Dispense di Elettronica Industriale

DISPENSE DI ELETTRONICA
INDUSTRIALE
(anno accademico 2002 -2003)
Convertitori di energia
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1.-Introduzione.
I convertitori di energia elettrica assolvono al compito di trasformare sorgenti di
energia continua (DC) in sorgenti di energia alternata (AC) e viceversa. Essi
normalmente impiegano interruttori comandati (meccanici o elettronici) che
hanno il vantaggio di non assorbire energia dato che, sia nello stato chiuso che in
quello aperto, il prodotto della tensione per la corrente è nullo. Poiché l’impiego
di interruttori (cioè dispositivi tutto niente) ha per conseguenza la creazione di
tensioni ad onda quadra il compito del progettista è quello di studiare delle leggi
di commutazione che minimizzino il loro contenuto di armoniche. La presenza di
armoniche nelle forme d’onda sintetizzate non è solo inutile ma anche dannosa
perché esse sono causa di disturbi elettromagnetici e di perdite di energia per
riscaldamento nei materiali conduttori circostanti.
2.-Convertitori DC/AC ad interruttore elettronico.
Un semplice esempio di convertitore a transistori con tensione di uscita ad onda
quadra è quella riportato in Fig. 1.
Fig. 1: Inverter a transistori.
Il trasformatore viene impiegato per elevare l’ampiezza della tensione alternata
sul carico. Allo scopo di minimizzare le perdite esso deve avere resistenza di
avvolgimento la più piccola possibile. Inoltre i flussi dispersi debbono essere resi
anch’essi trascurabili onde evitare pericolose sovratensioni sugli interruttori.
Si supponga allora che il transistore Tr2 conduca mentre Tr1 sia interdetto e, a
partire dal generico istante t0, si applichino delle tensioni opportune sulle
rispettive basi, in modo da capovolgere bruscamente la situazione. Detto allora Φ
il flusso nel ferro del trasformatore, np il numero di spire di ciascuna metà del
primario ed ns quello delle spire del secondario, prima della commutazione si ha,
trascurando le resistenze e i flussi dispersi:
3
dΦ
dt
dΦ
v s = ns
dt
Prima della commutazione il flusso nel trasformatore va dunque crescendo con
legge lineare1, mentre corrente e differenza di potenziale ai capi della resistenza
rimangono costanti fintantoché, a partire dall'istante t0, causa l'interdizione di Tr2,
la corrente nella metà inferiore del primario cessa bruscamente. Subito dopo la
commutazione si ha perciò un transitorio le cui modalità variano a seconda che la
parte superiore del primario cominci o non cominci subito a condurre corrente.
Se infatti all'istante t0 si ha E < np dΦ/dt il transistor Tr1 risulta polarizzato con
tensione negativa e non può condurre corrente. In questo caso il secondario si
evolve liberamente con andamento esponenziale tendente a zero e cioè:
E = np
Φ = Φ 0e
t − t0
τ
in cui τ è la costante di tempo legata al carico resistivo e all'induttanza di
magnetizzazione secondaria del nucleo del trasformatore. Non appena però al
decrescere di Φ la condizione E < np dΦ/dt non è più' soddisfatta, il primario
riprende a condurre e le leggi di variazione del flusso e delle correnti ritornano
ad essere lineari.
Fig. 2: Andamenti periodici del flusso e della corrente nel carico.
1
In pratica il flusso non può crescere linearmente oltre un certo limite dato che esso tende al
valore limite Φ max = L p
E
in cui Lp ed Rp sono l’induttanza e la resistenza primaria.
Rp
4
Si hanno perciò i diagrammi di Fig. 2 in cui l'andamento esponenziale si raccorda
con quello lineare quando si ha la mutua tangenza tra i due.
È importante notare infine che la corrente nella resistenza di carico subisce un
brusco salto per compensare l’azzeramento della corrente primaria e mantenere
così costante il flusso nel nucleo del trasformatore. Pertanto se il carico
comprendesse oltre alla resistenza, una induttanza in serie (ad esempio quella di
dispersione del secondario), la brusca variazione di corrente richiesta sul
secondario verrebbe impedita dando luogo all'insorgere di sovratensioni di tipo
impulsivo con conseguenze catastrofiche sul transistor Tr2 che, commutando
dallo stato di conduzione a quello di interdizione, è la causa prima del transitorio
descritto.
3.- Convertitori DC/AC di potenza.
Molto spesso è necessario alimentare carichi con forte assorbimento che
necessitano di una tensione quasi sinusoidale a frequenza variabile. In tal caso si
utilizza il circuito di Fig. 3 che consente in particolare di alimentare un carico
trifase (la versione monofase verrà descritta nel seguito):
Fig. 3: Convertitore DC/AC trifase.
Il carico trifase ha infatti il vantaggio di essere alimentato da tensioni sintetizzate
con interruttori, riportate in Fig. 4, che, benché risentano ancora della natura
tutto-niente degli interruttori con cui sono state generate, si avvicinano
abbastanza alla forma sinusoidale desiderata.
Fig. 4: Forme d'onda nel convertitore trifase DC/AC.
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Il circuito di Fig. 3 ovvero la sua realizzazione a mezzo di interruttori allo stato
solido, data la sua semplicità costruttiva, è molto diffuso nelle applicazioni
industriali. Il tipo di interruttori allo stato solido impiegati dipende dalla potenza
assorbita dal carico e va dagli SCR, per le alte potenze, ai transistori bipolari o
Mos per le potenze più basse. Nel caso si voglia utilizzare i transistori, uno dei
problemi più difficili che deve risolvere il progettista consiste nel pilotaggio della
base (o del gate) quando l’emettitore (o la sorgente) non è collegato a massa.
Fortunatamente se si usano MOS questo problema si risolve facilmente con
l’impiego della cosidetta pompa di carica, il cui schema elettrico è riportato in
Fig. 5.
Fig. 5: Pompa di carica per il pilotaggio di un MOS fuori massa.
Si tratta in pratica di un condensatore C che viene caricato alla tensione Vz
portando il transistore Tr1 allo stato ON. Chiudendo poi il transistor Tr2 (e
aprendo Tr1) si applica la Vz al gate del MOS portandolo in conduzione. Il diodo
Zener ha lo scopo di limitare la tensione del condensatore al valore Vz
strettamente necessario per saturare il MOS mentre il diodo D1 impedisce la
scarica del condensatore quando Tr2 è conduttore. Normalmente la carica del
condensatore, che si va lentamente esaurendo, viene ripristinata commutando i
due transistori Tr1 e Tr2 a frequenza piuttosto elevata. Il transistore Tr3 infine serve
a bloccare senza ritardi il MOS quando si desidera che esso non conduca.
4.-La tecnica PWM.
Il problema di ottenere una tensione o più precisamente una corrente di forma
prossima a quella sinusoidale sia nel carico trifase che in quello monofase si può
affrontare anche con altre tecniche e in particolare con quella a modulazione di
lunghezza di impulso PWM (Pulse Width Modulation). Quest'ultima consiste
nell'applicare sul carico, sempre utilizzando il convertitore di Fig. 3, oppure la
sua versione semplificata mostrata in Fig. 6 per il caso di un carico monofase, una
serie di impulsi di durata variabile come è mostrato ad esempio in Fig. 7.
Calibrando opportunamente le durate degli impulsi all'interno di ciascun
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semiperiodo è possibile ottenere una tensione (e quindi una corrente) con un
certo numero di armoniche nulle.
Fig. 6: Convertitore monofase.
Fig. 7: Forma d’onda PWM a due livelli (caso a) e a tre livelli (caso b).
Per fissare le idee si supponga di voler annullare le armoniche di ordine 3 e 5 (le
armoniche pari sono tutte nulle se la forma d’onda è simmetrica) con la
fondamentale eguale a V0. L'espressione generale delle armoniche di tensione
nella forma d'onda di Fig. 7-b (caso a tre livelli) è data dalla relazione:
4E
V2 n −1 =
[ sin( 2n − 1)α 1 − sin( 2n − 1)α 2 + sin( 2n − 1)α 3 − ...]
n=1,2,….
( 2n − 1)π
dove αi sono gli istanti angolari in cui la forma d'onda commuta.
Utilizzando allora le note formule trigonometriche:
cos 3 α = 4 cos 3α - 3cosα
cos 5 α = 16 cos 5α - 20cos3α + 5cosα
si ottiene il seguente sistema di equazioni:
V
3( x1 − x2 + x3 ) = 0
π
3( x1 − x2 + x3 ) + 4( x13 − x 23 + x33 ) = 0
5( x1 − x2 + x3 ) − 20( x13 − x23 + x33 ) + 16( x15 − x 25 + x35 ) = 0
nelle 3 incognite xi = cosαi , i=1,2,3.
Tale sistema essendo di tipo algebrico e non trascendente è abbastanza facile
da risolvere per via numerica (esso è inoltre direttamente estensibile al caso
generale di un numero qualsiasi di istanti di commutazione).
7
Una volta calcolati i valori di xi e quindi di αi che lo soddisfano, per vari valori
diversi dell’ampiezza V0 della fondamentale, questi ultimi valori possono essere
inseriti nella memoria permanente di un microcalcolatore che provvede a
comandare gli interruttori Si di Fig. 6. Questa procedura, che attualmente è di
gran lunga la più diffusa nella pratica, ha però alcuni punti deboli. Anzitutto
all’aumentare del numero di armoniche da eliminare cresce di conseguenza il
numero degli angoli di commutazione con conseguente aumento delle perdite
negli interruttori allo stato solido utilizzati. Inoltre non sempre l’eliminazione
delle armoniche 3, 5 ecc. è sufficiente a garantire un corretto funzionamento del
carico. Molto spesso infatti il carico alimentato è di tipo elettromeccanico (motore
più parte mobile da spostare) e le sue caratteristiche possono variare in modo
imprevedibile durante il normale funzionamento. Per esempio un braccio mobile
di un manipolatore che sposta dei pesi può assumere posizioni caratterizzate da
frequenze di risonanza meccanica di valore variabile col pericolo che una di esse
possa coincidere con una delle armoniche non-eliminate nell’onda PWM. In
questo caso la corrente associata all’armonica in questione assume ampiezze
molto elevate ed il braccio inizia a vibrare fortemente con conseguenze dannose
facilmente prevedibili.
5.- La PWM a minima potenza.
Una tecnica che in teoria dovrebbe consentire di ottenere una forma d’onda di
corrente quasi perfettamente sinusoidale è quella nota col termine di controllo a
isteresi. Essa consiste nell’imporre una fascia di variazione (isteresi) alla corrente
nell’intorno di un andamento sinusoidale di riferimento, come mostrato in fig. 8.
Fig. 8: Controllo a isteresi di corrente.
Non appena la corrente erogata sul carico tende ad uscire dalla fascia di valori
permessi vengono commutati gli interruttori (vedi fig. 8). Il principale svantaggio
di questa tecnica consiste nel fatto che al restringersi della fascia di oscillazione
permessa il numero di commutazioni richieste assume valori molto elevati
mettendo in crisi gli interruttori allo stato solido utilizzati. È quindi preferibile in
8
ogni caso impiegare tecniche che facciano uso di un numero fisso e limitato di
commutazioni per ogni periodo onde limitare gli stress e le perdite sugli
interruttori.
Un approccio che ha dato buoni risultati è quello della minimizzazione di una
grandezza che meglio identifichi l’effetto delle armoniche sul carico e
precisamente la potenza ad esse associata. Tale minimizzazione va inoltre fatta
mantenendo fisso il numero di commutazioni per periodo onde non aggiungere
consumi ulteriori legati ai processi di commutazione.
Se si suppone allora di utilizzare interruttori ideali, la tensione continua E
viene trasformata dal convertitore di Fig. 6, senza apprezzabile perdita di
potenza, nella tensione alternata v(α), riportata in Fig. 7, la quale invia nel carico
la potenza media:
1 π
P=
v (α )i (α )dα
2π ∫−π
Se uno degli angoli di commutazione, ad esempio αi viene variato di ∆α anche la
potenza erogata subisce una variazione di entità:
1 π
∆P ≅
[ ∆v (α )i (α ) + v (α ) ∆i (α )]dα
2π ∫−π
L’integrale del prodotto ∆v(α)i(α) è facile da calcolare dato che, come mostrato in
Fig. 9 nel caso in cui si faccia variare α1 , ∆v(α) è una funzione formata da impulsi
(indicati in colore rosso) di larghezza ∆α piazzati in corrispondenza degli angoli
di commutazione ± α i . Facendo allora l’ipotesi che la variazione ∆α sia
abbastanza piccola si ha:
1 π
( −1) i −1
∆
v
(
α
)
i
(
α
)
d
α
≅
[i ( −α i ) + i (α i )]∆α
π
2π ∫−π
dove il termine (-1)i-1 è dovuto al fatto che un incremento angolare ∆α provoca un
incremento dell’area degli impulsi se i è dispari, ovvero un decremento se i è
pari.
Fig. 9: Forma d’onda della variazione ∆v(α).
Il calcolo del contributo del prodotto ∆v(α)i(α) non è altrettanto facile e qui
verrà eseguito nel caso semplice di un carico R-L serie. Va però subito precisato
che il risultato ottenuto è valido in generale e cioè per qualsiasi tipo di carico
purché lineare. Se si considerano allora le variazioni di corrente ∆i(α) indotte in
un carico R-L serie dalla variazione di tensione ∆v(α) si ha:
9
d∆i (α )
dα
Moltiplicando ambo i membri per i(-α) si ottiene:
d∆i (α )
i ( −α ) ∆v (α ) = Ri ( −α ) ∆i (α ) + wLi( −α )
dα
Utilizzando l’identità:
d∆i (α ) d∆i (α )i ( −α )
di ( −α )
i ( −α )
=
+ ∆i ( a )
dα
dα
d ( −α )
∆v (α ) = R∆i (α ) + ωL
si ha:
di ( −α )
d [ ∆i (α )i ( −α )]
]∆i (α ) + ωL
d ( −α )
dα
di ( −α )
ossia, tenendo conto della relazione v ( −α ) = Ri ( −α ) + ωL
, si ricava:
d ( −α )
d [ ∆i (α )i ( −α )]
i ( −α ) ∆v (α ) = v ( −α ) ∆i (α ) + ωL
dα
A questo punto integrando ambo i membri e tenendo conto che sia la v(α) che la
∆v(α) sono simmetriche rispetto all’origine si ha (la funzione moltiplicata da ωL
dà contributo nullo essendo la derivata di una funzione periodica):
i ( −α ) ∆v (α ) = [ Ri ( −α ) + ωL
π
∫π
−
i (α ) ∆v (α )da = ∫
π
−π
v (α ) ∆i (α )dα
da cui segue immediatamente la variazione complessiva di potenza cercata:
2E
∆P ≅
(−1) i −1 [i (−α i ) + i (α i )]∆α
π
Come si vede la variazione di potenza causata da una piccola variazione
dell’angolo di commutazione si può stimare semplicemente misurando i valori
delle correnti nell’istante di commutazione medesimo. La ricerca dei valori degli
angoli di commutazione αi cui corrisponde il valore minimo della potenza
erogata si può allora fare per passi successivi, misurando l’ampiezza delle
correnti e incrementando o decrementando αi a seconda che il termine (-1)i-1[i(-
αi)+i(αi)] sia negativo o positivo.
A questo proposito occorre però ricordare che la potenza da minimizzare non
è la P che è quella totale ma solo quella parziale associata alle armoniche, mentre
il valore della fondamentale V1 va tenuto costante. Allo scopo di tener conto di
quest’ultimo vincolo conviene allora introdurre il seguente Indice di Prestazione:
IP = P + β (V1 − V10 ) 2
in cui V1 = 4E/π(sinα1 –sinα2 +sinα3 + …) e V10 sono rispettivamente il valore
attuale e quello desiderato della fondamentale mentre β è un fattore numerico da
stabilirsi ed è tanto maggiore quanto maggiore è il peso che si vuole assegnare al
vincolo V1=V10.
In pratica si procede nel seguente modo. Durante il normale funzionamento
del convertitore si valuta, a mezzo di misure di corrente, l’entità della variazione
10
∆IPi =
2E
π
(−1) i −1{[i (−α i ) + i (α i )] + 4 β (V1 − V10 ) cos α i }∆α
dell’indice di prestazione in corrispondenza di tutti gli angoli di commutazione e
poi si varia nel periodo successivo quell’angolo cui corrisponde il rapporto
∆IPi/∆α di entità più elevata, cioè in definitiva quell’angolo che appare essere il
più lontano dal valore ottimale cercato. In questo modo uno alla volta tutti gli
angoli di commutazione vengono sospinti verso quell’insieme di valori ottimali
che garantiscono il minimo valore di IP, cioè in definitiva il minimo valore della
potenza totale, compatibilmente con un valore di fondamentale V1 non troppo
discorde da quello desiderato.
6.- Convertitori DC/AC risonanti.
Uno dei problemi principali che affliggono i dispositivi di conversione descritti
nei precedenti paragrafi è senza dubbio la dissipazione di calore negli interruttori
allo stato solido che oltre a provocare perdite di energia è anche una delle prime
cause di guasto. Poiché lo stress si verifica quasi esclusivamente durante la
commutazione ci si può chiedere se non sia possibile progettare convertitori in
cui la commutazione degli interruttori avvenga esclusivamente in
corrispondenza di valori di corrente (o tensione) nulli.
Fig. 10: Sintesi di una forma d’onda a bassa frequenza a mezzo di semisinusoidi.
In linea di principio ciò è possibile nel caso DC/AC se la tensione continua da
convertire è preventivamente trasformata in una corrente (o tensione) alternata
ad alta frequenza le cui singole semisinusoidi vengano applicate poi al carico
aprendo o chiudendo gli interruttori del convertitore negli istanti in cui esse
transitano per lo zero. In altre parole si ha la situazione di Fig. 10 in cui vengono
riportate per confronto le forme d’onda PWM tradizionali e quelle ottenute a
mezzo di elementi semisinusoidali.
In pratica se la frequenza delle semisinusoidi è sufficientemente elevata, la
forma d’onda sintetizzata che si ottiene non differisce sostanzialmente da una
PWM tradizionale con la differenza fondamentale che in quest’ultimo caso è
possibile aggiungere o togliere solo semisinusoidi intere. Vi è perciò una
discretizzazione delle durate dei singoli impulsi dell’onda di bassa frequenza
sintetizzata che possono perciò assumere solo valori multipli del semiperiodo
11
dell’onda di alta frequenza. Il vantaggio, come già detto, consiste nel fatto che
l’aggiunta delle semisinusoidi avviene commutando interruttori in istanti in cui
la corrente (o tensione) è appunto nulla, come viene mostrato in Fig. 11 nel caso
di un interruttore realizzato con un transistore. Come si vede la commutazione
avviene in ogni caso evitando il passaggio attraverso zone con prodotto vi ≠ 0.
Fig. 11: Commutazione dallo stato on a off e viceversa, con alimentazione
(tensione o corrente) variabile semi-sinusoidalmente.
Il problema pratico si può perciò ridurre alla generazione di una corrente (o
tensione) sinusoidale ad alta frequenza di ampiezza indipendente dal carico
utilizzato. A tale scopo si impiega un circuito risonante posto nel solito ponte ad
interruttori, come indicato in Fig. 12.
Fig. 12: Ponte a interruttori che alimenta un circuito risonante serie.
Se la frequenza con cui commutano gli interruttori coincide con la frequenza di
risonanza del circuito e il fattore di merito di quest’ultimo è abbastanza elevato,
la tensione ad onda quadra applicata fa circolare una corrente pressoché
sinusoidale ed in fase con la tensione, come è mostrato in Fig. 12. Il passaggio per
lo zero della corrente avviene perciò nell’istante preciso in cui gli interruttori
commutano garantendo così l’assenza di perdite. Una volta generata la sinusoide
ad alta frequenza, essa viene instradata nel modo voluto attraverso il carico posto
in serie a mezzo di un altro ponte a interruttori, come mostrato in Fig. 13.
12
Fig. 13: Convertitore risonante serie con carico.
Occorre però notare che l’inserzione del carico in serie al circuito risonante
provoca grossi problemi a quest’ultimo. Questo infatti è il tallone d’Achille dei
convertitori risonanti: se il carico non presenta una reattanza sufficientemente
bassa il circuito risonante esce di sintonia con conseguenze facilmente
immaginabili sulla ampiezza, fase e distorsione dell’onda sinusoidale. Questi ed
altri sono i motivi che fin’ora hanno impedito un’ampia diffusione di questi
dispositivi.
Ovviamente oltre al circuito di Fig. 13, che impiega un circuito risonante serie
per la generazione di una corrente sinusoidale, esiste il caso duale di un circuito
risonante parallelo che genera una tensione sinusoidale di alta frequenza. Lo
schema è riportato in Fig.14 in cui si nota che al posto del generatore costante di
corrente I0 che, per dualità, dovrebbe sostituire la batteria E del caso serie, si è
utilizzata una batteria con in serie una induttanza di valore elevato. Si tratta
ovviamente di una realizzazione non del tutto soddisfacente ma di cui è
necessario “accontentarsi” per non andare incontro a problemi realizzativi troppo
complicati o dispendiosi.
Fig. 14: Convertitore risonante parallelo alimentato da un “generatore di corrente”.
Anche nel caso del circuito risonante parallelo esiste il grosso problema della
dissintonizzazione causata dall’inserzione di un carico la cui reattanza non sia
sufficientemente elevata.
7.-Convertitori risonanti AC e DC-link.
I convertitori risonanti descritti nel precedente paragrafo vengono spesso detti ad
13
AC-link perché dalla connessione (link) ad alta frequenza vengono estratti degli
impulsi di corrente o tensione la cui forma è quella di una sinusoide tagliata
esattamente a metà. Esiste però la possibilità di utilizzare in modo diverso queste
forme d’onda e cioè aggiungendo loro una componente continua in modo da
avere un impulso elementare di ampiezza più elevata.
Facendo riferimento al caso del convertitore risonante serie, l’aggiunta di una
componente continua di corrente I0 si ottiene inserendo in parallelo alla capacità
C del circuito risonante una induttanza La, come è mostrato in Fig. 15.
Fig. 15: DC-link series resonant converter.
Se il valore di La è sufficientemente grande e la corrente che la attraversa è nulla,
essa non disturba il funzionamento normale del circuito risonante. Si supponga
ora di aprire tutti gli interruttori Hi nell’istante di passaggio per lo zero della
corrente nella induttanza L in modo da “congelare” il funzionamento del circuito
risonante per un breve intervallo di tempo ∆τ, durante il quale il condensatore C
resta praticamente carico mentre la corrente nell’induttanza L rimane nulla.
Naturalmente quando si richiudono nuovamente gli interruttori, il circuito
riparte dalle condizioni precedenti, come mostrato in Fig. 16.
Fig. 16: Asimmetria nella tensione del condensatore introdotta da una pausa ∆τ.
Questa procedura ha come risultato di ottenere una forma d’onda di tensione ai
capi del condensatore C di valore medio non nullo. Indicando allora con V0 tale
valore e con Ra la resistenza dell’induttanza ausiliaria, attraverso di essa circolerà,
dopo un certo tempo necessario a raggiungere la situazione di regime, una
corrente continua pari a I0=V0/Ra. Quest’ultima viene inviata tutta sul carico
sommandosi alle semionde di corrente del circuito risonante.
Naturalmente la presenza della componente I0 altera il regime iniziale,
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riportato in fig. 16, che diventa quello di fig. 17. In quest’ultimo caso, che
rappresenta la situazione di regime corrispondente ad un valore prefissato di ∆τ,
il condensatore si scarica secondo una rampa lineare e la semionda negativa di
corrente sparisce del tutto.
Fig. 17: Situazione di regime della tensione e corrente in un DC-link series
resonant converter.
Come si può vedere in Fig. 17 la corrente iL che viene inviata sul carico è formata
da impulsi sinusoidali traslati verso l’alto. Ovviamente l’entità di questa
traslazione può essere variata variando l’intervallo ∆τ durante il quale il circuito
risonante viene abbandonato a se stesso.
Un procedimento analogo (o meglio duale) si usa nel convertitore risonante
parallelo: in questo caso si pone un grosso condensatore ausiliario Ca in serie alla
induttanza L del circuito risonante. Cortocircuitando il circuito risonante a
mezzo degli interruttori Hi si disimmetrizza la corrente nell’induttanza L con la
conseguente formazione di impulsi di tensione sinusoidali traslati verso l’alto.
8.-Convertitori AC-DC.
Il convertitore AC/DC si può considerare almeno da un punto di vista
puramente concettuale come un dispositivo che effettua l’operazione inversa
della trasformazione di energia da continua (DC) ad alternata (AC) descritta nei
paragrafi precedenti. Sorge quindi il problema di verificare se non sia in pratica
possibile utilizzare il convertitore DC/AC e tutte le tecniche per la eliminazione e
minimizzazione di armoniche sviluppate per esso, anche per la realizzazione dei
convertitori AC/DC. Ovviamente la difficoltà sta nel fatto che mentre il
convertitore DC-AC converte una tensione continua in un’onda quadra, un
convertitore AC-DC deve necessariamente prendere in considerazione le forme
d’onda sinusoidali dato che questa per l’appunto è la tensione disponibile nella
rete pubblica di distribuzione dell’energia elettrica.
Si consideri allora la Fig. 18 in cui vengono posti a confronto i convertitori
DC/AC, realizzati con le tecniche PWM e basati sui ponti ad interruttori, con i
convertitori AC/DC di cui non è però ancora mostrata la struttura interna.
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Fig. 18: Confronto tra convertitori AC/DC e DC/AC.
Come si può vedere mentre dal punto di vista delle tensioni (e correnti) sul lato
DC non vi è una differenza sostanziale tra i due dispositivi, sul lato AC
compaiono rispettivamente una tensione alternata PWM e una tensione
sinusoidale cioè’ due forme d’onda nettamente distinte. Inoltre se si pensasse di
sostituire il convertitore AC/DC con il ponte a interruttori usato nel DC/AC vi
sarebbe il problema che il generatore sinusoidale viene cortocircuitato quando la
coppia S1-S3 (oppure S2-S4) è in conduzione.
Fortunatamente si può ripristinare una equivalenza di tensioni e correnti
anche dal lato AC, salvando contemporaneamente il generatore sinusoidale dal
cortocircuito, se si inserisce in serie al generatore sinusoidale stesso una
induttanza ausiliaria L, come indicato in Fig. 19.
Fig. 19: Come rendere equivalente un convertitore AC/DC ad un DC/AC.
Quando infatti la coppia di interruttori S1-S3 (oppure S2-S4) è chiusa la tensione è
nulla, come nel caso PWM. Quando invece chiude la coppia S1-S4 (oppure S2-S3 )
la caduta ai capi dell’induttanza colma la differenza tra la tensione alternata del
generatore e la tensione continua E mantenuta dal condensatore ai capi del
carico. In altre parole a monte dell’induttaza appare, pur con qualche piccola
16
ondulazione sovrapposta (dovuta alla scarica del condensatore di filtro), la
medesima forma d’onda PWM che si ha nel convertitore DC/AC per cui
l’equivalenza è dimostrata. La verifica di tale equivalenza ci permette quindi di
affermare che tutte le tecniche di eliminazione e minimizzazione delle armoniche
sviluppate per il caso DC/AC sono trasferibili senza alcuna modifica al caso
AC/DC.
In Fig. 20, a titolo di esempio, è riportata la forma d’onda della corrente
alternata di linea in un convertitore AC/DC in cui il ponte a interruttori è stato
fatto funzionare seguendo le tecniche di minimizzazione armonica viste in
precedenza. Come si può vedere il ponte a interruttori, pur nei limiti delle 7
commutazioni permesse, favorisce un tracciato di corrente che è molto vicino ad
una sinusoide ideale.
Fig. 20: Corrente alternata di linea IL con minime armoniche e 7 angoli di
commutazione per quarto di periodo.
L’impiego del ponte a interruttori nel caso AC/DC non è tuttavia consigliabile
per motivi di economicità e di pratica fattibilità. Esso si può sostituire con un
economico ponte a diodi seguito da un selettore posto in serie con l’induttanza.
Il ponte a diodi fa le medesime2 funzioni delle coppie di interruttori S1-S4 e S2S3., mentre il selettore equivale alla chiusura della coppia di interruttori S1-S3
(oppure S2-S4).
Fig. 21: Schema di principio di collegamento tra una sorgente AC e un carico DC.
2
In realtà tale equivalenza può in taluni casi limite non essere del tutto verificata ma tale
problema esula i limiti di queste dispense.
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Omettendo allora per semplicità il ponte raddrizzatore a diodi, che comunque
nella struttura realizzativa finale andrà sempre aggiunto, il convertitore AC/DC
si riduce al dispositivo descritto in Fig. 21 in cui il generatore in alternata
(sorgente AC) con la sua impedenza interna Zi viene collegato ad un carico Z
(utilizzatore DC) da un circuito tripolare (racchiuso in una cornice ombreggiata
per meglio evidenziarlo) formato da una induttanza L, un condensatore C e un
deviatore S. A questo proposito val la pena di ribadire che avendo omesso il
ponte raddrizzatore, il circuito di Fig. 21 è valido solo per la semionda positiva
del generatore AC. In altre parole il generatore di tensione sinusoidale diventa
un generatore di semisinusoidi raddrizzate V*AC.
