LA DEMOCRAZIA ANTICA
La nascita della democrazia
Il termine democrazia (demos+kratos = potere del popolo) indicava in greco “il governo del
popolo” e fu il regime politico di Atene a partire dal 508 a. C., anno della riforma di Clistene, fino
al 322 a. C, allorché si concluse con un insuccesso il tentativo di Atene di ribellarsi alla Macedonia.
Va però tenuto presente che il termine demokratía non è contemporaneo alla nascita della
democrazia. Esso compare nelle nostre fonti relativamente tardi, attorno alla metà del VI secolo a.
C. (una delle sue prime attestazioni è proprio un passo di Erodoto - Storie, VI, 1311-).
Se da un punto di vista etimologico, il significato del termine demokratía è trasparente, il concetto
di dêmos tuttavia è ambiguo, perché nelle fonti può essere impiegato sia per designare il popolo nel
suo complesso, sia una parte maggioritaria di esso contrapposta a un gruppo privilegiato. In origine,
infatti, la parola d’ordine dei “democratici” non era demokratía, ma isonomía, ovvero “parità di
diritti”, in quanto uguaglianza di fronte alla legge, al nómos.
Tale concetto si basava essenzialmente sulla sovranità dell’assemblea popolare costituita da tutti i
cittadini maschi adulti –che erano peraltro pochi, mai più di 40/45 mila-. Era perciò una democrazia
diretta, sia perché ciascun cittadino –tranne le donne, i meteci e gli schiavi- partecipando
all’assemblea, poteva contribuire personalmente alle scelte, sia perché era l’assemblea stessa ad
avere l’ultima parola sulla pace, sulla guerra, sui trattati, sulle leggi, sulle opere pubbliche e su tutte
le questioni relative alla vita della polis.
Inoltre, alla maggior parte delle funzioni pubbliche si accedeva per sorteggio, per cui ogni cittadino
aveva la possibilità di diventare membro della boulé o arconte o membro del tribunale popolare
(eliea), e talora anche più di una volta.
Verso la metà del V secolo a. C. chi ricopriva una carica cominciò a ricevere un piccolo stipendio
giornaliero, il cui scopo era quello di invogliare tutti a partecipare, anche i contadini che venivano
da fuori città, risarcendoli del mancato lavoro e guadagno della giornata.
Per il cittadino ateniese la vita pubblica era parte integrante della propria, ne discuteva nei negozi,
nelle taverne, a tavola e infine la decideva in maniera diretta, esprimendo il suo voto insieme agli
altri in assemblea.
Evidenti sono poi le diversità rispetto alle democrazie attuali, prima fra tutte l’idea di fondo: la
democrazia non consisteva nell’abbattimento dei privilegi, ma nell’estenderli al maggior numero di
persone.
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Clistene “"istituì per gli ateniesi le tribù e la democrazia”.
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Del resto, nelle democrazie moderne un sistema politico di questo tipo non potrebbe applicarsi,
perché devono governare milioni di cittadini. Il popolo, quindi, oggi non si esprime più direttamente
su ogni singola decisione dello stato, ma elegge i suoi rappresentanti (per questo si parla di
democrazie indirette o rappresentative). A loro, in modo diverso nei diversi paesi, spetta il compito
di guidare la vita politica, economica, sociale della propria nazione.
Un’ultima notazione riguarda il concetto di “libertà”. E’ vero che ad Atene il regime democratico
concesse a molti di esprimersi direttamente nella vita pubblica; tuttavia, tale concetto era ben
diverso da quello attuale. Esso infatti coincideva con il diritto di sottomettere economicamente e
politicamente gli altri, non con l’idea di porre sullo stesso piano le scelte di tutti.
