La Critica della ragion pura – Dottrina degli elementi

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Immanuel Kant (1724 – 1804)
Cenni biografici su Kant:
 È nato nel 1724 in una città della Prussia orientale chiamata Königsberg (oggi Kaliningrad, una enclave
della Russia), dove si formò e dove poi trascorse tutta la vita insegnando all’Università. Le sue giornate
erano basate su rigide abitudini: è famoso l’aneddoto secondo cui i suoi concittadini regolassero i loro
orologi sulla base delle passeggiate pomeridiane che il filosofo compiva sempre alla stessa ora.
 Simpatizzò con gli americani nella loro guerra di indipendenza e con gli ideali della Rivoluzione
francese; dal punto di vista politico, nell’opera Per la pace perpetua (1795) si era espressamente
dichiarato a favore della repubblica.
 Entrò solo una volta in contrasto con il governo prussiano, in occasione della pubblicazione del suo scritto
La religione entro i limiti della sola ragione (1794); ma la questione rientrò quando salì al trono Federico
Guglielmo III e la libertà di stampa fu ripristinata.
 Morì nel 1804, si dice mormorando “Es ist gut” (sta bene). Sulla sua tomba furono incise le parole: “Il
cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me”, tratte dalla sua opera Critica della ragion
pratica.
Nell’attività letteraria di Kant si possono distinguere tre periodi:
1) fino al 1750 prevale l’interesse per le scienze naturali
2) nel secondo che va fino al 1781 (anno in cui fu pubblicata la Critica della ragion pura), prevale l’interesse
filosofico (orientato verso l’empirismo inglese e il criticismo)
3) nel terzo che va dal 1781 in poi si delinea la filosofia trascendentale
Il Secondo periodo
Negli anni che vanno dal 1750 al 1781 prevalgono nel pensiero di Kant gli interessi filosofici e si delineano i temi
più caratteristici del suo pensiero che confluiranno poi nel criticismo.
La prima formulazione del “criticismo”
In particolare, nell’opera Sogni di un visionario chiariti con i sogni della metafisica (1765), vengono presentati i
capisaldi dell’indirizzo critico: la metafisica se è intesa come tentativo di superare il piano della realtà fisica e
terrena (visione mistica e spiritistica) perde qualsiasi validità scientifica; l’unico modo di dare carattere
scientifico alla metafisica è quello di vederla come uno studio dei limiti della ragione umana1.
Dissertazione del 1770: lo spazio e il tempo come forma della conoscenza sensibile; distinzione
tra conoscenza sensibile e conoscenza intellettuale
Nella dissertazione per la nomina a professore ordinario del 1770 intitolata La forma e i principi del mondo
sensibile e intelligibile (De mundi sensibilis atque intelligibilis forma et principiis) Kant afferma di aver trovato
una soluzione al problema dello spazio e del tempo (tanto da scrivere: “L’anno ’69 mi ha portato una gran
luce”).
In questo testo Kant stabilisce la distinzione tra conoscenza sensibile e conoscenza intellettuale:
- la prima, che è dovuta alla ricettività (passività) del soggetto, ha per oggetto il fenomeno, cioè la cosa
come appare nella sua relazione al soggetto;
- la seconda, che è una facoltà del soggetto, ha per oggetto la cosa così come essa è, nella sua natura
intelligibile, cioè come noumeno2.
Nella conoscenza sensibile si deve distinguere:
- la materia, cioè la sensazione, che è una modificazione degli organi di senso e che perciò testimonia la
presenza dell’oggetto dal quale è causata;
- la forma, cioè la legge, indipendente dalla sensibilità, che ordina la materia sensibile. La forma della
conoscenza sensibile è costituita dallo spazio e dal tempo. Essi non derivano quindi dalla sensibilità,
che invece li presuppone. Essi sono “intuizioni pure”, ovvero intuizioni che precedono ogni conoscenza
Di fronte alla vanità dei sogni ad occhi aperti, la metafisica deve in primo luogo considerare le proprie forze e “conoscere se
il compito è in proporzione a ciò che si può sapere e quale rapporto ha la questione con i concetti dell’esperienza sui quali
devono poggiare tutti i nostri giudizi”.
