Democrazia, libertà e cittadinanza nella Grecia antica (appunti relativi all’incontro del 2 marzo 2012) 1. Comunicazione di Alfio Moccia Nell'antica Grecia la parola “democrazia”, che deriva da demos=popolo e cràtos=potere, quindi potere (governo) del popolo, fu usata nella polis di Atene con significato dispregiativo e veniva utilizzata dal ceto sociale egemone (aristocratici), soprattutto al tempo di Pericle (Atene 495-429 a.C.) per indicare il disprezzo della classe egemone verso il “potere del popolo” e/o della maggioranza che fondava la sua forza non sulla qualità ma sulla quantità dei cittadini, senza conteggiare gli schiavi che erano la maggioranza ma non godevano né di diritti politici né civili. Ritengo interessante proporre all'attenzione di chi ascolta o legge queste mie modeste considerazioni sulle origini della democrazia due brevi ma significativi testi riferiti ai tempi di Pericle, quindi del periodo d'oro della civiltà greco-ateniese, che rispecchiano due giudizi e due concetti diversi sullo stato e sul governo democratico nelle polis greche. Il primo documento, tratto da “L'elogio di Atene” è uno dei famosi discorsi che lo storico Tucidide mette in bocca a Pericle ed esprime l'orgoglio degli ateniesi per il loro sistema politico. Il secondo documento è uno scritto anonimo che per lungo tempo fu attribuito erroneamente a Senofonte. L'autore del testo, oggi noto come pseudo-Senofonte, si dichiara esplicitamente contrario al sistema politico ateniese ed è un ottimo esempio del punto di vista politico degli ateniesi aristocratici, convinti che solo i migliori (àristoi=gli ottimi) o solo i pochi (òligoi) potessero avere la responsabilità e la maturità per governare lo stato e gestire il potere nella polis. Di seguito proponiamo all'attenzione del lettore i due brevi testi tradotti dal greco. “... Abbiamo una costituzione che non imita le leggi dei vicini, in quanto noi siamo più d'esempio agli altri che imitatori. E poiché essa è retta in modo che i diritti civili spettino non a poche persone ma alla maggioranza, essa è detta democrazia: di fronte alle leggi, per quanto riguarda gli interessi privati, se uno può fare qualcosa di buono alla città, non ne è impedito dall'oscurità del suo rango sociale” (Tucidide, La guerra del Peloponneso, libro V). Ed ecco, per contrasto, il testo anonimo, noto come di pseudo-Senofonte: “... In ogni parte del mondo gli elementi migliori sono avversari della democrazia. Queste persone sono poco portate alla sfrenatezza e all'ingiustizia: sono anzi interessate a tutto ciò che è onesto. Nel popolo, invece, troviamo grandissima ignoranza e smodatezza e malvagità. E' la povertà, soprattutto, che lo spinge ad azioni vergognose, e così pure la mancanza di cultura e di educazione, che in taluni è dovuta a insufficienza di mezzi... Una città con tali ordinamenti non può certo essere un modello di perfezione. Il popolo non vuole essere sottomesso in una città bene amministrata, ma vuole essere libero e comandare, e del mal governo gliene importa ben poco. Se tu cerchi un buon governo vedrai in primo luogo i più capaci imporre le leggi al popolo, e poi le persone per bene si vendicheranno della plebaglia, prenderanno loro le decisioni sugli affari della città e non permetteranno che dei pazzi partecipino al Consiglio o si alzino a parlare o siedano in Assemblea. Così, con questi saggi provvedimenti, in poco tempo il popolo piomberebbe nella sottomissione...”