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413 A.C.
L’ASSEDIO DI SIRACUSA
di Gianlorenzo Capano
Siracusa
orreva ancora l’inverno, quando si risvegliava in Atene l’impulso d’imbarcarsi con armamenti più massicci di quelli disposti
per Lachete ed Eurimedonte, con cui puntare sulla Sicilia e
conquistarla, se possibile. Per la folla d’Atene era mistero la grandezza di
quest’isola e il numero preciso delle sue genti, Greci o barbari: e s’ignorava d’addossarsi uno sforzo bellico non troppo più lieve di quello spiegato
contro il Peloponneso.” 1
“C
PROLOGO
431 a.C. – 404 a.C.: Queste le date che segnano l’inizio e la fine della Guerra del Peloponneso che vide contrapposte, per quasi trent’anni, Sparta ed
Atene e che si concluse con la sconfitta di quest’ultima. La descrizione del
conflitto, definito da alcuni studiosi come “una guerra mondiale dell’antichità”, ci è giunta grazie a Tucidide. “Come spesso accade nelle guerre
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Tucidide. Le guerre del Peloponneso.
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cruciali della storia dell’umanità, quella
del Peloponneso non mise di fronte solo
due contendenti che volevano affermare
ed estendere la propria sovranità, ma soprattutto due modi di intendere il mondo e due culture inconciliabili.”2
Le due città nel 446 a.C. avevano firmato
la pace dei trent’anni che sanciva l’egemonia di Sparta sul continente e quella
di Atene sul mare. Ma se Sparta aveva come unico obiettivo della sua politica estera l’egemonia sul Peloponneso, Atene,
Tucidide
grazie al suo potere marittimo, aveva delle mire espansionistiche che portarono
allo scontro tra la due potenze a causa dell’insofferenza spartana di fronte
al crescente potere di Atene. A creare i presupposti della rottura degli accordi del 446 a.C. fu l’aggressiva politica estera di Pericle. Il pretesto fu
fornito da tre episodi: l’alleanza ateniese con Corcira, colonia di Corinto
ed appartenente alla Lega Peloponnesiaca dominata da Sparta; il decreto
di Pericle che impediva a Megara, città anch’essa della lega Peloponnesiaca, di utilizzare i porti controllati dalla Lega di Delo come ritorsione per
l’aiuto che Megara forniva a Corinto ed infine l’assedio di Potidea, città
della penisola calcidica, facente parte della Lega di Delo, ma colonia di
Corinto. Nel 432 a.C., la Lega del Peloponneso, convocata su iniziativa di
Corinto, inviò un ultimatum ad Atene reclamando sia che fosse tolto l’assedio a Potidea sia che fosse annullato il decreto riguardante Megara.
Atene rifiutò e fu guerra.
“La votazione spartana sui patti da considerarsi sciolti e sulla guerra da intraprendere, non scaturì dall’opera di convinzione degli alleati, quanto
dall’apprensione suscitata dalla potenza ateniese, in costante sviluppo. Vedevano infatti che Atene aveva le mani sulla maggior parte della Grecia.”3
Come quindi sottolinea Tucidide, al di là del pretesto politico per dichiarar guerra, “il vero fine di Sparta era fermare l’ascesa di Atene, che dopo
le guerre Persiane non solo aveva avuto una straordinaria ascesa economica, ma aveva trasformato la Lega di Delo in una forza straordinaria, pericoloso strumento della sua politica espansionistica.”4
“Cosa vogliamo lasciare in eredità ai nostri figli: la guerra?” Questa frase,
pronunciata dal re spartano Archidamo, di fronte all’assemblea che doveva decidere per la pace o per la guerra, ci fa capire la sua contrarietà all’intervento “soprattutto perché Sparta non aveva ancora, secondo lui, gli
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Juan Manuel Guzman. La guerra del Peloponneso- Storica N.36 Febbraio 2012.
Tucidide. Le guerre del Peloponneso.
Juan Manuel Guzman. La guerra del Peloponneso- Storica N.36 Febbraio 2012.
