LA PSICOLOGIA DEL GIOCO Sommario: 1. Una sintesi di apertura – 2. La psicologia del giocatore – 3. Psicologia del gioco d’azzardo – 4. Il giocatore d’azzardo fra patologia e intervento – 5. Una nota conclusiva. 1. UNA SINTESI DI APERTU RA Questo primo paragrafo si propone una sintesi degli approfondimenti che i paragrafi successivi vennero realizzati. In particolare verranno poi ulteriormente trattati i temi della psicologia del giocatore e della psicologia del gioco, nonché i temi connessi alla patologia ed al trattamento nelle diverse prospettive scientifiche. Il gioco è una forma di attività comune sia agli esseri umani che al mondo animale. Dagli studi etologici emerge come per gli animali esso abbia molteplici finalità, tra le quali possiamo individuare l’apprendimento, l’adattamento della specie al suo ambiente naturale e la costituzione delle relazioni fra gli individui. Nell’uomo l’attività ludica è ancora più complessa. Il gioco è un esercizio libero delle attività psichiche, fisiche e intellettuali, che corrisponde ad un bisogno primordiale, organico e psicologico. Assume infinite forme e svolge svariate funzioni: diventa un esercizio preparatorio ai diversi compiti dell’esistenza sul piano biologico, sociale, culturale; serve ad appagare i bisogni di controllo, di dominio, di autoaffermazione attraverso le sfide; serve a concedere svago, autogratificazione1. Una delle caratteristiche fondamentali del gioco è proprio l’aspetto divertente e gratificante attraverso cui il soggetto interrompe la routine quotidiana. Parte della letteratura psicosociale, che si è dedicata allo studio di questa tematica, lo intende come un’attività funzionale alla soddisfazione dei bisogni umani basilari; secondo Kusyzsyn2, la dimensione ludica riproduce le tre classiche esperienze psicologiche dell’individuo: quella cognitiva che si sviluppa nel prendere decisioni; quella intenzionale che si sviluppa nello scommettere e quella affettiva, come la speranza di vincere e la paura di perdere. I giocatori rivelano una libertà di scelta, essi decidono il proprio stile di partecipazione che diventa espressione della propria esperienza personale. L’incertezza dell’esito e il rischio procurano nell’individuo stimolazioni cognitive, fisiche ed emozionali. Il giocatore si pone volontariamente nelle mani dell’incertezza, del destino e si assume la responsabilità per il risultato e la responsabilità di giocarsi il proprio denaro. Il gioco rappresenta una zona intermedia fra realtà e fantasia, proprio perché non è né un puro fenomeno, né pura immaginazione. Per la costruzione di tale area è necessario che il giocatore concordi con se stesso e con gli altri giocatori i parametri del setting. Secondo De Sanctis Ricciardone3, il gioco deve essere un’attività regolata, ossia sottoposta a convenzioni che sospendono le leggi ordinarie e instaurano momentaneamente una legislazione nuova che è la sola a contare. Deve essere un’attività libera, a cui cioè si partecipa per scelta; e altresì una realtà separata, ossia circoscritta entro precisi limiti di tempo e di spazio fissati in anticipo. Inoltre deve essere un’attività incerta, il cui svolgimento non può essere determinato, né il risultato acquisito preliminarmente. Ed infine un’attività improduttiva, cioè che non crea né beni né ricchezza, né alcun altro elemento nuovo: salvo ovviamente uno spostamento di proprietà all’interno della cerchia di giocatori. Nel giocatore il pensiero magico si manifesta attraverso vari meccanismi cognitivi di negazione dell’azzardo, ovvero di negazione dell’ineluttabilità di un risultato attribuito al caso, tali meccanismi si possono articolare in maniera diversa, ma hanno in comune lo stesso bisogno, e cioè la negazione della possibilità del caso e l’idea megalomanica di poterlo determinare, controllare, prevedere: il desiderio di farsi vedere dal caso, di poter influenzare il destino. Uno dei modi è rappresentato dal ruolo attivo, ossia il giocatore pensa di poter influenzare il risultato del gioco e quindi che esso non dipenda solo dal caso. Carlevaro, 2002, p. 62. 1984; cit. in Lavanco, Varveri, 2001, p. 77. 3 1994; cit. in Lavanco, 2002, p. 154 1 2 1 Esso può essere individuato attraverso l’illusione del controllo di Langer4, essa è definita come «un’aspettativa di successo personale erroneamente alta rispetto a quanto l’obiettivo possa garantire». Si tratta di una distorsione cognitiva in cui le persone considerano eventi di tipo aleatorio come se fossero sotto il loro controllo; il gioco d’azzardo non verrebbe dunque percepito come un gioco di Alea, bensì di abilità. Sarchielli5 ritiene che l’attrazione del gioco stia proprio nel desiderio di «controllare l’incontrollabile». L’irrazionalità del pensiero di chi gioca è illustrabile dalla partecipazione di altre due variabili: il sensationseeking e il risk-taking oltre i fattori citati precedentemente. Il sensation seeking è stata individuata da Zuckerman6, egli la considera un tratto di personalità che sta alla base del comportamento di chi ricerca il rischio. L’autore, basandosi sull’assunzione secondo cui gli individui differiscono fra loro in base al «livello ottimale di attivazione», ha elaborato una scala generale di ricerca delle sensazioni, Sensation Seeking Scale. Agli individui piace il rischio di perdere denaro per il rinforzo positivo che traggono dagli stati di elevata attivazione che si verificano per l’attesa del risultato, sia in seguito alla stimolazione per la vincita7. Il risk-tahing8 cresce con l’aumento della familiarità degli individui con il gioco. Essi percepiscono le probabilità soggettive come molto più grandi rispetto alle probabilità oggettive, quindi sovrastimano le proprie probabilità di vincita. Un ulteriore concetto psicologico utile a spiegare il comportamento del giocatore è quello di locus of control di Rotter9, si tratta di un concetto che considera il grado in cui la gente pensa che il proprio sforzo, abilità o azione, in contrapposizione al caso o al destino, possa controllare o influenzare ciò che avviene. Nell’attività del gioco d’azzardo vi sono individui convinti che il caso o la fortuna siano in grado di determinare il corso della loro esistenza e i loro successi e che, per contro, la cattiveria è causa dei loro fallimenti; ma vi sono altri che in contrapposizione pensano di potere controllare gli eventi e la loro vita con sforzo e abilità. Il sistema di aspettative in situazioni come il gioco non è solo attivato da esperienze specifiche che si hanno in quella situazione, ma anche da esperienze precedenti percepite dal soggetto come simili. Per il gioco d’azzardo sembra che chi ha sviluppato un locus of control interno sceglierà soprattutto giochi di abilità, e chi ha un locus of control esterno i giochi di Alea; inoltre è più probabile che i soggetti con un locus interno siano più insistenti a giocare in seguito ad una sconfitta, percepita come conseguenza della loro abilità. Cesare Guerreschi (2000) suggerisce una distinzione tra sei gruppi di giocatori: Giocatori d’Azione con Sindrome da Dipendenza, per i quali giocare d’azzardo è la cosa più importante nella vita, l’unica cosa che li mantiene in azione; la loro famiglia, i loro amici e il loro lavoro vengono influenzati negativamente dalla loro attività di gioco. Giocatori per Fuga con Sindrome da Dipendenza, i quali giocherebbero per trovare sollievo dalle sensazioni di ansietà, depressione, rabbia, noia o solitudine e usano il gioco d’azzardo per sfuggire da crisi o difficoltà. A tali soggetti il gioco provocherebbe un effetto analgesico invece di una risposta euforica. Giocatori Sociali Costanti, per i quali il gioco d’azzardo è la fonte principale di relax e divertimento, sebbene questi individui mettano il gioco in secondo piano rispetto alla famiglia e al lavoro. Tali giocatori mantengono ancora il controllo sulle loro attività di gioco. Giocatori Sociali Adeguati, i quali giocano per passatempo, per socializzare e per divertirsi. Per essi, giocare d’azzardo può essere una distrazione o una forma di relax. Il gioco non interferisce con le obbligazioni familiari, sociali o lavorative. A questa categoria di giocatori apparterrebbe la maggioranza della popolazione adulta. Giocatori Antisociali, individuabili in coloro che si servono del gioco d’azzardo per ottenere guadagni in maniera illegale. 