Lo stress: uno studio su un campione di dirigenti scolastici

Lo stress: uno studio su un campione di dirigenti scolastici
Definizione di stress
Verdiana Vannucci1
Il termine “stress” è entrato a far parte del nostro vocabolario comune, ognuno di noi
conosce il significato e l’ha utilizzato almeno una volta nella propria vita per descrivere
una situazione che genera ansia e forte preoccupazione.
L’uso che se ne fa è talmente generico spesso da risultare improprio, soprattutto se si
pensa che tale termine veniva usato originariamente nel settore metallurgico per
indicare gli effetti che le grandi pressioni avevano sui materiali, infatti proprio di
pressioni e di effetti si deve parlare quando si usa la parola “stress”.
Fu Hans Selye, medico e ricercatore austriaco, a dare più ampio significato alla parola
“stress” ed è proprio per questo che è considerato “il padre dello stress”
Nel 1936 durante una ricerca condotta a Montreal alla McGill University iniettò
quotidianamente una sostanza a dei ratti per testarne gli effetti, con il passare dei giorni
notò l’insorgenza sui ratti di ulcere peptiche, atrofia dei tessuti del sistema immunitario
e un notevole ingrossamento delle ghiandole surrenali, tuttavia notò che tali effetti
collaterali non comparvero solo sui ratti che facevano parte del gruppo sperimentale ma
anche su quelli del gruppo di controllo, al quale era stata quotidianamente iniettata solo
una soluzione fisiologica; i due gruppi di animali avevano in comune solo il fatto di
essere stati entrambi esposti a un evento stressante: quello delle iniezioni quotidiane.
Selye cercò di avvalorare la sua tesi sottoponendo gruppi di topi all'esposizione ad
ambienti troppo caldi o troppo freddi, a forti rumori e ad agenti patogeni, in tutti gli
animali si riscontrarono gli stessi effetti.
Tramite questi esperimenti Selye arrivò a definire lo stress come “la risposta strategica
dell'organismo all’adattarsi a qualunque esigenza, sia fisiologica sia psicologica, a cui
esso venga sottoposto. In altre parole, è la risposta aspecifica, adattativa dell’organismo
a ogni richiesta effettuata su di esso,lo stress può essere inteso come una risposta
(generale) aspecifica a qualsiasi richiesta (demand) proveniente dall’ambiente”(Selye,
1955).
Lo stress, per l’organismo umano, di per sé non è né positivo né negativo, anche se
odiernamente lo stress è un’eccezione spesso negativa, in realtà esso è una normale
risposta fisiologica.
Selye identificò due diverse tipologie di stress che chiamò distress (stress negativo) ed
eustress (stress positivo), il primo fa riferimento a quelle pressioni negative che
derivano da periodi in cui si è sottoposti a situazioni che superano la propria capacità di
farvi fronte; il secondo invece riguarda quelle pressioni ‘positive’ che agiscono
sull’individuo e che rientrano all’interno di un limite tollerabile per il quale il soggetto
ha tutte le capacità per farvi fronte.
Il distress sta a indicare lo stress così come comunemente lo intendiamo ed è quello che
ci provoca ad esempio: ansia, conflitti emotivi, incapacità di affrontare le situazioni in
maniera ottimale; esso deriva da quelle situazioni stressanti troppo intense o che si
protraggono per un periodo troppo lungo, tali situazioni possono creare problemi sia
5
psichici sia fisici, tra le possibili cause di distress troviamo: un licenziamento
improvviso, un lutto o qualsiasi altra cosa che rompa un equilibrio precedentemente
ritenuto saldo.
L’eustress (eu-: in greco, buono, bello), è quel tipo di stress che ci aiuta ad fronteggiare
la vita e la nostra quotidianità, ed è rappresentato da tutti quelli stimoli fisiologici, fisici
e psicologici che hanno lo scopo di mantenerci “vivi”, ad esempio il praticare sport
sottopone il nostro fisico a piccoli livelli di stress ma il risultato di questa pratica sarà
una maggior resistenza. L’eustress aumenta i nostri livelli di resistenza e di
adattamento.
Per Selye, lo stress è “una risposta generale, aspecifica dell’organismo a qualsiasi
richiesta proveniente dall’ambiente” (Selye, 1974).
