LaPlatea.it Inserto speciale luglio 2014: Le recensioni della stagione 2013/2014 LaPlatea.it uscita numero V, numero speciale. C ari lettori, la stagione teatrale è ormai giunta al termine ed è arrivato il momento di tirare le somme di questa nostro primo anno, anzi mezzo anno, di attività. L'avventura de LaPlatea.it nasce a fine febbraio 2014. Il sottoscritto, direttore responsabile della testata, era reduce da altre esperienze redazionali che lo avevano portato a recensire numerosi spettacoli teatrali all'interno della scena romana. Frequentando assiduamente questo mondo si è aperta, con sempre maggior insistenza, l'idea di creare un giornale, mensile, dedicato esclusivamente al mondo del teatro, della cultura e dell'arte. Vi domanderete, perché? Il motivo è semplice, sopperire ad una mancanza, grave, presente non solo nel territorio romano ma in quello nazionale. Si tratta della mancanza di una rivista che sia in grado di spiegare, narrare, raccontare e dialogare con il pubblico, la Platea per l'appunto, al fine di spronarlo e spingerlo ad interessarsi, o nel migliore dei casi a farlo ancor di più, nei riguardi del fantastico universo del teatro e dell'arte. Lo sappiamo, molte sono le riviste, cartacee ed online, che trattano di questi argomenti, cosa abbiamo noi di diverso? Come i più assidui lettori avranno notato e come appena accennato poco sopra, noi cerchiamo di metterci dalla parte del pubblico al fine di rendergli le giuste informazioni sugli spettacoli, ma sopratutto stiamo creando un 'luogo' dove poter trovare persone che parlano di teatro in modo semplice, al fine di stimolare un dialogo costruttivo che possa far vivere uno spettacolo anche dopo la chiusura del sipario. In questi pochi mesi di attività la nostra redazione composta, oltre che dal sottoscritto, da Fabio Montemurro, Alessandra Cetronio, Federico Cirillo e Giuliano Armini, è riuscita fare un ottimo lavoro, imponendosi a Roma come realtà concreta ed in grado di offrire un servizio che ha lasciato molti di voi più che soddisfatti. Ma “il meglio deve ancora venire”. Quindi in attesa di una nuova e, speriamo con tutto il cuore, ancor più proficua stagione, vi proponiamo, in questo numero speciale di luglio, le recensioni scritte in questo primo “mezzo” anno di attività. Un caloroso saluto a tutti voi Enrico Ferdinandi (Direttore responsabile laplatea.it) LaPlatea.it uscita numero V, numero speciale. Teatro Eutheca di Roma: Vedettes e la funambolica ricerca del sé Scritto da Enrico Ferdinandi Stefania Pecora e Mariapia Rizzo interpretano il ruolo di due vicine di casa: divise da un muro, che cela all'una l'esistenza dell'altra, ma unite dalla medesima ossessione dell'apparire. Si tratta di un voler apparire come, idealmente, si pensa di esser al proprio interno. Nella realtà entrambe non sanno veramente quale sia la vera natura del loro essere in quanto troppo occupate a far sì che, esteriormente, tutto coincida con le proprie ed altrui aspettative. La loro vita, e le loro paure, si ritrovano così riempite, appagate, da cose superficiali e si fa sempre più viva e concreta l'idea che basti modificare la propria estetica davanti ad uno specchio, o quanto meno immaginare che sia sufficiente vedersi diversi nella superficie, per sentirsi così anche nel profondo. Lo specchio è il vero protagonista di questo spettacolo. Lui, che inerme non può far altro che riflettere l'immagine altrui, si ritrova primo, consapevole, testimone del fatto che quella superficie non basta per conoscere meglio se stessi, ma solo per illudersi che delle false immagini possano appagare quel bisogno di sicurezze che servono per rapportarsi con il mondo esterno. La chiave che apre le porte dell'equilibrio psicosociale non sta quindi nella beltà di un corpo riflesso ma all'interno di esso. Ci ritroviamo così nel pieno di una riflessione pirandelliana che porta le due protagoniste a rimanere imprigionate nei labirinti delle loro insicurezze: proprio lì, dove ripetere davanti ad uno specchio “fa che per una volta io sia veramente me stessa”, non fa altro che alimentare quel vortice che allontana dal sé. È proprio la tentazione di cambiarsi in continuazione, pur di capirsi e piacersi, che fa perdere la bussola, l'equilibrio. Diviene così impossibile capire, anzi ricordare chi si è veramente. Una perdita d'identità che può portare alla follia. Vedettes è uno specchio. La platea guardando lo spettacolo ritrova riflesse quelle stesse pulsioni ed ossessioni che quotidianamente attanagliano l'animo umano quando pensa al suo ruolo nella società ed al modo in cui viene percepito. Riflettersi in questo spettacolo non solo aiuta a capire questi meccanismi con grande empatia, ma a prendere con più ironia tutte quelle paure e quelle ossessioni che spesso ci bloccano e non ci fanno godere a pieno lo stare con gli altri e con noi stessi. Enrico Ferdinandi 23 febbraio 2014 LaPlatea.it uscita numero V, numero speciale. Informazioni VEDETTES Con Stefania Pecora, Mariapia Rizzo Regia Domenico Cucinotta DAL 20 AL 23 FEBBRAIO 2014 da giovedì a sabato ore 21.00 – domenica ore 17.30 TEATRO EUTHECA Cinecittà Campus Via Quinto Publicio n. 90 00175 – Roma Tel. 06/95945400÷ Fax 06/95945414 www.teatroeutheca.com [email protected] Linea A – Fermate: Cinecittà/Subaugusta LaPlatea.it uscita numero V, numero speciale. Le Nuvole, di Aristofane; messa in scena della Compagnia Castalia, con adattamento e regia di Vincenzo Zingaro, fino al 16 marzo 2014 al Teatro Arcobaleno Scritto da Giuliano Armini e Federico Cirillo La recensione doppia: due diversi punti di vista su 'Le Nuvole' di Aristofane. Di Giuliano Armini e Federico Cirillo Il punto di vista di Giuliano Armini Affascinante estetica della filologia scenica nel recupero e adattamento di un'antica e attuale commedia: ciò è quanto si svolge sul palcoscenico del Teatro Arcobaleno fino al 16 marzo, nell'ambito di questa stupenda operazione teatrale condotta ormai da anni dalla Compagnia Castalia. Viene messo in scena Le Nuvole, di Aristofane (450-380 a.C.). Antica commedia che ironicamente giocava sulla dicotomia di due differenti approcci filosofico-esistenziali: un dogmatismo che pur facendo uso del mito contribuiva all'edificazione morale del singolo e della comunità, contro un raziocinio che nel proporsi di sostituirsi ad una conoscenza apparentemente primitiva e scaramantica, deflagrò in un sofismo utilizzabile per difendere i vizi a danno delle virtù. Questa fu la lettura di Aristofane, che causticamente volle colpire i sofisti, dileggiandoli, riconoscendoli colpevoli di aver utilizzato la retorica a danno del vigore morale di Atene. Nella storia, un vecchio agricoltore, Strepsiade, stretto dai debiti contratti per colpa del figlio, valuta l'opportunità di farsi insegnare dai sofisti i trucchi della retorica, così da poter sfuggire ai gravosi oneri finanziari con l'utilizzo della parola; il suo approccio amorale e truffaldino gli tirerà però un gran brutto scherzo, comprendendo così sulla sua pelle l'importanza del virtuosismo. Piccole scurrilità, caricature, umane debolezze e imbarazzanti apparenti verità completano, come tutti sappiamo, l'impianto drammaturgico. Le Nuvole, oggi riproposte grazie alla virtuosa azione di questa compagnia, oltre a conservare intatta la sua capacità ironica, funge da educativa metafora in un evo di cultura massmediatica per lo più costruita sia per un LaPlatea.it uscita numero V, numero speciale. consumo immediato quanto insoddisfacente, sia intrisa di immagini, schemi e modelli vacui e inconsistenti. Altresì, all'interno di una felice sintesi scenotecnica, la Compagnia Castalia ci fa un altro regalo: nel recupero dell'utilizzo della maschera, affascinante peculiarità del teatro degli antichi, realizzate dal rinomato Studio Carboni, viene recuperata, anche la gestualità dell'attore, dando agli appassionati la possibilità di potersi incontrare con un'immanenza retinica della scena antica fino a quel momento, magari, solo immaginata. Il punto di vista di Federico Cirillo Il regista Vincenzo Zingaro, con un egregio lavoro di adattamento e scenografia, ripropone tutta la sfrontata ironia di Aristofane con uno dei suoi capolavori, “Le Nuvole”; in scena al Teatro Arcobaleno fino al 16 Marzo. "Chi non ha letto Aristofane non può capire cosa vuol dire la felicità" (Hegel) Un Aristofane di grande attualità quello offerto da Vincenzo Zingaro che nel suo riadattamento ne conserva intatti i contenuti antichi avvalendosi delle preziose e pregevoli maschere tipiche del teatro greco – “gioielli” scenici del rinomato Studio Carboni, celebre per la fortunata collaborazione in passato con artisti del calibro di Fellini e Visconti – le quali, nel giro di due atti dinamici e godibilissimi, riportano lo spettatore indietro di 2500 anni, ad una delle prime commedie embrione, spunto e capostipite di quello che sarà poi ed è attualmente il teatro occidentale. Dal padre di tutta la commedia antica, un’opera che fa sorridere ma soprattutto riflettere: un attacco diretto ai sofisti del suo tempo, dipinti dall’autore come cialtroni dediti a contrabbandare, per mezzo della loro ars dicendi, idee che deteriorano i valori veri dei giovani, allontanandoli, così dalla saggezza del discorso Maggiore, contrapposto, dunque, al discorso Minore che travia e illude le nuove generazioni, facendole cascare nella intricate trappole di chi cerca e ottiene, attraverso traversie dialettiche, il loro consenso, il loro appoggio e l’approvazione per qualsivoglia riprovevole azione che vada, anche, a inficiare il giusto percorso della legge. Si intravede e percepisce, ben stagliato in un amaro introiettarsi al presente, una satira tutt’oggi ancora valida, nei confronti di quella degenerazione del sistema televisivo (e dei media in generale) che vuole e riesce ad imporre sempre più modelli dai contenuti in realtà vacui e inconsistenti. Proprio, infatti, nel periodo storico nel quale Sorrentino mette a nudo la Grande Bellezza, sfarzosa e di plastica, di una certa casta sociale che promuove e guida false illusioni e speranze legate a un mondo materiale – la classe dirigente, per intenderci – Zingaro ripropone, con consapevole tempismo, il tema delle Nuvole, dove Aristofane, con maestosa sagacia nel condannare l’arroganza intellettuale di un Socrate (immagine scenica, ovviamente, ben lontana da quella reale dell’auctoritas del filosofo greco) canzona, con un parodiare fresco, trasparente e profondo, dove l’osceno non è mai morboso e, anzi, esalta i toni della provocazione astuta, una cultura emergente che trova la sua corrispondenza nella disonestà, o meglio, nei tentativi di disonestà, del vecchio Strepsiade – interpretato con maestria da Fabrizio Passerini. Egli, infatti, afflitto da debiti e dai creditori, si affida agli stratagemmi dell’eloquio e dei discorsi dotti per raggirare la giustizia e le cause a lui intentategli, inducendo e immettendo sulla strada del “pensatoio”, regno di Socrate – LaPlatea.it uscita numero V, numero speciale. dietro la cui austera e severa maschera si nasconde Ugo Cardinali - e dei suoi allievi – rappresentati come dei galletti starnazzanti, sublime espressione dello zoomorfismo tipico delle commedie di Aristofane (come ad esempio ne Le Vespe, Le Rane e Gli Uccelli) - il figlio Filippide (Piero Scarpa), vittima di un mutamento radicale e quanto mai ironico. Da rude amante dei cavalli – passione che ha costretto di fatti il padre a contrarre innumerevoli debiti – il giovane viene trasformato in etereo efebo dalla parlantina sciolta, aulica e, ironia della sorte, così straripante e convincente tanto da rinnegare gli insegnamenti stessi del padre al quale, infine, si rivolta, percuotendolo. Simbolo dunque, Filippide, della volubilità dei giovani, facili e ambite prede di un occulto disegno basato sul consenso a scapito della giustizia e dei più ingenui. Il tutto dietro l’astuta e consapevole regia delle Nuvole, appunto: vere e proprie deus ex machina che, attraverso l’illusione, l’abbaglio, il dramma tragicomico e, infine, la sconfitta di Strepsiade, portano in scena la morale, la quale nasce, si sviluppa e si concretizza attraverso un percorso di ironica catarsi. In definitiva, al disperato padre, abbattuto, vinto e ormai sommesso, non rimane altro che incendiare la scuola dei sofisti, come ultimo atto di purificazione, per rimediare sia agli errori singoli – la convinzione di poter raggirare il prossimo – sia per contrastare una “piaga” sociale che avrebbe portato, sempre secondo Aristofane (contrario alle nuove filosofie del tempo viste come sistemi di ragionamento nei quali quello che conta non è più la difesa dei valori e della giustizia, ma il saper rigirare le parole a proprio vantaggio) al deterioramento della civiltà. Chiosando sulle scelte scenografiche, da sottolineare, dunque, l’utilizzo delle maschere, come già evidenziato, che seppur potrebbe rappresentare un ostacolo interpretativo per gli spettatori moderni o più giovani, di comprendere un determinato tipo di commedia e di satira antica, serve, però, a focalizzare e definire le specifiche peculiarità dei personaggi i quali, una volta accettati nel loro universo scenico, regalano al pubblico tutto il gusto del teatro classico; infine le musiche che sostituiscono il coro, rappresentano un perfetto accompagnamento alle azioni, talvolta anche volutamente goffe (frequenti nella rappresentazione di Strepsiade e del discorso Minore), rendendole comunque leggeri e piacevoli come se, sull’aria musicale, si muovessero in perfetta sincronia. 