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strumenti per combattere contro una grande potenza
navale e mercantile come Atene.”5 La votazione fu favorevole all’intervento. Per ironia della sorte, nonostante Archidamo fosse contrario alla guerra, alla prima fase del conflitto (431 a.C.-421 a.C) che, con il dilagare della peste provocò innumerevoli morti tra cui lo
stesso Pericle e che si concluse con la pace di Nicia del
421 a.C., fu dato il nome di archidamica.
ALCIBIADE
L’anno 420 a.C. vide l’elezione a stratega di Alcibiade
(450- 404 a.C.), una delle figure più controverse della
storia ateniese. Allievo ed amico di Socrate, influenzato anche dalla lezione filosofica dei sofisti, fu considerato l’erede politico di Pericle che lo prese sotto
la sua tutela dopo la prematura morte del padre a Cheronea. Egli assomigliò
a Pericle “nell’arte della parola, in quella capacità rabdomantica di intuire e
guidare gli umori della folla che fece di lui, nelle Assemblee cittadine, l’incarnazione del perfetto demagogo descritto da Aristofane nelle sue commedie.”6 L’affacciarsi di questo personaggio nel mondo politico ateniese caratterizzò quasi fino all’ultimo la guerra del Peloponneso. “Ma chi è Alcibiade? Un
uomo che ha tutte le virtù, si potrebbe dire: giovane, bello, intelligente, ricco,
buon parlatore, di ottime frequentazioni, capace di convincere, di ottima famiglia. Questo è vero. Però Alcibiade ha anche tutti i difetti: è arrogante, ambizioso, egoista, non riconosce praticamente nessun valore, non si lega a nessuna tradizione che non sia quella di emergere come individuo. È molto ricco, dovrebbe schierarsi con la fazione dei possidenti, però capisce che da
quella parte non c’è posto per lui. Ormai c’è Nicia che è il leader dei moderati, se vogliamo chiamarli così, con una parola probabilmente sbagliata. Allora Alcibiade decide di diventare il capo di democratici, di riprendere la tradizione dello zio Pericle, e anche di Cleone. La politica dei democratici è quella
dell’espansione dell’impero. Quindi Alcibiade si impegna affinché gli ateniesi riprendano la loro politica di espansione territoriale.”7 L’esordio strategico
di Alcibiade si rivelò però un fallimento. Nel 418 a.C. l’esercito di Mantinea,
unito a quello di Argo e a mille opliti ateniesi, subì una pesante sconfitta,
presso Mantinea, da parte dell’esercito Spartano, al comando del re Agide.
“La strategia di Pericle si basava sul fatto di non affrontare gli spartani in una
battaglia terrestre. Alcibiade pensò di poterlo fare insieme agli spartani, in
pieno territorio spartano.”8 Dopo questa sconfitta, che chiuse agli ateniesi la
Pericle-Museo Barracco-Roma
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Sergio Valzania. Sparta e Atene- Edizione Sellerio.
Juan Manuel, Guzman-Lorenzo Braccesi- Antonio Guzman Guerra. La guerra del Peloponneso- Storica Speciale N.5.
Sergio Valzaina. Sparta e Atene- Edizione Sellerio.
Sergio Valzaina. Sparta e Atene- Edizione Sellerio.
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porta di accesso al Peloponneso ed alla parte continentale della Grecia, i corinzi, gli elei ed i megaresi,
che si erano alleati momentaneamente con gli argivi, tornarono al fianco degli spartani.
Rimasto quindi insoluto il problema che l’Attica, sede degli ateniesi, fosse pur sempre una regione arida e brulla contrariamente alla regione più fertile,
il Peloponneso, dove si erano insediati gli spartani,
presto arrivò la soluzione: dopo un breve periodo
di ostracizzazione, Alcibiade, rieletto stratega, riproAlcibiade
pose il piano per realizzare il suo sogno, cioè la conquista della parte occidentale del mondo greco
(quella che poi sarà chiamata Magna Grecia) comprendente tutta la costa orientale della Sicilia, Catania, Siracusa, Agrigento ed
alcuni tratti della costa dell’Italia Meridionale, Taranto, Napoli, Crotone.