È allora lecito considerare il circuito tripolare entro cornice ombreggiata come
il convertitore AC/DC vero e proprio. Anzi da questo punto di vista non deve
destare sorpresa se si generalizza la situazione di Fig. 21, effettuando delle
permutazioni nell’ordine in cui il suddetto circuito tripolare collega il generatore
AC al carico DC, ottenendo così le altre due possibili configurazioni mostrate in
Fig. 22 e 23.
In particolare il circuito in Fig. 21, che si può considerare la connessione base,
poiché consente di ottenere tensioni sul carico ben superiori a quella di cresta
dell’alternata, viene denominato comunemente convertitore step-up. Invece quello
di Fig. 22 in cui l’induttanza funge da volano di corrente in serie al carico ma
provoca una caduta di tensione, viene denominato convertitore step-down. In
pratica la situazione è duale della precedente in quanto ad essere aumentata non
è la tensione ma bensì la corrente in uscita sul carico.
Fig. 22: Seconda possibile configurazione (step-down) di convertitore AC/DC.
È anche evidente che il convertitore step-up è un dispositivo a tensione
costante adatto per esempio a regolare la velocità dei motori in continua mentre il
convertitore step-down funziona a corrente costante e serve a controllare la
coppia motrice.
Il circuito di Fig. 23 che rappresenta la terza ed ultima configurazione possibile
di collegamento, ha caratteristiche miste in quanto sia l’induttanza che la capacità
18
agiscono ora sull’ingresso ora sull’uscita a seconda della posizione del deviatore
S ed è quindi noto col termine di convertitore step-up-down.
Fig. 23: Terza possibile configurazione (step-up-down) di convertitore AC/DC.
Come verrà mostrato nel paragrafo relativo alle realizzazioni circuitali, è
possibile accentuarne sia le caratteristiche up che down a seconda della scelta dei
valori dei componenti.
9.-Convertitori AC/DC a fattore di potenza unitario.
La legge di commutazione del deviatore S deve avere, per ovvi motivi, una
frequenza di ripetizione eguale a quella del generatore sinusoidale. Tuttavia la
sua fase rimane entro certi limiti arbitraria consentendo così di ottenere
l’importante risultato di una corrente di linea in fase con la tensione. Questo
consente di minimizzare le perdite lungo le linee di collegamento dovute a
scambio di potenza reattiva.
Indicando infatti con Vx la prima armonica della tensione PWM e con Ix la
corrispondente corrente, si ha la situazione di Fig. 24 in cui viene riportato lo
schema semplificato e il diagramma vettoriale delle componenti sinusoidali che
interessano il convertitore di Fig. 21 (per gli altri due tipi valgono considerazioni
analoghe) e viene inoltre mostrato come sia possibile riportare in fase la corrente
complessiva di linea IL agendo sia sulla fase che sull’ampiezza di Vx.
Fig. 24: Schema semplificato e diagramma di fase del convertitore step-up con
rifasamento della corrente di linea IL.
19
Risulta allora chiaro che una volta fissato il valore desiderato della tensione
continua sul carico, la condizione di fase nulla consente di identificare sia la fase
che la ampiezza di Vx. Qui di seguito verranno perciò riportati i dettagli del
calcolo relativi al caso del convertitore step-up fermo restando il fatto che negli
altri due casi (step-down e misto) si può procedere in modo analogo.
10.- Guadagno di tensione del convertitore step-up.
Facendo riferimento allo schema semplificato di fig. 24 in cui la tensione continua
sul carico si suppone costante ed eguale ad E, si indichi con V1cosα la tensione
alternata di linea e con Vxcos(α+ψ) la componente fondamentale della tensione
PWM vx supposta sfasata dell’angolo ψ. L’ampiezza di Vx1 è come noto data dalla
relazione:
V x = 2 pE
dove il termine p, denominato parzializzazione è espresso in funzione degli angoli
di commutazione dalla relazione:
2
p = ( sinα 1 − sinα 2 + sinα 3 − ...)
π
Ovviamente gli angoli αi vanno scelti oltrechè per ottenere un dato valore di p
anche in modo da minimizzare il contenuto armonico della corrente dovuta alla
tensione PWM, come discusso nel capitolo relativo ai convertitori DC/AC. La
componente complessiva di corrente sinusoidale che fluisce attraverso la linea è
data allora dall’espressione:
V
p
I L = 1 cos(α + φ ) − 2 E cos(α + ψ + φ )
Z
Z
dove Z è la reattanza della linea di collegamento e della induttanza L e φ è
l’angolo di fase relativo. Se si sviluppano i coseni, la relazione precedente si può
riscrivere nella forma:
1
1
I L = [V1 cos φ − 2 pE cos(ψ + φ )] cos α − [V1 sin φ − 2 pE sin(ψ + φ )] sin α
Z
Z
in cui la componente in quadratura si annulla se è soddisfatta la condizione:
V1 sin φ = 2 pE sin(ψ + φ )
Quest’ultima viene denominata condizione di fase e come si era già visto
esaminando la Fig. 24 può essere soddisfatta sia agendo su ψ che sulla
parzializzazione p.
Si consideri ora il problema del calcolo della tensione continua VDC. Tale
tensione è dovuta alla componente media di corrente che raggiunge la sezione
DC moltiplicata la componente resistiva RL del carico stesso. La corrente media è
data dalla relazione :
V
1 π
I DC =
I L PWM dα
∫
−
π
2π
E
20
La presenza del termine VPWM/E si spiega col fatto che quando la tensione PWM e
cioè la VPWM è nulla non entra corrente nel carico mentre la IAC entra nel carico
solo quando la tensione PWM è non nulla e cioè si ha VPWM/E = 1. Sostituendo
allora la sola componente in fase di IAC (a rigore occorrerebbe tener anche conto
delle armoniche che contribuiscono alla formazione della IDC, ma esse si
trascurano supponendo di funzionare in una situazione di contenuto armonico
minimo) si ha:
V cos φ − 2 pE cos(ψ + φ ) π
I DC = 1
∫−π VPWM cosαdα
2πZE
ossia dato che l’integrale esprime semplicemente la componente di prima
armonica della forma d’onda PWM:
V cos φ − 2 pE cos(ψ + φ )
I DC = 1
p
Z
da cui segue immediatamente:
pR L
E=
[V1 cos φ − 2 pE cos(ψ + φ )]
Z
Se a questo punto si ricava il termine 2pE dalla condizione di fase e si sostituisce,
si ottiene:
pRLV1 sin φ
E=
Z sin(ψ + φ )
Moltiplicando ambo i membri per la condizione di fase si ha:
Z sinφ
p2 =
2 R L sin(ψ )
Mentre dividendo si ha:
R sin ψ sin φ
E
( )2 = L
V1
2 Z sin 2 (ψ + φ )
Quest’ultima è l’espressione cercata del guadagno G = E/V1 del convertitore. In
Fig. 25 sono riportati, a titolo di esempio, i grafici relativi alla p e al guadagno al
variare di ψ per una data Z ed RL.
Fig. 25: Andamento del guadagno di tensione G = E/V1 del convertitore e della
parzializzazione p al variare di ψ, con φ = 60°.
21
Come si può vedere una volta fissato il guadagno G è possibile ricavare
direttamente l’angolo di fase ψ che poi consente di calcolare la p. Infine l’angolo
di fase varia nell’intervallo ψmin – (180°-φ), dove ψmin è l’angolo al di sotto del
quale, per soddisfare alla condizione di fase, occorrerebbe impiegare un valore di
parzializzazione superiore a 2/π che è il massimo teoricamente ottenibile.
11.-Circuiti realizzativi dei tre tipi di convertitori AC/DC.
Nel paragrafo precedente si sono introdotti degli schemi di principio che per
essere utilizzati in pratica necessitano essenzialmente dell’inserzione di un ponte
raddrizzatore e della sostituzione dell’interruttore S con un dispositivo
equivalente allo stato solido. Ovviamente la soluzione di questi due problemi si
può ottenere in vari modi per cui qui ci si limita a portare solo qualcuna delle
possibili soluzioni. Prima di far questo conviene però osservare che l’inserzione
del ponte raddrizzatore crea una netta linea di demarcazione tra la sezione in
alternata e quella in continua che ha una conseguenza non trascurabile sul
funzionamento di L e C. Normalmente infatti l’induttanza L è inadatta a lavorare
in continua perché il suo circuito magnetico tende a saturare perdendo così
granparte della sua permeabilità. Analogamente il condensatore C è inadatto a
lavorare in alternata perché non essendo elettrolitico (che può funzionare solo
con tensione continua) esso assume dimensioni e costi proibitivi. Analogo
discorso vale per l’interruttore allo stato solido che essendo normalmente
monodirezionale è adatto a funzionare solo nella sezione in corrente continua. In
conclusione, anche se come si vedrà non è sempre possibile, il ponte
raddrizzatore dovrebbe essere posto in modo da lasciare nel settore AC
l’induttanza e in quello DC sia il condensatore che l’interruttore allo stato solido.
A semplice titolo di esempio di possibili schemi realizzativi viene riportato in
Fig. 26 quello relativo al convertitore step-down nella sua forma trifase con
interruttori MOS.
Fig. 26: Esempio realizzativo di convertitore AC/DC trifase di tipo step-down.
22
In Fig. 27 viene invece mostrato un esempio realizzativo di convertitore step-updown monofase. Come si può vedere nel convertitore step-up-down di Fig. 27 il
condensatore C è stato spezzato in due e cioè C1 e C2. Questa semplice modifica
ha lo scopo di permettere un bilanciamento a seconda dei casi delle
caratteristiche del convertitore: se ad esempio C1>>C2, prevarrà il
comportamento di tipo step-up mentre si avrà invece un comportamento stepdown se C1<<C2.
Fig. 27: Esempio realizzativo di convertitore AC/DC di tipo step-up-down.
Per quel che riguarda il deviatore S esso è stato realizzato a mezzo di un
transistor bipolare e di un diodo. Quando il transistore conduce il diodo si blocca
e separa il carico in continua dal generatore che invece alimenta l’induttanza.
Quando invece il transistore viene bloccato la corrente che scorre nell’induttanza
si chiude attraverso il diodo e alimenta il carico in continua. Val la pena infine di
notare che questo convertitore ha la curiosa proprietà di applicare la tensione
raddrizzata sul carico invertendone la polarità
1
DISPENSE DI ELETTRONICA INDUSTRIALE
(anno accademico 2002-2003)
La giunzione p-n in regime transitorio
2
Il comportamento dinamico di una giunzione p-n.
La giunzione p-n è la base di tutti i dispositivi a semiconduttore, siano essi bipolari
o Mos e la conoscenza del suo comportamento dinamico è quindi essenziale per
comprendere cosa avviene durante la commutazione nei dispositivi più complessi,
dai transistori agli SCR ecc.
Distribuzione di cariche in una giunzione.
Il funzionamento statico di una giunzione p-n è sintetizzata in fig. 1 in cui sono
mostrate le densità di cariche ai bordi della zona di svuotamento per valori
rispettivamente positivi e negativi della tensione di polarizzazione esterna V.
Normalmente i valori delle densità di cariche maggioritarie è di parecchi ordini di
grandezza superiore a quelli delle cariche minoritarie per cui i grafici di fig. 1 sono
spezzati al centro.
Fig.1: Andamento delle densità di carica nelle zone p ed n di un diodo a
semiconduttore
Come si vede la tensione applicata alla giunzione provoca un accumulo (ovvero un
deficit se è negativa) di cariche minoritarie ai bordi della zona di svuotamento. In
pratica indicando con pp− e pn+ le densità di lacune ai bordi destro e sinistro
rispettivamente, si ha la relazione:
pn+= pp− e-qΦ/kT eqV/kT
(1)
dove Φ è il potenziale di contatto della giunzione. La densità delle lacune
minoritarie (nella zona n) è quindi condizionata dalla densità delle lacune
maggioritarie (nella zona p). Analogo discorso vale per gli elettroni:
3
np−= nn+ e-qΦ/kT eqV/kT
(2)
Osservando la Fig. 1 si nota che, dovendo essere garantita la neutralità di carica
all’esterno della zona di svuotamento, l’incremento di cariche minoritarie in una
regione ha per conseguenza un identico incremento di cariche maggioritarie nella
stessa zona. Per questo motivo l’applicazione di una tensione di polarizzazione
altera i profili di tutte le cariche agendo anzitutto sulla densità minoritarie pn+ e
np− tramite le relazioni (1) e (2), e poi sulle densità maggioritarie pp− e nn+ per
garantire la neutralità di carica. Quest’ultimo effetto deve essere preso in
considerazione nel caso di regimi di elevate correnti perché rende non più valida la
relazione:
I = Isat(eqV/kT –1)
(3)
che è stata ricavata nell’ipotesi di bassi regimi di corrente in cui si può assumere pp-
≈ ppo e nn+ ≈ nno. . Lo studio della giunzione per alti regimi di corrente è comunque
molto complesso e non è generalmente possibile trovare una relazione analitica
sostitutiva della (3).
Per concludere la situazione del diodo polarizzato direttamente è quella di Fig. 2
in cui sono evidenziate le correnti sia nella giunzione che in prossimità degli
elettrodi laterali.
Fig.2: Densità di carica e correnti in una giunzione polarizzata direttamente.
Facendo riferimento alla sola zona n, la corrente In proveniente dal catodo alimenta
l’eccesso di elettroni maggioritari sul bordo destro della giunzione che a loro volta
alimentano l’eccesso di elettroni minoritari sul bordo sinistro (zona p). Va notato
che la corrente In degli elettroni maggioritari ha due componenti, una (prevalente)
4
dovuta al campo elettrico e l’altra di verso opposto dovuto alla diffusione La
corrente Ip è invece dovuta alla sola diffusione delle lacune minoritarie (l’effetto del
campo è trascurabile sulle lacune poiché la loro densità è molto minore). Un
discorso duale vale per la zona p. Ovviamente in entrambi i casi si ha I n + I p =
E
R
.
Comportamento transitorio di una giunzione.
Quando si inverte bruscamente la tensione ai capi di una giunzione portandola per
esempio dallo stato di conduzione (V>0) a quello di interdizione (V ≤ 0), come è
indicato in Fig. 3, si ha un transitorio che altera i profili di densità di carica da
quelli iniziali (a sinistra in fig.1) a quelli finali (a destra in fig.1).
Fig.3: Dispositivo per il rilievo del transitorio di commutazione di un diodo p-n.
Questo comporta una estinzione graduale della corrente secondo un processo che
si può suddividere grossolanamente in due fasi successive.
Prima fase: non appena la tensione esterna E viene invertita la situazione
diventaquella di fig. 4 in cui per semplicità si è riportato solo l’andamento, per vari
istantisuccessivi di tempo, della densità delle lacune minoritarie (nella zona n).
Fig.4: Transitorio di estinzione delle lacune minoritarie lungo la zona n.
5
Ovviamente un fenomeno analogo si ha sulle densità di elettroni minoritari (nella
zona p) e di riflesso su entrambe le cariche maggioritarie in eccesso (per garantire
la neutralità di carica).
Come si vede a partire dall’istante t = 0 la densità delle cariche minoritarie pn+ su
bordo destro della giunzione cala fino a raggiungere, per t = t0, il valore pn0 che
corrisponde in base alla (1) ad una tensione V esterna nulla. In altre parole il diodo
rimane in conduzione fino al tempo t < t0 e tutta la tensione negativa esterna E cade
ai capi della resistenza serie. La corrente esterna dopo essersi invertita di colpo
rimane quindi costante ed eguale a –E/R.
Durante la discesa di pn+ tutti i profili di densità di cariche minoritarie in eccesso
si incurvano su se stessi e si evolvono nel tempo come indicato in Fig. 4. Questa
fase è dominata dalla presenza delle cariche minoritarie in eccesso ai bordi della
zona di svuotamento e la sua durata complessiva è denominata storage time.
Dal punto di vista delle correnti la situazione è quella di Fig. 5 in cui la giunzione,
avendo ancora un accumulo extra di cariche ai suoi capi, si trova a lavorare in
situazione di conduzione e quindi presenta una caduta di tensione trascurabile.
Si hanno cioè due fenomeni che, almeno in prima approssimazione, non
interagiscono tra di loro ossia la corrente esterna, che assume il il valore negativo E/R, e le cariche in eccesso sulla giunzione che vanno via via decrescendo sia per
ricombinazione locale che per diffusione verso gli elettrodi esterni.
Fig.5: Diodo in commutazione subito dopo l’inversione della tensione di
alimentazione.
È importante notare che le situazione delle correnti di fig. 5 è del tutto identica a
quella di fig. 3 salvo che per le componenti dovute al campo elettrico delle correnti
6
maggioritarie che ora hanno cambiato di segno. In ogni caso la corrente elettrica
esterna, salvo il segno, è rimasta inalterata ed eguale a E/R.
Seconda fase: al tempo t = t0 la densità (pn+ − pn0 ) di cariche minoritarie in eccesso sul
bordo della zona di svuotamento ha raggiunto un valore nullo (curva verde di Fig.
4) e inizia a invertire il proprio segno anche se i blocchi di semiconduttore p ed n
hanno ancora cariche residue da smaltire. Per quest’ultimo motivo il transitorio di
corrente assume connotati non ben chiari e di difficile definizione. In ogni caso al
calare di pn+ la zona di svuotamento della giunzione inizia ad allargarsi (questo
fenomeno non è mostrato per ovvie difficoltà grafiche in fig. 4!) e la caduta di
tensione V ai capi del diodo che era nulla per t = t0 assume valori via via più
negativi. La tensione sulla resistenza esterna cala, la corrente comincia a diminuire
di conseguenza e tutte le cariche nelle zone p ed n tendono a raggiungere l’assetto
finale. Il tempo necessario affinché si compia questa fase è detto fall time.
Ovviamente tutto quanto ora detto sulle lacune vale anche per gli elettroni
minoritari. Occorre notare che la presenza di due portatori con caratteristiche
(mobilità, vita media ecc.) notevolmente diverse e che interagiscono tra di loro
onde mantenere la neutralità di carica, complica notevolmente l’evoluzione
transitoria di entrambe le fasi ora descritte. In ogni caso l’andamento della corrente
esterna è grossomodo quello riportato in fig. 6, in cui sono evidenziate le fase di
storage e di fall. Va notato che la corrente finale sarebbe eguale a quella non nulla di
saturazione inversa; essa però non appare in Fig. 6 in quanto ritenuta trascurabile.
Fig. 6: Transitorio di spegnimento in un diodo a semiconduttore.
Per concludere un fenomeno analogo si ha quando si passa dallo stato di non
conduzione a quello di conduzione. In questo caso si può dire che, ammettendo la
validità del grafico di fig. 4, che però va percorso alla rovescia e cioè per valori di
7
pn+ crescenti, il transitorio che ne consegue è caratterizzato esternamente solo da un
tempo di salita (rise) come mostrato in fig. 7.
Fig. 7: Transitorio di accensione in un diodo p-n.
Il fenomeno di storage, che ovviamente esiste anche in questo caso, non appare
esternamente ovvero non influenza la corrente, come avviene invece durante lo
spegnimento. Il transitorio di accensione è quindi notevolmente più breve di quello
di spegnimento.
DISPENSE DI ELETTRONICA INDUSTRIALE
(anno accademico 2002 - 2003)
Dispositivi a microonde allo stato solido
2
1-Il diodo IMPATT.
Il diodo IMPATT (IMPact Avalance Transit Time) é un dispositivo a stato solido
utilizzato per generare o amplificare una corrente ad alta frequenza (1 - 300 GHz).
Esso é formato da una struttura a giunzione brusca p+- n fatta crescere su di un
substrato n+, come indicato in Fig. 1.
Fig. 1: Struttura di un diodo IMPATT, campo elettrico e fattore di ionizzazione .
Polarizzando alla rovescia il diodo si crea una zona di svuotamento che
normalmente interessa parzialmente la zona p+ e pressoché totalmente la zona n
contigua. In quest’ultima si genera un campo elettrico E(x) il cui andamento
approssimativo é riportato in Fig. 1.
In una zona ristretta di estensione xa in cui il campo raggiunge i valori più
elevati, si ha un fenomeno di generazione di cariche per urto. Tale processo
interessa sia le lacune che gli elettroni e la quantità di cariche generate é
proporzionale al tasso di ionizzazione per urto α(E) il cui andamento è mostrato in
Fig. 1 e che dipende dal campo secondo la relazione approssimata
α(E) = A e-(b/E)2
;
A=18.0 105
b=5.55 105
nel GaAs
Non appena la quantità di cariche generate in tutta la giunzione supera quella delle
cariche che si ricombinano e cioè quando la condizione
w
∫ α ( E )dx > 1
0
è soddisfatta, si ha un fenomeno di moltiplicazione incontrollata (avalanche) di
coppie lacuna elettrone in una zona molto ristretta della giunzione. Il tasso di
ionizzazione dipende molto dai valori del campo elettrico: per esempio per valori
di E inferiori a 300 kV/cm esso varia con E6 mentre per E maggiore di 500 kV/cm
3
varia "solamente" con E2.5. Questo permette di suddividere la regione di
svuotamento lunga w in due parti, come illustrato in Fig. 1. La prima lunga xa, più
interna e molto stretta, detta di avalanche in cui la funzione α(E) assume valori
significativi e provoca ionizzazione e l'altra detta di trascinamento, in cui α(E) é
praticamente trascurabile e quindi non vi é ionizzazione ma il campo E é ancora
abbastanza forte da far viaggiare le cariche generate alla massima velocità possibile
vs (velocità di saturazione) che si aggira sui 105 m/s nel GaAs. In questo modo la
corrente nel dispositivo é dovuta agli elettroni generati nella regione di avalanche
che attraversano la regione di trascinamento ed emergono dalla regione n+ di Fig. 1
con un ritardo pari al tempo di transito.
Si supponga ora di applicare al diodo una tensione continua inversa di valore
appena più piccolo di quello Vo necessario all'innesco del fenomeno di avalanche.
Se, come indicato in Fig. 2, a tale tensione si sovrappone una componente
alternativa, quest'ultima provoca durante i suoi picchi positivi la generazione di
cariche nella zona di avalanche. Tale fenomeno cessa invece durante i picchi
negativi di modo che la regione di avalanche si comporta come un generatore di
corrente impulsiva della stessa frequenza della tensione alternata applicata al
diodo.
Fig. 2: Tensione e correnti nel diodo IMPATT.
Osservando la Fig. 2 si può notare che il picco di corrente generata per
ionizzazione nella zona di avalanche è molto stretto e sfasato di circa 90° rispetto al
picco di tensione che lo ha generato. Tale ritardo è legato al meccanismo di
ionizzazione a valanga che ha una natura induttiva, come verrà mostrato nel
prossimo paragrafo. I pacchetti di elettroni generati nella zona di ionizzazione
(zona calda) viaggiano attraverso la regione di trascinamento e raggiungono l'anodo
con un ritardo pari al tempo di transito. La loro forma va riducendosi in ampiezza
4
e allargandosi a causa della mutua repulsione delle cariche, cosicché la corrente che
esce ha una forma notevolmente più lunga e appiattita dell’impulso generato nella
zona calda. Se si sceglie il periodo T dell'onda di tensione circa eguale al doppio
del tempo di transito Tt si ha la situazione di Fig. 2 in cui la tensione alternata e la
componente di prima armonica della corrente in uscita risultano in controfase. Ciò
equivale a dire che la resistenza dinamica del diodo ha assunto un valore negativo.
2-Circuito equivalente del diodo IMPATT
Come si é visto il diodo IMPATT, se alimentato con una tensione alternata di
frequenza opportuna, equivale ad una resistenza dinamica negativa a causa del
tempo di transito del pacchetto di elettroni che attraverso la sua regione di
trascinamento. Per quel che riguarda la regione di avalanche, sede della generazione
di cariche, essa si può assimilare invece ad un circuito risonante.
Indicando infatti con J la densità di corrente dovuta alla ionizzazione si può
dimostrare che vale la relazione (equazione di Read):
dJ
3
= J [ ∫ α ( E )dx − 1]
dt τ a x a
in cui τa é il tempo di transito attraverso la regione di avalanche di estensione xa.
L'equazione di Read mostra come varia col tempo la corrente di avalanche. Se infatti
il termine entro parentesi quadra:
∫ α ( E )dx − 1
x
a
è positivo, la corrente cresce altrimenti essa cala fino ad estinguersi.
Si supponga allora di applicare una tensione di polarizzazione inversa Vo in
modo che il campo elettrico interno assuma una distribuzione corrispondente
all'annullarsi del termine entro parentesi quadra a secondo membro dell'equazione
di Read.
Questa é la condizione limite per il fenomeno di ionizzazione a valanga che può
essere descritta approssimativamente assegnando al campo elettrico E(x) nella
regione di avalanche (che é molto stretta) un valore medio costante Εo. Se a questo
punto si sovrappone alla tensione Vo un termine variabile Vac tutte le grandezze in
gioco variano e si hanno le relazioni (si noti che sia E(x) che α(Ε), che dipendono da
x, sono state assunte eguali a valori medi calcolati lungo la zona di ionizzazione):
V = Vo + Vac
J = Jo + Jac
E(x) ≅ Eo + Eac
α(Ε) ≅ α(Εo) + (dα/dΕ)Eac
che sostituite nella equazione di Read danno luogo alla equazione valida per
piccole variazioni:
5
dJ ac
3 dα
J o E ac x a
=
τ a dE
dt
Quest'ultima, tenendo conto che la tensione applicata cade prevalentemente nella
zona di avalanche e che quindi si può assumere Vac ≅ Eacxa, diventa:
dJ ac
3 dα
J oVac
=
τ a dE
dt
da cui si deduce immediatamente che la regione di avalanche si può assimilare ad
una induttanza equivalente di valore La = τa/(3 dα/dΕ AJo), essendo A l'area della
sezione del diodo. Naturalmente oltre all'induttanza La vi é anche la capacità Ca =
εA/xa dovuta allo svuotamento, per cui in definitiva la regione in questione si può
descrivere con un circuito risonante parallelo la cui pulsazione di risonanza é data
dalla relazione (si ricordi che vs = xa/τa è la velocità di saturazione delle cariche) :
ω= 3
dα v s J o
dE ε
e quindi cresce con la radice quadrata della corrente di polarizzazione del diodo.
Fig. 3: Circuito equivalente per piccoli segnali del diodo IMPATT.
Per quel che riguarda la regione di trascinamento, essa é caratterizzata da una
resistenza dinamica negativa –r in parallelo con la capacità di svuotamento Ct =
εA/(W-xa) per cui il circuito equivalente completo del diodo, valido per piccoli
segnali, é quello di Fig. 3.
3-Impiego pratico del diodo IMPATT.
Il dodo IMPATT é una delle più potenti sorgenti di microonde allo stato solido che
permette di ottenere oscillazioni con frequenze fino a 300 GHz. Esso normalmente
viene inserito in una cavità risonante con caratteristiche variabili a mezzo di un
pistone mobile, come illustrato in Fig. 4. Si ha così una oscillazione spontanea
dovuta al fatto che la resistenza di perdita della cavità viene annullata dalla
resistenza negativa del diodo. Variando la corrente di polarizzazione continua,
6
insieme con la posizione del pistone mobile, si può variare la frequenza delle
microonde generate.
Fig. 4: Oscillatore a microonde con diodo IMPATT.
Inserendo invece il diodo IMPATT nella struttura di Fig. 5 si ottiene invece un
amplificatore. Il circolatore utilizzato in Figura è un blocco di ferrite che devia
sempre verso destra il fascio incidente e cioè verso il basso il fascio di microonde in
ingresso e verso l’uscita il fascio amplificato (output) proveniente dal basso.
Fig. 5: Amplificatore a diodo IMPATT.
2-Il diodo di Gunn.
Il diodo ad effetto Gunn si basa sulle proprietà di alcuni semiconduttori, quali
l'arseniuro di gallio (GaAs), di esibire un legame decrescente tra il campo
applicato e la densità di corrente che ne consegue. In un normale conduttore la
densità di corrente cresce infatti linearmente col campo elettrico applicato (legge
di Ohm), secondo un coefficiente di proporzionalità che dipende dal numero di
portatori liberi e dalla loro mobilità all'interno del reticolo. Quest'ultima é
funzione della massa effettiva delle cariche (elettroni) che normalmente assume un
valore costante in un ampio intervallo di valori del campo elettrico applicato.
Tuttavia l'elettrone, muovendosi all'interno di un reticolo cristallino, che ha una
struttura periodica e quindi ne condiziona fortemente la funzione d'onda, non può
7
assumere valori qualsiasi della coppia di grandezze Energia - Momento (quantità
di moto). In particolare per il GaAs si ha il legame di Fig. 6 da cui risulta
chiaramente che l'elettrone in banda di conduzione può muoversi lungo il reticolo
e assestarsi su due minimi di energia a livelli non molto differenti ma caratterizzati
da comportamento dinamico notevolmente diverso.
