Quando le aritmie complicano lo scompenso cardiaco Nel suo decorso, negli anni, lo scompenso cardiaco si complica spesso a causa di anomalie del ritmo cardiaco. Queste anomalie possono avere origine atriale, ventricolare, o atrioventricolari. Una percentuale molto alta dei pazienti scompensati presenta aritmie di vario tipo. Le aritmie atriali sono rappresentate quasi esclusivamente dalla fibrillazione atriale ed in misura molto più ridotta dal flutter atriale. Circa un terzo dei pazienti con scompenso cardiaco presenta fibrillazione atriale La comparsa di questa aritmia riduce la capacità contrattile del ventricolo sinistro con conseguente riduzione della tolleranza allo sforzo. Se la fibrillazione atriale ha una frequenza ventricolare molto alta, diminuisce il tempo diastolico, diminuisce il riempimento del ventricolo sinistro e di conseguenza, cala la portata cardiaca (la quantità di sangue che il ventricolo sinistro pompa nell’unità di tempo). Questo può solo peggiorare la condizione in cui si trova un paziente con scompenso cardiaco che presenta già una portata cardiaca inferiore alla norma (vedi Figura 1). Figura 1. Meccanismi attraverso i quali la fibrillazione atriale modifica il quadro clinico dei pazienti con scompenso cardiaco. SC, scompenso cardiaco; RD, riempimento diastolico; PC, portata cardiaca; EP, efficienza di pompa; RE, rischio embolico; FA, fibrillazione atriale; FC, frequenza cardiaca. Inoltre un atrio “fibrillante” perde la contrazione (“atrial kick” degli autori americani) e questo fatto fa perdere circa 20% – 30% dell’efficienza di pompa del cuore ! Si tratta quindi di un secondo fattore che viene a peggiorare la funzione di pompa del cuore. I cuori più sensibili alla perdita dell’attività di pompa dell’atrio sono i cuori ipertrofici e/ molto dilatati. L’importante perdita dell’efficienza cardiaca non fa altro che aumentare la sintomatologia del paziente; aumenta l’affanno, aumenta la stanchezza, la sonnolenza, la confusione mentale ed i disturbi del respiro durante il sonno. Per la stessa ragione aumenta la ritenzione di liquidi, quindi il peso corporeo e compaiono gli edemi declivi. La causa principale di morte nel paziente scompensato con fibrillazione atriale è lo stroke embolico. Nella fibrillazione atriale, la perdita della contrazione atriale determina una specie di “ristagno” del sangue nell’atrio. Questo fenomeno, insieme all’ingrandimento delle dimensioni dell’atrio spesso associato, determinano dei presupposti necessari alla formazione di trombi (grumi di sangue) dentro l’atrio stesso. Il rischio è quello che un grumo possa staccarsi dall’interno dell’atrio, e seguendo la corrente del sangue, uscendo dal cuore arrivi ad occludere un’arteria. Questo fenomeno si chiama embolia (vedi Figura 2) e se avviene in un’arteria del cervello si produce uno stroke (accidente vascolare cerebrale) embolico. Figura 2.La continuità tra il cuore, l’aorta ascendente e le carotidi. EC, embolie cerebrali; EP, embolie periferiche; AS, atrio sinistro; VS, ventricolo sinistro. Tenendo presente che le prime arterie che continuano la direzione del sangue che esce dal cuore sono le carotidi, si può capire perché le embolie sono principalmente cerebrali. Il paziente in scompenso cardiaco anche se ha un ritmo cardiaco normale presenta comunque un rischio embolico elevato, e la comparsa della fibrillazione atriale, per i motivi descritti sopra non fa altro che accentuare ancora di più questo rischio. A causa di tutte le suddette problematiche, la comparsa della fibrillazione atriale peggiora l’evoluzione del paziente con scompenso cardiaco. L’incidenza della fibrillazione atriale aumenta con la gravità dello scompenso cardiaco (con la classe NYHA); più il paziente si trova in una classe NYHA superiore, più aumenta la prevalenza dell’aritmia. La fibrillazione atriale rappresenta spesso una causa di peggioramento dello scompenso, e a sua volta questo peggioramento è anche lui causa di progressione della fibrillazione atriale. Tra lo scompenso cardiaco e la fibrillazione atriale si crea un circolo vizioso (vedi figura 3). Figura 3. Il circolo vizioso tra lo scompenso cardiaco e la fibrillazione atriale. FA, fibrillazione atriale; SC, scompenso cardiaco. Due notizie positive possiamo però fornire. La prima è che quando possibile, curando la fibrillazione atriale e recuperando il ritmo sinusale si migliora il quadro clinico dello scompenso. La seconda è che il recupero del ritmo normale migliora anche la prognosi dei pazienti scompensati. Per questi motivi e per tanti altri dobbiamo sempre fare tutto il possibile affinché la fibrillazione atriale sia sconfitta. Le aritmie ventricolari sono rappresentate dalle extrasistoli, il ritmo idioventricolare accelerato, la tachicardia ventricolare non sostenuta, la tachicardia ventricolare sostenuta e la temuta fibrillazione ventricolare. Queste aritmie si riscontrano durante le registrazioni Holter su 24 ore o all’occasione del monitoraggio continuo (la telemetria) nel caso di pazienti ricoverati (vedi Figura 4). Figura 4. Monitoraggio in telemetria di un paziente ricoverato. Il ritmo sinusale è interrotto da una breve tachicardia ventricolare non sostenuta. Le aritmie possono essere asintomatiche oppure presentarsi con palpitazioni, capogiri, presincope, sincope, o con manifestazioni ancora peggiori (vedi Quando i sintomi …. ma a volte si). La prevalenza di questi disturbi del ritmo dei pazienti scompensati è alta, ma inferiore a quella della fibrillazione atriale. Nella maggio parte dei casi, le aritmie (sia atriali che ventricolari) avvengono a causa della malattia stessa del cuore, ma in altre circostanze possono essere indotte anche dai farmaci che utilizziamo nella terapia stessa dello scompenso cardiaco. Mi riferisco a farmaci inotropi positivi come le catecolamine o gli inibitori della fosfodiesterasi piuttosto utilizzati nella terapia dello scompenso acuto, o alla digitale e ai diuretici utilizzati anche nelle terapie croniche. Bisogna dire che i diuretici non hanno un effetto proaritmico diretto bensì attraverso i disturbi elettrolitici (ipopotassiemia e/o ipomagnesiemia) che possono indurre. Abbiamo però anche dei farmaci che riducono l’incidenza delle aritmie nello scompenso cardiaco; a parte i farmaci antiaritmici veri e propri mi riferisco ai betabloccanti, le statins, gli ACE inibitori, ed agli antialdosteronici. Tutti i giorni, nel nostro laboratorio di elettrofisiologia, per i pazienti con scompenso cardiaco ed aritmie applichiamo delle tecniche particolarmente sofisticate per eliminare l’effetto negativo delle aritmie sulla funzione ventricolare del cuore scompensato e far sì che i due ventricoli possano lavorare insieme “più in armonia”. Dott. Vladimir Guluta