L’Italia di Giolitti
Sondrio
Aosta
Torino
Saluzzo
Udine
Milano
Verona
Brescia
Venezia
linee attivate
fino al 1914
Bologna
Genova
Rimini
Pietrasanta
Pisa
Firenze
Piombino
Ancona
Perugia
Orvieto
Civitavecchia
Roma
Pescara
Frascati
Foggia
Bari
Olbia
Sassari
linee attivate
fino al 1870
Napoli
Salerno
Nuoro
Brindisi
Potenza
Lecce
Arbatax
Leuca
Cosenza
Cagliari
Catanzaro
Palermo
Trapani
Enna
Agrigento
Messina
Reggio Calabria
Catania
Siracusa
Lo sviluppo della rete ferroviaria in Italia tra 1870 e 1914
Il Pil dell’Italia alla vigilia
della Prima guerra mondiale
Commercio
e attività
terziarie 30%
Banca Romana: ex banca
dello Stato pontificio, era un
Istituto d’emissione: uno dei
sei istituti che all’epoca erano
autorizzati a emettere moneta
circolante in Italia.
Agricoltura
45%
Industria
25%
2.1 Economia e società in
Italia tra XIX e XX secolo
Lo sviluppo demografico
ed economico italiano nella
Belle époque
Tra 1870 e 1913, la popolazione italiana
crebbe da 26 a 36 milioni, un incremento
determinato principalmente dalle migliorate condizioni alimentari, igieniche e sanitarie. Per esempio, soprattutto in città, si
diffuse l’uso dell’acqua corrente nelle case
e fu migliorata l’efficienza degli impianti fognari, con la conseguente diminuzione della mortalità da malattie infettive.
Nello stesso periodo l’Italia conobbe anche un deciso sviluppo dell’economia. Durante il periodo della Belle époque lo Stato
italiano godette del buon andamento delle finanze pubbliche e della stabilità della
lira: grazie alle politiche attuate nell’ultimo
quarto dell’Ottocento, all’inizio del XX secolo era stato raggiunto il pareggio di bilancio e la moneta veniva addirittura preferita
all’oro sui mercati internazionali.
La ricchezza nazionale crebbe, così
come il reddito medio degli italiani, che si
incrementò del 33% tra 1896 e 1913. La maggiore disponibilità di denaro si tradusse in
una crescita dei consumi e del risparmio.
Grazie all’aumento di quest’ultimo e dei depositi bancari, il sistema creditizio mostrò
una maggiore disponibilità a finanziare gli
investimenti agricoli e industriali. Importanti furono, al riguardo, il riordino del settore
attuato dallo Stato dopo la crisi della Banca
Romana e la nascita, sul finire del XIX secolo, della Banca Commerciale (COMIT), nella quale predominavano capitali tedeschi,
e del Credito Italiano. Va ricordato che le
banche intervenivano nei settori più importanti dell’economia. Questo ruolo però non
sempre aiutò l’industria: spesso le banche
imponevano la presenza di loro rappresen-
tanti nei Consigli di amministrazione delle
società finanziate, cosa che poteva renderne
difficoltosa e non priva di contrasti la gestione. Per questo rapporto la COMIT e il Credito Italiano erano definite banche miste. Fu
inoltre creata la Banca d’Italia, da allora custode delle regole finanziarie del paese e unica autorizzata a stampare carta moneta.
In generale, l’intero apparato produttivo conobbe un avanzamento. Nel settore agricolo, le bonifiche, il miglioramento
dei sistemi di irrigazione e l’uso dei primi
concimi chimici determinarono la crescita
delle rese e dei redditi delle campagne. A
cavallo tra Ottocento e Novecento, l’agricoltura occupava ancora la maggior parte dei
lavoratori italiani e forniva circa il 55% del
prodotto nazionale lordo.
Imponenti piani di lavori pubblici consentirono inoltre di estendere la rete stradale e di realizzare opere infrastrutturali
come il traforo del Sempione e l’acquedotto pugliese. Particolare attenzione fu dedicata al miglioramento della rete ferroviaria  . Essa fu nazionalizzata nel 1905, e la
sua estensione passò dai 9290 chilometri
del 1880 ai 18.090 chilometri del 1910: un
progresso straordinario, in un campo in cui
però Regno Unito (con 35.000 chilometri),
Francia (43.000) e Germania (51.000) rimanevano ancora lontani.
Infine, nel periodo in esame, l’Italia conobbe un deciso sviluppo in campo industriale.
La potenza industriale italiana
La crescita impetuosa del settore industriale fu decisiva per aumentare la ricchezza e il
prestigio del paese, e consentì anche all’Italia
di proporsi come un interlocutore credibile
sui grandi temi di politica internazionale.
Tutti i comparti dell’industria progredirono e nel 1913 il settore secondario garantiva
il 25% del prodotto nazionale lordo, mentre
il numero degli addetti cresceva costantemente e la stessa produzione appariva raddoppiata rispetto al 1896.
In primo luogo avanzarono i comparti sostenuti dallo Stato perché di interesse
strategico, come la siderurgia, la cantieristica o l’idroelettrico. La siderurgia aveva
la sua punta di diamante nelle Acciaierie di
Terni, in Umbria. La cantieristica brillava
nell’Ansaldo di Sampierdarena, in Liguria.
Nel 1898 cominciò a funzionare la centrale
Donne impiegate come operaie alla
catena di montaggio delle Officine
Ansaldo, Genova, 1915 circa.
Cartellone pubblicitario della Fiat, 1928.
L’aumento della popolazione in Italia
tra 1861 e 1921
40.000.000
36.921.000
35.000.000
30.000.000
33.778.000
26.328.000
28.151.000
29.791.000
25.000.000
20.000.000
15.000.000
10.000.000
5.000.000
0
1861
1871
1881
1870
1891
idroelettrica di Paderno sul fiume Adda, in
Lombardia. Essa forniva energia alla città di
Milano, distante ben 32 chilometri. Si calcola che in questa nuova industria vennero
investiti circa 550 milioni di lire nel 1914.
Per lo sviluppo di questi settori strategici
ebbe fondamentale importanza la scelta
protezionistica effettuata già nel 1887, che
imponeva dazi elevatissimi sulla concorrenza estera e favoriva la crescita dell’industria
nazionale.
Grande sviluppo conobbe l’industria
meccanica: sia quella pesante, che fabbricava per esempio locomotive e macchine per
l’agricoltura, sia quella leggera, in cui spiccava la nuovissima produzione di automobili, con Fiat (Fabbrica italiana automobili
Torino) e Lancia a Torino, e Alfa (Anonima
lombarda fabbrica automobili) a Milano.
La Fiat, in particolare, fondata a Torino da
Giovanni Agnelli nel 1899, divenne presto il
maggior produttore automobilistico del paese, stimolando la produzione di gomma,
sorta a Milano nel 1872 ad opera di Giovanni Battista Pirelli. Anche se, in generale, l’in-
© Loescher Editore – Torino
28
37.876.000
1901
1911
1921
 Tweet Storia p. 430
© Loescher Editore – Torino
1882 Koch scopre il batterio della tubercolosi
1895 I Lumière brevettano il cinematografo
1903 Primo volo aereo dei fratelli Wright
1913 Ford introduce la catena di montaggio
1920
29
1
2
L’Europa e il mondo nel primo Novecento
A. Morbelli, Per 80 centesimi?, 1893-95,
Vercelli, Civico Museo Borgogna.
Filippo Turati.
dustria meccanica italiana era ancora molto
arretrata rispetto a quelle di Francia, Germania e Regno Unito, tuttavia tra 1900 e 1913
raddoppiò il fatturato scalando rapidamente
posizioni nella graduatoria internazionale.
