Fattore 4 - Motivazione ad Apprendere

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Fattore 4 - Motivazione ad Apprendere
Tra tutti i fattori psicologici che
determinano il comportamento, è
importante ricordare il ruolo
fondamentale della motivazione.
Il termine “motivazione” conserva
nel linguaggio psicologico come
in
quello
comune,
una
sostanziale
indeterminatezza
(Passolunghi e De Beni, 2000). E’
riferito
a
processi
e
comportamenti
abbastanza
eterogenei secondo le teorie cui
fa
riferimento:
tendenza
organismica alla soddisfazione
dei
bisogni,
desiderio
di
conoscenza e/o esplorazione,
desiderio di riuscire, motivazione
alla competenza, ecc..
Inizialmente Freud propose che
gli esseri umani possedessero fin
dalla nascita pulsioni o istinti
biologici di base. Questi motivano
Figura 2
i
singoli
comportamenti
in
Modello a piramide dei bisogni di Maslow
funzione della riduzione della
tensione scatenata dal mancato
appagamento di una necessità organica o psicologica innata.
In ottica comportamentista, la mente dell’individuo era una tabula rasa che si costruiva
nell’interazione con l’ambiente, imparando associazioni stimolo-risposta in funzione di un
rinforzo a valenza edonica. La motivazione era la capacità di un rinforzo di evocare la
risposta associatagli.
Maslow e Rogers proposero che gli esseri umani possedessero una naturale propensione
alla crescita o all’autorealizzazione e che apprendimento, sviluppo e/o altri esseri umani
facilitassero questa crescita. La motivazione era la manifestazione di tendenze o bisogni
primari rinforzati/ostacolati dall’ambiente. I bisogni e le motivazioni a soddisfarli erano in
competizione fra loro per emergere nella corsa all’appagamento secondo una gerarchia
definita. Tale gerarchia assegnava ad ogni bisogno una priorità secondo l’importanza per la
sopravvivenza dell’individuo. Nel caso un bisogno di base sia insoddisfatto, la corsa alla
soddisfazione dei bisogni superiori s’interrompe per consentirne la realizzazione. Una volta
appagato cede di nuovo il controllo al bisogno frustrato più urgente fra quelli presenti
nell’individuo (Darley, Glucksberg, Kinchla, 1991b).
Dal punto di vista cognitivista, rivolto al ruolo attivo del soggetto conoscente e allo studio
dei processi mentali, la motivazione è direttamente legata ed influenzata dalle convinzioni
dell’individuo, che si formano nella sua interazione attiva con l’ambiente. Tali convinzioni
riguardano il valore, le abilità e le competenze che l’individuo si attribuisce, gli obiettivi e le
aspettative di successo/fallimento e i sentimenti collegati che derivano dai suoi processi
d’auto-valutazione.
Frequentemente si parla d’orientamento motivazionale, che considera il comportamento
motivato come prodotto di vari fattori cognitivi e affettivi che attivano e influenzano il
comportamento di un individuo orientato ad uno scopo (Passolunghi e De Beni, 200).
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Figura 3
Classificazione dei termini motivazionali di Murphy e ALexander (2000).
Le teorie socio-cognitive evidenziano l’importanza di fattori esterni nella motivazione quali il
sostegno sociale ed emotivo da parte di persone significative e ricompense ed incentivi
estrinseci (Mc Combs e Pope, 1994).
Nella letteratura sulla motivazione all’apprendimento, le definizioni che ne sono date
risentono inevitabilmente di questa molteplicità d’opinioni e d’orientamenti teorici che
pongono l’accento su un aspetto piuttosto che su un altro.
Attualmente, nel tentativo di definire che cosa s’intende per motivazione all’apprendimento,
è stata compiuta una meta-analisi dei lavori sull’argomento, da cui è emersa l’esistenza di
moltissimi termini motivazionali, ognuno con una propria connotazione, non sempre
esattamente definita (Murphy e Alexander, 2000).
In questa proliferazione e continua suddivisione del concetto di motivazione ad
apprendere, abbiamo scelto la seguente definizione per le implicazioni pratiche che ne
derivano:
“La motivazione ad apprendere può essere definita come il grado d’impegno cognitivo investito per il
raggiungimento d’obiettivi scolastici (Johnson & Johnson, 1989). Essa può anche essere intesa come il grado di
“serietà” con cui un allievo tenta di affrontare gli impegni e gli obiettivi scolastici con lo scopo di: a)
padroneggiare le conoscenze e le abilità piuttosto che fare il minimo e cavarsela; b) verificare apertamente lo
stato delle proprie conoscenze piuttosto che cercare di portare a termine il compito indipendentemente
dall’essere sicuro di avere realmente appreso qualcosa (Johnson & Johnson, 1985).”