Selye definì la "sindrome generale di adattamento" come un processo articolato in tre
fasi e finalizzato all’adattamento, scatenato da stimoli stressanti di natura diversa
(Selye, 1936).
Tale sindrome può essere definita come un meccanismo difensivo che l’organismo usa
per tornare al suo stato di normale equilibrio emotivo (omeostasi).
Le tre fasi della sindrome generale di adattamento sono:
•
La fase di allarme, che è la prima ed è quella in cui l’organismo si impegna a
richiamare tutte le forzi e le energie in modo da poter far fronte allo stressor (evento che
crea tensione) nel modo più efficace ed efficiente possibile.
La principale reazione interna che questa fase mette in atto è la produzione di
adrenalina, e ciò di conseguenza porta a un aumento del battito cardiaco, il corpo
istintivamente si prepara al combattimento o alla fuga e questo comportamento è
derivante dal nostro istinto alla sopravvivenza. Il nostro corpo percepisce una novità,
ma come tale la interpreta come un possibile pericolo reagendo di conseguenza.
L’ipotalamo in questa fase svolge una funzione basilare poiché agisce attraverso un
aumento non solo dell’adrenalina (aumento di circa dieci volte il normale), ma
producendo anche antidolorifici naturali per il corpo (le betaendorfine) che aumentano
la soglia di sopportazione del dolore permettendo di reagire meglio a traumi, sforzi e
tensioni emotive.
•
La seconda fase è quella di resistenza o adattamento, qui il nostro organismo
cerca di resistere ed adeguarsi alle nuove circostanze stressanti fin quando queste non
svaniscono.
In questa fase di resistenza abbiamo la sovrapproduzione di cortisolo (conosciuto anche
come l’ormone dello stress) Questo ormone, con la sua azione, inibisce le funzioni
corporee non necessarie nel breve periodo, garantendo il massimo sostegno agli organi
vitali. La sovrapproduzione suddetta causa un abbassamento delle difese immunitarie e
nel lungo periodo (nel caso quindi di stress cronico) espone l’individuo a malattie
batteriche, virali ed autoimmuni.
•
La terza e ultima fase è quella di esaurimento, tale fase avviene quando le
energie si esauriscono o quando il pericolo, che ha messo in moto tutto il processo,
viene percepito come finito. Dal punto di vista biochimico in questa fase vi sono un calo
rapido dell’adrenalina e la diminuzione delle riserve energetiche; ci si trova davanti ad
una situazione completamente inversa a quella della resistenza, dove l’organismo
assicura al corpo il riposo per riprendersi completamente e mette in atto un’azione
depressiva.
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Lo stress quindi non è altro che una risposta dell’organismo, ossia un’attivazione, a un
evento esterno ed è fondamentale per l’organismo stesso, in quanto, quando non a livelli
estremi esso permette all’individuo di operare in un livello ottimale di efficienza
(Yerkes; Dodson, 1908)
Strategie di coping
Non siamo semplici vittime dello stress, esso è il risultato di un’interazione tra variabili
ambientali e variabili personali, la natura dello stress individuale viene determinata da
diversi fattori tra loro correlati:
•
La valutazione primaria, in altre parole il mondo in cui ognuno di noi valuta gli
eventi stressanti.
•
La valutazione secondaria, cioè le possibilità di azione.
•
Le strategie di coping, intendo con questo termine le strategie che si mettono in
atto per fronteggiare gli eventi stressanti.
Ciascuno di noi, quindi, mette in atto una serie di strategie di coping sotto, tale termine
rientrano tutte quelle strategie che Lazarus e Folkman definiscono come: «l’insieme
degli sforzi comportamentali e cognitivi, volti alla gestione di specifiche richieste
esterne e/o interne, valutate come situazioni che mettono alla prova o che in ogni caso
eccedono le risorse di una persona» (Lazarus e Folkman, 1984), precisano, inoltre, che
questi sforzi sono finalizzati a ridurre, minimizzare, padroneggiare, sopportare tali
richieste (Folkman et al., 1986).