Ebbero infine ulteriore impulso il comparto tessile – soprattutto il cotoniero –, il
chimico, l’alimentare – in particolare la produzione di zucchero (Eridania) –, e l’estrattivo, già ampiamente diffusi sul territorio.
È importante sottolineare che tale sviluppo toccò in prevalenza le regioni nord-occidentali d’Italia: al principio del Novecento,
in Lombardia, Liguria e Piemonte trovava
occupazione la metà di tutti gli operai italiani, circa un milione di lavoratori. E mentre
il Centro dava a sua volta segni di crescita,
era il Sud a offrire le prospettive meno incoraggianti. Come vedremo, il Mezzogiorno
d’Italia non solo non si avvicinava alla parte
più ricca e dinamica del paese, ma veniva da
essa ulteriormente distanziato.
La «questione sociale»
p. 66, 68
All’inizio del XX secolo, il dibattito politico
nazionale era animato da tre grandi temi,
riassumibili nelle espressioni «questione
sociale», «questione meridionale» e «questione cattolica».
Proprio gli operai erano i protagonisti
della «questione sociale»: i salariati dell’in-
Manifesto del quotidiano
socialista «Avanti!».
dustria, infatti, erano costantemente in lotta
per ottenere migliori condizioni lavorative,
compensi più elevati, e un ruolo nella vita
pubblica italiana.
Essi potevano contare su una organizzazione poderosa. In primo luogo essi erano
rappresentati dal Partito socialista italiano,
nato nel 1895, guidato da Filippo Turati e capace di conquistare molti seggi alla Camera
dei deputati: 15 già nelle elezioni del 1895 e
in crescita nelle consultazioni successive.
Nel 1906 inoltre si era formata la CGL,
la Confederazione generale del lavoro, un
grande sindacato nazionale degli addetti di
fabbrica. L’espansione della CGL e di organizzazioni analoghe fu costante, e nel 1913
gli operai italiani sindacalizzati erano circa
970.000. Sempre per organizzare e proteggere gli interessi dei salariati, in molte città operavano anche le Camere del lavoro,
strettamente legate al mondo sindacale e al
Partito socialista.
Infine, l’«Avanti!», il quotidiano del Partito socialista, guidava una capillare opera di
propaganda.
I braccianti agricoli si erano organizzati
nel 1901 con la fondazione la Federazione
italiana dei lavoratori della terra («Federterra»), che raccoglieva oltre 200.000 tesserati e
rappresentava anche mezzadri e piccoli affittuari, che chiedevano l’aumento delle retribuzioni e la riduzione degli orari di lavoro.
Un simile sviluppo dell’associazionismo
operaio e della sua rappresentanza politica
si traduceva in un aumento delle rivendicazioni da parte dei lavoratori e in generale della conflittualità sociale. Per questo, il
numero degli scioperi e delle ore di astensione dal lavoro aumentò per tutto il primo
quindicennio del Novecento.
Il movimento operaio tuttavia non era
unito. Lo stesso Partito socialista era diviso
al proprio interno: da un lato la corrente riformista (a cui apparteneva lo stesso Turati)
sosteneva il graduale aumento della partecipazione delle masse popolari alla vita
pubblica del paese, dall’altro la corrente
massimalista sposava tesi più apertamente
rivoluzionarie.
Altre influenti organizzazioni della sinistra italiana d’opposizione erano gli anarchici, i repubblicani e i radicali, tutte su
posizioni più estreme rispetto ai socialisti.
Gli anarchici, numericamente esigui e dichiaratamente nemici dei governi borghesi, erano sostenitori della rivoluzione e di
un metodo di lotta violento. I repubblicani, eredi del pensiero mazziniano, avevano
come primo obiettivo l’abbattimento della
monarchia. I radicali, infine, lottavano per
un allargamento dei diritti civili e per una
maggiore democrazia sociale, ma godevano
di scarso seguito tra le masse.
Seggi parlamentari ottenuti dai
socialisti tra 1895 e 1913
Anno
N. seggi
1895
15 seggi
1897
15 seggi
1900
33 seggi
1904
29 seggi
1909
39 seggi
1913
47 seggi
La «questione meridionale»
e l’emigrazione verso l’estero
La «questione meridionale» ruotava attorno al grave, e in apparenza irrisolvibile, stato di arretratezza economica e sociale del
Sud d’Italia.
Nel Mezzogiorno il settore primario era
ancora basato sul latifondo e sullo sfruttamento estensivo della terra. Si trattava di
un’agricoltura estremamente arretrata, gravata dalla virtuale assenza delle innovazioni
che in quegli anni avvantaggiavano il settore nel Nord del paese: lavori di bonifica, moderni sistemi di irrigazione, sfruttamento
industriale delle piante, uso di prodotti chimici per la concimazione. La persistenza dei
dazi sui cereali importati dall’estero, inoltre,
N. Palizzi, Piazza Orsini a Benevento, 1898, Vasto, Musei Civici di Palazzo d’Avalos, Pinacoteca.
© Loescher Editore – Torino
30
1870
L’Italia di Giolitti
© Loescher Editore – Torino
1882 Koch scopre il batterio della tubercolosi
1895 I Lumière brevettano il cinematografo
1903 Primo volo aereo dei fratelli Wright
1913 Ford introduce la catena di montaggio
1920
31
1
2
L’Europa e il mondo nel primo Novecento
Percentuali di analfabetismo nelle
regioni italiane (1861-1911)
1861 1871 1901 1911
Piemonte
54,2
42,3
17,7
11,0
Liguria
54,2
56,3
26,5
17,0
Lombardia
53,7
45,2
21,6
13,4
-
64,7
35,4
25,2
Emilia-Romagna 77,6
71,9
46,3
32,7
Marche
83,0
79,0
62,5
50,7
Toscana
74,0
68,1
48,2
37,4
Umbria
83,8
80,1
60,3
48,6
Lazio
-
67,7
43,8
33,2
Campania
-
80,0
65,1
53,7
Abruzzo e Molise
-
84,8
65,1
53,7
86,3
84,5
69,5
56,7
Basilicata
-
88,0
75,4
65,3
Calabria
-
87,0
78,7
69,6
Sicilia
88,6
85,3
70,9
58,0
Sardegna
89,7
86,1
68,3
58,0
Veneto
G. Fattori, Buoi al carro, 1870 circa, Firenze, Galleria d’Arte Moderna.
Infrastruttura:
complesso di servizi
e impianti necessari
allo sviluppo economico
e sociale di un paese.
garantiva le rendite dei grandi proprietari
terrieri e non li incoraggiava in alcun modo
ad ammodernare le modalità di produzione.
In generale, le pesanti carenze infrastrutturali , a cominciare da quelle nei trasporti, costituivano un ostacolo insormontabile
allo sviluppo di una moderna economia.
Industrie di rilevanti dimensioni e tecnologicamente avanzate erano quasi completamente assenti, e mancava una grande
borghesia capitalistica. Di conseguenza, in
tutto il Mezzogiorno lavorava appena il 25%
degli operai italiani.
Altre piaghe gravavano, inoltre, sul Meridione d’Italia: l’amministrazione pubblica
era arretrata e spesso asservita ai notabili
locali, la disoccupazione appariva endemica, l’analfabetismo colpiva circa i tre quarti
della popolazione, le diverse forme di criminalità organizzata acquistavano sempre
maggior potere. Infine, le precarie condizioni igieniche e il basso livello dell’assistenza
medica erano causa della sorprendente
diffusione della malaria e della tubercolosi,
malattie che percentualmente colpivano assai più che in altre zone della penisola.
