1 Lucio Gentilini STORIA MINIMALE DELL’UCRAINA Introduzione Queste brevi e sinteticissime pagine hanno l’unico scopo di impedire che gli appunti presi durante un viaggio (luglio-agosto 2013) in Ucraina vengano dispersi e dimenticati: esse vogliono così offrire una ricapitolazione minima ed uno schizzo appena abbozzato della storia del paese senza altre pretese e senz’alcun’altra ambizione. 2 I secoli d’oro Popolazioni slave giunsero nell’attuale territorio dell’Ucraina nell’VIII secolo e da qui si spinsero in tutte le direzioni, ma il vero sviluppo del paese cominciò quando nel IX secolo i vichinghi scoprirono la possibilità di giungere dal Baltico al mar Nero (e dunque all’Impero bizantino con tutti i suoi contatti) per via d’acqua, scendendo e risalendo i grandi fiumi che solcano lo sterminato spazio terrestre russo-bielorussoucraino-polacco-lituano. I nuovi arrivati si imposero sulle arretrate popolazioni slave e le coinvolsero nella prodigiosa opera di unificazione commerciale e politica di regioni peraltro vastissime e tanto distanti: gli avventurosi vichinghi che si spinsero così lontano dalle loro patrie scandinave erano comunque tutti maschi, si unirono così alle donne locali e piano piano persero le loro radici acquisendone di nuove. Così nacque il Regno di Rus’ con capitale Kiev. Oggi queste immense e sconfinate pianure sono percorse da navi e battelli che scendono e risalgono gli imponenti fiumi resi navigabili per tutto il loro corso da chiuse (sei lungo il Dnjepr) e collegati fra loro da canali artificiali, mentre al tempo del Regno di Rus’ le navi venivano trasportate via terra nei tratti in cui la navigazione non era possibile a causa delle rapide e per passare da un fiume ad un altro, ma comunque i collegamenti fra territori così lontani (e con quelli dell’interno) erano ugualmente assicurati con incalcolabili conseguenze positive per tutti quei popoli e territori. A Kiev il Dnjepr (terzo fiume d’Europa per portata d’acqua e quarto per lunghezza (2290 km.) dopo Volga, Danubio e Ural) che scende da nord verso il mar Nero è raggiunto da est dalla Desna (1130 km. di cui circa la metà navigabili) che resero (e rendono) la città un crocevia importantissimo e conseguentemente capitale del Regno. Il Regno di Rus’ dovette naturalmente farsi largo ed imporsi sui vicini e l’artefice finale di tutto ciò fu il re Vladimiro il Santo (980 – 1015) che nel 988 cristianizzò il suo popolo e potè così sposare Anna, la figlia dell’imperatore bizantino Basilio II. Questo momento di definitiva stabilizzazione fu fondamentale nella storia del paese: il cristianesimo era già giunto nel Regno di Rus’ ad opera soprattutto di Olga, la nonna di Vladimiro, ma con la sua imposizione (chi rifiutava di entrare nel Dnjepr per farsi battezzare veniva ucciso) il re cessava per sempre di rimanere all’interno del mondo barbarico, inseriva definitivamente il suo paese ed il suo popolo nel novero di quelli europei, sceglieva di collegarsi strettamente con Bisanzio, accettava di far parte di quella stessa civiltà, di adeguarsi definitivamente al suo ordine e di differenziarsi dal mondo mussulmano (e latino): fu insomma una scelta di campo importantissima 3 in cui l’elemento religioso (in senso stretto) era il meno rilevante in confronto all’entrata irreversibile ed all’accettazione del mondo e della civiltà che oggi chiamiamo ‘occidentale’. Gli ucraini ricordano Olga con un monumento sul sagrato di San Michele (insieme a S. Andrea e Santa Sofia uno dei tre vertici del celeberrimo ‘Triangolo d’oro’ di Kiev) e Vladimiro sia con un gigantesco monumento in uno dei parchi panoramici di Kiev (ai cui piedi ancora oggi si svolgono funzioni religiose) sia con la cattedrale a lui dedicata a Kiev, la chiesa con la più ricca decorazione ed arredamento