(Gentile, 1998).
che rimanda ai concetti di motivazione di tratto/stato (Brophy e Kher, 1986) e motivazione
intrinseca/estrinseca.
La prima suddivisione può essere fatta in motivazione di tratto o di stato. Nel primo caso si
manifesta come disposizione generale che permette ad uno studente di percepire
l’apprendimento come un’attività intrinsecamente valida e soddisfacente, d’impegnarsi in
essa con lo scopo di padroneggiare le abilità e le conoscenze da acquisire e a sperimentarla
come gratificanti in sé.
Nella seconda accezione spinge gli studenti ad impegnarsi nelle attività di classe e ad
attivare le strategie richieste, senza implicare la percezione d’interesse o gratificazione
quanto un senso di dovere, di impegno e di responsabilità (Lee e Brophy ,1996).
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Queste concezioni si avvicinano a quelle della seconda suddivisone: motivazione
intrinseca vs. estrinseca. A livello generale la motivazione intrinseca è quella che sostiene un
comportamento in assenza di rinforzo. A livello scolastico si esprime in un riconoscimento
personale, da parte dell'allievo, dell'importanza che riveste per lui quel tipo d’acquisizione,
con conseguente investimento spontaneo d’energie e comportamenti diretti alla meta. La
seconda per il fatto che viene sostenuta dall'esterno attraverso l'uso sistematico di rinforzi
positivi. L'insegnante cerca di motivare l'alunno rinforzando le sue risposte che si orientano
nella direzione voluta attraverso vari tipi di stimoli positivi come la lode, l'approvazione
pubblica, varie forme di riconoscimento anche concrete, come piccoli premi o sistemi
complessi di gratificazioni simboliche.
In questi casi la motivazione dell'alunno è potenziata dalla presenza d’incentivi tatticamente
utilizzati dall'insegnante con la speranza di "agganciare" poi l'alunno alle motivazioni
intrinseche che la padronanza, nel frattempo acquisita, dovrebbe riuscire a fargli
sperimentare.
Il cambiamento auspicato è il passaggio da motivazione estrinseca ad intrinseca attraverso
un continuum che va dal primo al secondo, e non come uno switch bipolare fra i due estremi
(Deci, 1992).
Ne deriva l’idea che un impegno scolastico caratterizzato dal desiderio di comprendere e
padroneggiare i contenuti, si ottiene nella misura in cui si stabilisce una relazione positiva tra
variabili motivazionali e cognitive (Pellerey e Orio, 1995). L’interazione tra queste variabili
può facilitare o inibire i processi di pensiero e di conseguenza il rendimento scolastico
(Gentile, 1998).
Esempio molto evidente di rapporto tra variabili di natura motivazionale e cognitiva è la
rilevazione che gli studenti possiedono due classi opposte di motivazioni (Ames e Archer,
1988; Graham e Golan, 1991; Meece, Blumenfeld e Hoyle, 1988; Nicholls, 1989):
-
Desiderio di comprendere ed acquisire nuove conoscenze ed abilità.
Desiderio di ottenere giudizi e voti positivi, e di dimostrare di essere i primi della classe.
La prima motivazione, intrinseca, porta a credere che riuscire a scuola sia una questione
d’impegno e di padronanza dei contenuti, implicando pianificazione ed impegno al fine di
svolgere e portare a termine con pieno successo un compito. Chi possiede questa
motivazione più frequentemente elabora in profondità il contenuto da apprendere, ha più alti
livelli di consapevolezza metacognitiva, di persistenza di fronte agli ostacoli, di soddisfazione
in ciò che si fa, di disponibilità a scegliere compiti difficili e sfidanti (Gentile, 1998).
La seconda ha un valore estrinseco, l’apprendimento è visto come un mezzo per ottenere
riconoscimenti e gratificazione dagli insegnanti ed eccellere tra i compagni.
“In coloro nei quali domina la seconda motivazione, sono più, frequenti le azioni d’elaborazione superficiale del
contenuto, l’affidamento all'apprendimento mnemonico, la tendenza a scegliere compiti facili e ad evitare
compiti difficili e intellettualmente stimolanti (che potrebbero mettere in crisi le capacità attuali), la scarsa
persistenza di fronte alle difficoltà (Graham & Golan, 1991; Nicholls, 1989; Pintrich & De Groot, 1990).”
(Gentile, 1998).
La nostra spiegazione, oltre ad avere esposto alcune definizioni di motivazione ad
apprendere, ha messo in evidenza le implicazioni pratiche sui comportamenti finalizzati allo
studio e l’interazione fra motivazioni e altri costrutti cognitivi/affettivi dell’individuo.
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