In mancanza di valide prospettive di lavoro e di vita, dalle regioni meridionali partì
la maggior parte degli emigranti che in quegli anni lasciarono l’Italia: solo tra il 1900 e
il 1914 furono complessivamente 8 milioni, provenienti da ogni zona d’Italia, ma in
rapporto ai residenti, la percentuale di emigranti meridionali fu particolarmente elevata. Essi, inoltre, partirono quasi sempre in
via definitiva, scegliendo le destinazioni più
lontane, come le Americhe. L’emigrazione
determinò quindi l’impoverimento umano
delle aree di partenza, private delle forze intellettuali e fisiche più giovani e valide, ma
ebbe fortunatamente anche risvolti positivi,
Puglia
D. Cosola, Il dettato, 1890, Torino, Galleria Civica.
perché alleggerì la pressione demografica
sulle scarse risorse disponibili. Inoltre, le
rimesse, ossia l’invio di denaro in patria da
parte degli emigrati, divennero presto una
voce fondamentale delle entrate italiane e
contribuirono in notevole misura al sostentamento delle popolazioni meridionali. A
La «questione cattolica»:
la partecipazione dei credenti
alla vita pubblica nazionale
Il papa Pio IX  nel 1868 aveva dichiarato
il «non expedit», con cui vietava ai cattolici
italiani di partecipare alla vita pubblica nazionale. Nel 1889 Leone XIII con l’enciclica Rerum Novarum , se da un lato condannava il socialismo e la lotta di classe, dall’altro
invitava i fedeli ad occuparsi dei lavoratori che vivevano miseramente per l’avidità
dei padroni. Questa enciclica, scritta per
superare l’atteggiamento chiuso di Pio IX,
incoraggiava dunque la costruzione di una
società più equa e, di conseguenza, con un
fondamentale richiamo alla moderazione,
sosteneva i diritti dei salariati, compreso il
diritto di associazione sindacale e di astensione dal lavoro. Essa inoltre sosteneva
apertamente l’estensione del diritto di voto.
In seguito alla promulgazione dell’enciclica fiorirono cooperative e associazioni di
stampo cattolico che si radicarono velocemente nel mondo del lavoro. Nacquero in
quegli anni le cosiddette «leghe bianche»,
create da Guido Miglioli e assai diffuse nelle
campagne, dove organizzavano l’assistenza
e la solidarietà tra i contadini.
Questa apertura non mancò di produrre
anche dei problemi in seno alle gerarchie
ecclesiastiche. Molto nota è per esempio la
vicenda di Romolo Murri, sacerdote marchigiano fondatore nel 1900 del Movimento
democratico cristiano, che si proponeva di
promuovere in ambito politico la dottrina
sociale della Chiesa sostenendo le lotte dei
lavoratori e chiedendo al contempo al governo maggiore attenzione per le esigenze
dei salariati. Entrato in Parlamento nel 1904
con il voto delle sinistre, Murri si batté per
la nascita di un movimento democratico
cristiano autonomo rispetto all’autorità religiosa. Per questo fu giudicato dal Vaticano
troppo avanzato e radicale, venendo infine
scomunicato da papa Pio X nel 1909.
Anche in Italia, inoltre, come nel resto
d’Europa, le gerarchie cattoliche dovettero
misurarsi con l’avanzare del modernismo
teologico, vale a dire con la tendenza, sempre più diffusa in ambito ecclesiale, a cercare il punto di contatto tra dottrina e insegnamento della Chiesa, da un lato, e pensiero
filosofico contemporaneo, progresso tecnico ed evoluzione dei costumi, dall’altro.
Le aperture e l’impegno del Vaticano nelle
problematiche sociali lasciavano però presagire un maggiore interesse anche per le
questioni politiche: all’inizio del Novecento
i tempi apparivano maturi per riesaminare
l’annosa questione dell’impegno politico
dei cattolici italiani.
1870
enciclica: lettera
di carattere dottrinale e
pastorale, scritta in latino,
che il papa indirizza ai
fedeli di tutto il mondo.
Rerum Novarum:
questa lettera enciclica
si occupava, come dice
il suo titolo in latino,
«delle cose nuove»,
in primo luogo dei
problemi del mondo
del lavoro. Nacque con
essa la «dottrina sociale»
della Chiesa, ossia
quell’insieme di principi
e insegnamenti intesi
a risolvere le questioni
sociali secondo lo spirito
del Vangelo.
Prima pagina dell’enciclica Rerum Novarum di Leone XIII, 1889.
Album p. 44
Leone XIII, papa dal 1878 al 1903.
© Loescher Editore – Torino
32
L’Italia di Giolitti
 Tweet Storia p. 430
© Loescher Editore – Torino
1882 Koch scopre il batterio della tubercolosi
1895 I Lumière brevettano il cinematografo
1903 Primo volo aereo dei fratelli Wright
1913 Ford introduce la catena di montaggio
1920
33
1
2
L’Europa e il mondo nel primo Novecento
Giovanni Giolitti alla guida
d’Italia
Il generale Bava Beccaris.
Assassinio del re Umberto I a Monza per mano dell’anarchico Bresci, 1900.
2.2 Giovanni Giolitti alla
guida dell’Italia
Dall’uccisione di Umberto I
al governo Zanardelli
amnistia:
provvedimento legislativo
con cui lo Stato rinuncia
ad applicare la pena nei
confronti di determinate
categorie di reati.
Il 29 luglio 1900, l’anarchico Gaetano Bresci
uccise a Monza il re Umberto I. Il sovrano
aveva appoggiato sul finire dell’Ottocento
la svolta autoritaria imposta alla politica
italiana prima da Francesco Crispi e poi
dal marchese di Rudinì e da Luigi Pelloux.
Quest’ultimo aveva addirittura proposto al
Parlamento l’approvazione di una serie di
leggi straordinarie che limitavano le libertà
costituzionali, come quella di associazione,
introdotte dallo Statuto Albertino del 1848.
Il Parlamento aveva bocciato la proposta,
ma proprio le gravi tensioni sociali – nel
A. Beltrame, Vittorio Emanuele III presta
giuramento di fedeltà allo Statuto, 1900.
1898 a Milano il generale Bava Beccaris aveva preso a cannonate la folla in rivolta contro il rincaro del prezzo del pane – avevano
armato la mano di Bresci.
Il nuovo re, Vittorio Emanuele III (19001946), consapevole della difficile situazione
politica e sociale, abbandonò lo stretto autoritarismo di suo padre e tornò all’osservanza dello Statuto, nella speranza di instaurare
un nuovo rapporto con le masse popolari. A
tale fine, nel febbraio 1901 affidò il compito
di guidare l’esecutivo a Giuseppe Zanardelli, giurista e noto esponente della Sinistra
liberale, il quale amnistiò i condannati
politici e garantì la libertà d’espressione. La
crisi di fine Ottocento si chiudeva quindi
con un deciso arretramento delle forze conservatrici e l’avanzata di quelle più aperte ai
mutamenti dei tempi.
Tra 1901 e 1903 ministro dell’Interno del governo Zanardelli fu Giovanni Giolitti, a sua
volta presidente del Consiglio dal novembre
del 1903 e quasi ininterrottamente fino alla
Prima guerra mondiale.
Giolitti era già stato capo dell’esecutivo
per un breve periodo, tra 1892 e 1893; tornato ora al potere su basi più solide, poté
dispiegare per intero il suo disegno politico,
così incisivo che l’intero periodo è passato
alla storia come «età giolittiana».
Giolitti era un liberale di tendenze riformiste, convinto della necessità di un dialogo tra istituzioni e lavoratori. Nella sua visione politica, le concessioni al popolo non
rappresentavano un cedimento dello Stato;
al contrario, costituivano lo strumento migliore per allargarne le basi democratiche
ed evitare la creazione di un pericoloso clima di contrapposizione nel paese. [Testimonianze  documento 3, p. 71]
Per questo si adoperò a favore di una
legislazione sociale più ampia e soprattutto garantì ai lavoratori una reale libertà di
astensione dal lavoro. Lo sciopero, disciplinato per legge nel 1889, era già un diritto
dei salariati, ma esso veniva costantemente
ostacolato dal padronato e violato con l’intervento delle forze di pubblica sicurezza.