(Pseudo-Senofonte, La costituzione degli Ateniesi, 4,5,6,7). Come si evidenzia dai testi citati, già alle origini il termine “democrazia” è nato con un curioso destino che lo seguirà nella sua evoluzione storico-culturale con tutta la carica del suo equivoco semantico. In altri testi dell'antica Grecia, in particolare ad Atene, i sostenitori del regime politico che dovrebbe garantire condizioni di parità e di giustizia tra i cittadini al fine di sostenere il sistema politico al posto di “democrazia” usavano altri termini come “Isonomìa”=leggi uguali per tutti, “isogorìa”=pari dignità nelle assemblee rappresentative, diritti ispirati ai principi di “parresìa”= libertà di parola e di “elèuterìa”= libertà, indipendenza. A ispirare questi principi politici e giuridici nell'antichità, non solo in Grecia, ma in Roma e nelle vaste aree geografiche pre-greche e pre-romane, contribuivano gli intellettuali, in particolare i filosofi, i poeti e gli artisti che nei vari contesti storici rappresentavano i riferimenti culturali per le politiche dei tempi. In particolare un ruolo importante per dare forma e contenuti alla vita politica e civile organizzata dell'antichità ebbe il filosofo Aristotele(384-322 a.C,), discepolo di Platone e autore di un pensiero filosofico nuovo ed originale che si discosta in modo sempre più evidente da quello del maestro ed eserciterà per molti secoli un influsso diffuso sul pensiero filosofico successivo in Oriente e in Occidente fino a tutto il Medioevo europeo. I suoi vasti campi d'indagine sono principalmente tre: il mondo logico-matematico, guidato dal sillogismo, il mondo fisico, costituito dalla materia e il mondo metafisico, costituito dalla forma; la materia e la forma costituiscono la “substantia”=sostanza della realtà. Vale la pena sintetizzare brevemente qui la sua visione politica documentata sui frammenti di testo pervenuti fino a noi e conosciuti come “La Costituzione di Atene”. Aristotele vede il fondamento della comunità politica nel fatto che la “pòlis”=città è fatta di parti complementari tra loro, proprio come un organismo animale. Compito della comunità politica è garantire ai cittadini una vita felice costituita dall'esercizio da parte di coloro che ne sono degni e capaci delle funzioni più nobili dell'animo umano. Per questo il governo della comunità, città o stato che sia, deve essere sottratto all'arbitrio, guidato dalle leggi vigenti, reso stabile da una classe media di cittadini né troppo poveri né troppo ricchi e da un buon equilibrio tra città e campagna. Solo una comunità di questo genere può creare le condizioni per l'educazione dei giovani alla moderazione delle passioni e degli affetti e all'apprezzamento della vita intellettuale. Aristotele, tra l'altro, aveva immaginato un mondo fondato su un equilibrio dinamico di saggezza, scaturito dallo sviluppo intellettuale (scienza e conoscenza) e da un comportamento di vita moderato e guidato da un sistema normativo valido per tutti (Etica). Sappiamo che consigliava questo modello di società e di vita al giovane Alessandro Magno, che però preferì seguire altre voci provenienti da altre direzioni e orientate verso orizzonti diversi. L'equivoco semantico sul termine “democrazia” proseguì dalle sue origini nell'antica Grecia attraverso i secoli che dall'età classica attraversarono il Medioevo e l'età moderna. Per questo anche oggi il concetto stesso di democrazia, dalle origini ai tempi nostri, non è cristallizzato in una sola accezione o in unica e concorde definizione, ma trova la sua espressione storica in diversi contesti e applicazioni, con in comune l'obiettivo e/o la presunzione demagogica di dare al popolo il potere effettivo di governare. Oggi per democrazia si suole indicare sia una forma di struttura istituzionale dello stato, con potere nelle mani del popolo, che un modo di governare, in nome e per conto del popolo=democrazia indiretta o delegata. Essa si colloca, quindi, a fianco di altre forme di stato o di governo come monarchia (potere nelle mani di una sola persona), aristocrazia, oligarchia, tirannide, dittatura ecc. Come già accennato in queste brevi note i Greci antichi preferivano indicare la forma corretta del buon governo del popolo col termine di “politèia” piuttosto che la sua forma degenerata e indicata col termine “democratìa” che per Aristotele è il ”regime della massa dei poveri” e per Platone è “licenza di fare ciò che si vuole”. A ben guardare alle origini e a seguire l'evoluzione delle esperienze dei popoli nel corso dei