3 marzo 2014 Informazioni LE NUVOLE * di Aristofane 17 gennaio - 16 marzo 2014 (venerdì, sabato: ore 21; domenica ore 17.30) adattamento e regia Vincenzo Zingaro con Fabrizio Passerini, Ugo Cardinali, Rocco Militano, Piero Sarpa, LaPlatea.it uscita numero V, numero speciale. Laura De Angelis, Erika Puddu, Carmen Landolfi LaPlatea.it uscita numero V, numero speciale. Signorinette. Le donne si guardino dal lasciar tracce di rossetto sulle schede, con Tiziana Avarista, Carmen Giardina, Anna Maria Loliva, Federica Marchettini; regia di Nuccio Siano. Al Teatro Quarticciolo, l'8 e il 9 marzo 2014 Scritto da Giuliano Armini «mercoledì 5 giugno, dopo ore di perplessità i risultati del referendum cominciano a comparire nelle edizioni straordinarie: l'Italia è repubblica!» Così recitava un cinegiornale chiudendo un passaggio storico (2 giugno 1946) e, una delle notizie più belle relative a quel frangente è che veniva affrontato con lo strumento del suffragio universale: l'Eguaglianza e l'Amore cantarono dentro questo traguardo. Il Costume iniziava ad assumere un atteggiamento più illuminato, compiacendosi nell'affratellamento e nel pieno Rispetto: la Donna ora partecipava al voto, come già partecipava alla vita, come aveva partecipato nelle tribolazioni della guerra e come parteciperà nella rinascita. In Signorinette il pubblico viene condotto nell'evocazione di un respiro di quel frangente, il quale si compie attraverso un filtro intriso di femminilità e partecipazione, messo in scena per l'occasione a cavallo della festa delle Donna (l'8 e il 9 marzo) e che si trova a salutare codesta ricorrenza con una felicissima forza di contenuti: molte e varie sono le voci incarnate dalle attrici nel corso dello spettacolo, tra queste alcune delle 21 deputate elette in quell'occasione. Insomma, un appuntamento imperdibile, specialmente per l'8 marzo. Giuliano Armini 7 marzo 2014 LaPlatea.it uscita numero V, numero speciale. Signorette: omaggio alle donne al teatro Quarticciolo di Roma Scritto da Giuliano Armini Signorinette. Le donne si guardino dal lasciar tracce di rossetto sulle schede, con Tiziana Avarista, Carmen Giardina, Anna Maria Loliva, Federica Marchettini; regia di Nuccio Siano L'8 e il 9 marzo nella calda cornice del Teatro Quarticciolo il pubblico ha potuto emozionarsi con una messa in scena dello spettacolo Signorinette, un fresco docu-Teatro che evocando il passaggio storico del referendum del '46 tra monarchia e repubblica apre una riflessione sul riconoscimento del ruolo politico della Donna nell'Italia moderna, passato attraverso gli anni del ventennio, della guerra e della ricostruzione con il lavoro quotidiano di milioni di mogli, sorelle e madri. Senza mai divenire pedante o buonista anzi a tratti velandosi di una felice ironia, lo schema drammaturgico si rivela squisitamente fluente, in un felice matrimonio con la recitazione delle attrici, la cui mimica appare “planare” dolcemente tra i flutti della narrazione. Lo spettacolo, de facto un susseguirsi scorrevole di “flash”, immagini quasi provenienti da una memoria nazionale, storica, non scade mai nel paratatticismo, bensì dimostra una sequenzialità estremamente morbida, tale da rasentare il continuum, il cui fluire riesce però anche a dar luogo, in alcune scene, quasi ad una “sensorialità” , attraverso l'uso di suggestive scelte illuminotecniche. La formula scelta si rivela, così, ottimale: lo spettatore si trova a comunicarsi con una pluralità di immagini e concetti, tutti nell'ambito di questioni nel tema, uscendone arricchito di considerazioni che, a prescindere dal sesso, ne arricchiscono la Coscienza. Giuliano Armini 9 marzo 2014 LaPlatea.it uscita numero V, numero speciale. L'importanza di chiamarsi Ernesto: al teatro Quirino di Roma dal 25 febbraio al 16 marzo Scritto da Enrico Ferdinandi Siamo in grado di comprendere e capire quale sia la verità che sta celata nelle nostre intenzioni, emozioni o gesti? Grazie a 'L'importanza di chiamarsi Ernesto', in programmazione al teatro Quirino di Roma è possibile indagare in tal senso. Un nome, quel nome, quello che ci portiamo dietro dal giorno della nostra nascita e che determina buona parte dell'idea che gli altri hanno di noi, lui è il protagonista dell'opera di Oscar Wilde. Qui la verità è solo quella che viene palesata agli altri, tanto che anche le bugie, paradossalmente, possono finire per combaciare con il reale andamento dei fatti. Jack, interpretato da un grande Geppy Gleijeses, cerca proprio di farci capire questo. Lui, stanco dell'immagine che gli altri hanno della sua persona, inventa un alter ego, Earnest. Grazie a quest'espediente può recarsi a Londra di tanto in tanto per dar libero sfogo a quel lato della sua personalità, forse la più vera, repressa dalla routine della vita di campagna. A Londra Jack è per tutti Earnest. Il suo gioco finisce per complicarsi quando, come spesso accade nella vita, entra in gioco l'amore, quello provato per Miss Gwendolen Fairfax (Valeria Contadino). Gli eventi lo portano a scoprire che anche il cugino della donna che ama, Algernon (Marianella Bargilli) conduce una doppia vita grazie ad un immaginario amico invalido, chiamato Bunbury, che lo salva dalle noiose serate aristocratiche indette da sua zia Lady Bracknell (Lucia Poli). La verità, nell'opera di Wilde, può esser celata con le parole ma sono gli oggetti, spesso più animati della volontà degli stessi personaggi, che ristabiliscono l'equilibrio. Un portasigarette e una borsa gettano luce sui chiaroscuri di un passato colmo di menzogne ed egoismi. Sì. Egoismi. Perfino un nome, quel nome, Earnest diventa oggetto dei giochi di potere personali dei personaggi. Ognuno di essi vuole qualcosa da Earnest: Miss Gwendolen Fairfax e Cecily (protetta di Jack ed interpretata da Giordana Morandini) ci vogliono vedere il fascino dell'uomo dei loro sogni; Jack ed Algernon un motivo per cambiare lo status quo delle loro noiose vite, LaPlatea.it uscita numero V, numero speciale. perfino Lady Bracknell, emblema della cupidigia, cerca in quel nome una buona sistemazione, economica si intende, per sua figlia e per se stessa, non importa chi sia veramente Earnest. Le superficialità dell'aristocrazia inglese di fine '800 vengono così tradite da ciò che non si può controllare con le parole. Alla fine però, e questa è la più grande provocazione di Wilde (che gli attori, tutti, sembrano aver compreso alla perfezione), per i protagonisti non ha importanza quale sia la verità, ciò che conta è che questa sia in grado di appagare i propri obiettivi, di sistemare le proprie ambizioni. Earnest, inaspettatamente, esce dal suo ruolo di alter ego, si incarna sul palco nei panni di un Jack che finisce per concludere la sua ricerca di libertà, sociale e sentimentale, con un battesimo a lungo atteso: quello che lo porterà a diventare l'Earnest che tutti vogliono e che forse anche lui, inconsciamente, ha sempre sognato di essere. Enrico Ferdinandi 9 marzo 2014 LaPlatea.it uscita numero V, numero speciale. Odin Teatret al teatro Eutheca di Roma: Il Castello di Holstebro II Scritto da Fabio Montemurro "In the greenest of our valleys By good angels tenanted, Once a fair and stately palace-Radiant palace--reared its head. In the monarch Thought's dominion-It stood there! Never seraph spread a pinion Over fabric half so fair! [...] And travellers, now, within that valley, Through the red-litten windows see Vast forms, that move fantastically To a discordant melody, While, like a ghastly rapid river, LaPlatea.it uscita numero V, numero speciale. Through the pale door A hideous throng rush out forever And laugh--but smile no more." ( "The Haunted Palace" di E.A.Poe, 1838) Il principio è un naufraggio immobile. Lo spazio scenico minimale: una spiaggia dominata da tonalità cremisi e porpora e un relitto che è una sorta di altare che riecheggia l'âge d'or del Surrealismo. Non si ha il tempo di mettere a fuoco la scena che iniziano a comparire i primi dettagli. Lentamente muove i primi passi una melodia premonitrice, un incessante intrecciarsi di trame di sintetizzatore che ci avvolge e la nostra attenzione viene catturata da qualcosa di materiale che si muove: delle dita che danzano, poi una mano, successivamente una testa che in realtà è un teschio che in realtà è mr. Peanuts e infine tutto il corpo racchiuso in un frac. Il corpo di un gigante che si muove goffamente sulle note di un moderno valzer che non fa in tempo a strapparci un sorriso che già cade a terra si contrae, stringe le mani sull'addome, sembra che voglia tirarsi via lo stomaco e invece no partorisce una gonna rossa fuori e bianca dentro e dal guscio-gonna esce fuori una ragazza che inizia ballare un valzer con la morte in frac e poi depone la morte sull'altare-relitto ed inizia il viaggio un interminabile susseguirsi di naufragi, di personaggi di situazioni. Da questo momento lo spazio scenico diventa attore e l'attore diventa spazio scenico ponendo lo spettatore davanti ad un susseguirsi di fatti, personaggi, luoghi, situazioni e rimandi solo apparentemente slegati tra di loro. Ogni apparizione-dipinto è tratteggiata con parole, delineata da gesti, riempita da descrizioni inusuali, fatta di filastrocche cantate con un preciso ritmo casuale e al contempo non casuale, che è anche il ritmo che pervade l'intera sperimentazione narrativa. Davanti ai nostri occhi compare e prende vita l'Ofelia di John Everett Millais con tutti ai suo presagi di morte seguita da un uomo che bussa alla porta: un principe storpio e deforme con tante domande e nessuna risposta, il suo Amleto, che non lascia il tempo di dirgli che il suo castello si trova a Kronborg perché sulla scena è già naufragato un marinaio con gli stivali che bussa alla finestra di una fanciulla con la quale passa una notte d'estasi amorosa ed è di nuovo la vita... un bambino tra le mani di un traghettatore su una barca ed il bambino cade in acqua e già dopo la Tempesta Ariel già canta a Ferdinando figlio del Re di Napoli che il padre è affondato con la sua nave. Non si fa in tempo a vedere la morte che già nelle parole dello Spirito dell'aria ricompare la vita ma la visione sta già sfuggendo e al suo posto compaiono un gruppo di ragazzi e ragazze che danzano sui prati immersi nella primavera, una primavera che però si vede costretta a lasciare il passo a quella Peste che falcerà tutti nella sua insaziabile fame di morte. Nel Caos, nel disordine più totale dell'Universo l'unica legge che può rimettere ordine seppur in modo provvisorio alle tensioni superficiali e non di tutto, anche dell'animo e quindi dell'esistenza umana, è quella dell'Entropia e le molteplici trasformazioni di questa messinscena ne sono la dimostrazione. LaPlatea.it uscita numero V, numero speciale. “Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma” ci è stato tramandato da Epicuro e infatti la morte si trasforma in vita,l a vita morte, la morte in vita e così via all'infinito in un eterno circolo e così come tutto è iniziato con un valzer tra Vita e Morte così tutto apparentemente finisce. La protagonista stessa, dicotomia di Vita e Morte, afferma con un misto di ironia e rassegnazione: “Se vedono barba e baffi, lo chiamano uomo. Se vedono lunghi capelli e seni, lo chiamano donna. Ma guarda! L'anima che sta dentro di loro,non è né uomo né donna.” La messa in scena di Julia Varley è bel congegnata e nulla è lasciato al caso. L'illuminazione su tre assi (centrale e i due laterali) è concepita dal basso come ad illuminare dei dipinti e a veicolare lo spettatore ad un punto di attenzione centrale su due piani visuali ai due limiti dello spazio d'azione. Lo spazio scenico attraverso i colori e “la quasi assente” scenografia vine a creare un senso di straniamento dello spettatore che si ritrova a cercare dei punti riferimento visuale e di riempimento dello spazio davanti ai suoi occhi a cui appigliarsi. L'uso della musica (come anche di ogni altro minimo dettaglio all'apparenza insignificante) è veicolato alla materializzazione e momentanea esistenza di atmosfere scenografie immagini comparse protagonisti comprimari che ci sono e al contempo non ci sono. I riferimenti artistici, culturali, metateatrali, folkloristici disseminati all'interno dello spettacolo sono infiniti. Si parte da Buñuel e Dalì per passare a Shakespeare e deviare dal Surrealismo cecoslovacco per arrivare a Bergman solo per citare in minima parte ciò che il mio background socioculturale e il mio bagaglio di esperienze mi hanno permesso di leggere tra le righe ed individuare. 