Fig. 6: Legame Energia-Momento nel GaAs.
Applicando allora un campo elettrico E in un punto interno ad un blocco di GaAs
drogato n, si genera localmente una corrente J che cresce rapidamente al crescere di
E fintantoché l'energia degli elettroni rimane in prossimità del minimo
caratterizzato da alta mobilità (massa piccola). Tuttavia aumentando il campo
elettrico, una sempre maggiore quantità di elettroni si trasferisce nel minimo a
bassa mobilità (massa elevata) cui corrisponde una pendenza molto minore del
legame tra campo e corrente.
Fig. 7: Caratteristica elettrica tensione-corrente con tratto a pendenza negativa.
Si ha così la situazione di Fig. 7 in cui il passaggio graduale tra le due situazioni
descritte dà luogo ad un tratto a conduttanza negativa la cui presenza può essere
8
fonte di varie forme di instabilità nella distribuzione delle cariche libere (elettroni)
nel semiconduttore drogatoSi consideri ad esempio un prisma di GaAs drogato
uniformemente di tipo n al cui interno viene generato un campo elettrico uniforme
a mezzo di una tensione esterna costante (vedi Fig. 8).
Fig. 8: Prisma di semiconduttore drogato e andamento della densità di cariche
libere e del campo elettrico dovuto ad una tensione esterna.
Si supponga che la densità degli elettroni liberi, che normalmente é uniforme, per
ovvi motivi di neutralità di carica, subisca un leggero incremento, come mostrato
in Fig. 9. Tale accumulo di elettroni perturba l'andamento del campo elettrico
facendolo decrescere alla sua sinistra (verso il catodo) e crescere alla sua destra
(verso l'anodo). In tal modo gli elettroni posti a destra acquistano più energia
assestandosi nel minimo di Fig. 9 caratterizzato da massa efficace elevata e quindi
rallentano notevolmente la loro velocità di spostamento. Ciò ha per conseguenza
uno squilibrio tra la densità di corrente entrante ed uscente dal grumo di carica
stesso che, se il campo iniziale Eo era all'interno del tratto di caratteristica E-J a
conduttanza negativa, viene via via arricchito di elettroni gonfiandosi sempre di
più.
Fig. 9: Addensamento di carica ed effetto sul campo elettrico (notare le diverse
masse e velocità delle cariche poste a destra e a sinistra).
Tale fenomeno cessa solo quando i valori E1 ed E2 danno luogo a correnti entranti
ed uscenti eguali ( vedi Fig. 10).
9
Fig. 10: Situazione di equilibrio di un grumo di cariche in moto verso destra.
È importante notare che la presenza dell’accumulo di carica in un punto porta le
rimanenti zone del semiconduttore a lavorare in situazione di stabilità cioè lontane
dal tratto a pendenza negativa garantendo così l’impossibilità di formazione di
ulteriori grumi.
Una situazione più frequente di quella ora descritta é quella in cui una zona di
semiconduttore si arricchisce di cariche a scapito di una zona contigua: si ha allora
il una instabilità dipolare che, per gli stessi motivi visti nel caso del grumo isolato
di cariche, cresce fino ad assestarsi nella situazione di equilibrio descritta in Fig. 11.
Fig. 11: Situazione di equilibrio di un dipolo di cariche.
Va notato che la estensione equivalente δ del dipolo si può stimare in prima
approssimazione tenendo conto che la tensione applicata rimane costante ed
eguale a Vo sia in presenza che in assenza di dipolo. Si ha allora
Vo = Eow = E1δ + (w-δ)E2
da cui segue:
δ =
Eo - E2
w
E1 - E 2
Come già accennato in precedenza, una notevole conseguenza della crescita del
grumo singolo o di quello dipolare é che essi impediscono la generazione di altri
accumuli concomitanti di cariche poiché i valori di campo E1 ed E2 che interessano
10
il corpo del semiconduttore risultano automaticamente esterni alla zona instabile e
cioè a pendenza negativa della caratteristica E-J. Questo fatto viene sfruttato per la
generazione di impulsi equidistanti ad alta frequenza, utilizzando semplicemente
la struttura di Fig. 8 che viene denominata diodo Gunn (ovviamente non si tratta di
un diodo). Quando infatti si forma un grumo singolo (o dipolare) esso si muove
dal catodo all'anodo insieme a tutto il gas di elettroni liberi che riempie il
semiconduttore, collassando infine sull’elettrodo esterno dell’anodo e dando luogo
ad un impulso di corrente esterno. Contemporaneamente il campo si riporta a
valore eguale ad Eo lungo tutta l'estensione del semiconduttore, anche se ciò
avviene anticipatamente in corrispondenza del catodo che, essendo la zona più
distante, subisce meno l'influenza del grumo (o del dipolo) uscente. Ciò ha per
conseguenza la generazione di una nuova instabilità localizzata nel catodo
(drogato in modo da favorire l'insorgere di una instabilità locale) che poi viaggia
verso l'anodo e ivi collassa. Gli impulsi di corrente esterna sono perciò equidistanti
e hanno una frequenza legata alla distanza w del blocco di semiconduttore
utilizzato oltreché alla velocità di propagazione che si aggira sui 105 m/s nel GaAs .
3-Il transistore MESFET.
Il transistore MESFET (MEtal-Semiconductor-Field-Effect-Transistor) si può
pensare come un normale transistore MOS in cui é stato eliminato lo strato di
ossido isolante tra metallo (Gate) e substrato. La sua struttura é riportata in Fig. 12,
in cui si vede come l’estensione del canale di conduzione, posto al di sopra dello
strato di blocco (Buffer Layer) venga modulata dalla zona di svuotamento indotta
dal contatto metallo-semiconduttore.
Quando infatti si pone un semiconduttore drogato n in contatto con un metallo
gli elettroni liberi del semiconduttore si trovano normalmente a livelli energetici
più elevati di quelli, anch'essi liberi, del metallo e pertanto diffondono in esso come
un gas compresso. La diffusione provoca la formazione di una barriera di
potenziale di modo che il contatto metallo-semiconduttore si comporta come un
diodo.
Fig. 12: Struttura di un MesFet.
11
Tale diodo, detto anche diodo Schottky, presenta l'importante differenza,
rispetto ai diodi tradizionali di tipo p-n, di condurre solo attraverso le cariche
maggioritarie (elettroni) e quindi di avere una elevata velocità di commutazione.
Eventuali lacune, presenti nel semiconduttore in prossimità del contatto, vengono
infatti riempite dagli elettroni del metallo che si trovano a bassi livelli di energia
(vedi Fig. 12).
Utilizzando quale substrato l'Arseniuro di Gallio si ha un canale in cui si
muovono elettroni a massa efficace ridotta (pari a circa 0.068 quella dell'elettrone
libero come mostrato nel paragrafo relativo al diodo di Gunn) e che pertanto
consentono di ottenere dispositivi ad alta velocità.
Fig. 13: Contatto metallo-semiconduttore.
Una struttura realizzativa tipica impiegata per i MesFet di potenza è quella
riportata in Fig. 14.
Fig. 14: Struttura di un MesFet di potenza; notare i ponticelli che collegano le
sezioni di drain all’elettrodo esterno.
DISPENSE DI ELETTRONICA
INDUSTRIALE
(anno accademico 2002-2003)
Transistori di potenza ad effetto di campo
2
1.-Transistori di potenza ad effetto di campo.
I transistori di potenza ad effetto di campo con struttura Metallo-OssidoSemiconduttore (Mos-Fet) pur presentando notevoli vantaggi rispetto ai normali
transistori bipolari sono stati utilizzati fino a qualche tempo fa esclusivamente per
applicazioni a bassa potenza a causa di una limitazione apparente legata alla loro
struttura fisica planare. Osservando la fig. 1 che riporta la struttura tipica di un
transistore Mos-Fet a canale n ad arricchimento di carica (enhancement mode) si
nota come la configurazione del canale sia piuttosto sottile e quindi inadatta alla
conduzione di forti correnti.
Fig. 1: Transistore MOS a canale n in fase di conduzione.
Infatti la conduzione tra gli elettrodi di Source e di Drain è dovuta alle cariche
negative (elettroni) indotte per effetto condensatore in un sottile strato (canale di
spessore non uniforme ) adiacente il dielettrico (biossido di silicio). Il problema
di aumentare a corrente di conduzione di un MOS si può però risolvere ponendo
in parallelo tanti dispositivi eguali dopo aver trasformato la loro struttura da
orizzontale a verticale per poterli collegare in modo più semplice. Un primo
tentativo in questa direzione fu fatto con la struttura a V, mostrata in fig. 2.
Fig. 2: Struttura di un transistore V-Mos
Tale struttura si ottiene sfruttando la demolizione preferenziale dei piani più
deboli (cioè i piani <100>) nel cristallo di Silicio, a mezzo di soluzione di
3
idrossido di potassio (KOH) o simili. Rimangono così i piani più resistenti (cioè i
piani <111>) che formano una V il cui vertice corrisponde ad un angolo di 54.7°.
Purtroppo però è proprio lo spigolo vivo della V così ottenuta il tallone d’Achille
del dispositivo di fig. 2: la concentrazione di campo elettrico che ne consegue
provoca sia il restringimento delle linee di flusso della corrente (vedi fig. 3), con
conseguente aumento della resistenza di conduzione, sia la perforazione del
dielettrico sovrastante.
Fig. 3: Concentrazione di corrente (e di campo elettrico) in prossimità della punta
della V nel transistore V-Mos.
Una soluzione costruttiva di gran lunga più soddisfacente che si è imposta negli
ultimi anni, è invece rappresentata dalla struttura di fig. 4 in cui la corrente
scorre prima in senso verticale nella regione di Drain e poi orizzontalmente
attraverso il canale n che si forma per arricchimento di carica nella zona p posta
sotto il Gate.
Fig. 4: Mos di potenza a canale orizzontale e conduzione verticale.
Il Gate è formato da una struttura di silicio policristallino sepolta nel biossido
isolante in modo da proteggerla dallo strato di alluminio che ricopre tutta la
4
superficie e funge da elettrodo di Source. Va notato che l’uso del Silicio
policristallino, che ha il grosso difetto di avere una resistività pari a circa 3000
volte quella dell’alluminio, è reso necessario dalla difficoltà che si incontrerebbe
nel tentativo di sepellire l’alluminio nel biossido.
Collegando in parallelo le celle elementari di fig. 4 si ottiene una struttura
ripetitiva di considerevole eleganza geometrica come quella esagonale riportata
in fig. 5 (che va sotto il nome commerciale HexFet ma che però non è l’unica
utilizzata in pratica).
Fig. 5: Struttura realizzativa di un Mos-Fet di potenza (HexFet).
L'unico inconveniente della struttura di fig. 5 è legato al fatto che l'elettrodo di
Gate ha una notevole resistenza serie. Osservando infatti la fig. 5 si vede che esso
è costituito da una sottile griglia esagonale sommersa ad elevata resistività (Silicio
policristallino). Essa inoltre viene collegata al connettore esterno mettendola a
nudo solo in zone limitate poste in periferia. La elevata resistenza serie che così
ne risulta, insieme alla capacità di Gate, si comporta come un filtro passa basso
RC e provoca notevole un abbassamento della velocità di commutazione del
MOS.
La struttura Mos-Fet di potenza ha anche una caratteristica peculiare che la
distingue da quella cosiddetta di segnale. La sua caratteristica ID-VGS, a differenza
di quella del Mos-Fet tradizionale, che segue la legge dei 3/2, è infatti lineare,
come mostrato in fig. 6 a) e b), in cui vengono riportate entrambe le
caratteristiche. Tale apparente linearizzazione della caratteristica è legata al fatto
che essa viene utilizzata per forti correnti (zona in cui e’ lineare) mentre nei Mos
di segnale viene utilizzata per basse correnti (zona in cui non e’ lineare).
5
Fig. 6: Caratteristica del Mos-Fet di potenza a) e di quello di segnale b)
2.- La misura della corrente nel MOS di potenza.
In molte applicazioni è necessario misurare la corrente assorbita da un carico
posto in serie ad un interruttore allo stato solido. Generalmente questo problema
si risolve aggiungendo in serie al carico stesso una resistenza di piccolo valore la
cui tensione viene amplificata da un apposito circuito. Questa tecnica ha però due
difetti che ne rendono problematico l’impiego. Anzitutto la resistenza in
questione per quanto piccola può assorbire una quantità non trascurabile di
energia. In secondo luogo avendo entrambi i terminali fuori massa essa pone dei
problemi al circuito di misura che invece deve essere sempre riferito a massa.
Fortunatamente l’uso di transistori Mos di consente di risolvere il problema della
misura di corrente in modo semplice ed elegante.
Fig. 7: Misura della corrente in un Mos di potenza.
A tale scopo vengono realizzati MOS a mezzo di n+1 celle tutte eguali. Le
prime n celle vengono collegate in parallelo in modo da realizzare il Mos di
potenza vero e proprio mentre l’ultima viene lasciata con la sorgente scollegata
ottenendo un Mos di misura. Il tutto viene poi inserito nel circuito di fig. 7.
6
L’amplificatore operazionale stabilisce un collegamento virtuale tra i due
elettrodi di sorgente S1 ed S2, dimodoché tutte le celle lavorano nelle medesime
condizioni. Se le celle sono tutte eguali, attraverso il Mos di misura (indicato in
colore) fluisce una corrente pari a I/n che viene inviata sulla resistenza di misura
R riferita a massa, ottenendo così una tensione proporzionale alla corrente I,
senza con questo alterare in nessun modo il circuito in serie al carico.
3.- Il fenomeno del latchback nel MOS di potenza.
La struttura di fig. 4 e 5, oltre alla resistenza e capacità di Gate già menzionata nel
paragrafo precedente, presenta alcuni parametri parassiti che ne possono limitare
severamente l’uso.
Fig. 8: Componenti parassiti dell’elemento base di un Mos-Fet di potenza . La
zona p+ ad elevato drogaggio serve a minimizzare il valore della
resistenza parassita.
Osservando infatti la fig. 8 è possibile notare la presenza di un transistore
bipolare parassita posto in parallelo al Mos-Fet, la cui base è collegata al Drain da
una capacità e alla Sorgente da un resistore (per semplicità i suddetti componenti
parassiti sono indicati solo nella zona a sinistra ma ovviamente essi si trovano
anche nella zona simmetrica posta destra). In particolare la capacità parassita tra
base e collettore è dovuta alla corrispondente giunzione polarizzata
inversamente. Tale capacità può iniettare una notevole corrente in base durante
una rapida sovratensione, come quella che si verifica ad esempio nella
commutazione con carico induttivo. In questo caso anche se il canale del Mos-Fet
regge la sollecitazione extra che ne risulta, è invece il transistore bipolare
parassita che va in breakdown con conseguente cortocircuito (latch-back)
dell’intera struttura. Questo fenomeno si può ridurre minimizzando il valore
della resistenza base-sorgente in modo che la maggior parte della corrente che
arriva dal diodo sia drenata e non entri in base favorendo il breakdown del
transistor parassita. In altre parole se la resistenza in questione fosse ridotta a
zero il transistore funzionerebbe con base a massa e quindi sarebbe in grado di
7
sopportare sovratensioni notevolmente maggiori (vedi capitolo sui transistori
bipolari). A tale scopo si inseriscono due zone p+ di cortocircuito disposte
simmetricamente in prossimità dell’elettrodo di Sorgente (vedi fig. 8 in cui per
semplicità una sola di tali zone è evidenziata).
Il transistor parassita non presenta però solo svantaggi. Se la tensione tra
Drain e Source si inverte esso si comporta come un diodo (precisamente è la
giunzione collettore base che funge da diodo) cortocircuitando il segnale inverso
che potrebbe avere effetti pericolosi sulla struttura Mos-Fet. La velocità di
commutazione di tale diodo è abbastanza alta sopratutto se la regione p della
giunzione è stata ottenuta con la tecnica dell'impiantazione ionica. In questo
ultimo caso il bombardamento di ioni crea delle microfratture (dislocazioni) nel
cristallo che agendo da centri di ricombinazione aumentano la velocità di
commutazione del diodo. È però buona norma, se si vuole una protezione
veramente efficace contro le tensioni inverse, inserire in parallelo al transistore un
diodo veloce per commutazione (Schottky) posto esternamente.
4.- L'area di sicurezza nei Mos-Fet di potenza.
Le considerazioni valide per la costruzione dell'area di funzionamento sicuro
fatte nel caso dei transistor bipolari si possono adattare senza particolari
variazioni anche al caso dei Mos-Fet. Anzitutto il Mos-Fet è pur sempre un
resistore il cui valore minimo dà luogo ad una linea di separazione (rDS(on) limit) al
di sopra della quale il dispositivo non è fisicamente in grado di andare a
funzionare. Vi sono poi i limiti di corrente dovuti alla necessità di evitare danni
agli elettrodi (package limit) insieme ad un limite di tensione legato all'avalanche
breakdown (moltiplicazione per urto delle cariche). E naturalmente vi è un limite
di potenza legato alla possibilità limitata di smaltimento del calore generato nel
canale (thermal limit). Manca invece, e questo è un enorme vantaggio dei MosFet, il fenomeno della fuga termica e il conseguente direct biased second
breakdown.
Mentre infatti nel transistor bipolare un aumento di temperatura ha per
conseguenza un aumento esponenziale delle correnti di fuga che vengono
amplificate dalla giunzione base-emettitore, nel Mos-Fet non è presente tale
effetto di amplificazione. Un aumento di temperatura nel Mos-Fet induce
semplicemente una maggiore vibrazione del reticolo cristallino con conseguente
diminuzione della mobilità delle cariche ed aumento di resistività del canale con
effetto stabilizzante. A rigore occorrerebbe tener anche conto della formazione di
coppie lacuna-elettrone per effetto termico ma questo fenomeno che aumenta la
conducibilità con la temperatura è di entità inferiore. Inoltre nei Mos-Fet il
secondo breakdown dovuto a fenomeni di ionizzazione per urto durante i
8
transitori è ancora presente ma mancando dell'aiuto dell'instabilità termica
laterale non si fa sentire in modo apprezzabile. Si ha così un'area di sicurezza più
ampia come indicato in fig. 9.
Fig. 9: Area di sicurezza del Mos-Fet MTP10N40E (Motorola).
5.- Il transistore bipolare a Gate isolato (IGBT).
I transistori di potenza bipolare e Mos-Fet hanno pregi e difetti che sono grosso
modo complementari tra di loro. Il transistore bipolare infatti presenta una bassa
resistenza allo stato ON ma necessita di una forte corrente di pilotaggio nella
base, con tutti i fenomeni collaterali di saturazione e di ritardo di commutazione
che ne conseguono. Il transistore Mos-Fet che assorbe una bassa corrente di Gate
e non presenta quindi particolari difficoltà di commutazione, ha invece una
elevata resistenza allo stato ON che ne pregiudica l'uso in molte applicazioni,
specie quando il rendimento elevato di una apparecchiatura è una specifica di
primaria importanza. Inoltre mentre il transistore bipolare non è adatto al
collegamento in parallelo il Mos-Fet si presta bene a tale impiego. Per questi
motivi molti progettisti di componenti di potenza allo stato solido si sono posti il
probema di combinare le due tecnologie (bipolare e Mos-Fet) in modo da ottenere
un dispositivo che ne riunisse i pregi e cioè una elevata impedenza di ingresso
insieme con una bassa resistenza allo stato ON. Attualmente il componente che
ha dato migliori risultati da questo punto di vista è il cosidetto IGBT ovvero
Insulated Gate Bipolar Transistor la cui struttura è riportata in fig. 10 a) insieme
con il suo schema equivalente (fig. 10 b)).
Osservando tale figura si nota che l’approccio su cui si basa L’IGBT è
apparentemente simile a quello dell’SCR; anche in questo caso infatti si ha una
9
struttura di tipo tetrapolare p-n-p-n e lo scopo del componente Mos sembra solo
quello di permettere l’innesco iniettando cariche nella zona n adiacente l’anodo.
In realtà le cose vanno in modo alquanto differente sia per la presenza della zona
p+ posta al centro della zona p sia per la natura dello strato epitassiale n- posto
subito al di sopra del substrato (anodo).
Fig. 10: Struttura fisica e circuito equivalente dell'IGBT.
Come già visto infatti nel caso dei Mos-Fet, la zona p+ intensamente drogata
(Shunting Resistance RS) dà luogo ad un cortocircuito verso massa della base del
Gate dell’SCR parassita impedendo così l'innesco di quel fenomeno rigenerativo
che ne causerebbe il passaggio veloce e irreversibile dallo stato di interdizione a
quello di conduzione.
La zona epitassiale n- invece decresce la propria resistività fino a portarsi quasi
in corto circuito a causa della corrente di lacune provenienti dall’anodo p+, per
cui l’intera struttura si riduce inizialmente ad una giunzione p-n polarizzata
direttamente. Questo è tra l’altro il motivo per cui talvolta l’IGBT è denominato
conductivity-modulated Fet (COMFET).
La presenza di questa giunzione equivalente conferisce alle parte sinistra delle
curve caratteristiche la tipica forma esponenziale, evidenziata in colore nella fig.
11. Quando però la tensione VAK aumenta si ha la saturazione del canale e le
curve diventano orizzontali, come nei normali transistori Mos-Fet. Occorre però
tener presente che la corrente di canale favorisce la comparsa di una corrente
laterale di SCR, il quale anche se non innesca da’ un contributo preponderante
alla corrente complessiva.
10
Fig. 11: Caratteristiche elettriche tipiche di un IGBT con evidenziato il tratto
iniziale a forma esponenziale.
Si pensi infatti che la massima corrente sopportabile dall’IGBT può aumentare
anche di 20 volte rispetto a quella condotta dal solo Mos-Fet. L’entità di questa
corrente extra è però direttamente legata al valore della corrente di canale. È
infatti quest’ultimo che fornisce le cariche di quasi innesco all’SCR il quale in un
certo senso funge da amplificatore che però non deve mai superare la soglia di
innesco completo che lo porterebbe in cortocircuito (latch-up). Come già detto,
da questo punto di vista gioca un ruolo fondamentale la zona p+ evidenziata in
fig. 10 a): essa infatti cortocircuitando il Gate dell’SCR ne impedisce il latch-up.
Facendo infatti riferimento alla fig. 10 b) si ricava facilmente la seguente relazione
per la corrente di collettore iA:
i α −i α
iA = G 1 R 2
1 − α1 − α 2
dove α1 ed α2 sono i guadagni di corrente di emettitore del transistor pnp ed npn
rispettivamente e iG è la corrente proveniente dal Mos-Fet.
Come si nota dalla formula precedente, la corrente iR ha effetto opposto a
quella controllata dal Gate iG e pertanto tende a ridurre la corrente anodica
complessiva; inoltre essa sottraendo corrente alla base del transistore npn lo fa
lavorare con basse correnti di emettitore in corrispondenza delle quali il suo
guadagno di corrente α2 è molto minore di 1 e la condizione di non innesco:
α1 + α2 < 1
è soddisfatta.
Uno svantaggio dell' IGBT è legato al fatto che il controllo delle cariche
11
iniettate nella zona epitassiale (lacune e elettroni) è piuttosto difficile dal punto di
vista dinamico. Infatti essendo esse poste a notevole distanza dagli elettrodi
esterni bisogna aspettare che decadano da sole annullandosi a vicenda.
Applicando allora una tensione di ingresso a onda quadra si ha la forma d’onda
di corrente anodica mostrata in fig. 12.
Fig. 12: Corrente anodica con gradino di tensione sul Gate.
Come si può vedere, il fronte di discesa è composto da due andamenti successivi,
uno rapido corrispondente allo spegnimento del Mos-Fet e l’altro più lento
corrispondente allo spegnimento dell’SCR e più precisamente al riassorbimento
delle cariche in eccesso nella zona epitassiale. Fortunatamente è possibile ridurre
il tempo di vita delle cariche in tale zona a mezzo di un procedimento di
formazione di irregolarità (traps) nel reticolo, basato su un processo di
irradiazione con fascio di elettroni durante la fabbricazione: in questo modo si
raggiungono anche tempi di commutazione dell'ordine di 0.2 µs.
6.- IGBT a Gate infossato (trench-Gate).
Una tecnica realizzativa che ha consentito negli ultimi tempi di realizzare IGBT
con caratteristiche notevolmente migliorate è quella del cosidetto Gate infossato
(trench-Gate), cui corrisponde la struttura di fig. 13. In tale figura è riportato anche
l’IGBT tradizionale per evidenziarne i suoi punti deboli che sono: la presenza di
una resistenza parassita R sottostante il Gate e l’eccessiva estensione della
struttura a SCR rispetto a quella Mos-Fet che comporta il pericolo di latch-up
anche a correnti moderate. La presenza della resistenza R è legata al fatto che il
Gate riempie il canale e le zone vicine sottraendo però elettroni cioè svuotando
parzialmente la parte più lontana dalla zona n-.
12
Fig. 13: Struttura tradizionale (a sinistra) e a Gate infossato (a destra).
Come si può vedere, nella struttura a Gate infossato la zona di pertinenza
dell’SCR non è così prevalente come nella struttura tradizionale ed inoltre il suo
Gate viene cortocircuitato con maggiore efficacia dalla zona p+ posta in posizione
più favorevole. La zona è suddivisa in n-drift in cui il drogaggio disuniforme
provoca l’insorgere di un campo elettrico che accelera le cariche rendendole più
veloci e in n-buffer che ha lo scopo di creare una giunzione n-p++ soffice onde
permettere l’applicazione di tensioni elevate. Tutto ciò conferisce al dispositivo
un maggior margine di latch-up, un miglior comportamento dinamico e infine la
resistenza R, dovuta allo svuotamento indotto dal Gate nella regione epitassiale
sottostante non si trova più al centro della zona di conduzione, diminuendo così
la rCE(ON). Infine a parità di dimensioni del canale, l’ingombro per ogni singola
cella risulta ridotto (anche di 5 volte).
Programma del Corso di Elettronica Industriale
(anno acc. 99/00)
SCR, UJT, GTO.
Introduzione. Struttura fisica e caratteristiche elettriche degli SCR. Impiego di
un SCR come interruttore in corrente continua. Studio del transitorio di
spegnimento. Circuito di innesco di un SCR in corrente alternata; curva di innesco e
circuito sfasatore. Transistore unigiunzione. Oscillatore a UJT: ciclo limite e forma
d’onda dell’impulso di corrente. Struttura fisica del Gate-Turn-Off SCR (GTO).
Transistori di potenza bipolari.
Caratteristiche elettriche dei transistori bipolari. Limiti di corrente e di tensione
nei transistori bipolari. Massima potenza e circuito equivalente termico: temperatura
massima in regime impulsivo di potenza. La fuga termica nei transistori bipolari.
L'instabilita' laterale (Forward biased second breakdown). L'area di sicurezza in
regime impulsivo. Il reverse biased second breakdown. Problemi di pilotaggio della
base di transistori bipolari. Dispositivo di antisaturazione. Circuiti di protezione.
Transistori di potenza ad effetto di campo.
Transistori di potenza ad effetto di campo. Struttura HEXFET. L'area di
sicurezza nei MOS-FET di potenza. Il transistore bipolare parassita. Il transistore
bipolare a gate isolato (IGBT).
Dispositivi per microonde.
Fenomeni di instabilita' della densita' di carica nell’arseniuro di Gallio. Il diodo
di Gunn. Forma d'onda della corrente generata in un diodo di Gunn. Fenomeno di
ionizzazione per urto: il diodo IMPATT. Zona di ionizzazione e zona di
trascinamento. Forma d’onda della corrente. Equazione di Read. Circuito
equivalente del diodo IMPATT. Struttura di un amplificatore a diodo IMPATT.
Tecniche di misura industriali.
Fenomeni fisici: piezoelettricità, piroelettricità, ferroelettricità. La giunzione pn: termodiodo, piezodiodo e fotodiodo. Strutture meccaniche nel silicio.
Accelerometro con sensori a piezogiunzione. Trasduttori di pressione e trasduttori
piroelettrici. Misura di temperatura con coppia di transistori. Ponte di misura per
trasduttore di pressione. Misura di corrente in un transistor MOS. Amplificatore per
strumentazione; pilotaggio della calza e pilotaggio del corpo. Compensazione della
deriva termica. Amplificatore di isolamento a fotoaccoppiatore. Trasduttori di
posizione: Syncro-Resolver, Inductosyn. Codificatori digitali. Codice Gray.
Servoposizionatori digitali. Trasduttori incrementali. Tecniche di controllo
strutturale con correnti parassite. Correnti parassite in un conduttore cilindrico.
Bobine di induzione e di raccolta dei segnali. Circuito per il rilevamento di cricche,
inclusioni ecc.
Convertitori di energia.
Convertitori DC/AC a transistor. Convertitore DC/AC trifase. Pompa di carica
per pilotaggio MOS fuori massa. Eliminazione e minimizzazione delle armoniche nei
convertitori DC/AC. Equivalenza tra convertitori DC/AC e AC/DC. Tipi di
convertitori AC/DC: step-up, step-down e step up-down. Rifasamento della corrente
2
di linea. Circuiti realizzativi. Convertitori risonanti serie e parallelo e di tipo AC e
DC link.
