Doping e sistema nervoso in riabilitazione.

EUR MED PHYS 2008;44(Suppl. 1 to No. 3)
Doping e sistema nervoso in riabilitazione
A.P. AMICO1, MEGNA2, M. RANIERI2, D. ACCETTURA3, G. MEGNA4
Attualmente sono sempre più numerosi i soggetti diversamente
abili che si dedicano ad una disciplina sportiva; si va da fenomeni di
tipo ricreativo ed amatoriale a veri e propri atleti agonisti (vedi i
paralimpionici). Ciò comporta enormi vantaggi, sia in termini di
recupero psichico, sia spesso fisico dei disabili, e favorisce sicuramente il loro inserimento sociale. Tuttavia, parallelamente agli effetti
virtuosi indotti dallo sport, possono associarsi anche fenomeni deteriori, allorché il livello di competitività e gli interessi economici
diventano incalzanti. È questo il caso del doping: si definisce
“doping” l’utilizzo di qualsiasi intervento esogeno (farmacologico,
endocrino, ematologico, ecc.) o manipolazione clinica che, in assenza di precise indicazioni terapeutiche, sia finalizzato al miglioramento delle prestazioni, al di fuori degli adattamenti indotti dall’allenamento.
Oltre a ciò, bisogna considerare che la grande maggioranza delle
sostanze dopanti agisce direttamente o indirettamente, primariamente o secondariamente, sul sistema nervoso e sull’apparato locomotore, e tra queste sostanze vi sono molti farmaci utilizzati in Medicina
Fisica e Riabilitativa. Alla luce di queste considerazioni, giova focalizzare l’attenzione sul doping, nei suoi diversi aspetti, in ambito riabilitativo.
Il triste fenomeno in questione appare senz’altro in larga diffusione, coinvolgendo non solo atleti, ma anche soggetti disabili in trattamento recuperativo. La causa principale, accanto all’ignoranza (o
presunta tale) in merito alla lista dei farmaci proibiti ed alla confusione tra integratori e doping, è da ricercarsi soprattutto nella competitività e nell’agonismo sempre più spinti e precoci che riguardano
ormai tutte le discipline sportive, anche quelle tipiche dei diversamente abili. Un’altra causa, anche in ambito riabilitativo, è la ricerca
dell’attenuazione del senso di fatica; motivazioni economiche come
l’intervento degli sponsor sono invece tipiche del mondo sportivo.
D’altra parte, da quando sono stati fondati i diversi organismi antidoping, che qui in Italia hanno maglie particolarmente strette (la
FMSI effettua controlli dal 1961, attualmente per conto del CONINADO), sono stati inventati sempre nuovi metodi, nuove molecole
od escamotages che consentissero di eludere tale sorveglianza. Di
conseguenza anche la lista nera si allarga sempre più e la lotta al
doping può essere vista come un continuo rincorrersi tra apprendisti
stregoni che sfornano sostanze non rintracciabili e i laboratori accreditati dal CIO, che cercano di individuarle. La sempre crescente interazione tra medicina sportiva e medicina riabilitativa rende quindi
opportuna una messa a fuoco del problema, onde evitare tutti quei
presidi che si leggono come doping in ambito sportivo che sono
altrettanto negativi nel mondo del recupero. Ne è un chiaro esempio
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1Fondazione San Raffaele, Ceglie Messapica, Bari;
2Dipartimento di Scienze Neurologiche e Psichiatriche,
Sezione di Medicina Fisica e Riabilitativa,
Università degli Studi di Bari, Bari
3Istituto di Medicina dello Sport di Bari;
4Dipartimento di Scienze neurologiche e psichiatriche,
Sezione di Medicina Fisica e Riabilitativa,
Università degli Studi di Bari, Bari
la recente esclusione dal Tour de France, con verosimile incriminazione per reati di tipo penale per il ciclista Riccardo Ricò.
Le sostanze dopanti possono essere classificate in vario modo, a
seconda che si ponga l’accento sulla natura chimica o piuttosto sull’effetto biologico.
