L’Italia di Giolitti Sondrio Aosta Torino Saluzzo Udine Milano Verona Brescia Venezia linee attivate fino al 1914 Bologna Genova Rimini Pietrasanta Pisa Firenze Piombino Ancona Perugia Orvieto Civitavecchia Roma Pescara Frascati Foggia Bari Olbia Sassari linee attivate fino al 1870 Napoli Salerno Nuoro Brindisi Potenza Lecce Arbatax Leuca Cosenza Cagliari Catanzaro Palermo Trapani Enna Agrigento Messina Reggio Calabria Catania Siracusa Lo sviluppo della rete ferroviaria in Italia tra 1870 e 1914 Il Pil dell’Italia alla vigilia della Prima guerra mondiale Commercio e attività terziarie 30% Banca Romana: ex banca dello Stato pontificio, era un Istituto d’emissione: uno dei sei istituti che all’epoca erano autorizzati a emettere moneta circolante in Italia. Agricoltura 45% Industria 25% 2.1 Economia e società in Italia tra XIX e XX secolo Lo sviluppo demografico ed economico italiano nella Belle époque Tra 1870 e 1913, la popolazione italiana crebbe da 26 a 36 milioni, un incremento determinato principalmente dalle migliorate condizioni alimentari, igieniche e sanitarie. Per esempio, soprattutto in città, si diffuse l’uso dell’acqua corrente nelle case e fu migliorata l’efficienza degli impianti fognari, con la conseguente diminuzione della mortalità da malattie infettive. Nello stesso periodo l’Italia conobbe anche un deciso sviluppo dell’economia. Durante il periodo della Belle époque lo Stato italiano godette del buon andamento delle finanze pubbliche e della stabilità della lira: grazie alle politiche attuate nell’ultimo quarto dell’Ottocento, all’inizio del XX secolo era stato raggiunto il pareggio di bilancio e la moneta veniva addirittura preferita all’oro sui mercati internazionali. La ricchezza nazionale crebbe, così come il reddito medio degli italiani, che si incrementò del 33% tra 1896 e 1913. La maggiore disponibilità di denaro si tradusse in una crescita dei consumi e del risparmio. Grazie all’aumento di quest’ultimo e dei depositi bancari, il sistema creditizio mostrò una maggiore disponibilità a finanziare gli investimenti agricoli e industriali. Importanti furono, al riguardo, il riordino del settore attuato dallo Stato dopo la crisi della Banca Romana e la nascita, sul finire del XIX secolo, della Banca Commerciale (COMIT), nella quale predominavano capitali tedeschi, e del Credito Italiano. Va ricordato che le banche intervenivano nei settori più importanti dell’economia. Questo ruolo però non sempre aiutò l’industria: spesso le banche imponevano la presenza di loro rappresen- tanti nei Consigli di amministrazione delle società finanziate, cosa che poteva renderne difficoltosa e non priva di contrasti la gestione. Per questo rapporto la COMIT e il Credito Italiano erano definite banche miste. Fu inoltre creata la Banca d’Italia, da allora custode delle regole finanziarie del paese e unica autorizzata a stampare carta moneta. In generale, l’intero apparato produttivo conobbe un avanzamento. Nel settore agricolo, le bonifiche, il miglioramento dei sistemi di irrigazione e l’uso dei primi concimi chimici determinarono la crescita delle rese e dei redditi delle campagne. A cavallo tra Ottocento e Novecento, l’agricoltura occupava ancora la maggior parte dei lavoratori italiani e forniva circa il 55% del prodotto nazionale lordo. Imponenti piani di lavori pubblici consentirono inoltre di estendere la rete stradale e di realizzare opere infrastrutturali come il traforo del Sempione e l’acquedotto pugliese. Particolare attenzione fu dedicata al miglioramento della rete ferroviaria . Essa fu nazionalizzata nel 1905, e la sua estensione passò dai 9290 chilometri del 1880 ai 18.090 chilometri del 1910: un progresso straordinario, in un campo in cui però Regno Unito (con 35.000 chilometri), Francia (43.000) e Germania (51.000) rimanevano ancora lontani. Infine, nel periodo in esame, l’Italia conobbe un deciso sviluppo in campo industriale. La potenza industriale italiana La crescita impetuosa del settore industriale fu decisiva per aumentare la ricchezza e il prestigio del paese, e consentì anche all’Italia di proporsi come un interlocutore credibile sui grandi temi di politica internazionale. Tutti i comparti dell’industria progredirono e nel 1913 il settore secondario garantiva il 25% del prodotto nazionale lordo, mentre il numero degli addetti cresceva costantemente e la stessa produzione appariva raddoppiata rispetto al 1896. In primo luogo avanzarono i comparti sostenuti dallo Stato perché di interesse strategico, come la siderurgia, la cantieristica o l’idroelettrico. La siderurgia aveva la sua punta di diamante nelle Acciaierie di Terni, in Umbria. La cantieristica brillava nell’Ansaldo di Sampierdarena, in Liguria. Nel 1898 cominciò a funzionare la centrale Donne impiegate come operaie alla catena di montaggio delle Officine Ansaldo, Genova, 1915 circa. Cartellone pubblicitario della Fiat, 1928. L’aumento della popolazione in Italia tra 1861 e 1921 40.000.000 36.921.000 35.000.000 30.000.000 33.778.000 26.328.000 28.151.000 29.791.000 25.000.000 20.000.000 15.000.000 10.000.000 5.000.000 0 1861 1871 1881 1870 1891 idroelettrica di Paderno sul fiume Adda, in Lombardia. Essa forniva energia alla città di Milano, distante ben 32 chilometri. Si calcola che in questa nuova industria vennero investiti circa 550 milioni di lire nel 1914. Per lo sviluppo di questi settori strategici ebbe fondamentale importanza la scelta protezionistica effettuata già nel 1887, che imponeva dazi elevatissimi sulla concorrenza estera e favoriva la crescita dell’industria nazionale. Grande sviluppo conobbe l’industria meccanica: sia quella pesante, che fabbricava per esempio locomotive e macchine per l’agricoltura, sia quella leggera, in cui spiccava la nuovissima produzione di automobili, con Fiat (Fabbrica italiana automobili Torino) e Lancia a Torino, e Alfa (Anonima lombarda fabbrica automobili) a Milano. La Fiat, in particolare, fondata a Torino da Giovanni Agnelli nel 1899, divenne presto il maggior produttore automobilistico del paese, stimolando la produzione di gomma, sorta a Milano nel 1872 ad opera di Giovanni Battista Pirelli. Anche se, in generale, l’in- © Loescher Editore – Torino 28 37.876.000 1901 1911 1921 Tweet Storia p. 430 © Loescher Editore – Torino 1882 Koch scopre il batterio della tubercolosi 1895 I Lumière brevettano il cinematografo 1903 Primo volo aereo dei fratelli Wright 1913 Ford introduce la catena di montaggio 1920 29 1 2 L’Europa e il mondo nel primo Novecento A. Morbelli, Per 80 centesimi?, 1893-95, Vercelli, Civico Museo Borgogna. Filippo Turati. dustria meccanica italiana era ancora molto arretrata rispetto a quelle di Francia, Germania e Regno Unito, tuttavia tra 1900 e 1913 raddoppiò il fatturato scalando rapidamente posizioni nella graduatoria internazionale. Ebbero infine ulteriore impulso il comparto tessile – soprattutto il cotoniero –, il chimico, l’alimentare – in particolare la produzione di zucchero (Eridania) –, e l’estrattivo, già ampiamente diffusi sul territorio. È importante sottolineare che tale sviluppo toccò in prevalenza le regioni nord-occidentali d’Italia: al principio del Novecento, in