Al contrario dei suoi predecessori, in caso
di controversia Giolitti si limitò a garantire
l’ordine pubblico, incoraggiando le parti
sociali a trattare e a risolvere con accordi i
contrasti del mondo del lavoro. In altre parole, in caso di conflitti di classe, Giolitti assunse il ruolo di tutore delle leggi, lasciando
che le parti trovassero l’equilibrio che corrispondeva all’importanza delle rispettive
funzioni.
e degli invalidi fu ampliato, il lavoro femminile e minorile venne limitato e protetto, fu
introdotto il diritto al riposo settimanale.
L’istruzione elementare divenne obbligatoria fino al dodicesimo anno di età e la
riforma elettorale del 1912 allargò in modo
sostanziale il diritto di voto.
Non da ultimo, Giolitti favorì la creazione
dell’Istituto nazionale per le assicurazioni.
Nato nel 1912 dopo una furibonda battaglia
parlamentare, che vide opporsi al presidente del Consiglio gli interessi della finanza,
delle banche e delle compagnie assicurative
private, l’INA garantì allo Stato il controllo
delle assicurazioni sulla vita e, dunque, di
una parte fondamentale del sistema previdenziale.
Sul terreno più circoscritto dei rapporti
d’impiego, i lavoratori chiedevano invece
soprattutto salari più alti e una settimana
lavorativa più breve. A fronte delle loro rivendicazioni, delle manifestazioni di protesta e degli scioperi, Giolitti rimase saldo
nella sua saggia e prudente politica di non
ingerenza, purché il conflitto non scadesse
mai in violenza.
Il confronto con i lavoratori
I lavoratori rivendicavano il suffragio universale, un sistema fiscale più equo e una
legislazione sociale più attenta ai loro problemi. Giolitti era convinto che promuovere
i diritti e il benessere dei salariati sarebbe
tornato a vantaggio dell’intero sistema produttivo nazionale e molto si adoperò per
soddisfare le loro richieste, soprattutto in
ambito assistenziale.
Il sostegno previdenziale in favore dei lavoratori anziani, degli infortunati sul lavoro
Giovanni Giolitti in una fotografia del 1911.
© Loescher Editore – Torino
34
1870
L’Italia di Giolitti
© Loescher Editore – Torino
1882 Koch scopre il batterio della tubercolosi
1895 I Lumière brevettano il cinematografo
1903 Primo volo aereo dei fratelli Wright
1913 Ford introduce la catena di montaggio
1920
35
1
2
L’Europa e il mondo nel primo Novecento
Dimostrazione del 1° maggio, Trieste, 1902, Trieste, Museo di Storia ed Arte.
sciopero generale:
interruzione dell’attività
lavorativa che coinvolge
tutti i lavoratori in un
paese e provoca il blocco
di ogni attività e servizio
sull’intero territorio.
Un duro banco di prova per tale politica
si verificò in occasione del grande sciopero generale del 1904, il primo nella storia
d’Italia. Esso si svolse tra il 15 e il 20 di settembre e fu promosso proprio dal Partito
socialista, al cui interno dopo l’ultimo congresso aveva acquistato peso predominante
l’ala massimalista. Occasione per lo sciopero fu la morte di alcuni minatori per mano
delle forze dell’ordine, avvenuta in Sardegna (lo scenario si ripropose poi in occasione delle violente agitazioni che percorsero
la pianura padana nel 1907 e 1908). Nonostante le forti pressioni sul governo affinché intervenisse in forze, Giolitti non perse
mai il controllo della situazione, riuscendo
a contenere lo sviluppo del movimento dei
lavoratori nell’ambito di una politica democratica. Questa benevola politica del governo e la favorevole congiuntura economica
interna e internazionale determinarono un
deciso incremento delle retribuzioni, sia
nell’industria sia – e in misura ancora maggiore – nell’agricoltura.
Convinto della necessità di avvicinare le
masse popolari al governo della cosa pubblica, Giolitti offrì a Filippo Turati, capo dei
socialisti, l’ingresso nell’esecutivo fin dal
1903. Turati non poté accettare a causa della
netta opposizione dei massimalisti del suo
partito. In generale, tuttavia, la sinistra più
intransigente uscì indebolita dalle elezioni
del novembre 1904, seguite allo sciopero
generale del settembre, e da allora in poi
Giolitti ottenne il voto parlamentare favorevole dei socialisti ogniqualvolta venivano
all’esame importanti provvedimenti di riforma della società.
Dialogo e ingresso in politica
dei cattolici
Giolitti si mostrò particolarmente abile anche nel dare una svolta alla «questione cattolica» e nello sfruttare le aperture di Leone
XIII per smussare l’avversione della Chiesa
allo Stato italiano che aveva affossato il potere temporale dei papi.
Il non expedit era ancora in vigore, ma
Pio X, salito al soglio pontificio nel 1903, si
convinse della necessità di una maggiore
partecipazione dei credenti alla vita pubblica: solo così si sarebbe potuto bilanciare
l’estremismo delle sinistre e scongiurare il
rischio di un’affermazione del socialismo.
Giolitti puntava al riavvicinamento alla
Chiesa e desiderava un impegno politico diretto dei cattolici che compensasse il
crescente peso parlamentare dei socialisti;
in altre parole, aveva bisogno del voto alla
Camera di «cattolici deputati», come vennero allora chiamati, per vincere l’opposizione delle sinistre su alcune misure da lui
proposte.
Così, alle prime elezioni successive allo
sciopero generale del 1904, Pio X concesse
che alcuni cattolici si candidassero e venissero eletti nelle liste liberali, con scelta del
tutto personale e non vincolante per la Chiesa. Analoga decisione fu presa per le elezioni del 1909. Si trattava, appunto, di «cattolici deputati», mentre solo in un futuro che
nessuno allora poteva prevedere sarebbero
comparsi i «deputati cattolici», vale a dire
cattolici appartenenti a un partito d’ispirazione dichiaratamente confessionale.
In occasione delle elezioni del 1913, Giolitti riuscì a stringere con Ottorino Gentiloni, presidente dell’Unione elettorale cattolica, un patto di mutuo sostegno secondo il
quale gli elettori cattolici si impegnavano
a votare i candidati liberali in cambio della
promessa di abbandonare le politiche anticlericali e di sostenere anzi un programma
che aveva i suoi punti forti nella protezione
dell’insegnamento privato, nell’opposizione al divorzio e nel riconoscimento dei
sindacati cattolici. Il «Patto Gentiloni» fu un
successo: grazie ad esso, molti candidati liberali che si erano impegnati a rispettarne
le clausole vennero eletti alla Camera con il
voto convinto dei cattolici. Il patto rappresentò il primo passo verso la partecipazione
piena dei cattolici alla vita politica del paese, che si sarebbe realizzata, infine, dopo la
Prima guerra mondiale e con la benedizione del papa, ad opera del Partito popolare di
don Luigi Sturzo.
L’inefficacia dell’intervento
statale nel Mezzogiorno
L’azione di Giolitti si mostrò invece particolarmente inefficace nel fronteggiare le gravi
difficoltà del Mezzogiorno d’Italia.
Gli interventi promossi da Roma per ovviare all’arretratezza del Meridione furono
limitati, per numero e consistenza delle risorse impiegate. Il malcontento sociale, contrariamente a quanto avvenne al Nord, fu frequentemente represso con le armi, causando
morti e feriti. I privilegi della ricca classe
proprietaria terriera non vennero intaccati e
il fisco oppressivo, inflessibile in particolare
nei confronti dei ceti più deboli, esacerbava
gli animi verso uno Stato lontano, incapace
di fornire servizi essenziali e finanziare le infrastrutture necessarie allo sviluppo.