interni, che contiene i sarcofagi di Olga e di Vladimiro stesso e nel cui ingresso due dipinti ricordano il battesimo del re e poi quello dei suoi sudditi nel Dnjepr. Degno erede, continuatore e costruttore della grandezza del Regno di Rus’ come super-potenza dell’epoca (che si stendeva ormai dal Baltico al Nero e dai Carpazi al Volga) fu il figlio Jaroslav il Saggio (1019 – 1054) che procedette a quella che si può definire la civilizzazione del paese, al suo acculturamento (impose l’alfabetizzazione di tutta la popolazione!) ed al suo definitivo inserimento nella compagine europea (anche grazie a tutta una serie di matrimoni con le famiglie regnanti europee). Oggi a Kiev il suo sarcofago si trova a S. Sofia, mentre un monumento ai piedi della Porta d’Oro ne ricorda il rilevantissimo ruolo storico. Ai suoi tempi Kiev contava 50mila abitanti (Roma 30mila e Parigi 20mila), si stendeva lungo il Dnjepr per 12 chilometri ed il suo Cremlino era di 80 ettari (quello di Mosca è oggi di 12 ettari): l’XI ed il XII secolo segnarono insomma il periodo di massimo sviluppo e fioritura del Regno di Rus’ che era al centro di intensi traffici e metteva in comunicazione popoli e civiltà profondamente diversi e lontanissimi, spesso senza nessun’altra possibilità di contatto fra loro. E tuttavia quest’epoca d’oro, il cui simbolo più significativo è la splendida Cattedrale di S. Sofia coi suoi famosissimi affreschi del XI secolo (salvati poi dalla follia demolitrice staliniana dall’intervento francese), era destinata ad interrompersi improvvisamente ed in modo drammatico. Il disastro del 1240 Il Regno di Rus’ era il crocevia ed il punto d’incontro fra popolazioni lontane e diverse, ma per secoli fu anche lo scudo e la barriera che subì l’assalto e fermò le invasioni dei nomadi della steppa che periodicamente premevano minacciosi e terribili sui suoi confini: i kazari furono respinti e contenuti per 400 anni, i paceneghi per 120 (anche per celebrare la vittoria contro di loro nel 1037 fu iniziata la 4 costruzione di S. Sofia), i poloveri per 150 … finchè dovette subire l’urto devastante dei mongoli di Batu Khan. Dopo che Gengis Khan aveva unificato tutti i popoli della steppa, questi si erano lanciati nella loro avanzata conquistatrice e trionfale in tutte le direzioni e nel 1240 riuscirono nell’impresa di espugnare e di distruggere anche Kiev. Il disastro fu totale e questa data sega la storia dell’Ucraina in due, dividendola in un prima ed in un dopo: la dominazione mongola annientò il Regno di Rus’ e segnò il declino di Kiev e l’esodo di gran parte della popolazione verso le attuali Bielorussia e Russia (dove fondò lo stato della Moscova). Lentamente gli ucraini (come i russi) riuscirono a liberarsi progressivamente dal giogo mongolo ed a smettere di pagar loro il tributo, ma le loro disgrazie non erano certo finite perché dovettero subire allora le scorrerie e le violenze dei tartari di Crimea che nel 1482 arrivarono a distruggere nuovamente Kiev. Non è certo un caso se in Ucraina non ci sono tracce dello stile gotico nè di quello rinascimentale. I tartari di Crimea I tartari erano arrivati in Crimea – in questa strana penisola che è unita all’Ucraina dall’istmo di Perekop (largo dai 5 ai 7 chilometri e sul quale era stato costruito il ‘muro turco’) e che insieme alla penisola russa di Tarnan collega il mar d’Azov al mar Nero attraverso lo stretto di Kerch (largo dai 3 ai 13 chilometri) - nell’XI secolo: affini ai mongoli e loro vassalli ed alleati, si erano separati dall’Orda d’Oro ed erano divenuti stanziali nel XV secolo (anche in seguito alla cacciata dei genovesi dalla Crimea ad opera dei turchi) divenendo allora vassalli ed alleati degli ottomani: per tre secoli si dedicarono a terrorizzare polacchi, russi e ucraini con le loro continue