Motore in corrente continua a collettore elettronico. Motore piezoelettrico.
Struttura fisica e circuiti di controllo del motore a collettore elettronico. Forze
elettromotrici mozionali e coppia motrice. Misura della velocita’. Struttura del
motore pieziolettrico.
Computer Vision.
Dispositivi di acquisizione delle immagini: sensori a matrice di diodi e a
accoppiamento di carica (CCD). Modulatore di luce a semiconduttore. Estrazione dei
contorni: operatore di Sobel. Piano x-y e s-θ. Confronto col modello: tratti salienti.
Trasformata di Hough e figure simmetriche di convoluzione.
Testi Consigliati: Dispense del Corso.
Programma del Corso di Elettronica Industriale
(anno acc. 00/01)
SCR, UJT, GTO.
Introduzione. Struttura fisica e caratteristiche elettriche degli SCR. Impiego di
un SCR come interruttore in corrente continua. Studio del transitorio di
spegnimento. Circuito di innesco di un SCR in corrente alternata; curva di innesco e
circuito sfasatore. Transistore unigiunzione. Oscillatore a UJT: ciclo limite e forma
d’onda dell’impulso di corrente. Struttura fisica del Gate-Turn-Off SCR (GTO).
Transistori di potenza bipolari.
Caratteristiche elettriche dei transistori bipolari. Limiti di corrente e di tensione
nei transistori bipolari. Massima potenza e circuito equivalente termico: temperatura
massima in regime impulsivo di potenza. La fuga termica nei transistori bipolari.
L'instabilita' laterale (Forward biased second breakdown). L'area di sicurezza in
regime impulsivo. Il reverse biased second breakdown. Problemi di pilotaggio della
base di transistori bipolari. Dispositivo di antisaturazione. Circuiti di protezione.
Transistori di potenza ad effetto di campo.
Transistori di potenza ad effetto di campo. Esempio realizzativo (hexfet). L'area
di sicurezza nei MOS-FET di potenza. Il transistore bipolare parassita. Il transistore
bipolare a gate isolato (IGBT).
Dispositivi per microonde.
Fenomeni di instabilita' della densita' di carica nell’arseniuro di Gallio. Il diodo
di Gunn. Forma d'onda della corrente generata in un diodo di Gunn. Fenomeno di
ionizzazione per urto: il diodo IMPATT. Zona di ionizzazione e zona di
trascinamento. Forma d’onda della corrente. Equazione di Read. Circuito
equivalente del diodo IMPATT. Struttura di un amplificatore a diodo IMPATT.
Tecniche di misura industriali.
Fenomeni fisici: piezoelettricità, piroelettricità, ferroelettricità. La giunzione pn: termodiodo, piezodiodo e fotodiodo. Strutture meccaniche nel silicio.
Accelerometro con sensori a piezogiunzione. Trasduttori di pressione e trasduttori
piroelettrici. Misura di temperatura con coppia di transistori. Ponte di misura per
trasduttore di pressione. Misura di corrente in un transistor MOS. Amplificatore per
strumentazione; pilotaggio della calza e pilotaggio del corpo. Compensazione della
deriva termica. Amplificatore di isolamento a fotoaccoppiatore. Trasduttori di
posizione: Syncro-Resolver, Inductosyn. Codificatori digitali. Codice Gray.
Servoposizionatori digitali. Trasduttori incrementali. Tecniche di controllo
strutturale con correnti parassite. Correnti parassite in un conduttore cilindrico.
Bobine di induzione e di raccolta dei segnali. Circuito per il rilevamento di cricche,
inclusioni ecc.
Convertitori di energia.
Convertitori DC/AC a transistor. Convertitore DC/AC trifase. Pompa di carica
per pilotaggio MOS fuori massa. Eliminazione e minimizzazione delle armoniche nei
convertitori DC/AC. Equivalenza tra convertitori DC/AC e AC/DC. Tipi di
convertitori AC/DC: step-up, step-down e step up-down. Rifasamento della corrente
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di linea. Guadagno di tensione del convertitore step-up. Circuiti realizzativi.
Convertitori risonanti serie e parallelo e di tipo AC e DC link.
Testi Consigliati: Dispense del Corso.
Programma del Corso di Elettronica Industriale
(anno acc. 01/02)
(*) argomenti riservati ai soli allievi del 3° anno
(**) argomenti riservati ai soli allievi del 5° anno
La giunzione p-n in regime transitorio.
1. Distribuzione di cariche in una giunzione.
2. Comportamento transitorio di una giunzione.
SCR, UJT, GTO.
1. I thyristori.
2. Caratteristiche elettriche degli SCR.
3. Applicazioni degli SCR.
4. (**) Transistore a unigiunzione.
5. (**) Oscillatore a UJT.
6. Il Gate Turn Off Thyristor (GTO).
Transistori di potenza bipolari.
1. Caratteristiche elettriche dei transistori di potenza bipolari.
2. Limiti di corrente e di tensione nei transistori bipolari.
3. La fuga termica nei transistori bipolari.
4. L'instabilità laterale (Forward biased second breakdown).
5. L'area di sicurezza in regime impulsivo.
6. Il reverse biased second breakdown.
7. Circuiti di protezione.
8. Problemi di pilotaggio della base di transistori bipolari.
Transistori di potenza ad effetto di campo.
1. Transistori di potenza ad effetto di campo.
2. La misura della corrente nei MOS di potenza.
3. Il fenomeno del latch-up nel MOS di potenza.
4. L'area di sicurezza nei Mos-Fet di potenza.
5. Il transistore bipolare a gate isolato (IGBT).
6. IGBT a gate infossato.
Dispositivi per microonde allo stato solido.
1. (**) Il diodo IMPATT.
2. (**) Circuito equivalente del diodo IMPATT.
3. (**) Impiego pratico del diodo IMPATT.
4. (**) Il diodo di Gunn.
Trasduttori e dispositivi di misura.
1. Introduzione
2. Fenomeni fisici utilizzati nei trasduttori.
3. Piezoelettricità, piroelettricità e ferroelettricità.
4. Termogiunzione, fotogiunzione e piezogiunzione.
5. Microstrutture su silicio.
6. Primo esempio di applicazione di microstrutture su silicio: realizzazione di un
accelerometro assiale.
2
7. Secondo esempio di applicazione di microstrutture su silicio: realizzazione di
un trasduttore di pressione.
8. Esempio dell’applicazione dell’effetto piezoelettrico: trasduttori a quarzo,
amplificatori di carica.
9. Misure di dilatazione.
10. Misure di temperatura.
11. Trasduttori piroelettrici.
12. Amplificatori per strumentazione.
13. Pilotaggio della calza schermante.
14. Pilotaggio del corpo del trasduttore.
15. Autoazzeramento.
16. Amplificatori di isolamento.
17. Zero crossino detector.
18. Trasduttori di posizione.
19. Il trasduttore lineare a trasformatore differenziale.
20. Syncro-resolver.
21. Inductosyn.
22. Codificatori digitali di posizione.
23. Posizionamento digitale.
24. Trasduttori incrementali.
25. (**) Tecniche di controllo strutturale dei materiali.
26. (**) Controllo strutturale mediante correnti parassite.
27. (**) Impiego pratico del metodo.
Convertitori di energia.
1. Introduzione.
2. Convertitori DC/AC a interruttore elettronico.
3. Convertitori DC/AC di potenza.
4. La tecnica PWM.
5. La PWM a minima potenza.
6. (**) Convertitori DC/AC risonanti.
7. (**) Convertitori risonanti AC e DC link.
8. Convertitori AC/DC.
9. Convertitori AC/DC a fattore di potenza unitario.
10. Guadagno di tensione del convertitore step-up.
11. Circuiti realizzativi dei tre tipi di convertitori AC/DC.
Motore in corrente continua a collettore elettronico. Motore piezoelettrico.
1. (**) Il motore elettrico in corrente continua a collettore elettronico.
2. (**) Motore piezoelettrico.
Elementi di macchine elettriche.
1. (*)Trasformatori: Cenni costruttivi, equazioni fondamentali, circuito primario e
secondario
2. (*) Funzionamento a carico e a vuoto, diagrammi vettoriali, funzionamento in corto
circuito.
3. (*) Reti equivalenti, ridotta a primario e secondario.
4. (*) Rete equivalente semplificata, caduta di tensione industriale.
5. (*) Diagramma di Kapp, perdite e rendimento.
6. (*) Generatori in corrente continua: principio di funzionamento. F.E.M. indotte e
3
principali circuiti di eccitazione.
7. (*) Potenza, perdite e rendimento. Coppia di reazione e potenza meccanica.
Caratteristica a vuoto.
8. (*) Motori in C.C., principio di funzionamento. Forza controelettromotrice, potenza e
rendimento.
9. (*) Studio del motore in C.C. ad eccitazione indipendente e parallelo. Caratteristica
meccanica.
10. (*) Studio del motore con eccitazione serie: caratteristica meccanica.
Testi Consigliati: Appunti e Dispense del Corso reperibili in rete agli indirizzi:
http://131.114.9.130:80/Dispense/Dispense.htm
http://131.114.9.20:8001/Dispense/dispense.htm
Programma del Corso di Elettronica Industriale
(anno acc. 02/03)
(il programma è comune per gli allievi del 3° e 5° anno)
La giunzione p-n in regime transitorio.
1. Distribuzione di cariche in una giunzione.
2. Comportamento transitorio di una giunzione.
SCR, UJT, GTO.
1. I thyristori.
2. Caratteristiche elettriche degli SCR.
3. Applicazioni degli SCR.
4. Transistore a unigiunzione.
5. Oscillatore a UJT.
6. Il Gate Turn Off Thyristor (GTO).
Transistori di potenza bipolari.
1. Caratteristiche elettriche dei transistori di potenza bipolari.
2. Limiti di corrente e di tensione nei transistori bipolari.
3. La fuga termica nei transistori bipolari.
4. L'instabilità laterale (Forward biased second breakdown).
5. L'area di sicurezza in regime impulsivo.
6. Il reverse biased second breakdown.
7. Circuiti di protezione.
8. Problemi di pilotaggio della base di transistori bipolari.
Transistori di potenza ad effetto di campo.
1. Transistori di potenza ad effetto di campo.
2. La misura della corrente nei MOS di potenza.
3. Il transistore bipolare a gate isolato (IGBT).
4. IGBT a gate infossato.
Dispositivi per microonde allo stato solido.
1. Il diodo IMPATT.
2. Circuito equivalente del diodo IMPATT.
3. Impiego pratico del diodo IMPATT.
4. Il diodo di Gunn.
Trasduttori e dispositivi di misura.
1. Introduzione
2. Fenomeni fisici utilizzati nei trasduttori.
3. Piezoelettricità, piroelettricità e ferroelettricità.
4. Termogiunzione, fotogiunzione e piezogiunzione.
5. Microstrutture su silicio.
6. Primo esempio di applicazione di microstrutture su silicio: realizzazione di un
accelerometro assiale.
7. Secondo esempio di applicazione di microstrutture su silicio: realizzazione di
un trasduttore di pressione.
8. Esempio dell’applicazione dell’effetto piezoelettrico: trasduttori a quarzo,
2
amplificatori di carica.
9. Misure di dilatazione.
10. Misure di temperatura.
11. Trasduttori piroelettrici.
12. Amplificatori per strumentazione.
13. Pilotaggio della calza schermante.
14. Pilotaggio del corpo del trasduttore.
15. Autoazzeramento.
16. Amplificatori di isolamento.
17. Zero crossing detector.
18. Trasduttori di posizione.
19. Il trasduttore lineare a trasformatore differenziale.
20. Inductosyn.
21. Codificatori digitali di posizione.
22. Posizionamento digitale.
23. Trasduttori incrementali.
24. Tecniche di controllo strutturale dei materiali.
25. Controllo strutturale mediante correnti parassite.
26. Impiego pratico del metodo.
Convertitori di energia.
1. Introduzione.
2. Convertitori DC/AC a interruttore elettronico, monofase e trifase.
3. Convertitori DC/AC di potenza.
4. La tecnica PWM.
5. La PWM a minima potenza.
6. Convertitori DC/AC risonanti.
7. Convertitori risonanti AC e DC link.
8. Convertitori AC/DC.
9. Convertitori AC/DC a fattore di potenza unitario.
10. Circuiti realizzativi dei tre tipi di convertitori AC/DC.
Testi Consigliati: Appunti e Dispense del Corso reperibili in rete all’indirizzo:
http://131.114.9.130:80/Dispense/Dispense.htm
DISPENSE DI ELETTRONICA INDUSTRIALE
(anno accademico 2002-2003)
SCR - UJT - GTO
2
1.-I Thyristori.
I Thyristori, detti anche SCR (Silicon Controlled Rectifier) sono dispositivi a
semiconduttore che permettono di controllare elevate potenze in modo abbastanza
semplice ed economico. Esempi ben noti di tali applicazioni sono i convertitori di
energia, i quali comprendono tutta quella vasta categoria di apparecchiature
statiche che trasformano una tensione continua (DC) in una tensione alternata (AC)
o viceversa. Non vanno inoltre dimenticati quei particolari sistemi di controllo
della velocità di rotazione dei motori elettrici le cui applicazioni ai trasporti
ferroviari e urbani sono oggigiorno sempre più diffuse.
Per comprendere le caratteristiche di funzionamento di un SCR si consideri il
circuito formato da due transistori complementari riportato in fig. 1.
Fig. 1: Circuito a transistori complementari.
Si supponga che inizialmente il circuito sia a riposo, cioè privo di correnti e si
supponga di inviare sulla base di T1 un impulso brevissimo di corrente I0. Tale
corrente provoca una variazione dell'equilibrio delle cariche sulla giunzione baseemettitore di T1 che ha per conseguenza, dopo un certo tempo di ritardo legato alla
mobilità delle cariche stesse, il fluire di una corrente Ic1 sul collettore di T1.
Quest'ultima corrente penetra nella base di T2 e agendo in modo analogo genera la
corrente Ic2 che ritorna sulla base di T1 dando luogo alla ripetizione del ciclo
descritto. Si ha così il manifestarsi di una serie di impulsi di corrente, uno ritardato
rispetto all'altro, che si susseguono come indicato in fig. 2.
Se, come in fig.2, l'impulso Ic2 che ritorna in base di T1 é di ampiezza maggiore
della corrente I0 che lo ha provocato, si ha un fenomeno rigenerativo che dopo
breve tempo (dell'ordine di qualche microsecondo) porta in saturazione entrambi i
transistori. Il fatto che l'ampiezza degli impulsi vada via via crescendo é legata al
3
ben noto effetto amplificatore del transistor: la corrente di base perturbando
l'equilibrio della giunzione base-emettitore fa fluire una corrente di collettore β
volte più grande (β é il guadagno di corrente di base del transistor ed é
normalmente molto maggiore di uno).
Fig. 2: Correnti nel circuito di fig.1.
Va però notato che se l'ampiezza dell'impulso iniziale I0 é abbastanza piccola, le
cariche libere che raggiungono la giunzione sono molto poche o addirittura nulle,
dato che alcune ricombinano nella regione di base, e sono quindi incapaci di dar
luogo a correnti di collettore di ampiezza sufficiente. In tal caso l'ampiezza degli
impulsi successivi va via via decrescendo e dopo poco tempo il circuito ritorna
nello stato di correnti nulle iniziale. Questo fatto si può prevedere anche
analiticamente ricavando dalla fig. 1 l'espressione approssimata della corrente
anodica (essa vale per [α1+α2] ≈ 1)
α1 I G
IA =
1 − (α 1 + α 2 )
dove α1 ed α2 sono i guadagni di corrente di emettitore di T1 e T2 rispettivamente.
Per bassi valori di corrente α1 ed α2 sono minori di 1 e la corrente IA é limitata.
Aumentando IG aumentano anche α1 ed α2 fintantoché quando é soddisfatta la
condizione di innesco (α1+α2) = 1 la corrente anodica tende teoricamente
all'infinito.
Il circuito di fig. 2 si può allora paragonare ad un interruttore la cui chiusura si
può provocare applicando alla base di T1 un impulso di corrente di ampiezza
opportuna. Quando infatti entrambi i transistori saturano, la tensione residua ai
capi del dispositivo si aggira sui 0.7 volt e la corrente che fluisce é limitata
unicamente dal carico esterno. Per provocare la riapertura di tale interruttore
occorre invece agire sulla tensione di alimentazione abbassandola fintantoché la
4
corrente che fluisce assume valori così piccoli che il fenomeno rigenerativo appena
descritto non può più autosostenersi. Infatti al di sotto di un valore limite detto Ihold
(corrente di mantenimento) entrambi i transistori interdicono e l'interruttore si
riapre.
Il circuito ora descritto non meriterebbe una particolare considerazione se non
fosse per una particolarità che lo distingue. Osservando infatti la fig.1 si nota che i
conduttori che collegano tra di loro i due transistor, fungono da congiunzione tra
zone di semiconduttore aventi lo stesso tipo di drogaggio (zona n con zona n, zona
p con zona p). É perciò ovvio che, supponendo di far tendere a zero la lunghezza
di tali conduttori, la struttura del dispositivo si riduce a quella formata da 4 zone
di semiconduttore, riportata in fig. 3, che prende appunto il nome di SCR (Silicon
Controlled Rectifier).
Fig. 3: Struttura fisica e simbolo elettrico di un SCR.
In fig. 3 insieme alla struttura basilare a tre giunzioni dell' SCR viene riportato il
suo simbolo elettrico, nonché la struttura planare a mezzo della quale viene
realizzato in pratica.
2.-Caratteristiche elettriche degli SCR.
Allo scopo di caratterizzare il funzionamento di un SCR, nelle varie condizioni di
alimentazione cui é normalmente sottoposto in una applicazione pratica, si
supponga di alimentare l'elettrodo di comando (denominato Gate) con una
corrente costante di modesta entità e contemporaneamente applicare tra anodo (A)
e catodo (K) una tensione crescente come é indicato in fig. 4.
Supposto che la tensione VAK sia positiva, delle tre giunzioni che compongono
l'SCR due sono polarizzate direttamente mentre quella centrale é bloccata: pertanto
il dispositivo complessivo si comporta come un diodo polarizzato inversamente
attraverso il quale fluisce la sola corrente di fuga di origine termica.
5
Fig. 4: Rilevamento della caratteristica statica.
Tale corrente si somma a quella nel Gate ma la corrente risultante é ancora piccola
(tratto 1 di fig. 4) e non é in grado di provocare il fenomeno rigenerativo (innesco)
descritto nel precedente paragrafo. All'aumentare della tensione applicata il campo
elettrico assume valori sufficientemente elevati da ionizzare gli atomi di
semiconduttore, provocando così un piccolo aumento di corrente anodica (tratto 2
di fig. 4). Le cariche elettriche (elettroni) così liberate, movendosi in un campo
elettrico di notevole intensità, acquistano una elevata energia cinetica liberando
altre cariche per urto e provocando quindi una moltiplicazione a valanga che ha
per conseguenza la formazione di una miscela di elettroni e lacune denominata
plasma. Quest'ultimo fenomeno (tratto 3 di fig. 4) é molto veloce e porta a lavorare
il dispositivo nel tratto 4 di fig. 4 in cui la corrente é limitata solo dal valore della
resistenza R di carico. La densità del plasma che si forma dipende dalla intensità
della corrente per cui se si diminuisce il valore della tensione applicata VAK la
corrente diminuisce fino al valore Ihold al di sotto del quale il plasma scompare,
l'SCR disinnesca e il punto di funzionamento si riporta nel tratto 1 di fig. 4.
Fig. 5: Caratteristica statica di un SCR con retta di carico.
Da quanto detto finora si intuisce che al variare della corrente di Gate varia anche
6
la posizione del tratto 2 di fig. 4 che precede l'innesco: al crescere di IG tale tratto si
sposta verso sinistra, come é mostrato in fig. 5. In tale figura è riportata anche la
retta di carico relativa al circuito di Fig. 4, allo scopo di far vedere come sia
possibile identificare la minima corrente di gate necessaria per l’innesco.
Osservando la Fig. 5 si vede che l’innesco dell’SCR avviene anche a tensioni
anodiche molto basse, in corrispondenza delle quali il fenomeno descritto di
ionizzazione può non risultare sufficientemente efficace. È chiaro allora che nella
struttura dell’SCR debbono aver luogo anche altri processi che ne favoriscono
l’innesco anche in caso di basse tensioni. In pratica si tratta del fenomeno
rigenerativo già descritto in Fig. 2 che però può essere spiegato da un punto di
vista leggermente diverso, senza necessità di utilizzare la struttura equivalente a
due transistori complementari, riportata in Fig. 1.
Si supponga infatti di far scorrere attraverso la giunzione Gate-Catodo una
corrente di lacune a mezzo di una sorgente esterna. Per ragioni di neutralità di
carica a tale flusso si deve accompagnare un flusso di cariche di segno opposto
(elettroni) che però, invece di terminare sul Gate viene deviato verso l’Anodo,
come mostrato in Fig. 6 a). Quest’ultimo flusso di elettroni, sempre per ragioni di
neutralità di carica, dev’essere a sua volta accompagnato da un flusso di lacune
nella zona di Anodo il quale a sua volta richiederà un flusso di elettroni nella zona
di catodo, non più elettricamente neutra (vedi Fig. 6 b), ecc. Si innesca perciò un
fenomeno di creazione di regimi paralleli di corrente di lacune ed elettroni che
ricercando la neutralità di carica si spostano velocemente verso destra saturando di
plasma il corpo dell’SCR.
Fig.6: Formazione del plasma per ricerca di neutralità di carica.
Ovviamente anche la forma, oltreché la ampiezza della corrente IG (impulsiva,
continua, ecc.), influenza il tratto 2 di fig. 5. Come si é visto lo spegnimento
dell'SCR avviene abbassando la tensione di alimentazione al di sotto del valore cui
corrisponde Ihold. In realtà nei casi pratici si preferisce spegnere l’SCR invertendo
7
addirittura la tensione anodica in modo da ottenere un passaggio più rapido e
sicuro dalla fase di conduzione a quella di interdizione. In questo caso si ha un
fenomeno transitorio la cui conoscenza é molto importante e che dà conto di uno
dei principali limiti dell’SCR.
Invertendo infatti la tensione VAK la corrente cambia verso di percorrenza e
penetrando nelle giunzioni contribuisce all'annullamento delle cariche (plasma)
che si erano accumulate durante la fase di conduzione. Tuttavia finché tale
processo di annullamento delle cariche immagazzinate, che dura un tempo non
trascurabile, non si é completato l'SCR rimane ancora in conduzione. In altre parole
per spegnere completamente l'SCR occorre attendere che sia trascorso un intervallo
di tempo denominato turn-off time solo al termine del quale si può riapplicare una
tensione di alimentazione positiva senza che l'SCR riinneschi spontaneamente.
Un'altra limitazione all'uso dell'SCR deriva dalla presenza delle capacità
parassite poste tra le giunzioni.
Fig. 7: Tipica curva limite di non innesco di un SCR.
Applicando infatti tra anodo e catodo una tensione a gradino, come ad esempio
avviene all’accensione di una apparecchiatura elettronica contenente SCR, il ripido
fronte di salita dVAK/dt che ne consegue transita attraverso tali capacità giungendo
fino alla regione di Gate nella quale provoca una iniezione di corrente che può
essere sufficiente a determinare l'innesco. D'altra parte poiché una corrente di Gate
costante può innescare l'SCR solo se la tensione anodica é sufficientemente elevata
é ovvio che al crescere di VAK decresce la dVAK/dt massima applicabile. In pratica
si ha una curva limite di non innesco (vedi esempio di fig. 7) che non deve essere
mai superata durante l’inserzione della f.e.m. di alimentazione, pena l’innesco
spontaneo dell’SCR. Come si vede la pendenza massima permessa tende a ridursi
man mano ci si avvicina alla tensione di innesco spontaneo BV riportata in Fig. 5.
Vi é infine un'ultima importante limitazione all'uso degli SCR ed é legata al
modo con cui il fenomeno dell'innesco si propaga attraveso la sua struttura
geometrica. Supposto infatti di provocare l'innesco del dispositivo a mezzo di un
8
opportuno impulso di comando sul Gate, la corrente anodica, se il carico é
puramente resistivo, raggiunge pressoché istantaneamente il suo valore di regime.
Tuttavia nei primi istanti di conduzione il fenomeno non interessa l'intera area
delle giunzioni ma solo parte di essa (si veda ad esempio la struttura realizzativa
di fig. 3 nella quale, causa la sua inevitabile disimmetria, l'innesco interessa prima
le zone di giunzione a destra in prossimità del Gate e poi si propaga a tutto il resto
della struttura). É ovvio allora che la densità di corrente può raggiungere valori
così elevati nella zona limitata di primo innesco, che nei grossi SCR può essere
anche inferiore all' 1% dell'intera zona utile, da portare al danneggiamento
permanente del dispositivo. Occorre quindi impedire che la corrente anodica
aumenti troppo velocemente in modo da dare sempre il tempo alle giunzioni di
portarsi a regime. In altre parole la di/dt all'innesco va limitata (di solito con una
piccola induttanza posta in serie all'anodo) e deve essere in ogni caso inferiore al
valore massimo indicato dal costruttore.
Riassumendo nell'uso dell'SCR occorre tener presente tre parametri limitativi
findamentali:
- il tempo di spegnimento (turn-off time)
- la massima velocità (curva limite esponenziale) di variazione dVAK/dt permessa
alla tensione anodica con l’SCR non innescato
- la massima velocità di aumento di/dt permessa alla corrente anodica all'innesco
Esistono ovviamente anche altre limitazioni legate per esempio alla massima
potenza dissipabile, nonché alla massima tensione inversa applicabile ecc. ma
almeno da questo punto di vista si può ben dire che l’SCR sia un elemento di
natura oltremodo robusta e affidabile che non crea problemi al progettista.
3.-Applicazioni degli SCR.
Dal punto di vista dell'uso degli SCR si possono suddividere le applicazioni in due
grandi categorie. La prima é quella in cui la sorgente di f.e.m. di alimentazione é
alternata (sinusoidale) e che é particolarmente favorevole in quanto l'SCR può
essere innescato durante le semionde positive per poi spegnersi spontaneamente
non appena la f.e.m. cambia segno: per le frequenze industriali (50 Hz) non
esistono in genere problemi legati al turn-off time, né al dv/dt. La seconda
viceversa comprende tutti i casi in cui l'SCR viene alimentato da tensioni continue
con le quali esiste il grosso problema dello spegnimento che, come visto in
precedenza, può avvenire solo annullando o invertendo il segno della f.e.m. di
9
alimentazione.
Nelle applicazioni con f.e.m. alternata sinusoidale l'SCR viene di solito
impiegato al posto dei normali diodi raddrizzatori. Si hanno così dei convertitori
AC/DC in cui il valore della tensione continua può essere regolato variando a
piacere l'istante di innesco dell'SCR, durante la semionda positiva, come é mostrato
in fig. 8.
Fig. 8: Convertitore AC-DC.
Ritardando l'istante di innesco é possibile variare da un massimo a un minimo il
valore della corrente media nel carico. A tale scopo si usa di solito un circuito
sfasatore che preleva una porzione limitata della tensione alternata di
alimentazione e la applica opportunamente sfasata al gate dell’SCR. In Fig. 9 è
riportato un esempio di circuito sfasatore insieme al diagramma vettoriale delle
tensioni da cui si vede che la tensione VGK applicata al gate si po’ sfasare rispetto a
quella di alimentazione Vac di un angolo θ variabile da 0° a 180°, semplicemente
variando la resistenza R.
Fig. 9: Circuito sfasatore e diagramma vettoriale.
In Fig. 10 è invece riportata la caratteristica di innesco in alternata dell’SCR.
Quest’ultima curva riporta i valori di corrente di Gate IG necessari all’innesco,
nell’ipotesi di tensione di alimentazione sinusoidale. I valori di IG vengono ricavati
10
sperimentalmente a partire dalla caratteristica dell’SCR, riportata in Fig. 5,
variando la retta di carico al variare di E = Vac e leggendo nel diagramma il valore
minimo di IG necessario all’innesco.
Fig.10: Caratteristica di innesco in alternata.
Nella prima e ultima fase del semiperiodo positivo la tensione anodica e’ di entità
limitata e quindi la corrente di Gate deve essere molto elevata. Viceversa essa
decresce e raggiunge un minimo al centro del semiperiodo dove la tensione
anodica è massima. L’istante di innesco si determina in base al punto di
intersezione tra la corrente in uscita dello sfasatore e la caratteristica di innesco
dell’SCR.
Come già accennato, nei circuiti alimentati da una sorgente di f.e.m. continua,
l'SCR una volta innescato deve venire spento per mezzo di artifici circuitali che ne
invertano per un certo tempo la tensione di alimentazione tra anodo e catodo. Per
raggiungere tale scopo si fa uso di solito dell'energia immagazzinata in un
elemento reattivo (condensatore, induttanza) la quale viene sfruttata per annullare
momentaneamente l'effetto della sorgente primaria di alimentazione causando
così lo spegnimento dell'SCR. Un esempio tipico é quello riportato in fig. 11 in cui
un carico Z viene alimentato da una f.e.m. continua, inseribile o disinseribile
tramite un SCR posto in serie e che funge da interruttore comandato.