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Il termine noumeno Kant lo riprende dalla filosofia di Platone (dal greco noúmenon = io penso) che lo utilizza per indicare
tutto ciò che non può essere percepito attraverso i sensi, ma a cui si può arrivare solo tramite il ragionamento. Per Platone i
noumena (plurale di noumeno) sono le idee, che rappresentano la vera realtà, di cui le cose sensibili sono solo copie.
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sensibile e sono indipendenti da essa. Perciò non sono realtà oggettive, ma condizioni soggettive e
necessarie alla mente umana per percepire in modo coordinato tutti i dati sensibili.
Quanto alla conoscenza intellettuale:
 In questo periodo Kant condivide ancora l’idea tradizionale che essa abbia la possibilità di conoscere i
“noumeni”, ovvero le cose uti sunt (come sono realmente), a differenza della sensibilità, che conosce
solo i “fenomeni”, ovvero le cose uti apparent (come appaiono).
 In seguito, come vedremo, Kant lascerà cadere questa distinzione e affermerà che tutta la nostra
conoscenza (sia sensibile che intellettuale) è sempre conoscenza di fenomeni e che il noumeno rimane
inconoscibile (una “x incognita”).
Il terzo periodo: gli scritti del periodo “critico”
Negli anni successivi Kant elabora la sua filosofia critica. Le opere più significative sono:
- Critica della ragion pura: la prima edizione è del 1781; la seconda è del 1787 (vi sono importanti
rimaneggiamenti, soprattutto per quanto riguarda il problema della “deduzione trascendentale”)
- Prolegomeni a ogni futura metafisica che voglia presentarsi come scienza (178): è un’esposizione più
breve e divulgativa della Critica della ragion pratica.
- Fondazione della metafisica dei costumi (1785)
- Critica della ragion pratica (1788)
- Critica del giudizio (1790)
- La religione entro i limiti della sola ragione (1793)
- La metafisica dei costumi (1797)
Il criticismo come “filosofia del limite”
Significato di “criticismo”: contrapposizione al dogmatismo, criticare = giudicare = interrogarsi sulle
possibilità, sulla validità e sui limiti della nostra conoscenza
Kant definisce il suo pensiero come “criticismo”, ovvero una forma di filosofia che fa della critica il suo
strumento principale, in contrapposizione al dogmatismo, ovvero all’atteggiamento mentale che consiste
nell’accettare opinioni o dottrine senza interrogarsi sulla loro effettiva validità. “Criticare”, nel linguaggio tecnico
kantiano, significa, conformemente all’etimologia greca, “giudicare”, “distinguere”, “valutare”, ossia
interrogarsi programmaticamente circa il fondamento delle nostre possibilità conoscitive, chiarendone:
- Le possibilità (a quali condizioni una conoscenza è possibile)
- La validità (i titoli di legittimità: quando una conoscenza è legittima)
- I limiti (i confini di validità)
Il criticismo è una filosofia del limite = analisi sui limiti dell’esperienza umana; limite = garanzia
Il criticismo si configura come filosofia del limite (o come dice Abbagnano come “eremeneutica della
finitudine”), ovvero un’analisi dei limiti dell’esperienza e del sapere umani. L’uomo non è onnisciente e
onnipotente, per cui egli, prima di intraprendere un cammino conoscitivo deve chiedersi quali sono i suoi
limiti e quali le sue possibilità. Ciò non equivale ad essere scettici sulle possibilità dell’uomo: tracciare il limite
di un’esperienza significa allo stesso tempo garantirne, entro quel limite, la validità. Il riconoscimento e
l’accettazione del limite divengono la norma che dà legittimità e fondamento alle facoltà conoscitive
dell’uomo.
Kant e l’empirismo
Da questo punto di vista, il kantismo può essere considerato come la prosecuzione dell’empirismo (Locke) –
nella misura in cui riconosce i limiti della ragione e delle capacità umane – e dell’illuminismo – nella misura in
cui, seppur identificandone i limiti, la ragione rimane lo strumento principale di conoscenza.