razzie e cacce di schiavi (spesso catturati perché potessero essere riscattati). La loro capitale era Bakhcsaray, fondata alla fine del XV secolo e di cui oggi è ancora visitabile la residenza del khan. Cavalieri eccezionali (si diceva che potessero arrivare a Mosca in 5 giorni!) ed invincibili nella steppa, furono gli indiscussi dominatori della penisola e gli spavaldi spadroneggiatori dei territori slavi meridionali che perseguitavano sistematicamente e di cui bloccarono o ritardarono lo sviluppo finchè alla fine del Settecento la zarina Caterina II li sconfisse irrimediabilmente, li sottomise e pose fine a questa lunga e dolorosa pagina di storia. L’arrivo della Russia sulla riva settentrionale del mar Nero significò una svolta radicale della storia del paese - e del resto la conquista stessa fu intesa in tutta la sua importanza fin dal momento del suo compimento. 5 I cosacchi Originari dell’Ural, i cosacchi furono sempre guerrieri provetti, scelti ed arruolati dai polacchi contro i mongoli: ripetendo quel che i veneziani avevano fatto un millennio prima, un gruppo di loro si stabilì nella grande e ramificata foce del Dnjepr, là dove i tartari perdevano tutta la lo capacità militare e non potevano operare. Oltre a ciò, il grande fiume offriva importanti risorse in fatto di pesce e di legname mentre il vicino mare provvedeva il ricercatissimo sale: i cosacchi sul Dnjepr costituirono così una repubblica militare a democrazia diretta che, seppur di piccole dimensioni, pure seppe rimanere libera ed indipendente ed offrire a chi li chiedeva i suoi ricercati servizi bellici. Nonostante i cosacchi siano ancor oggi rinomati per la loro abilità di provetti cavallerizzi, essi furono anche – e soprattutto – abili uomini di mare che si muovevano su imbarcazioni di loro costruzione simili ai drakkar vichinghi. A Sebastopoli in cima al grande monumento che ricorda i caduti e gli eroi della seconda guerra mondiale è possibile ammirare una ricostruzione di tale imbarcazione. La loro prima capitale fu Zaporizhye, al cui interno si trova l’isola di Khortitsa (13 km. x 2,5 km.) su cui all’inizio del XVI secolo fondarono la loro prima città-fortezza e su cui oggi sorge il Museo della storia cosacca: l’acqua era insomma il loro elemento e la loro difesa contro i tartari, inefficaci fuori della steppa. Dalla Polonia alla Russia Anche se di fatto ormai largamente autonoma, l’Ucraina era comunque indebolita e sottomessa ai mongoli (e razziata dai tartari di Crimea) così che nel 1471 potè essere annessa al Granducato di Lituania: quando poi nel 1569 quest’ultimo venne unito al Regno di Polonia anche l’Ucraina entrò a farne parte, ma non fu un’unione felice anche per la diversità di religione (polacchi e lituani erano cattolici mentre gli ucraini erano ortodossi – con tutto quello che ciò significava) e nel 1648 gli ucraini, guidati da Bogdan Hmel’nic’kij, si ribellarono. Oggi nella piazza antistante la Cattedrale di S. Sofia, cioè nel luogo più centrale e significativo di Kiev, sorge il monumento equestre del comandante vittorioso: fu proprio in questa piazza che il popolo festante l’acclamò vincitore e che lui si autoproclamò voivoda (signore), ma nel 1651 i polacchi tornarono vendicativi e distrussero la città: fu giocoforza che Bogdan nel 1654 chiedesse allora l’aiuto dei russi, e fu sempre in questa piazza che lo stesso voivoda accolse il loro plenipotenziario. 