50 minuti che volano via senza rendersene conto totalmente presi da ciò che accade sulla scena sperando, alla fine dello spettacolo, che davvero non sia già la fine. Fabio Montemurro 11 marzo 2014 LaPlatea.it uscita numero V, numero speciale. Tra sogno e magia: La Tempesta di Shakespeare secondo Binasco al teatro Vascello di Roma Scritto da Federico Cirillo «Siamo fatti anche noi della materia di cui son fatti i sogni; e nello spazio e nel tempo d'un sogno è racchiusa la nostra breve vita». (Prospero: atto IV, scena I.) L’illusione, la magia, l’incanto e lo scontro-incontro tra stato naturale e Stato di società, il tutto contornato da una contemporanea prorompente ironia che incalza piacevolmente tra due atti, nei quali lo spettatore, vero e proprio mare, dapprima smosso e agitato da vendicative onde e poi placato da un riconciliante sentimento di perdono, si lascia trascinare lievemente nella trama narrativa che fu del maestro Shakespeare e che Valerio Binasco, con la sua compagnia – la Popular Shakespeare Kompany appunto – ripropone in una chiave moderna, nuova e al contempo popolare. La Tempesta, in scena al teatro Vascello fino al 16 marzo, è tutto questo. Un intrico di umanità alle prese con le loro virtù e i loro difetti, disposta a blocchi di due, tre personaggi i quali, sparsi sull’isola, regno del duca tradito Prospero e di sua figlia, l’ingenua e dolce Miranda, vagano LaPlatea.it uscita numero V, numero speciale. chi alla ricerca della salvezza, chi a quella della libertà, chi dell’amore e chi a caccia di ciò che potrebbe soddisfare la propria sete di ambizioni e potere, anche e soprattutto a discapito dell’altro: il tutto sorvegliato, manipolato e orchestrato dal desiderio di vendetta che, a mo’ di spada di Damocle, pende sulla testa dei malcapitati naufragi. Escalation di generi, di vizi e pregi su quell’isola incantata, lì dove si ripropone, quale uno dei temi dominanti della commedia, la sfida aperta tra natura e società: il naturale stato nel quale versano i buoni, ignari e disposti alla più semplice e candida meraviglia sentimenti di Miranda – la figlia bambina di Prospero che, inizialmente chiusa in una sorta di aleggiante incantesimo atto a tenerla lontana dalle nefandezze e dalle alchimie che la mente umana sa compiere, scopre, a piccoli ma decisi passi il mondo reale – quello brutale invece di Calibano, il servo-mostro del sovrano, l’unico vero nativo dell’isola e simbolo al contempo dell’isola stessa, selvaggia, pericolosa e naturale insieme e, infine, l’aspetto magico, reincarnato in Ariel, lo spirito e l’anima dell’atollo sperduto, si interfacciano e si mischiano allo stato sociale dei nuovi arrivati, la corte di Napoli con il suo Re e l’erede al trono – il figlio Ferdinando – dove si intrecciano intrighi di potere, ambizioni, tradimenti e disperazione e il più basso scalino dell’umanità, incarnato dal “buffone” Trinculo e dal cantiniere, sempre ebbro, Stefano, due macchiette della civiltà, ritratte splendidamente da Binasco nel loro incedere dialettale, goffo, burlesco e comico. Demiurgo delle vicende e degli avvenimenti è Prospero, quindi, interpretato magistralmente da Binasco stesso – nel doppio ruolo di regista/attore – il quale pone il suo veto decisionale e il suo controllo sopra qualsiasi cosa, quasi fosse il deus ex machina sia dell’isola che dei personaggi che la popolano; ma neanche la sua potente magia può nulla contro i veri artefici di tutto ciò che accade: i sentimenti che trascinano il duca spodestato a ricercar innanzitutto e con enorme ostinazione la vendetta contro chi gli usurpò il regno, quindi, in una sorta di viaggio catartico nel quale l’acqua, come anche commedia e tragedia greca insegnano, è simbolo di purificazione – dapprima in tempesta e agitata, quindi calma e propizia nel finale – infine, portano il protagonista, colpito dall’amore così puro e spontaneo di Miranda per Ferdinando e preso dai rimorsi di coscienza, a concedere il perdono, coronamento e suggello dell’happy ending. La trama, i valori, i presupposti e i temi shakespeariani vengono qui ripresi, studiati, analizzati e riproposti sotto una luce che li svecchia e li rende contemporanei: mentre ci si attende un Ariel timoroso ma al contempo vivace e audace, eccolo invece tramutarsi in uno spiritello maturo, con la maglia di Superman e i mocassini blu, occhiali spessi, mani ballerine che schioccano incantesimi buffi e un cappello nero tirato sulla testa; non vola anzi, si muove con passi calibrati e lenti ed ogni spostamento, sempre in precario equilibrio costante, è un tutt’uno con la grazia comunque irresistibile che sprigiona e che diverte il pubblico. Quindi la dolce Miranda, donna-bambina ansiosa di conoscere il mondo e quindi incontrollabile sia nelle emozioni che nelle movenze: le sue gambe frenetiche sembrano non seguir le imposizioni ordinatele dal padre che lei dovrebbe rispettare e la sua curiosità desta tenere simpatie; quindi Prospero stesso, reietto duca reso pop e folk anche nell’abbigliamento e negli accessori che lo dipingono (pastrano lungo quasi fino ai piedi, orecchino pendente da pirata, una collana portata sul petto scoperto dalla camicia bianca) e ancora la corte con il Re di Napoli, profughi del Sud, arrivati dalle terre di Tunisi, che fu di Didone, rappresentata come un simpatico e divertente mix di parodiche caricature delle famiglie malavitose; infine plauso a Calibano, Trinculo e Stefano, posti al gradino più imo dell’umana scala, coloro che rappresentano tutti i vizi dell’uomo – la sete di ricchezza che si smarrisce nella sete del vino e dei piaceri – e, anche della natura. LaPlatea.it uscita numero V, numero speciale. Il racconto procede così tra incanti, prodigi, magie, risate, fino al toccante finale dove le fragilità umane, sempre in procinto di disfarsi, si sciolgono nella malinconia di Prospero che accetta, una volta svelati i suoi piani al gruppo di dispersi, ormai riuniti nella scena ultima, di ritornare al mondo reale, in patria, dove gli sarà riconosciuto nuovamente il titolo usurpatogli in passato. A dare il saluto e il tocco magico al the end, non poteva che non essere Ariel, il quale, ormai reso libero dal padrone, dopo anni di servigi, con l’ultimo incanto si accommiata con la sua espressione stralunata e pura, per poi sparire definitivamente. Federico Cirillo 13 marzo 2014 LaPlatea.it uscita numero V, numero speciale. Linapolina: Lina Sastri canta Napoli al teatro Quirino di Roma Scritto da Ferdinandi Enrico «Il mio nome finisce con l’inizio del nome della mia città, il nome della mia città finisce con l’inizio del mio nome, il nome della mia città comincia con la fine del mio nome, il mio nome comincia con la fine del nome della mia città."Linapolina"». Questo il tentativo di Lina Sastri, provare a descrivere lo spirito ed i sentimenti di Napoli, dei napoletani e del suo esser napoletana. Ma parlare di confini per una città come questa vuol dire parlare di un ossimoro, perché i confini di Napoli sono quelli di una 'bella jurnata e sole' che si rispecchia nel mare. I confini di Napoli sono anche le grida dei bambini che giocano per le vie (napule è), gli sguardi degli amanti, la voglia di libertà delle donne che vorrebbero poter camminare sempre a piedi nudi fino a lambire quel lembo di terra che unisce terra e mare... ed è proprio nel e con il mare che Napoli bilancia i suoi equilibri. Quel mare che è sia amore, quindi dolce rifugio, sia vita selvaggia e lavoro, sostentamento. Lo sguardo di Lina Sastri è quello di una Napoletana che ama la sua città. Proprio perché la ama non ha paura di gridare che spesso quella che crediamo di conoscere non è la vera Napoli. Sul palco le canzoni della tradizione napoletana si susseguono e con esse ai nostri occhi compaiono le immagini della città, gli umori e le emozioni di chi canta. 'L'amore è poca cosa se non hai qualcuno con cui condividerlo', ed ancora ' qui la poesia sembra esser nata per bisogno di luce, la musica per mancanza di Dio': questa è la visione bellissima che Lina Sastri ci regala di Napoli e anche della sua persona. Un'interpretazione ruvida, struggente, passionale che mette in luce il lato più femmineo e sensibile di una Napoli che può riconoscere solo che l'ha vissuta e ci ricorda che la vita è bellissima... come il mare! Un plauso ai musicisti, tutti, in grado di creare un'atmosfera unica e surreale, in particolar modo a Gennaro Desiderio (Violino). Enrico Ferdinandi 20 marzo 2014 Informazioni: LaPlatea.it uscita numero V, numero speciale. dal 18 al 30 marzo 2014 Diana Or.i.s Lina Sastri LINAPOLINA Le stanze del cuore spettacolo in prosa musica e danza musicisti Filippo D’Allio - chitarra Gaetano Desiderio - pianoforte Salvatore Minale – percussioni Claudio Romano – 2° Chitarra e mandolino Gennaro Desiderio - violino Gianni Minale - fiati Sasà Piedipalumbo - fisarmonica Giuseppe Timbro - contrabbasso Diego Watze - danzatore idea scenica e disegno luci Bruno Garofalo arrangiamenti Maurizio Pica coreografie Alessandra Panzavolta direzione musicale Ciro Cascino immagini videografiche Claudio Garofalo coordinamento costumi Maria Grazia Nicotra scritto e diretto da Lina Sastri LaPlatea.it uscita numero V, numero speciale. SCALETTA BRANI I TEMPO 1) I’ TE VURRIA VASA’ (Russo-Di Capua) 2) ERA DE MAGGIO (Di Giacomo) 3) CORE ‘NGRATO (Cardillo-Cordiferro) 4) TORNA MAGGIO (Russo) 5) REGINELLA (Bovio-Lama) 6) MARIA MARI! (Di Capua-Russo) 7) CANZONE APPASSIUNATA (E.A. Mario) 8) ’O SURDATO NNAMMURATO (Califano-Cannio) 9) SCI', SCI' PIAZZA DEI MARTIRI (Fiorelli-Rendine) 10) MANHA DO CARNAVAL (L. Bonfá) 11) NAPULETANATA (Di Giacomo) 12) PASSIONE (Bovio, Tagliaferri, Valenti) 13) GUAPPARIA (Bovio) 14) RENUNCIA (Ruben Rios) 15) BAMMENELLA (Viviani) 16) NUN ME SCETA’ (Murolo, Taglieferri) II TEMPO 17) TANGO GRECO (McKennitt) 18) TUTTA PE' MME (Fiore, Lama) 19) 'O SOLE MIO (Capurro-Di Capua) 20) TARANTELLA GARGANO (anonimo) 21) NASCETTE MMIEZ 'O MARE (De Simone) 22) GUARRACINO (anonimo) 23) MARUZZELLA (Carosone, Bonagura) 24) TAMMURRIATA NERA (E.A. Mario, Nicolardi) 25) TARANTA (anonimo) LaPlatea.it uscita numero V, numero speciale. 