Lombardia, Liguria e Piemonte trovava occupazione la metà di tutti gli operai italiani, circa un milione di lavoratori. E mentre il Centro dava a sua volta segni di crescita, era il Sud a offrire le prospettive meno incoraggianti. Come vedremo, il Mezzogiorno d’Italia non solo non si avvicinava alla parte più ricca e dinamica del paese, ma veniva da essa ulteriormente distanziato. La «questione sociale» p. 66, 68 All’inizio del XX secolo, il dibattito politico nazionale era animato da tre grandi temi, riassumibili nelle espressioni «questione sociale», «questione meridionale» e «questione cattolica». Proprio gli operai erano i protagonisti della «questione sociale»: i salariati dell’in- Manifesto del quotidiano socialista «Avanti!». dustria, infatti, erano costantemente in lotta per ottenere migliori condizioni lavorative, compensi più elevati, e un ruolo nella vita pubblica italiana. Essi potevano contare su una organizzazione poderosa. In primo luogo essi erano rappresentati dal Partito socialista italiano, nato nel 1895, guidato da Filippo Turati e capace di conquistare molti seggi alla Camera dei deputati: 15 già nelle elezioni del 1895 e in crescita nelle consultazioni successive. Nel 1906 inoltre si era formata la CGL, la Confederazione generale del lavoro, un grande sindacato nazionale degli addetti di fabbrica. L’espansione della CGL e di organizzazioni analoghe fu costante, e nel 1913 gli operai italiani sindacalizzati erano circa 970.000. Sempre per organizzare e proteggere gli interessi dei salariati, in molte città operavano anche le Camere del lavoro, strettamente legate al mondo sindacale e al Partito socialista. Infine, l’«Avanti!», il quotidiano del Partito socialista, guidava una capillare opera di propaganda. I braccianti agricoli si erano organizzati nel 1901 con la fondazione la Federazione italiana dei lavoratori della terra («Federterra»), che raccoglieva oltre 200.000 tesserati e rappresentava anche mezzadri e piccoli affittuari, che chiedevano l’aumento delle retribuzioni e la riduzione degli orari di lavoro. Un simile sviluppo dell’associazionismo operaio e della sua rappresentanza politica si traduceva in un aumento delle rivendicazioni da parte dei lavoratori e in generale della conflittualità sociale. Per questo, il numero degli scioperi e delle ore di astensione dal lavoro aumentò per tutto il primo quindicennio del Novecento. Il movimento operaio tuttavia non era unito. Lo stesso Partito socialista era diviso al proprio interno: da un lato la corrente riformista (a cui apparteneva lo stesso Turati) sosteneva il graduale aumento della partecipazione delle masse popolari alla vita pubblica del paese, dall’altro la corrente massimalista sposava tesi più apertamente rivoluzionarie. Altre influenti organizzazioni della sinistra italiana d’opposizione erano gli anarchici, i repubblicani e i radicali, tutte su posizioni più estreme rispetto ai socialisti. Gli anarchici, numericamente esigui e dichiaratamente nemici dei governi borghesi, erano sostenitori della rivoluzione e di un metodo di lotta violento. I repubblicani, eredi del pensiero mazziniano, avevano come primo obiettivo l’abbattimento della monarchia. I radicali, infine, lottavano per un allargamento dei diritti civili e per una maggiore democrazia sociale, ma godevano di scarso seguito tra le masse. Seggi parlamentari ottenuti dai socialisti tra 1895 e 1913 Anno N. seggi 1895 15 seggi 1897 15 seggi 1900 33 seggi 1904 29 seggi 1909 39 seggi 1913 47 seggi La «questione meridionale» e l’emigrazione verso l’estero La «questione meridionale» ruotava attorno al grave, e in apparenza irrisolvibile, stato di arretratezza economica e sociale del Sud d’Italia. Nel Mezzogiorno il settore primario era ancora basato sul latifondo e sullo sfruttamento estensivo della terra. Si trattava di un’agricoltura estremamente arretrata, gravata dalla virtuale assenza delle innovazioni che in quegli anni avvantaggiavano il settore nel Nord del paese: lavori di bonifica, moderni sistemi di irrigazione, sfruttamento industriale delle piante, uso di prodotti chimici per la concimazione. La persistenza dei dazi sui cereali importati dall’estero, inoltre, N. Palizzi, Piazza Orsini a Benevento, 1898, Vasto, Musei Civici di Palazzo d’Avalos, Pinacoteca. © Loescher Editore – Torino 30 1870 L’Italia di Giolitti © Loescher Editore – Torino 1882 Koch scopre il batterio della tubercolosi 1895 I Lumière brevettano il cinematografo 1903 Primo volo aereo dei fratelli Wright 1913 Ford introduce la catena di montaggio 1920 31 1 2 L’Europa e il mondo nel primo Novecento Percentuali di analfabetismo nelle regioni italiane (1861-1911) 1861 1871 1901 1911 Piemonte 54,2 42,3 17,7 11,0 Liguria 54,2 56,3 26,5 17,0 Lombardia 53,7 45,2 21,6 13,4 - 64,7 35,4 25,2 Emilia-Romagna 77,6 71,9 46,3 32,7 Marche 83,0 79,0 62,5 50,7 Toscana 74,0 68,1 48,2 37,4 Umbria 83,8 80,1 60,3 48,6 Lazio - 67,7 43,8 33,2 Campania - 80,0 65,1 53,7 Abruzzo e Molise - 84,8 65,1 53,7 86,3 84,5 69,5 56,7 Basilicata - 88,0 75,4 65,3 Calabria - 87,0 78,7 69,6 Sicilia 88,6 85,3 70,9 58,0 Sardegna 89,7 86,1 68,3 58,0 Veneto G. Fattori, Buoi al carro, 1870 circa, Firenze, Galleria d’Arte Moderna. Infrastruttura: complesso di servizi e impianti necessari allo sviluppo economico e sociale di un paese. garantiva le rendite dei grandi proprietari terrieri e non li incoraggiava in alcun modo ad ammodernare le modalità di produzione. In generale, le pesanti carenze infrastrutturali , a cominciare da quelle nei trasporti, costituivano un ostacolo insormontabile allo sviluppo di una moderna economia. Industrie di rilevanti dimensioni e tecnologicamente avanzate erano quasi completamente assenti, e mancava una grande borghesia capitalistica. Di conseguenza, in tutto il Mezzogiorno lavorava appena il 25% degli operai italiani. Altre piaghe gravavano, inoltre, sul Meridione d’Italia: l’amministrazione pubblica era arretrata e spesso asservita ai notabili locali, la disoccupazione appariva endemica, l’analfabetismo colpiva circa i tre quarti della popolazione, le diverse forme di criminalità organizzata acquistavano sempre maggior potere. Infine, le precarie condizioni igieniche e il basso livello dell’assistenza medica erano causa della sorprendente diffusione della malaria e della tubercolosi, malattie che percentualmente colpivano assai più che in altre zone della penisola. In mancanza di valide prospettive di lavoro e di vita, dalle regioni meridionali partì la maggior parte degli emigranti che in quegli anni lasciarono l’Italia: solo tra il 1900 e il 1914 furono complessivamente 8 milioni, provenienti da ogni zona d’Italia, ma in rapporto ai residenti, la percentuale di emigranti meridionali fu particolarmente elevata. Essi, inoltre, partirono quasi sempre in via definitiva, scegliendo le destinazioni più lontane, come le Americhe. L’emigrazione determinò quindi l’impoverimento umano delle aree di partenza, private delle forze intellettuali e fisiche più giovani e valide, ma ebbe fortunatamente anche risvolti positivi, Puglia D. Cosola, Il dettato, 1890, Torino, Galleria Civica. perché alleggerì la pressione demografica