Tuttavia, il kantismo si distingue dall’empirismo in quanto spinge più a fondo l’analisi critica, sforzandosi di
fissare non solo i meccanismi della conoscenza, ma anche le sue condizioni di possibilità e i suoi limiti di
validità.
Kant e l’Illuminismo: la ragione erige un tribunale per giudicare se stessa
Il kantismo si distingue dall’Illuminismo per una maggiore radicalità di intenti. Infatti, gli illuministi avevano
sottoposto tutto il mondo dell’umano al vaglio della ragione, Kant si propone di portare davanti al tribunale
della ragione la ragione stessa, per chiarirne le strutture e le possibilità. In questo andare oltre l’Illuminismo, Kant
è pur sempre figlio dell’Illuminismo, in quanto la protagonista dell’indagine rimane la ragione, la quale è
autonoma e non può assumere dall’esterno (come ad esempio dalla fede o da qualsiasi esperienza extrarazionale) la direttiva del suo procedimento.
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La Critica della ragion pura – Introduzione
Il problema generale
La CRP è sostanzialmente un’analisi critica dei fondamenti del sapere3, che ai tempi di Kant si articolava in
scienza (matematica e fisica) e metafisica. La prima, grazie ai successi conseguiti da Galilei e Newton, appariva
come un sapere fondato e in continuo progresso; la seconda invece, con il suo voler procedere oltre
l’esperienza, aveva prodotto nel tempo le più disparate soluzioni ai medesimi problemi.
“Vi fu un tempo in cui essa [la metafisica] era considerata la regina di tutte le scienze… Ora la moda del tempo è
incline a disprezzarla”. Aristotele considerava la metafisica (studio di ciò che sta oltre le cose fisiche) come la
filosofia prima, come la scienza più alta e divina, ma, dice Kant, nell’epoca moderna, dopo le conquiste della
scienza, essa sembra aver perso qualsiasi credibilità scientifica.
Le domande fondamentali a cui Kant nella CRP vuole rispondere sono quindi le seguenti: 1) come è possibile la
matematica pura? 2) Come è possibile la fisica pura? 3) Come è possibile la metafisica in quanto disposizione
naturale4? 4) Come è possibile la metafisica come scienza? Mentre nel caso della matematica e della fisica si
tratta di giustificare una situazione di fatto (non c’è dubbio che siano scienze, ciò che è da chiarire sono solo le
condizioni che le rendono possibili come scienze), nel caso della metafisica si tratta invece di scoprire se esistono
condizioni tali che possono legittimare le sue pretese di porsi come scienza.
I giudizi sintetici a priori
Per affrontare le domande sopra elencate, Kant procede dall’analisi di quelle discipline la cui scientificità è
indubitabile; una volta individuato il fondamento della scientificità della matematica e della fisica, sarà possibile
decidere se anche la metafisica possa reggersi su di esso e dirsi scienza.
La CRP si apre con questa ipotesi gnoseologica di fondo: “benché ogni nostra conoscenza cominci con
l’esperienza, da ciò non segue che essa derivi interamente dall’esperienza. Potrebbe infatti avvenire che la
nostra stessa conoscenza empirica sia un composto di ciò che riceviamo mediante le impressioni e di ciò che
la nostra facoltà conoscitiva vi aggiunge da sé sola (semplicemente stimolata dalle impressioni sensibili)”. Pur
nutrendosi continuamente dell’esperienza, la scienza presuppone anche alcuni principi immutabili che sono i
“pilastri” su cui si regge. Per es. le proposizioni “Tutto ciò che accade ha una causa” o “Tutti i fenomeni in
generale… cadono nel tempo e stanno necessariamente fra di loro in rapporti di tempo” sono principi universali e
necessari che noi conosciamo ancor prima di fare una qualsiasi esperienza e che Kant chiama giudizi sintetici a
priori. Giudizi, in quanto consistono nel connettere un predicato con un soggetto; sintetici, perché il predicato
dice qualcosa di nuovo e di più rispetto al soggetto; a priori, perché, essendo universali e necessari, non
possono derivare dall’esperienza. La scienza, se vuole essere universale e necessaria, deve dunque reggersi su
giudizi sintetici a priori. È vero che la scienza deriva dall’esperienza, ma alla base dell’esperienza (cioè affinché
sia possibile fare una qualsiasi esperienza) vi sono dei principi inderivabili dall’esperienza stessa. Schematizzando:
scienza = esperienza + principi sintetici a priori (per es. la proposizione “il calore dilata i metalli” pur essendo
formulata in virtù dell’esperienza, presuppone il giudizio sintetico a priori della causalità).