Nella stampa dell’epoca si diffuse la tesi
di un’industrializzazione italiana localizzata
al Nord ma finanziata con le risorse prelevate al Sud e, in questo contesto, interventi pure rilevanti come l’avvio dei lavori per
l’acquedotto pugliese o la distribuzione
gratuita del chinino (voluta direttamente
da Giolitti e che ebbe il merito di abbassare
Immagini del mezzogiorno: contadini
fotografati da G. Verga a Tebidi, 1897.
1870
chinino: preparato
a base di sali di chinina,
una sostanza che si estrae
dalla corteccia della
china, pianta originaria
dell’America Latina. Esso
è tuttora utilizzato come
base per la preparazione
di farmaci antimalarici.
Contadini di un latifondo della
campagna laziale, 1872.
© Loescher Editore – Torino
36
L’Italia di Giolitti
© Loescher Editore – Torino
1882 Koch scopre il batterio della tubercolosi
1895 I Lumière brevettano il cinematografo
1903 Primo volo aereo dei fratelli Wright
1913 Ford introduce la catena di montaggio
1920
37
1
2
L’Europa e il mondo nel primo Novecento
drasticamente il numero dei malarici) non
ebbero particolare rilievo presso l’opinione
pubblica.
Giolitti fu addirittura definito «ministro
della malavita» dal meridionalista Gaetano
Salvemini, che lo accusava di considerare il
Mezzogiorno semplicemente un serbatoio
di voti, di utilizzare i prefetti per schiacciare
l’opposizione politica, e di essersi legato a
doppio filo ai latifondisti e persino a gruppi
mafiosi, difendendone gli interessi a scapito
dei bisogni del popolo. [Testimonianze 
documento 4, p. 71]
Nel 1908 un potentissimo terremoto rase
al suolo le città di Reggio Calabria e Messina. La conseguenza immediata fu che tutte le risorse destinate al Meridione vennero impiegate per la ricostruzione delle due
città abbandonando il resto del territorio in
condizioni di sottosviluppo.
Negli anni del governo giolittiano la situazione del Mezzogiorno non migliorò e il
divario che lo separava dalle aree più avanzate del paese si ampliò anzi sempre più.
Il «doppio volto» di Giolitti in una caricatura di un giornale socialista.
Modernizzazione: locomotive nelle Officine Ansaldo di Genova alla fine del XIX secolo.
Guerra di Libia: sbarchi di fanti di marina italiani a Tripoli.
Ombre e luci del governo
giolittiano
Le accuse di Salvemini a Giolitti portavano
in primo piano il principale difetto dell’azione politica di Giovanni Giolitti. Come affermava lo studioso, Giolitti non esitò a servirsi
del clientelismo e della corruzione più sfacciati promettendo ai notabili locali vantaggi
finanziari in cambio del voto delle comunità
che essi controllavano. Egli fece inoltre costantemente ricorso all’intimidazione degli
avversari, in questo sostenuto dall’atteggiamento consenziente della forza pubblica e
dei prefetti, soprattutto al Sud. Questi metodi gli assicurarono alla Camera dei deputati una maggioranza stabile, controllata in
modo così saldo che alcuni hanno parlato
addirittura di «dittatura parlamentare».
L’abilità di muoversi fra compagni e avversari politici alla ricerca del loro consenso,
tra conservatori e progressisti senza riguardi per le differenze ideologiche, procurarono inoltre a Giolitti la fama di trasformista.
Tuttavia, un metodo completamente basato
sulla mediazione interna alle Camere appariva già allora poco adatto a governare i complessi mutamenti della società di massa.
Non si può negare che, nel complesso, la
lunga stagione di governo giolittiana portò
grandi benefici all’Italia, soprattutto in termini di sviluppo economico e sociale. La stabilità degli esecutivi e la tenace propensione
di Giolitti a coinvolgere nel governo le forze
più avanzate della società – dalla borghesia
capitalistica ai socialisti riformisti – favorirono da un lato il progresso organico dell’agricoltura e dell’industria e, dall’altro, l’assorbimento degli obiettivi delle sinistre moderate
nel campo degli interessi nazionali.
Al termine dell’esperienza giolittiana la
vita pubblica italiana appariva fortemente
democratizzata e il paese avviato decisamente sulla strada della modernizzazione.
Guerra di Libia: l’incrociatore corazzato «Pisa» a Tripoli durante la guerra italo-turca.
2.3 La guerra di Libia e la
fine dell’«età giolittiana»
La politica estera di Giolitti
Divenuto presidente del Consiglio quando
la memoria per la disfatta di Adua del 1896
era ancora viva, Giovanni Giolitti praticò a
lungo una politica estera prudente. Conservò l’impegno nella Triplice Alleanza con
Germania e Austria-Ungheria e interpretò
però l’accordo in chiave puramente difensiva, senza gli accenti filotedeschi che erano
stati propri di Crispi.
In vista di una eventuale ripresa della
politica coloniale, Giolitti cercò nel 1902 di
avviare rapporti più stretti con le altre grandi potenze d’Europa, in particolare con la
Francia, con la quale erano in corso contenziosi commerciali vecchi di alcuni decenni.
Per esempio, Roma si disse disposta ad accettare la penetrazione di Parigi in Marocco
in cambio della benevolenza francese sulle
mire italiane verso Tripolitania e Cirenaica, ancora in mano di un Impero ottomano
ormai al collasso. Giolitti volle poi un avvicinamento e un nulla osta sulle ambizioni
coloniali italiane in Africa del Nord anche
con Russia e Regno Unito.
Nel complesso Roma occupava in questo
modo una posizione mediana tra le pretese di Londra, Parigi e Pietroburgo, da una
parte, e Vienna e Berlino, dall’altra, contri-
© Loescher Editore – Torino
38
1870
L’Italia di Giolitti
© Loescher Editore – Torino
1882 Koch scopre il batterio della tubercolosi
1895 I Lumière brevettano il cinematografo
1903 Primo volo aereo dei fratelli Wright
1913 Ford introduce la catena di montaggio
1920
39
1
2
L’Europa e il mondo nel primo Novecento
buendo in qualche misura a stemperare le
durezze diplomatiche d’inizio secolo. E solo
quando sentì che il paese era pronto per un
nuovo sforzo, decise di riprendere la politica coloniale aggressiva abbandonata a fine
Ottocento.
La ripresa della politica
coloniale italiana
sciovinismo:
atteggiamento
nazionalistico portato
all’esasperazione. Deriva
dal nome di N. Chauvin,
soldato napoleonico
particolarmente valoroso
divenuto simbolo
del patriota fanatico
e intransigente.
L’occasione venne fornita, come accennato, dalla crescente debolezza dell’Impero
ottomano, i cui territori in Africa del Nord
e Vicino Oriente erano ormai oggetto di una
disputa accanita tra le potenze europee.
L’obiettivo prescelto fu la Libia, per una serie di ragioni.
In primo luogo, si trattava dell’unico territorio dell’Africa settentrionale non ancora
sottoposto al dominio di una nazione europea. Inoltre la sua conquista avrebbe garantito all’Italia un ruolo internazionale di rilievo, dimostrando alle nazioni concorrenti
che il paese possedeva le risorse economiche e militari necessarie per una grande impresa oltremare.
L’occupazione della Libia avrebbe anche soddisfatto le richieste del movimento
nazionalista, nato nel 1910 per iniziativa
soprattutto dello scrittore Enrico Corradini
e che si inseriva a pieno titolo nel solco dei
movimenti sciovinisti che in quegli anni
conquistavano in tutti i paesi europei consensi sempre più vasti nell’opinione pubblica. Particolare del nazionalismo italiano fu
la contrapposizione, teorizzata dallo stes-
so Corradini, tra «nazioni capitalistiche» e
«nazioni proletarie». Secondo questa visione, l’Italia, nazione proletaria per eccellenza, non avrebbe dovuto rispettare i vincoli
creati da alleanze di stampo tradizionale
come la Triplice, ma unicamente il proprio
interesse egoistico.