Fig. 11: Impiego dell 'SCR come interruttore in corrente continua.
Il circuito in colore che compare in fig. 11 serve unicamente per provocare lo
11
spegnimento dell' SCR principale S1 posto in serie al carico. L'energia necessaria a
tale scopo viene immagazzinata nel condensatore C e viene scaricata su S1 al
momento richiesto innescando l' SCR ausiliario S2. Si supponga infatti che il
circuito in questione si trovi a riposo cioè sia S1 che S2 siano spenti e il carico non
sia percorso da corrente. Inviando un impulso sul Gate di S1 se ne provoca
l'innesco alimentando così il carico Z. L'innesco di S1 ha anche come effetto
secondario la carica del condensatore C la cui d.d.p. dopo un certo tempo assume il
valore di batteria E.
A questo punto si invii sul gate di S2 un impulso che a sua volta ne determini
l'innesco: il transitorio che ne segue deve avere come conseguenza lo spegnimento
di S1. In effetti la tensione del punto B si porta di colpo a zero per cui quella del
punto A, essendo A e B posti ai capi di un condensatore carico, si deve portare al
potenziale negativo -E determinando così lo spegnimento di S1. In realtà le cose
vanno in modo un pò diverso a causa del tempo di turn-off di S1. Nei primissimi
istanti dopo l'innesco di S2, S1 é ancora in conduzione: i punti A e B sono entrambi
a massa e il condensatore C risulta in corto circuito. Il picco elevatissimo di
corrente che ne consegue, attraversa i due SCR provocando la distruzione di S2 a
causa dell'abbondante superamento del suo di/dt limite all'innesco. É perciò
essenziale l'aggiunta di una piccola induttanza L in serie a S2 sia per proteggere
quest'ultimo sia per impedire la scarica del condensatore in un tempo troppo
breve. In tal caso, l'evoluzione della tensione del punto B e della corrente attraverso
C durante il tempo di turn-off di S1 é quella di fig. 12.
Fig. 12: Spegnimento di S1 e circuito equivalente.
Come si vede, la corrente che fluisce attraverso il condensatore nei primi istanti é
di segno tale da contrastare e prevalere (zona tratteggiata) sulla corrente di carico
IZ e favorire così lo spegnimento di S1. Essa infatti penetra nella zona occupata dal
plasma e favorisce la sua rimozione. É ovvio che i valori dei componenti debbono
essere scelti in modo che il turn-off di S1 avvenga prima che la corrente che lo
12
attraversa ritorni di segno positivo.
Poiché l'SCR, attraversato da corrente negativa (area tratteggiata di fig. 12),
passa gradualmente dalla conduzione allo spegnimento, la sua resistenza varia di
conseguenza dal valore zero al valore infinito. Lo studio teorico in tali condizioni é
molto difficile e perciò conviene fare l'ipotesi semplificativa che la resistenza di S1
sia pari a zero fino all'istante in cui l'SCR spegne (vedi fig. 12) e diventi infinita
subito dopo. Una volta spento S1 il condensatore C prende perciò a scaricarsi
attraverso il carico Z e se quest'ultimo é induttivo, l'andamento che ne consegue
può essere oscillatorio (l'effetto della piccola induttanza in serie ad S2 si può
trascurare). La corrente che in tal modo attraversa S2 diventa negativa, favorendo
così lo spegnimento anche di quest'ultimo.
In ogni caso, per sicurezza, il valore della resistenza R viene scelto
sufficientemente elevato così che se anche durante il transitorio suddetto S2 non si
fosse spento, la corrente che attraversa R non sia da sola in grado di mantenerlo in
conduzione, per cui alla fine il suo spegnimento sia garantito comunque.
4.-Transistore unigiunzione.
Nei paragrafi precedenti si é sempre supposto che l'innesco dell' SCR avvenga a
mezzo di un opportuno impulso di corrente applicato al gate. In realtà il problema
di creare un impulso di sufficiente ampiezza e tale da provocare l'innesco degli
SCR anche di grande potenza senza eccessivi ritardi non é dei più semplici da
risolvere per cui si é sentita la necessità di realizzare un apposito dispositivo a
semiconduttore che si adatti in modo semplice ed economico a questo scopo.
Fig.13: Struttura fisica e simbolo dell'UJT.
Si tratta del cosidetto transistore unigiunzione (UJT), la cui struttura é riportata in
fig. 13 insieme al suo simbolo elettrico. Esso si realizza a partire da un blocco di
materiale semiconduttore (Silicio), drogato debolmente di tipo n, su cui viene
formata una giunzione diffondendo della droga di tipo p in percentuale elevata.
Applicando una d.d.p. tra gli elettrodi B2 e B1, detti di base, e tenendo conto che
la zona n é debolmente drogata e quindi ad elevata resistività, si ha il circuito
equivalente di fig. 14 in cui la giunzione p-n é stata schematizzata con un diodo e
13
le zone n vicine a B1 e B2 con due resistori.
Fig. 14: Circuito equivalente semplificato dell'UJT
Si supponga di far crescere a partire da zero la tensione VE applicata all'elettrodo
R B1
V BB , attraverso di
E (emettitore). Finché il diodo é bloccato e cioè V E ≤
R B1 + R B 2
esso non circola corrente, ad eccezione di quella di saturazione inversa.
Fig. 15: Fenomeni di conduzioni di cariche nell'UJT
All'aumentare di VE il diodo comincia a condurre ed un flusso sempre maggiore di
lacune invade la porzione di zona n prossima all'elettrodo B1, come é indicato in
fig. 15. Poiché il materiale n é poco drogato, le lacune che ricombinano con gli
elettroni sono in numero limitato, mentre le altre rimangono libere aumentando
considerevolmente la conducibilità della zona interessata (in realtà per ragioni di
neutralità di carica all’eccesso di lacune si accompagna un eccesso di elettroni
provenienti dall’elettrodo B1 così da formare un plasma ottimo conduttore). Via via
che la corrente aumenta, la resistenza RB1 va perciò diminuendo fino ad assumere
valori pressoché trascurabili. In tal caso tutta la tensione VE cade interamente ai
capi del diodo ed il diagramma tensione-corrente tende a diventare quello ben
noto della giunzione p-n. Riportando allora le curve caratteristiche valide per
intensità rispettivamente bassa ed alta di corrente e raccordandole
14
opportunamente nella zona dei valori intermedi si ha la caratteristica complessiva
di fig. 16.
Fig. 16: Caratteristica elettrica composita dell'UJT.
Il rapporto η nella cui espressione RB1 compare col suo massimo valore, é detto
rapporto intrinseco statico ed é un parametro caratteristico del dispositivo. La
caratteristica del transistore unigiunzione riportata in fig. 16, é ovviamente
dipendente da VBB (tensione continua applicata tra le basi B1 e B2) ed é
caratterizzata da un tratto a pendenza negativa cui corrisponde una resistenza
dinamica dello stesso segno. Tale componente si presta quindi alla realizzazione di
dispositivi oscillanti ed essendo in grado di assorbire picchi molto elevati di
corrente senza danno (per valori elevati di corrente la potenza che vi si dissipa é
trascurabile perché RB1 ≅ 0) é adatto al pilotaggio di dispositivi di potenza come gli
SCR.
5.-Oscillatore a UJT.
L'impiego del transistore unigiunzione é limitato quasi esclusivamente alla
realizzazione dell'oscillatore a resistenza e capacità riportato in fig. 17.
Fig. 17: Oscillatore a resistenza e capacità con UJT.
15
Quest'ultimo é un oscillatore non-sinusoidale a bassa o bassissima frequenza
(frazione di Hertz) utilizzato principalmente per l'innesco degli SCR ma che, causa
la sua buona stabilità e la facilità con cui se ne può variare la frequenza, trova utile
impiego nei casi più disparati (lampeggiatori, clock di BF per circuiti digitali, ecc.).
Per comprenderne il funzionamento si consideri anzitutto il caso in cui sia
assente il condensatore C; in tale evenienza la situazione (statica) é sintetizzata in
fig. 18. Da notare che il valore Vp della tensione di picco é dato dall'espressione:
Vp =
R1 + RB1
VBB ≈ ηVBB
R1 + RB1 + R2 + RB 2
essendo di solito R1 ed R2 molto minori di RB1 ed RB2.
Il punto di funzionamento statico Q, per garantire l'oscillazione, deve trovarsi
nel tratto di caratteristica a pendenza negativa; ciò si ottiene in prima
approssimaziane imponendo che sia:
VBB − V p
Ip
> R + R1 >
VBB − Vv
(vedi anche Fig. 18).
Iv
Fig.18: Situazione statica in assenza di condensatore.
Per lo studio del funzionamento dinamico del circuito di fig.17 si supponga che il
condensatore C sia inizialmente scarico. La tensione ai suoi capi é nulla e va
crescendo esponenzialmente verso il valore di batteria VBB con costante di tempo
RC; infatti l'emettitore dell'unigiunzione assorbe una corrente trascurabile e la
carica di C avviene quasi esclusivamente attraverso R.
Non appena la tensione ai capi di C raggiunge e tende a superare la tensione di
picco Vp dell'unigiunzione quest'ultimo viene portato a funzionare nel tratto a
conduttanza negativa con conseguente innesco di un fenomeno transitorio a
variazione molto rapida. La corrente varia bruscamente da valori praticamente
nulli fino a valori molto elevati dando così luogo al fronte di salita dell’impulso di
16
corrente che provocherà l’innesco dell’SCR. La situazione è allora quella riportata
in fig. 19 in cui la differenza di potenziale tra la tensione del condensatore e quella
del transistore unigiunzione viene colmata dalla Lpdi/dt ai capi di una induttanza
parassita dovuta ai fili di collegamento e al moto delle cariche elettriche nel
semiconduttore.
Fig. 19: Componenti di tensione transitorie.
Il circuito equivalente durante questo transitorio veloce é invece quello di fig. 20 in
cui il transistore unigiunzione equivale ad una resistenza dinamica negativa di
valore -r.
Poiché R1 - r < 0 ed Lp ≅ 0, la costante di tempo con cui si evolve il circuito di fig.
20 é negativa e molto piccola, il transitorio é perciò divergente e molto rapido.
Fig. 20: Circuito equivalente durante il transitorio veloce.
In realtà man mano che la corrente cresce la -r, prima si annulla e poi cambia segno
(vedi fig. 19), in modo che il transitorio complessivo di salita della corrente é
formato da due tratti distinti (a) e (b) come é indicato in fig. 21 in cui viene
riportato in dettaglio il transitorio complessivo.
In definitiva si ha un salto veloce (Lp ≅ 0) lungo la retta di commutazione la cui
pendenza é legata al valore di R1 (in realtà nell'ultimo tratto si può avere un
incurvamento più o meno accentuato dovuto alla perdita di cariche nel
condensatore C). Alla commutazione veloce ora descritta fa poi seguito la scarica
più lenta di C attraverso la resistenza R1 in serie con la resistenza dinamica positiva
17
dell'unigiunzione (tratto (c)). A questo punto si rientra in zona a pendenza
negativa con relativa commutazione veloce (tratto (d)), dopodiché ha inizio la
carica (lenta) di C attraverso R e si ripete un nuovo ciclo. Il punto di
funzionamento descrive perciò una curva chiusa detta ciclo limite il cui interno è
ombreggiato in Fig. 21. Va infine notato che il circuito equivalente di fig. 19 è
valido durante i tratti veloci a), b) e d) mentre nel tratto c) il condensatore C si
scarica sulla resistenza equivalente positiva dell’unigiunzione e il circuito
tenderebbe (tratto tratteggiato di c)) verso il punto di equilibrio Q riportato in fig.
18.
Fig. 21: Transitorio complessivo e ciclo limite.
La durata equivalente τ dell’impulso di corrente si può stimare supponendo che
esso abbia una forma rettangolare di base τ e altezza IGmax. In questo caso esso
comporta un trasferimento di carica Q = IGmaxτ che viene estratta dal condensatore
C nel passare da tensione VC2 a tensione VC1 (vedi Fig. 21). Si ha allora:
C (VC 2 − VC1 )
τ=
I G max
Assumendo per semplicità VC2 = ηVBB, VC1= 0 e IGmax = ηVBB/R1 si ottiene la
relazione approssimata τ = CR1
Nel caso in cui si voglia innescare un SCR, al posto di R1 si piazza il Gate stesso
oppure il primario di un trasformatore il cui avvolgimento secondario va al Gate
dell'SCR nel caso quest’ultimo abbia il catodo fuori massa.
Dimensionando opportunamente il trasformatore si ottengono impulsi di
tensione e di corrente più che sufficienti a pilotare anche gli SCR di più elevata
potenza. La forma d'onda che si ha ai capi del condensatore C é quella tipica a
18
dente di sega mentre ai capi di R1 si ha una serie di impulsi brevi, come mostra la
fig. 22.
Fig. 22: Segnali di tensione e di corrente nell'oscillatore a UJT.
Il periodo dell'oscillazione T, trascurando il tempo durante il quale si hanno le
commutazioni, si ricava dalla relazione approssimata:
da cui si ha:
−t
V p − VBB = (Vv − VBB )e RC
e da cui si ha:
V − Vv
1
≈ RC ln
T = RC ln BB
1−η
VBB − V p
6.-Il Gate Turn Off Thyristor (GTO).
Come si é visto nel capitolo dedicato agli SCR la principale limitazione di tali
dispositivi risiede nell'impossibilità di portarli dallo stato ON allo stato OFF a
mezzo di un semplice comando sull'elettrodo di Gate, con la conseguente necessità
di impiego di circuiti ausiliari di spegnimento costosi e complicati. Si spiegano
pertanto i ripetuti tentativi fatti dai costruttori per l'introduzione di componenti
allo stato solido completamente equivalenti ad un interruttore comandato. Tra
questi il più noto é il GTO (Gate Turn Off) che non differisce in modo essenziale da
un normale SCR ma viene realizzato in modo da poter essere portato dallo stato
ON allo stato OFF applicando un impulso di corrente negativa sul Gate.
Per comprendere come sia possibile provvedere allo spegnimento di un normale
SCR applicando un impulso negativo sul Gate, si consideri la fig. 23 in cui viene
riportata la normale situazione di conduzione in un SCR.
Una elevata quantità di corrente di elettroni esce dal catodo (che essendo una
regione n+ é appunto una sorgente di elettroni) ed una corrispondente corrente di
lacune esce dall'anodo (che é una regione p+ cioé sorgente di lacune). Tale
mescolanza di cariche forma un plasma (elettricamente neutro) ad alta densità che
19
cortocircuita la giunzione centrale n-p impedendogli di bloccare la corrente.
Fig. 23: Distribuzione di corrente in un SCR in conduzione.
Si supponga a questo punto di applicare una forte tensione negativa tra Gate e
Catodo. Come é mostrato in fig. 24 parte del flusso di lacune viene deviato verso il
Gate mentre le corrispondenti linee di corrente di elettroni, che per ragioni di
neutralità di carica (il plasma é elettricamente neutro!) debbono rimanere paralleli
alle corrispondenti linee di corrente di lacune, sono anch'essi costretti a uscire dal
Gate. Quest'ultimo pero é una regione p+ cioé non é in grado di fornire gli elettroni
richiesti. Ciò porta all'estinzione della corrente di elettroni e di conseguenza a
quella parallela di lacune.
Fig. 24: Rimozione del plasma in prossimità del Gate.
In definitiva l'applicazione di una tensione negativa tra Gate e Catodo ha per
effetto l’allontanamento del plasma dalla porzione del corpo dell'SCR posta in
prossimità del Gate, che pertanto può essere considerato in stato di OFF, salvo per
una zona più distante in cui persistono sia il plasma che la corrente anodica.
Si nota anche il verificarsi di due fatti concomitanti. Poiché la intensità di
corrente nell' SCR é limitata solo dal carico esterno, nella zona interessata dal
plasma residuo si manifesta una elevatissima densità di corrente che porta alla
distruzione del dispositivo. In secondo luogo essendo la giunzione gate-catodo di
tipo p/n+ e cioè di tipo a profilo di drogatura ripido, la tensione negativa applicata
ne determina il breakdown e la conseguente rottura. Questi ultimi fenomeni
possono però venire evitati se si introducono delle modifiche opportune nella
struttura dell'SCR.
20
Anzitutto occorre rendere più intimo il contatto tra Gate e Catodo allo scopo di
aumentare l’efficacia della tensione di Gate nel controllare la corrente che fluisce
nel catodo. Questo si può ottenere impiegando forme particolari quali quella
cosidetta spirale involuta, riportate in Fig. 25.
Fig. 25: Struttura a spirale involuta di Gate e Catodo nei GTO.
La spirale involuta gode infatti della proprietà di avere una distanza costante tra i
suoi bracci contigui e quindi permette un contatto più “uniforme” tra Gate e
Catodo. Il fenomeno del breakdown tra gate e catodo si può invece evitare
inserendo una zona intermedia p- in modo che la giunzione p/p-/n+ che ne
consegue sia di tipo sofficie e resista a più elevate tensioni.
Per quel che riguarda la zona residua di plasma posto sulla destra della fig. 24
essa viene automaticamente eliminata se al di sotto di essa si toglie la zona p+
sorgente di lacune. Ciò porta all'estinzione dei canali di flusso delle lacune e di
riflesso a quelli di flusso degli elettroni. Tale estinzione può essere anche
giustificata osservando che nella zona in questione non si avrebbe più la struttura
tetrapolare tipica dell'SCR con il fenomeno rigenerativo che ne consegue.
In definitiva la struttura di un Thyristor che possa essere spento con comando
negativo nel gate, che assume la denominazione di GTO (Gate Turn Off SCR), é
quella riportata in fig. 26 in cui viene indicato anche il corrispondente simbolo
elettrico.
Fig. 26: Struttura fisica di un GTO .
Va comunque notato che benché il GTO sia comparso abbastanza presto sulla
21
scena dei dispositivi a semiconduttore, la sua vita é stata molto tribolata e solo
negli ultimi anni esso sembra aver raggiunta una certa maturità, benché le sue
prestazioni non siano ancora entusiasmanti. Il suo tallone d'Achille é infatti l'ancor
elevato valore di corrente negativa di gate necessaria per lo spegnimento che si
aggira su di un valore pari a un decimo della corrente anodica da estinguere.
DISPENSE DI ELETTRONICA
INDUSTRIALE
(anno accademico 2002-2003)
Transistori di potenza bipolari
2
1.-Caratteristiche elettriche dei transistori di potenza bipolari.
Se si effettua il tracciamento delle caratteristiche elettriche di un transistore
bipolare, come indicato in Fig. 1, si nota che è possibile mettere in evidenza tre
regioni distinte di funzionamento.
La prima zona, ridotta in pratica ad una retta quasi verticale, corrisponde al
funzionamento in saturazione del transistor; esso si comporta infatti come una
resistenza di valore costante entro una gamma di valori di tensione e corrente
dipendente dall'entità della corrente di base applicata.
Fig. 1: Caratteristiche elettriche di un transistore bipolare.
Facendo riferimento alla fig.1 si vede che applicando una corrente di base pari a
Ib3 il transistor è assimilabile ad una resistenza pari a R = Vsat/Isat a patto che la
tensione applicata sia inferiore a Vsat. Se la tensione di collettore supera il valore
sopraddetto il transistor entra nella zona di funzionamento lineare, in cui esso si
comporta, in prima approssimazione, come un generatore di corrente costante e
indipendente dalla tensione Vce.
La terza zona è quella a destra dell'iperbole di massima dissipazione e in
corrispondenza di essa si verificano fenomeni di varia natura tutti legati ad un
eccessivo innalzamento di temperatura delle parti che compongono il transistor.
Per meglio comprendere i fenomeni che verranno descritti in seguito conviene
fare riferimento alla fig. 2 in cui è riportata la struttura tipica di un transistor
bipolare di potenza di tipo NPN.
La fig. 2 evidenzia alcune caratteristiche strutturali dei transistor che hanno lo
scopo di ottenere alcune qualità essenziali del dispositivo e precisamente:
a) elevato guadagno di corrente
b) elevata velocità di commutazione
3
c) elevata corrente massima
d) elevata tensione massima sopportabile
e) bassa resistenza nello stato ON
Il guadagno elevato è legato essenzialmente ad una regione di base sottile e
poco drogata. In tal modo infatti si riduce la probabilità di ricombinazione nella
regione di base con conseguente aumento del numero di cariche che raggiungono
la zona di giunzione base-emettitore e ne influenzano il potenziale. Va messo in
evidenza che per aumentare la velocità di funzionamento del transistor, la base
viene drogata non uniformemente: ciò ha lo scopo di creare un campo elettrico
interno che aumenta la velocità delle cariche e ne abbrevia il tempo di transito
lungo la base.
Fig. 2: Struttura planare tipica di un transistor di potenza.
Per quel che riguarda la corrente che transita tra collettore ed emettitore, essa è
tanto più elevata quanto maggiore è l'estensione in larghezza del dispositivo. Si
deve fare inoltre in modo che la corrente si distribuisca in modo uniforme
evitando zone in cui le linee di flusso (vedi fig. 2) si addensano troppo.
L'estensione in larghezza della zona di collettore (e quindi anche di base) ha come
contropartita un aumento delle capacità sia dielettriche che di diffusione, con
conseguente diminuzione della velocità massima di funzionamento.
Per quel che riguarda l'attitudine a sopportare una elevata tensione, essa si
ottiene interponendo tra la regione di collettore e la regione di base (la giunzione
base-collettore è quella su cui si concentra la tensione applicata) uno strato
intermedio di materiale drogato debolmente (zona n-) o addirittura allo stato
intrinseco (zona i). In pratica si usa uno strato depositato chimicamente sul wafer
(strato epitassiale) la cui resistività e circa 1600 - 2000 volte quella del substrato
n+. La tensione applicata, come è noto, crea una zona di svuotamento ai bordi
4
della giunzione collettore-base che è tanto più ampia quanto più le regioni vicine
alla giunzione sono debolmente drogate. Il campo elettrico, essendo inversamente
proporzionale alla estensione della regione di svuotamento risulta perciò ridotto
e non provoca quegli effetti di ionizzazione per urto che, come verrà descritto in
seguito, possono innescare fenomeni distruttivi incontrollabili.
La regione di base va fatta anch'essa piuttosto estesa in spessore onde
contribuire a sopportare parte della tensione applicata: questo naturalmente
comporta una diminuzione di guadagno e di velocità massima di funzionamento.
La presenza di una zona poco drogata nella regione di collettore, se da un lato
permette di ottenere dispositivi con tensione di funzionamento maggiori, ha il
difetto di introdurre una resistenza serie; la retta quasi verticale di fig.1 viene
ruotata verso destra e il transistor, quando è utilizzato come interruttore chiuso,
presenta una resistenza equivalente dell'ordine di qualche ohm o anche di decine
di ohm. A tale proposito esiste una legge empirica esponenziale che lega la
massima tensione sopportabile BV (Breakdown Voltage) al valore della resistenza
nello stato ON Ron e all'area A del transistor (visto dall'alto). Si ha infatti
(BV)n = A Ron ;
n = 2.3 - 2.7
Volendo ad esempio aumentare la tensione massima sopportabile da 110 a 200
volt occorre aumentare di circa 5 volte l'area del transistor per mantenere
inalterata la resistenza allo stato ON. Questo però comporta una diminuzione del
numero di dispositivi ricavati per ogni singolo wafer secondo un fattore molto
superiore a 5 con conseguente aggravio economico. La resa per wafer (cioè la
percentuale di dispositivi funzionanti sul totale di quelli prodotti sul wafer) e
infatti data dalla formula empirica:
Y = K(n)
(1 - e-AD)2
AD
in cui si è posto
A area del dispositivo
D densità di difetti presenti normalmente nel wafer
n numero di passi nel processo realizzativo
K(n) fattore esponenziale variabile secondo una potenza negativa di n
Per valori di A molto piccoli e comunque minori di 1 mm quadro (è il caso dei
transistor di segnale) la resa è molto elevata e il costo proporzionalmente basso.
Se però l'area supera i 2.5x2.5 mm2 la resa cala rapidamente a causa del notevole
5
numero di dispositivi difettosi e il costo subisce una scalata notevole. Un
transistor da 450 volt con 1 ohm di Ron può costare da 4 a 6 volte un transistor con
la stessa tensione massima ma con 2.5 ohm di Ron.
Esaurito il breve commento sulle caratteristiche strutturali della fig. 2 conviene
esaminare ora gli effetti legati al riscaldamento che sono, per il progettista dei
dispositivi di potenza, quelli più importanti. La sorgente di calore principale del
transistor è la giunzione base collettore su cui si concentra quasi tutta la tensione
applicata. Il calore generato tende a diffondere attraverso il meccanismo della
conduzione verso le zone a temperatura più bassa ed è cura del costruttore che
queste siano a contatto termico con una struttura dotata di buone capacità di
smaltimento del calore medesimo (per esempio un dissipatore alettato come
quello indicato in Fig. 2). Un eventuale eccessivo innalzamento di temperatura
della zona di base e di collettore porterebbe infatti a una serie di fenomeni
particolarmente dannosi che data la loro importanza e varia natura verranno
studiati in dettaglio nei prossimi paragrafi. Qui va notato per concludere che la
iperbole di massima dissipazione di fig.1 è legata di solito alla necessità di evitare
la migrazione e la ridistribuzione delle impurità nel cristallo di Silicio con
conseguente degrado delle giunzioni. Tale fenomeno di solito comincia a
manifestarsi al di sopra dei 250 °C.
2.-Limiti di corrente e di tensione nei transistori bipolari.
Come si nota osservando la fig.2 l'area di collettore, piuttosto ampia, è affacciata
ad un'area di emettitore che per ragioni costruttive è necessariamente più
limitata. Le linee di corrente che attraversano il collettore tendono perciò a
restringersi e a concentrarsi in modo non uniforme con l'inevitabile conseguenza
che in alcune zone la densità di corrente può raggiungere valori tali da
danneggiare il cristallo. Esiste perciò un valore massimo di corrente oltre il quale
è bene non spingersi per non incorrere in conseguenze catastrofiche. Va detto
però che in genere un limite ancor più severo alla massima corrente è posto dai
collegamenti con gli elettrodi esterni che possono distaccarsi a causa delle elevate
correnti. Questo limite dipende anche dal tipo di funzionamento a cui è
sottoposto il transistor; la corrente massima sopportabile in regime permanente
(corrente costante) è infatti minore di quella che il dispositivo può sopportare
senza danno in regime impulsivo. Ciò è legato al fatto che il danneggiamento
della struttura cristallina e delle connessioni esterne si verifica con un certo
ritardo rispetto alla causa che lo provoca e cioè l'elevata corrente. In altre parole
una corrente molto intensa può essere sopportata senza danni purché sia
mantenuta per un tempo sufficientemente breve.
Un altro fenomeno distruttivo che si verifica in presenza anche di piccole
6
correnti ma con elevate tensioni applicate è quello ben noto della ionizzazione per
urto e conseguente moltiplicazione delle cariche nella zona di collettore. Se infatti
la tensione applicata tra collettore ed emettitore supera un certo valore le cariche
che si muovono lungo la regione di collettore vengono accelerate dal campo
elettrico presente e possono acquistare energia sufficiente a liberare altre cariche
che a loro volta vengono accelerate. Si innesca così un fenomeno rigenerativo
(avalanche breakdown) che porta alla distruzione del transistor. Il valore della
tensione di breakdown, indicato con la sigla BVce, a differenza di quanto avviene
per la corrente massima non è influenzato in modo sensibile dalla durata; esso
invece oltre che dal profilo di drogatura della zona di collettore dipende dalle
caratteristiche del circuito con cui si alimenta la base.
Nel caso in cui l'elettrodo di base sia lasciato libero (fluttuante) tutte le cariche
minoritarie (lacune) generate termicamente nella zona di collettore raggiungono
la zona di base e aumentandone il potenziale equivalgono ad un segnale di
tensione esterno che provoca un flusso di corrente di collettore amplificato. Le
cariche corrispondenti possono così venire accelerate dando luogo al fenomeno
dell'avalanche breakdown.
Viceversa se l'elettrodo di base è collegato a massa la regione di base tende a
rimanere a potenziale zero e solo quelle zone di essa che si trovano più lontane
dall'elettrodo esterno subiscono un aumento di potenziale. In questo ultimo caso
perciò il fenomeno dell'avalanche breakdown si verifica a tensione superiore
rispetto al caso della base fluttuante. Una situazione ancora più favorevole si ha
quando la base è mantenuta a potenziele negativo; in tal caso vale la relazione:
BVcex(base negativa) > BVces(base a massa) > BVceo(base aperta)
A titolo indicativo si può dire che, a seconda dei casi, vi sia una differenza che va
da 50 a 250 volt tra la tensione di breakdown a base aperta e quella a base
negativa. Una volta innescato il fenomeno del breakdown l’aumento di corrente
e di cariche libere che ne consegue porta a funzionare il transistore in una
situazione del tutto indipendente dalle condizioni di partenza per cui si ha la
situazione di fig. 3 in cui le tre suddette tensioni tendono ad un limite comune
denominato BVcesus (sustaining voltage) il quale è quello che di solito è riportato
nelle caratteristiche elettriche fornite dal costruttore. Come ultima annotazione
va anche detto che le tensioni di breakdown aumentano entro certi limiti al
crescere della temperatura; in altre parole crescendo la temperatura il transistore
sopporta tensioni più elevate.