26) COMME E’ BELLO ‘O MARE (S. Ferraiuolo) 27) TORNA A SURRIENTO (E. De Curtis, G. De Curtis) 28) A VITA E’ COMME ‘O MARE (C. Faiello) 29)MUSICA ROM – FINALE Intestame', un lampo di vita di Carlo Ragone al Teatro Eutheca di Roma Scritto da Enrico Ferdinandi Le movenze di Totò, le cadenze di Massimo Troisi e la magia di Eduardo de Filippo in un unico attore, Carlo Ragone, che porta in scena al teatro Eutheca di Roma, all'interno dell'evento Festival di Narrazione, lo spettacolo “Intestamé”. Intestamè, un testamento che sta in testa a me, anzi in testa a Matteo. Un espediente che gli permette di rivivere la vita vissuta attraverso gli oggetti che hanno segnato la sua esistenza. Un giornale, 'Life', lasciato al cognato, una forbice al fratello, una macchina ad uno zio... ma l'eredità più grande è quella che Matteo lascia al figlio Fernando: «Spero tu possa vivere quello che io non ho vissuto». In questo modo Matteo regala al figlio l'eredità più grande: i ricordi di una vita ricca di emozioni e dolori, sempre vissuti con leggerezza e col sorriso, ma nessun legame materiale, quindi la possibilità di vivere ciò che il fato, la volontà o semplicemente il caso, non gli hanno permesso di vivere. Sul palco Carlo Ragone non è da solo, con la sua bravura riesce a far immergere la platea nei frammenti di vita di Matteo. Lì c'è tanto da imparare, da ridere e da riflettere. Dai dolori dell'infanzia vissuta nella Napoli immersa nella guerra, la seconda guerra mondiale, all'accettazione sociale, il sogno americano, la voglia di lavorare per essere indipendente, l'amore. Tutto è legato dallo stesso, invisibile ma papabile, filo conduttore: Quell'irrefrenabile voglia di vivere, farfalle nello stomaco, che è in grado di provare (nel pieno spirito napoletano) solo chi è consapevole che il semplice vivere è il dono più grande. Come dice Matteo a Fernando «la vita è un lampo, scorre via che nemmeno te ne accorgi». Il messaggio più grande che viene trasmesso è un invito, l'invito a vivere la vita con slancio, col sorriso, che tanto anche se la vivi piangendo passa lo stesso in un lampo. LaPlatea.it uscita numero V, numero speciale. A completare la mise en scène un ben assortito trio di musicisti (guidati da un grande Stefano Fresi) che rendono lo spettacolo veramente unico, tanto che alla fine viene naturale pensare di aver assistito e vissuto due ore di perfetta armonia e sentimenti. Enrico Ferdinandi 24 marzo 2014 Informazioni: Teatro Eutheca (Roma via Quinto Publicio, 90) 22 e 23 MARZO 2014 Sabato e Domenica ore 21.00 INTESTAME' di Carlo Ragone e Loredana Scaramella Regia Loredana SCARAMELLA Con Carlo RAGONE Musiche di Stefano FRESI Musica dal vivo Stefano FRESI LaPlatea.it uscita numero V, numero speciale. Teatro Ambra Jovinelli: Lillo e Greg non si fermano più! Scritto da Federico Cirillo Dopo lo straordinario successo del giallo a tinte decisamente parodiche de “Il mistero dell’assassino misterioso” il duo comico, ormai da anni consolidatosi grazie alle vincenti performance sia in televisione che al cinema oltre che in radio - con il consueto appuntamento di 610 (“sei uno zero”) su Radio2 – torna prepotentemente a cavalcare e a divorare le scene teatrali dell’Ambra Jovinelli con il nuovo e coinvolgente “Occhio a quei due”. Per la regia di Pino Quartullo e con l’ormai consueta e piacevole partecipazione in scena di Vania Della Bidia e Danilo De Santis, Pasquale Petrolo eClaudio Gregori (Lillo&Greg appunto) danno vita ad uno spettacolo d’intelligente e arguta comicità che, come una sorta di diesel, parte sornione, quasi in prima marcia, per poi, con il susseguirsi di sketch e scenette, innescare la quinta e portare il pubblico, risata dopo risata, verso un atterraggio musicale che lascia spazio agli applausi, degno e giusto finale per la divertente rappresentazione. Mix di varie gag separate e a sé stanti – alcune delle quali rivisitate e riprese da precedenti performances, ma che comunque, grazie alla capacità dialettica, mimica ed interpretativa dei due, regalano sempre numerevoli risate – unite dal filo conduttore ben tracciato da Danilo De Santis, il quale, travestito da professore ed esperto di sociologie e psicologia e alle prese con un convegno sui vizi e difetti dell'animo umano (come la venalità, l'insicurezza, l'egoismo, la meschinità, il piacere e l’apparire), da il la a numerose situazioni che oscillano tra il comico e il grottesco, tutte ben calate nel tipico non-sense, negli equivoci verbali e nel sarcasmo, marchi di fabbrica, oltre che linfa vitale, della coppia comica: entrando sempre di più nel cuore della stravagante e simpatica lezione-convegno, il Prof. Assianoris (Danilo De Santis, appunto) illustra come ci riduca la chimera di un favore sessuale femminile o quanto ci imbarazzi mettere a nudo un sentimento normalissimo come la paura; oppure come si menta spudoratamente pur di arrivare ad una meta stabilita o ancora quanto la smania di apparir sempre i primi della classe ci faccia impantanare in enormi gaffe. Un vero e proprio montaggio di sketch esilaranti che si staglia nella sofisticata scenografia resa originale e dinamica grazie al palco rotante, atto a ricalcare il flusso temporale e spaziale proprio del climax cinematografico ed è impreziosito dall’ottimamente calibrato mosaico di luci che fa da cornice alle umoristiche trovate dei due mattatori, abili a strappare una risata anche in un evidente momento di empasse tecnico, dovuto probabilmente a qualche imprevisto dietro le quinte che, grazie all’abilità dei comici, non ha comunque pesato sulla resa dello spettacolo. Tocchi di surreale parodia, umorismo intelligente, battute al di fuori dell’ovvietà e quasi mai retoriche: questo la ben riuscita miscela che Lillo e Greg, confermando una fortunata e vincente tradizione, portano in scena all’Ambra Jovinelli fino al 30 Marzo. Federico Cirillo 25 marzo 2014 LaPlatea.it uscita numero V, numero speciale. LaPlatea.it uscita numero V, numero speciale. L'esperienza metalinguistica del Cyrano sulla Luna, al teatro Vascello di Roma Scritto da Fabio Montemurro LUx NAture (Cesare Della Riviera,Il Mondo magico de gli heroi,Milano,1605) Natur die spricht : << Mir nach!>> (Anonimo della Scuola di Paracelso,Berglied o Canto della Montagna,fine XIV inizio XV secolo) Chi è davvero Cyrano? Toglietevi dalla testa lo scontroso spadaccino nasuto dall'irresistibile vitalità, conosciuto per la sua abilità con la spada e con la lingua con la quale ama mettere in ridicolo i suoi nemici (sempre più numerosi grazie al suo carattere poco incline al compromesso e al suo disprezzo verso chi è prepotente e/o crede di essere un potente) e per l'amore impossibile per la cugina Rossana portato alla ribalta da Edmond Rostand. Cyrano è anche questo, ma non solo. Cyrano è una pietra preziosa dalle infinite sfaccettature, uno di quei gioielli tagliati con grande maestria dal Tempo che ha finito per celare nel suo infinito lavoro di rifinitura la purezza della materia grezza originaria. LaPlatea.it uscita numero V, numero speciale. Hercule Savinien de Cyrano de Bergerac nasce a Parigi nel 1619, figlio di un avvocato del Parlamento degno rappresentante della piccola nobiltà francese. Da adolescente si appassiona a More, Campanella a Luciano da Samosata e all'idea di civiltà simili alla nostra su pianeti simili alla Terra ma dopo un paio d'anni trascorsi da bohémien, a 20 anni, conseguito il diploma in materie umanistiche, forse volontario o chissà cadetto lo ritroviamo nella Compagnia delle Guardie di Carbon de Casteljaloux. A questo punto le notizie sulle sue prodezze militari si fanno incerte, di certo c'è solo che sarà ferito gravemente a Mouzon ma dopo neanche un anno lo ritroviamo nell'assedio di Arras punto cruciale della sua vita poiché disgustato dal solo combattimento “esteriore” deciderà di riprendere gli studi filosofici e di impugnare come unica arma la penna. Cyrano riprenderà tra le mani il trasognato progetto adolescenziale e lo concretizzerà decidendo a questo punto di andare sulla Luna... dopo un primo tentativo fallito con relativo atterraggio di fortuna in Canada al secondo ben congegnato tentativo (con un prototipo di razzo degno delle prime strip di Buck Rogers e Flash Gordon) ci riuscirà e vi troverà un mondo che pur essendo il rovescio della Terra ha comunque tante e più contraddizioni della Terra stessa. Il resoconto di questo suo primo viaggio gli porterà non poche critiche, da chi leggerà tra le righe accuse, ai rappresentanti di precise classi sociali. Ma Cyrano nonostante tutto non si arrende e intraprende un secondo viaggio, questa volta sul Sole. La pubblicazione del resoconto farà sì che un attentato, per mano molto probabilmente Gesuita, gli farà perdere la vita il 28 luglio 1655. C'è da dire che col senno di poi la commedia eroica di Rostand involontariamente non ha fatto altro che adombrare ulteriormente la figura del Cyrano filosofo alchimista poeta scrittore concentrando l'attenzione sul suo “ormai” famosissimo naso. La critica letteraria invece, come già successo anche con “I viaggi di Gulliver” di Swift ed altre opere affini, ha ingabbiato la sua opera nella categoria “Viaggi fantastici” rendendogli un servizio non certo migliore di quello di Rostand, infatti viste da un punto di vista più obiettivo si tratta di vere e proprie opere dove a concetti filosofici e simbolismi alchemici si alternano vere e proprie critiche alla società a lui contemporanea (proprio in Francia nel 2004 viene istituito il Premio Cyrano un riconoscimento della fantascienza che nella prima edizione è stato assegnato non a caso a Robert Sheckley). Cyrano sulla luna si svolge all'interno di quattro dimensioni ben delineate e delimitate all'interno delle quali l'interprete guida il pubblico in un viaggio fatto di letterario e reale, visivo ed immaginato infrangendo e ridelimitando i confini a suo piacimento: 1) La dimensione reale ossia lo spazio teatrale all'interno del quale si svolge l'azione scenica. 2) La storia di Hercule Savinien de Cyrano de Bergerac; ossia la storia del personaggio storico poco noto scrittore filosofo ermetista drammaturgo e soldato francese del 1600 autore degli "Stati e imperi della Luna" (seguito dopo un po' di tempo da "Stati e imperi del Sole" poi scomparso e successivamente ricomparso). 3) La storia di Cyrano de Bergerac personaggi letterario e tutto ciò che vi ruota intorno, ossia Edmond Rostand LaPlatea.it uscita numero V, numero speciale. e la sera della prima messa in scena il 28 dicembra 1897 al Théâtre de la Porte-Sain-Martin di Parigi. 4) Il Don Chisciotte di Miguel de Cervantes. L'uso dell'illuminazione finalizzata a rendere le atmosfere degli stati d'animo ci è piaciuta sopratutto nel momento della dichiarazione a Rossana, le ombre nette della scena in contrasto ai toni arancioni e languidi di tutto il resto rendono a pieno la premonizione di sconfitta di Cyrano e l'illusa felicità di Rossana. Il discorso metalinguistico attuato con l'entrata in scena di Don Chisciotte e Sancho Panza destabilizza sicuramente quella parte del pubblico che non afferra subito il nesso logico del gioco di paragoni. La scenografia essenziale è composta da un punto centrale dove su una doppia panca di legno sono sparsi diversi volumi e due punti focali laterali, a sinistra spettatore un manichino con un posticcio naso prominente (Cyrano) e a destra uno sgabello con leggio; sullo sfondo uno schermo su cui verranno proiettate a seconda del momento della narrazione/viaggio lo Spazio esterno, la Luna che si muove intorno alla Terra, estratti dal “Viaggio nella Luna” (Le voyage dans la Lune) di Georges Méliès del 1902, Don Quixote di Orson Welles (travagliatissimo lavoro del maestro le cui riprese sono andate avanti per più di 20 anni ed interrotte dalla morte dello stesso,montato postumo nel 1992 dal regista madrileno Jesús Franco suo operatore di macchina durante le prime riprese) e infine una scala di corda sospesa tra la Luna...e il pubblico. Fabio Montemurro 26 marzo 2014 LaPlatea.it uscita numero V, numero speciale. L’Innaffiatore del cervello di Passannante al teatro Eutheca di Roma Scritto da Federico Cirillo «Colla berretta d'un cuoco, faremo una bandiera» Napoli, 1878: Giovanni Passannante, cuoco lucano di umili origini, ultimogenito di dieci fratelli, con un coltello dalla lama di 12 centimetri, assale la carrozza reale che trasportava, per le vie del capoluogo campano, il nuovo Re d’Italia – incoronato a Gennaio dello stesso anno – Umberto I, la moglie Margherita, il figlio e futuro Re Vittorio Emanuele III e l’allora Presidente del Consiglio Benedetto Cairoli, con l’obiettivo, mosso da ideali anarchici e sentimenti antimonarchici, in nome di una maggior uguaglianza sociale, di attentare all’incolumità del sovrano. L’attentato, il primo di una lunga serie ai danni del Re – che troverà la morte 22 anni dopo per mano dell’anarchico Bresci a Monza – è il prologo di un’infinita agonia alla quale il trentenne di Salvia – che per decreto regio cambiò nome in Savoia di Lucania, attuale toponimo del comune – è sottoposto: arrestato e torturato, condannato alla pena di morte, commutata poi in ergastolo presso la Torre della Linguella – oggi anche detta Torre di Passannante, appunto – sull’Isola d’Elba. Da qui il calvario: dieci anni di completo isolamento, agganciato ad una corta catena di 18 chili e costretto a vivere in uno spazio angusto e insalubre, sotto il livello del mare, stato che influisce in maniera determinante sulla sua salute sia fisica che psichica; Passannante, malato e affetto ormai da un’acuta malattia