sulle scarse risorse disponibili. Inoltre, le rimesse, ossia l’invio di denaro in patria da parte degli emigrati, divennero presto una voce fondamentale delle entrate italiane e contribuirono in notevole misura al sostentamento delle popolazioni meridionali. A La «questione cattolica»: la partecipazione dei credenti alla vita pubblica nazionale Il papa Pio IX nel 1868 aveva dichiarato il «non expedit», con cui vietava ai cattolici italiani di partecipare alla vita pubblica nazionale. Nel 1889 Leone XIII con l’enciclica Rerum Novarum , se da un lato condannava il socialismo e la lotta di classe, dall’altro invitava i fedeli ad occuparsi dei lavoratori che vivevano miseramente per l’avidità dei padroni. Questa enciclica, scritta per superare l’atteggiamento chiuso di Pio IX, incoraggiava dunque la costruzione di una società più equa e, di conseguenza, con un fondamentale richiamo alla moderazione, sosteneva i diritti dei salariati, compreso il diritto di associazione sindacale e di astensione dal lavoro. Essa inoltre sosteneva apertamente l’estensione del diritto di voto. In seguito alla promulgazione dell’enciclica fiorirono cooperative e associazioni di stampo cattolico che si radicarono velocemente nel mondo del lavoro. Nacquero in quegli anni le cosiddette «leghe bianche», create da Guido Miglioli e assai diffuse nelle campagne, dove organizzavano l’assistenza e la solidarietà tra i contadini. Questa apertura non mancò di produrre anche dei problemi in seno alle gerarchie ecclesiastiche. Molto nota è per esempio la vicenda di Romolo Murri, sacerdote marchigiano fondatore nel 1900 del Movimento democratico cristiano, che si proponeva di promuovere in ambito politico la dottrina sociale della Chiesa sostenendo le lotte dei lavoratori e chiedendo al contempo al governo maggiore attenzione per le esigenze dei salariati. Entrato in Parlamento nel 1904 con il voto delle sinistre, Murri si batté per la nascita di un movimento democratico cristiano autonomo rispetto all’autorità religiosa. Per questo fu giudicato dal Vaticano troppo avanzato e radicale, venendo infine scomunicato da papa Pio X nel 1909. Anche in Italia, inoltre, come nel resto d’Europa, le gerarchie cattoliche dovettero misurarsi con l’avanzare del modernismo teologico, vale a dire con la tendenza, sempre più diffusa in ambito ecclesiale, a cercare il punto di contatto tra dottrina e insegnamento della Chiesa, da un lato, e pensiero filosofico contemporaneo, progresso tecnico ed evoluzione dei costumi, dall’altro. Le aperture e l’impegno del Vaticano nelle problematiche sociali lasciavano però presagire un maggiore interesse anche per le questioni politiche: all’inizio del Novecento i tempi apparivano maturi per riesaminare l’annosa questione dell’impegno politico dei cattolici italiani. 1870 enciclica: lettera di carattere dottrinale e pastorale, scritta in latino, che il papa indirizza ai fedeli di tutto il mondo. Rerum Novarum: questa lettera enciclica si occupava, come dice il suo titolo in latino, «delle cose nuove», in primo luogo dei problemi del mondo del lavoro. Nacque con essa la «dottrina sociale» della Chiesa, ossia quell’insieme di principi e insegnamenti intesi a risolvere le questioni sociali secondo lo spirito del Vangelo. Prima pagina dell’enciclica Rerum Novarum di Leone XIII, 1889. Album p. 44 Leone XIII, papa dal 1878 al 1903. © Loescher Editore – Torino 32 L’Italia di Giolitti Tweet Storia p. 430 © Loescher Editore – Torino 1882 Koch scopre il batterio della tubercolosi 1895 I Lumière brevettano il cinematografo 1903 Primo volo aereo dei fratelli Wright 1913 Ford introduce la catena di montaggio 1920 33 1 2 L’Europa e il mondo nel primo Novecento Giovanni Giolitti alla guida d’Italia Il generale Bava Beccaris. Assassinio del re Umberto I a Monza per mano dell’anarchico Bresci, 1900. 2.2 Giovanni Giolitti alla guida dell’Italia Dall’uccisione di Umberto I al governo Zanardelli amnistia: provvedimento legislativo con cui lo Stato rinuncia ad applicare la pena nei confronti di determinate categorie di reati. Il 29 luglio 1900, l’anarchico Gaetano Bresci uccise a Monza il re Umberto I. Il sovrano aveva appoggiato sul finire dell’Ottocento la svolta autoritaria imposta alla politica italiana prima da Francesco Crispi e poi dal marchese di Rudinì e da Luigi Pelloux. Quest’ultimo aveva addirittura proposto al Parlamento l’approvazione di una serie di leggi straordinarie che limitavano le libertà costituzionali, come quella di associazione, introdotte dallo Statuto Albertino del 1848. Il Parlamento aveva bocciato la proposta, ma proprio le gravi tensioni sociali – nel A. Beltrame, Vittorio Emanuele III presta giuramento di fedeltà allo Statuto, 1900. 1898 a Milano il generale Bava Beccaris aveva preso a cannonate la folla in rivolta contro il rincaro del prezzo del pane – avevano armato la mano di Bresci. Il nuovo re, Vittorio Emanuele III (19001946), consapevole della difficile situazione politica e sociale, abbandonò lo stretto autoritarismo di suo padre e tornò all’osservanza dello Statuto, nella speranza di instaurare un nuovo rapporto con le masse popolari. A tale fine, nel febbraio 1901 affidò il compito di guidare l’esecutivo a Giuseppe Zanardelli, giurista e noto esponente della Sinistra liberale, il quale amnistiò i condannati politici e garantì la libertà d’espressione. La crisi di fine Ottocento si chiudeva quindi con un deciso arretramento delle forze conservatrici e l’avanzata di quelle più aperte ai mutamenti dei tempi. Tra 1901 e 1903 ministro dell’Interno del governo Zanardelli fu Giovanni Giolitti, a sua volta presidente del Consiglio dal novembre del 1903 e quasi ininterrottamente fino alla Prima guerra mondiale. Giolitti era già stato capo dell’esecutivo per un breve periodo, tra 1892 e 1893; tornato ora al potere su basi più solide, poté dispiegare per intero il suo disegno politico, così incisivo che l’intero periodo è passato alla storia come «età giolittiana». Giolitti era un liberale di tendenze riformiste, convinto della necessità di un dialogo tra istituzioni e lavoratori. Nella sua visione politica, le concessioni al popolo non rappresentavano un cedimento dello Stato; al contrario, costituivano lo strumento migliore per allargarne le basi democratiche ed evitare la creazione di un pericoloso clima di contrapposizione nel paese. [Testimonianze documento 3, p. 71] Per questo si adoperò a favore di una legislazione sociale più ampia e soprattutto garantì ai lavoratori una reale libertà di astensione dal lavoro. Lo sciopero, disciplinato per legge nel 1889, era già un diritto dei salariati, ma esso veniva costantemente ostacolato dal padronato e violato con l’intervento delle forze di pubblica sicurezza. Al contrario dei suoi predecessori, in caso di controversia Giolitti si limitò a garantire l’ordine pubblico, incoraggiando le parti sociali a trattare e a risolvere con accordi i contrasti del mondo del lavoro. In altre parole, in caso di conflitti di classe, Giolitti assunse il ruolo di tutore delle leggi, lasciando che le parti trovassero l’equilibrio che corrispondeva all’importanza delle rispettive funzioni. e degli invalidi