Dai giudizi sintetici a priori Kant distingue altri due tipi di giudizio: giudizi analitici a priori e giudizi sintetici a
posteriori. I giudizi analitici a priori sono giudizi che vengono pronunciati a priori, senza bisogno di ricorrere
all’esperienza, in quanto in essi il predicato non fa che esplicitare, con un processo di analisi (basato sul
principio di non-contraddizione) quanto è già implicitamente contenuto nel soggetto. Ad es. “i corpi sono
estesi”: il concetto di estensione espresso nel predicato non aggiunge nulla di nuovo a quello di corpo, dal momento
che vi è implicato. Quindi pur essendo universali e necessari (a priori), i giudizi analitici a priori sono infecondi
perché non ampliano la conoscenza. I giudizi sintetici a posteriori sono giudizi in cui il predicato dice
qualcosa di nuovo rispetto al soggetto, aggiungendosi (sintetizzandosi) a quest’ultimo in virtù
dell’esperienza, cioè a posteriori. Ad es. “i corpi sono pesanti”: è un giudizio che si può formulare solo dopo aver
fatto esperienza di più oggetti corporei, dato che il peso, a differenza dell’estensione, non è collegato a priori con il
concetto di corpo. Pur essendo fecondi, questi giudizi sono privi di universalità e necessità, perché poggiano
sull’esperienza.
La ragione critica se stessa, erige un “tribunale” in cui essa è allo stesso tempo giudice e giudicato, con lo scopo di valutare le
possibilità, la validità e i limiti della sua conoscenza. Il riconoscimento e l’accettazione del limite divengono la norma che dà
legittimità e fondamento alle facoltà umane.
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“La ragione umana… è perpetuamente sospinta da un proprio bisogno verso quei problemi che non possono ine nessun modo
esser risolti da un uso empirico della ragione… la metafisica è sempre esistita e sempre esisterà” (Kant, CRP)
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La “rivoluzione copernicana” in filosofia
Se non derivano dall’esperienza, da dove provengono i giudizi sintetici a priori? Per rispondere a questo
interrogativo Kant elabora una teoria della conoscenza intesa come sintesi di materia e forma, ossia di un
elemento a posteriori e un elemento a priori. Per “materia” della conoscenza si intende la molteplicità caotica e
mutevole delle impressioni sensibili che provengono dall’esperienza (elemento empirico o a posteriori); per
“forma” della conoscenza si intende l’insieme delle modalità fisse attraverso cui la mente umana ordina tali
impressioni (elemento razionale o a priori). Secondo Kant, la mente ordina i dati empirici attraverso forme
che le sono innate e che risultano comuni a tutti i soggetti pensanti, queste forme sono a priori rispetto
all’esperienza e hanno validità universale e necessaria, in quanto tutti le possiedono e le applicano allo stesso
modo.
“Benché ogni nostra conoscenza cominci con l’esperienza, da ciò non segue che essa derivi interamente
dall’esperienza. Potrebbe infatti avvenire che la nostra stessa conoscenza empirica sia un composto
- di ciò che riceviamo mediante le impressioni e
- di ciò che la nostra facoltà conoscitiva vi aggiunge da sé sola (semplicemente stimolata dalle impressioni
sensibili)”.