Gli stili di coping sono “l’insieme di pensieri e sentimenti che le persone mettono in
atto per gestire situazioni difficili, impreviste o preoccupanti” (Lazarus e Folkman,
1987). Come si può dedurre dalla definizione data da Lazarus, gli stili di coping non
sono qualcosa di universale per qualsiasi individuo ma al contrario sono altamente
soggettive in quanto dipendono dalle caratteristiche del soggetto e dalle esperienze
personali che esso ha vissuto.
Il coping è legato al contesto e alla specifica situazione in cui è attivato, quindi non è
definito aprioristicamente dalle caratteristiche stabili di personalità di un soggetto,
inoltre la strategia varia in base alla valutazione che l’individuo farà dell’evento
stressante. Il coping quindi è sostanzialmente frutto di un’attività cognitiva con cui si
valuta la situazione verificandone il potenziale stressante.
Gli individui cercano di valutarne il significato e l'impatto sul proprio benessere,
decidendo se l’evento è poco rilevante, stressante o positivo.
Tra le varie strategie di coping si possono contraddistinguere quelle orientate al problem
solving (strategie problem-focused), il cui scopo è quello di risolvere il problema, e
quelle invece orientate alla regolazione dell’emozione (emotion-focused) che si
prefiggono l’obiettivo di regolare e controllare l’emozione negativa che sorge a causa
dell’evento stressante.
Il coping centrato sul problema, è mirato all’azione e si prefigge come fine quello di
modificare l’alterato rapporto persona/ambiente mediante azioni strumentali, non
7
necessariamente l’azione deve avere successo ed è possibile, anzi, che abbia effetti
indesiderati negativi, poiché quello che conta concretamente è l’averci provato.
Il coping centrato sulle emozioni si basa su strategie cognitive che non mirano a
cambiare la situazione, hanno invece lo scopo ristrutturarla attribuendo a essa un
significato diverso; non si tratta quindi di un atteggiamento passivo poiché a una
ristrutturazione interiore che può richiedere un cospicuo sforzo.
Un’altra distinzione concettuale, molto simile, a quella proposta da Lazarus e Folkman
è la distinzione concettuale proposta da Brandstädter (1992) fra coping “assimilativo” e
coping “ accomodativo” : il primo ha come obiettivo il cambiamento dell’ambiente per
adattarlo a noi stessi, il secondo il cambiamento di noi stessi per adattarci all’ambiente.
Questi tipi di coping possono anche susseguirsi nel tempo, il soggetto può ad esempio
inizialmente cercare di modificare le richieste e solo in seguito, in caso d’insuccesso,
interiorizzare il problema e cercare di trovargli altri significati.
A seconda dell’esito positivo o negativo il coping potrà essere definito funzionale
quando provoca l’adattamento o disfunzionale nel caso in cui provochi un aumento
dello stress.
La buona riuscita della strategia di coping deriva anche dalla resilienza dell’individuo
ovvero la capacità di affrontare le situazioni difficili, di riuscire a riorganizzare
positivamente la propria vita dopo eventi negativi il termine resilienza deriva dalla
metallurgia ed indica la capacità dei materiali di assorbire gli urti senza spezzarsi.
La resilienza è quella capacità reattiva dell’individuo che non riduce la persona ai suoi
problemi, ma dà il giusto peso anche alle sue potenzialità, ciascun soggetto deve trovare
dentro di lui delle soluzioni, in altre parole divenire responsabile del proprio processo di
cambiamento (Malaguti 2005); l’obiettivo dovrebbe essere quello di non risolvere
solamente i problemi ma rafforzare le competenze necessarie a interagire in modo
adattivo con l’ambiente affrontando nuove sfide.
Ci sono due tipi di fattori che determinano la resilienza di un individuo:
•
i “fattori di protezione”, che sono posseduti da coloro che possiedono un’alta
resilienza”, in tale termine rientrano tutte quelle capacità che l’individuo ha per
aumentare la propria forza e superare le avversità. Tra i fattori protettivi, secondo
Werner e Smith (1982) rientrano sia fattori individuali che familiari. Tra i primi,
l’essere primogenito, un buon temperamento, la sensibilità, l’autonomia, unita alla
competenza sociale e comunicativa, l’autocontrollo, e la consapevolezza e fiducia che le
proprie conquiste dipendono dai propri sforzi (locus of control interno).