1975; cit. in Lavanco, 2001, p. 16. 1997; cit. in Lavanco, 2001, p. 16. 6 1983; cit. in Lavanco, 2001, p. 17. 7 Zuckerman, 1983. 8 Landouceur e coll., 1994. 9 1960; cit. in Lavanco, Varveri, 2001, p. 82. 4 5 2 Giocatori Professionisti Non Patologici, i quali si mantengono giocando d’azzardo e considerano tale attività una professione. Guerreschi (2000) ha individuato due tipologie di giocatori, in funzione del tipo di ruolo che il gioco svolge. I giocatori d’azione ricercano tramite il gioco una forte attivazione, mentre i giocatori per fuga usano il gioco per fuggire da una realtà deprimente e mortificante. La condizione di giocatore patologico è certamente il risultato di un insieme di elementi dinamici che attengono a vari ambiti del soggetto: biologico, ambientale, psicologico, i cui è importante considerare sia il tipo di giochi, che il momento specifico in cui avviene l’incontro. Il gioco d’azzardo, nella sua variante patologica si configura come un vero e proprio flagello sociale, in quanto secondo Politzer e Marrow10 un giocatore influisce negativamente su almeno dieci persone che hanno un ruolo significativo nella sua vita. Proprio perché l’effetto negativo del gioco d’azzardo eccessivo si ripercuote principalmente sulla famiglia, sugli amici e sull’ambiente lavorativo creando una vera e propria deriva sociale. Politzer et al.11 hanno tentato di valutare rigorosamente i costi sociali originati dal gioco d’azzardo patologico adottando i parametri riferiti ai costi sociali derivanti dall’alcolismo. Gli autori, reclutando pazienti che iniziavano un programma di consultazione alla Johns Hopkins University, hanno definito quattro circostanze principali per calcolare le spese generali legate al gioco eccessivo: La minore produttività. I costi per il rispetto e l’applicazione della legge. I costi per la detenzione in carcere del giocatore illegale. Lo spreco di denaro stimato considerando il denaro giocato e sottratto ai fini essenziali e produttivi. A tutto ciò deve essere aggiunta la spesa sanitaria, poiché i giocatori d’azzardo cercando aiuto, entrano in contatto con i medici di base e di pronto soccorso in genere per problemi somatici, assumono farmaci per malesseri secondari al gioco d’azzardo, contattano assistenti sociali, psicologi e spesso si ricoverano in ospedale. 2. LA PSICOLOGIA DEL GIOCATORE Il gioco è una tappa fondamentale dell’infanzia, è una delle esperienze formative attraverso cui il bambino può misurarsi con i propri limiti, prendendo coscienza delle proprie qualità e potenzialità. è lo strumento con cui il bambino si finge “altro da sé” ed esplora e sperimenta, protetto da finzione e fantasia, nuovi strumenti di apprendimento. Gli psicologi riconoscono al gioco un ruolo capitale nel processo dell’ autoaffermazione e nella formazione del carattere del bambino. “Giocare”, per quanto sia parte integrante delle prime fasi dello sviluppo, non è solo prerogativa del mondo infantile. In realtà è una delle esperienze che più ci accomuna, tanto da poterla definire un’esperienza ontologica fondamentale della nostra esistenza. Il gioco è un’occupazione frivola e libera dai vincoli della vita reale, che pone tutti i giocatori, grandi e piccoli, sullo stesso piano. “L’importante non è vincere ma partecipare”, è una frase che riecheggia nella memoria di tutti. Ma sarà vero? La regola di base è, forse, quella di mantenere il giusto distacco perché ciò che si vince è destinato ad essere perduto. Ma dove risiede il piacere del gioco? Per capirlo bisogna cominciare un viaggio in un universo astratto in cui a decidere l’esito finale saremo noi, con le nostre abilità, o il caso, con le sue regole a noi sconosciute. Vincere così diventa una maniera per dimostrare a noi stessi che abbiamo ancora il potere di dirigere le sorti della nostra vita. Il gioco, insomma, risveglia il nostro desiderio di onnipotenza che di solito deve fare i conti con una quantità di fattori incontrollabili. Il gioco si scopre, in tal modo, un'”isola di perfezione” nella quale regna una regola, rispettata da tutti, che non favorisce né danneggia nessuno. 10 11 1980; cit. in Storace, Casale, 2001, p. 344. 1981; cit. in Starace, Casale, 2001, p. 345 3 Secondo Eugen Fink (1957), “il gioco somiglia ad un’oasi di gioia, ci rapisce, giocando siamo un pò liberati dall’ingranaggio della vita, come trasferiti su un altro mondo dove la vita appare più felice”. Il gioco si presenta come un’interruzione, una pausa e un alleggerimento del peso dell’esistenza. Ma parlare di “oasi della gioia”, se da una parte, ci da l’idea del fatto che il gioco è divertimento, dall’altra può indurci in errore sulla sua natura. L’esperienza ludica è, a volte, talmente coinvolgente, da non avere nulla in comune con un’isola di gioia: il gioco da magico può diventare “demoniaco”. Così giocare assume una doppia valenza: ci si lascia attraversare da una dimensione attraente quanto instabile e ci si espone al rischio di trovarsi immersi in un clima “incandescente” che è tipico del gioco d’azzardo. Si trovano tracce di gioco d’azzardo già nel Vecchio Testamento e nei classici di numerose culture come nel Mahabahrata – un’opera in sanscrito, dove il re perde il regno, la moglie e sé stesso a causa del vizio del gioco. E se ne trovano tracce anche intorno al 3000 a. C., nell’antico Egitto, quando gli astragali egizi - precursori dei giocatori di dadi - predicevano la sorte; nondimeno, la mitologia egiziana ci riporta il racconto di Mercurio che gioca con la Luna e vince un po’ della sua luminosità: cinque giorni che vennero aggiunti ai trecentosessanta dell’anno e celebrati come compleanno degli dei. Anche in India, paese in cui prevalevano le scommesse sul gioco dei dadi e sulle corse dei carri o, ancora, in Cina e Giappone, in cui certe decisioni politiche e sociali erano decretate sulla base del risultato di giochi complessi come il go. Dalla storia dell’antica Roma provengono insegne di locali con su scritto “scommesse e cibo”; contemporaneamente, presso il popolo germanico, era usuale giocarsi la moglie, i figli e la stessa libertà. Talvolta, il gioco era permesso solo in certi stabilimenti: di solito nei bagni pubblici o in certe vie dei quartieri. Nacquero le prime concessioni comunali: a Magonza e a Francoforte il gioco era permesso presso speciali Spilhban, sotto supervisione pubblica, durante il periodo delle fiere e quello in cui si svolgeva la riunione del Parlamento dell’Impero. I governanti tenevano sotto controllo il gioco d’azzardo: bisognava difendere la popolazione da bari e borseggiatori. Per i bari c’erano pene severissime; a Norimberga, per esempio, un