fu ampliato, il lavoro femminile e minorile venne limitato e protetto, fu introdotto il diritto al riposo settimanale. L’istruzione elementare divenne obbligatoria fino al dodicesimo anno di età e la riforma elettorale del 1912 allargò in modo sostanziale il diritto di voto. Non da ultimo, Giolitti favorì la creazione dell’Istituto nazionale per le assicurazioni. Nato nel 1912 dopo una furibonda battaglia parlamentare, che vide opporsi al presidente del Consiglio gli interessi della finanza, delle banche e delle compagnie assicurative private, l’INA garantì allo Stato il controllo delle assicurazioni sulla vita e, dunque, di una parte fondamentale del sistema previdenziale. Sul terreno più circoscritto dei rapporti d’impiego, i lavoratori chiedevano invece soprattutto salari più alti e una settimana lavorativa più breve. A fronte delle loro rivendicazioni, delle manifestazioni di protesta e degli scioperi, Giolitti rimase saldo nella sua saggia e prudente politica di non ingerenza, purché il conflitto non scadesse mai in violenza. Il confronto con i lavoratori I lavoratori rivendicavano il suffragio universale, un sistema fiscale più equo e una legislazione sociale più attenta ai loro problemi. Giolitti era convinto che promuovere i diritti e il benessere dei salariati sarebbe tornato a vantaggio dell’intero sistema produttivo nazionale e molto si adoperò per soddisfare le loro richieste, soprattutto in ambito assistenziale. Il sostegno previdenziale in favore dei lavoratori anziani, degli infortunati sul lavoro Giovanni Giolitti in una fotografia del 1911. © Loescher Editore – Torino 34 1870 L’Italia di Giolitti © Loescher Editore – Torino 1882 Koch scopre il batterio della tubercolosi 1895 I Lumière brevettano il cinematografo 1903 Primo volo aereo dei fratelli Wright 1913 Ford introduce la catena di montaggio 1920 35 1 2 L’Europa e il mondo nel primo Novecento Dimostrazione del 1° maggio, Trieste, 1902, Trieste, Museo di Storia ed Arte. sciopero generale: interruzione dell’attività lavorativa che coinvolge tutti i lavoratori in un paese e provoca il blocco di ogni attività e servizio sull’intero territorio. Un duro banco di prova per tale politica si verificò in occasione del grande sciopero generale del 1904, il primo nella storia d’Italia. Esso si svolse tra il 15 e il 20 di settembre e fu promosso proprio dal Partito socialista, al cui interno dopo l’ultimo congresso aveva acquistato peso predominante l’ala massimalista. Occasione per lo sciopero fu la morte di alcuni minatori per mano delle forze dell’ordine, avvenuta in Sardegna (lo scenario si ripropose poi in occasione delle violente agitazioni che percorsero la pianura padana nel 1907 e 1908). Nonostante le forti pressioni sul governo affinché intervenisse in forze, Giolitti non perse mai il controllo della situazione, riuscendo a contenere lo sviluppo del movimento dei lavoratori nell’ambito di una politica democratica. Questa benevola politica del governo e la favorevole congiuntura economica interna e internazionale determinarono un deciso incremento delle retribuzioni, sia nell’industria sia – e in misura ancora maggiore – nell’agricoltura. Convinto della necessità di avvicinare le masse popolari al governo della cosa pubblica, Giolitti offrì a Filippo Turati, capo dei socialisti, l’ingresso nell’esecutivo fin dal 1903. Turati non poté accettare a causa della netta opposizione dei massimalisti del suo partito. In generale, tuttavia, la sinistra più intransigente uscì indebolita dalle elezioni del novembre 1904, seguite allo sciopero generale del settembre, e da allora in poi Giolitti ottenne il voto parlamentare favorevole dei socialisti ogniqualvolta venivano all’esame importanti provvedimenti di riforma della società. Dialogo e ingresso in politica dei cattolici Giolitti si mostrò particolarmente abile anche nel dare una svolta alla «questione cattolica» e nello sfruttare le aperture di Leone XIII per smussare l’avversione della Chiesa allo Stato italiano che aveva affossato il potere temporale dei papi. Il non expedit era ancora in vigore, ma Pio X, salito al soglio pontificio nel 1903, si convinse della necessità di una maggiore partecipazione dei credenti alla vita pubblica: solo così si sarebbe potuto bilanciare l’estremismo delle sinistre e scongiurare il rischio di un’affermazione del socialismo. Giolitti puntava al riavvicinamento alla Chiesa e desiderava un impegno politico diretto dei cattolici che compensasse il crescente peso parlamentare dei socialisti; in altre parole, aveva bisogno del voto alla Camera di «cattolici deputati», come vennero allora chiamati, per vincere l’opposizione delle sinistre su alcune misure da lui proposte. Così, alle prime elezioni successive allo sciopero generale del 1904, Pio X concesse che alcuni cattolici si candidassero e venissero eletti nelle liste liberali, con scelta del tutto personale e non vincolante per la Chiesa. Analoga decisione fu presa per le elezioni del 1909. Si trattava, appunto, di «cattolici deputati», mentre solo in un futuro che nessuno allora poteva prevedere sarebbero comparsi i «deputati cattolici», vale a dire cattolici appartenenti a un partito d’ispirazione dichiaratamente confessionale. In occasione delle elezioni del 1913, Giolitti riuscì a stringere con Ottorino Gentiloni, presidente dell’Unione elettorale cattolica, un patto di mutuo sostegno secondo il quale gli elettori cattolici si impegnavano a votare i candidati liberali in cambio della promessa di abbandonare le politiche anticlericali e di sostenere anzi un programma che aveva i suoi punti forti nella protezione dell’insegnamento privato, nell’opposizione al divorzio e nel riconoscimento dei sindacati cattolici. Il «Patto Gentiloni» fu un successo: grazie ad esso, molti candidati liberali che si erano impegnati a rispettarne le clausole vennero eletti alla Camera con il voto convinto dei cattolici. Il patto rappresentò il primo passo verso la partecipazione piena dei cattolici alla vita politica del paese, che si sarebbe realizzata, infine, dopo la Prima guerra mondiale e con la benedizione del papa, ad opera del Partito popolare di don Luigi Sturzo. L’inefficacia dell’intervento statale nel Mezzogiorno L’azione di Giolitti si mostrò invece particolarmente inefficace nel fronteggiare le gravi difficoltà del Mezzogiorno d’Italia. Gli interventi promossi da Roma per ovviare all’arretratezza del Meridione furono limitati, per numero e consistenza delle risorse impiegate. Il malcontento sociale, contrariamente a quanto avvenne al Nord, fu frequentemente represso con le armi, causando morti e feriti. I privilegi della ricca classe proprietaria terriera non vennero intaccati e il fisco oppressivo, inflessibile in particolare nei confronti dei ceti più deboli, esacerbava gli animi verso uno Stato lontano, incapace di fornire servizi essenziali e finanziare le infrastrutture necessarie allo sviluppo. Nella stampa dell’epoca si diffuse la tesi di un’industrializzazione italiana localizzata al Nord ma finanziata con le risorse prelevate al Sud e, in questo contesto, interventi pure rilevanti come l’avvio dei lavori per l’acquedotto pugliese o la distribuzione gratuita del chinino (voluta direttamente da Giolitti e che ebbe il merito di abbassare Immagini del mezzogiorno: contadini fotografati da G. Verga a Tebidi, 1897. 