6 Lo scontro terminò comunque solo nel 1667 quando - terribilmente minacciate dall’invasione (il ‘diluvio’) dei terribili svedesi che, allarmati dall’espansione russa e violentemente aggressivi nei confronti della Polonia-Lituania, erano nuovamente sbarcati sul continente - Russia e Polonia dovettero cessare le ostilità fra di loro: il trattato di Andrusovo fissò così il confine fra i due paesi sul Dnjepr. Kiev diventava russa e trovò finalmente pace, ma il milione di ucraini venne diviso e continuava ad essere un popolo senza indipendenza, anche se all’interno della Russia Kiev fu sede di un governatorato e divenne un importante centro commerciale, culturale e religioso. Fu con le tre spartizioni della Polonia (1772, 1792 e 1795) che gli ucraini tornarono ad essere uniti - seppure all’interno della Russia di Caterina II, che in qualche modo aveva in fondo ripristinato l’unione originaria degli abitanti del Regno di Rus’ visto che era da lì che erano provenuti anche russi e bielorussi. Caterina II Come si è già accennato, alla fine del Settecento la zarina Caterina II conquistò anche la Crimea e la costa meridionale del mar Nero: la conquista terminò nel 1783 e rientrava pienamente in quella politica estera della Russia che già un secolo prima era stata iniziata ed indicata da Pietro I, cioè in quella volontà di espansione che il grande zar aveva perseguito sconfiggendo gli svedesi, giungendo così sul Baltico ed inviando Bering ad esplorare l’immensa Siberia, ma non riuscendo tuttavia ad aver ragione dei tartari di Crimea e dei turchi a sud. Oltre a voler far cessare l’emorragia di uomini e di cose dovuta alle continue scorrerie e razzie subite ad opera dei tartari di Crimea (emorragia che l’acquisizione dell’Ucraina rendeva ancor più insopportabili), agiva poi potente la volontà russa di giungere ai mari caldi (cioè al Mediterraneo) che l’impero ottomano impediva: il possesso della Crimea e del mar Nero settentrionale era dunque un passo evidentemente necessario a questo scopo e preludeva ad ulteriori conquiste. Non a caso i contemporanei in Europa avevano ben chiaro che le prossime mire di Caterina II erano Varsavia ed Istanbul. In ogni caso l’arrivo dei russi segnò un cambiamento epocale in tutta la regione e in tutta l’Ucraina stessa, come ben ricorda il monumento a Caterina II ad Odessa, quello a Richelieu, il suo primo governatore - rappresentato addirittura con la toga romana e posto in cima alla famosissima scalinata (originariamente di 200 gradini ma oggi di 192 per far spazio alla strada che scorre perpendicolare) che univa (e unisce) la città al porto - 7 ed i due palazzi del suo successore Vorontsov (imparentato addirittura coi Romanov), quello a Odessa e quello enorme, una vera e propria reggia, ad Alupka (fra Sebastopoli e Yalta). L’arrivo dei russi – celebrato dal fantastico viaggio che Caterina II intraprese in tutta la regione per celebrare con tutto lo sfarzo possibile il trionfo suo e della cultura illuministica – fu immediatamente seguito dal pieno inserimento di tutte le nuove acquisizioni nella compagine dell’impero: strade, città, palazzi, ma soprattutto porti e popolamento delle aride e steppose parti dell’Ucraina ancora praticamente deserte trasformarono per sempre l’intero territorio. Caterina II invitò e favorì tutti gli europei che l’avessero voluto ad insediarsi nei nuovi possedimenti e ne donava la terra ai suoi nobili purchè vi ci si trasferissero coi loro servi della gleba: coi russi giunsero dunque numerosi stranieri (soprattutto greci), ma anche la servitù della gleba - che era sempre stata sconosciuta agli orgogliosi cosacchi. I cosacchi del Dnjepr – da non confondere con quelli (più poveri) del Don – furono però trasferiti lungo i nuovi confini e soprattutto sul turbolento Caucaso: agguerriti e combattivi – ma anche indocili, indipendenti e con un forte spirito di appartenenza – si capisce facilmente che erano una grande risorsa dove c’era da combattere e dove ci si poteva permettere di lasciar loro le briglie sul collo, ma altrimenti, proprio per queste stesse qualità, anche una minaccia all’ordine interno. Oggi insomma i cosacchi non si trovano più sul suolo