mentale, viene quindi trasferito nel manicomio criminale di Montelupo Fiorentino nel 1889, dove troverà la morte, cieco e sessantenne. Dopo la morte il cadavere, in ossequio alle teorie dell'antropologia criminale dell'epoca, miranti ad individuare supposte cause fisiche alla "devianza", fu sottoposto ad autopsia, decapitato, privato del cervello e del cranio i quali, immersi in una soluzione di cloruro e zinco, furono preservati nel manicomio di Montelupo Fiorentino per poi, nel 1936, essere trasferiti, assieme ai suoi blocchi di appunti, presso il Museo Criminologico di Roma, ove il cervello, immerso in formalina, venne conservato in una teca di vetro sigillato sino al 2007, quando finalmente furono tumulati nel paese natio. La terribile vicenda è stata, per anni, lo spunto per la battaglia civica dell’attore impegnato Ulderico Pesce, il quale, con il suo “L’innaffiatore del cervello di Passannante”, in scena per due serate consecutive, il 29 e il 30 Marzo, presso il Teatro Eutheca di Roma, con una storia dai toni delicati, semplici e dalla narrazione insolita (Pesce indossa qui i panni di un ignaro e simpatico carabiniere lucano, di Salvia appunto, che si ritrova a dover far da guardiano e custode al cervello di Passannante con il compito di “innaffiarlo” con la formalina, ogniqualvolta questa stia per evaporare), racconta la vita dell’anarchico: una storia nella storia, in quanto il racconto ci viene illustrato attraverso dei cartigli che lo svampito carabiniere/custode, trova accanto alla bacheca, dimenticati da una giovane attrice di teatro, Lucia, della quale egli si era innamorato durante una sua fugace visita presso il Museo Criminologico, la sera di Natale. LaPlatea.it uscita numero V, numero speciale. Un eccelso esempio di teatro civico, quello portato avanti da Ulderico Pesce in questi ultimi anni, che si sposa perfettamente con il suo impegno profuso già dagli anni ’90, di tumulare i resti di Passannante nel suo luogo di origine; impegno che ha avuto il suo apice nel 1999, quando diede vita a una raccolta di firme per la causa: all'iniziativa aderirono numerosi personaggi dello spettacolo e della letteratura tra cui Francesco Guccini, Dario Fo, Marco Travaglio, Antonello Venditti, Oliviero Diliberto, Paola Turci, Carmen Consoli, Peter Gomez, Erri De Luca e Giorgio Tirabassi, con il risultato della definitiva sepoltura nel 2007. Unico nella sua essenzialità, sia scenografica che narrativa, il singolo atto si compone piacevolmente nel racconto di un dramma attraverso lo stupore, la semplicità, l’ironia e il dialetto di un uomo qualunque il quale, ritrovatosi da un giorno all’altro a vestire i panni di carabiniere/custode/innaffiatore, non nasconde affatto i suoi sentimenti e le sue vive e vere emozioni nei confronti di Passannante e della sua tragedia, che già fecero da spunto, subito dopo l’arresto, ad un componimento del poeta Pascoli. Federico Cirillo 30 marzo 2014 LaPlatea.it uscita numero V, numero speciale. Recensione de Il re muore, di E. Ionesco, dalla Compagnia Stabile Spazio 47 Scritto da Giuliano Armini Negli scorsi giorni -dal 25 al 30 marzo- la Sala Orfeo del Teatro dell'Orologio (Roma) ha ospitato la recita de Il re muore, celebre opera di Teatro dell'Assurdo di Eugène Ionesco (1962); codesta “novella” intimamente metafisica, itinere di passaggi attorno a un fenomeno, appunto, la “morte del re”, si rivela metafora, d'una fine o d'un passaggio, pur comunque veicolata da questa figura regale che diverrà centrale anche per il pubblico, il quale, magia del teatro, condividerà il rispetto della sua giurisdizione e quindi il pathos che intride la corte in quel momento nefasto quanto ormai atteso. Re Bérenger, suo malgrado, è consumato da una malattia: il vero istrione è forse proprio questa “erosione”, al tempo stesso del re e del suo regno, di cui la corte che ne rimane è ormai di fatto una versione grottesca -un residuo?- anche già solo d'una minimamente opportuna formalità; e difatti attorno al re esistono ancora ormai solo poche presenze: due mogli, un dottore, una serva e una guardia. Talune che cercano di far prendere coscienza al re della verità ch'egli s'ostina a fuggire: la sua morte è ormai prossima; tal altre che paiono seguirlo nel suo cieco rifiuto della verità dei fatti, nei suoi guizzi d'orgoglio e ostinazione giungendo poi inevitabilmente allo stridere di queste due anime con passaggi non scevri di esiti ironici. L'occasione di questo spettacolo ci offre lo spunto per accendere i riflettori altresì sull'attività di questa realtà teatrale, appunto la compagnia e il teatro Spazio 47, a cui si riconosce, fin già nelle scelte drammaturgiche, l'intrigante slancio verso autorialità interessantissime, nonché la qualità del loro lavoro. Nata qualche anno fa in Aprilia, operazioni come Spazio 47 sono di quelle che ci fanno gioire: un'associazione culturale, recupera uno spazio in disuso, riformulandolo nella soluzione di un crogiolo di attività e spettacoli, nonché sviluppando una sua compagnia teatrale, un'attività costumistica e una produzione scenografica. Giuliano Armini 1 aprile 2014 LaPlatea.it uscita numero V, numero speciale. LaPlatea.it uscita numero V, numero speciale. La magia di Costellazioni al teatro Vascello di Roma Scritto da Fabio Montemurro "Ero rimasto così,fermo ai primi passi di tante vie,con lo spirito pieno di mondi,o di sassolini,che fa lo stesso." (Uno,nessuno e centomila,Luigi Pirandello,1926) Posta Marianna sull'asse "y" e Orlando sull'asse "x" all'interno di uno spazio "z" .... No, non è matematica ne fisica o forse un po' sì fisica quantistica e neanche fantascienza anche se per certi versi qualcosa di un certo tipo di fantascienza la ricorda il fatto è che potrebbe essere di più una partita a dadi, certo due dadi particolari dato che infinite combinazioni presuppongono un numero infinito di facce. Costellazioni parte da un invisibile filo conduttore lineare, l'incontro di Marianna, che lavora all'Università nell'ambito della cosmologia quantistica e Orlando che nella vita invece fa l'apicoltore. Per l'epoca in cui viviamo potremmo dirci di trovarci davanti a due tipi particolari, ma anche se fosse non è questo che interessa all'autore. Infatti quello che viene messo in scena sono le infinite variabili di sviluppo ed evoluzione del loro incontro. Teoricamente è proprio Marianna a spiegare ad Orlando in uno delle possibili variazioni sul tema di un momento del loro incontro cosa accade parlando di multiverso, scelte,futuri possibili e dadi. La scena sostanzialmente non esiste infatti nel non spazio scenico vengono messe in scena o più precisamente si susseguono in disordine e discontinuità apparente le possibili variabili e sviluppi dei momenti cruciali della relazione di Marianna e Orlando. Nel multiverso in cui si muovono M ed O (che è il nostro stesso multiverso) il passaggio dimensionale e veicolato da veri e propri black out di movimenti emozioni colori luci,come se la vita dei due protagonisti e tutto ciò che c'è o non c'è intorno venisse letteralmente abbandonata perchè l'autore dato uno sguardo al risvolto della storia in una dimensione già stanco o forse più per curiosità,l'abbandona per inserirsi in un altra e vedere come andrebbe a finire se invece... Lontanamente il gioco psicologico ci fa pensare a Stanislaw Lem e al suo Solaris,discorso che ritorna anche LaPlatea.it uscita numero V, numero speciale. dal punto di vista dell'illuminazione. Un illuminazione disturbante che ricorda molto la fotografia di Vadim Jusov,un disegno luci giocato sugli ossimori visivo-emotivi,tonalità fredde nei momenti di distensione e tonalità calde nei momenti di tensione. Gli accostamenti paradossali di possibilità nel contempo discordanti sono di primo impatto simpatiche e divertenti ma alla fine dello spettacolo si iniziano a mettere insieme i pezzi del mosaico e inevitabilmente ci si accorge di come ogni istante del nostro tempo è condizionato inevitabilmente dai più piccoli dettagli e dalle più intangibili sfumature : una parola invece che un altra,un passo in meno,una pausa in più,un luogo piùttosto che un altro,um messaggio non inviato,una vecchia conoscenza o una nuova conoscenza...tutte variabili indipendenti che condizionano senza sosta la nostra esistenza ponendo un serio punto di osservazione su quale peso ha davvero il "caso" e quanto poco sia il diciamo "libero arbitrio". ...e alla fine nelle infinite notti degli infiniti cieli delle infinite dimensioni del multiverso sono infinite le lune ed infinite le costellazioni. Fabio Montemurro 2 aprile 2014 LaPlatea.it uscita numero V, numero speciale. Due passi sono, di Giuseppe Carullo e Cristiana Minasi, al teatro Vascello di Roma Scritto da Giuliano Armini Se fosse possibile tradurre in drammaturgia l'intima finezza de Le bolle di sapone, di Chardin, o della commovente perfezione “calligrafica” della miniatura medievale, lo spettacolo Due passi sonosarebbe sicuramente tra le possibili metamorfosi. Ivi si svolge il compiersi quasi maieutico di uno spazio intriso di onirica surrealtà, ove un ambiente domestico apparentemente convenzionale si rivela diffuso di strane presenze immateriali: una bottiglia di plastica smisuratamente lunga, un fiore con tanto di stelo grande e colorato quanto fatto all'uncinetto, di cui però non disorienta il suo ruolo di pianta decorativa, perché perfettamente parte di questo luogo di innocente fantasia; e proprio il fascino infantile del microcosmo d'un carillon “tintinnante” nel suo meccanico svolgersi appare evocato in alcuni passaggi, quasi transizioni da una fase ad un'altra della struttura drammaturgica. Quello che appare uno statico presente si rivelerà infatti tutt'altro che immutabile, giungendo infine allo scardinamento di questa realtà asfissiante in cui vivono i due personaggi, Pe e Cri, i quali inquilini di un mondo avvinghiato da fobie, ansie e ipocondrie, ma comunque intriso di affetto, empatia e sensibilità, giungeranno proprio tramite queste e quelle diversità caratteriali, che nel loro stridere saranno crogiolo di simpatiche gag, a trovare la chiave della risoluzione dei loro “vincoli” e così al compimento completo del loro amore. Vicendevolmente colmando le debolezze dell'altro affronteranno l'esterno, con un incantevole finale che non sveliamo, ma di cui non possiamo tacere sulla portata metaforica di un sé auspicato e raggiunto proprio ragionando su quelle caratteristiche che infine, rilette da un diverso punto di vista, diverranno spendibili come punti di forza, ed espressa scenicamente con un'immagine estremamente poetica. Giuliano Armini 4 aprile 2014 LaPlatea.it uscita numero V, numero speciale. Informazioni Due passi sono scene e costumi: Cinzia Muscolino disegno luci: Roberto Bonaventura aiuto regia: Roberto Bitto Teatro Vascello fino al 13 aprile 2014 dal giovedì al sabato alle 21.30; la domenica alle 18.30 Via Giacinto Carini, 78 (Roma) LaPlatea.it uscita numero V, numero speciale. Nemico del popolo di Ibsen al Teatro Sala Umberto Scritto da Enrico Ferdinandi Corruzione, ignoranza, egoismo e menefreghismo del popolo nei confronti del bene comune. Questi sono i valori, negativi, che emergono dall'eccellente riadattamento italiano della pièce teatrale 'Nemico del popolo' del drammaturgo norvegese Henrik Ibsen. Come sempre le opere di Ibsen rimangono attuali in quanto i temi trattati mettono in mostra quei vizi e quelle virtù dell'animo umano che, a dispetto del tempo, sembrano rimanere immutati. Possono cambiare modi, obiettivi e protagonisti ma le finalità rimangono sempre le stesse e sono quelle derivanti dall'eterno scontro fra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato; o almeno fra ciò che taluno crede giusto e ciò che talaltro crede sbagliato. Nemico del popolo è per questo motivo decisamente attuale. Anni 70', il dottore Tommaso Storchi (interpretato da un appassionato Gianmarco Tognazzi), direttore sanitario di un piccolo paese in grande espansione grazie all'attività termale da lui stesso fortemente voluta, scopre che le falde acquifere sono inquinate. Una scoperta che può compromettere un intero sistema. Bloccare l'attività delle terme vuol dire infatti bloccare l'economia ed il futuro di un'intera città. Punto di vista che non viene subito colto dal dottor Storchi, mosso da ideali sani e volti ad assicurare il bene comune, ma recepiti in maniera immediata dalla sua nemesi, il fratello Pietro, sindaco e presidente