•
I “fattori di rischio” fattori che diminuiscono la capacità dell’individuo di
sopportare il dolore e superare le difficoltà che incontrerà all’interno del cammino della
propria vita. Tra i fattori di rischio che espongono a una maggiore vulnerabilità agli
eventi stressanti, diminuendo la resilienza, secondo Werner e Smith (1982) troviamo i
fattori emozionali (abuso, bassa autostima, scarso controllo emozionale), interpersonali
(rifiuto dei pari, isolamento, chiusura), familiari (bassa classe sociale, conflitti, scarso
legame con i genitori, disturbi nella comunicazione), di sviluppo (ritardo mentale,
disabilità nella lettura, incompetenza sociale).
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Stress lavoro-correlato
“L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che,secondo
la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare
l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.” (art.2087 del Codice
Civile)
L’Accordo Europeo del 2004 definisce lo Stress Lavoro-Correlato (SLC) come una
“condizione, accompagnata da sofferenze o disfunzioni fisiche, psichiche, psicologiche
o sociali, che scaturisce dalla sensazione di non essere in grado di rispondere alle
richieste o di non essere all’altezza delle aspettative”.
Lo stress connesso all’attività lavorativa si manifesta quando le richieste da parte
dell’organizzazione, nella quale l’individuo svolge le sue mansioni, superano le capacità
lavorative dello stesso nell’affrontarle e controllarle; abbiamo già parlato della
differenza tra eustress e distress e allo stesso modo quando l’individuo percepisce uno
stress leggero derivante da una certa pressione organizzativa esso può migliorare il suo
rendimento lavorativo ma quando queste pressioni diventano eccessive possono causare
stress e demotivazione.
Varie sono le cause dello stress nell’ambiente lavorativo, tra esse possiamo annoverare:
una cattiva comunicazione interna, mancanza di sostegno da parte di colleghi e
superiori, orari di lavoro inappropriati, scarso senso di appartenenza all’azienda nella
quale si opera, conflitti tra i valori aziendali e valori personali, carenze infrastrutturali,
organizzazione del lavoro inadeguata rispetto alle competenze professionali possedute
dal lavoratore, molesti psicologiche e sessuali da parte di terzi, carichi di lavoro
eccessivi.
Quando si considerano i carichi lavorativi è importante sottolineare che un carico di
lavoro eccessivo, in linea con le capacità del lavoratore che avviene all’interno di un
clima organizzativo ottimale, non provoca stress sebbene possa risultare impegnativo.
Un buon ambiente lavorativo dove viene posta attenzione al benessere psicofisico dei
lavoratore, nel quale il lavoratore si sente accettato, stimolato e che riconosce il valore
dell’individuo permette al lavoratore stesso di svolgere in modo ottimale il proprio
compito all’interno dell’azienda.
Il clima può essere definito come un set di caratteristiche che descrivono
un’organizzazione e che la distinguono da altre, sono relativamente durature nel tempo
ed influenzano il comportamento degli individui nell’organizzazione (Forehand, et al,
1969), esso può essere considerato come un insieme di percezioni condivise e correlate
tra loro, relative al modo in cui i soggetti percepiscono e definiscono l’azienda e le sue
caratteristiche, è la sintesi di vari fattori quali: le rappresentazioni soggettive, le mappe
cognitive di ogni persona coinvolta, le percezioni individuali, le interazioni tra i
soggetti, il contesto organizzativo e la cultura presente all’interno dell’organizzazione,
un buon clima organizzativo è fondamentale per il benessere psicofisico del lavoratore.
(F. Avallone 2003)
Un ambiente lavorativo inadeguato e con un clima organizzativo non ottimale
producono alti livelli di stress nei lavoratori e ciò ha delle ricadute negative sulla salute
psicofisica del lavoratore che può sviluppare patologie quali ad esempio: depressione,
problemi di abuso di alcol e droghe, difficoltà di concentrazione, malattie
9
cardiovascolari e disturbi muscoloscheletrici, insonnia, mal di testa, disturbi intestinali
disfunzioni sessuali e problemi mestruali
Tutto ciò, com’è facilmente prevedibile dato che l’azienda è un sistema aperto sorretto
dalle risorse umane, ha delle ricadute negative anche per l’organizzazione stessa quali
ad esempio: scarso rendimento aziendale, alti livelli di assenteismo, tassi elevati
d’incidenti e infortuni, le assenze tendono ad essere più lunghe di quelle dovute ad altre
cause e lo stress lavoro-correlato può contribuire ad aumentare i tassi di
prepensionamento. I costi per le imprese e la società sono rilevanti e sono stimati in
miliardi di euro a livello nazionale.