secoli, oggi noi possiamo facilmente constatare come la “politèia” dei greci e ben lontana dalla “democrazia” dei moderni e coglierne soprattutto le differenze di forma e di contenuto ma anche qualche analogia. Tra il nostro tempo e il tempo antico di riferimento ci sono secoli di storie di esperienze di popoli e di culture eterogenee che si esprimono attraverso progressi e involuzioni, insurrezioni e rivoluzioni, restaurazioni, rinascite e tramonti di imperi e di stati che, per riferirci solo ai secoli più vicini a noi, si chiamano illuminismo, romanticismo, risorgimenti nazionali europei, Poi ci sono le involuzioni democratiche del cosiddetto “secolo breve”, il novecento, che si chiamano nazionalsocialismo, fascismi, comunismi. Questi eventi segnano e condizionano ancora il nostro tempo e proiettano luci ed ombre sul nostro concetto di “democrazia”, non senza retorica e tentativi di vecchie e nuove mistificazioni in nome e sulla testa del “popolo sovrano” o in nome della democrazia. Nel nostro mondo globalizzato, malgrado forme sempre nuove di informazione e di comunicazione spesso appaiono restringersi più che allargarsi nuovi strumenti di partecipazione e di controllo del potere che pare tornare a concentrarsi in nuove forme di oligarchia se non di moderni ceti di rinascenti aristocrazie plutocratiche non moderate né dall'etica né dall'estetica, intese come strumenti di comportamento e di conoscenza. Per concludere queste brevi note su un argomento così ampio e articolato come la democrazia mi preme sottolineare un altro equivoco semantico spesso frainteso demagogicamente: l'accostamento tra democrazia e libertà, come termini simili e confusi tra loro. I due termini esprimono concetti e valori molto diversi e non vanno confusi o considerati come sinonimi. Nella realtà fattuale di alcuni contesti storici o socio-economici può esserci libertà senza democrazia, così come può esserci democrazia senza libertà. Ogni riferimento all'attualità politica nazionale e internazionale non è affatto casuale. 2. Dibattito Dopo la relazione di Alfio, come al solito, segue un vivace dibattito. Uno dice: «Sono grato al gruppo Sos scuola che nel suo piccolo riesce a organizzare un incontro estremamente utile per comprendere anche il mondo nel quale viviamo. Che cosa deve fare una scuola, sia pure di carattere tecnico come il Cosentino, in questo tempo travagliato e confuso, se non incoraggiare ricerche e dibattiti che permettano di comprendere ed orientarsi? Grazie ad Alfio perché è sempre presente a questi incontri e perché questa volta ha illustrato con competenza un argomento difficile a tutto vantaggio di ognuno di noi, ma soprattutto degli studenti presenti». Un altro esclama: «Noi abbiamo sempre pensato che la “democrazia” e la “libertà” siano nate in Grecia e che la pratica di governo in Grecia fosse già allora una sorta di panacea per tutti i mali della società. A ben vedere, l’economia era basata sulla schiavitù; le donne non avevano alcuna voce in capitolo; i poveri diavoli non avevano alcun potere; chi sapeva manovrare utilizzando i mezzi a disposizione, compresa la demagogia e la possibilità di eliminare fisicamente l’avversario, non si faceva scrupoli; Atene non era certo una repubblica ma un impero. Ma che democrazia era quella di Atene?». Una professoressa spiega: «Qui occorre rilevare l’importanza dell’idea “democrazia” non la purezza del concetto o della prassi politica, una forma di governo che allarga il potere a molti soggetti e che si contrappone da una parte alla tirannide, cioè il potere di uno solo, e dall’altra all’aristocrazia, cioè il potere di pochi.» Una studentessa dice: «Effettivamente, devo ammettere che dopo questo incontro comprendo un poco meglio la confusione che avvolge termini come “democrazia”, “libertà”, “uguaglianza”. Confesso però che molti aspetti ancora mi sfuggono perché le nostre basi culturali non sono molto solide. Per esempio, tutta la parte etimologica per noi è ostica e richiede un