del consorzio delle terme. Fra i due nasce una lotta, quella della messa in piazza della vera verità. Ma, come spesso accade nelle società, quella che arriva al popolo è la verità che fa più comodo alla maggioranza, pazienza se poi quelle acque sporche portino malattie e virus. Ago della bilancia di questa lotta per il bene comune sono il direttore del giornale locale ed il tipografo, presidente dell'associazione dei piccoli imprenditori. Ignavi, questi ultimi che seguiranno la bandiera più favorevole al vento delle loro necessità. Alla fine a pochi cittadini interesserà la verità sulla salute delle acque termali. È più importante che vengano preservati i beni materiali, che la città continui a crescere e le casse, comuni e private, ad arricchirsi. Vicino a Tommaso per combattere la battaglia per ciò che è giusto rimangono solo sua moglie, la figlia ed il LaPlatea.it uscita numero V, numero speciale. capitano di lungo corso Horster. Quest'ultimo (egregia l'interpretazione di Franz Cantalupo) uomo di mare abituato ad affrontare ben più temibili avversari, non avrà paura di spalleggiare il dottore... ma alla fine tutti e quattro si ritroveranno vittime del sistema, un sistema meschino e figlio della forza della volontà di quella massa che, vuoi per ignoranza, vuoi per pigrizia, preferisce scegliere un male minore in grado di lasciar immutato lo status quo a discapito del benessere futuro. Un meccanismo che porterà il dottor Storchi a diventare, paradossalmente, un nemico del popolo. In una mite notte di primavera il Sole entra al teatro Sala Umberto di Roma come per ricordare che basta avere sani ideali da perseguire per esser felici ed in pace con sé stessi e gli altri: il Sole, quel Sole, è già di per sé uno dei regali più belli che la vita ci ha donato. Ed anche se dovesse tramontare resta il mare che, metafora del nostro vivere, con le sue tempeste e le sue meraviglie ci fa sognare con la semplicità di un pensiero: quello che proietta il nostro sguardo verso l'immagine del futuro che ci aspetta oltre l'orizzonte. Enrico Ferdinandi 10 aprile 2014 Informazioni di H. Ibsen adattamento di Edoardo Erba con FRANZ CANTALUPO ALESSANDRO CREMONA STELLA EGITTO SIMONETTA GRAZIANO RENATO MARCHETTI ANTONIO MILO con la partecipazione di LOMBARDO FORNARA scene Andrea Taddei costumi Andrea Serafino musiche Paolo Coletta disegno luci Anna Maria Baldini direzione tecnica Vincenzo Sorbera LaPlatea.it uscita numero V, numero speciale. produzione esecutiva Monica Cannistraro organizzazione Goffredo Maria Bruno foto di scena Gabriele Gelsi scenotecnica All'Opera Societa' Cooperativa sarta Floriana Villani parrucche Rocchetti & Rocchetti srl trasporti Di Martino Service ufficio stampa Silvia Signorelli cpncept grafico Livia Clementi grafica Photogramma distribuzione Chi e' di scena Service regia ARMANDO PUGLIESE Dal 8 al 21 aprile 2014 Teatro Sala Umberto Via della Mercede, 50 00187 Roma LaPlatea.it uscita numero V, numero speciale. Racconti Incivili al teatro Eutheca di Roma Scritto da Fabio Montemurro "Marco Polo descrive un ponte, pietra per pietra. • Ma qual è la pietra che sostiene il ponte? - chiede Kiblai Kan • Il ponte non è sostenuto da questa o quella pietra, - risponde Marco, - ma dalla linea dell'arco che esse formano. Kublai Kan rimane silenzioso, riflettendo. Poi soggiunge: - Perchè mi parli delle pietre? È solo dell'arco che m'importa. Polo risponde: - Senza pietre non c'è arco." (Le città invisibili, Italo Calvino, 1972) Del grande mosaico di Racconti Incivili abbiamo potuto vedere,non per mancanza di disponibilità dell'organizzazione e tutto ma per nostra mancanza di tempo,solo le ultime tre tessere animarsi davanti ai nostri occhi e farci rimpiangere di non aver trovato il tempo di assistere all'intera rassegna che ha animato tra grottesco comico e ironia il teatro Eutheca facendo nascere nelle menti degli spettatori non poche riflessioni. Il palcoscenico spoglio,la scenografia al limite dell'essenziale una sedia un palo delle indicazioni stradali due musicisti commentatori in ombra di ciò che accade sul palco e i binari di un treno con un trenino. Ma così pochi elementi scenici possono davvero fare da scenografia e cornice a tre storie LaPlatea.it uscita numero V, numero speciale. diverse senza per questo renderle niose e ridondanti? Sì,possono e come,se i tre singoli interpreti (Sandra,Danilo e Flavio) non si limitano ad usare solo le parole per descrivere visualizzare raccontare,ma vanno oltre,narrando le loro storie materializzando dal nulla personaggi luoghi,personaggi e fatti con gesti movimenti del corpo ed espressioni facciali caratterizzazioni che rendono tangibile un mondo tanto visibile quanto invisibile ai nostri occhi anestetizzati dalla televisione dalla pubblicità dall'insistente finzione di ogni giorno e quindi disabituati alle brutture della vita. Tutto è iniziato con 'Soltanto Parole – Ero(T) ica' il resoconto di una donna non più giovane che dopo aver scoperto che il marito la tradisce con una ragazzina sentendosi ormai destinata al viale del tramonto,sola e senza amiche,risponde all'annuncio di lavoro di Linea amica e una volta contattata decide di partire dalla provincia per Roma dove al telefono dovrà affrontare una realtà molto ma molto più grande di lei. E' seguito poi 'L'ultimo numero del domatore di colori' la storia di un incontro a Parigi di un giovane giornalsta e di un clown depresso perchè il suo saper domare i colori l'ha portato fuori dall'ombra e la clebrità con tutti i problemi che porta l'ha convinto a rilasciare un ultima intervista prima di suicidarsi pirandellianamente. Infine 'Occhi in polvere' storia di un bambibìno africano (uno dei tanti milioni ogni anno) che viene letteralmente strappato alla tranquilla vita del villaggio e portato a lavorare nei nell'Inferno dei campi di cacao. Lo spettacolo scorre via fluido e veloce trovando il tempo anche per i CCCP con un trenino che passa arrancando sui binari e spesso deragliando,un po' come la vita delle ombre protagoniste delle storie che per un breve istante vengono messe in luce e nelle quali chi in un punto chi in un altro troviamo tutti un barlume di contatto reale con un istante imprecisato della nostra vita dove forse c'è proprio capitato di scorgere una di queste ombre o dove forse proprio noi eravamo una delle tante ombre e ci viene anche da pensare che forse lo siamo ancora nonostante vogliamo illuderci di essere l'opposto...e alla fine la rabbia e la sfida di "Buona cioccolata a tutti!!!" renderà un cioccolatino più amaro e pungente di un chicchiaio di sale. Fabio Montemurro 12 aprile 2014 LaPlatea.it uscita numero V, numero speciale. L'Ildegarda di Bingen secondo Cristina Borgogni e Paolo Lorimer Scritto da Giuliano Armini produzione: TSI La fabbrica dell'attore assistente alla regia: Luca Signore disegno luci: Valerio Geroldi musiche: a cura di Dario Arcidiacono costumi: Avdul Caya e Inna Danila Ildegarda. La sibilla renana è una squisita rappresentazione teatrale di e con Cristina Borgogni; affiancata da Paolo Lorimer, la coppia da luogo ad un'interessantissima ed emozionante recita su questa Santa in cui si può riconoscere un faro di emancipazione culturale: scienziata, musicista e innanzitutto donna straordinaria, fu monaca e badessa benedettina del XII secolo. “Sibilla” di visioni divine vissute “in stato di coscienza”, Ildegarda fu certo un personaggio dal Pensiero “illuminato” e illuminante, a cui questo spettacolo cerca di dare epifania, riconsegnandolo nella sua essenza. La realtà scenica, definita da pochi elementi (un leggio, una sedia e poco altro) trova poi negli spazi del Teatro Due un interessante connubio: la sala che era parte del corpo edilizio della Basilica di Sant'Andrea delle Fratte, conserva l'impronta della struttura ecclesiastica in un affresco sulla platea nonché nella parete di fondo del piccolo palcoscenico, la quale, a vista, partecipa felicemente alla contestualizzazione “scenografica” dello spettacolo. Non meramente le vicende della vita, bensì la fenomenologia di una coscienza umile e curiosa è quella che viene evocata dalla messa in scena, ove le nozioni biografiche rimangono solo sullo sfondo del dirompente flusso di vitalità, intuizioni, relazioni e umanità di questo affascinante personaggio che fu Santa Ildegarda di Bingen (1098-1179); una virtuosa scelta drammaturgica, che nel completarsi di “tra sé” (aside) e “tableau vivant”, mette in scena quel che veramente rese grande questa monaca del medioevo. Giuliano Armini LaPlatea.it uscita numero V, numero speciale. 14 aprile 2014 Informazioni: Teatro Due Roma fino al 20 aprile 2014 dal martedì al sabato alle 21; la domenica alle 18 Vicolo dei Due Macelli, 37 (Roma) LaPlatea.it uscita numero V, numero speciale. Al Teatro Salone Margherita, tutta la magia de La Traviata rivive nelle note de I Virtuosi dell’opera di Roma. Scritto da Federico Cirillo « Ah della traviata sorridi al desìo a lei deh perdona, tu accoglila, o Dio » (Violetta, atto III scena IV) La cornice di una Parigi libertina e mondana di metà ottocento, l’atmosfera frizzante e delicata al contempo, di armonie e note immortali che furon di Verdi, i gorgheggi melodici e i virtuosismi canori dei tenori, dei soprani e dei baritoni che in tre atti accompagnano soavemente il pubblico, rapito dall’incedere delle scale melodiche e dall’eleganza sopraffina dell’interpretazione; il resto è la storia dell’opera, della lirica, del teatro, della musica classica e dello spettacolo: un melodramma, dapprima letterario, fattosi arte sublime e che dal 1853 viene rappresentato ininterrottamente sui più importanti palcoscenici mondiali. Tutto questo è La Traviata; e basta solo il titolo a far aleggiare nelle nostre menti passaggi memorabili quali l'invocazione di Violetta Amami, Alfredo, il famoso brindisi Libiamo ne' lieti calici, la cabaletta Sempre libera degg'io, il concertato finale del secondo atto, l'aria Addio, del passato e il duetto Parigi, o cara, tanto da rendere spasmodica l’attesa prima che il sipario si alzi. L’opera, tratta dalla pièce teatrale di Alexandre Dumas (figlio), La signora delle camelie e rappresentata per la prima volta in assoluto presso il Teatro La Fenice di Venezia, rivive in questi giorni, e con spettacoli alterni fino ad agosto inoltrato, nel raffinato contesto del Teatro Salone Margherita, a Roma, portata in scena dall’orchestra ed il coro de “I Virtuosi dell’opera di Roma”, interpreti magistrali e perfetti del dramma amoroso di Violetta e Alfredo, i due infelici protagonisti della celeberrima opera verdiana. Gli acuti freschi e spumeggianti del soprano Carmela Maffongelli – straordinaria interprete di una Violetta Valery da strappare applausi - , le estensioni vocaliche calde, ricche e piene del tenore lirico Adriano Gentili – nei panni di un tormentato Alfredo Germont - , la gravità austera tutta rinchiusa nelle LaPlatea.it uscita numero V, numero speciale. note profonde e amplificate del baritono Giancarlo Pera – a indossar le vesti di Giorgio Germont, padre di Alfredo -, il tutto contornato dal coro armonioso di bassi, mezzosoprani e tenori e accompagnato dalla leggiadra orchestra di archi, ottoni, legni e percussioni diretta in maniera eccellente dal maestro Adriano Melchiorre, direttore tra i più affermati a livello internazionale, regalano emozioni e veri brividi sia a coloro i quali assistono ammirati e stupiti per la prima volta ad uno spettacolo di opera – godendo, così, appieno il gusto inimitabile dell’arte lirica – sia agli appassionati e agli assidui frequentatori e conoscitori, i quali non lesinano numerosi applausi per una performance degna dell’originale capolavoro di Verdi, reso celebre, tra gli altri, dalla Callas prima e da Pavarotti poi. Il Teatro Salone Margherita, da sempre uno dei fulcri della cultura della Capitale, si fregia, ancora una volta della presenza di artisti di prim’ordine quali, appunto, “I Virtuosi dell’opera di Roma” nati nel 1999 su iniziativa dell'Associazione culturale Musica&Musica e da sempre distintisi quale primo esempio di istituzione concertistica interamente privata e sovvenzionata unicamente con fondi non pubblici che ripropongono il meglio della tradizione lirica italiana offrendo a migliaia di spettatori, ogni anno, la possibilità di entrare in contatto con l'opera lirica e con l'affascinante cultura che la caratterizza e che la rende ambasciatrice dell'italianità in tutto il mondo. Federico