7
Fig. 3: Andamento delle tensioni di breakdown.
Ciò non deve sorprendere dato che la ionizzazione per urto si manifesta quando
le cariche accelerate raggiungono una energia cinetica sufficiente. Perché ciò
avvenga occorre che la carica in questione si muova liberamente attraverso il
reticolo per un tratto sufficientemente esteso (cammino libero medio). Un'ampia
vibrazione del reticolo indotta da una temperatura elevata tende però a favorire
gli urti e impedisce quindi il raggiungimento dell'energia cinetica necessaria.
3.-La fuga termica nei transistor bipolari.
Se il transistore viene fatto funzionare con tensioni e correnti abbastanza elevate
può talvolta manifestarsi un fenomeno di aumento incontrollato della
temperatura, noto col nome di fuga termica (thermal runaway), che porta in breve
alla distruzione del dispositivo. Tale fenomeno, che può aver luogo a partire da
punti di funzionamento ben al di sotto della iperbole di massima dissipazione, è
legato in gran parte al tipo di circuito esterno cui è collegato il transistor, nonché
a eventuali fenomeni transitori indotti in esso.
Nel caso dei transistori bipolari al germanio, ora in disuso, la fuga termica si
manifestava prevalentemente a causa della presenza di correnti di fuga di elevata
intensità. Tali correnti crescono esponenzialmente con la temperatura (hanno un
tasso di crescita che va dal 11% al 110% per ogni grado di temperatura) e
giungendo nella regione di base ne aumentano il potenziale favorendo lo scorrere
di una corrente di collettore amplificata che causa una ulteriore crescita della
temperatura e quindi un conseguente aumento delle correnti di fuga provocando
così in definitiva un fenomeno rigenerativo. Sperimentalmente si verifica che
nelle normali condizioni di funzionamento in un dispositivo al silicio si ha un
incremento di corrente di collettore pari a circa l'8% per ogni grado di
temperatura. Per rendersi conto di come questo aumento possa in taluni casi
provocare il fenomeno della fuga termica, si consideri il caso di un transistor con
8
carico resistivo. Supposto il transistor termicamente stabile, si immagini di
riscaldarlo a mezzo di una sorgente di calore esterna.
Fig. 4: Spostamento verso l’alto, lungo la retta di carico, del punto di
funzionamento al crescere della temperatura.
L'aumento di temperatura indotto crea un corrispondente aumento di corrente
di collettore e il punto di funzionamento, muovendosi lungo la retta di carico, si
sposta via via verso zone interessate prima da una dissipazione crescente e poi da
una dissipazione decrescente, come è indicato in fig. 4. D'altra parte la quantità
di calore Q che viene prodotto in prossimità della giunzione di collettore, tende a
fluire verso l'esterno per il fenomeno di conduzione, secondo la legge lineare
approssimata:
Q=
(T j − Tamb )
θ ja
dove il coefficiente θja è denominato resistenza termica e si misura in °C/watt.
Quest'ultima relazione è riportata in fig. 5 insieme a quella relativa alla
potenza dissipata ricavata dalla fig. 4. I punti di intersezione corrispondono a
situazioni di equilibrio in cui tutto il calore prodotto viene smaltito verso
l'ambiente. Due di tali punti sono stabili mentre il terzo e cioè P2 è instabile.
Normalmente il punto di funzionamento coincide con P1 in cui la temperatura
assume valori piuttosto contenuti. Un eventuale aumento accidentale di
temperatura provoca uno squilibrio tra produzione e smaltimento di calore in cui
quest'ultimo prevale con relativo effetto stabilizzante. Se però l'aumento
accidentale è tale da portare la temperatura a superare il valore T2, il nuovo punto
di equilibrio verso cui tende il transistor diventa P3 cui corrisponde di solito una
temperatura ben superiore a quella massima tollerabile, con conseguenze
facilmente immaginabili.
9
Fig.5: Variazione della potenza dissipata al crescere della temperatura.
In taluni casi può essere sufficiente un momentaneo aumento della tensione di
alimentazione E, non ben stabilizzata, per spostare verso l'alto la curva della
legge di produzione del calore. In questo caso la temperatura tende a salire verso
l'unico punto possibile di equilibrio P3 e se essa nel frattempo supera il valore T2
non è più sufficiente riportare la tensione E al valore iniziale per fermare la fuga
termica ormai inarrestabile. Un'altra causa di fuga termica può essere un
aumento anche momentaneo della temperatura ambiente che abbassa la retta di
dissipazione del calore, oppure una diminuzione (per invecchiamento o altra
causa) del valore della resistenza elettrica R in serie al collettore.
Per concludere va notato che benché il fenomeno della fuga termica possa
essere legato a cause molteplici e in larga parte imprevedibili esso è per fortuna
facilmente evitabile se si effettua un controllo della corrente di emettitore. Tenuto
infatti conto che l'entità della corrente di collettore differisce di poco da quella di
emettitore, il mantenere costante la corrente di emettitore è condizione più che
sufficiente per garantire l'assenza di fughe termiche. È superfluo aggiungere che
un modo semplice ed economico per limitare il valore della corrente di
emettitore, consiste nel aggiungere in serie all'emettitore stesso una resistenza di
valore opportuno.
4.-L'instabilità laterale (Forward biased second breakdown)
La fuga termica, descritta nel paragrafo precedente, è un fenomeno che si evita
facilmente, come si è visto, avendo cura di impedire variazioni della corrente di
10
collettore dovute a cambiamenti accidentali delle condizioni operative (tensioni
di alimentazione, temperatura ambiente ecc.). Sfortunatamente mantenere
costante la corrente di collettore nel suo complesso1 non equivale a mantenere
costante la corrente che fluisce internamente lungo tutta la estensione della
regione del collettore stesso. Si possono avere infatti delle zone limitate del corpo
del transistor bipolare in cui si ha un momentaneo aumento della corrente
eventualmente bilanciato da una diminuzione equivalente in altre zone. Si crea
così un corrispondente squilibrio termico in una zona limitata della giunzione
base-emettitore che favorisce un ulteriore aumento locale di corrente senza che il
circuito di stabilizzazione esterno possa intervenire dato che la corrente
complessiva si mantiene pressoché costante o varia di poco. La fuga termica
locale è così un fatto inevitabile e il riscaldamento subito dalle zone interessate,
generalmente di estensione assai ridotta e denominate punti caldi (hot spots), è
così intenso da portare alla fusione locale del cristallo di silicio (che fonde a 1550
°C). Il fenomeno è molto subdolo perché si accompagna inizialmente ad un
aumento impercettibile di corrente esterna e solo quando il guasto è ormai
irreparabile si manifesta come un cortocircuito netto tra collettore ed emettitore.
Una delle cause principali che favoriscono l'innesco del fenomeno appena
descritto sono i bruschi transitori cui è sottoposto il transistore durante il
funzionamento in regime variabile. Si consideri infatti a titolo di chiarimento il
caso dell'applicazione di un impulso di tensione in base, che faccia passare il
transistor dallo stato di interdizione a quello di conduzione. Facendo riferimento
alla fig. 6 si vede che, a causa della forma geometrica planare del transistor e
tenendo conto che la base è debolmente drogata e quindi presenta una resistenza
distribuita non trascurabile, l'impulso di tensione di comando agisce
prevalentemente sui bordi laterali della giunzione base-emettitore, più vicini agli
elettrodi esterni e al contrario viene fortemente attenuato dalla resistenza della
zona di base prima di giungere nella zona centrale.
In tal modo le zone laterali sono quelle che conducono per prime e sono perciò
maggiormente soggette ad andare in fuga termica laterale. È per tale motivo che il
fenomeno descritto è noto col nome di instabilità laterale (lateral instability o anche
forward biased second breakdown). La denominazione di second breakdown deriva
dal fatto che benché la presenza della fuga termica locale sia sufficiente a spiegare
il fenomeno nel suo complesso, esso è però così violento da far supporre che
anche altri meccanismi contribuiscano alla sua evoluzione. L'ipotesi più
accreditata è quella del manifestarsi nei punti caldi di una intensa ionizzazione
1Ovviamente
si fa riferimento al valore medio della corrente, ovvero al punto di funzionamento,
dato che i segnali variabili applicati in base faranno certamente variare la corrente medesima.
11
per urto che provoca una proliferazione di cariche libere e quindi la perforazione
della giunzione per fenomeno di breakdown oltrechè per fusione termica.
Fig.6: Propagazione della zona di conduzione
L'ipotesi suddetta è suffragata dal fatto che il secondo breakdown si manifesta di
preferenza in presenza di tensioni collettore-emettitore elevate.
Come regola empirica dedotta sperimentalmente, si può assumere come
condizione per l'innesco del secondo breakdown la relazione:
VnIc > c
in cui le costanti n e c possono assumere valori diversi a seconda dell’intervallo di
tensioni preso in esame.
Fig. 7: Area di sicurezza in regime permanente (DC) e in regime mono-impulsivo
del transistor bipolare di potenza D64VS3 (General Electric).
Quest'ultima relazione, insieme con quella relativa all'iperbole di massima
dissipazione, alla massima corrente ammissibile e alla massima tensione
sopportabile, consente di delimitare una zona di funzionamento sicuro all'interno
della quale il transistor dovrebbe funzionare correttamente e senza pericoli di
12
guasto.
Se si fa uso di coordinate entrambe logaritmiche sia l'iperbole di massima
dissipazione che la curva limite di secondo breakdown diventano rette e l'area di
sicurezza, denominata SOAR (Safe Operating ARea) assume la forma tipica di fig.
7. Osservando la fig. 7 si nota, come già anticipato, che le curve limite di secondo
breakdown (rilevate sperimentalmente) sono due (talvolta c'e n'è una sola); la
prima è valida per valori più bassi di tensione ed è caratterizzata dal valore n = 2
mentre l'altra, valida per tensioni più elevate, ha n = 1.
5.-L'area di sicurezza in regime impulsivo.
Nei paragrafi precedenti si è introdotto il concetto di area di sicurezza (SOAR)
immaginando di portare il transistor a funzionare in vari punti del piano V-I e
verificando poi se si manifestano fenomeni distruttivi. In pratica però tale tipo di
funzionamento (denominato spesso funzionamento continuo) non rispecchia le
situazioni reali in cui vengono impiegati i transistori di potenza, per cui è
necessario estendere il concetto di area di sicurezza anche al caso di un singolo
impulso (regime mono-impulsivo) nonché a quello di impulsi ripetitivi. Si
supponga allora che la potenza dissipata nel transistor sia assimilabile a una
sequenza periodica di impulsi di durata t1 e periodo t2. Il circuito equivalente
termico approssimato del transistor è quello di fig. 8 in cui θ e C indicano
rispettivamente resistenze e capacità termiche.
Fig. 8: Circuito equivalente termico e andamento della temperatura di giunzione.
È facile verificare che il valore massimo raggiunto dalla temperatura di giunzione
è data dalla relazione:
Tjmax =[
1 − e − t1 / τ 1
1 − e − t1 / τ 2
θ
+
θca]Pmax
jc
1 − e −t 2 / τ 2
1 − e −t 2 / τ 1
13
in cui τ1 = θjcCjc e τ2 = θcaCca sono le costanti di tempo termiche della giunzione e
del dissipatore, rispettivamente.
Si hanno allora i seguenti due casi:
Tjmax = (θjc + θca)(Pmax)DC regime continuo (t1, t2 = ∞ )
Tjmax = (δθjc + kθca)(Pmax)imp
regime impulsivo ripetitivo
in cui, posto che la costante di tempo termica τ2 del dissipatore sia molto grande,
si ha:
k=
t
1 − e − t1 / τ 2
= 1 (duty cycle)
−t 2 / τ 2
1− e
t2
ed inoltre il fattore
δ=
1 − e − t1 / τ 1
1 − e −t 2 / τ 1
che è sempre minore di 1, è detto fattore di riduzione della resistenza termica
(thermal derating factor). Quest'ultimo viene riportato graficamente dal costruttore
per ogni tipo di transistor al variare di t1 e t2 (vedi fig. 9). Noto allora δ è possibile
calcolare la potenza massima dissipabile in regime inpulsivo a partire da quella in
continua.
Come si vede osservando la fig. 7, in cui è riportata l’area di sicurezza sia in
regime continuo che monoimpulsivo (cioè per δ = 0), anche il limite di secondo
breakdown si sposta verso l'alto, insieme con quello della corrente massima. Il
calcolo teorico di tali variazioni è però molto difficile, data la natura complessa
dei fenomeni e perciò si preferisce affidarsi ai rilevamenti sperimentali. Può
comunque essere utile osservare che la corrente di secondo breakdown varia con
la frequenza di ripetizione dell'impulso secondo la legge approssimata:
1
IS/B ≡
f
In altre parole la retta limite di secondo breakdown viene traslata verso il basso al
crescere della frequenza di ripetizione degli impulsi di potenza applicati.
Si consideri ora il caso in cui il dissipatore non sia ideale e cioè la sua resistenza
termica sia non nulla.
14
Fig. 9: Thermal derating factor δ del transistor bipolare D64VS3.
Nel caso del regime continuo, la massima potenza dissipabile con un dissipatore
non ideale ( θ ca ≠ 0 ) è:
'
( Pmax
) DC =
( Pmax ) DC
1+
θ ca
θ jc
dove Pmax è la potenza massima con dissipatore ideale ( θ ca = 0 ).
Tenendo allora conto che, per la regola del partitore di tensione (vedi fig. 8):
θ ca
Tc
=
θ jc T j − Tc
si ottiene
Tc
)( Pmax ) DC
Tj
Tc
Il fattore (1 - T ) che fa diminuire la potenza massima dissipabile quando
j
'
( Pmax
) DC = (1 −
l'involucro, con un dissipatore non ideale, sale in temperatura è detto power
derating factor ed il suo andamento è riportato in fig. 10 insieme con quello di un
derating factor della la corrente di secondo breakdown. Quest'ultimo, ricavato
sperimentalmente, è meno sensibile all'innalzamento di temperatura
dell'involucro, come era facile prevedere visto che il fenomeno di secondo
breakdown non è dovuto che in parte ad effetto termico.
15
Fig. 10: Derating factor della potenza e del secondo breakdown per il transistor
BUX-15 .
Utilizzando i grafici della fig. 10 è possibile costruire l'area di sicurezza in
continua per qualsiasi valore della temperatura dell'involucro. Basta infatti
ridurre le ordinate delle curve di potenza e di secondo breakdown di un fattore
percentuale pari al rispettivo derating factor. Va notato inoltre che le curve di
massima corrente e massima tensione non sono sostanzialmente influenzate dalla
temperatura dell'involucro.
6.-Il reverse biased second breakdown.
Dal punto di vista della effettiva pericolosità, il fenomeno del forward biased
second breakdown appena decritto non stà al primo posto nelle preoccupazioni
del progettista dei sistemi di potenza a transistor bipolare. A parte infatti la
precauzione di lavorare sempre all'interno dell’area di sicurezza, occorre tener
presente che le componenti induttive, sempre presenti nel carico, tendono ad
impedire con la loro inerzia elettrica i fenomeni transitori troppo veloci che
possono innescare la fuga termica laterale.
Una situazione particolare molto pericolosa si ha invece nel caso, piuttosto
frequente in pratica, del brusco passaggio dallo stato di conduzione a quello di
completa interdizione del transistor. La tensione di spegnimento (nulla o
negativa) applicata all'elettrodo di base del transistor in conduzione, fa sentire
anche in questo caso i suoi effetti prima lungo il bordo della giunzione per cui
l'area di conduzione va restringendosi verso il centro come è mostrato in fig. 11.
Sfortunatamente il processo di rapida estinzione è contrastato dall'inerzia del
carico che più o meno è sempre induttivo e che tende a mantenere costante la
corrente di collettore. Nella zona centrale di conduzione che va velocemente
restringendosi si concentra perciò una corrente di valore pressoché costante la cui
densità in breve raggiunge valori proibitivi dando luogo alla formazione di un
16
punto caldo (hot spot) centrale: la distruzione del transistor è cosa perciò
pressoché certa. Benché in questo caso non sia corretto parlare di fuga termica il
fenomeno della ionizzazione per urto è certo ancora presente in modo massiccio
ed è perciò che il fenomeno descritto prende il nome di reverse biased second
breakdown.
Fig. 11: Transitorio di spegnimento.
A differenza dell'instabilità laterale (positive biased second brakdown) non è
possibile stabilire per il reverse biased second breakdown un'area di sicurezza;
esso infatti è in gran parte legato alla entità della componente induttiva del carico.
In pratica, osservando il fenomeno da un punto di vista del tutto diverso, si può
dire che durante lo spegnimento del transistor l'energia immagazzinata
nell'induttanza serie del carico che ammonta a 1/2 Lsi2 si scarica sul collettore del
transistor, trasformandosi tutta in calore ed eventualmente distruggendolo.
Fig. 12: Andamento dell'energia sopportata al variare della tensione di
spegnimento applicata in base.
17
Per ogni tipo di transistor viene perciò specificata dal costruttore la massima
energia (espressa in joule), indicata con la sigla ES/B, che il dispositivo è in grado di
sopportare senza danni. Tale energia massima sopportabile è tanto più piccola
quanto più rapidamente viene effettuato lo spegnimento del transistor; infatti se si
spegne lentamente il transistor l'energia viene diluita nel tempo e quindi più
facilmente sopportata. In pratica, dato che per aumentare la velocità di
commutazione si usa applicare alla base una forte tensione negativa, viene fornito
di solito l'andamento di ES/B al variare della tensione negativa di interdizione
applicata in base.
In fig. 12 è riportato a titolo di esempio un andamento tipico di ES/B al variare
della tensione negativa -Vbe A tale proposito occorre notare infine che anche la
resistenza interna del generatore Rb che eroga il segnale di comando in base,
influenza in qualche modo l'andamento di ES/B.
7.-Circuiti di protezione.
Come già visto a proposito del fenomeno del reverse biased second breakdown,
durante la fase di spegnimento, l'energia immagazzinata nella componente
induttiva del carico dissipandosi nel transistor può danneggiarlo. Occorre perciò
predisporre dei circuiti opportuni che hanno il compito di proteggere il transistor
stesso durante le fasi critiche di funzionamento, pur non intervenendo durante il
resto del tempo. Il circuito impiegato è quello riportato in fig. 13.
Fig. 13: Circuito di protezione per il turn-off: clamping diode e snubber
Il diodo D (detto clamping diode) viene inserito in parallelo al carico onde
impedire alla tensione di collettore di superare la tensione di batteria, che di solito
è di poco inferiore al valore di breakdown del transistor.
18
Tuttavia poiché qualsiasi diodo ha un tempo di intervento non nullo esso non
è in grado di impedire che parte della sovratensione si manifesti in ogni caso. Il
punto di funzionamento si sposta infatti lungo la traiettoria in colore posta in alto
e riportata in fig. 14.
Fig. 14: Traiettorie del punto di funzionamento durante lo spegnimento con
clamping diode e con condensatore.
Nel primo tratto, percorso ad altissima velocità, la corrente di collettore rimane
costante a causa dell’inerzia del carico induttivo. Non appena il diodo comincia a
condurre e cioè la traiettoria supera il valore di E essa si incurva verso il basso e
tende poi verso il punto di funzionamento a corrente di collettore nulla (stato
OFF). Come si vede la corrente del carico induttivo si separa in due componenti e
cioè la corrente di diodo Id e la corrente di collettore Ic. Per ottenere traiettorie non
eccessivamente spostate verso destra è essenziale utilizzare diodi ad alta velocità
di commutazione (come i diodi Schottky) e limitare la tensione di batteria a valori
convenientemente più bassi della tensione di breakdown del transistore.
La presenza del diodo di clamping, che assorbe parte della corrente induttiva,
è di solito più che sufficiente per evitare il fenomeno del reverse second
breakdown ma non sempre è sufficiente a garantire che il punto di
funzionamento rimanga all’interno dell’area di sicurezza. Come già mostrato in
fig. 13 è spesso necessario aggiungere in parallelo al transistore un condensatore
di valore opportuno che assorbendo in modo più pronto ed efficace parte della
corrente induttiva provochi un incurvamento verso il basso più marcato della
traiettoria del punto di funzionamento (vedi curve C1, C2 e C3 di fig. 14).
Il diodo e la resistenza posti in serie al condensatore C in fig. 13 hanno il
compito ausiliario di minimizzare l'effetto di quest'ultimo durante la fase di
accensione; la presenza di un condensatore ai capi del transistor potrebbe infatti
provocare pericolose sovracorrenti. Si ha infatti la situazione di fig. 15 in cui sono
riportate le traiettorie di accensione con diodo (2) e senza diodo (1).
19
Fig. 15: Transitori di accensione con e senza diodo Ds.
Come si può vedere, in assenza del diodo Ds il condensatore carico si scarica sul
transistore appena attivato, provocando un picco di corrente molto pericoloso.
Il diodo Ds conduce la corrente solo durante la fase di spegnimento caricando il
condensatore, mentre durante l’intervallo di conduzione del transistor la
resistenza di valore elevato Rs permette al condensatore C di scaricarsi.
Il dimensionamento di C si effettua in modo da garantire un transitorio di
spegnimento tutto all'interno dell'area di sicurezza (vedi ad esempio la curva C3
di fig. 14). A tale scopo si prende in considerazione il circuito semplificato di fig.
16 in cui si suppone che il carico sia costituito da un gruppo R-L serie e il
transistore si assimila ad un generatore ideale di corrente. In linea di principio la
corrente Ic che fluisce nel transistor durante la fase di spegnimento dipende sia
dalla forma del comando applicato in base sia dai valori del circuito esterno.
Tuttavia i rilievi sperimentali condotti su un gran numero di transistori di
potenza collegati ad un carico induttivo hanno permesso di accertare che
l'andamento della corrente Ic si può assimilare con buona approssimazione ad
una rampa lineare decrescente (vedi ad esempio gli oscillogrammi di fig. 18
riportati più avanti).
Fig. 16: Circuito equivalente durante la fase di turn-off.
20
Risolvendo allora le equazioni che governano il comportamento del circuito di
fig.16 si ottiene una famiglia di curve transitorie (riportate in fig. 14 e
contrassegnate con C1, C2 e C3), che permettono di verificare se il transistor lavora
sempre entro l'area di sicurezza e con quali margini ciò avviene.
8.-Problemi di pilotaggio della base di transistor bipolari.
Quando si utilizza il transistore di potenza come interruttore è essenziale che esso
assorba allo stato ON la più piccola potenza possibile ossia si porti quanto più
possibile in saturazione. Tanto più profondo è lo stato di saturazione tanto minore
è la caduta ai capi del transistore e quindi anche la potenza dissipata. Vi sono però
alcune importanti considerazioni che sconsigliano di raggiungere uno stato di
saturazione troppo spinto. Si consideri ad esempio la fig.17 che rappresenta
schematicamente i vari stati di conduzione di un transistor di potenza.
Fig.17 : Dilatazione della regione di base di un transistor bipolare nei vari stati di
conduzione.
Durante il funzionamento in zona lineare le lacune nella base sono in quantità
limitata e non vengono attratte dal collettore che si trova a potenziale positivo
rispetto alla base (la giunzione base-collettore è polarizzata negativamente).
Aumentando però la corrente di base e di conseguenza quella di collettore, la
caduta sul carico esterno fa calare il potenziale del collettore stesso fino a portare
alcune sue zone a un potenziale più basso di quello di base: la giunzione base
collettore risulta quindi polarizzata positivamente e la base può iniettare lacune
nelle aree più prossime del collettore (stato di quasi saturazione). Se si aumenta
ancora la corrente di base le lacune arrivano a toccare la zona n+ del collettore: la
base si estende sempre di più e il transistor è saturo. Un ulteriore aumento della
corrente di base (cui però non fa seguito un apprezzabile aumento della corrente
di collettore) porta il transistore in sovrasaturazione: parte della regione n+ di
21
collettore viene invasa dalle lacune aumentando così ulteriormente l’estensione
della zona equivalente di base.
Se a questo punto si vuole effettuare il percorso inverso e cioè portare il
transistore dallo stato ON allo stato OFF si vede subito che fintantoché l’eccesso
di carica non è stato asportato, cioè la zona di base equivalente non è stata
riportata ai valori normali, la tensione di collettore rimane al valor minimo e
l'interruttore equivalente non da segno di cominciare ad aprirsi. Il tempo
necessario per eliminare le cariche (lacune) di saturazione è detto storage time.
Lo storage time ha lo svantaggio di essere largamente indipendente dal valore
della tensione inversa che si applica in base durante la fase di spegnimento. Se si
applica una tensione negativa all'elettrodo di base, solo le lacune poste in
prossimità dell'elettrodo vengono drenate, mentre quelle di saturazione poste in
cima alla zona n+ di collettore sono scarsamente influenzate e vengono eliminate
per ricombinazione in loco. Va infatti tenuto presente che per garantire la
neutralità di carica, all’incremento di lacune descritto in fig. 17 fa sempre
riscontro un identico incremento degli elettroni: le coppie lacuna-elettrone
coesistenti tendono quindi a ricombinare localmente. Una volta eliminata la
carica di saturazione, ha inizio la fase di risalita della tensione (voltage rise time) e
di concomitante caduta a zero della corrente di collettore (current fall time) come
viene indicato in fig.18.
Fig.18 : Fenomeno di spegnimento di un transistor bipolare con carico induttivo.
Una considerazione molto importante riguarda l’entità della la tensione negativa
applicata in base durante la fase di passaggio dallo stato ON allo stato OFF. Si è
22
appena visto che durante tutte le fasi di saturazione e sovrasaturazione si
manifesta un notevole accumulo di cariche minoritarie nel collettore (lacune), che
vengono eliminate solo per ricombinazione locale. Pertanto l'applicazione di una
tensione inversa eccessiva, oltre che inutile, è anche dannosa. Infatti la giunzione
base-collettore rimane conduttrice a causa delle lacune presenti ed equivale ad
una resistenza di basso valore anche con tensione inversa.
Fig.19: Coda di corrente
In conseguenza di ciò l’emettitore, che si trova a potenziale zero e cioè molto
più positivo della base, può venire praticamente escluso dalla conduzione. In
questo caso tutta la corrente di collettore viene deviata verso la base, con
conseguente forte dissipazione di potenza sia nell’area di base che nel suo circuito
di pilotaggio. Tale fenomeno, noto col nome di coda di corrente (current tail) è
rappresentato in colore nella fig.19 e normalmente si manifesta con un brusco
incremento della corrente di base cui fa seguito un forte allungamento del
transitorio di spegnimento. Il pericolo di instabilità termica e di rapida
distruzione del transistor è molto elevato e la coda di corrente va assolutamente
evitata. Durante lo spegnimento occorre perciò moderare inizialmente l'ampiezza
della tensione inversa per evitare la coda di corrente. Invece quando per la
giunzione base-collettore è svuotata di lacune, un aumento di tensione negativa è
benefico perché abbrevia in modo considerevole la parte finale del fenomeno di
passaggio tra lo stato ON e lo stato OFF. La tecnica che occorre usare è allora
quella dell'adattamento della dib/dt e consiste nell'inserire in serie alla base una
induttanza di valore opportuno, come indicato in fig. 20.
Quando infatti inizia
a manifestarsi la coda di corrente, il brusco incremento della corrente di base
viene frenato dalla presenza dell’induttanza; viceversa quando la giunzione basecollettore tende a bloccarsi, la corrente di base decresce rapidamente e quindi
l'induttanza invia una sovratensione negativa sulla base favorendo così un rapido
23
fall-time.
Fig. 20: Tecnica dell'adattamento delle dib/dt.
In altre parole si tratta di fare in modo che la corrente di base si evolva con
velocità controllata, così da dare tempo alle cariche minoritarie poste nel
collettore di ricombinare. Ciò consente di abbreviare sia lo storage time che il fall
time. Ovviamente esiste un valore ottimale di induttanza da inserire in base.
Osservando infatti la fig. 20 si vede che se l'induttanza è troppo elevata la
corrente di base sale troppo lentamente e il transistore commuta in un tempo
molto lungo. D'altra parte se l'induttanza è troppo piccola la corrente di base
raggiunge valori elevati quando ancora il transistore in saturazione e si presenta
il fenomeno della coda di corrente.
Fig. 21: Circuito di antisaturazione
Visto allora che il fenomeno della sovrasaturazione dannoso e difficile da
24
trattare, la cosa più vantaggiosa da fare consiste nell'evitare che esso avvenga. Ciò
si ottiene col circuito di fig. 21 che è denominato appunto circuito di
antisaturazione.