Tale effetto risulta dall’interazione tra la sostanza, che spesso è
un farmaco vero e proprio con indicazioni altrimenti terapeutiche,
ed i recettori cellulari dei differenti tessuti dell’organismo dell’atleta.
Tutti gli organi ed apparati possono essere coinvolti, ma particolarmente complesse ed importanti appaiono le interazioni tra doping e
Sistema Nervoso.
Infatti, accanto all’effetto ricercato dal disabile e naturalmente
dall’atleta, che sovente non coincide con quello indicato dalla farmacopea ufficiale per talune patologie, si possono verificare effetti collaterali (ADR= adverse drug reactions) anche imprevedibili, sia per
abuso acuto che per abuso cronico.
Tali azioni possono essere modulate da più fattori, tra cui ricordiamo senz’altro: coassunzione di altre sostanze (per esempio, farmaci attivanti come nel morbo di Parkinson, o piuttosto farmaci
miorilassanti, come nell’ipetono spastico), azione di fattori estremi
ambientali (temperatura, disidratazione legata all’attività fisica,
aumento del tono simpatico da esercizio fisico, ecc.), che possono
amplificare l’azione tossica di tali sostanze.
La categoria di farmaci più importante e più studiata in tal senso
è sicuramente quella degli “stimolanti”, ovvero sostanze eccitanti
centrali che generalmente mimano l’azione dei mediatori prodotti
dal sistema neurovegetativo ortosimpatico nel corso dell’esercizio
fisico e in situazioni di stress, migliorando il grado di attenzione e
concentrazione ed aumentando la resistenza alla fatica e la tolleranza allo sforzo.
Nell’ambito degli stimolanti, noto a tutti è l’effetto della caffeina,
capostipite della famiglia delle metil-xantine, che comprende anche
teofillina e teobromina. Il suo meccanismo d’azione consiste nell’inibizione di due enzimi deputati all’inattivazione del cAMP (adenosinmonofosfato ciclico), ovvero la fosfodiesterasi e la 5’-nucleotidasi, e
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nell’antagonismo dei recettori dell’adenosina; mima così l’azione dei
recettori _-adrenergici, inducendo rilasciamento della muscolatura
liscia, diuresi, lipolisi e stimolazione del miocardio e del sistema nervoso centrale. Per legge la concentrazione urinaria della caffeina
nell’atleta non deve superare i 12 microgrammi per millilitro.
E’ stato dimostrato (Graham T.E., 2001) che le concentrazioni
realmente efficaci nel miglioramento della performance si raggiungono solo con la somministrazione parenterale di caffeina: si ottiene
un aumento della vigilanza, della resistenza, della velocità e della
potenza, con una riduzione della fatica di origine centrale (per
aumentato rilascio di noradrenalina). In terapia la caffeina viene utilizzata per le apnee del neonato, per l’ipercinesia infantile, per le
sindromi influenzali e per l’emicrania (in associazione eventualmente ad antinfiammatori non steroidei). La tossicità acuta, oltre ai ben
noti danni cardiovascolari e gastrici, si manifesta con nervosismo,
irritabilità, insonnia in crescendo fino a convulsioni e delirio; la tossicità cronica comprende fenomeni di tolleranza e dipendenza.
La teofillina, afferente alla stessa famiglia di farmaci, ha cinetica e
dinamica simili; va ricordato che un atleta potrebbe utilizzarla, in
buona fede, come antiasmatico.
Un altro tipo di stimolanti sono gli inibitori delle MAO (monoaminoossidasi) di tipo B, in particolare la selegilina. Si tratta di un farmaco utilizzato nella terapia del morbo di Parkinson, in quanto
aumenta i livelli di dopamina disponibile nello spazio sinaptico, inibendone il catabolismo.
Sarebbe in grado dunque di migliorare la performance più che
altro da un punto di vista psico-motorio, anche perché viene metabolizzato ad amfetamina. Poiché però gli inibitori delle MAO-B
secondariamente aumentano i livelli di tutte le catecolamine, gli
effetti collaterali da un punto di vista neurologico possono essere
irrequietezza, vertigini, cefalea ed insonnia.