Cirillo 15 aprile 2014 LaPlatea.it uscita numero V, numero speciale. Dopo il successo de “La Traviata”, I Virtuosi dell’Opera di Roma tornano in scena al Salone Margherita con “Il Barbiere di Siviglia”. Scritto da Federico Cirillo Da Parigi a Siviglia; dalle struggenti note melanconiche di un lieto fine impossibile da realizzare ed infranto solo dal fato avverso alle spumeggianti e allegre arie di una storia d’amore bizzarra, divertente e coronata dall’happy ending, suggello di una delle più briose “opere buffe” mai composte; dalla Traviata, insomma, al Barbiere di Siviglia, il passo è lungo: due opere diametralmente opposte ed agli antipodi della rappresentazione, sia per quanto riguarda il genere alle quali esse appartengono – un melodramma il primo, una commedia l’altra – sia per le sinfonie che per l’interpretazione scenica, ovviamente. Filo conduttore dei due capolavori made in Italy, vessillo e simbolo dell’italica eccellenza oltre che del nazionale orgoglio, la performance impeccabile de I Virtuosi dell’Opera di Roma, i quali, dopo il primo appuntamento con Verdi e la sua Signora delle Camelie, propongono, in un turbinio di arzille melodie e festosi gorgheggi, resi celebri da Rossini, Il Barbiere di Siviglia, tratto dal primo libro della trilogia dedicata a Figaro, il protagonista, del drammaturgo francese Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais. Ripetendo il successo della Traviata, quindi, la compagnia, sempre diretta dal maestro d’orchestra Adriano Melchiorre, prende per mano il numeroso pubblico sin dall’incipit della deliziosa overturerossiniana, la quale predispone e prepara da subito gli spettatori ad un allegro andante. L’animo della platea, così riscaldato è premiato dalla cavatina del baritono Carlo Riccioli (nei panni di Figaro) il quale si esibisce nel brano Largo al factotum – eccellente nell’interpretazione mimica e gestuale, un po’ meno in quella canora, laddove l’orchestra sembra quasi prendere il sopravvento, nascondendo, purtroppo, a tratti, la voce dell’artista –, quindi deliziato dagli acuti energici e squillanti del soprano Sabina Leone, nelle vesti della bella e frizzante Rosina; ammaliato ed incantato dalle note possenti e profonde del Conte di Almaviva (il tenore Giuliano di Filippo) e infine divertito dalla travolgente e imperdibile aria de La calunnia è un venticello, interpretata passeggiando per il pubblico dal bassoFabrizio Nestonni (Don Basilio) e dal baritono Mauro Utzeri, impeccabile e divertente nel portare in scena Don Bartolo, reso perfetto sia nei virtuosismi canori che anche nell’interpretazione propriamente teatrale (piacevole e spiritoso in chiusura di primo atto, durante il finale Ehi di casa…buona gente…). LaPlatea.it uscita numero V, numero speciale. Un’opera fatta di travestimenti, intrighi comici, trovate buffe che, mescolando i temi classici del teatro – dalla “vis comica” di plautina memoria, sino alle improvvisazioni tipiche della commedia dell’arte – alle grandi partiture del maestro Rossini, riproposte ad hoc dall’orchestra, meritevole di lode e di una menzione speciale dopo il successo de La Traviata, vale davvero la pena di scoprire, apprezzare, ammirare e, infine, vivere appieno. Federico Cirillo 22 aprile 2014 LaPlatea.it uscita numero V, numero speciale. Insonnia al teatro Vascello di Roma Scritto da Fabio Montemurro "Sia il sonno che l'insonnia,oltre la giusta misura,sono malattie." (Ippocrate di Kos) Anche se non è proprio l'Odin Teatret, l'Odin Teatret c'è comunque e la sua presenza metalinguistica e comunicativa si sente e come. Insonnia viene messa in scena dalla Riotous Company una compagnia teatrale nata nel 2007 ma la regia e la coreografia è di Tage Larsen membro storico dell'avangiardia del Terzo Teatro Ad ogni modo parliamo di Insonnia. La scena è essenziale due sgabelli e un pianoforte : è sullo sfondo che si staglia un guazzabuglio di oggetti forme accantonati sovrapposti contrapposti in veri e propri ossimori visivi,ma questa è una visione incerta e sfocata che colpisce l'occhio per pochissimo: il tempo che il pianista entra in scena e si siede al pianoforte e quando alla fine tutto s'abbandona al sonno prima che il sipario si chiuda. Insonnia ha per protagoniste due donne che in realtà non sono altro che i due aspetti (il doppio?) della psiche della stessa donna e un pianista che con le note del pianoforte come un burattinaio decide dove come quando cosa...una sorta di subconscio. La bellezza di Insonnia e nel creare dal nulla stimolando la fantasia di che guarda attraverso i movimenti la gestualità le costruzioni astratte dipinte con rapidi e la contempo lenti tratti dai corpi delle due ballerine e nel commento musicale del pianista che sta lì a suggerire con note di pianoforte e percussioni dello sgabello situazioni atmosfere luoghi ritmi pulsazioni...svolgendo con repentini e improvvisi cambi di scena capovolgimenti di situazioni catene che uniscono e stringono sempre più,addirittura annodano e alla fine snodano quella che potremmo definire l'azione di "perturbante" mantenendo,dosando l'alternanza di momenti di distesione a momenti di maggiore tenzione,sempre accesa l'ansia la paura la preoccupazione,condizioni LaPlatea.it uscita numero V, numero speciale. emotive alla base di questo disturbo psichico che cosciente di un rumore di fondo va alla ricerca di tante pause di silenzio. I riferimenti culturali sono infiniti Freud,E.T.A Hoffmann,E.A.Poe,Gustave Flaubert,Emily Dickinson,la musica espressionista. Quelli metalinguistici invece fanno riferimento in particolar modo al grande lavoro svolto da Pina Bausch col suo Tanztheater nel periodo delle opere più mature ossia a partire da Café Müller (1978) dove inizia il lavoro d'introspezione e analisi della psiche umana in rapporto alla società in cui vive. L'illuminazione (crepuscolare) è forse ancora più essenziale della messa in scena poichè si avvale dell'uso dei proietori unicamente per creare macchie di luce sopratutto intorno alle ballerine permettendoci di osservare lo scontro delle due personalità della stessa donna all'interno dei meandri nei recessi oscuri della mente sul sottile filo della zona di confine tra sonno e insonnia per non cedere all'Uomo della Sabbia che già sta salendo le scale. Fabio Montemurro 4 maggio 2014 LaPlatea.it uscita numero V, numero speciale. Il sogno di una notte di mezza sbornia libera dall'ipocrisia Scritto da Enrico Ferdinandi Solo la morte è sicura. Di questo è certo Pasquale Grifone (Luca de Filippo) quando scopre di aver vinto 600 milioni di lire al lotto. Una quaterna secca che gli è stata rivelata in sogno, dopo l'ennesima notte di sbornie, da Dante Alighieri, la cui 'effige' è presente nella casa della famiglia Grifone, seppur per caso, da anni. Numeri, quelli donati dal poeta, che sono portatori sì di soldi ma anche di pensieri: sono le coordinate della sua morte (da notare, le coordinate non la data precisa, qui sta il genio di Eduardo de Filippo). Pasquale è, secondo questa rivelazione, destinato a morire tre mesi dopo il suo compleanno. Come sempre nel teatro di Eduardo si gioca sul filo, sottile, che fa da ombra al quotidiano chiaroscuro che confonde e divide i sentimenti sinceri dall'ipocrisia e dall'egoismo. Tutti quei soldi portano nella famiglia di Pasquale un cambiamento sia sociale che personale. L'inetto figlio Arturo (Giovanni Allocca) diviene uomo stimato ed elogiato, la brutta figlia Gina (Viola Forestiero) ora è ambita e corteggiata, mentre la moglie Filomena (Carolina Rosi) cerca di mascherare il suo umile passato di donna del popolo con nuove vesti e vecchi trucchi. Ma si sa, l'abito non fa il monaco ed i soldi non comprano i sentimenti. Il vino, quel vino tanto amato da Pasquale Grifone diviene chiave di volta in grado di aprire una finestra sulle vite dei protagonisti di questa storia: la luce, giocando fra gioia e dolore, entra ed illumina ogni cosa. Ora che sono una famiglia agiata ed altolocata i Grifone continuano comunque ad esser visti, persino dalla servitù, come villani arricchiti. Un interrogativo sorge spontaneo: basta esser ricchi per esser felici e raggiungere i propri obiettivi? Intanto il tempo passa e la preannunciata morte di Pasquale si avvicina. L'ipocrisia è lo status quo che regna in questa famiglia. L'avidità ed il benessere personale di ogni suo membro prevale su tutto e mentre si aspetta la morte, 'unica cosa da cui non si può guarire', il vero io di ogni individuo si rivela. Qual è dunque la vera fortuna di Pasquale Grifone? Aver vinto al gioco del lotto o aver scoperto la presunta data della sua morte? Forse la sua unica fortuna è stata quella che si è creato da solo cercando di vivere se stesso e gli altri con sincerità, ovvero senza, troppa, ipocrisia. Un'ottima interpretazione della compagnia di teatro di Luca de Filippo resa ancor più armoniosa dalle musiche di Nicola Piovani e dall'adattamento luci di Stefano Stacchini. Enrico Ferdinandi LaPlatea.it uscita numero V, numero speciale. 8 maggio 2014 Informazioni La Compagnia di Teatro di Luca De Filippo SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZA SBORNIA di Eduardo De Filippo liberamente tratta dalla commedia “La fortuna si diverte” di Athos Setti con Luca De Filippo Carolina Rosi Nicola Di Pinto Massimo De Matteo e (in ordine alfabetico) Giovanni Allocca Carmen Annibale Gianni Cannavacciuolo Viola Forestiero Paola Fulciniti scene Bruno Buonincontri costumi Silvia Polidori musiche Nicola Piovani luci Stefano Stacchini regia Armando Pugliese Lo spettacolo ha la durata di 2 ore compreso l’intervallo ORARI SPETTACOLI martedì-sabato ore 20.45 giovedì 8 e mercoledì 14 maggio ore 16.45 sabato 10 e 17 maggio ore 16.45 e ore 20.45 domenica ore 16.45 LaPlatea.it uscita numero V, numero speciale. Munch e Schiele. Un tête-à-tête teatrale, di Fabio Sargentini ed Elsa Agalbato Scritto da Giuliano Armini "1° atto": Munch. Quando dipinsi l'urlo con Ruben Regillo fondale: Sergio Ragalzi "2° atto": Schiele. Vive morendo ogni cosa con Pino Censi e Arianna Ninchi inferriata (scenografia): Claudio Palmieri ideazione e regia: Elsa Agalbato e Fabio Sargentini assistente regia: Sonia Andresano suoni: Paolo Guaccero scenotecnica: Paolo Nunzi e Franco Scorza luci: David Barittoni e Giuseppe Tancorre coordinamento tecnico: Rocco Perna ufficio stampa: Arianna Antoniutti Munch e Schiele. Un tête-à-tête teatrale, di Fabio Sargentini ed Elsa Agalbato Lo spettacolo, che già nella breve sinossi del comunicato stampa incuriosisce quanti non avessero ancora confidenza con L'Attico, entusiasma chi già ne conosce la cifra piena e sofisticata che ne caratterizza l'approccio. L'ensemble Agalbato-Sargentini, che già in passato mise in scena interessanti letture di Pirandello e Cocteau, dando luogo ad un'operazione “performativa” che col Teatro si sublima nell'assoluto, costruisce in quest'occasione un emozionante e squisito edificio drammaturgico recuperando non già una “narrativa” autoriale bensì un'interessantissima letteratura storico-artistica, quale appunto le riflessioni di Munch e Schiele. La mise-en-scene, di fatto un'opera in due atti, è introdotta dalla cara presenza del Sargentini. LaPlatea.it uscita numero V, numero speciale. Un rapporto quasi erotico con la morte e con la vita percorre le due piece. La prima, costruita attorno all'Urlo, ne evoca il midollo: un Munch morente recita il verbo infuso nella sua più celebre opera, e un fondale “ragalziano”, nell'itinere di quella disperazione esistenziale, smette il suo ruolo citazionista acquisendo quello più feroce di macchina scenica; una scena che è spazio modulato dal genio del suo regista, che si fa architetto d'una poesia che attraversando la cesura del sipario entra di netto nel dramma di Schiele, nello spazio immateriale di un “24° giorno di prigionia”. Lì la poesia del dramma colloca il suo svolgersi: Schiele detenuto per molestie (denuncia poi rivelatasi infondata in tribunale), soffre l'inopportunità d'un cuore così candido in una società crudamente ipocrita; il suo fascino per il corpo gli valse un'etichetta di depravazione, ben lungi da quell'oggettiva e più complessa verità, non priva di una diffusa “tenerezza”, che invece che lo vedrà morire di febbre spagnola, poco dopo sua moglie, a soli 28 anni. Costretto in cella, fugge nel suo mondo, nascondendo ai suoi occhi la violenza all'interno di quello stato di prigionia, rammentato da sporadici ordini, dati con la voce di