1870 chinino: preparato a base di sali di chinina, una sostanza che si estrae dalla corteccia della china, pianta originaria dell’America Latina. Esso è tuttora utilizzato come base per la preparazione di farmaci antimalarici. Contadini di un latifondo della campagna laziale, 1872. © Loescher Editore – Torino 36 L’Italia di Giolitti © Loescher Editore – Torino 1882 Koch scopre il batterio della tubercolosi 1895 I Lumière brevettano il cinematografo 1903 Primo volo aereo dei fratelli Wright 1913 Ford introduce la catena di montaggio 1920 37 1 2 L’Europa e il mondo nel primo Novecento drasticamente il numero dei malarici) non ebbero particolare rilievo presso l’opinione pubblica. Giolitti fu addirittura definito «ministro della malavita» dal meridionalista Gaetano Salvemini, che lo accusava di considerare il Mezzogiorno semplicemente un serbatoio di voti, di utilizzare i prefetti per schiacciare l’opposizione politica, e di essersi legato a doppio filo ai latifondisti e persino a gruppi mafiosi, difendendone gli interessi a scapito dei bisogni del popolo. [Testimonianze documento 4, p. 71] Nel 1908 un potentissimo terremoto rase al suolo le città di Reggio Calabria e Messina. La conseguenza immediata fu che tutte le risorse destinate al Meridione vennero impiegate per la ricostruzione delle due città abbandonando il resto del territorio in condizioni di sottosviluppo. Negli anni del governo giolittiano la situazione del Mezzogiorno non migliorò e il divario che lo separava dalle aree più avanzate del paese si ampliò anzi sempre più. Il «doppio volto» di Giolitti in una caricatura di un giornale socialista. Modernizzazione: locomotive nelle Officine Ansaldo di Genova alla fine del XIX secolo. Guerra di Libia: sbarchi di fanti di marina italiani a Tripoli. Ombre e luci del governo giolittiano Le accuse di Salvemini a Giolitti portavano in primo piano il principale difetto dell’azione politica di Giovanni Giolitti. Come affermava lo studioso, Giolitti non esitò a servirsi del clientelismo e della corruzione più sfacciati promettendo ai notabili locali vantaggi finanziari in cambio del voto delle comunità che essi controllavano. Egli fece inoltre costantemente ricorso all’intimidazione degli avversari, in questo sostenuto dall’atteggiamento consenziente della forza pubblica e dei prefetti, soprattutto al Sud. Questi metodi gli assicurarono alla Camera dei deputati una maggioranza stabile, controllata in modo così saldo che alcuni hanno parlato addirittura di «dittatura parlamentare». L’abilità di muoversi fra compagni e avversari politici alla ricerca del loro consenso, tra conservatori e progressisti senza riguardi per le differenze ideologiche, procurarono inoltre a Giolitti la fama di trasformista. Tuttavia, un metodo completamente basato sulla mediazione interna alle Camere appariva già allora poco adatto a governare i complessi mutamenti della società di massa. Non si può negare che, nel complesso, la lunga stagione di governo giolittiana portò grandi benefici all’Italia, soprattutto in termini di sviluppo economico e sociale. La stabilità degli esecutivi e la tenace propensione di Giolitti a coinvolgere nel governo le forze più avanzate della società – dalla borghesia capitalistica ai socialisti riformisti – favorirono da un lato il progresso organico dell’agricoltura e dell’industria e, dall’altro, l’assorbimento degli obiettivi delle sinistre moderate nel campo degli interessi nazionali. Al termine dell’esperienza giolittiana la vita pubblica italiana appariva fortemente democratizzata e il paese avviato decisamente sulla strada della modernizzazione. Guerra di Libia: l’incrociatore corazzato «Pisa» a Tripoli durante la guerra italo-turca. 2.3 La guerra di Libia e la fine dell’«età giolittiana» La politica estera di Giolitti Divenuto presidente del Consiglio quando la memoria per la disfatta di Adua del 1896 era ancora viva, Giovanni Giolitti praticò a lungo una politica estera prudente. Conservò l’impegno nella Triplice Alleanza con Germania e Austria-Ungheria e interpretò però l’accordo in chiave puramente difensiva, senza gli accenti filotedeschi che erano stati propri di Crispi. In vista di una eventuale ripresa della politica coloniale, Giolitti cercò nel 1902 di avviare rapporti più stretti con le altre grandi potenze d’Europa, in particolare con la Francia, con la quale erano in corso contenziosi commerciali vecchi di alcuni decenni. Per esempio, Roma si disse disposta ad accettare la penetrazione di Parigi in Marocco in cambio della benevolenza francese sulle mire italiane verso Tripolitania e Cirenaica, ancora in mano di un Impero ottomano ormai al collasso. Giolitti volle poi un avvicinamento e un nulla osta sulle ambizioni coloniali italiane in Africa del Nord anche con Russia e Regno Unito. Nel complesso Roma occupava in questo modo una posizione mediana tra le pretese di Londra, Parigi e Pietroburgo, da una parte, e Vienna e Berlino, dall’altra, contri- © Loescher Editore – Torino 38 1870 L’Italia di Giolitti © Loescher Editore – Torino 1882 Koch scopre il batterio della tubercolosi 1895 I Lumière brevettano il cinematografo 1903 Primo volo aereo dei fratelli Wright 1913 Ford introduce la catena di montaggio 1920 39 1 2 L’Europa e il mondo nel primo Novecento buendo in qualche misura a stemperare le durezze diplomatiche d’inizio secolo. E solo quando sentì che il paese era pronto per un nuovo sforzo, decise di riprendere la politica coloniale aggressiva abbandonata a fine Ottocento. La ripresa della politica coloniale italiana sciovinismo: atteggiamento nazionalistico portato all’esasperazione. Deriva dal nome di N. Chauvin, soldato napoleonico particolarmente valoroso divenuto simbolo del patriota fanatico e intransigente. L’occasione venne fornita, come accennato, dalla crescente debolezza dell’Impero ottomano, i cui territori in Africa del Nord e Vicino Oriente erano ormai oggetto di una disputa accanita tra le potenze europee. L’obiettivo prescelto fu la Libia, per una serie di ragioni. In primo luogo, si trattava dell’unico territorio dell’Africa settentrionale non ancora sottoposto al dominio di una nazione europea. Inoltre la sua conquista avrebbe garantito all’Italia un ruolo internazionale di rilievo, dimostrando alle nazioni concorrenti che il paese possedeva le risorse economiche e militari necessarie per una grande impresa oltremare. L’occupazione della Libia avrebbe anche soddisfatto le richieste del movimento nazionalista, nato nel 1910 per iniziativa soprattutto dello scrittore Enrico Corradini e che si inseriva a pieno titolo nel solco dei movimenti sciovinisti che in quegli anni conquistavano in tutti i paesi europei consensi sempre più vasti nell’opinione pubblica. Particolare del nazionalismo italiano fu la contrapposizione, teorizzata dallo stes- so Corradini, tra «nazioni capitalistiche» e «nazioni proletarie». Secondo questa visione, l’Italia, nazione proletaria per eccellenza, non avrebbe dovuto rispettare