Stesso discorso vale naturalmente per gli agonisti _-adrenergici
(fenilefrina, nafazolina, oximetazolina), che alle dosi terapeutiche
hanno generalmente un’azione più vaso-costrittrice che psico-stimolante, ma a dosi maggiori possono indurre i medesimi disturbi nervosi.
Queste sostanze, a fianco ad efedrina, pseudoefedrina e fenilpropanolamina, vengono spesso utilizzate come decongestionanti in
campo oculistico ed otorinolaringoiatrico, per cui non è infrequente
che un atleta risulti positivo al controllo anti-doping per aver curato
un banale raffreddore con preparati farmaceutici da banco (Tseng
Y.L., Hsu H.R., 2003). Gli efedrino-simili, inibendo la ricaptazione
delle catecolamine, esercitano una potente azione adrenergica e
noradrenergica a livello di tutti gli apparati; notevole dunque è l’effetto ergogenico (incremento della potenza lattacida e alattacida, dei
volumi respiratori e della gittata cardiaca, accelerazione di glicogenolisi e lipolisi), ma altrettanto importanti sono gli effetti collaterali,
in primis l’ipertensione.Giova sottolineare che soprattutto l’efedrina,
in quanto estratto vegetale di Ephedra sinica (Ma-Huang in cinese),
può essere facilmente reperita in prodotti erboristici, magari con un
nome strampalato ed esotico (Caprino L., Bragano M.C., 2005).
Né va sottaciuto che spesso proprio nei prodotti erboristici non
viene descritta in maniera corretta la presenza di tali sostanze. A tale
presunto equivoco va imputata la comparsa di numerosi riscontri
positivi, da qualche anno, nel campionato di calcio di serie A.
Le amfetamine agiscono mediante una sommatoria di azioni dei
suddetti stimolanti: infatti l’effetto simpatico-mimetico è dato: dalla
stimolazione del rilascio di noradrenalina, serotonina e dopamina;
dall’inibizione della loro ricaptazione e del loro catabolismo, e dall’azione diretta sui loro recettori.
L’unica indicazione terapeutica è costituita, in neuropsichiatria
infantile, dai disturbi da iperattività con deficit attentivo, in cui ci
sarebbe un deficit di dopamina nella corteccia prefrontale (Corrigan
B., 2003).
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Generalmente nell’ambito sportivo sono sfruttate per l’aumento
della resistenza anaerobica lattacida e del massimo consumo di ossigeno, e per l’effetto anoressizzante. In realtà A. George ha dimostrato nella sua metanalisi che gli effetti prevalenti sono quelli inerenti
la stimolazione del sistema nervoso centrale (euforia, eccitazione,
aumento dell’aggressività e dello stato di allerta), desumendo che i
vantaggi sulla performance sportiva sono davvero lievi se confrontati
con gli effetti avversi, sia sistemici (incremento della temperatura
corporea, tachicardia, tachipnea, ipertensione), con esaurimento delle riserve energetiche, sia specifici a carico del sistema nervoso
(ansia da eccessiva allerta o, al contrario, indifferenza al pericolo da
eccessivo ottimismo; condotta irresponsabile; distorsione spazio-temporale fino ad allucinazione e delirio, che configurano la cosiddetta
psicosi anfetaminica; tremori; tolleranza e dipendenza).
L’altro grosso rappresentante della categoria degli stimolanti è
sicuramente la cocaina.
La cocaina è un estere dell’acido benzoico che agisce, a livello
centrale, bloccando il reuptake di dopamina e noradrenalina e, a
livello periferico, bloccando i canali del sodio, per cui è impiegata
normalmente come anestetico locale. La cocaina fa parte di un gruppo di droghe “ricreazionali” che entra nel mondo dello sport di rimbalzo per un’assunzione di tipo voluttuario e di cui il soggetto non
riesce più a privarsi. L’effetto ergogenico reale è alquanto limitato
nel tempo; prevarrebbe la stimolazione dei centri del piacere. Va
piuttosto evidenziato che l’abuso acuto e cronico che spesso se ne
fa, anche a scopo voluttuario, è gravato da non pochi effetti dannosi
per l’apparato cardiovascolare (aritmie, ipertensione, infarto miocardico acuto, ictus ischemico ed emorragico) e per il sistema nervoso
(insonnia, agitazione, psicosi paranoide; sindrome depressiva da
astinenza; crisi epilettiche).