approfondimento. Intuisco anche che spesso quando ci riempiamo la bocca di questi concetti, spesso non sappiamo esattamente quello che diciamo; non lo sanno neppure coloro che si presentano come competenti, magari perché sono docenti di storia o di lettere. Alfio Moccia è un caso raro, il caso di un docente che coniuga la passione vera per la politica e la conoscenza con l’impegno ad essere sempre all’altezza delle sfide». Un’altra persona afferma: «Io sono sempre felice di poter ascoltare persone come Alfio che ci parlano delle radici della nostra cultura. Io lo dico sempre agli studenti che le nostre radici culturali sono nella Grecia antica, non solo perché la Grecia è la culla della cultura occidentale: noi calabresi siamo, ci pensate, ragazzi, gli eredi della Magna Grecia». Un altro spiega: «L’incontro di oggi deve servire a fissare alcune coordinate che ci permettano anche di leggere, per esempio, il testo della nostra costituzione. Deve servire però anche a sfatare alcuni miti. Il primo mito riguarda l’età classica come l’epoca d’oro della civiltà, in cui l’umanità ha raggiunto il vertice in ogni campo e dopo non si è avuto altro che oscurantismo o scimmiottamenti di quella stagione fortunata. Mi pare che la relazione di Alfio, in questo senso, sia una buona tessera del mosaico, perché ci dice chiaramente che il concetto di “democrazia” è confuso ed ambiguo fin dal suo apparire. In questo senso, il lavoro di ricerca di Luciano Canfora mi sembra estremamente interessante. Segnalo in particolare la sua opera di recente pubblicazione Il mondo di Atene in cui l’autore prende di mira proprio il celebre Epitafio di Pericle che troviamo in Tucidide, citato anche da Alfio, per svelarne il contenuto mitico. A ben vedere il sistema di governo ad Atene era “una democrazia solo a parole”, anzi il potere imperiale di Pericle era quello di un principato. In un’intervista Canfora afferma che secondo Tocqueville la democrazia di Atene era una aristocrazia piuttosto ampia, e per Max Weber era una Gilda che si spartiva il bottino. Il secondo mito che dobbiamo sfatare riguarda noi meridionali e la Magnagrecia, cui faceva riferimento l’intervento precedente. Noi oscilliamo tra due estremi, entrambi molto dannosi: da una parte ci sono quelli che pensano che noi siamo sempre ultimi e dobbiamo imitare tutte le novità che arrivano dall’esterno e seguirle acriticamente, perché ciò che è nuovo è senz’altro buono, anzi ottimo; dall’altra ci sono quelli che credono che noi siamo i migliori in assoluto perché siamo i discendenti di Pitagora. Come al solito la verità sta nel mezzo e per intuirla basta constatare che la grande Sibari è stata distrutta molto presto, nel 510 a.C.; che all’indomani delle Guerre puniche in Calabria di magnogreco era rimasto ben poco; che il nocciolo duro della nostra identità si è formato durante il lunghissimo arco di tempo che abbraccia l’epoca romana (basta considerare la nostra lingua) e l’epoca romaica, cioè bizantina (basta considerare il sentimento religioso e alcune tradizioni), la cui cultura filtra in tutto il basso Medioevo». Un altro chiosa: «Se uno ha la ventura di crescere in una famiglia in cui alcuni membri si chiamano Temistocle e Clitemnestra, fa studi classici e insegna letteratura greca al liceo tutta la vita, ancorché in Calabria nel XX secolo, può convincersi facilmente di essere qualcuno spuntato fuori proprio da quel mondo e venuto a svolgere una missione: ricordare a tutti che noi siamo tutti magnogreci. Se un altro dedica tutta una vita agli studi omerici e si definisce “filoelleno”, pur vivendo nel XX secolo in una città importante della Calabria, può convincersi che l’Odissea sia stata scritta a Reggio Calabria. Esattamente come un altro che si converte alla religione ortodossa e crede di dover svolgere l’alta missione di sostituire, all’inizio del Terzo millennio, in tutta la Calabria, la religione cattolica con quella ortodossa. In tutti i casi si tratta, evidentemente, di allucinazioni».