Democrazia come uguaglianza
La città-stato arcaica, nella quale si deve presupporre una situazione di notevole compattezza
sociale con modeste differenziazioni socio-economiche, aveva come concetti cardine di riferimento
della sua organizzazione interna quelli di díke (giustizia) e di eunomía (buon ordine). L’affermarsi
nel mondo greco tra VII e VI secolo a. C. delle tirannidi, dovuto al modificarsi dei rapporti sociali
nelle varie città in relazione anche a un accresciuto livello di ricchezza, portò al rovesciamento di
questo “ordine giusto”. La tirannide era considerata la forma peggiore di governo, perché si
sottraeva al vincolo della legge e si imponeva con la forza ai cittadini. Facendo riferimento al caso
di Atene, il rovesciamento della tirannide alla fine del VI secolo a. C. non poteva significare il
ritorno alla situazione precedente, perché la maggioranza dei cittadini si era ormai resa consapevole
dei propri diritti nella gestione della cosa pubblica. Ecco allora la forte sottolineatura del concetto di
uguaglianza, come emerge bene anche da un passo di Erodoto, dove è questione di un fittizio
dibattito sulla migliore forma di costituzione (Storie, III, 80): “Il governo del popolo ha innanzitutto
il nome più bello del mondo, l’uguaglianza dinanzi alla legge (isonomía); esso esercita le
magistrature, ha un potere soggetto a controllo e presenta tutte le proposte all'assemblea generale”.
Che all’origine dell’idea greca di democrazia ci fosse una forte sottolineatura del concetto di
uguaglianza, è provato da altri neologismi coevi in cui pure compare la radice ísos (uguale):
isegoría2 (uguale diritto di parola, in particolare davanti all'assemblea); isogonía (uguaglianza di
nascita); isokratía (uguaglianza di potere); isópsephos (ugual diritto di voto).
Si noti, in proposito, come tra queste rivendicazioni di uguaglianza non ce ne sia una specifica che
riguardi l’uguaglianza dei beni, una richiesta in linea di massima meno sentita nelle democrazie
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In una cultura orale come quella greca, l'uguaglianza di parola è fondamentale; e isegoría, come anche la correlata, ma non
identica, parrhesía (diritto di dire tutto, franchezza), sono spesso, e fin dalle origini della tradizione storiografica, sinonimi di
demokratía.
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antiche. Il vero problema per i democratici antichi è quello di offrire un’uguale posizione politica di
partenza ai poveri come ai ricchi, e non di livellare le fortune. Tuttavia l’esito delle riforme di
Clìstene fu profondo anche a livello di organizzazione di ridefinizione dello spazio civico e nella
realizzazione di una nuova comunità che incarnava dentro di sé questi nuovi valori di uguaglianza.
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Differenze tra democrazia antica e moderna:
1. La democrazia antica prevedeva l’estensione dei diritti politici a molti, ma non a tutti;
2. Il principio su cui si basava era quello relativo all’uguaglianza di fronte alla legge
(isonomìa), non si fondava invece sull’idea moderna dell’eliminazione dei privilegi
economici e sociali;
3. Nella democrazia antica venivano esclusi dalla pratica pubblica – quindi non erano cittadini a
tutti gli effetti- gli schiavi, i meteci o stranieri, le donne e, in larga misura, i giovani. Questo
punto è fondamentale, perché il processo di democratizzazione nella società moderna
raggiunge il suo momento più alto con il riconoscimento dei diritti dell’uomo (Dichirazione
Universale dei Diritti dell’uomo, 1948) e con la liberazione della donna da una condizione di
minorità;
4. Non vi era una rigida divisione dei poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario), come nelle
democrazie moderne;
5. La democrazia antica era diretta, quella moderna è per lo più rappresentativa;
6. Nella democrazia ateniese il concetto di libertà coincideva con la possibilità di esercitare il
potere pubblico, mentre tutto il resto era condizionato: “Ad Atene, dove il sovrano è
l’insieme dei cittadini, non saremo affatto sorpresi che la legge regoli la religione,
l’educazione e perfino la proprietà dell’ultimo ateniese. Di qui lo strano spettacolo di un
popolo a un tempo liberissimo e schiavo; libero sino alla sovranità, per quanto riguarda il
governo, schiavo quanto alla religione, all’educazione, a tutto il modo di vivere” 4. Possiamo
dire, quindi, che nel mondo antico il cittadino è fatto per lo stato, non lo stato per il cittadino,
per cui non esistono diritti individuali da tutelare.
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Testo rielaborato da un articolo di Arnaldo Marcone, docente di Storia romana nell'Università di Udine.
Édouard-René Laboulaye, La libertà antica e la libertà moderna, Paris 1868, "Biblioteca di Scienze Politiche", s. I, vol. V,
Torino 1895, pp. 471-472.
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