Derivati della cocaina sono gli anestetici locali (benzocaina, lidocaina, xilocaina, ecc.), distinti da un punto di vista chimico in amino-amidi ed amino-esteri; bloccano reversibilmente la trasmissione
dello stimolo dolorifico verso il SNC. Iniezioni sistemiche sono considerate doping, mentre è permesso il trattamento locale.
Gli effetti avversi sono legati al passaggio in circolo dell’anestetico e coinvolgono principalmente il sistema nervoso centrale (agitazione, depressione, insonnia) e l’apparato cardiocircolatorio (blocco
atrioventricolare, collasso cardiocircolatorio, ipotensione).
Sempre a scopo analgesico, negli sport di contatto come il pugilato viene utilizzata un’altra categoria di sostanze dopanti, che è
all’opposto degli stimolanti: i narcotici.
Questa categoria, che comprende morfina, eroina, metadone,
pentazocina e simili, trova il suo meccanismo d’azione nel legame
con i recettori _, _ e _, tramite i quali iperpolarizza le cellule aumentando la conduttanza al potassio e riducendo quella al calcio, oppure inibisce l’enzima adenilato-ciclasi, e dunque la formazione di
cAMP.
L’effetto complessivo che ne deriva è una depressione di tutte le
funzioni vitali, in particolare della respirazione, quindi andrebbe
considerato più un ergolitico che un ergogenico, anche se, come già
detto, se ne ricerca l’attività analgesica. Ricordiamo che l’abuso acuto può determinare ipertensione endocranica e coma, quello cronico
tolleranza e dipendenza.
Altrettanto paradossale appare l’utilizzo nello sport del tetraidrocannabinolo (THC) e dell’alcol etilico (considerati doping solo in
determinate dosi, variabili a seconda della disciplina sportiva),
sostanze voluttuarie che, a parte l’effetto euforizzante, ansiolitico e
antitremorigeno, ci sembrano per lo più dannose, anche sotto il profilo della performance.
Per esempio i cannabinoidi, presenti nell’hashish e nella marijuana ed estratti dalla Cannabis Indica, a dosi medio-basse inducono
euforia e disinibizione (stimolano i centri del piacere presenti nel
sistema limbico tramite legame con i recettori CB1 e CB2), ma a dosi
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alte aggressività fino alla psicosi e turbe della memoria, ed in ogni
caso possono deteriorare il livello prestazionale dell’atleta a causa
del rallentamento ideo-motorio e della significativa alterazione dell’orientamento spazio-temporale e della coordinazione.
L’etanolo, d’altro canto, interagisce con il sistema nervoso a più
livelli: altera la permeabilità delle membrane assonali a sodio, calcio
e potassio, rallentandone la conduzione; induce ipoglicemia, con
progressivo declino delle funzioni cognitive ed insorgenza di fatica
sia centrale che periferica; riduce il rilascio di acetilcolina, determinando un calo della concentrazione, dell’attenzione e della memoria
a breve termine; riduce la sintesi di serotonina per inibizione della
triptofano-idrossilasi, e dunque diminuisce lo stato di allerta; stimola
il rilascio di dopamina nei centri del piacere; determina fluttuazioni
della concentrazione di noradrenalina con conseguenti oscillazioni
del tono dell’umore; compromette la funzione cerebellare causando
gravi turbe della coordinazione.