baro venne accecato, ma in genere si preferiva l’annegamento in un sacco. Bisognerà aspettare il XII e il XIII secolo per vedere comparire le corse dei cavalli considerate “lo sport dei re”, mentre nel XVI secolo nasceranno le prime lotterie in Italia e in Inghilterra. L’origine dei casinò moderni è nel Principato di Monaco, nel XIX secolo. L’accesso del primo casinò era riservato solo all’elite europea e americana. Da lì presero spunto gli altri casinò d’Europa. Il filosofo Blaise Pascal fu l’inventore della roulette, mentre si deve a Charles Fay, nel 1985, la nascita delle slot-machines. Durante questo enorme arco di tempo non sono mancati i nomi di giocatori compulsivi dagli imperatori Caligola e Nerone a Washington, allo scrittore Dostoevskij, autore de Il giocatore (1866), scritto per far fronte ai debiti di gioco. Di certo, non è un argomento che sfugge nemmeno alla mitologia greca che sembra infatti aver sviluppato il tema della dipendenza focalizzandosi principalmente sui profili di Prometeo e Dioniso. Il primo rappresenta colui che si ribella alla dipendenza assoluta e che smaschera gli dei in realtà dipendenti dalla sottomissione degli uomini. A questa figura forte, incorruttibile, si contrappone Dioniso, alla continua ricerca del piacere, dell’ebbrezza che ha, per così dire, le caratteristiche di un antidio. Sembra in quest’ottica che, mentre Prometeo, immagine di uomo autonomo e razionale, si oppone a qualsiasi forma di dipendenza andando anche contro gli dei, Dioniso incarna una figura che scatena e diffonde il piacere tra gli uomini; un piacere unico, assoluto che però è sempre rinnovabile e ripetibile all’infinito, lo stesso piacere che si può ricavare dal gioco d’azzardo. L’altra faccia della medaglia è, però, quella della ambiguità del piacere dionisiaco. Dioniso è un dio destinato ad essere perseguitato e, nel tempo, la matrice culturale giudaico-cristiana lo ha ridotto da dio a peccato. Analogamente, in quest’ottica, qualsiasi forma di dipendenza, quindi anche quella del gioco d’azzardo, è severamente punita non in quanto peccato ma perché sfida lo stesso principio di Dio, l’unico che ha il diritto di essere adorato e da cui è lecito dipendere. 4 Parlare di gioco come attività intrinseca alla vita di ogni uomo in ogni luogo e in ogni tempo, non è semplice perché comporta il considerare una moltitudine di sfaccettature e di significati intrinseci a questa attività. Giocare consente di esprimersi al meglio, di mettere a frutto la propria creatività12 ma è anche un modo, come sostengono alcuni autori, per scaricare e reagire a frustrazioni e pulsioni aggressive13. Huizinga (1949), per esempio, sostiene che il gioco “è un’azione libera conscia di essere presa sul serio e situata al di fuori della vita consueta che può impossessarsi totalmente della vita del giocatore, è un’azione a cui non è legato un interesse materiale, da cui non proviene vantaggio e che si compie entro un tempo e uno spazio magico, secondo date regole, suscitando rapporti sociali che si circondano di mistero”. Quindi il gioco diventa pilastro portante della civiltà umana che fa dell’uomo un essere ludens oltre che faber. L’esperienza ludica non va sottovalutata perché ogni azione umana è riconducibile al gioco, mediatore culturale e matrice di relazioni interpersonali. Questa prospettiva, però, omette tutte quelle attività presentanti le caratteristiche più tipiche del gioco d’azzardo. Infatti, se con il termine “gioco” si fa riferimento ad ogni attività che abbia per scopo la ricreazione e lo svago, quando si parla di gioco d’azzardo bisogna considerare aspetti in cui non rientra più l’abilità del giocatore ma unicamente la sorte e in cui si arrischiano forti somme di denaro per cui si può ipotizzare il fine di lucro. Questa stessa distinzione si può fare tra i termini “play” in cui spicca l’abilità, e “gambling” in cui prevalgono l’azzardo e il fine di lucro. Sarà Callois (1958) a fornire un quadro più dettagliato distinguendo quattro tipologie di gioco: Giochi di Mimicry: in cui si ha la possibilità di fingere e fantasticare sul mondo, cambiandolo; Giochi di Ilinx: in cui si ricerca il brivido, una breve ma intensa sensazione di panico; Giochi di Agon: in cui spiccano le abilità del soggetto; Giochi di Alea: in cui il soggetto si affida alla sorte. È perciò questa la categoria che comprende il gioco d’ azzardo. Per Callois, a prescindere dalla categoria di appartenenza, in qualsiasi gioco non si tratta di vincere su un avversario ma sul Destino. Ad ogni modo, ogni tipologia offre particolari condizioni: Mimicry è una sorta di mondo in cui rifugiarsi per rompere il flusso monotono della quotidianità, Ilinx offre la possibilità di vivere un breve ma intenso attimo di panico, Agon sembra la tipologia in cui prevalgono la padronanza del soggetto, la sua sicurezza e responsabilità, in Alea invece vi è un rifiuto del lavoro, della fatica e della qualificazione personale. Agon e Alea sono due categorie antinomiche ma simmetriche che obbediscono alla stessa legge: la creazione artificiale fra i giocatori di un’uguaglianza assoluta che nella realtà è negata agli uomini (Lavanco, Varveri, Lo Re, 2001). Oltre alle categorie proposte da Callois, anche Le Breton (1991) individua tre particolari dimensioni che spiegano sia il comportamento del gioco d’azzardo sia la voglia di rischiare: 1) l’affrontamento, che porta a voler competere con l’aiuto con l’altro ma anche con sé stessi; 2) il candore che richiama il desiderio di assenza caratteristico del giocatore; 3) la sopravvivenza per cui si vede nella lotta il mezzo per poter sopravvivere. L’azzardo può diventare, allora, uno stile di vita e torna ad essere importante l’idea di ordalia che, sempre per Le Breton (1995) “nella nostra società non è né un richiamo della morte né una ricerca di esistenza ma una richiesta di signifi cato che un soggetto subordina a sua insaputa al rischio della morte dandosi una possibilità equa di venirne fuori”. Se prima nell’ordalia era il sovrano o il sacerdote a ricorrere al giudizio di Dio, nel comportamento ordalico è la persona stessa che si mette alla prova. Le sfumature del gioco non sono terminate, tanto che Imbucci (1999) sembra individuare altre tre funzioni essenziali del gioco: 1) una funzione di tipo ludico che presuppone la presenza di un benessere generale alla base; 2) una funzione compensativa qualora serva un elemento di svago in una condizione di malessere; 3) una funzione regressiva in relazione ad una repentina crescita del gioco anche in situazioni economiche disastrose. Insomma, il gioco diventa mezzo di comunicazione, espressione culturale che si estende per tutto l’arco della vita dell’uomo e che, proprio per la sua policromaticità può presentare aspetti positivi ma anche negativi; se da un lato l’esperienza ludica è esaltata come un’“oasi della gioia” (Fink, 1957) dall’altro non si può evitare di fare i conti con un 12 13 Winnicott, 1971. cfr. Zola, 1964. 