La Libia avrebbe infine fornito una «quarta sponda» ricca di terre da coltivare, verso
le quali dirottare parte dell’emigrazione. La
stessa emigrazione, in questo modo, avrebbe reso un grande servizio alla madrepatria,
producendo per la penisola anziché disperdersi ai quattro angoli del mondo. [ I NODI
DELLA STORIA p. 42]
La guerra di Libia
La guerra fu decisa nel 1911 quando la Francia procedette all’occupazione del Marocco.
Rimandare l’invasione, a parere di Giolitti,
avrebbe privato l’Italia del necessario spazio di manovra sulla scena internazionale.
Le ostilità contro l’Impero ottomano furono dichiarate il 29 settembre, in seguito ad
alcuni incidenti che a Tripoli avevano visto
vittime i cittadini italiani, e furono apertamente sostenute dall’opinione pubblica borghese. Solo una parte delle sinistre
si oppose, affiancata da intellettuali come
Gaetano Salvemini, che definì la Libia uno
«scatolone di sabbia» per spiegare che non
esistevano motivi economici che giustificassero i rischi e i sacrifici di una guerra.
Un corpo di spedizione guidato dal generale Carlo Caneva sbarcò a Tripoli, sconfisse
Guerra in Libia: fanteria italiana in trincea, 1911.
Guerra di Libia: un bersagliere italiano
si fa curare una ferita alla mano, 1911.
i turchi e occupò velocemente la fascia costiera fino a Tobruk. La conquista dell’interno fu invece assai travagliata. A contrastare
gli italiani furono qui le tribù berbere sostenute dagli stessi turchi che le armavano e le
finanziavano. La guerriglia locale fu vinta
col tempo, e solo con l’uso di spietati metodi repressivi.
Nel maggio del 1912, l’Italia occupò Rodi
e le isole del Dodecaneso. Nel luglio dello
stesso anno, con le trattative diplomatiche
in fase di stallo – Istanbul rifiutava di riconoscere la sconfitta – un commando di
torpediniere violò lo stretto dei Dardanelli
dimostrando la debolezza delle difese turche. Solo allora il sultano chiese l’armistizio
e la guerra si chiuse con la firma della pace
nell’ottobre 1912: l’Italia ottenne la Libia e,
nel Mare Egeo, mantenne Rodi e le isole del
Dodecaneso.
Sul piano economico la conquista della Libia non diede i risultati sperati poiché
il territorio libico, in gran parte desertico,
era difficilmente lavorabile e scarsamente
adatto allo sforzo di colonizzazione da parte dell’emigrazione italiana. Gli immensi
giacimenti di petrolio nascosti nel suo sottosuolo erano ancora lontani dall’essere
scoperti.
Sul piano politico, l’avventura libica ebbe
diverse conseguenze. I nazionalisti rafforzarono le proprie posizioni e misero in difficoltà il governo chiedendo non solo una
politica coloniale ancora più aggressiva, ma
anche una forte affermazione di potenza
nei confronti delle altre nazioni europee. I
socialisti invece si spaccarono e nacque al-
Pagina di un giornale socialista
che condanna la guerra di Libia.
lora il Partito socialista riformista italiano,
guidato da quei riformisti che avevano appoggiato la guerra e che erano stati espulsi
dal Psi. La corrente più intransigente, avversa al governo e a qualsiasi politica bellica
nel nome del pacifismo socialista, ottenne
allora il controllo del partito. Filippo Turati,
benché in minoranza, volle restare nel Psi.
Giolitti, infine, ricavò dal conflitto notevoli consensi, ma non ebbe modo di godere
a lungo di questo trionfo.
Le elezioni del 1913 e la caduta
di Giolitti
Nel giugno 1912, Giolitti aveva promosso il
varo di una nuova e importantissima legge
elettorale. In base ad essa, acquisirono il diritto di voto tutti i cittadini maschi alfabetizzati con almeno 21 anni, i maggiori di 30
anni anche se analfabeti, e tutti coloro che
avevano svolto il servizio militare. Grazie a
questo provvedimento, il suffragio si estendeva a buona parte delle classi popolari, che
poterono così prendere parte attiva alla vita
L’estensione del diritto di voto
in Italia
Anno della
consultazione
elettorale
Percentuale
di aventi diritto
al voto
1861
2,5
1882
5
1892
10
1913
22
© Loescher Editore – Torino
40
1870
L’Italia di Giolitti
© Loescher Editore – Torino
1882 Koch scopre il batterio della tubercolosi
1895 I Lumière brevettano il cinematografo
1903 Primo volo aereo dei fratelli Wright
1913 Ford introduce la catena di montaggio
1920
41
1
2
L’Europa e il mondo nel primo Novecento
politica nazionale; il numero degli elettori
passò da 3,5 milioni a 8,5 milioni, circa il
23% della popolazione.
La nuova legge elettorale fu applicata per
la prima volta nel 1913 e le consultazioni furono un successo per Giolitti, che poté contare su un’ampia maggioranza parlamentare. Tuttavia, il contributo dei cattolici alla
vittoria, cercato con tenacia
attraverso il «Patto Gentiloni», era stato fondamentale e il nuovo governo
si mostrò assai meno
stabile dei prece-
Municipio di Alfonsine (Ravenna) dopo l’incendio appiccato dagli insorti durante la «settimana rossa».
denti. In breve tempo Giolitti, stretto tra le
richieste dei cattolici e una sinistra sempre
più intransigente, fu costretto a dimettersi.
Era il marzo del 1914.
Gli subentrò Antonio Salandra, un liberale moderato, appoggiato dallo stesso
Giolitti. Durante il governo Salandra l’Italia
tornò a una politica di stampo nettamente
più conservatore. Se ne ebbe prova nel giugno 1914, quando in occasione di una manifestazione socialista ad Ancona, le guardie
regie spararono e uccisero tre dimostranti.
Lo sciopero generale, le tensioni e i tumulti
di stampo insurrezionale che allora scossero l’Italia nella «settimana rossa», tra il 7 e
il 13 giugno, causarono 17 morti e centinaia
di feriti. La situazione era esplosiva, ma il 28
giugno giunse da Sarajevo, in Bosnia, la notizia dell’assassinio dell’arciduca Francesco
Ferdinando, che mise a rischio la pace europea e distolse anche gli italiani dai problemi
interni. Un anno dopo il nostro paese sarebbe entrato nella Prima guerra mondiale,
proprio guidato da Salandra.
1887
Il protezionismo incentiva
l’industria
1891
Enciclica di Leone XIII Rerum
Novarum sui temi sociali
1895
Fondazione del Partito socialista
italiano
1898
Repressione violenta
delle manifestazioni contro
il rincaro del pane
Il colonialismo italiano: italiani brava gente?