SICILIA!!
“La complessa situazione ateniese, e l’assenza di un vero partito della pace, o almeno di una sua autorevole rappresentanza, spiegano la dinamica
della nuova spedizione ateniese in Sicilia, la più famosa e disastrosa, quella degli anni 415-413 a.C..”9 Il pretesto per dare inizio alla spedizione fu
dato dalla richiesta di aiuto, avanzata da alcuni ambasciatori di Segesta
giunti ad Atene, contro Selinunte, alleata di Sparta, con la quale la loro
città era in guerra per controversie territoriali.
“L’isola con le sue favolose ricchezze, con le sue inesauribili riserve granarie, con le sue molte popolose città, agitava i sogni dell’immaginario collettivo, che ne reputava la conquista a portata di mano e quasi panacea
per risolvere la guerra di Sparta e la domestica contraddizione del sistema.”10 L’assemblea dove venne presa la decisione dell’intervento in Sicilia
viene raccontata dettagliatamente da Tucidide.
Selinunte
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Domenico Musti. Storia Greca- Edizione Mondadori.
Lorenzo Braccesi Giovanni Millino. La Sicilia Greca – Edizione Carocci.
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Da una parte Nicia, contrario alle avventure transmarine. “ La Sicilia è lontana,
per raggiungerla da Atene bisogna fare il
periplo del Peloponneso. Occorre un’armata di dimensioni straordinarie che
non ci possiamo permettere.”11 Dall’altra
Alcibiade. “Ardente del desiderio di essere stratega e colmo di speranza di potere
Segesta
in questo modo conquistare la Sicilia e
Cartagine; quindi, insieme alla vittoria, di ottenere vantaggi personali in
gloria e ricchezza.”12 Le sue argomentazioni prevalsero e come lo stesso
Tucidide sottolinea, nessuno si rese conto che la Sicilia era grande come il
Peloponneso, che la città di Siracusa, la più importante dell’isola, aveva
quasi le dimensioni di Atene: si trattava di sfidare un nemico potentissimo.
Fu dato il via, quindi, alla seconda spedizione in Sicilia, che si protrasse
dal 415 al 413 a.C.
“Era questa la prima spedizione che salpava con forze greche da un’unica città, la più splendida e la meglio equipaggiata che ci fosse stata fino ad allora.”13
La spedizione,composta da 134 triremi che trasportavano 30.000 uomini
tra cui 5100 opliti, nell’estate del 415 a.C., salpò da Atene, in un clima di
festa, con navi decorate ed addobbate con festoni. Al comando c’erano Nicia, Lamaco e Alcibiade. “Quest’ultimo aveva la linea strategica apparentemente più prudente, ma di fatto più ispirata a idee di grandezza: costruire
in Sicilia una vasta alleanza e poi attaccare Siracusa; più che una spedizione in soccorso di alleati in difficoltà, l’impresa doveva costituire una svolta
nella storia della Sicilia, la creazione di un assetto politico diverso. Lamaco
era favorevole ad un attacco immediato; Nicia a un’interpretazione rigorosamente limitativa dei fini della spedizione: sostenere Segesta, attaccare o
intimidire Selinunte, inducendola a riconciliarsi con la città elima.”14
Prevalse inizialmente la linea di Alcibiade che, però, fu presto costretto
ad abbandonare il comando in quanto implicato nello scandalo della
mutilazione delle erme
(piccoli pilastri scolpiti
raf figuranti il dio Ermes) poste a protezione
dei crocevia e delle piazze cittadine. Due settiTrireme greca
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Tucidide. Le guerre del Peloponneso.
Tucidide. Le guerre del Peloponneso.
Tucidide. Le guerre del Peloponneso.
Domenico Musti. Storia Greca- Edizione Mondadori.