5 aspetto più ombroso, con una valenza quasi demoniaca del gioco che rapisce, stordisce e schiavizza l’individuo; un coinvolgimento totale, estremo che emerge pienamente dalle parole di Dostoevskij (1866): “Fui assalito da un desiderio spasmodico di rischiare. Forse dopo aver provato così tante sensazioni, l’animo non si sente sazio, ma eccitato da esse, ne chiede sempre altre, sempre più intense, fino alla totale estenuazione”. Tutta questa varietà di aspetti, questa multidimensionalità del gioco, lo fa apparire come una giostra ricca di colori, suoni, luci alle quali è molto difficile resistere. È ovvio che il processo che porta ad un gioco patologico, compulsivo affonda le radici nell’invitante e spettacolare mondo ludico ma ciò non esclude la compresenza di dinamiche psichiche e di una partecipazione emotiva e cognitiva dell’individuo stesso. Il filo conduttore di questo grande calderone di emozioni e sensazioni è il bisogno dell’avventura, del mettersi in gioco, se si considera la teoria di Murray (1938), che propone una scala di bisogni più o meno importanti; si nota che subito dopo le necessità primarie quali acqua, aria, cibo, vi sono quelle secondarie tra cui dominio, successo e gioco. Il contributo più recente di Goffmann (1969; cit. in Dickerson, 1984) sembra ulteriormente confidare l’idea che in effetti, l’attività del gioco soddisfa la necessità emotiva del soggetto di entrare in azione. Secondo Dal Lago e Rovatti (1993) il mondo della scommessa non è esclusivo dominio della sfera patologica, ma probabilmente attraversa e affascina ognuno di noi: “quando entrate in un’avventura non siete più voi. Obbedite ad un demone diverso da quello che vi spinge tutte le mattine a timbrare il cartellino alla solita ora o a sedervi al tavolo di lavoro”. Rischio, avventura, sfida sono tre elementi che possono colmare il vuoto di identità e di incertezze. Convinto che l’incertezza dell’esito e il rischio sono elementi essenziali nel gioco, anche Kusyzsyn (1984) riconosce il bisogno di conferme e valori. L’autore sostiene che nel gioco si riproducono tre esperienze psicologicamente importanti: - quella cognitiva che emerge per prendere decisioni; - quella affettiva, legata alla speranza di vincere; - quella interazionale, che prende corpo nella scommessa. La caratteristica principale della scommessa è l’aspetto psicologico14. I processi più interessanti in questo senso il locus of control15 e il pensiero magico. Per quanto riguarda il primo concetto, si considera il grado in cui la gente crede che i propri sforzi e le proprie abilità possano controllare o influenzare ciò che avviene. A seconda del tipo di personalità, infatti, si attribuiscono le cause degli eventi personali all’interno o all’esterno di sé; è probabile che nel giocatore d’azzardo vi sia un conflitto tra locus of control interno ed esterno, dato che il giocatore si arroga il potere di voler controllare gli eventi aleatori, come il destino, che invece, come sappiamo, sono indipendenti dalla nostra volontà16. Il pensiero magico, invece, si articola nell’uso di diverse strategie cognitive, emotive e motivazionali. Il gioco è un processo simbolico in cui il giocatore si serve della scommessa per poter interagire con la divinità; analogamente la superstizione è lo strumento per controllare l’incontrollabile, aumentando il senso di onnipotenza del giocatore. Per Rosenthal (1993), la credenza nella fortuna è una caratteristica arcaica dell’uomo che fa interferire la pratica del gioco con l’assunzione delle responsabilità che la nostra società richiede. È facile quindi che scattino meccanismi quali l’illusione di controllo17, che porta i giocatori a sovrastimare la loro probabilità di successo; per mostrare a tutti le proprie capacità e il proprio coraggio si va verso la ricerca del sensazionale18 in cui rientra la ricerca del rischio. Connesso a questo tratto di personalità è l’arousal19 che varia da soggetto a soggetto. Tramite l’apposita scala “sensation seeking scale”, sono emersi quattro fattori importanti: - la ricerca del brivido, della sfida; - la ricerca di esperienza e di nuovi ambienti; - disinibizione e bisogno di agire liberamente; Lavanco, 2001. Rotter, 1960. 16 Lavanco, Varveri, 2001. 17 Langer, 1975. 18 Zuckerman, 1971. 19 Stato di vigilanza del sistema nervoso centrale che si ritiene regolato da due sistemi: uno tonico che dipende dalle afferente intero- esterocettive, e uno modulatore, che controlla il livello di attività del primo e integra gli stimoli in arrivo in entrambi i sistemi attraverso processi di facilitazione e soppressione delle informazioni in arrivo. 14 15 6 - irrequietezza, suscettibilità alla noia, avversione per gli eventi ripetitivi. Altri due meccanismi, non meno importanti, sono la fallacia del giocatore o di Montecarlo20 che si verifica quando si sopravvaluta la probabilità di successo di una scommessa in seguito ad una sequenza di previsioni inesatte, e il risk taking, per cui si sovrastimano le probabilità di vincita con l’aumentare della familiarità con il gioco. Alla luce di quanto detto, sembra veramente fitto l’intreccio tra gioco d’azzardo e dinamiche psichiche; del resto, come Callois (1981) ha detto, i giochi d’azzardo sono giochi umani per antonomasia. “Gli animali infatti, conoscono giochi di competizione, immaginazione e vertigine ma esclusivamente immersi nell’immediato e troppo schiavi dei loro impulsi, non sono in grado di immaginare una potenza astratta ed insensibile al cui verdetto sottomettersi anticipatamente e per gioco senza reagire.” Nell’immaginario collettivo è il “giocatore” di Dostoevskij che personifica il rapimento, del corpo e della mente, di cui è preda chi gioca. Dice lo stesso Dostoevskij: “fui assalito da un desiderio spasmodico di rischiare. Forse dopo aver provato così tante sensazioni, l’animo non si sente sazio, ma eccitato da esse, ne chiede sempre altre, sempre più intense, fino alla totale estenuazione” (1866). Non tutti i giochi fanno sentire le vertigini, ma una cosa è certa il giocare, l’entrare in gioco, scatena sempre l’esperienza del “rapimento”. A Huizinga (1949), autore del primo classico contemporaneo sul gioco, si da il merito di aver analizzato molte caratteristiche dello stesso, a cui egli attribuisce un ruolo fondamentale nello sviluppo della civiltà come primo “operatore culturale”. Definisce così il gioco: “è un’azione libera, conscia di non essere presa sul serio e situata al di fuori della vita consueta che può impossessarsi totalmente della vita del giocatore, è un’azione a cui non è legato un interesse materiale, da cui non proviene vantaggio e che si compie entro un tempo e uno spazio magico, secondo date regole, suscitando rapporti sociali che si circondano di mistero”21. Entrare nello spazio magico del gioco significa sospendere i modi e le regole della vita quotidiana. Occorre però sottolineare, che dalla sua trattazione, vengono escluse tutte quelle forme di gioco che implicano scommesse di denaro, come ad esempio corse dei cavalli e lotterie. In realtà il gioco d’azzardo è un modo di cui dispone l’uomo per poter “gareggiare con il proprio destino”, nell’illusione di controllarlo, anche solo nel lasso di tempo di una scommessa. Per quanto un individuo non si dichiari un “giocatore”, difficilmente rimane impassibile di fronte alla tensione che avvolge la mente di chi attende l’esito della propria sorte. Nei termini della teoria dell’apprendimento, ciò rappresenta una tipica situazione di “rinforzo intermittente” o di “parziale ricompensa”, secondo cui le attività rinforzate sono resistenti ad estinguersi. Secondo Croce (1998) tali studi, tuttavia, pur fornendo elementi interessanti sul piano dei meccanismi d'apprendimento e sulla relazione tra vincita, rinforzo, interruzione o incremento dell’attività di gioco del soggetto, non riescono però a indicare caratteristiche di personalità del giocatore che ne dipingono un quadro esaustivo. Nel tentativo di rispondere alla domanda sul perché il gioco seduca così tanta gente, ci si può riferire a quella parte della letteratura psicosociale che intende il gioco come un’attività ludica funzionale che provvede a soddisfare i basilari bisogni umani. Tali bisogni sono il bisogno di confermare la propria esistenza e quello di affermare il proprio valore. L’esistenza è confermata durante il gioco tramite stimoli cognitivi, emozionali e fisici; l’affermazione del valore individuale, invece, avviene grazie ai sentimenti d'efficacia sviluppati dal giocatore e grazie alla consapevolezza, che lo stesso ha, di essere impegnato in un rischioso compito. Tale rischio implica un uso della propria abilità nella risoluzione di un problema, ad esempio, nel predire un evento. Kusyzsyn sostiene che nella dimensione ludica si riproducono tre esperienze psicologiche dell’individuo. Queste ultime si distinguono in quella cognitiva, che si manifesta nel prendere decisioni; quella interazionale, che si esplica nello scommettere; e quella affettiva che si declina nella speranza di 20 21 Cohen, 1972. Huizinga, 1949. 