamente a uno
stato di indigenza: da una parte elementi anche sfarzosi di lusso negli abiti, nei
trucchi, nei tendaggi, attraevano i clienti; d’altra parte si trattava di luoghi dove
poteva girare anche molto denaro. Non
erano ricchi fanciulli e fanciulle, poteva
diventarlo la singola prostituta se oggetto di una richiesta esclusiva da parte di
un ricco cliente, e certo poteva diventarlo anche la tenutaria della «casa».
Il mercato in ogni caso consentiva un
facile guadagno, perché il valore dello
straniero, soprattutto se femmina, era
nullo. Frequenti i casi di neonati o bambini abbandonati: alla nascita, a Roma,
il padre doveva compiere espressamente il gesto di prendere in braccio e innalzare la creatura, con questo volendo
dire che non aveva intenzione di lasciarla per terra, quindi per strada. In Grecia,
poi, la cittadinanza non era concessa a
nessuno che non fosse nato in una polis
da famiglia di provata origine autoctona; a Roma col tempo si rese più facile
diventare cittadino romano ovunque
si fosse nati nell’Impero, ma gli schiavi
dovevano prima essere liberati, e poi,
con lo stato di «liberti» potevano aspirare alla cittadinanza.
Una curiosità: per i Romani, l’amore omosessuale era definito «greco», e
spesso si davano nomi greci agli schiavi
proprio allo scopo di non infangare un
nome latino. Per i Greci, invece, l’unica
forma di rapporto omosessuale ritenuto degno del nome di amore era quello tra uomini liberi, in particolare tra
adulti maturi e giovanetti, da cui siamo
partiti. Sembra, a quel che dicono i più
recenti studi, che in ogni caso si intendesse non un vero e proprio atto sessuale (dove la necessaria passività di uno
dei due implicava una sottomissione,
quindi un’umiliazione), ma il raggiungimento del piacere attraverso pratiche
su cui non è il caso di intrattenersi.
A questo, dunque, avrebbe mirato
il bell’Alcibiade, non certo a farsi sottomettere da Socrate: lo scambio doveva
essere equo, piacere per sapere. Per tutti ma non per Socrate, che ad Alcibiade
aveva risposto: tu pensi di scambiare
armi d’oro con armi di bronzo (citando
un passo dell’Iliade). In sostanza, il tuo
bel corpo non vale la mia sapienza. Con
questo indicando la fatica necessaria e
non sostituibile per raggiungere il vero
sapere, un oro che brilla anche per noi,
se queste poche righe hanno dissipato
qualche pregiudizio su Atene, Roma, e i
loro bassifondi.