L’impresa di Libia fu il secondo tentativo coloniale italiano. Alla
fine dell’Ottocento c’era stata l’avventura nel Corno d’Africa terminata con il disastro della sconfitta di Adua. A metà degli anni
Trenta, come vedremo, nel pieno del regime fascista, l’Etiopia
venne finalmente conquistata riscattando, se così si può dire,
la sconfitta di quarant’anni prima. Sul tema del colonialismo
italiano e, più in generale, sul modo di fare la guerra dell’esercito italiano in questo periodo la storiografia ha recentemente
manifestato un interesse molto forte. Non si può dire che lo
stesso zelo, pur con le significative eccezioni, sia avvertibile
nella produzione precedente. In effetti si tratta di una materia
scabrosa, una di quelle questioni che mettono in imbarazzo,
soprattutto se si scoprono particolari poco edificanti per l’immagine nazionale. Il mito degli italiani brava gente, del popolo
e dei suoi soldati magari un po’ pasticcioni ma fondamentalmente incapaci di compiere azioni abiette, è duro a morire. La
realtà fu, invece, molto diversa. Tutte e tre le iniziative colonialiste italiane furono caratterizzate da episodi feroci e brutali, nei
quali non mancarono, da parte del nostro esercito, veri e propri
crimini. Impiccagioni sommarie, campi di concentramento, uso
di gas velenosi, saccheggi e stupri di gruppo sono fatti noti e
ampiamente accertati. Il fatto che la dominazione coloniale di
altre nazioni fosse anche più disumana non può certo costituire
una scusante.
42
© Loescher Editore – Torino
La sconfitta italiana ad Adua fu sostanzialmente giusta e – in
parte – anche prevedibile: venne infatti attaccato l’unico Stato
africano minimamente organizzato e dotato di un esercito in
certa misura efficiente. La disfatta fu poi agevolata dal comportamento dilettantesco dello Stato maggiore italiano. L’impresa
di Libia fu condotta con il generale consenso dell’opinione pubblica italiana e in un clima di ubriacatura nazionalista. Fa una
certa impressione pensare che anche un poeta delicato, alieno
alla retorica e di antiche simpatie socialiste come Giovanni
Pascoli potesse celebrare l’evento con il discorso La grande
proletaria si è mossa. Il nuovo attacco all’Etiopia (o Abissinia,
come si usava dire) portato avanti da Mussolini nel 1936, come
vedremo, non segnò solo l’inizio dell’isolamento internazionale
dell’Italia, ma anche una nuova pagina gravissima di violenze e
crimini di guerra. Nell’immaginario pubblico nazionale si preferì
stemperare tutto nella retorica nazionalista o nel mito sempre
efficace dell’italiano buono, civilizzatore e magari un po’ seduttore. Da qui la fortuna di canzoni come Tripoli, bel sol d’amore o
la stessa Faccetta nera, storia dell’innamoramento di un soldato
italiano per una bella ragazza etiope. Per una grottesca ironia
della sorte la canzoncina, per certi versi la più celebre del periodo fascista, fu censurata proprio dal regime. All’indomani delle
leggi razziali del 1938, un amore misto «italo-africano» non era
tollerabile per il regime.
1 Mentre la popolazione cresce, tra fine del XIX e inizio del XX secolo l’Italia
diventa una grande potenza industriale. Tra la fine dell’Ottocento e il primo
quindicennio del Novecento, l’Italia conobbe un notevole sviluppo demografico ed
economico. La popolazione aumentò da 26 a 36 milioni, mentre tutti i campi dell’apparato produttivo crebbero, così come il Pil e il reddito medio. L’agricoltura restò il
settore con più lavoratori, ma l’ascesa più vistosa fu quella dell’industria, favorita da
una politica protezionistica: essa permise all’Italia di entrare a far parte degli Stati
più avanzati del mondo. I comparti più dinamici furono quello siderurgico, il cantieristico, il meccanico, l’idroelettrico, il tessile e il chimico.
2 1899
Fondazione della Fiat
I NODI DELLA STORIA
L’Italia di Giolitti
1900
Assassinio di Umberto I
1903-1914
Governi Giolitti
1912
Suffragio universale maschile;
conquista della Libia
1913
Patto Gentiloni: i cattolici
di nuovo in politica
Il proletariato assume un notevole peso politico, i cattolici si auto-escludono dalla vita pubblica, il Meridione soffre di una grave arretratezza.
Grandi questioni politiche e sociali animavano i dibattiti pubblici nell’Italia d’inizio
Novecento. La classe operaia, e in generale le classi lavoratrici, avevano acquisito grande visibilità attraverso le loro organizzazioni sindacali e partitiche: il Partito
socialista italiano, fondato nel 1895, chiedeva che ai salariati fossero concessi
adeguati miglioramenti delle condizioni di vita e di impiego. I cattolici, ancora soggetti al non expedit di Pio IX, rimanevano ai margini della vita pubblica nazionale, ma
vivevano un’intensa stagione associazionistica e contribuivano al dibattito sociale. Il
Meridione, afflitto da povertà, malattie, arretratezza economica e sociale, criminalità
organizzata, vedeva aumentare il divario che lo separava dal Nord.
3 Giovanni Giolitti domina la scena italiana nel primo quindicennio del Novecento e favorisce la partecipazione delle masse operaie alla vita politica. Nel 1900 fu assassinato il re Umberto I e il figlio Vittorio Emanuele III, che gli
succedette al trono, ne abbandonò la politica autoritaria. Grande interprete di questa
svolta fu Giovanni Giolitti, al governo dell’Italia quasi ininterrottamente dal 1903 al
1914. Egli era convinto assertore del dialogo con le masse popolari, e lo considerava
l’unico modo per evitare proteste dagli esiti potenzialmente rivoluzionari. Giolitti promosse una ricca legislazione assistenziale e mai intervenne nei conflitti di fabbrica
tra padronato e operai, lasciando che essi trovassero un accordo attraverso la libera
contrattazione. Al contempo, per contenere la spinta della sinistra massimalista, Giolitti cercò e ottenne nel 1913 l’appoggio dei cattolici («Patto Gentiloni»). Inefficace
fu invece l’azione di Giolitti nel Meridione. Anzi, l’alleanza con i latifondisti e la sua
tolleranza verso la scarsa legalità della lotta politica al Sud valsero a Giolitti l’accusa
di «ministro della malavita» e la fama di depredatore del Mezzogiorno a vantaggio
del Nord già sviluppato.
4 Alle soglie della Prima guerra mondiale, l’Italia conquista la Libia e introduce il suffragio universale maschile. A inizio Novecento, l’Italia era vincolata
in campo internazionale alla Triplice Alleanza, che la legava a Germania e AustriaUngheria. Giolitti cercò un avvicinamento a Francia e Regno Unito, lanciando poi il
paese in una nuova avventura coloniale, largamente sostenuta dall’opinione pubblica borghese e nazionalista. Con una guerra che si svolse tra 1911 e 1912, Roma
strappò all’Impero ottomano la Libia, verso la quale progettava di dirottare parte
dell’imponente emigrazione italiana. Nello stesso 1912, grazie a una riforma elettorale, il suffragio venne esteso a quasi tutti i cittadini maschi e le consultazioni
politiche del 1913 diedero ancora una volta un’ampia maggioranza parlamentare
a Giolitti. Il suo governo si dimostrò però assai poco stabile, tanto che lo statista
piemontese dovette dimettersi e lasciare il posto ad Antonio Salandra: questi riportò
l’azione dell’esecutivo su strade decisamente conservatrici. L’«età giolittiana» poteva
così dirsi conclusa.
© Loescher Editore – Torino
43
1
2
L’Europa e il mondo nel primo Novecento
Gli italiani tra fine XIX e inizio XX secolo:
un popolo di migranti
È sufficiente un solo dato per definire la dimensione sociale di massa dell’emigrazione italiana tra la fine del
XIX secolo e lo scoppio della Prima guerra mondiale: stando alle rilevazioni statistiche ufficiali (dal 1876 al
1914), furono oltre 14 milioni gli italiani che espatriarono in cerca di lavoro o per congiungersi con i propri
familiari già all’estero. La punta massima di questo flusso migratorio fu toccata nel 1913, quando furono
quasi 400.000 gli emigrati italiani a partire. L’espansione demografica, dovuta alla contemporanea riduzione
della mortalità e incremento della natalità, e gli sviluppi tecnologici nei diversi settori produttivi portarono a
una sproporzione tra la quantità di popolazione e le possibilità di occupazione, che contribuì in modo decisivo
alla scelta di emigrare. La maggior parte dei migranti italiani erano maschi e analfabeti; le mete privilegiate
soprattutto nel primi quindici anni del XX secolo furono oltreoceano: Brasile, Argentina e Stati Uniti.