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mane prima della partenza esse furono mutilate durante la notte e l’episodio fu considerato come pessimo presagio per l’impresa che si stava
preparando. Pertanto si scatenò la caccia al colpevole. Furono incolpati
del gesto alcuni giovani aristocratici, tra cui appunto Alcibiade, che fu
anche accusato di aver partecipato alle parodie dei misteri eleusini ( riti
misterici celebrati nel santuario consacrato alla dea Demetra, nella città
attica di Eleusi). Nel frattempo la flotta, costeggiando l’Italia, dopo aver
ricevuto rifiuto di ormeggio da Taranto, Locri, Reggio e Messina, giunse
a Catania. “E’invitato ad approdarvi il solo Alcibiade per perorare la causa ateniese dinnanzi all’assemblea popolare. E’un oratore che incanta, e
riesce a distrarre l’attenzione generale dall’irruzione in città di un manipolo di opliti ateniesi che vi penetra di nascosto attraverso una postierla,
probabilmente lasciata di proposito incustodita. La fazione oligarchica si
defila e la città vota unanime in favore dell’alleanza con Atene, costituendo da allora in poi la base logistica di tutte le operazioni militari.”15 Intanto ad Atene si era deciso di incriminare formalmente Alcibiade per la decapitazione delle erme. Pertanto arrivò a Catania la nave Salamina, con
l’ordine di riportarlo in patria per comparire di fronte al tribunale: nessuna protesta da parte sua ma solo la comunicazione che egli sarebbe tornato ad Atene a bordo della sua nave.” E’il momento di svolta della guerra, secondo Tucidide, perché privo di Alcibiade il comando Ateniese non
ha più la determinazione per agire e nemmeno il quadro strategico di
quello che sta facendo.”16 Durante il viaggio di ritorno, nel corso di una
delle frequenti soste, Alcibiade, a Turii, scomparve, per ricomparire a
Sparta, dove aveva molti amici e dove si trovavano gli ambasciatori dei corinzi, dei beoti e dei siracusani. Tutti stavano chiedendo a Sparta di intervenire a “sostegno di Siracusa perché restare fuori dal conflitto poteva significare consegnare la Magna Grecia agli ateniesi e ridurre il Peloponneso ad una grande isola assediata.”17 Alcibiade consigliò di intervenire
con la massima celerità cosicché fu incaricato lo spartano Ghilippo, uno
dei maggiorenti della città, di assumere il comando della difesa di Siracusa. Nel frattempo la stagione di guerra in Sicilia, sia nel 415 che nel 414
a.C, fu favorevole ad Atene. Nicia era riuscito a conquistare l’Epipole,
un’altura che domina l’accesso a Siracusa e taglia i collegamenti con l’entroterra. Ma egli, non concependo la guerra di annientamento, decise di
non assestare il colpo finale , in quanto sperava di potersi accordare con
i maggiorenti di Siracusa. Egli decise comunque di arrivare sotto le mura
della città per mostrare la propria forza. Giunto però l’autunno, Nicia
prese la decisione di togliere il blocco e svernare a Catania, insieme a Lamaco, per risparmiare le forze “e non logorarle in un assedio che non
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Lorenzo Braccesi,Giovanni Millino. La Sicilia Greca – Edizione Carocci.
Sergio Valzania. Sparta e Atene- Edizione Sellerio.
Sergio Valzania. Sparta e Atene- Edizione Sellerio.
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credeva essere in grado di mantenere. La primavera vedrà il grande sforzo offensivo degli ateniesi contro Siracusa e l’arrivo dello spartano Ghilippo nello scacchiere siciliano.”18 Egli arrivò in Sicilia solamente con
quattro triremi. Attraversato lo stretto e sbarcato ad Imera, Ghilippo raggiunse via terra Siracusa, dove, nel frattempo, nella primavera del 414
a.C, era tornato Nicia che aveva nuovamente conquistato l’Epipole e,
nell’estate successiva, aveva deciso, allo scopo di affamare gli assediati, di
costruire un muro che bloccasse ogni uscita da Siracusa.