Le repentine variazioni del tono ortosimpatico indotte dall’alcool
possono, in una prima fase (alcoolemia <50 mg/ml), essere “utili”
all’atleta, sia per la sensazione di benessere e di rilassamento (ad
esempio, nel tiro con l’arco, disciplina nella quale un’eccessiva tensione può essere deleteria) sia per le oscillazioni della forza muscolare isometrica. Tuttavia, a nostro avviso, l’impiego nello sport dell’alcool è decisamente da proscrivere, per i motivi citati in precedenza, nonché per la possibilità di dipendenza ed abuso cronico, cui
segue un progressivo deterioramento di tutti gli apparati: già solo a
livello di sistema nervoso può causare amnesia e demenza (sindrome di Wernicke- Korsakoff), atassia cerebellare, diplopia, neuropatie
periferiche, astenia legata anche alla miopatia alcolica, delirio paranoico e, probabilmente, epilessia.
Uno studio policentrico effettuato nel 2005 nei Centri di Medicina
dello Sport della FMSI ha evidenziato che ben il 15% degli atleti agonisti tra i 10 e i 20 anni beve già con regolarità birra.
Una categoria di farmaci proibiti, che può essere ugualmente utilizzata per ridurre la tensione psico-fisica associata ad una competizione, è quella dei _-bloccanti (carvedilolo, timololo, sotalolo, ecc.).
Generalmente impiegati come antipertensivi ed antiaritmici, nello
sport di precisione possono migliorare la performance, in quanto
inibiscono tutte le risposte fisiologiche allo stress che, se esaltate,
potrebbero essere disturbanti (p.e.: aumento della pressione arteriosa e della frequenza cardiaca e tensione muscolare fino al tremore).
Effetti collaterali neurogeni di tali farmaci sono tipicamente l’insonnia, gli incubi e la depressione del tono dell’umore.
All’opposto, per attivare la branca ortosimpatica del sistema nervoso vegetativo, l’atleta potrebbe assumere un _2-stimolante (a breve durata d’azione: salbutamolo, terbutalina; a lunga durata d’azione:
salmeterolo, bitolterolo), che, accanto alla nota azione broncodilatatrice, pare avere, a lungo termine, effetti anabolizzanti sul tessuto
muscolare. A meno che non sia dichiaratamente assunto come antiasmatico per via inalatoria, il _2-stimolante è proibito; un’eccessiva
attivazione del simpatico, del resto, compromette l’efficienza e mette
a rischio la salute dell’atleta, inducendo tremori, crampi muscolari e
soprattutto pericolose tachiaritmie.
Una rischiosa tendenza all’abuso di questi ultimi è stata evidenziata in sport di endurance particolarmente faticosi (p.e., ciclismo).
A proposito di anabolizzanti, per quanto concerne la categoria
degli steroidi androgeni, ed in particolare il testosterone, giova qui
ricordare che, accanto ai ben noti effetti sulla crescita cellulare e sullo sviluppo di massa magra, tali ormoni modificano sicuramente
anche l’equilibrio tra i diversi neurotrasmettitori. Ciò si ripercuote
inevitabilmente sul comportamento e sulla psiche del soggetto,
determinando aggressività, euforia e diminuzione del senso di fatica,
gelosia paranoica, estrema irritabilità e capacità critica distorta dalla
sensazione di invincibilità. Il testosterone determina un aumento tale
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dell’aggressività da indurre frequentemente all’omicidio e/o al suicidio. La sospensione improvvisa del farmaco determina astinenza,
con sindromi depressive; inoltre si crea dipendenza dalla sostanza,
con tendenza al craving (desiderio irresistibile di assumerla). T. Philipova e T. Ivanova in un loro studio hanno dimostrato che il nandrolone, afferente a questa classe di ormoni, altera l’analgesia oppioide
e non-oppioide e la tolleranza agli oppiacei; questo dato è interessante se si considera che steroidi ed oppiacei, come spesso accade
in chi assume sostanze doping, possono essere associati.
Un altro ormone molto utilizzato in ambito sportivo e soprattutto
nel body-building, è l’ormone della crescita (GH), con struttura polipeptidica, che determina, come è noto, un incremento della massa
magra totale e della lipolisi, anche se gli studi recenti (Berggren,
2004) hanno dimostrato che a tale incremento spesso non si associa
aumento effettivo della forza muscolare né della potenza aerobica in
soggetti sani. Sul piano neurologico effetti collaterali possono essere
miopatie e neuropatie periferiche (con dolore ed ipostenia degli arti,
come nell’acromegalia), cambiamenti nel comportamento o, nel caso
di estratti di ipofisi umana, addirittura la sindrome di KreutzfeldtJakob, con demenza, disturbi della coordinazione, mioclonie, tremori fino all’exitus.
