VOLUME I LABORATORIO DOCUMENTI e STORIOGRAFIA STO DALLA PREISTORIA ALLA REPUBBLICA ROMANA Amare o odiare Alcibiade Non sono molti nella storia i personaggi come Alcibiade, capaci di generare odi e amori tanto potenti e di smuovere un interesse appassionato negli storici a distanza di due millenni e mezzo. All’uomo politico possono e, forse, devono essere mosse accuse fortissime, prima tra tutte quella del tradimento della propria città. E ancora si può accusare Alcibiade di essere stato animato solo da ambizione personale e da sete di potere. Ma tutto questo sfuma di fronte all’uomo Alcibiade, al “cucciolo di leone” del quale parla Aristofane, odiato e idolatrato dal suo popolo. Perché l’uomo Alcibiade era molto ricco e apparteneva a una delle famiglie più nobili di Atene. Non solo: le sue doti intellettuali erano, a detta di tutti i suoi contemporanei, formidabili, come d’altra parte la sua eloquenza e la simpatia che lo circondava. Quasi impossibile non amare un personaggio così eccezionale. Era il gennaio del 405 a.C. quando Aristofane fece rappresentare una delle sue commedie più belle, le Rane, nella quale, come suo costume, il poeta era prodigo di consigli e di accorate esortazioni alla sua città, in un momento difficilissimo: la guerra del Peloponneso […] volgeva alla fine, con esiti rovinosi per Atene, che di fatto, un anno dopo, avrebbe capitolato. In quell’inizio del 405 gli Ateniesi non avevano perduto ancora tutte le speranze; l’atmosfera era tuttavia molto cupa: si sapeva che la prossima battaglia sarebbe stata l’ultima, perché ormai mancavano i mezzi, gli uomini, le forze, ma si era, almeno nella maggioranza, decisi a non arrendersi. La città era però lacerata dai contrasti interni, e priva di un capo che la guidasse con quella fermezza che era stata di Pericle, sotto il quale la guerra era iniziata. Vi era un uomo, in verità, a cui molti guardavano come a una possibilità di salvezza, anche se in quel momento si trovava in esilio: Alcibiade. Dunque nelle Rane, il dio Dioniso sceso nell’Ade è incerto se ricondurre sulla 56 terra – dove ormai mancano i poeti tragici – Euripide oppure Eschilo, e decide di riportare con sé quello che saprà dare un utile consiglio alla Città. Per metterne alla prova la saggezza, chiede loro: «Che opinione avete su Alcibiade?». Eschilo, di rimando, domanda quale opinione la Città abbia di lui e Dioniso risponde: «Lo ama e lo odia e tuttavia lo vuole». Euripide esclama allora: «Io odio il cittadino che si mostra lento nel giovare alla patria ma pronto nel farle molto danno; industrioso per se stesso e senza risorse per la patria». Eschilo invece afferma: «Non bisogna allevare nella città un cucciolo di leone […], ma quando lo hai allevato devi adattarti alle sue abitudini». Dioniso riporterà sulla terra Eschilo. Ecco dunque che la commedia aristofanea riesce a tradurre in poche battute, dense di significato, la situazione: non da ora ma da sempre gli Ateniesi nutrono amore e odio per Alcibiade […]; ma come fare se non è un uomo come tutti gli altri ma è come un leone ai cui costumi non resta che adattarsi? O, ampliando la prospettiva: come può – o come deve – una democrazia, senza venirne snaturata, gestire un cittadino la cui natura sia del tutto fuori dell’ordinario? Gli Ateniesi non richiamarono Alcibiade e pochi mesi dopo la città si arrese a Sparta; Alcibiade, ancora in esilio, moriva, a quarantasei anni, ucciso da una congiura alla quale presero parte tutti i suoi nemici, ed erano molti. […] Ma Alcibiade, obiettano gli storici moderni suoi difensori, di fatto non si è mai posto al di sopra della legge, ha sempre accettato le decisioni della città, si è sempre adeguato al gioco democratico; non ha mai tentato di fare una rivoluzione oligarchica, a differenza di Crizia […], o addirittura di farsi tiranno (anche se molti temevano che proprio a questo aspirasse). E tuttavia se Alcibiade non attentò alla democrazia […] il motivo non è da rinvenire in una sua supposta fede democratica, nel convincimento che, deboli e forti, tutti hanno gli stessi diritti, ma semplicemente nella considerazione, realistica, che la democrazia ateniese si poteva criticarla fin che si voleva e disprezzarla, ma era troppo forte perché si potesse cercare di abbatterla con qualche speranza di successo duraturo: Crizia fece il tentativo: durò pochi mesi, e finì nel sangue. È possibile poi che ad Alcibiade si debba attribuire un’altra riflessione: la democrazia gli concedeva quella libertà che un governo oligarchico non gli avrebbe mai concesso, senza contare che si può essere i primi sopra una massa e guidarla a proprio piacimento (questo, almeno, da Pericle l’aveva imparato), ma questo gioco non può riuscire in un governo di pari. Fonte: C. Longo, Alcibiade, una storia ateniese, in «Storia e Dossier», Giunti, Firenze, 1997. COMPRENSIONE Testo • Qual era la situazione ad Atene nel 405 a.C., nell’anno in cui fu rappresentata la commedia Le rane di Aristofane? • Aristofane fa pronunciare a Dioniso una battuta che sintetizza molto bene i sentimenti degli Ateniesi nei confronti di Alcibiade. Quali sono le esatte parole di Dioniso? • Ma la riflessione più acuta riguardo ad Alcibiade sembra essere quella di Eschilo. Cita le sue parole e spiega il loro significato. Contesto • A quale fazione apparteneva Alcibiade? • Quale politica voleva realizzare Alcibiade dopo la pace di Nicia? • Quale iniziativa prese?