507 – 1 AUTORE – CLASSE 5 SPORT, DOPING E PLACEBO Sono molti gli sport coinvolti e disastrati dal doping, partendo da quelli di pura sofferenza come il ciclismo, la marcia o la maratona in cui l'atleta cerca e deve a tutti i costi superare quelli che sono i limiti del dolore, della resistenza e della forza fisica, a sport di concentrazione come il golf o il tiro con l'arco. Da sempre pratico sport, da quattro anni a livello agonistico e posso affermare che l'atleta, conscio che grazie soltanto al proprio allenamento non potrà continuare nel migliorare in modo tanto amplio, passando, se già a 8, in pochi giorni o settimane a 9 o anche solo a 8 e mezzo, cercherà un qualcosa cui appoggiarsi per superare o cercare di superare i suoi limiti. Alcuni, i più disonesti e i più deboli moralmente non si fanno problemi fin dalla più giovane età nel far uso del doping, con tutti i miglioramenti enormi del caso, gli altri si appoggiano al proprio stato d'animo, alla propria grinta e molti soprattutto alla scaramanzia. Così, in mezzo al gruppo, vedi ragazzi con piccoli crocifissi legati al sellino, altri che prima di partire usano fare per più volte il segno della croce ed altri, io compreso, che i giorni precedenti ad una gara cui puntano molto non cambiano alcuna abitudine, dal mangiare all'abbigliamento, di una gara andata molto bene. Calzino destro al piede destro, quello sinistro a quello sinistro, pantaloncini già un po' scoloriti e con qualche strappo per le cadute e la maglietta con due piccoli buchi sul petto. Ma la mia mente ordina di andare forte solo con loro in dosso, solo con loro ho la sicurezza che uno sportivo deve avere e così gli abbigliamenti nuovi rimangono nell'armadio o vengono usati per gli allenamenti. Questo per dire quanto sia fragile e condizionata la mente umana, in grado di conferire all'individuo una sicurezza che in caso contrario porterebbe a risultati decisamente peggiori o comunque meno soddisfacenti. Uno psicologo dello sport, dopo aver studiato questo fenomeno, hanno deciso di effettuare un esperimento quanto meno audace su uno sportivo di alto livello: fare credere d'aver somministrato doping all'interno del proprio organismo e constatare le conseguenze. Così, Aldo Sassi , mise in atto quel che il medico Issac Jennings nell'800 aveva scoperto: l'effetto placebo. Quest'ultimo, infatti, rimasto senza medicinali, prescrisse ai proprio pazienti di bere molti liquidi e riposare molto, per poi scoprire pochi giorni dopo che la cura era stata afferrata e mettendo in luce la potenza che la sola mente riflette sul fisico. I suoi pazienti, credendo che la cura fosse studiata ed usata da molti medici, finirono con il guarire senza l'uso di alcun medicinale. Ora, questo psicologo non doveva guarire ma “dopare” la mente, cercando così un aumento rilevante delle prestazioni. Come si può leggere sulla rivista “Psicologia e Sport”, dopo aver effettuato alcuni test fisici per capire le caratteristiche dell'atleta, dove più tendeva ad emergere e dove invece pagava dazio, Sassi diede un semplice programma d'allenamento e parallelamente a questo alcune pastiglie, semplici caramelle e valeriana, a detta di psicologo e preparatore in grado far miracoli per quanto riguarda la resistenza, il riassorbimento della fatica e lo sprint. Già dopo le prime due settimane si potevano riscontrare nell'atleta molti miglioramenti, ma alla fine della terza, in gara, si ebbe il vero salto di qualità, trovandolo al fianco dei migliori, irraggiungibili fino a poche settimane prima. In un test effettuato qualche giorno dopo si riscontrò un miglioramento del 10% in ciò che le pastiglie avrebbero dovuto trasformarlo ed in cui soffriva molto e del 4-5% in ciò in cui difficilmente avrebbe potuto migliorare. I risultati furono più che sorprendenti: la mente del ragazzo, con il solo appoggio dello psicologo e di un preparatore che in realtà aveva realizzato delle semplicissime tabelle, aveva creato l'effetto di un vero e proprio dopante. T. Garret nel proprio libro “Come allenare la mente a vincere” spiega che l'uomo ed in questo caso l'atleta in continua ricerca di superare i propri limiti e soprattutto di rassicurazioni sulla propria forza, credendo d'aver assunto una qualche sostanza, assume una sicurezza e crede di possedere un qualcosa che molti suoi avversari non possono nemmeno immaginare. Rischia di più, soffre di più e spreca molto di più pensando comunque di aver una scorta d'energia decisamente maggiore e senza sentire il peso del dolore, o meglio, camuffandolo molto bene. G. Vercelli, in “Vincere con la mente”, scrive che la sola differenza fra un buon atleta ed un campione è la psicologia, ossia la sicurezza in se stesso, la voglia di vincere e la consapevolezza della propria forza. Lo stesso psicologo afferma di come molti atleti vincenti, abbiano avuto risultati minori in test fisici rispetto ad atleti di buon livello ma non al loro pari. Insicurezza, ansia ed emotività sarebbero alla base di un rendimento minore nonostante valori fisici ottimi ed in alcuni casi con pochi equivalenti. Da qui, parte la considerazione di come un semplice atleta, senza l'uso di alcuna sostanza ma attraverso la sua sola convinzione sia riuscito in un tale miglioramento. Si sta ora discutendo sulla legalità di questo trattamento che già alcune squadre stanno cercando di mettere in atto. Si passerebbe così ad un fasullo doping, inconsapevole da parte dei soggetti, ma che salverebbe comunque loro la salute, immorale ma salutare. Quel che è sicuro è che molti di noi giovani continueranno ad affidare la propria sicurezza a quei semplici gesti, un po' ridicoli, ma fondamentali e senza i quali la resistenza alla sofferenza non sarebbe tanto alta per chi vive per soffrire a denti stretti.