i vincoli creati da alleanze di stampo tradizionale come la Triplice, ma unicamente il proprio interesse egoistico. La Libia avrebbe infine fornito una «quarta sponda» ricca di terre da coltivare, verso le quali dirottare parte dell’emigrazione. La stessa emigrazione, in questo modo, avrebbe reso un grande servizio alla madrepatria, producendo per la penisola anziché disperdersi ai quattro angoli del mondo. [ I NODI DELLA STORIA p. 42] La guerra di Libia La guerra fu decisa nel 1911 quando la Francia procedette all’occupazione del Marocco. Rimandare l’invasione, a parere di Giolitti, avrebbe privato l’Italia del necessario spazio di manovra sulla scena internazionale. Le ostilità contro l’Impero ottomano furono dichiarate il 29 settembre, in seguito ad alcuni incidenti che a Tripoli avevano visto vittime i cittadini italiani, e furono apertamente sostenute dall’opinione pubblica borghese. Solo una parte delle sinistre si oppose, affiancata da intellettuali come Gaetano Salvemini, che definì la Libia uno «scatolone di sabbia» per spiegare che non esistevano motivi economici che giustificassero i rischi e i sacrifici di una guerra. Un corpo di spedizione guidato dal generale Carlo Caneva sbarcò a Tripoli, sconfisse Guerra in Libia: fanteria italiana in trincea, 1911. Guerra di Libia: un bersagliere italiano si fa curare una ferita alla mano, 1911. i turchi e occupò velocemente la fascia costiera fino a Tobruk. La conquista dell’interno fu invece assai travagliata. A contrastare gli italiani furono qui le tribù berbere sostenute dagli stessi turchi che le armavano e le finanziavano. La guerriglia locale fu vinta col tempo, e solo con l’uso di spietati metodi repressivi. Nel maggio del 1912, l’Italia occupò Rodi e le isole del Dodecaneso. Nel luglio dello stesso anno, con le trattative diplomatiche in fase di stallo – Istanbul rifiutava di riconoscere la sconfitta – un commando di torpediniere violò lo stretto dei Dardanelli dimostrando la debolezza delle difese turche. Solo allora il sultano chiese l’armistizio e la guerra si chiuse con la firma della pace nell’ottobre 1912: l’Italia ottenne la Libia e, nel Mare Egeo, mantenne Rodi e le isole del Dodecaneso. Sul piano economico la conquista della Libia non diede i risultati sperati poiché il territorio libico, in gran parte desertico, era difficilmente lavorabile e scarsamente adatto allo sforzo di colonizzazione da parte dell’emigrazione italiana. Gli immensi giacimenti di petrolio nascosti nel suo sottosuolo erano ancora lontani dall’essere scoperti. Sul piano politico, l’avventura libica ebbe diverse conseguenze. I nazionalisti rafforzarono le proprie posizioni e misero in difficoltà il governo chiedendo non solo una politica coloniale ancora più aggressiva, ma anche una forte affermazione di potenza nei confronti delle altre nazioni europee. I socialisti invece si spaccarono e nacque al- Pagina di un giornale socialista che condanna la guerra di Libia. lora il Partito socialista riformista italiano, guidato da quei riformisti che avevano appoggiato la guerra e che erano stati espulsi dal Psi. La corrente più intransigente, avversa al governo e a qualsiasi politica bellica nel nome del pacifismo socialista, ottenne allora il controllo del partito. Filippo Turati, benché in minoranza, volle restare nel Psi. Giolitti, infine, ricavò dal conflitto notevoli consensi, ma non ebbe modo di godere a lungo di questo trionfo. Le elezioni del 1913 e la caduta di Giolitti Nel giugno 1912, Giolitti aveva promosso il varo di una nuova e importantissima legge elettorale. In base ad essa, acquisirono il diritto di voto tutti i cittadini maschi alfabetizzati con almeno 21 anni, i maggiori di 30 anni anche se analfabeti, e tutti coloro che avevano svolto il servizio militare. Grazie a questo provvedimento, il suffragio si estendeva a buona parte delle classi popolari, che poterono così prendere parte attiva alla vita L’estensione del diritto di voto in Italia Anno della consultazione elettorale Percentuale di aventi diritto al voto 1861 2,5 1882 5 1892 10 1913 22 © Loescher Editore – Torino 40 1870 L’Italia di Giolitti © Loescher Editore – Torino 1882 Koch scopre il batterio della tubercolosi 1895 I Lumière brevettano il cinematografo 1903 Primo volo aereo dei fratelli Wright 1913 Ford introduce la catena di montaggio 1920 41 1 2 L’Europa e il mondo nel primo Novecento politica nazionale; il numero degli elettori passò da 3,5 milioni a 8,5 milioni, circa il 23% della popolazione. La nuova legge elettorale fu applicata per la prima volta nel 1913 e le consultazioni furono un successo per Giolitti, che poté contare su un’ampia maggioranza parlamentare. Tuttavia, il contributo dei cattolici alla vittoria, cercato con tenacia attraverso il «Patto Gentiloni», era stato fondamentale e il nuovo governo si mostrò assai meno stabile dei prece- Municipio di Alfonsine (Ravenna) dopo l’incendio appiccato dagli insorti durante la «settimana rossa». denti. In breve tempo Giolitti, stretto tra le richieste dei cattolici e una sinistra sempre più intransigente, fu costretto a dimettersi. Era il marzo del 1914. Gli subentrò Antonio Salandra, un liberale moderato, appoggiato dallo stesso Giolitti. Durante il governo Salandra l’Italia tornò a una politica di stampo nettamente più conservatore. Se ne ebbe prova nel giugno 1914, quando in occasione di una manifestazione socialista ad Ancona, le guardie regie spararono e uccisero tre dimostranti. Lo sciopero generale, le tensioni e i tumulti di stampo insurrezionale che allora scossero l’Italia nella «settimana rossa», tra il 7 e il 13 giugno, causarono 17 morti e centinaia di feriti. La situazione era esplosiva, ma il 28 giugno giunse da Sarajevo, in Bosnia, la notizia dell’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando, che mise a rischio la pace europea e distolse anche gli italiani dai problemi interni. Un anno dopo il nostro paese sarebbe entrato nella Prima guerra mondiale, proprio guidato da Salandra. 1887 Il protezionismo incentiva l’industria 1891 Enciclica di Leone XIII Rerum Novarum sui temi sociali 1895 Fondazione del Partito socialista italiano 1898 Repressione violenta delle manifestazioni contro il rincaro del pane Il colonialismo italiano: italiani brava gente? L’impresa di Libia fu il secondo tentativo coloniale italiano. Alla fine dell’Ottocento c’era stata l’avventura nel Corno d’Africa terminata con il disastro della sconfitta di Adua. A metà degli anni Trenta, come vedremo, nel pieno del regime fascista, l’Etiopia venne finalmente conquistata riscattando, se così si può dire, la sconfitta di quarant’anni prima. Sul tema del colonialismo italiano e, più in generale, sul modo di fare la guerra dell’esercito italiano in questo periodo la storiografia ha recentemente manifestato un interesse molto forte. Non si può dire che lo stesso zelo, pur con le significative eccezioni, sia avvertibile nella produzione precedente. In effetti si tratta di una materia scabrosa, una di quelle questioni che mettono in imbarazzo, soprattutto se si scoprono particolari poco edificanti per l’immagine nazionale. Il mito degli italiani brava gente, del popolo e dei suoi soldati magari un po’ pasticcioni ma fondamentalmente incapaci di compiere azioni abiette, è duro a morire. La realtà fu, invece, molto diversa. Tutte e tre le iniziative colonialiste italiane furono caratterizzate da episodi feroci e brutali, nei quali non mancarono, da parte del nostro esercito, veri e propri crimini. Impiccagioni sommarie, campi di concentramento, uso di gas velenosi, saccheggi e stupri di gruppo sono fatti noti e ampiamente accertati. Il fatto che la dominazione coloniale di altre nazioni fosse anche più disumana non può certo costituire una scusante. 