Kant paragona le forme a priori a delle lenti colorate: se immaginassimo che tutti gli uomini indossino
permanentemente delle lenti colorate, ne risulterebbe che tutti vedrebbero la realtà filtrata attraverso quel
determinato colore. Per fare un esempio più attuale potremmo pensare alla nostra mente come ad un computer che
elabora la molteplicità dei dati forniti dall’esterno utilizzando una serie di programmi “interni” fissi. Pur mutando
le informazioni (le impressioni sensibili), non mutano mai gli schemi attraverso i quali esse sono ricevute ed
elaborate (le forme a priori). Se sapessimo di portare sempre delle lenti azzurre, potremmo dire, con tutta
sicurezza, che il mondo, anche in futuro, per noi continuerà a essere azzurro. Analogamente, noi possiamo asserire
con certezza che ogni evento, anche in futuro, dipenderà da cause o sarà nello spazio e nel tempo, in quanto non
possiamo percepire le cose se non attraverso la causalità e mediante lo spazio e il tempo.
Questa impostazione rappresenta per Kant una “rivoluzione copernicana” in filosofia: così come Copernico aveva
ribaltato i rapporti tra la Terra e il Sole, allo stesso modo Kant, per spiegare la scienza, ribalta i rapporti tra
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soggetto e oggetto, affermando che non è la mente che si modella in modo passivo sulla realtà, ma la realtà che
si modella sulle forme a priori attraverso cui la percepiamo e la ordiniamo.
Da qui segue anche la distinzione tra fenomeno e la cosa in sé. Il fenomeno è la realtà quale ci appare tramite le
forme a priori che sono proprie della nostra mente (della nostra struttura conoscitiva). Esso non è
un’apparenza illusoria, poiché è un oggetto reale, ma reale soltanto nel rapporto con il soggetto conoscente;
in altri termini il fenomeno possiede una sua oggettività, nel senso che vale allo stesso modo per tutte le menti
(in quanto tutte sono strutturate allo stesso modo). La cosa in sé è la realtà considerata indipendentemente da
noi e dalle forme a priori mediante le quali la conosciamo. Come tale essa è una “x incognita”, che rappresenta
tuttavia il necessario correlato “dell’oggetto per noi”, cioè del fenomeno.
Si tratta allora di operare un rovesciamento di tale prospettiva, assumendo l'ipotesi che «gli oggetti debbano
regolarsi sulla nostra conoscenza»: questa è la "rivoluzione copernicana" compiuta da Kant.
Ciò vuol dire che non esiste prima un oggetto del quale poi noi facciamo esperienza, ma che il modo in cui si
costituiscono gli oggetti dell'esperienza è determinato dalle funzioni trascendentali della ragione. È a queste
condizioni che l'esperienza stessa è possibile.
Le facoltà della conoscenza e la partizione della CRP
Kant distingue tre facoltà conoscitive: “Ogni nostra conoscenza scaturisce dai sensi, da qui va all’intelletto, per
finire nella ragione”. La sensibilità è la facoltà con cui gli oggetti ci sono dati intuitivamente attraverso i sensi
e tramite le forme a priori di spazio e tempo; l’intelletto è la facoltà attraverso cui pensiamo i dati sensibili
tramite i concetti puri o le categorie; la ragione è la facoltà attraverso cui, procedendo oltre l’esperienza,
cerchiamo di spiegare globalmente la realtà mediante le idee di anima, mondo e Dio. Su questa tripartizione è
basata la divisione della CRP, la quale si biforca in due tronconi principali: 1) la dottrina degli elementi, che si
popone di scoprire, isolandoli, quegli elementi formali della conoscenza che Kant chiama “puri” o “a priori”;
2) la dottrina del metodo, che consiste nel determinare l’uso possibile degli elementi a priori della conoscenza.
La dottrina degli elementi, che è la parte più estesa, si ramifica in: a) estetica trascendentale (dottrina della
sensibilità, in greco áisthesis = sensazione), che studia la sensibilità e le sue forme a priori dello spazio e del
tempo; b) logica trascendentale, la quale si sdoppia in a1) analitica trascendentale, che studia l’intelletto e le
sue forme a priori (le 12 categorie) e a2) dialettica trascendentale, che studia la ragione e le sue tre “idee” di
anima, mondo e Dio (alla base della metafisica)
Il concetto kantiano di “trascendentale”
Nella terminologia scolastica del Medioevo erano denominate “trascendentali” quelle proprietà universali (l’essere,
l’uno, il bene, ecc.) comuni a tutte le cose. Kant, collegandosi a questa tradizione terminologica, connette il
concetto di trascendentale a quello di forma a priori: “Chiamo trascendentale ogni conoscenza che si occupi non
tanto di oggetti, quanto del nostro modo di conoscere gli oggetti, nella misura in cui questo deve essere possibile a
priori”. Trascendentale è dunque lo studio filosofico delle forme a priori (estetica trascendentale, analitica
trascendentale, ecc.).