7 vincere e nella paura di perdere. Giocare è un atto di libera scelta per mezzo del quale il giocatore si pone nelle mani del destino. La libertà di regolare il proprio coinvolgimento fornisce al giocatore stimoli per misurare non solo sé stesso, ma anche il proprio valore, i propri sentimenti e la propria capacità di adattamento. Lo stile di partecipazione è espressione della propria esperienza personale o, come dice Kusyzsyn, del proprio Io psicosociologico. Questo essendo incompleto, è sempre alla ricerca della propria realizzazione e così attua una scelta piuttosto che un’altra in base alla propria storia sociale, genetica, biologica e psicologica basata sull’esperienza. E’ attraverso la libertà di scelta che nel gioco si diviene responsabili delle proprie azioni, in tal modo i giocatori confermano la loro esistenza. Con la partecipazione attiva al gioco i giocatori provano di essere emozionalmente vivi, in quanto il gioco è per loro un’attività stimolante che li fa sentire in sintonia con il mondo. L’attività del gioco può essere interpretata come distacco e come liberazione dalla realtà e i giocatori quando giocano vengono trasportati in un mondo “fantastico” in cui possono agire, sentire, pensare senza il controllo del super-io e senza difese psicologiche. è in tal modo che il gioco scatena le pulsioni recondite dell’individuo. Il gioco è anche un’attività sociale e competitiva, in quanto c’è sempre un avversario contro cui ci si deve scontrare , può essere il casinò, l’allibratore, lo Stato o il Destino. L’“incertezza dell’esito” e il “rischio” sono la parte essenziale del gioco22 e procurano al giocatore stimolazioni cognitive, emozionali e fisiche. Tali stimolazioni, insieme alla sensazione che la situazione è sotto controllo, lasciano il giocatore in uno stato d’animo molto confortevole detto di “beatitudine artificiosa”, all’interno del quale si succedono, secondo il momento di gioco o del risultato, piccole reazioni emotive. La caratteristica intrinseca del gioco che rende così ricco il piacere psicologico del giocatore, è il sentirsi in uno stato d’animo aperto alla fantasia. è assiomatico che i giocatori si assumano le responsabilità di vincite e perdite, la libertà di scelta nel partecipare procura autostimolazione, che unitamente alla presa di responsabilità per le proprie azioni, conduce a sensazioni d'efficienza, di controllo e di merito. Nel gioco d’azzardo sono ripetuti alcuni valori che svolgono un ruolo rilevante nella nostra società: il valore dell’audacia, della competitività, della capacità di approfittare delle situazioni e di assumersi dei rischi. Ma una cosa sembrerebbe differenziarli, vale a dire l’irrazionalità tipica dei giocatori e meno degli attori sociali. Secondo Dallago e Rovatti il gioco d’azzardo, per quanto non sia ben visto dalla legge e sia avversato dalla religione, non solo è socialmente legittimato, ma “esprime una pulsione individuale e patologica, che sonnecchia nella nostra memoria culturale ed è pronta a risvegliarsi” (1993). Gli autori sostengono che il gioco d’azzardo sia, non solo un gioco che ha proprie regole e che è separato dalla vita normale, ma soprattutto un’attività “densa” in cui, attraverso il denaro, si mette in gioco, rischiandola, la propria persona. Goffman (1969) considera il gioco d’azzardo alla stessa stregua di quei comportamenti che inducono l’individuo a misurarsi con l’azione e a soddisfare i bisogni emozionali soggettivi. L’attività del gioco soddisfa in sé stessa le necessità emotive del soggetto, infatti, una persona decide di giocare per avere l’opportunità di entrare in “azione”. Entrare in “azione” significa rischiare e tale rischio può essere suscettibile di conseguenze problematiche, inizialmente intraprese come fine a se stesse, poi percepite al di fuori della normale routine, dove si può trionfare o soccombere. Il gioco d’azzardo rientra in quelle attività che generano “espressioni” e che richiedono che il soggetto si esponga e ponga se stesso in posizione rischiosa per un breve attimo. Il gioco d’azzardo, come tutte le attività rischiose, è un’opportunità per dimostrare la propria personalità al mondo esterno, ed è questo l’obiettivo, non tanto il piacere intrinseco, che sostiene il coinvolgimento in attività rischiose. 22 Kusyzsyn, 1984. 8 3. PSICOLOGIA DEL GIOCO D’AZZARDO Indagare l’universo sociale del gioco e nello specifico del gioco d’azzardo significa entrare in contatto con una dimensione umana e sociale che non è estranea a nessuno, anche solo in termini di rappresentazioni, fantasie e di evocazioni letterarie. Ma significa anche esaminare il fenomeno sia come argomento di studio scientifico e sistematico, sia come problema sociale organizzato che lo fa divenire oggetto di intervento terapeutico e assistenziale. L’osservazione del gioco d’azzardo ha cominciato ad apparire sulle riviste scientifiche all’inizio di questo secolo, tuttavia, fino agli anni Cinquanta, era ancora difficile distinguere i vari approcci teorici al fenomeno, in quanto, molto spesso, s’intrecciavano i problemi della psichiatria con quelli della psicoanalisi rendendo poco chiara la lettura dello stesso. Per comprendere il fenomeno gambling nella sua globalità e per definire e differenziare le sue opposte polarità rappresentate dal social gambler e dal pathological gambler23, quest’ultimo ampiamente indagato a discapito del primo, può risultare utile e necessario esaminare i criteri psicodinamici e comportamentali riportati nei diversi contributi teorici. In ambito più propriamente psichiatrico Bolen e Boyd (1968) hanno considerato il gioco d’azzardo come una difesa sia nei confronti di vari affetti spiacevoli, ad esempio la depressione, sia da un esordio psicotico o da una sua ricaduta. Per cui è più giusto considerarlo, non un disturbo nevrotico specifico, piuttosto un sintomo complesso e una manovra difensiva presente in un’ampia varietà di disturbi psichiatrici. Rispetto alla loro posizione oggi la situazione si è modificata, infatti, il gioco d’azzardo patologico viene considerato come una forma di disturbo mentale a sé stante, tanto che gli psichiatri dell’AMA (American Psychiatric Association) hanno introdotto il concetto di dipendenza del gioco d’azzardo (gambling) inquadrandolo come nuova categoria diagnostica nel DSM, il Manuale Diagnostico per i disturbi Mentali più diffuso e famoso nel mondo. è nella sua terza edizione (1980) che compare per la prima volta