42 © Loescher Editore – Torino La sconfitta italiana ad Adua fu sostanzialmente giusta e – in parte – anche prevedibile: venne infatti attaccato l’unico Stato africano minimamente organizzato e dotato di un esercito in certa misura efficiente. La disfatta fu poi agevolata dal comportamento dilettantesco dello Stato maggiore italiano. L’impresa di Libia fu condotta con il generale consenso dell’opinione pubblica italiana e in un clima di ubriacatura nazionalista. Fa una certa impressione pensare che anche un poeta delicato, alieno alla retorica e di antiche simpatie socialiste come Giovanni Pascoli potesse celebrare l’evento con il discorso La grande proletaria si è mossa. Il nuovo attacco all’Etiopia (o Abissinia, come si usava dire) portato avanti da Mussolini nel 1936, come vedremo, non segnò solo l’inizio dell’isolamento internazionale dell’Italia, ma anche una nuova pagina gravissima di violenze e crimini di guerra. Nell’immaginario pubblico nazionale si preferì stemperare tutto nella retorica nazionalista o nel mito sempre efficace dell’italiano buono, civilizzatore e magari un po’ seduttore. Da qui la fortuna di canzoni come Tripoli, bel sol d’amore o la stessa Faccetta nera, storia dell’innamoramento di un soldato italiano per una bella ragazza etiope. Per una grottesca ironia della sorte la canzoncina, per certi versi la più celebre del periodo fascista, fu censurata proprio dal regime. All’indomani delle leggi razziali del 1938, un amore misto «italo-africano» non era tollerabile per il regime. 1 Mentre la popolazione cresce, tra fine del XIX e inizio del XX secolo l’Italia diventa una grande potenza industriale. Tra la fine dell’Ottocento e il primo quindicennio del Novecento, l’Italia conobbe un notevole sviluppo demografico ed economico. La popolazione aumentò da 26 a 36 milioni, mentre tutti i campi dell’apparato produttivo crebbero, così come il Pil e il reddito medio. L’agricoltura restò il settore con più lavoratori, ma l’ascesa più vistosa fu quella dell’industria, favorita da una politica protezionistica: essa permise all’Italia di entrare a far parte degli Stati più avanzati del mondo. I comparti più dinamici furono quello siderurgico, il cantieristico, il meccanico, l’idroelettrico, il tessile e il chimico. 2 1899 Fondazione della Fiat I NODI DELLA STORIA L’Italia di Giolitti 1900 Assassinio di Umberto I 1903-1914 Governi Giolitti 1912 Suffragio universale maschile; conquista della Libia 1913 Patto Gentiloni: i cattolici di nuovo in politica Il proletariato assume un notevole peso politico, i cattolici si auto-escludono dalla vita pubblica, il Meridione soffre di una grave arretratezza. Grandi questioni politiche e sociali animavano i dibattiti pubblici nell’Italia d’inizio Novecento. La classe operaia, e in generale le classi lavoratrici, avevano acquisito grande visibilità attraverso le loro organizzazioni sindacali e partitiche: il Partito socialista italiano, fondato nel 1895, chiedeva che ai salariati fossero concessi adeguati miglioramenti delle condizioni di vita e di impiego. I cattolici, ancora soggetti al non expedit di Pio IX, rimanevano ai margini della vita pubblica nazionale, ma vivevano un’intensa stagione associazionistica e contribuivano al dibattito sociale. Il Meridione, afflitto da povertà, malattie, arretratezza economica e sociale, criminalità organizzata, vedeva aumentare il divario che lo separava dal Nord. 3 Giovanni Giolitti domina la scena italiana nel primo quindicennio del Novecento e favorisce la partecipazione delle masse operaie alla vita politica. Nel 1900 fu assassinato il re Umberto I e il figlio Vittorio Emanuele III, che gli succedette al trono, ne abbandonò la politica autoritaria. Grande interprete di questa svolta fu Giovanni Giolitti, al governo dell’Italia quasi ininterrottamente dal 1903 al 1914. Egli era convinto assertore del dialogo con le masse popolari, e lo considerava l’unico modo per evitare proteste dagli esiti potenzialmente rivoluzionari. Giolitti promosse una ricca legislazione assistenziale e mai intervenne nei conflitti di fabbrica tra padronato e operai, lasciando che essi trovassero un accordo attraverso la libera contrattazione. Al contempo, per contenere la spinta della sinistra massimalista, Giolitti cercò e ottenne nel 1913 l’appoggio dei cattolici («Patto Gentiloni»). Inefficace fu invece l’azione di Giolitti nel Meridione. Anzi, l’alleanza con i latifondisti e la sua tolleranza verso la scarsa legalità della lotta politica al Sud valsero a Giolitti l’accusa di «ministro della malavita» e la fama di depredatore del Mezzogiorno a vantaggio del Nord già sviluppato. 4 Alle soglie della Prima guerra mondiale, l’Italia conquista la Libia e introduce il suffragio universale maschile. A inizio Novecento, l’Italia era vincolata in campo internazionale alla Triplice Alleanza, che la legava a Germania e AustriaUngheria. Giolitti cercò un avvicinamento a Francia e Regno Unito, lanciando poi il paese in una nuova avventura coloniale, largamente sostenuta dall’opinione pubblica borghese e nazionalista. Con una guerra che si svolse tra 1911 e 1912, Roma strappò all’Impero ottomano la Libia, verso la quale progettava di dirottare parte dell’imponente emigrazione italiana. Nello stesso 1912, grazie a una riforma elettorale, il suffragio venne esteso a quasi tutti i cittadini maschi e le consultazioni politiche del 1913 diedero ancora una volta un’ampia maggioranza parlamentare a Giolitti. Il suo governo si dimostrò però assai poco stabile, tanto che lo statista piemontese dovette dimettersi e lasciare il posto ad Antonio Salandra: questi riportò l’azione dell’esecutivo su strade decisamente conservatrici. L’«età giolittiana» poteva così dirsi conclusa. © Loescher Editore – Torino 43 1 2 L’Europa e il mondo nel primo Novecento Gli italiani tra fine XIX e inizio XX secolo: un popolo di migranti È sufficiente un solo dato per definire la dimensione sociale di massa dell’emigrazione italiana tra la fine del XIX secolo e lo scoppio della Prima guerra mondiale: stando alle rilevazioni statistiche ufficiali (dal 1876 al 1914), furono oltre 14 milioni gli italiani che espatriarono in cerca di lavoro o per congiungersi con i propri familiari già all’estero. La punta massima di questo flusso migratorio fu toccata nel 1913, quando furono quasi 400.000 gli emigrati italiani a partire. L’espansione demografica, dovuta alla contemporanea riduzione della mortalità e incremento della natalità, e gli sviluppi tecnologici nei diversi settori produttivi portarono a una sproporzione tra la