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La Critica della ragion pura – Dottrina degli elementi
1) L’estetica trascendentale
L’ET studia la sensibilità e le sue forme a priori. La sensibilità è ricettiva: non genera i propri contenuti, ma li
accoglie per intuizione dalla realtà esterna o dall’esperienza interna. La sensibilità tuttavia non è solo ricettiva, ma
anche attiva, in quanto organizza il materiale delle sensazioni (intuizioni empiriche) tramite lo spazio e il tempo,
che sono forme a priori (intuizioni pure) della sensibilità.
Lo spazio è la forma del senso esterno: sta a fondamento di tutte le intuizioni esterne. Il tempo è la forma del
senso interno: sta a fondamento dei nostri stati interni e del loro disporsi l’uno dopo l’altro, secondo un ordine di
successione (in realtà il tempo può considerarsi come forma universale dell’esperienza, perché è attraverso il senso
interno che giungono i dati del senso esterno; inoltre, se non ogni cosa è nello spazio, ad esempio i sentimenti, ogni
cosa è però nel tempo).
Spazio e tempo non possono derivare dall’esperienza, poiché per fare un’esperienza qualsiasi dobbiamo già
presupporre le rappresentazioni originarie di spazio e tempo (contro l’empirismo); non sono nemmeno dei
contenitori in cui si trovano gli oggetti, bensì dei “quadri mentali” a priori entro cui connettiamo i dati fenomenici
(contro l’oggettivismo).
Le intuizioni pure di spazio e tempo sono alla base della geometria e dell’aritmetica come scienze sintetiche a
priori. La geometria è la scienza che dimostra sinteticamente a priori le proprietà delle figure mediante l’intuizione
pura di spazio, senza ricorrere all’esperienza del mondo esterno; l’aritmetica è la scienza che determina
sinteticamente a priori le proprietà delle serie numeriche, basandosi sull’intuizione pura di tempo e di successione,
senza la quale lo stesso concetto di numero non sarebbe mai sorto. Quindi la matematica è a priori, ovvero
universale e necessaria, immutabilmente valida per tutte le menti pensanti.
2) L’analitica trascendentale
L’AT si occupa delle conoscenze a priori proprie dell’intelletto. “Senza sensibilità nessun oggetto ci verrebbe
dato e senza intelletto nessun oggetto verrebbe pensato. I pensieri senza contenuto (senza intuizioni) sono
vuoti, le intuizioni senza concetti sono cieche”. Se le intuizioni sono “affezioni” (qualcosa di passivo), i concetti
sono “funzioni”, ovvero operazioni attive che consistono nell’ordinare, o unificare, diverse rappresentazioni
“sotto una rappresentazione comune”. I concetti possono essere empirici, costruiti con materiale proveniente
dall’esperienza, o puri, contenuti a priori nell’intelletto.
I concetti puri sono chiamati “categorie”: sono le supreme funzioni unificatrici dell’intelletto. A differenza
delle categorie aristoteliche, che hanno un valore ontologico e gnoseologico al tempo stesso, le categorie kantiane
hanno una portata esclusivamente gnoseologico-trascendentale, in quanto modi di funzionamento dell’intelletto
(leges mentis), che non valgono per la cosa in sé, ma solo per il fenomeno.
La tavola delle categorie è dedotta attraverso un “filo conduttore”: pensare è giudicare (attribuire un predicato
ad un soggetto), quindi ci saranno tante categorie, quante sono le modalità di giudizio. A ogni tipo di giudizio
corrisponde una categoria (vedi tabella sul libro).