Il viaggio
L’Italia di Giolitti
L’inserimento nella società americana
La più nota e importante zona di insediamento italiano negli Stati Uniti era il quartiere di Little Italy, a New York, nella parte meridionale
di Manhattan. Ben presto all’interno della comunità italiana si crearono profonde differenze sociali tra chi era riuscito rapidamente ad
affermarsi nella nuova società e chi invece continuava a svolgere i lavori più umili. Alcuni furono coinvolti in attività illecite o apertamente
criminali. In generale, comunque, gli immigrati (non solo italiani) furono prevalentemente impiegati nei lavori più pesanti, quali la coltivazione dei campi, la costruzione di ferrovie o l’estrazione dalle miniere; con il loro lavoro contribuirono ad ammodernare le infrastrutture
fondamentali della società americana.
Gli emigranti italiani in attesa di imbarco in un dipinto di Raffaello Gambogi, 1895.
I migranti erano carichi di
masserizie di ogni sorta
provenienti da casa, con cui
avrebbero cercato di affrontare
il soggiorno in una terra ignota,
senza risorse immediatamente disponibili. A fianco di una
larga maggioranza di migranti
poveri ne figuravano alcuni altri
più abbienti, che speravano di
migliorare la propria sorte e di
fare fortuna all’estero.
I piroscafi, o navi a vapore,
mezzo di trasporto tipico della
seconda metà dell’Ottocento,
erano il solo mezzo con cui
compiere un viaggio oltreoceano, rischioso e faticoso, pieno
di incognite.
Little Italy a New York, primi del Novecento.
Un esempio di successo
Alcuni emigrati italiani riuscirono a fare una considerevole fortuna economica e a costruirsi una brillante carriera sociale. Il caso più noto è
quello di Fiorello La Guardia: figlio di un emigrato foggiano e di un’emigrata triestina, divenne sindaco di New York tra il 1933 e il 1945.
Lo sbarco
I migranti dall’Europa diretti in America approdavano a Ellis Island,
piccola isola di fronte a Manhattan (New York) dotata delle strutture
per la prima «accoglienza»: infatti, una severa selezione attraverso
gli uffici di polizia e di sanità verificava che tra gli immigrati non vi
fossero criminali, sovversivi o portatori di malattie infettive. Gli immigrati italiani, come quelli irlandesi, tedeschi, ebrei, russi o polacchi, ecc., venivano così classificati e schedati prima di raggiungere
la terraferma.
Un gruppo di emigranti appena sbarcato in America mentre viene condotto a Ellis Island.
La regina Guglielmina dei Paesi bassi visita New York: il sindaco è Fiorello La Guardia,1942.
44
© Loescher Editore – Torino
© Loescher Editore – Torino
45
2
L’Europa e il mondo nel primo Novecento
ATTIVITÀ
1
Ragiona sul tempo e sullo spazio
Impara il significato
1
4
2
Osserva la cartina a p. 28 e la tabella a p. 32 e costruisci una cronologia dello sviluppo ferroviario italiano
per nord, centro e sud; poi prova a incrociare i dati che ricavi con quelli della tabella sull’alfabetizzazione:
come pensi si possa interpretare la correlazione tra i dati che ricavi?
1 Nel
Giovanni Agnelli fonda la Fiat a Torino
2 Nel
nasce il Partito socialista italiano, guidato da Filippo Turati
3 Nel
papa Leone XIII promulga l’enciclica Rerum Novarum, che segna la nascita della «dottrina sociale»
della Chiesa
4 Il 29 luglio del
l’anarchico Gaetano Bresci uccide a Monza il re Umberto I
5 Nel
il re Vittorio Emanuele III affida il governo esecutivo a Giuseppe Zanardelli, esponente della Sinistra
liberale
6 Dal
al 1914 Giovanni Giolitti rimane alla guida del governo quasi ininterrottamente: questo periodo è
passato alla storia come «età giolittiana»
7 Nel
Giolitti fa approvare la riforma elettorale in base alla quale acquisiscono il diritto di voto tutti i cittadini
maschi
8 Nel
viene indetto il primo sciopero generale nella storia d’Italia, promosso dal Partito socialista
9 Nel
Giolitti stipula il «Patto Gentiloni», un patto di mutuo sostegno tra liberali e cattolici
10 Nel
si conclude la guerra contro la Libia: l’Italia ottiene la Libia e mantiene Rodi e le isole del Dodecaneso
11 Nel
Giolitti è costretto a dimettersi
Scrivi quale significato assumono i seguenti concetti nell’«età giolittiana».
1
2
3
4
5
6
7
8
Completa le frasi scrivendo l’anno esatto in cui accade l’evento, poi distingui con tre colori diversi
gli eventi riconducibili allo sviluppo economico italiano, quelli che riguardano la questione sociale e
quelli che si riferiscono alle vicende politiche del primo Novecento in Italia.
5
L’Italia di Giolitti
Congiuntura
Sistema creditizio
Prodotto nazionale lordo
Endemico
Politica di non ingerenza
Sostegno previdenziale
Clientelismo
Corruzione
Nei primi anni del Novecento la criminalità organizzata acquista sempre maggior potere nelle regioni del Mezzogiorno:
rifletti sul significato di «criminalità organizzata» e spiega in che cosa si differenzia dalla semplice «criminalità»?
Osserva, rifletti e rispondi alle domande
6
Osserva la mappa concettuale relativa al dibattito politico in Italia all’inizio del Novecento. Poi rispondi alle domande.
Il dibattito politico in Italia all’inizio del Novecento
Esplora il macrotema
3
Completa il testo.
Il progetto politico-sociale di Giolitti ha come obiettivo principale quello di allargare le basi del consenso
allo stato liberale, cercando di coinvolgere i socialisti e i cattolici che finora sono rimasti esclusi, al fine
di garantire lo sviluppo (1)
del paese.
La sua azione politica in tema di «questione sociale» si rivela efficace: egli infatti abbandona la linea
repressiva contro le classi lavoratrici e promuove il (2)
tra istituzioni e lavoratori,
garantendo loro una reale libertà di astensione dal lavoro, un sistema fiscale più equo, una legislazione
(3)
più attenta ai loro problemi, nonché l’estensione del (4)
di voto.
Anche la sua azione politica in tema di «questione (5)
» è efficace: il Patto Gentiloni è
il primo passo verso la partecipazione piena dei cattolici alla vita (6)
del paese, che
serve a Giolitti per bilanciare l’estremismo delle sinistre e scongiurare il rischio di un’affermazione del
socialismo; grazie a esso, nel 1913 molti candidati liberali vengono eletti alla Camera con il voto dei
cattolici.
Nel complesso la stagione giolittiana porta grandi benefici all’Italia: Giolitti riesce a coinvolgere nel
governo le forze più avanzate della società, la (7)
capitalistica e i socialisti riformisti,
favorendo il progresso dell’agricoltura e dell’(8)
e l’assorbimento delle sinistre moderate
nel campo degli interessi nazionali.
1 Chi rappresenta le rivendicazioni degli operai?
2 Qual è la posizione della Chiesa riguardo alla «questione sociale»?
3 Quali furono le conseguenze dell’emigrazione dal Mezzogiorno?
Esse furono negative o positive?
Mostra quello che sai
7
46
© Loescher Editore – Torino
Osserva l’immagine a p. 38 e spiega la rappresentazione di Giolitti alla luce delle sue scelte politiche.
© Loescher Editore – Torino
47