dell’Ucraina, anche se a Zaporishye il turista può ammirare le loro manifestazioni e le loro prodezze a cavallo. Circa i tartari di Crimea, quelli che ci rimasero persero per sempre la loro indipendenza e furono per sempre posti nelle condizioni di non nuocere. Il 18 maggio 1944, dopo l’occupazione nazista e la riconquista sovietica, sarebbero poi stati deportati in Uzbekistan da Stalin che li avrebbe accusati (a ragione) di collusione coi tedeschi: riammessi sulle loro terre natali solo a partire dal 1989 (!), oggi essi costituiscono il 13% dei 2 milioni di abitanti della Crimea che, proclamato l’autogoverno il 5 maggio 1992, accettò poi di entrare a far parte dell’Ucraina - pur mantenendo però lo status di Repubblica Autonoma. L’Ucraina e la Crimea russe Le vicende dell’Ucraina e della Crimea non furono più separabili da quelle dell’impero russo con cui si fusero insieme: con le sue fertili e famose ‘terre nere’ (l’enorme bacino meridionale del Dnjepr) l’Ucraina divenne il ‘granaio d’Europa’ ed effettivamente dai porti della Crimea, prontamente costruiti insieme alle nuove, eleganti e spaziose città, ne venivano esportate grandi quantità, ma, anche se la 8 bicolore bandiera odierna dell’Ucraina nella metà inferiore è gialla (grano) ed in quella superiore blu (cielo), tale definizione era esagerata e riduttiva date le altre risorse naturali (agricole e non) del paese, dai semi di girasole e dal mais al carbone (soprattutto nel rinomato Donbass), ai minerali ferrosi ed al manganese: le scorte di gas e di petrolio sono invece ormai in via di esaurimento. La Crimea era comunque la punta avanzata dell’impero russo a sud e verso l’Europa centro-meridionale anche per la sua inesausta spinta militare: con l’arrivo dei russi sul mar Nero si era aperta infatti la cosiddetta ‘questione d’Oriente’ in cui le pressioni russe sugli Stretti dei Dardanelli e del Bosforo per l’accesso al Mediterraneo si scontravano colla opposta politica di contenimento delle Potenze Europee (che nel Mediterraneo preferivano di gran lunga avere a che fare coi turchi ormai non più pericolosi piuttosto che coi russi) e l’arretratezza dell’impero ottomano colle rivolte anti-turche delle popolazioni slave dei Balcani – a loro volta sostenute dalla Russia. Momento culminante e chiaro esempio di ciò fu la guerra di Crimea (1853-55). La guerra di Crimea fu combattuta da Francia, Inghilterra e, in un secondo momento, dal Regno di Sardegna (mentre il resto d’Europa rimase neutrale) in aiuto dell’impero ottomano ridotto a mal partito dall’ennesimo attacco russo: questa guerra significò l’isolamento della Russia dello zar Nicola I, ormai vecchio ed alla fine della sua vita, ed il segnale per il suo successore Alessandro II che il momento di intraprendere la via delle riforme era ormai giunto e non poteva più essere rimandato, ma in questa sede importa sottolineare che la guerra si concentrò praticamente a Sebastopoli, la grande base navale russa da cui soltanto poteva muovere la flotta. L’assedio della città durò ben 349 giorni (gli alleati riuscirono ad espugnarla solo dopo l’arrivo dei piemontesi!) e gli abitanti riuscirono fortunosamente ad evacuarla ma non ad impedire che venisse rasa al suolo. Al Congresso di Parigi la città venne resa alla Russia (in cambio di Kars che quest’ultima aveva occupato) a patto che non vi venisse più ricostruita la base navale (ma questo divieto venne superato per motivi di equilibrio in seguito alla formazione del Reich tedesco). A Sebastopoli il ricordo di questa guerra è ancor oggi vivissimo (!) ed è mantenuto significativamente all’attenzione di tutti dallo spettacolare e suggestivo museo ‘Panorama’ ad essa dedicato: anche la partecipazione di noi italiani è ricordata da una stele che sorge nella campagna circostante (non