Una ricerca sul campo: lo stress nei dirigenti scolastici
Il tipo di impatto che gli eventi stressanti producono sull’organismo dipende dalle
condizioni psicofisiche dello stesso e cioè dalla configurazione della modalità di
funzionamento di tutti i processi funzionali del sé rappresentati dal filtro funzionale
della percezione. Lo stato di stress cronico conduce a un’incapacità di gestire gli eventi:
sia nel senso di non riuscire a risolvere le condizioni di difficoltà che si presentano sia
nel senso di incapacità a prevenirle e anzi di tendenza inconsapevole a fare intensificare
e proliferare ostacoli ed eventi stressanti.
Molte ricerche hanno ormai attestato che lo stress cronico produce direttamente
innumerevoli condizioni di malattia, influenzate anche dall’incapacità di gestire e
migliorare la propria salute.
Gli studi sullo stress lavoro correlato si moltiplicano, come pure le pubblicazioni sulla
condizione difficile dei lavoratori della scuola, mentre risulta essere massima
l’attenzione sugli insegnanti, poche sono le riflessioni sulla tenuta psico-fisica del
dirigente scolastico, soprattutto alla luce degli ultimi rivolgimenti legislativi e
organizzativi. I dirigenti scolastici sono anch’essi esposti ai rischi per la salute connessi
con lo stress da lavoro, ma ci sono aspetti del problema diversi rispetto a quanto accade
per gli insegnanti e per i lavoratori dipendenti in genere. Si tratta di una figura
istituzionale gettata nella continua proliferazione di riforme, di norme giuridiche, di
cambiamenti strutturali, di gestione di conflitti, di trasformazioni radicali di costumi e di
processi. Sostanzialmente rappresenta una figura a rischio e per la quale sarebbe
opportuno una maggiore attenzione da parte della ricerca sia a fini esplorativi, sia
diagnostici che preventivi.
Obiettivi dello studio
Lo studio presenta i seguenti obiettivi:
- Monitorare il livello di stress su un esteso campione di dirigenti di diversi ordini della
scuola italiana;
- Verificare l’incidenza di specifiche patologie associate ad alti livelli di stress
scolastico;
- Valutare le relazioni tra il livello di stress percepito e alcune dimensioni della
mindfulness organizzativa;
10
- Verificare la capacità predittiva degli indicatori (cognitivo-affettivi, somatici,
comportamentali) della versione italiana della scala MSP.
Campione
Il campione comprende 104 (32 maschi e 72 femmine); età media 54,93 anni (DS =
6,46). La somministrazione è avvenuta in via telematica ad un campione nazionale.
Per la ricerca sono stati utilizzati i seguenti strumenti:
Mesure du Stress Psychologique (MSP).
Si compone di 49 item basati sui diversi aspetti legati alla percezione che l’individuo ha
del suo stato, ossia l’aspetto cognitivo-affettivo, quello fisiologico e quello
comportamentale, che rappresentano le tre principali categorie capaci di fornire un
indice globale dello stato di stress psicologico. Lo strumento è diviso in sei Clouster:
Perdita di controllo, irritabilità - Sensazioni psicofisiologiche, Senso di sforzo e
confusione – Ansia depressiva – Dolori e problemi fisici – Iperattività, accelerazioni e
comportamenti.
Il punteggio medio per ciascun cluster viene determinato sommando gli items che lo
compongono e dividendo per il loro numero. La misurazione è effettuata su una scala
likert a quattro punti.
Mindfulness Organizing Scale (MOS): scale S2-S5-S9.
È una misura self-report che indaga sulla sicurezza dell’organizzazione, o meglio su
come il lavoratore percepisce tale sicurezza. Essa è fondata su comportamenti concreti
che rispecchiano il rapporto che il lavoratore intrattiene con l’organizzazione e con i
colleghi.