come “gioco patologico” e si mantiene anche nella IV edizione. Viene inquadrato come “disturbo del controllo degli impulsi non classificato altrove”, la cui caratteristica fondamentale è quella dell’impossibilità per il soggetto di resistere alla tentazione di giocare d’azzardo pur nuocendo a sé e agli altri. Tale disturbo è definito come “comportamento maladattivo ricorrente e persistente di gioco d’azzardo” (criterio A). è caratterizzato da una cronica e progressiva incapacità di resistere all’impulso di giocare che “compromette, disturba o danneggia la famiglia, il soggetto stesso e le sue attività professionali”, (criterio B). Viene inoltre precisato che problemi di gioco d’azzardo possono manifestarsi in soggetti con disturbo antisociale di personalità24. Criteri diagnostici per il Gioco Patologico: Persistente e ricorrente comportamento di gioco d’azzardo maladattivo, come indicato da almeno cinque dei seguenti punti: - è eccessivamente assorbito dal gioco d’azzardo (ad es., è eccessivamente assorbito nel rivivere esperienze passate di gioco d’azzardo, nel soppesare o programmare la successiva avventura, o nel pensare ai modi per procurarsi denaro con cui giocare); - ha bisogno di giocare d’azzardo con quantità crescenti di denaro per raggiungere l’eccitazione desiderata; - ha ripetutamente tentato senza successo di controllare, ridurre, o interrompere il gioco d’azzardo; - è irrequieto o irritabile quando tenta di ridurre o interrompere il gioco d’azzardo; - gioca d’azzardo per sfuggire problemi o alleviare un umore disforico (per es. sentimenti d’onnipotenza, colpa, ansia, depressione); - dopo aver perso al gioco spesso torna un altro giorno per giocare ancora (rincorrendo le proprie perdite); - mente ai membri della famiglia, al terapeuta, o ad altri per occultare l’entità del proprio coinvolgimento nel gioco d’azzardo; 23 24 Dikerson, 1984. American Psychiatric Association, 1995. 9 - ha commesso azioni illegali come falsificazione, frode, furto o appropriazione indebita per finanziare il gioco d’azzardo; - ha messo a repentaglio o perso una relazione significativa, il lavoro, oppure opportunità scolastiche o di carriera per il gioco d’azzardo; - fa affidamento su altri per reperire denaro per alleviare una situazione finanziaria disperata causata dal gioco d’azzardo; - Il comportamento di gioco d’azzardo non è meglio attribuibile ad un Episodio Maniacale. La maggior parte degli autori che hanno indagato il versante patologico del gioco d’azzardo, sono concordi nell’affermare che la caratteristica dominante di questi soggetti è quella di essere sopraffatti da un’incontrollabile brama di giocare. Moran a tal proposito sottolinea che il giocatore compulsivo, o come preferisce chiamarlo “patologico”, non gioca per il guadagno materiale ma per il piacere che gli deriva dal giocare. “[...] la cosa principale”, scrive Dostoevskij (1866), giocatore patologico lui stesso, “è il gioco medesimo, giuro che non è la brama di vincere del denaro, sebbene ne abbia un bisogno grandissimo”. “[...] provavo soltanto un piacere incredibile dovuto al successo, alla vittoria, al potere...” (1866). Per il giocatore, sottolinea Dikerson (1984), il valore economico del denaro si perde, si gioca con il denaro e non per il denaro. Quest’ultimo non è considerato in funzione del suo valore reale ma come mezzo ed incentivo per continuare l’attività di gioco. Infatti non è un caso che nei casinò viene eliminato il denaro contante in favore di gettoni in modo da rafforzare la tendenza a modificarne il significato. Per quanto il denaro sia importante, quello che realmente conta per il giocatore patologico è l’azione, uno stato di euforia e di eccitazione paragonabile a quello indotto dalla cocaina e dalle altre droghe (Cancrini, 1996). A tal proposito Rosenthal (1993) ipotizza di considerare gioco d’azzardo patologico e tossicomania come due forme diverse di un unico disturbo e della stessa idea sembra essere Cancrini (1996). Quest’ultimo ritiene che la “localizzazione del piacere”, collegato con il gioco in sé più che con il denaro che deriva dalla vincita, sia una delle caratteristiche psicopatologiche che accomuna questa forma di dipendenza alle altre tossicomanie. Un’altra analogia riguarda la comune struttura di personalità che, preesistente nei soggetti dipendenti, si manifesta in varie forme finché non si verifica l’incontro con il gioco. Infine, Cancrini (1966), evidenzia un’ulteriore somiglianza nel carattere non compulsivo ma egosintonico delle scelte legate al gioco. Il giocatore non considera il gioco come una costrizione e come un comportamento che gli viene imposto da qualcosa che lo condiziona dentro, egli gioca perché gli piace giocare e organizza i suoi pensieri in modo da giustificare le sue scelte. Secondo Rosenthal (1992) e Cancrini (1996) il gioco d’azzardo patologico ricalca le caratteristiche più evidenti delle strutture di personalità bordeline, che sono le oscillazioni violente del tono dell’umore, la pienezza del coinvolgimento, le difficoltà di controllo e le altre manifestazioni di labilità dell’Io, la debolezza della rimozione, la drammaticità e la precarietà delle relazioni interpersonali. Inoltre, i meccanismi difensivi messi in atto dal giocatore patologico sono quelli basati sulla scissione, il che evidenzia la difficoltà di questi soggetti ad integrare gli aspetti positivi e negativi nei vissuti relativi al Sé e al mondo esterno. L’uso poco controllato dell’identificazione proiettiva si esprime nella tendenza a legarsi con figure o oggetti percepiti come dotati di potere salvifico e a cui legarsi con forme di dipendenza più o meno aggressiva. L’incapacità di godere i risultati delle vincite e la successiva tendenza nel gioco a perdere sono la conseguenza dell’attività di un Super-Io arcaico e del conflitto obbligato e senza speranza fra impulsi trasgressivi e tendenze autopunitive in cui queste persone possono finire per coinvolgere tutta la loro vita. Cancrini (1996) sottolineando, ancora una volta, l’analogia tra la dipendenza da gioco e quella da sostanza, ritiene che la differenza tra il giocatore patologico e quello occasionale o abituale risieda, non nel comportamento in sé, ma nelle motivazioni che lo sostengono e che ne determinano conseguenze ed esiti. Condannato a ripetere, il giocatore d’azzardo patologico è condannato anche a perdere, non solo perché la legge dei grandi numeri è comunque contro di lui, ma anche e soprattutto perché “le dipendenze, quando sono totali, si nutrono di aggressività che torna sul Sé escludendo qualsiasi tipo di 10 compromesso e di equilibrio”25. Perdere corrisponde ad una frenesia di gioco sollecitata da motivazioni legate ai sensi di colpa inconsci. La dipendenza risponde ad un bisogno profondo della persona che, apparentemente, tenta o spera di liberarsene, ma che invece si muove costantemente alla ricerca di situazioni che la rendono di nuovo necessaria, pesante, dolorosa fino all’inaccettabilità. è il piacere di perdere e il terrore di abbandonarsi ad una follia auto-distruttiva il baratro che si apre di fronte al giocatore che deve scegliere se continuare o no26. Tra gli autori che si sono preoccupati di indagare come fattori ambientale e costituzionali s’intreccino insieme nella genesi e nel decorso della dipendenza da gioco spicca Moran27. Questi considerò il gioco patologico una sindrome eterogenea il cui sviluppo è determinato da una stretta relazione tra fattori costituzionali e pressioni sociali. Tra i fattori costituzionali individua le personalità insicure, immature, inadeguate e psicopatiche che, a suo avviso, sono facilmente indotte a strutturare una qualche forma di dipendenza. Inoltre, attribuisce un ruolo fondamentale, nell’instaurarsi della dipendenza, all’ambiente, ad esempio alla disponibilità di denaro o all’accettazione da parte dei gruppi sociali, e così via. Da tale intreccio e dalla prevalenza dei vari fattori implicati l’autore fa derivare cinque varietà cliniche, che non si escludono reciprocamente: 1. Il “gioco subculturale” è quel tipo d’azzardo comprensibile in termini di setting sociale dell’individuo, ovvero quello connesso alle origini familiari e sociali dell’individuo. 