Come si vede, quando la tensione di collettore durante lo stato ON tende ad
assumere valori troppo bassi il diodo Das entra in conduzione e impedisce alla
tensione che pilota la base di crescere ulteriormente e quindi di sovrasaturare il
transistore stesso. Ovviamente tale fenomeno di blocco si manifesta tanto prima
quanto maggiore è il numero di diodi in serie alla base. Pertanto maggiore il
numero di diodi serie DD, minore il grado di saturazione del transistore nello
stato ON. La presenza del diodo DS serve ad eliminare l’effetto del circuito di
antisaturazione durante la fase di spegnimento del transistor.
DISPENSE DI ELETTRONICA INDUSTRIALE
(anno accademico 2002 - 2003)
Trasduttori e dispositivi di misura
2
1.-Introduzione.
La natura delle grandezze da misurare nelle applicazioni pratiche é in genere
estremamente varia ed a tale scopo é stata creata una grande varietà di trasduttori
e amplificatori dedicati. Qui, senza pretendere di esaurire il vasto campo di
fenomeni fisici considerati vengono descritti solo alcuni dispositivi di uso più
comune.
2.-Fenomeni fisici utilizzati nei trasduttori.
Esiste una grande varietà di fenomeni fisici che possono essere utilmente
impiegati per la misura di grandezze meccaniche, termiche ecc. Qui ci si limita ad
una panoramica estremamente succinta dei più noti e delle loro applicazioni.
3.-Piezoelettricità, Piroelettricità e Ferroelettricità.
Quando due o più atomi diversi si uniscono in una molecola scambiandosi
elettroni all’interno di un cristallo, la nube di elettroni che li circonda spesso non
ha il baricentro coincidente con quello dei corrispondenti nuclei positivi per cui si
forma un dipolo di carica come indicato schematicamente in Fig. 1.
Fig. 1: Formazione di un dipolo in una molecola con due atomi diversi.
Tale dipolo interagisce coi dipoli vicini e contribuisce a dare una forma particolare
alla cella elementare del cristallo. Dal punto di vista dell’utilizzazione pratica di
questo fenomeno fisico si possono dare allora essenzialmente tre casi:
a) Piezoelettricità: la forma della cella elementare si assesta in modo da essere
caratterizzata a riposo da dipolo risultante nullo. Tuttavia se si sottopone il
cristallo che è anisotropo a uno sforzo meccanico, la geometria della cella viene
cambiata non solo nelle sue dimensioni ma soprattutto nella sua forma.
L’equilibrio dei dipoli viene così alterato con la conseguente comparsa di una
tensione risultante proporzionale, entro certi limiti, alla deformazione.
b) Piroelettricità: la cella elementare assume una forma tale per cui i singoli dipoli
danno luogo ad una risultante permanente non nulla. Poiché l’entità di questa
risultante dipende dalla distanza di separazione dei singoli atomi, una
variazione di temperatura alterando le distanze produce una variazione di
tensione ai capi del cristallo.
c) Ferroelettricità: a differenza del caso precedente in cui la struttura cristallina è
3
rigida, esistono dei materiali in cui i bipoli o gruppi di bipoli (domìni), sono
parzialmente liberi di ruotare. La mutua interazione tende perciò ad allinearli
lungo una orientazione comune. L’applicazione di un campo elettrico favorisce
tale processo di passaggio da uno stato iniziale di disordine ad uno di maggior
allineamento con conseguenti fenomeni di incremento di campo elettrico,
saturazione ed isteresi analoghi a quelli ben noti dei materiali ferromagnetici
(d’onde il nome). La ferroelettricità è comunque un fenomeno abbastanza raro
e sono pochi i composti che la presentano e in limitati intervalli di temperatura:
oltre al ben noto sale di Rochelle vi è il il Titanato di Bario (BaTiO3) e pochi
altri.
Va infine aggiunto che la piroelettricità e la ferroelettricità hanno uno o più valori
critici di temperatura, detti punto di Curie, attraversando i quali le suddette
proprietà appaiono o scompaiono.
4- Termogiunzione, Fotogiunzione e Piezogiunzione.
La caratteristica tensione corrente di una giunzione p-n a semiconduttore è data
dalla nota relazione:
I = I SAT ( e
qV
kT
− 1) − I Light
in cui ILight è una corrente costante indotta nella giunzione da una radiazione
esterna che incidendo sugli elettroni in banda di valenza li fa passare in banda di
conduzione. Il segno di ILight è negativo perché il campo elettrico all’interno della
zona di svuotamento, che mette in moto gli elettroni appena liberati, ha segno
opposto a quello applicato esternamente. Si ha inoltre la seguente relazione di
proporzionalità:
I SAT ≡ ( kT ) 3 e
− Eg
kT
dove T è la temperatura assoluta ed Eg è il salto di energia tra banda di valenza e
di conduzione.
Come si vede il termine ISAT, che ha il significato più ampio di termine
moltiplicativo della corrente totale della giunzione, varia sia al variare della
temperatura che della eventuale deformazione del cristallo. Il salto di energia Eg è
infatti fortemente dipendente dalle dimensioni della cella elementare del cristallo
del semiconduttore utilizzato.
Per esempio se si sottopone il cristallo di Silicio ad una sollecitazione di
pressione nella direzione cristallografica <100> si ha un decremento di Eg pari a
105 eV/Bar. Se perciò si indica con ISAT0(T) il valore della corrente di saturazione in
assenza di sforzo, l’equazione della giunzione si può scrivere nella forma
completa:
4
αP
I = I SAT 0 (T )e ( e
kT
qV
kT
− 1) − I light
dove appaiono le tre grandezze fisiche fondamentali, temperatura T, pressione P e
radiazione (α è un coefficiente numerico di proporzionalità).
In particolare in assenza di radiazione luminosa si ha la situazione di Fig. 2 che
corrisponde al cosidetto termo e/o piezodiodo.
Fig. 2 : Caratteristica di un termodiodo e/o piezodiodo.
In Fig. 3 viene riportata invece la caratteristica del fotodiodo che come si vede si
differenzia nettamente dalla precedente.
Fig. 3 : Caratteristica di un fotodiodo e sua connessione fotoconduttrice (diodo 1) o
fotovoltaica (diodo 2).
La caratteristica del fotodiodo ha la peculiarità che, in presenza di radiazione
luminosa incidente, essa non attraversa l’origine degli assi. Infatti la luce, a
differenza della pressione e della temperatura che sono solo degli stati in cui si
trova un sistema fisico, è una fonte di energia ed è perciò in grado di far circolare
corrente anche in assenza di tensione applicata.
5.- Microstrutture su Silicio.
Il cristallo di silicio è una struttura anisotropa molto complessa in cui si possono
mettere in evidenza piani aventi densità atomica diversa. È quindi possibile,
5
usando agenti chimici opportuni (soluzioni acquose di idrato di potassio, ecc.),
effettuare una demolizione (etching) preferenziale che rispetti i piani ad alta
densità e distrugga gli altri. In questo modo si ottengono microstrutture che sono
particolarmente utili nella realizzazione di trasduttori e dispositivi di varia natura.
Per esempio in Fig. 4 viene mostrato come sia possibile realizzare ponti,
membrane, cavità, ugelli ed anche scavi a pareti verticali.
Una delle procedure più delicate dei processi descritti consiste nel calibrare con
precisione lo spessore delle membrane sottili o delle leve (vedi Fig. 4).
Fig. 4: Strutture ricavate in wafer di silicio con diversa orientazione
A tale scopo si usa spesso inserire per diffusione nel semiconduttore strati di
sbarramento di Boro che ne bloccano la demolizione chimica. Il Boro ha però il
difetto di drogare troppo intensamente di tipo p il semiconduttore, impedendo
così il suo uso quale materiale di supporto per la realizzazione di circuiti
monolitici ausiliari da associare al trasduttore stesso.
Fig. 5: Stop elettrochimico.
Un procedimento alternativo che non soffre di questa limitazione è quello
denominato stop elettrochimico a giunzione p-n, illustrato in Fig. 5. Lo stop
elettrochimico si basa sull'uso di una soluzione alcalina demolitrice caratterizzata
da una transizione attivo/passivo molto ripida, in corrispondenza di circa 0.5 volt
(per il Silicio). Questo significa che se il blocco di Silicio immerso nella soluzione si
6
trova a potenziale anche di poco superiore a 0.5 volt rispetto ad essa non viene
demolito. Se allora si immerge nella soluzione demolitrice una giunzione
polarizzata inversamente con una tensione esterna di poco superiore a 0.5, la zona
n rimane protetta mentre la zona p viene dissolta in breve tempo. La velocità di
demolizione della zona p non protetta (cioè quella a potenziale inferiore a 0.5 volt)
risulta essere circa 200 volte maggiore di quella nella zona n protetta, garantendo
errori trascurabili nello spessore ottenuto.
6.- Primo esempio di applicazione di microstrutture su Silicio: realizzazione di un
accelerometro assiale.
Un tipico esempio di impiego delle tecniche di realizzazione di microstrutture su
Silicio è l'accelerometro assiale mostrato in Fig. 6. Come si vede una massa
centrale è sospesa a quattro barrette sottili laterali in cui vengono diffusi delle
piezogiunzioni. Lo spessore tipico delle barre di sospensione è 10 micron mentre il
lato della massa sospesa è dell'ordine di 2000 micron e il suo peso di 4
milligrammi.
Fig. 6: Vista tridimensionale della struttura meccanica di un accelerometro
interamente realizzato su Silicio.
Il supporto esterno viene collegato rigidamente all’oggetto di cui si vuole misurare
l’accelerazione istantanea mentre la massa centrale è libera di oscillare.
Detta allora y la posizione verticale del supporto e ym quella della massa
sospesa, quest’ultima è soggetta ad una forza di richiamo pari a k(ym – y), dove k è
un coefficiente dipendente dalla rigidità della barrette di sospensione, che
equilibra la sua inerzia e cioè:
k ( y m − y ) = m&
y&m
Supponendo allora che k sia molto grande (barrette di sospensione molto
rigide) si deve supporre che sia (ym – y) ≅ 0 ossia ym ≅ y. Ammettendo che tale
relazione approssimata valga anche per le derivate prima e seconda si ha:
k
&
y&≅ &
y&m = ( y m − y )
m
7
In altre parole per misurare la accelerazione istantanea basta misurare l’entità
dello spostamento (ym – y) ovvero la deformazione delle barrette di sostegno. A
tale scopo si piazza una piezogiunzione su ciascuna barretta come indicato
schematicamente in Fig. 7. Va notato che le piezogiunzioni sono poste in due
posizioni diverse allo lo scopo di favorire i segnali derivanti da un moto della
massa sospesa in direzione assiale (cioè lungo l'asse z) eliminando invece gli effetti
dovuti ad altri possibili movimenti.
Fig. 7: Schema di principio dell'accelerometro con indicate le piezogiunzioni.
Ciascun piezodiodo è in realtà la giunzione base-emettitore di un transistor che
viene inserito in un circuito elettronico come quello di Fig. 8.
L’amplificatore operazionale impone una corrente di collettore e quindi di
giunzione base-emettitore costante. Va notato che allo scopo di garantire la
stabilità del circuito occorre collegare il collettore del transistor al morsetto noninvertitore dato che il transistore funge da invertitore di tensione.
Fig. 8: Circuito a corrente di collettore costante con tensione di giunzione all'uscita
dell'amplificatore
Se si suppone che la tensione base emettitore sia sufficientemente elevata si può
assumere:
αP
I C ≈ I SAT 0 e e
kT
qVBE
kT
da cui, essendo Ic costante segue αP+qVBE=c0.
Misurando allora la tensione base-emettitore e conoscendo le costanti α e c0 si
8
può risalire al valore di P. In pratica il termine costante c0 scompare dato che la
struttura di Fig. 7 effettua la differenza tra due piezogiunzioni eguali ma
sollecitate in modo opposto.
7.- Secondo esempio di applicazione di microstrutture su Silicio: realizzazione di
trasduttori di pressione.
Le membrane visibili in Fig. 4 si possono utilizzare per la misura di pressioni di
valore non troppo elevato (normalmente fino a 50 Bars1).
In pratica si sfrutta la variazione dimensionale (lunghezza o sezione) di resistori
diffusi in prossimità dei bordi di una membrana sottile, in cui la deformazione per
effetto della pressione é più intensa, come mostrato in Fig. 9. La disposizione dei
corpi resistivi è inoltre tale da dare luogo ad un aumento di resistenza in due di
essi e ad una diminuzione negli altri due.
Fig. 9: Struttura di un trasduttore di pressione a membrana di Silicio.
Le quattro resistenze vengono quindi inserite in un ponte di misura, mostrato in
Fig 10.
Fig. 10: Circuito di misura.
L'alimentazione del ponte a corrente costante ha lo scopo di minimizzare l'effetto
della temperatura sulla funzione di trasferimento del circuito di misura. Si ha
1
Il bar è una unità di misura che corrisponde a circa una atmosfera fisica o più precisamente 1
Atm = 1013 Bar.
9
infatti (vedi Fig. 10):
Vout =
E
∆R
R
in cui il valore della resistenza R, realizzata nel semiconduttore, è fortemente
dipendente dalla temperatura. Il guadagno E/(2R) del ponte di misura si può però
rendere insensibile alle variazioni di temperatura stabilizzando il valore della
corrente di alimentazione, che coincide appunto con E/R.
8.-Esempio di applicazione dell’effetto piezoelettico: trasduttori a quarzo,
amplificatori di carica.
Nel caso in cui si debba effettuare la misura di pressioni avente valori elevati (ad
esempio quelle che si verificano all'interno dei cilindri di un motore a scoppio) si
impiegano dei trasduttori a quarzo che consentono la misura di pressione fino a
oltre 7500 Bars.
La misura di pressioni mediante trasduttori a quarzo (cristallo di SiO2) si basa
sul ben noto effetto piezoelettrico. Naturalmente, a seconda di come viene tagliato,
da un cristallo di quarzo si possono ottenere dei dischi sensibili alla pressione o
anche allo sforzo di taglio.
Fig. 11: Cristallo di quarzo e relativi dischi trasduttori.
Sottoponendo uno dei dischi di Fig. 11 ad una sollecitazione meccanica (pressione
o taglio) si ottiene una carica di dipolo in superficie la cui entità é linearmente
dipendente dalla intensità della pressione applicata:
Q = kP
Una volta nota la carica Q si può quindi risalire direttamente alla pressione P. Il
problema della misura di Q non é però facile. Tenendo presente che il quarzo
stesso ha una capacità propria C si potrebbe pensare di effettuare la misura della
tensione ai suoi capi V=Q/C e poi risalire al valore di Q. Tale procedimento non é
però possibile perché la capacità del quarzo varia a sua volta per effetto della
10
deformazione e quindi non è nota.
Si preferisce quindi effettuare il trasferimento virtuale2 su di una capacità nota e
con caratteristiche stabili della carica generata, misurando poi la tensione ai capi di
quest’ultima. Ciò si ottiene a mezzo del così detto amplificatore di carica, il cui
circuito é riportato in Fig. 12.
La carica Q netta presente in un dato istante ai capi del quarzo é la differenza
tra quella di origine dipolare kP e quella Q0 proveniente dal condensatore di
reazione C0 che in tal modo si è caricato alla tensione Vout=Q0/C0.
Poiché i morsetti di ingresso dell’operazionale costituiscono un corto circuito
virtuale la carica complessiva sul quarzo deve essere nulla da cui segue:
kP = C0Vout
Misurando quindi Vout e conoscendo k e C0 si risale all’entita P della pressione
applicata.
Fig. 12: Amplificatore di carica.
Occorre notare che l'amplificatore di carica ora descritto, benché semplice in
linea di principio, é molto delicato e costoso. Basti notare che per avere dei buoni
risultati nella misura, l'impedenza di ingresso dell'amplificatore operazionale
(realizzato con transistori MOS) deve essere dell'ordine di almeno 1014 ohm. La
carica di dipolo indotta dalla deformazione sul quarzo è infatti generalmente
piccola (poche decine di pico Coulomb) per cui una perdita di carica anche
minima attraverso i morsetti dell’amplificatore falserebbe in modo intollerabile la
misura.
9.-Misure di dilatazione.
In taluni manufatti é importante effettuare una misura delle deformazioni subite
in certi punti durante le prove di collaudo o anche durante il normale
funzionamento. Esempi tipici sono le travature di ponti metallici, i serbatoi in
2
Infatti un trasferimento reale non sarebbe possibile perché la carica di bipolo non è libera di
muoversi.
11
pressione, le pale delle turbine idrauliche, le bielle dei motori a scoppio, le ali degli
aerei e in generale tutti quei dispositivi meccanici che a lungo andare possono
incorrere in una rottura causata dalla eccessiva dilatazione o compressione subite.
Fig 13: Esempi di estensimetri.
La misura di tali variazioni si fa in genere a mezzo di trasduttori estensimetrici
(strain gauge) costituiti da una resistenza metallica depositata su di un supporto
elastico di resina epossidica. Due esempi di forme utilizzate sono riportate in Fig.
13 e hanno lo scopo di misurare l'entità di allungamenti, compressioni e torsioni.
Il trasduttore viene incollato sul punto da controllare ed inserito in un ponte di
misura alimentato con tensione alternata di frequenza opportuna. Va notato che
per minimizzare l'effetto di variazione dovuto alla temperatura gli estensimetri
vanno sempre montati in coppia (estensimetro di misura + estensimetro di
bilanciamento) in modo che essi si trovino l'uno in prossimità dell'altro e quindi
alla stessa temperatura. Naturalmente l'estensimetro di bilanciamento deve essere
montato in un punto non sottoposto a sollecitazione meccanica.
10.-Misure di temperatura.
I trasduttori di temperatura più comunemente usati sono le resistenze di platino,
le termocoppie e i termistori. Tuttavia sia le termocoppie che presentano livelli di
tensione piuttosto bassi e necessitano di procedimenti di compensazione
dispendiosi, sia i termistori che sono non lineari, presentano difficoltà nelle
applicazioni pratiche. Si sono perciò affermate tecniche di misura di temperatura
basate sul termodiodo e precisamente sulla giunzione base emettitore di una
coppia di transistori bipolari che lavorano a densità di corrente diverse.
Si considerino infatti due transistori Q1 e Q2 supposti alla medesima
temperatura e con l’emettitore posto in comune. Indicando con IE1 e IE2 le
rispettive correnti di collettore e facendo l’ipotesi che valga la relazione
approssimata:
qVB
I E ≅ I SAT e kT
12
valida per elevate correnti, si ha:
I I
kT
ln( E1 SAT 2 )
V B1 − VB 2 ≅
q
I E 2 I SAT 1
Se allora si riesce, mediante un artificio qualsiasi, a mantenere costante il termine
entro logaritmo, la differenza di tensione misurata tra le due basi si può utilizzare
direttamente per la misura della temperatura assoluta dell’ambiente in cui è posta
la coppia di transistori. Normalmente si preferisce utilizzare due transistori con
caratteristiche (densità di corrente di fuga JSAT e guadagni α) identiche, ma con
un’area di emettitore diversa e controllare le rispettive correnti di collettore in
modo che siano eguali. In tal caso detto ρ il rapporto tra le aree di emettitore si ha
(si noti che l’introduzione del rapporto ρ ha avuto per conseguenza la sostituzione
delle correnti di saturazione con le rispettive densità di corrente):
kT α 2 J SAT 2
ln(
ρ)
V B1 − VB 2 ≅
q
α 1 J SAT 1
che diventa
V B1 − VB 2 ≅
kT
ln( ρ )
q
se si assume, come già detto in precedenza, JSAT1 = JSAT2 e α1 = α2.
Il circuito utilizzato a tale scopo è riportato in Fig. 14.
Fig. 14: Circuito per la misura della temperatura assoluta.
L’amplificatore operazionale crea un corto circuito virtuale sui morsetti di ingresso
imponendo così l’eguaglianza delle correnti di collettore. La tensione di uscita è
misurata ai capi della serie di resistenze 26R, R e 23R e risulta quindi essere 50
volte la differenza di potenziale tra le basi. Se si usa un rapporto ρ = 10, come nel
13
caso della Fig. 14, si ottiene una sensibilità di circa 0.2mV per grado Kelvin.
Ovviamente è possibile introdurre delle modifiche circuitali in modo che la
tensione in uscita sia proporzionale alla scala Celsius (0°C=273°K) o alla scala
Fahrenheit.
11.-Trasduttori piroelettrici.
L’effetto piroelettrico (vedi Par. 3) pur non avendo quelle caratteristiche di
linearità che ne permettono l’impiego nella misura della temperatura, possiede
tuttavia il vantaggio di fornire valori di tensione molto più elevati degli altri
trasduttori (termocoppie, termodiodi) e di essere largamente insensibile al tipo di
radiazione che provoca l’aumento di temperatura.
Essi possono pertanto essere utilizzati come rivelatori di una vasta gamma di
sorgenti di radiazione che vanno dal lontano infrarosso, ai raggi X. Il materiale più
usato è il cristallo di Tantalato di Litio, che ha un punto di Curie a 610 °C. La
radiazione incidente sia essa infrarossa o a raggi X viene convertita in calore. Il
trasduttore piroelettrico è perciò non selettivo per natura e se tale qualità gli
permette di essere utilizzato in un vasto campo di applicazioni è spesso necessario
utilizzare dei filtri appositi onde restringere il campo di lunghezze d’onda rivelate.
Fig. 15: circuito equivalente di un trasduttore piroelettrico.
Il circuito equivalente elettrico del trasduttore piroelettrico è quello mostrato in
Fig. 15. Il generatore di corrente dT/dt che appare in Fig. 15 è proporzionale alla
entità della variazione di temperatura nell’unità di tempo. Il livello del segnale è
molto elevato per cui è possibile collegare direttamente il trasduttore a un carico,
oppure utilizzare un amplificatore operazionale, come indicato in Fig. 16.
Fig. 16: Connessioni del trasduttore piroelettrico.
Va notato che il collegamento diretto al carico deforma una veloce variazione di
14
temperatura, introducendo dei fronti di salita e di discesa in un segnale ∆I di tipo
impulsivo. Al contrario la connessione diretta all’ingresso dell’amplificatore
operazionale, cortocircuitando il condensatore, ne annulla gli effetti ritardanti.
Tuttavia quest’ultima soluzione ha per conseguenza una intensa amplificazione
degli eventuali rumori presenti, con notevole peggioramento del rapporto segnale
disturbo.
Una applicazione tipica del trasduttore piroelettrico è il rivelatore di passaggio:
due trasduttori identici vengono posti uno accanto all’altro in posizione
leggermente angolata come indicato in Fig. 17.
Fig. 17: Rivelatore di passaggio di corpo caldo.
Quando un corpo caldo (ad esempio il volto di una persona) passa davanti alla
coppia di trasduttori, induce sul primo sensore un impulso di tensione V1 seguito
subito dopo da un altro impulso V2 identico ma leggermente sfalsato nel tempo,
nell’altro trasduttore. Ponendo in serie i due trasduttori si ottiene una forma
d’onda (vedi Fig. 17) che segnala il passaggio e la direzione in cui esso avviene.
12.-Amplificatori per strumentazione.
Un amplificatore per strumentazione deve avere alcune proprietà peculiari che lo
distinguono da un semplice amplificatore operazionale. A parte i requisiti di
precisione e di stabilità termica, esso anzitutto deve poter effettuare la differenza
tra due tensioni senza assorbire corrente da entrambi i morsetti di ingresso. Deve
inoltre poter aggiustare il suo guadagno con l’inserzione di una unica resistenza
esterna e infine deve avere la possibilità di eliminare l’effetto di disturbi indotti sul
trasduttore cui si collega. La struttura tipica di un amplificatore per
strumentazione è riportata in Fig 18.
15
Fig. 18: Schema di amplificatore per strumentazione.
Come si vede non vi è assorbimento di corrente nei due morsetti di ingresso e il
guadagno di tensione è dato dalla relazione
Vout
R R2
= −(1 + 2
)
V A − VB
R0 R1
.
V A + VB
che, come
2
verrà mostrato nel seguito, viene impiegata per minimizzare l’effetto dei disturbi
soprattutto quando si usano cavi di collegamento di notevole lunghezza e
trasduttori a basso livello di tensione.
Vi è inoltre disponibile la tensione di modo comune VCOM =
13.-Pilotaggio della calza schermante.
Dato che nella maggior parte dei casi i segnali da amplificare sono di livello basso
e il trasduttore si trova a distanza non trascurabile dall’amplificatore, per
proteggerli dai disturbi é necessario ricorrere ad un cavo schermato. Lo schermo
usato (calza di rame flessibile) è in grado di proteggere il segnale utile unicamente
dai disturbi a radiofrequenza.
I disturbi di bassa frequenza (soprattutto quelli a frequenza di rete) transitano
invece attraverso di esso senza attenuazione apprezzabile e se le resistenze e
capacità parassite dei due cavi interni non sono perfettamente uguali inducono
tensioni di notevole entità che giungono con una differenza di fase non
trascurabile ai morsetti di ingresso dell’amplificatore. L'effetto, molto dannoso,
può essere evitato con l'impiego della tecnica che va sotto il nome di "pilotaggio
della guaina del cavo (shield driving)". Si tratta di un artificio, descritto
schematicamente in Fig. 19 e che consiste nell'applicare direttamente alla guaina
del cavo la tensione ausiliaria VCOM vista in precedenza. In questo modo, essendo
V A ≈ VB le capacità parassite ad esempio del cavo A vengono alimentate con una
V + VB
) ≈ 0 e pertanto la loro influenza é quasi del tutto
tensione pari a (V A − A
2
annullata. Analogo discorso per il cavo B. In altre parole questa tecnica non
16
elimina i disturbi, ma impedisce al cavo di sfasarli.
Fig. 19: Pilotaggio della guaina.
14.-Pilotaggio del corpo del trasduttore.
Una tecnica alternativa del pilotaggio della calza è il pilotaggio del corpo del
trasduttore (bootstrapping). Questa metodo è impiegata quando non è possibile
collegare il trasduttore con un cavo schermato e l’unica possibilità per
minimizzare l’effetto dei disturbi è la loro eliminazione per quanto possibile. In
questo caso la tensione VCOM =(VA +VB )/2 viene amplificata il più possibile e
riapplicata con segno invertito al corpo del trasduttore, supposto sede dei disturbi.
Si tratta in pratica di controreazionare il disturbo in modo da minimizzarne
l’entità. È una tecnica usata ad esempio in campo medico nel rilievo
dell’elettrocardiogramma, come mostrato in Fig. 20
Fig. 20: Pilotaggio del corpo.
15.-Autoazzeramento.
Un'altra prestazione essenziale di un amplificatore di misura consiste nella
possibilità di correzione automatica della deriva termica della condizione di zero.
Quando infatti il segnale é assente occorre che la tensione in uscita sia
rigorosamente nulla anche se in pratica ciò non si verifica mai a causa delle
inevitabili derive termiche dei componenti. Normalmente l’azzeramento si può
17
effettuare manualmente aggiustando il valore di una delle due tensioni di
alimentazione fino a che la tensione in uscita, in assenza di segnale, é nulla. Tale
procedura può essere automatizzata impiegando il circuito di Fig. 21.
Fig. 21: Circuito di autoazzeramento.
Come si vede un circuito integratore di segnale provvede alla tensione di
alimentazione positiva dell'amplificatore. Applicando ad istanti prestabiliti e che
non interferiscano con il procedimento di misura, il segnale di uscita con tensione
di ingresso nulla all'integratore si effettua una correzione della tensione di
alimentazione che permette di annullare la deriva termica della condizione di
zero.
16.-Amplificatori di isolamento.
Un problema che spesso si incontra nel campo delle misure industriali é quello di
amplificare un segnale fornito da un trasduttore avente un riferimento di tensione
diverso da quello dei circuiti di acquisizione e di elaborazione. Tale situazione é
pressoché generalizzata nel campo medico in cui é essenziale proteggere il
paziente da eventuali pericolosi malfunzionamenti dei circuiti di monitoraggio e
registrazione. Un altro esempio é quello della misura della corrente che attraversa
un carico con entrambi i morsetti fuori massa.
In questi casi si fa uso di un amplificatore di isolamento che permette di
ottenere una tensione proporzionale al segnale utile pur senza un collegamento
diretto tra il circuito di acquisizione e il sensore. Un esempio tipico di
amplificatore di isolamento è il cosidetto amplificatore ad accoppiamento ottico il
cui schema è riportato in Fig. 22. Per uno studio dettagliato del circuito si può fare
l'ipotesi che esista il seguente legame analitico approssimato tra corrente di fotodiodo e la corrente di collettore del foto-transistor:
I c = kI Dn
n≅2
Tenendo allora conto che l’ingresso dell’amplificatore operazionale posto a
18
destra si comporta come un corto circuito virtuale, si ha Rc1 I c1 = Rc 2 I c 2 da cui
segue:
Rc 1 k 1 (
Vin
V
+ I 1 ) n1 = Rc 2 k 2 ( out + I 2 ) n2
R1
R2
Allo scopo di garantire che per tensione di ingresso nulla si abbia tensione di
uscita nulla, occorre scegliere le resistenze poste sui collettori dei transistor in
modo da soddisfare alla condizione
Rc1k1 ( I 1 ) n1 = Rc 2 k 2 ( I 2 ) n2
In pratica ciò si ottiene automaticamente in sede di realizzazione del circuito
monolitico, aggiustando i valori delle due resistenze a mezzo di un fascio laser che
ne assottigli il profilo (laser trimming). Una volta sodisfatta la condizione di zero,
la tensione di uscita dell'amplificatore assume la espressione:
n
Vout
1
V
= R2 I 2 [1 + ( in + 1) n2 ]
R1 I 1
Poiché il valore del rapporto n1/n2 può discostarsi anche in modo sensibile da 1, il
guadagno risulta lineare solo per piccoli segnali. In questa ultima ipotesi si ottiene
infatti:
n R I
Vout = 1 2 2 Vin
n 2 R1 I 1
Fig. 22: Amplificatore ad accoppiamento ottico (notare le masse differenti).