La scala S9 misura il grado di applicazione delle modalità di decisione di gruppo e del
confronto con i colleghi, le quali si sono rivelate le piú efficaci per prevenire e gestire
gli eventi inattesi e sono usuali nelle imprese a alta affidabilità. La scala S5 è intesa a
valutare la riluttanza della propria azienda a semplificare di fronte alle criticità. La Scala
S2 intesa a valutare il livello di consapevolezza organizzativa. In totale sono 29 gli item
che compongono queste tre scale. La misurazione è effettuata su una scala likert a tre
punti.
Per il punteggio è opportuno sommare i numeri ottenuti. Se il punteggio è più alto di 17,
le pratiche di organizzazione mindful dell’azienda sono solide. Se il punteggio è
compreso tra 11 e 17, le pratiche di organizzazione mindful sono modeste. Un
punteggio inferiore a 11 indica che sarebbe caldamente consigliato iniziare a riflettere
attivamente sulle modalità di migliorare le pratiche organizzative mindful dell’azienda
Questionario di valutazione delle emozioni in azienda.
Si compone di 10 item. La misurazione è effettuata su una scala dicotomica.
Questionario di valutazione funzionale in azienda (versione ridotta).
Si compone di 5 item. La misurazione è effettuata su una scala likert a tre punti.
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Questionario anagrafico e di raccolta di informazioni sulla salute attuale dei soggetti
Analisi statistiche
Sono state effettuate le seguenti analisi statistiche:
- Chi-quadro
- T-test
- Anova-one way
- Regressione gerarchica
Risultati e discussione
Livelli di stress
1,00 (basso)
2,00 (medio)
3,00 (moderato)
4,00 (alto)
Totale
Freq.
%
22
21,5
28
26,7
25
24,1
29
27,7
104
100,0
Il 27,7% del campione statisticamente risulta fortemente stressato
12
I dirigenti degli Istituti comprensivi risultano più stressati rispetto a quelli delle scuole
elementare-materne, medie, tecnici, professionali e liceo.
(df=3, N=104) =42,788 p =.0005 Spearman = ,31
Dall’analisi emerge che il livello di stress femminile è significativamente maggiore di
quello maschile.
13
Anova F (2, 101)=3,810 p=.023 HSD di Tukey mostra diff. sign. tra sud e centro.
Al centro livelli di stress statisticamente significativi sono maggiori del sud. I dirigenti
scolastici del sud risultano più organizzati e meno stressati dei dirigenti del centro e del
nord
14
ANOVA F (3,100) = 6,985 p = .0005 HSD di Tukey dimostra diff. sign. tra il livello 1
e i livelli 3-4.
A piu’ bassi livelli di stress corrisponde una maggiore riluttanza alla semplificazione.
Ossia coloro che seguono un iter burocratico ben definito e non cercano di trovare delle
strade burocratiche più semplici, più snelle sono coloro che presentano meno stress.
ANOVA F (3,100) = 8,283 p = .0005 HSD di Tukey mostra diff. sign. tra il livello 4 e i
livelli 1-2. A maggiori livelli di stress corrisponde una minore consapevolezza
organizzativa.
15
ANOVA F (2,101) = 14,702 p = .0005 HSD di Tukey mostra differenza significativa
tra il livello 3 e il livello 1
Dall’analisi dei dati emerge che a maggiore consapevolezza organizzativa corrisponde
minore emozione negativa. Mentre una minore consapevolezza organizzativa
corrisponde a una maggiore presenza di emozioni negative.