2. Il “gioco nevrotico”, detto anche “reattivo”, è quel tipo di gioco in cui si gioca come reazione a situazioni stressanti o a problemi emozionali, per cui l’attività procura sollievo alla tensione che si accumula. 3. Il “gioco impulsivo” si accompagna alla perdita del controllo intesa non come compulsione al gioco ma come un’ambivalenza nei suoi confronti ed è quella varietà clinica che produce danni sociali ed economici. 4. Il “gioco psicopatico” è quel tipo di gioco per cui il giocare d’azzardo è un aspetto del disturbo psicopatico della personalità. 5. Il “gioco sintomatico” è quella particolare modalità di gioco che si ha nel contesto di una malattia mentale, in particolare può essere associato ai disturbi affettivi, ad esempio alla depressione. Al pari di Moran, anche Glatt (1979) sottolinea come un ruolo determinante nel formarsi della dipendenza da gioco d’azzardo spetta all’ambiente. Secondo l’autore l’influenza ambientale può assumere un peso relativamente maggiore rispetto al fattore personalità soprattutto in quei gruppi sociali o professionali in cui il gioco d’azzardo è largamente accettato e soprattutto nelle zone in cui esistono molte possibilità di dedicarvisi. La distinzione tra gioco patologico e gioco sociale risulta tuttaltro che semplice e univocamente accettata dai diversi autori28. L’estesa indagine sul gioco come forma di dipendenza e quindi come patologia, non ha però precluso, seppure in misura minore, l’analisi del giocatore normale, o social gambler, ovvero di colui che gioca occasionalmente, in base anche all’entità del denaro. Greenberg 29 ha proposto alcune caratteristiche in grado di identificare tale giocatore, tra cui emergono il desiderio di rilassarsi, l’incentivo del guadagno senza fatica, il piacere che deriva dalla stimolazione di varie funzioni dell’ego e, non ultimo, l’attrazione per il rischio. Custer30 sostiene inoltre che il giocatore sociale, a differenza del patologico, può smettere in qualunque momento di giocare, sembra infatti che nessuno dei valori personali sia legato alla vincita o alla perdita e sono altri, rispetto al potere del gioco, gli aspetti della vita sentiti come più importanti e gratificanti. Il social gambler, come lo definisce Dikerson (1984), è quel tipo di giocatore più motivato al gioco da un desiderio di passatempo e di divertimento che da soddisfazioni conflittuali e libidiche come il pathological gambler. Sia consciamente che inconsciamente, desidera vincere e di conseguenza fa più affidamento alla realtà che all’onnipotenza. è così possibile per lui limitare le perdite abbandonando il Cancrini, 1996. Cancrini, 1996. 27 Cit. in Gherardi, 1991. 28 Croce, 1998. 29 Cit. in Gherardi, 1991. 30 Ibidem. 25 26 11 gioco e fermarsi quando sta vincendo. Tale capacità differenzia, anche per Custer31, il social gambler dal pathological gambler. Quest’ultimo, invece, è motivato al gioco soprattutto da una soddisfazione indiretta di componenti libidiche e aggressive inconsciamente proibite che lo spingono compulsivamente al gioco. è caratterizzato da maggiori sentimenti di colpa per le vincite con un’incapacità di fermarsi quando vince, e un desiderio inconscio di perdere per cui è incapace di smettere di giocare anche quando sta perdendo32. Secondo Dikerson (1984), in realtà, l’osservazione diretta sul mondo del gioco d’azzardo suggerisce che un gran numero di giocatori si colloca in una posizione intermedia fra questi due gruppi: la gente gioca a tutti i livelli di frequenza e di rischio. Propone dunque di considerare i giocatori come un unico gruppo eterogeneo che si differenzia per il grado d'auto-controllo esibito durante il gioco. Scorrendo ancora la letteratura sul tema del gioco d’azzardo lo ritroviamo descritto anche come comportamento di risk-taking. Tale pattern può condurre la persona vulnerabile a sviluppare un comportamento di gioco patologico in cui le emozioni del vincere e del perdere si combinano rinforzandolo, mantenendolo e creando una dipendenza psicofisiologica simile a quella indotta da sostanze stupefacenti. Su questa analogia concordano anche gli psichiatri dell’ AMA (American Psychiatric Association), i quali si sono resi conto che i criteri da usare per porre questa nuova diagnosi sono gli stessi che venivano già utilizzati per definire la dipendenza da alcool e da sostanze stupefacenti, il termine da loro consigliato è difatti quello di addiction (schiavitù), utilizzato tradizionalmente per definire i tossicomani. Secondo Custer33 il comportamento di risk-taking presenta un pattern tipico nel giocatore d’azzardo, che é il “giocare alla rincorsa”. Proprio quest'elemento, secondo Lesieur34, delimita il confine tra il giocatore sociale e quello patologico. Questo pattern corrisponde ad un’estensione della “fallacia del giocatore” secondo la quale il giocatore compulsivo iene che l’“inseguimento”, cioè lo scommettere sempre con maggiore frequenza, rischiando somme sempre più alte in seguito ad una sequenza di scommesse perse, è quel logico comportamento da adottare quando perde e a volte l’unica via d’uscita da una situazione disperata. Quest’idea è rafforzata dall’osservazione di alcuni giocatori che escono regolarmente da una crisi pensando “ce la farò, magari domani”, anche quando questo significa puntare soldi prestati o rubati. Secondo Custer35 il comportamento di risk-taking presenta un pattern di sviluppo uniforme suddiviso dall’autore in tre fasi: fase “vincente”, “perdente” e della “disperazione”. Nella prima fase, detta “vincente”, che caratterizza tanto il giocatore sociale che quello patologico, le vincite sono frequenti e tendono ad invogliare il giocatore a giocare sempre di più scommettendo somme sempre più alte. In realtà, secondo Rosenthal (1993), a prescindere dalle vincite effettive, il giocatore manifesta un pieno coinvolgimento in fantasie di vittoria e un bisogno di successi spettacolari. Nella storia del giocatore patologico, però, vi è una “grande vincita” che lo investe di un ottimismo irrazionale per cui pensa sempre al gioco, perde interesse ai suoi occhi il contesto sociale e inizia a giocare da solo. Come afferma Rosenthal (1993) possono verificarsi una serie di episodi sfortunati oppure il giocatore si accorge che gli risulta intollerabile perdere. Ciò segna la fine della “fase vincente” e l’inizio della fase “perdente”. Il giocatore patologico inizia a questo punto a mettere in atto il tipico pattern comportamentale, di cui sopra detto l’inseguimento. Egli cerca di vincere in un colpo solo tutto quello che ha perso e scommetterà sempre più frequentemente e con crescenti somme di denaro in quanto mosso da un’urgenza pressante che non riesce a controllare. Paga solo i debiti ineludibili perché usa il denaro per continuare a giocare, attività che tenta di mantenere segreta, ma che quando viene scoperta segna l’avvio al deterioramento dei suoi rapporti interpersonali. Si arriva velocemente ad un momento in cui il giocatore non può più ottenere denaro in prestito per giocare, riceve minacce fisiche dai suoi creditori e rischia di perdere il lavoro e compromettere il matrimonio. A Ibidem. Bolen, Boyd, 1968. 