La deduzione trascendentale e l’io penso
Deduzione: dimostrazione della legittimità di diritto di una pretesa di fatto  perché le categorie, pur essendo
forme soggettive della nostra mente, pretendono di valere anche per gli oggetti, ossia per una natura che,
materialmente non è l’intelletto a creare? Per le forme della sensibilità, spazio e tempo, il problema non si presenta,
poiché un oggetto non può apparire all’uomo (essere percepito), se non attraverso queste forme. Per quanto
riguarda invece le categorie la questione, per Kant, è più complessa e coinvolge “l’io penso”: 1) l’unificazione del
molteplice non deriva dalla molteplicità stessa, ma da un’attività sintetica che ha la sua sede nell’intelletto; 2)
Kant identifica la suprema unità fondatrice della conoscenza con l’identica struttura mentale che accomuna
gli uomini, denominata “io penso” (“appercezione”, “autocoscienza” trascendentale; “l’io penso deve poter
accompagnare tutte le mie rappresentazioni, altrimenti si darebbe in me la rappresentazione di qualcosa che non
potrebbe esser pensata”); 3) l’attività dell’io penso si attua tramite giudizi; 4) i giudizi si basano su categorie
(le 12 funzioni unificatrici in cui si concretizza l’attività sintetica dell’io penso); 5) gli oggetti non possono
assolutamente venir pensati senza per ciò stesso venir categorizzati. (vedi schema categorie  principi).
3) La dialettica trascendentale
La DT indaga il problema se la metafisica possa anch’essa costituirsi come scienza. Per Kant DT è l’analisi e lo
smascheramento dei ragionamenti fallaci della metafisica. Nonostante la sua infondatezza, quest’ultima
rappresenta tuttavia “un’esigenza naturale e inevitabile della mente umana”.
La metafisica è un parto della ragione: non è altro che l’intelletto stesso portato a voler pensare anche senza
dati, a procedere oltre i dati esperienziali. Si tratta di una nostra innata tendenza all’incondizionato e alla
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totalità. La nostra ragione è inevitabilmente attratta verso il regno dell’assoluto, verso una spiegazione globale
e onnicomprensiva di ciò che esiste. Tale spiegazione si fonda su tre idee trascendentali: 1) idea di anima,
mediante la quale unifichiamo i dati del senso interno, ovvero l’idea della totalità assoluta dei fenomeni interni; 2)
idea di mondo, mediante la quale unifichiamo i dati del senso esterno, ovvero l’idea della totalità assoluta dei
fenomeni; 3) l’idea di Dio, mediante la quale unifichiamo i dati interni e esterni, ovvero l’idea della totalità di tutte
le totalità e fondamento di tutto ciò che esiste. L’errore della metafisica consiste nel trasformare queste tre
esigenze (mentali) di unificazione dell’esperienza in altrettante realtà, dando luogo a tre pseudo-scienze: la
psicologia razionale, la cosmologia razionale, la teologia razionale.
La psicologia razionale è fondata su un “paralogismo”, cioè su un ragionamento errato che consiste nell’applicare
la categoria di sostanza all’io penso, trasformandolo in una realtà permanente chiamata anima. Si tratta della
pretesa di dare tutta una serie di valori positivi a quella x funzionale che è l’io penso.
La cosmologia razionale pretende di far uso della nozione di mondo, inteso come la totalità assoluta dei fenomeni
cosmici (ricordiamoci che il fenomeno è ciò che appare, ovvero l’incontro fra realtà e schemi mentali). La totalità
dell’esperienza non è mai un’esperienza: noi possiamo sperimentare questo o quel fenomeno, ma non la serie
completa dei fenomeni. Quindi l’idea di mondo cade al di fuori di ogni esperienza possibile. Infatti, pretendendo di
fare un discorso intorno al mondo nella sua totalità, cado inevitabilmente nelle cosiddette antinomie (coppie di
affermazioni opposte, per es. non è possibile decidere se il mondo abbia avuto un inizio nel tempo o esista da
sempre; oppure se sia limitato nello spazio o infinito, ecc.)