Correlazioni punto biseriali Tau-b di Kendall tra stress e disturbi fisici
emoz
nega
STRES press diabe
prob
prob
S
alt
t
colest cuore resp emicr stom
emoz neg
,197*
1,000 ,502** ,018 ,047 -,003 ,044 ,072
,185**
*
STRESS
,258*
,502** 1,000 ,002 ,045 ,045 ,069 ,089*
,268**
*
pressione
,183*
,250*
,018
,002
1,000
,058
,063 -,074 ,051
alta
*
*
diabete
,047
,045
,183** 1,000 ,180** ,034 -,027 -,010 ,032
colesterolo
,180*
,142*
-,003 ,045
,058
1,000
,041 ,001 ,100*
*
*
cuore
,152*
,044
,069
,250** ,034 ,142** 1,000
-,056 ,087
*
problemi
,152*
,072
,089* ,063 -,027 ,041
1,000 ,086 ,171**
respiratori
*
emicrania
,197** ,258** -,074 -,010 ,001 -,056 ,086 1,000 ,183**
problemi
stomaco
schienacervicale
schiecerv
,133*
*
,258*
*
,013
,035
,044
,010
,096
,301*
*
,214*
*
,171* ,183*
1,000
*
*
,301*
,010 ,096
,214** 1,000
*
,185** ,268** ,051
,032 ,100* ,087
,133** ,258** ,013
,035 ,044
**. La correlazione è significativa a livello 0,01 (a due code)
Statisticamente lo stress risulta correlato maggiormente con le emozioni negative e
disturbi fisici quali, emicranie, problemi allo stomaco e problemi di schiena e cervicale.
Stress e problemi cardiaci
T-test (M=2,04 SD= 0,57) sign maggiore di (M=1,86 SD= 0,46), t(102)= 2,05 p=.041
Stress e problemi respiratori
T-test (M=2,02 SD=0,51) sign maggiore di (M=1,86 SD=0,47) t(102)=2,11 p=.035
Coloro che risultano più stressati presentano anche maggiori problemi cardiaci e
respiratori
16
Analisi gerarchica modello con stress (criterio) e clusters MSP (predittori)
Modello
1
2
3
4
5
6
Variabili immesse
ansiadepb
Contrb
psicofisiob
dolorib
iperattb
sforzob
R- Errore Mod
quad standa ifica
R- rato rd
rModel
quad adatt della quad Modifica
-lo
R
rato ato stima rato F
gl1
1
,2228
1521,88
,886a ,785 ,784
,785
1
2
0
2
,921
,1872
,849 ,848
,064 174,669 1
b
2
3
,1474
,952c ,906 ,906
,058 255,469 1
7
4
,960
,1358
,921 ,920
,014 75,130 1
d
4
5
,1201
,969e ,938 ,937
,017 115,787 1
9
6
,1023
,977f ,955 ,955
,017 158,135 1
0
gl2
Sign.
Modifica F
102
,000
101
,000
100
,000
99
,000
98
,000
97
,000
Indici del modello complessivo di regressione dello stress: R2 = 0,955 F(6,97) =
1464,457 p =.0005 beta = 0,886
Verifica del modello dello stress presentato nella validazione dello strumento di misura
dello stress da parte del Professor Santo Di Nuovo.
Il modello spiega circa il 96% della varianza.
Il predittore ansia depressiva ha il peso maggiore: R2 = 0,7885 F(1,102)= 1521,88 p =
.0005 , spiega una significativa porzione di varianza pari al 79%
Il predittore controllo è il secondo in ordine di peso R2 = 0,848 F(2,101)= 1165,186 p
= .0005 delta R2= 0.64 spiega una porzione di varianza pari al 6%
17
Conclusione
Lo studio ha rilevato una significativa porzione di livelli di stress associato a diverse
condizioni. Particolarmente rilevante è la relazione emersa con due dimensioni della
mindfulness organizzativa, e con il livello di emozioni negative percepito. Sono state
individuate le associazioni con particolari disturbi fisici. L’analisi regressiva ha
evidenziato il peso predominante del predittore ansia depressiva. Sarebbe opportuno
approfondire ulteriormente l’interazione dei fattori in regressione.
Ricadute applicative
La ricerca ha messo in luce che nei dirigenti scolastici le emozioni negative, l’ansia
depressiva e la percezione di basso controllo influenzano i livelli di stress. Pertanto
sarebbe opportuno predisporre specifici programmi finalizzati a potenziare le capacità
di regolazione emozionale, di contenimento dell’ansia e di incremento della percezione
di controllo. Il potenziamento delle aree trasversali (comunicazione, assertività, coping,
resilienza) potrebbe consentire di migliorare la gestione e la qualità delle relazioni
interpersonali, le quali, nell’attuale contesto di riforma scolastica, assumono per la
dirigenza un peso realmente significativo nel controllo della qualità del clima
organizzativo.
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