LA DISFATTA
Fu a questo punto che con quattromila uomini Ghilippo, compresa la situazione, decise di assaltare il castello di Eurialo, sul colle dell’Epipole,
dove gli ateniesi avevano
ammassato i materiali
per completare il muro.
Ma egli fu respinto dagli
ateniesi. Il giorno successivo, disposte le truppe
in maniera differente,
egli sferrò un nuovo attacco, battendo gli ateniesi, conquistando l’Eurialo ed incendiando il
legname ammassato per
completare il muro. Gli
ateniesi furono costretti
a cedere il territorio conquistato fino ad allora ritirandosi nella zona bassa e malsana posta intorno al porto grande. Nicia, rimasto solo al coCastello di Eurialo- Siracusa
mando, poiché Lamaco
era morto durante uno
scontro, si rese conto che la possibilità di conquistare Siracusa era fallita e
inviò una lettera ad Atene dove scrisse che il suo stato di salute non gli permetteva più di comandare e che l’esercito non era più sufficiente per portare a compimento l’impresa. Accolto l’appello di Nicia, gli ateniesi inviarono, nella primavera del 413 a.C., dei rinforzi al comando del generale
Demostene che decise per un attacco notturno alla linee siracusane che
collegavano l’Eurialo alla città.
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“Nella notte, alla luce della luna, gli ateniesi attaccano. È un attacco improvviso
e imprevisto, le sentinelle vengono sopraffatte, vengono travolti anche i primi
che accorrono di rinforzo; poi, però, il
buio confonde gli ateniesi, che non conoscono i luoghi dove combattono.” 19
Arrivò intanto Ghilippo alla testa dei rinforzi siracusani. Gli ateniesi, con indosso
il pesante armamento oplitico, tentarono la fuga. Molti caddero nelle forre, altri vennero raggiunti e uccisi. Fu una
sconfitta pesantissima. Demostene, resosi conto che non c’era più niente da fare,
Demostene
propose a Nicia la fuga. E così la sera del
27 agosto 413 a.C. la flotta ateniese era
pronta a salpare dal porto grande di Siracusa, ma un’eclissi di luna fece
rinviare a Nicia la partenza. Fu una decisione fatale. I siracusani rinforzarono la prua delle loro navi, in modo da poterle utilizzare come arieti. Le
navi ateniesi tentarono per due volte di uscire dal porto, ma vennero attaccate dai siracusani, che con le loro trireme corazzate riuscirono ad impedire alle navi ateniesi di prendere il largo. Gli ateniesi persero 18 navi
nel primo scontro e 50 nel secondo. Nicia e Demostene decisero la fuga
via terra. Si misero in marcia verso Camarina, ma vennero inseguiti dai Siracusani. Il primo ad arrendersi fu Demostene. Nei pressi del fiume Assinaro, la cui acqua si tinse di rosso tanto fu il sangue ateniese versato, fu Nicia ad essere preso prigioniero. Furono giustiziati tutti e due, contro la volontà di Ghilippo. Gli altri prigionieri furono gettati nelle latomie e quelli
che sopravissero furono venduti come schiavi. Plutarco racconta che ottennero la libertà solo quelli che sapevano recitare versi della tragedia euripidea “Le Troiane”. Pochi comunque furono quelli che rientrarono dalla spedizione ad Atene. Pertanto “questo riuscì l’evento bellico più denso
di conseguenze per i Greci, in tutto l’arco della guerra e il più grandioso
in assoluto tra i fatti della storia greca registrati dalla tradizione: quello
che garantì il maggior trionfo alla potenza vincitrice e inflisse agli sconfitti
la ferita mortale. Disastrose disfatte, su tutti i fronti; tormenti di ogni sorte, acuiti allo spasimo. Fu insomma una distruzione radicale: è proprio
questa la parola; e vi scomparve l’esercito, si dissolse la marina, e nulla si
riuscì a salvare. E pochi dalla folla partita un giorno fecero ritorno a casa.
Ecco, furono questi gli avvenimenti sul suolo di Sicilia.”20
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