lontano dal fiume Cernaja dove le truppe sarde combatterono), mentre il vicino nostro cimitero di guerra fu spazzato via durante gli scontri della seconda guerra mondiale. La rilevanza strategica di Sebastopoli è indubbia e si mantiene intatta ancor oggi: durante la seconda guerra mondiale resistette per 250 giorni alle truppe tedesche che nuovamente l’assediarono (Hitler aveva addirittura progettato di costruire una 9 ferrovia per collegarla al petrolio azero) mentre oggi ospita la (misera) flotta ucraina ed una russa (fino al 2042). L’affinità di ucraini e russi non fu comunque sempre un fattore positivo, dato che essa favorì una politica di assimilazione forzata - tanto che lo zar Alessandro II, pur così riformatore, vietò addirittura l’uso stesso della lingua ucraina (!). In ogni caso la storia dell’Ucraina (e della Crimea) si fuse con quella della Russia e, dopo la rivoluzione d’Ottobre, con quella dell’URSS fino alla sua dissoluzione. L’Ucraina dovette così sopportare le devastazioni della guerra civile, l’orrore del comunismo sovietico con le sue ‘purghe’ e la sua politica di annullamento delle peculiarità storiche, religiose, culturali, ecc., in vista dell’edificazione del nuovo regime (vedere a questo proposito il mio ‘Homolodor’), le inenarrabili devastazioni dell’invasione nazista nella seconda guerra mondiale, gli sforzi della resistenza contro la feroce occupazione, le ennesime spietate distruzioni … finchè giunse infine anche per l’Ucraina il tempo della la ricostruzione postbellica. Conclusione Col crollo dell’URSS nel 1991 anche l’Ucraina ha riacquistato la sua indipendenza (vedere a questo proposito il mio ‘Lukàcs’) che in pratica aveva perso fin dal tempo dell’invasione mongola (!) Oggi tale evento storico è ricordato dalla vasta e suggestiva piazza dell’Indipendenza costruita a Kiev per celebrare l’evento nel suo primo decennale, ma il futuro (ed il presente) del paese non sembra semplice, anche se oggi le città ucraine si mostrano al visitatore nuove e rimesse in ordine, tanto che si stenta a credere che abbiano dovuto patire tanti orrori: le loro vie sono ampie ed eleganti, spaziose e percorse da folle di giovani di bell’aspetto, mentre la loro urbanistica e la loro architettura tipicamente russe sono suggestive ed esprimono indubbio buon gusto. Sono insomma città nuove ed i loro monumenti ripristinati appaiono ben tutelati, come ad esempio la chiesa di S. Michele, interamente ricostruita dopo l’indipendenza in una decina d’anni (!) così com’era stata. L’Ucraina in verità ha dovuto (e deve) superare insieme le crisi dovute al crollo del sistema comunista ed alla necessità di procedere da sola: sembra però lecito chiedersi se quest’ultima strada sia sensata e davvero percorribile. Almeno ¼ della popolazione ucraina è russo (molti ucraini parlano russo anziché ucraino), ci sono naturalmente coloro che sono nati da matrimoni ‘misti’, il ceppo di russi, bielorussi ed ucraini è lo stesso e comune è la radice storica del Regno di Rus’, stesso l’alfabeto ed affini le lingue, numerosi i legami ed i rapporti dopo secoli di unione, stessa la religione, … mentre il fallimento della ‘rivoluzione arancione’ del 10 2005 di Yushenko e della Timoshenko scoppiata per legare strettamente il paese all’Occidente (e di farlo addirittura entrare nella NATO!) testimonia le difficoltà oggettive dell’Ucraina di incamminarsi per una strada diversa e magari opposta a quella percorsa per secoli insieme alla Russia ed alla Bielorussia – ed al visitatore vien da chiedersi se ciò abbia senso. Forse il gigantesco monumento all’amicizia di Russia e Ucraina a Kiev esprime ancora qualcosa di vivo e valido, ma una risposta definitiva a questo problema esula dalle possibilità di un turista straniero, per quanto interessato a capire sia.