Per quel che riguarda infine il comportamento dinamico, si può dire che esso é più
che soddisfacente nella maggioranza dei casi; in pratica si raggiunge un prodotto
guadagno per larghezza di banda dell'ordine di 10 MHz.
19
17.-Zero Crossing detector.
Un circuito che si usa spesso in pratica è il rivelatore di passaggio per lo zero di
forme d’onda. Il dispositivo impiega un comparatore che commuta quando la
tensione attraversa lo zero all’istante t1 ed un altro comparatore che, tramite un
flip-flop che commuta sul fronte di discesa del clock, inibisce il primo durante la
fase iniziale in cui la tensione in ingresso non ha ancora assunto valori
significativi. Lo schema e le forme d’onda sono riportate in Fig. 23.
Fig. 23: Schema e forme d’onda nel circuito rivelatore di zero crossing.
La tensione V1 in uscita al primo comparatore si annulla segnalando
l’attraversamento dello zero e contemporaneamente resettando il Flip-Flop ed
inibendo il primo comparatore. In questo modo la tensione V1 presenta un
impulso strettissimo il cui fronte di discesa coincide con l’istante t1
18.-Trasduttori di posizione.
Quando si vuol spostare un dispositivo qualsiasi, per esempio il braccio mobile di
un robot o la piattaforma mobile di una macchina utensile si deve porre un
trasduttore rotativo o lineare, direttamente su di esso. Esiste quindi una grande
varietà di dispositivi caratterizzati da precisione e campo di impiego i più svariati.
Vi sono trasduttori rotativi e lineari analogici che codificano lo spostamento sotto
forma di una grandezza (tensione, fase ecc.) variabile con continuità, così come
esistono trasduttori che codificano in forma binaria lo spostamento in modo da
renderlo direttamente utilizzabile dai dispositivi di calcolo digitale che
normalmente si usano nelle applicazioni.
19.-Il trasduttore lineare a trasformatore differenziale (LDVT)
Uno dei dispositivi più diffusi, anche in virtù della sua semplicità ed economicità,
è il cosidetto trasduttore lineare a trasformatore differenziale (LDVT) la cui
20
struttura realizzativa e lo schema equivalente sono riportati in Fig. 24.
Fig. 24: Struttura di un LDVT.
Come si vede, esso è costituito da un nucleo mobile che accoppia magneticamente
due secondari eguali ad un unico primario. Quando il nucleo si trova in posizione
centrale le tensioni indotte sono eguali e quindi la loro differenza è zero. Quando
invece il nucleo si sposta verso uno dei due secondari ne innalza la tensione a
scapito dell’altro secondario per cui la somma algebrica delle tensioni cresce con lo
spostamento.
Fig.25: Tensioni raddrizzate proporzionali allo spostamento.
Normalmente si alimenta il primario a frequenza dell’ordine del kHz e si
raddrizza la tensione differenza o con un normale demodulatore ad inviluppo o
con un raddrizzatore sincrono, ottenendo così le tensioni in uscita mostrate in Fig.
25.
A differenza del demodulatore ad inviluppo, che da solamente il modulo della
tensione sinusoidale in uscita, il raddrizzatore sincrono è un moltiplicatore che
effettua il prodotto tra la tensione di ingresso di ampiezza costante V0 e quella di
uscita di ampiezza xV1 proporzionale allo spostamento:
V1 x cos ωtV0 cos ωt =
1
1
V1V 0 x + V1V0 cos 2ωt
2
2
In tal modo si ottiene un termine proporzionale all’ampiezza con segno (curva
21
tratteggiata) dello spostamento x (il termine di frequenza doppia verrà eliminato a
mezzo di un filtro passa basso). Come si vede il dispositivo in questione ha un
campo di utilizzo abbastanza limitato dato che per forti spostamenti la sua
caratteristica si incurva allontanandosi dalla linearità.
20.-Syncro-resolver.
Il syncro-resolver è un trasduttore rotativo analogico realizzato a mezzo di un
rotore e uno statore su i quali sono disposti due avvolgimenti a 90 gradi, come è
indicato in Fig. 26.
Fig. 26: Struttura di un syncro-resolver.
L'apparecchiatura di Fig. 26 si presta a generare un segnale sinusoidale modulato
sia in fase, sia in ampiezza a seconda delle esigenze.
a) generatore di segnale modulato in fase.
Si supponga di alimentare gli avvolgimenti di rotore con due tensioni di
ampiezza eguale ma sfasate di 90 gradi:
Vaà = V0 senωt
Vbb' = V0 cosωt
I campi magnetici che ne conseguono inducono sugli avvolgimenti delle f.e.m. la
cui ampiezza è funzione del valore attuale dell'angolo di rotazione. Supposto in
particolare un rapporto spire unitario tra avvolgimenti di statore e di rotore si ha:
VAÀ = V0 cosθ senωt - V0 sinθ cosωt
VBB' = V0 sinθ sinωt + V0 cosθ cosωt
Tenendo presente le note formule trigonometriche per il calcolo del seno e coseno
della somma di due angoli si ottiene:
VAÀ = V0 sen(ωt-θ)
VBB' = V0 cos(ωt-θ)
cioè due segnali sinusoidali la cui fase coincide con l’angolo di rotazione θ del
rotore rispetto allo statore.
22
b) generatore di segnale modulato in ampiezza.
Si supponga ora di alimentare gli avvolgimenti di rotore con due tensioni
sinusoidali Vaà = V1 sinωt e Vbb' = V2 sinωt in fase tra di loro ma con ampiezze
diverse. In questo caso si ha:
VAÀ = V1 cosθ senωt – V2 sinθ sinωt
VBB' = V2 sinθ sinωt + V1 cosθ sinωt
Se a questo punto si suppone che sia V1 = V0 sinθ0 e V2 = V0 cosθ0 si ottiene:
VAÀ = V0 sen(θ0-θ) sen(ωt)
VBB' = V0 cos(θ0-θ) sen(ωt)
cioè due segnali sinusoidali la cui ampiezza dipende dalla differenza tra un angolo
θ0 prefissabile arbitrariamente e l'angolo di rotazione attuale θ.
21.-Inductosyn.
L'inductosyn si può ritenere la versione lineare del syncro resover. Esso infatti è
costituito da un conduttore disposto ad onda quadra inserito in un supporto
isolante, che funge da regolo fisso, come è indicato in Fig. 27, sopra il quale scorre
un cursore con due conduttori separati disposti a loro volta ad onda quadra e
sfalsati tra di loro di n-1/4 periodi.
Fig. 27: Struttura dell'Inductosyn.
Quando il cursore è sovrapposto al regolo in modo che i piani dei rispettivi
conduttori siano paralleli e molto ravvicinati (di solito distano 0.25 mm.) e si fanno
circolare due correnti sinusoidali I1 e I2 negli avvolgimenti del cursore, esse
inducono nel circuito del regolo delle tensioni la cui ampiezza è funzione del
mutuo spostamento x.
Si consideri infatti la Fig. 28 in cui è riportato per semplicità un tratto unico per
ciascun conduttore aa’ e bb' del cursore insieme con la coppia sottostante di fili più
vicini del regolo. Osservando tale figura e tenendo conto che le f.e.m. indotte su
due fili contigui dell'avvolgimento AA’ si sommano algebricamente, si può
23
concludere che quando la distanza x è eguale a 0 o a T/2 la tensione indotta dalla
corrente I1 su AA’ è massima e viceversa è nulla per x=T/4. Essa è di ampiezza
circa cosinusoidale al variare di x, mentre quella causata da I2 ha ampiezza
sinusoidale a causa dello sfalsamento (n-1/4)T tra le due disposizioni ad onda
quadra del cursore. In pratica, tenendo conto che per tutti gli altri tratti di
conduttore di aa’ e bb' vale un ragionamento analogo, si può scrivere:
dI
dI
2πx
2πx
) − 2 sin(
)]
V AA' = k [ 1 cos(
dt
T
dt
T
in cui k è una costante dipendente dalle dimensioni geometriche del dispositivo.
Analogamente al caso del resolver si possono ottenere due tipi di segnali, uno
modulato in fase e l'altro modulato in ampiezza.
Fig. 28: Particolare dell'avvolgimento.
L'indicazione dell'inductosyn è priva di ambiguità in un intervallo limitato,
come verrà chiarito in seguito parlando dei servoposizionatori che ne fanno uso;
esso va perciò montato in coppia con un indicatore grossolano (di solito un
syncro-resolver) che serve a posizionare l’organo mobile in prossimità dalla quota
desiderata dopodichè l’inductosyn permette il raggiungimento di essa con la
precisione dell'ordine del micron. Esistono inoltre speciali inductisyn detti a tre
piste che sono autosufficienti essendo formati dalla unione di tre inductosy
separati aventi periodi pari a T1 = 2 mm. (pista fine), T2 = 200 mm. (pista media) e
T3 = 1200 mm. (pista grossolana)
22.-Codificatori digitali di posizione.
Questi dispositivi sono dei veri e propri trasduttori digitali di posizione perché
convertono direttamente lo spazio angolare (o quello lineare) in un numero
rappresentato elettricamente in forma binaria. Il tipo più semplice di codificatore è
quello che fa uso di elementi fotosensibili (fotodiodi o fototransistori) che ricevono
24
luce attraverso fessure disposte opportunamente in un disco opaco come mostrato
in Fig. 29. Il numero di fotodiodi (e di piste) corrispondenti dipende dal potere
risolutivo desiderato. I codificatori digitali ora descritti presentano uno svantaggio
che è legato sia alla loro struttura sia al codice utilizzato. Il rilevamento della
posizione presenta delle ambiguità negli istanti in cui due o più tracce danno
luogo ad una commutazione. Benché infatti le fessure siano realizzate con la
massima cura allo scopo di ottenere un perfetto allineamento, le commutazioni
inevitabilmente non avvengono nello stesso istante ma con piccoli ritardi l'una
rispetto all’altra dando luogo all’apparizione di valori binari errati.
Fig. 29: Trasduttore digitale fotoelettrico.
Ciò provoca una incertezza di lettura che può portare a gravi conseguenze e che
deve quindi essere assolutamente eliminata. A tale scopo si utilizza il codice Gray
nel quale si passa da un valore binario al successivo mediante la variazione di un
solo bit alla volta.
A titolo di esempio in Fig. 30 sono riportati gli oscillogrammi del codice Gray a
tre cifre.
Fig. 30: Struttura di codice Gray.
Il codice Gray è spesso detto riflesso perché, se si esclude la pista più
significativa, gli oscillogrammi sono simmetrici rispetto ad un asse verticale.
Come si vede il passaggio da una cifra decimale alla successiva non può essere
mai ambiguo in quanto avviene con una sola variazione alla volta.
25
Ovviamente le cifre binarie in codice gray debbono venire tradotte in codice
binario normale prima di essere utilizzate da un dispositivo di controllo digitale.
Ciò si ottiene con la formula ricorsiva:
bi = g i ⊕ bi +1
dove gi è l’iesima cifra gray e bi è la corrispondente binaria pura. Le due cifre più
significative coincidono e cioè si ha bn = gn.
Il codice Gray presenta però alcuni svantaggi. Anzitutto esso deve essere
tradotto in binario per renderlo comprensibile al dispositivo di controllo. Inoltre a
causa del fatto che l’ultimo oscillogramma non rispetta la simmetria, due o più
codificatori di tipo Gray non possono essere posti in cascata, come è invece
possibile fare nel caso dei dispositivi che usano il codice binario naturale.
23.-Posizionamento digitale.
Nel sistema sistema di posizionamento qui descritto usato largamente nel campo
delle macchine utensili a controllo numerico, si sfrutta il segnale modulato in fase
proveniente da un syncro resolver o inductosyn confrontandolo con un segnale di
riferimento la cui fase dipende dalla quota che si vuole raggiungere. Lo schema a
blocchi del dispositivo è quello di Fig. 31.
Fig. 31: Schema a blocchi di servoposizionatore digitale.
I contatori A e B che compaiono in Fig. 31 sono di solito di tipo binario a n FlipFlop dove n è il numero di cifre binarie che compongono il valore numerico della
quota che si desidera raggiungere. Ciascun Flip Flop è presettabile a 0 o 1 in modo
che il contatore può essere fatto partire con un ben determinato contenuto
26
numerico (binario) iniziale. In tal modo, se ω0 rappresenta la frequenza del segnale
di clock utilizzato, la tensione in uscita della catena di Flip-Flop si può
rappresentare a mezzo dalla relazione (Q(t) stà ad indicare un'onda quadra):
ω t + 2πN
Vout = Q[ 0 n
]
2
essendo N un numero binario le cui cifre costituenti sono i valori a cui erano stati
presettati i rispettivi Flip Flop.
A questo punto il funzionamento del circuito di Fig. 31 risulta abbastanza
ωt
evidente: infatti il contatore A ad n Flip Flop viene presettato a 0 e l'uscita Q[ 0n ]
2
va al formatore che ricava i due segnali V0 sin
ω0
2
n
t e V0 cos
ω0
2n
t necessari per
ω0
t + θ ] in
2n
cui θ è l'angolo di cui è ruotato il resolver rispetto ad un riferimento prestabilito.
pilotare il resolver. All'uscita di quest'ultimo si ritrova il segnale V0 sin[
ω0
t + θ ] e viene
2n
confrontata con quella in uscita del contatore B che era stato presettato sul numere
binario N legato alla quota da raggiungere. Il comparatore di fase fornisce infine in
uscita una tensione proporzionale alla differenza (θ - 2πN/2n) la quale viene
assunta come tensione di errore per guidare il motore che fa avanzare l'organo
mobile. Ammesso che la quota finale da raggiungere corrisponda al valore θ0, il
valore binario da impostare sul contatore presettabile è dato dalla relazione N0 =
2n θ0/(2π). Per quel che riguarda il comparatore di fase esso deve assolvere alla
particolare funzione di confrontare le fasi di due onde quadre indicando anche se
il segnale di riferimento anticipi o ritardi quello di comando in modo da poter
stabilire il verso necessario di rotazione del motore. Ciò si ottiene ad esempio con
un circuito come quello indicato in Fig. 32 che data la sua semplicità non necessita
di ulteriori spiegazioni.
L'uscita del resolver vienetrasformata nell'onda quadra Q[
Fig. 32: Struttura del comparatore di fase.
27
Per quel che riguarda il campo di funzionamento del dispositivo di
posizionamento ora descritto esso è limitato ad una rotazione completa del
syncro-resolver dato che non è possibile distinguere la generica fase θ dalla fase θ
+ k2π. Detto allora d0 l'escursione totale lineare dell'organo mobile espressa in
metri, che corrisponde per quanto detto a θ0 = 2π cioè al numero N=2n presettato
sul contatore, il minimo spostamento ottenibile risulta essere ∆d0 = d0/2n. Da tale
relazione risulta che per raddoppiare la precisione relativa d0/∆d0 basta aumentare
di una sola unità il numero dei contatori binari. Questa possibilità però è più
apparente che reale dato che a partire da un certo valore di d0/∆d0 in poi né il
resolver né il comparatore sono in grado di discriminare la variazione di fase
minima corrispondente ∆θ0 = 2π(∆d0 /d0) A tale limitazione si ovvia utilizzando un
secondo resolver (resolver fine) eguale al precedente ma opportunamente
demoltiplicato rispetto al primo (resolver grossolano).
24.-Trasduttori incrementali.
Si tratta di una classe particolare di dispositivi che codificano lo spostamento
(angolare o lineare) sotto forma di una serie di impulsi di tensione. Ad ogni
impulso corrisponde uno spostamento elementare ∆d0 del cursore rispetto al
regolo fisso; normalmente il valore di ∆d0 si aggira intorno a valori dell’ordine del
micron. Se perciò si conta il numero di impulsi a mezzo di un contatore digitale si
ottiene un valore numerico che moltiplicato per ∆d0 fornisce direttamente lo spazio
percorso dal cursore a partire dall'inizio del conteggio.
Fig. 33: Trasduttore incrementale rotativo .
28
Naturalmente in questo modo l'indicazione ottenuta non è assoluta e la precisione
dipende anche dall'affidabilità del contatore che deve essere reso il più possibile
immune dai disturbi. La struttura di un trasduttore incrementale rotativo è
riportata in Fig. 33. In Fig. 34 viene inoltre riportata in dettaglio la parte fissa e
quella mobile insieme con le tensioni raccolte dai trasduttori elettronici impiegati
(fotodiodi al Silicio). I segnali V1-V2 e V3-V4 sono di forma sinusoidale e vengono
poi trasformati in onde quadre per il conteggio.
Fig. 34: Particolari del trasduttore e tensioni raccolte dai fotodiodi.
Si noti come la presenza di due segnali sfasati di 90° permettano l’uso di contatori
up-down in modo da incrementare o decrementare il conteggio a seconda che ci si
sposti verso destra o verso sinistra.
25.-Tecniche di controllo strutturale dei materiali.
Esistono varie tecniche che permettono di verificare se le caratteristiche strutturali
di un pezzo lavorato soddisfano a certe specifiche. Quelle non distruttive
permettono di ottenere delle informazioni sulle condizioni di un pezzo metallico
senza esigerne il sacrificio e pertanto invece che ad un campione ristretto, come
nel caso dei test distruttivi, possono essere applicate alla totalità dei pezzi prodotti.
Naturalmente esiste un'ampia varietà di metodi tra le quali si ricordano quelli
acustici (ultrasuoni) ed anche quelli termici in cui viene misurato il flusso di calore
attraverso il pezzo da controllare. Tuttavia i più usati sono certamente quelli che
fanno uso dell'energia elettromagnetica introdotta nel pezzo a varie frequenze
dalle più basse (metodo magnetico) alle medie (correnti parassite) fino alle più alte
(raggi X e gamma).
26.-Controllo strutturale mediante correnti parassite.
Esso si usa nella manutenzione delle apparecchiature più svariate per verificare,
dopo un certo periodo di esercizio, le condizioni di un manufatto e quindi la sua
resistenza residua all'usura, alla fatica ecc. È possibile anche il controllo continuo
di un pezzo durante tutte le fasi della sua lavorazione per verificare quale fase ne
29
può eventualmente pregiudicarne l'integrità.
Il materiale da controllare è portato vicino ad una bobina la quale produce un
campo magnetico alternativo ad alta frequenza che penetra all'interno del
materiale conduttore e induce delle correnti.
Fig. 35: Alterazioni delle correnti indotte a causa di imperfezioni.
Come è mostrato in Fig. 35, la distribuzione di queste correnti è alterata da
inomogeneità poste in superficie (cricche) o all'interno (inclusioni) del pezzo in
esame; tali imperfezioni possono quindi essere rivelate da una apposita bobina
posta in prossimità della zona in cui si generano le correnti parassite e che ne
misura il flusso risultante.
L'entità e la distribuzione delle correnti parassite in un materiale dipende
essenzialmente dalla sua conducibilità σ, dalla sua permeabilità magnetica µ nonché
dalla sua forma geometrica. In queste dispense si farà riferimento quasi
esclusivamente al caso di un cilindro metallico di estensione illimitata, dato che
esso, oltre ad avere notevoli applicazioni pratiche, si presta facilmente ad uno
studio analitico.
Si consideri allora il caso di un cilindro metallico di raggio r0 posto all'interno di
una bobina percorsa da corrente sinusoidale a frequenza f (e pulsazione ω=2πf),
come mostrato in Fig. 36.
Fig. 36: Dispositivo per la generazione di correnti parassite.
30
Come si vede la bobina eccitatrice provoca un campo magnetico uniforme H0 cui
si contrappone il campo H1 generato dalle correnti parassite indotte. Le equazioni
che regolano l'andamento della corrente e dell'induzione all'interno di un
conduttore sono la legge di Ohm e le equazioni di Maxwell. Applicando tali
relazioni al caso del conduttore cilindrico (i particolari del calcolo sono omessi per
semplicità), si ottiene la seguente espressione dell'induzione magnetica all'interno
del conduttore:
I ( kr )
B( r ) = B( r0 ) 0
I 0 ( kr0 )
dove I0 è la funzione di Bessel modificata di prima specie e di ordine zero e k è un
parametro (numero complesso) dipendente dalla conducibilità e permeabilità del
materiale e dalla frequenza impiegata, avente l'espressione:
k = iωσµ
La distribuzione dell'ampiezza dell'induzione magnetica lungo il raggio r è
mostrata graficamente in Fig. 37 per diversi valori della frequenza della corrente
induttrice e del parametro caratteristico k. Il fenomeno descritto in figura, che è
noto come effetto pelle, in quanto l'intensità della induzione magnetica B(r) che ne
consegue, si riduce man mano che si penetra in profondità nel materiale.
Fig. 37: Andamento dell'induzione all'interno di un conduttore cilindrico
31
Indicando allora con Φ il flusso complessivo che attraversa il conduttore (in senso
assiale) si può scrivere:
Φ = πr02 B ( r0 ) µ eff
essendo:
µ eff = 2 ∫
r0
0
B( r ) r
dr
B( r0 ) r02
un parametro adimensionale, detto anche permeabilità efficace. Quest'ultimo, che è
una grandezza complessa, si può esprimere a mezzo della relazione:
I ( kr )
µ eff = 2 1 0
kr0 I 0 ( kr0 )
dove I1 è la funzione di Bessel modificata di prima specie e di ordine 1.
Come si vede l'espressione di µeff dipende attraverso il parametro k dalle
caratteristiche fisiche del cilindro. È però possibile normalizzare tale espressione
rendendola indipendente dal particolare tipo di conduttore preso in
considerazione introducendo la frequenza f0, detta frequenza limite, in
corrispondenza della quale il modulo del prodotto kr0 assume valore 1. Si ha
1
f
infatti f 0 =
da cui segue kr0 =
essendo f la frequenza della corrente
2
2πr0 µσ
f0
della bobina induttrice. In Fig. 38 è riportato l'andamento nel piano complesso
della permeabilità efficace di un materiale conduttore paramagnetico qualsiasi al
variare del rapporto f/f0.
Si supponga ora che intorno al cilindro metallico, oltre alla bobina di induzione,
venga disposto un avvolgimento secondario di n2 spire e di raggio r1.
Fig. 38: Permeabilità efficace al variare della frequenza.
La tensione indotta nell'avvolgimento secondario si può allora considerare
32
composta da due parti: quella dovuta all'induzione magnetica entro il cilindro
conduttore e quella dovuta all'induzione magnetica nella restante sezione libera.
La f.e.m. totale è quindi data dalla relazione:
E = ωn2πr02 B( r0 ) µ eff + ωn2π ( r12 − r02 ) B( r0 )
Introducendo il fattore di riempimento γ, definito come rapporto tra i quadrati del
raggio r0 del campione e quello r1 della bobina secondaria l'espressione della
tensione indotta sulla bobina secondaria si può riscrivere nella forma:
E = E0 [γµ eff + 1 − γ ]
avendo posto E0 = ωn2πr02 B( r0 )
L’andamento del rapporto E/E0 per vari valori di γ è riportato in Fig. 39. In tale
figura è riportata una famiglia di curve al variare del fattore di riempimento. Le
curve a tratteggio corrispondono alla situazione fisica di un cilindro con raggio
variabile interessato da correnti a frequenza fissa. In altre parole le curve
tratteggiate corrispondono all'andamento della tensione indotta sul secondario
nell'ipotesi di far variare il raggio r0 del pezzo cilindrico in esame da 0 a r1 (ossia il
fattore di riempimento γ da 0 a 1).
Fig. 39: Tensione normalizzata indotta sull'avvolgimento secondario per diversi
valori del coefficiente di riempimento γ. Curva (a): materiale
diamagnetico. Curva (b): materiale ferromagnetico.
33
Osservando la precedente figura si nota un fatto piuttosto importante: supposto
infatti di far scorrere la bobina secondaria lungo il cilindro in prova, una
variazione delle sue dimensioni (cioè del raggio) o una variazione delle
caratteristiche fisiche del materiale (conducibilità, permeabilità) provocano effetti
distinguibili. Più precisamente effetti di variazione strutturale (diametro) e di
caratteristiche fisiche (conducibilità) danno luogo a variazioni in diversa direzione
nel piano complesso della tensione della bobina secondaria. Questo fatto può
venire sfruttato per rivelare l'entità di variazioni di raggio separatamente da quelle
di conducibilità (o di permeabilità). Scegliendo opportunamente il valore del
rapporto f/f0 è possibile fare in modo che le curve tratteggiate (dovute a variazione
strutturali) e quelle continue (dovute a variazione di parametri fisici) siano
inclinate di 45° nel piano complesso di Fig. 40 in modo che i due effetti siano
nettamente separati.
Fig. 40: Angolo tra curve a diametro variabile e a conducibilità variabile per il
grafico di Fig. 39 a).
Come si può vedere osservando la Fig. 40 questo fatto si verifica soprattutto alle
più alte frequenze. Tuttavia la scelta di una frequenza di test troppo elevata non è
conveniente perché, a causa dell'effetto pelle, l'esame del materiale si limiterebbe
alla sua superficie e quindi non sarebbe in grado di rivelarne i difetti in
profondità. Per tale motivo si usa normalmente un campo di frequenze che va da
10 a 50 volte la frequenza limite.
La Fig. 39 a) e b) mette anche in evidenza la notevole diversità del risultato
ottenuto a seconda che i materiale in esame sia ferromagnetico o diamagnetico.
Questa difficoltà può essere aggirata sovrapponendo al campo magnetico variabile
un campo continuo molto intenso che, come mostrato in Fig. 41, satura il materiale
e in pratica lo trasforma in un materiale paramagnetico per cui vale sempre la Fig.
39 a).
34
Fig. 41: Dispositivo con magnete di saturazione.
27.-Impiego pratico del metodo.
Allo scopo di misurare separatamente gli effetti dovuti a variazione nelle
dimensioni (diametro) e nella conducibilità occorre fare uso di una disposizione
circuitale, come ad esempio quella di Fig. 42, in cui la tensione misurata sia eguale
alla differenza tra quella dovuta ad un cilindro di riferimento e quella nel cilindro
sotto test. In questo modo si ottengono solo quelle variazione di tensione la cui
fase permette di risalire alla natura esatta del difetto quale ad esempio porosità,
cricche ecc.
Fig. 42: Circuito per il rilevamento delle variazioni.
Per esempio in Fig. 43 è riportato schematicamente l'effetto dovuto ad una
variazione di diametro (vettore 1 e 2), quello dovuto ad una variazione di
conducibilità (vettore 3) ed infine quello dovuto ad una cricca superficiale che
provoca un effetto intermedio e che quindi può essere pensata come un effetto
composito dei due precedenti (vettore 4).
Le variazioni in questione vengono inviate alle placche verticali di un
oscillografo, come mostrato in Fig. 43, mentre a quelle orizzontali viene applicata
una tensione in fase con quella che alimenta la bobina induttrice primaria.
35
Fig. 43: Variazioni di tensione indotta per cause diverse e dispositivo di
rilevamento.
Quest'ultima tensione può essere però ruotata di fase con un opportuno sfasatore
in modo da allinearsi con uno dei vettori di Fig. 43. Se ad esempio essa si allinea
con il vettore di variazione del diametro, si ottiene sullo schermo una linea retta o
una ellisse a seconda che l'effetto di variazione sia rispettivamente dovuto ad una
variazione di diametro o di conducibilità. In definitiva si sfasa in modo da far
apparire sempre una retta sullo schermo oscillografico e poi dalla entità dello
sfasamento si deduce la natura del difetto.
In molte applicazioni pratiche non è possibile utilizzare una bobina che
contiene il materiale conduttore, come nel caso del cilindro visto in precedenza. Si
usa allora una coppia di bobine inserite in un nucleo di ferrite ad olla, come è
mostrato in Fig. 44.
Fig. 44: Rilevamento di difetti con bobina esterna.
Naturalmente i concetti relativi al piano complesso della corrente indotta valgono
ancora, seppure con qualche modifica. In particolare al posto del fattore di
36
riempimento γ si considera la distanza testina-superficie. Anche in questo caso
difetti di natura diversa danno luogo a variazioni di segnale con fase diversa e ben
determinata.
Va notato infine che la distribuzione delle correnti parassite interessa un
volume molto ristretto per cui il test che si effettua è di tipo localizzato e permette
quindi di rilevare difetti su viti, bulloni, dadi ed altri particolari miniaturizzati,
inseriti in strutture più ampie come l'ala di un aeroplano o il contenitore di un
reattore nucleare ecc.