quantità di popolazione e le possibilità di occupazione, che contribuì in modo decisivo alla scelta di emigrare. La maggior parte dei migranti italiani erano maschi e analfabeti; le mete privilegiate soprattutto nel primi quindici anni del XX secolo furono oltreoceano: Brasile, Argentina e Stati Uniti. Il viaggio L’Italia di Giolitti L’inserimento nella società americana La più nota e importante zona di insediamento italiano negli Stati Uniti era il quartiere di Little Italy, a New York, nella parte meridionale di Manhattan. Ben presto all’interno della comunità italiana si crearono profonde differenze sociali tra chi era riuscito rapidamente ad affermarsi nella nuova società e chi invece continuava a svolgere i lavori più umili. Alcuni furono coinvolti in attività illecite o apertamente criminali. In generale, comunque, gli immigrati (non solo italiani) furono prevalentemente impiegati nei lavori più pesanti, quali la coltivazione dei campi, la costruzione di ferrovie o l’estrazione dalle miniere; con il loro lavoro contribuirono ad ammodernare le infrastrutture fondamentali della società americana. Gli emigranti italiani in attesa di imbarco in un dipinto di Raffaello Gambogi, 1895. I migranti erano carichi di masserizie di ogni sorta provenienti da casa, con cui avrebbero cercato di affrontare il soggiorno in una terra ignota, senza risorse immediatamente disponibili. A fianco di una larga maggioranza di migranti poveri ne figuravano alcuni altri più abbienti, che speravano di migliorare la propria sorte e di fare fortuna all’estero. I piroscafi, o navi a vapore, mezzo di trasporto tipico della seconda metà dell’Ottocento, erano il solo mezzo con cui compiere un viaggio oltreoceano, rischioso e faticoso, pieno di incognite. Little Italy a New York, primi del Novecento. Un esempio di successo Alcuni emigrati italiani riuscirono a fare una considerevole fortuna economica e a costruirsi una brillante carriera sociale. Il caso più noto è quello di Fiorello La Guardia: figlio di un emigrato foggiano e di un’emigrata triestina, divenne sindaco di New York tra il 1933 e il 1945. Lo sbarco I migranti dall’Europa diretti in America approdavano a Ellis Island, piccola isola di fronte a Manhattan (New York) dotata delle strutture per la prima «accoglienza»: infatti, una severa selezione attraverso gli uffici di polizia e di sanità verificava che tra gli immigrati non vi fossero criminali, sovversivi o portatori di malattie infettive. Gli immigrati italiani, come quelli irlandesi, tedeschi, ebrei, russi o polacchi, ecc., venivano così classificati e schedati prima di raggiungere la terraferma. Un gruppo di emigranti appena sbarcato in America mentre viene condotto a Ellis Island. La regina Guglielmina dei Paesi bassi visita New York: il sindaco è Fiorello La Guardia,1942. 44 © Loescher Editore – Torino © Loescher Editore – Torino 45 2 L’Europa e il mondo nel primo Novecento ATTIVITÀ 1 Ragiona sul tempo e sullo spazio Impara il significato 1 4 2 Osserva la cartina a p. 28 e la tabella a p. 32 e costruisci una cronologia dello sviluppo ferroviario italiano per nord, centro e sud; poi prova a incrociare i dati che ricavi con quelli della tabella sull’alfabetizzazione: come pensi si possa interpretare la correlazione tra i dati che ricavi? 1 Nel Giovanni Agnelli fonda la Fiat a Torino 2 Nel nasce il Partito socialista italiano, guidato da Filippo Turati 3 Nel papa Leone XIII promulga l’enciclica Rerum Novarum, che segna la nascita della «dottrina sociale» della Chiesa 4 Il 29 luglio del l’anarchico Gaetano Bresci uccide a Monza il re Umberto I 5 Nel il re Vittorio Emanuele III affida il governo esecutivo a Giuseppe Zanardelli, esponente della Sinistra liberale 6 Dal al 1914 Giovanni Giolitti rimane alla guida del governo quasi ininterrottamente: questo periodo è passato alla storia come «età giolittiana» 7 Nel Giolitti fa approvare la riforma elettorale in base alla quale acquisiscono il diritto di voto tutti i cittadini maschi 8 Nel viene indetto il primo sciopero generale nella storia d’Italia, promosso dal Partito socialista 9 Nel Giolitti stipula il «Patto Gentiloni», un patto di mutuo sostegno tra liberali e cattolici 10 Nel si conclude la guerra contro la Libia: l’Italia ottiene la Libia e mantiene Rodi e le isole del Dodecaneso 11 Nel Giolitti è costretto a dimettersi Scrivi quale significato assumono i seguenti concetti nell’«età giolittiana». 1 2 3 4 5 6 7 8 Completa le frasi scrivendo l’anno esatto in cui accade l’evento, poi distingui con tre colori diversi gli eventi riconducibili allo sviluppo economico italiano, quelli che riguardano la questione sociale e quelli che si riferiscono alle vicende politiche del primo Novecento in Italia. 5 L’Italia di Giolitti Congiuntura Sistema creditizio Prodotto nazionale lordo Endemico Politica di non ingerenza Sostegno previdenziale Clientelismo Corruzione Nei primi anni del Novecento la criminalità organizzata acquista sempre maggior potere nelle regioni del Mezzogiorno: rifletti sul significato di «criminalità organizzata» e spiega in che cosa si differenzia dalla semplice «criminalità»? Osserva, rifletti e rispondi alle domande 6 Osserva la mappa concettuale relativa al dibattito politico in Italia all’inizio del Novecento. Poi rispondi alle domande. Il dibattito politico in Italia all’inizio del Novecento Esplora il macrotema 3 Completa il testo. Il progetto politico-sociale di Giolitti ha come obiettivo principale quello di allargare le basi del consenso allo stato liberale, cercando di coinvolgere i socialisti e i cattolici che finora sono rimasti esclusi, al fine di garantire lo sviluppo (1) del paese. La sua azione politica in tema di «questione sociale» si rivela efficace: egli infatti abbandona la linea repressiva contro le classi lavoratrici e promuove il (2) tra istituzioni e lavoratori, garantendo loro una reale libertà di astensione dal lavoro, un sistema fiscale più equo, una legislazione (3) più attenta ai loro problemi, nonché l’estensione del (4) di voto. Anche la sua azione politica in tema di «questione (5) » è efficace: il Patto Gentiloni è il primo passo verso la partecipazione piena dei cattolici alla vita (6) del paese, che serve a Giolitti per bilanciare l’estremismo delle sinistre e scongiurare il rischio di un’affermazione del socialismo; grazie a esso, nel 1913 molti candidati liberali vengono eletti alla Camera con il voto dei cattolici. Nel complesso la stagione giolittiana porta grandi benefici all’Italia: Giolitti riesce a coinvolgere nel governo le forze più avanzate della società, la (7) capitalistica e i socialisti riformisti, favorendo il progresso dell’agricoltura e dell’(8) e l’assorbimento delle sinistre moderate nel campo degli interessi nazionali. 1 Chi rappresenta le rivendicazioni degli operai? 2 Qual è la posizione della Chiesa riguardo alla «questione sociale»? 3 Quali furono le conseguenze dell’emigrazione dal Mezzogiorno? Esse furono negative o positive? Mostra quello che sai 7 46 © Loescher Editore – Torino Osserva l’immagine a p. 38 e spiega la rappresentazione di Giolitti alla luce delle sue scelte politiche. © Loescher Editore – Torino 47