Alcuni atleti, per stimolare la secrezione di GH endogeno, associano propranolo, ADH, clonidina o L-DOPA, con effetti globali non
noti e sicuramente complessi.Uno dei più grandi problemi del
doping, analogamente a quanto avviene nel mondo della droga, è
proprio la tendenza a costituire pericolosi cocktail di farmaci dagli
effetti più disparati, a vario dosaggio, con conseguenze imprevedibili. Il livello di GH viene artificiosamente aumentato anche mediante
assunzione di gamma-aminobutirrato, farmaco in genere utilizzato
per i sintomi dell’astinenza, attualmente diffuso anche come droga
“ricreazionale”, grazie ai suoi effetti sull’aumento di dopamina, che
determina rilassamento e incremento della socializzazione.
Sempre nella categoria degli ormoni di natura proteica, merita un
cenno l’ACTH o corticotropina, che stimolando l’increzione di cortisolo migliora la risposta acuta allo stress, ma determina alla lunga
meccanismi dannosi anche per la performance (riduzione della massa magra per aumentata proteolisi, fino alla miopatia, e aumento
della massa grassa), per il metabolismo (iperglicemia, ritenzione
idro-salina) e per il sistema nervoso (alterazioni psichiche, dall’euforia con iperattività ed insonnia fino a sindromi maniaco-depressive,
oltre ad una sindrome da astinenza, con astenia e sonnolenza, da
brusca sospensione).
Per stimolare la secrezione di androgeni endogeni si utilizza invece la hCG (gonadotropina corionica umana), che ha effetti simili a
quelli degli steroidi androgeni, ma con peculiari complicanze neurologiche: forti oscillazioni del tono dell’umore ed emicrania.
Tutti i suddetti ormoni inoltre possono recare indirettamente danno al sistema nervoso centrale e periferico, attraverso la compromissione della funzionalità cardiovascolare (ipertensione, edema,
aumento delle LDL e riduzione delle HDL, con conseguenti cardiopatie e vasculopatie e aumento del rischio di ictus ischemico o
emorragico).
Ma l’ormone che più tipicamente si associa a disturbi circolatori,
largamente diffuso negli sport di endurance, e in particolare nel
ciclismo, è l’EPO (eritropoietina) ricombinante. Infatti, è vero che,
analogamente alla pratica dell’autoemotrasfusione, migliora la resistenza aerobica e il VO2max, aumentando la massa eritrocitaria e
quindi la concentrazione di emoglobina ed il trasporto di ossigeno
ai tessuti, ma l’aumento eccessivo dell’ematocrito, aggravato dall’emoconcentrazione dell’atleta disidratato, può determinare ipertensione arteriosa diastolica, con sovraccarico del miocardio durante l’esercizio, e sindrome da iperviscosità, con rischio di trombosi, embolie
ed occlusione dei piccoli vasi, soprattutto a livello cerebrale, dove il
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microcircolo non è sottoposto alla stessa vasodilatazione di cute e
muscoli in corso di esercizio fisico prolungato. I sintomi cerebrali di
tale iperviscosità possono essere quindi cefalea, vertigini e disturbi
visivi; a distanza di tempo è verosimile che si instauri un deterioramento cognitivo da encefalopatia vascolare ipossica.
Concludiamo la nostra disamina ricordando che, in tempi non
troppo lontani, l’uso scriteriato di farmaci non considerati doping,
come gli antinfiammatori non steroidei (FANS), ha probabilmente
fatto aumentare l’incidenza di SLA (sclerosi laterale amiotrofica) nei
calciatori (Belli S, 2005); quindi è bene che gli atleti, le società, i
medici che operano in ambito sportivo e/o riabilitativo abbiano ben
presente che il farmaco è per sua natura un veleno (in greco
________, per l’appunto): “in dose venenum”, diceva Paracelso.
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