La teologia razionale considera Dio come il supremo modello (la perfezione) personificato di ogni realtà (ens
realissimum), cioè l’Essere da cui derivano e dipendono tutti gli esseri. La tradizione ha elaborato una serie di
prove dell’esistenza di Dio, che Kant raggruppa in prova ontologica, prova cosmologica e prova fisico-teologica. 1)
La prova ontologica (S. Anselmo), pretende di ricavare l’esistenza di Dio dal semplice concetto di Dio come essere
perfettissimo, affermando che, in quanto tale, Egli non può mancare dell’attributo dell’esistenza. Tuttavia, secondo
Kant, non è possibile “saltare” dal piano della possibilità logica a quello della realtà ontologica: l’esistenza è
qualcosa che possiamo constatare solo per via empirica (non è un semplice predicato). Kant fa un esempio
divulgativo: la differenza tra cento talleri (monete prussiane) reali e cento talleri pensati non risiede nella serie delle
loro proprietà concettuali, che sono identiche, ma nel fatto che gli uni esistono e gli altri no. 2) La prova
cosmologica (fulcro delle “vie” tomistiche) afferma che “se qualcosa esiste, deve anche esistere un essere
assolutamente necessario; poiché io stesso, almeno, esisto, deve quindi esistere un essere assolutamente
necessario”. Qui è presente un uso illegittimo del principio di causa: partendo dall’esperienza della catena degli enti
eterocausati, si pretende di innalzarsi, oltre l’esperienza, a un primo anello incausato. Ma il principio di causa è una
regola con cui connettiamo i fenomeni tra di loro e che quindi non può affatto servire a connettere i fenomeni con
qualcosa di trans-fenomenico. Inoltre, la prova cosmologica finisce per ricadere in quella ontologica, perché la
ragione dopo essersi elevata all’idea del necessario incausato, giunge a sostenere che questo essere necessario e
incausato coincide con l’essere perfettissimo che non può essere concepito se non come esistente. 3) La prova
fisico-teologica fa leva sull’ordine, sulla finalità e sulla bellezza del mondo per innalzarsi a una Mente ordinatrice,
identificata con Dio creatore, perfetto e infinito (è la prova più adatta al senso comune, per questo la più antica e
quella che ha avuto più fortuna). È come dire: se c’è un orologio deve per forza esserci un orologiaio (argomento
usato da Cartesio, Boyle e perfino da alcuni esponenti dell’illuminismo). Tale prova pretende di stabilire, sulla base
dell’ordine cosmico, l’esistenza di una causa infinita e perfetta, ritenuta proporzionata a tale ordine. Ma così
facendo non ci si accorge che gli attributi che si danno al mondo (mirabile, ordinato, ecc.) sono relativi solo a noi e
quindi non siamo autorizzati affatto a passare dal finito all’infinito. Noi sappiamo che in questo universo c’è una
qualche misura o gradazione di ordine, ma relativa ai nostri parametri mentali. Alla fine, anche questa prova non fa
altro che identificare l’ipotetica causa ordinante con l’idea della realtà perfettissima di cui parla l’argomento
ontologico. Si noti: Kant non è ateo, ma agnostico, in quanto ritiene che la ragione umana non possa dimostrare né
l’esistenza di Dio, né la sua non-esistenza.
Le idee della ragion pura non servono a conoscere (scientificamente) alcun oggetto possibile, tuttavia possono
avere una funzione regolativa, indirizzando la ricerca verso quell’unità totale che rappresentano. Infatti ogni idea è
una regola che spinge la ragione a dare al suo campo d’indagine, che è l’esperienza, non solo la massima
estensione, ma anche la massima unità sistematica. L’idea psicologica spinge a cercare i legami tra tutti i fenomeni
del senso interno, come se fossero manifestazioni di un’unica sostanza semplice. L’idea cosmologica spinge a
passare incessantemente da un fenomeno naturale all’altro, dall’effetto alla causa e da questa a un’altra causa, così
via all’infinito, come se la totalità dei fenomeni costituisse un unico mondo. L’idea teologica addita all’intera
esperienza un ideale di perfetta organizzazione sistematica, come se tutto dipendesse da un unico Creatore.
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