Sargentini; la regia che si fa madre e carceriera, che decide dove e come entra il dramma nel testo, con un'azione profondamente e geneticamente concettuale, che sintetizza ex ante i nodi e le immagini di una situazione e di uno spazio in cui si compie la vicenda teatrale di un'artista che arrivando sul palcoscenico ad essere tautologica si conferma mitologica nel mondo reale. Giuliano Armini 8 maggio 2014 fino al 18 maggio tutti i giorni alle 19 presso L'Attico Via del Paradiso 41 (Roma) LaPlatea.it uscita numero V, numero speciale. Erika e Omar: uno spettacolo di Enzo Iacchetti sulle barbarie del nostro tempo Scritto da Federica Palombi “Non ha paura di scoprire con il lume dell’intelligenza il rosso della vergogna, là, nella bestialità umana, che chiude sempre gli occhi per non vederlo.” – Luigi Pirandello Atmosfera familiare e il regista ad accogliere il pubblico in sala, questo è l’ impatto che si ha nel teatro “ Lo spazio” di via Locri. Teatro sui generis in quanto si entra in un ambiente che sa di underground, che ricorda per essenzialità un magazzino seminterrato, un centinaio di posti a sedere su sedie di plastica da sala parrocchiale, un basso palco angolare senza sipario, niente distanze fra pubblico e attori. Colpiscono, il nero alle pareti, l’atmosfera fumosa e una scenografia minimale, basata sul bianco e il nero e colorata dal gioco di luci, che coinvolge anche la platea nei momenti più significativi dello spettacolo. A primo impatto sorge il dubbio che si tratti di una recita scolastica. Poi si spengono le luci, cala il silenzio e il pubblico inizia un viaggio, che non lo porta, come spesso capita ad estraniarsi dalla realtà ma si trova compartecipe delle vicende narrate e viene coinvolto in pieno con spirito critico. Jessica e Cristian, due fidanzati adolescenti sconvolgono l’esistenza mite e tranquilla del loro paesello dal nome, sul quale gioca l’ironia del regista, di Santa Serena, quando decidono con estrema noncuranza di massacrare la famiglia della ragazza. In pochi giorni i media prendono in assedio la cittadina, Jessica diventa una diva dello spettacolo e la città meta di un macabro turismo sui luoghi dell’orrore. Il Maestro Enzo Iacchetti, regista e produttore, ci mostra che non c’è finzione, in questo spettacolo c’è più realtà che fantasia. Il linguaggio è diretto, semplice e schietto, e questo lo rende vero. È come un pugno nello stomaco quando ti fermi a riflettere che i mostri siamo noi, che ci accaniamo su queste vicende, smaniosi di sapere cosa può aver spinto la mente umana a tanta efferatezza. Ci si rende conto che non esagera, i personaggi non diventano tipi da commedia ma sono esattamente quello che la televisione passa tutti i giorni in decine di talkshow. È un epidemia che contagia l’Italia intera e viene resa in scena con l’uso di dialetti che spaziano dal nord al sud. Ma non è solo un problema territoriale è anche un male generazionale che si insinua in tutte le fasce della società, dai bambini agli adulti. Santa Serena diventa una vetrina di casi umani come si è potuto vedere in questo decennio, clero e istituzioni corrotte, bambini che non conoscono più LaPlatea.it uscita numero V, numero speciale. l’innocenza, ragazzi che prendono tutto con incoscienza e leggerezza come se ci fosse sempre una seconda opportunità. Nell’affermazione della protagonista “ Mettiti l’ Ipod e non li senti urlare”, c’è la denuncia più forte di questo spettacolo. Una generazione assuefatta ai videogiochi, alla realtà spettacolarizzata, dove il male diventa spettacolo, dove non si distingue più tra realtà e finzione e dove le azioni sono anestetizzate quasi come se non fossero importanti… l’inconsistenza della realtà regna sovrana. È davvero in questo modo che dovremmo vivere? Le barbarie del nostro tempo tutta in uno spettacolo che non tralascia nulla e non fa sconti per nessuno. Federica Palombi 17 maggio 2014 LaPlatea.it uscita numero V, numero speciale. Al teatro Eutheca con la passione e “Coll'amore non si scherza” Scritto da Enrico Ferdinandi Con On ne badine pas avec l'amour, ovvero 'Coll'amore non si scherza' la poesia ed il realismo passionale del '800 francese riprendono vita al teatro Eutheca. Passione è la parola chiave che permette di capire questa illuminante e fresca opera di Alfred de-Musset ed al contempo di comprendere le motivazioni di quei giovani attori che hanno animato il palco con maestria, creando quel turbinio di emozioni che noi tutti chiamiamo teatro. 'Coll'amore non si scherza' e altre commedie, non è una semplice messa in scena, si tratta del saggio di fine III anno degli allievi della scuola di teatro Eutheca. La regia è quella di Federica Tatulli ed i giovani ragazzi, giunti ormai alla fine del ciclo di studi, non solo riescono ad interpretare al meglio, nonostante l'emozione per il traguardo raggiunto, l'opera diAlfred deMusset ma ricordano alla platea quanto, per l'appunto, sia vitale aver passione per quello che si fa, in particolar modo quando si sceglie di intraprendere una carriera come quella teatrale. Non a caso noi de La Platea abbiamo deciso di seguire questa manifestazione: da una parte è importante parlare e dare eco alle nuove leve, dall'altra è bene ricordare a chi il teatro già lo vive da anni che la passione, quella passione, non dovrebbe mai (come purtroppo spesso accade) cedere il passo alla superbia per la fama raggiunta o al mero appagamento. Coll'amore non si scherza narra le vicissitudini di due giovani cugini, promessi sposi ma divisi dalle gabbie e dalle costrizioni che i pregiudizi e la società creano intorno all'amore. Amore, una parola che, come fin troppo spesso abbiamo scritto, non può da sola esprimere la tempesta che è in grado di scatenare nel petto di chi la LaPlatea.it uscita numero V, numero speciale. vive. L'amore ha bisogno di semplicità e sincerità; sarà proprio la mancanza di questi due elementi a portare i protagonisti della vicenda a vivere un tragico epilogo. La vita è un sonno, l'amore ne è il sogno; e voi non avrete vissuto se non avrete amato. Queste poche parole di Alfred de-Musset esprimono al meglio quanto successo nello scorso fine settimana al teatro Eutheca: delle nuove promesse hanno cercato di fare teatro amando quanto più possibile il loro sogno. Dolce è stato il risveglio. Enrico Ferdinandi 19 maggio 2014 Informazioni COLL'AMORE NON SI SCHERZA E ALTRE COMMEDIE di Alfred DE MUSSET Regia Federica TATULLI Dal 15 al 18 maggio 2014 Con ALBERTINI Daniela, ALLEGRINI Alessandra, AMBROSIO Francesca, BLASIOLI Alessandro, CALLIARI Paola, CAROZZA Domenico, COCULO Carlo, DE LUNA Loris, DE SANTIS Stefano, DI LORENZO Davide, FOSSO Elio Amedeo, GALLI Vittoria, IAPICHINO Antonio, LO PRESTI Fiorenzo, LOZITO Francesca, MAGAZZENI Serena, MATTEI Davide, NOVATI Claudia, PAINI Renan, PATRUNO Valentina, PEDONE Giuseppe, SACCHELLI Sabrina, SAUNOIS Flore, SCONCI Massimo, SCOTTO PAGLIARA Roberto, SIMONE Viviana, TROIANI Jacopo. LaPlatea.it uscita numero V, numero speciale. Lello Arena nei panni di Arpagone ne “L’avaro” di Moliere in scena al Teatro Vittoria Scritto da Federico Cirillo ‹‹…purchè ci sia da ricavarne qualcosa… ›› Farsesco e grottesco il mondo di Moliere, il quale con le sue “macchiette” sui vizi e le debolezze dell’umana specie, incarnati alla perfezione dai personaggi e i protagonisti delle sue opere, risulta, a secoli di distanza, ancora contemporaneo e quanto mai specchio in cui poter, ahinoi, riflettersi e sul quale, fortunatamente, riflettere: potere di un genio letterario che attraverso la commedia, protesa verso un’innata naturalezza realistica, perdura nella storia e scandaglia tutt’ora psiche e animo della società attuale. A riadattare un classico divenuto arte sublime di satira che tante illustre menti ha ispirato - da Goldoni a Fo, passando per Čechov – ci ha pensato, presso il Teatro Vittoria, l’attore Lello Arena, regalando al testo un riadattamento in chiave sicuramente più comica. L’interpretazione d’Arpagone, il protagonista, è resa in tutto il suo vizio, tanto da giungere delle volte ai margini del paradossale, quasi a voler rappresentare tutte le sfumature possibili ed immaginabili dell’avarizia. Essa, vivendo di luce propria e relegando, in una sorta di escalation dell’assurdo, il personaggio in un cono d’ombra – ogni sentimento, ogni parvenza di umanità è infatti accantonata per lasciar posto alla sola ingordigia di ricchezze - , prende il sopravvento e si fa paladina e morale stessa di un contro-insegnamento che dall’immoralità a tratti meschina, trae il suo vero senso d’essere. Note e appunti di plauso anche e soprattutto alla compagnia che ha affiancato il capocomico napoletano: ottimi a spalleggiarlo e a seguirlo nelle sue immancabili improvvisazioni, condite dalle solite arguzie linguistiche dal carattere partenopeo. Particolari ed apprezzabili, infine, i costumi e la scenografia ideata dal regista Claudio Di Palma: un museo di teche di vetro le quali conservano, al loro interno, un assortimento variopinto e diversificato di sedie appartenenti a varie epoche; sedie e troni che, impersonificazione dell’avarizia, attraversano la dimensione temporale, viaggiando dal ‘600 sino ad oggi assurgendosi ad emblema di un potere congelato nei secoli e che perdura nella prigione di schemi e depressione nei quali è imprigionata la psiche di ogni Arpagone passato e presente. Cirillo Federico 20 maggio 2014 LaPlatea.it uscita numero V, numero speciale. CENERE ALLA CENERE Scritto da Giuliano Armini testo: Harold Pinter regia: Giacomo Galantucci con: Valentina Borriello, Fabio Liparulo Ci sono opere d'arte, come quelle di Robert Cottingham, che nel totalizzare lo spazio visivo dell'opera sul compimento retinico di un dettaglio, riescono a travalicare non solo lo specifico materiale del soggetto, ma anche i limiti della realtà dimensionale che viviamo, permettendoci un'indagine virtuale di oggetti, ambiti e questioni del nostro mondo ben più difficoltosa se distratti dai connotati materiali di questa realtà, nonché degli elementi che la vivono. La strutturazione di questo particolare fenomeno è proprio quello che è rintracciabile nel compimento scenico di testi teatrali dalla forte connotazione concettuale com'è Ashes to ashes, di Harold Pinter. Tutta la commedia si svolge nello spazio di una conversazione, ovvero, più precisamente, della parte finale di questa: un momento della discussione tra due personaggi, Rebecca e Devlin, moglie e marito, il cui salotto si apre allo sguardo dello spettatore in un momento che si profila però quale altro dal tempo reale; un frangente eterno, metafisico, ove è in essere il viaggio allucinato di una Rebecca la cui necessità di razionalizzazione fa i conti, suo malgrado, con i ricordi di una donna, o di un secolo (il ventesimo), che nonostante la potenziale efficacia e la ragion d'essere di un'artificiosa e spensierata normalità domestica, si trova in una impasse esistenziale. La discussione, la quale inizialmente si presenta essere come una mera indagine di Devlin nell'intimità affettiva e passionale di Rebecca, determinata da una focosa gelosia, ingabbiata dentro schemi di razionale convenzionalità e mossa dalla presenza di un fantasma, il pensiero di un amante di lei, rivela in realtà, nel suo compiersi, contenuti ben più complessi, stratigraficamente generati, ma in essere tutti nel medesimo momento. LaPlatea.it uscita numero V, numero speciale. Si tratta di un testo estremamente intenso e passibile di molteplici letture, che l'ensemble di Spazio 47 decide di leggere sottolineando la chiave del contrasto tra i due “elementi”, in scena, nonché immergendosi così, filologicamente, nelle trame dello scritto pinteriano, in una azione attoriale levigata da una visione performativa che nella accettazione e partecipazione della concreta verità della discussione descritta trova forse il migliore strumento di epifania di tutte le sue possibili connotazioni metaforiche. Giuliano Armini 31 maggio 2014 Informazioni dal 26 al 31 maggio presso Spazio 47 via Pontina km 47,015 (Aprilia) LaPlatea.it uscita numero V, numero speciale. LaPlatea.it uscita numero V, numero speciale. Redazione: Enrico Ferdinandi (Direttore responsabile) Alessandra Cetronio (editore) Fabio Montemurro (responsabile redazione musica) Giuliano Armini (redattore) Federico Cirillo (redattore) Federica Palombi (redattrice) Contatti: [email protected] [email protected] LaPlatea.it uscita numero V, numero speciale.