33 Cit. in Dikerson, 1984. 34 Ibidem. 35 Ibidem. 31 32 12 questo punto scatta, solitamente, un “operazione di salvataggio”36 da parte della famiglia. Ovvero il giocatore, attraverso una confessione parziale, riesce ad ottenere da questa una somma di denaro in prestito, una sorta di “cauzione” col tacito accordo di abbandonare il gioco o ridurlo drasticamente. Ma tale “cauzione” è dannosa tanto quanto la grande vincita poiché tende a non responsabilizzare il giocatore bensì a rinforzare il suo ottimismo irrazionale e farlo ben presto ricadere vorticosamente nel gioco. Preda di una specie di delirio di onnipotenza, credendo di poterla comunque avere vinta, continua a scommettere sempre più pesantemente e così facendo perde completamente il controllo di sé e dalla situazione. Questo passaggio segna la fine della “fase perdente” e l’inizio della “fase della disperazione”, nella quale si fanno sempre più pressanti le richieste di denaro e si sviluppa uno stato di angoscia molto forte. Tale stato d’angoscia, dovuto alla consapevolezza dei propri problemi economici e relazionali legati all’attività di gioco, si presenta con alterazioni del sonno e dell’appetito. Inevitabilmente il mondo gli crolla addosso ed è così che il giocatore diviene sempre più fisicamente e psicologicamente esaurito. Ancora dominato dal desiderio imperioso di giocare, è costretto a scegliere una di queste quattro vie: il suicidio, la carcerazione, la fuga o la richiesta di aiuto37. In realtà, e la letteratura è concorde nell’affermarlo, il giocatore patologico non è in grado da solo di uscire dalla forma di dipendenza in cui si trova e come per il tossicomane o per l’alcolista, necessita di un valido supporto esterno che lo aiuti ad uscire dalla situazione, ormai disperata, in cui si trova. Da quanto finora detto risulta chiaro come il gioco d’azzardo possa assumere, con una frequenza inaspettata, un carattere compulsivo e distruttivo secondo modelli e processi di dipendenza che per molti aspetti sono simili a quelli più noti dell’alcolismo e delle droghe “pesanti”. Il gambling, indagato quindi come problema sociale organizzato, si configura come possibile oggetto d’intervento terapeutico e di sostegno. La psicoanalisi e la psicoterapia ad orientamento psicoanalitico erano considerate i trattamenti di scelta per il gioco patologico, sebbene l’opinione prognostica variasse. Bergler (1957), seguendo questo tipo di trattamento, registrava un successo nel 75% dei casi, motivato dalla natura molto regressiva di tale disturbo. Bolen e Boyd (1968) hanno ottenuto buoni risultati associando alla psicoterapia individuale quella di coppia o di gruppo, costituendo quest’ultimo o con soli giocatori oppure facendo partecipare anche le loro mogli. Custer e altri autori 38 considerano come modalità di trattamento più efficace, per la risoluzione della dipendenza da gioco, la partecipazione regolare a gruppi terapeutici, tra cui primeggia la Gamblers Anonymous (GA). Tale partecipazione, secondo gli autori, influenza positivamente i meccanismi di difesa del paziente e in particolare il diniego, la proiezione e la razionalizzazione. Si tratta di un’organizzazione internazionale di auto-aiuto sorta a Los Angeles nel 1975 e -forse per scaramanzia!- il primo incontro ebbe luogo un venerdì 13, le sue sedi si ritrovano in tutto il mondo (esclusa l’Italia). La filosofia e la metodologia di questa organizzazione è traslata dagli Alcolisti Anonimi e adattata ai giocatori d’azzardo patologici39. I membri della GA sono essi stessi giocatori compulsivi, tutti coinvolti in prima persona nella richiesta e nell’offerta di cure e di sostegno reciproco. Il valore terapeutico del gruppo di un auto-aiuto di questo tipo è connesso alla possibilità di svolgere il ruolo di helper, cioè di prestatore di cure. L’ipotesi alla base è che colui che offre delle cure allo stesso tempo ne usufruisce40: il giocatore patologico che si occupa di una persona che vive il suo stesso disagio benefica del fatto di svolgere questo ruolo attivo e oblativo. Ognuno ha il compito di aiutare se stesso e chiunque altro a non giocare più, l’obiettivo da raggiungere è dunque l’astinenza dal gioco, che consiste nell’evitare ogni forma di scommessa, compresi il lotto, il totocalcio e le lotterie. Cancrini, 1996. Gherardi, 1991. 38 Cit. in Gherardi, 1991. 39 Croce, 1998. 40 Francescato, Ghirelli, 1997. 36 37 13 L’enfasi è posta sull’empowerment, in quanto svolgendo il ruolo di helper si contribuisce ad accrescere il senso di controllo sulla propria vita, che è molto scarso nel giocatore patologico e anche incrementare il senso di autostima e di competenza. Per diventare membro della GA la condizione prima è quella di essere giocatore compulsivo che richiede personalmente aiuto. In realtà, questa peculiarità dell’intervento stesso è resa difficoltosa dal fatto che di solito il giocatore non si riconosce “giocatore patologico”, nega dunque un bisogno di assistenza e rispetto ai suoi problemi è come se si aspettasse una risoluzione magica, che sia quindi indipendente da lla propria volontà. “Qual’ è la prima cosa che un giocatore dovrebbe fare per smettere di giocare? Deve accettare il fatto di essere nella morsa di una malattia progressiva e ha il desiderio di uscirne. La prima piccola scommessa di un giocatore problematico è come la prima piccola bevuta di un alcolista. Presto o tardi ricade nel solito vecchio cammino distruttivo”. Quindi, promotori del trattamento, come avviene per l’alcolizzato, saranno principalmente la famiglia esasperata o le autorità legali quando già la situazione è prossima alla rovina. Per la GA il giocatore compulsivo è un individuo molto malato a cui viene data la possibilità di rimettersi seguendo un programma semplice in cui i fattori spirituali e di gruppo, come il partecipare alle esperienze altrui e lasciare che gli altri condividano le proprie, sono considerati un indispensabile sostegno nella “cura” di questa forma di dipendenza. Sperimentare lo stesso problema favorisce la percezione della connessione emotiva, il senso del proprio potere personale e contribuisce a rinforzare i legami41. Fornirsi sostegno reciproco e creare un senso di comunità molto forte tra i membri dei GA sono i fattori centrali del successo di questi gruppi. Per concludere bisogna anche citare il parere di alcuni studiosi, tra cui Brown42, i quali sostengono l’opportunità di allargare e potenziare il ruolo delle GA, ma al tempo stesso di sviluppare altre forme specifiche di trattamento , residenziali e di comunità, con o senza elementi di auto-aiuto, per migliorare la cura di queste persone. In linea generale, tuttavia, si possono individuare due posizioni principali per ciò che riguardano i trattamenti adottati nei confronti dei giocatori d’azzardo patologici. Da un lato vi è la posizione di molti studiosi che individuano una categoria ben precisa di persone “affette” da gioco d’azzardo patologico che pertanto necessitano di trattamento specifico e specialistico. Dalla parte opposta invece si trova il parere di altri studiosi che, non considerando il gioco d’azzardo patologico come una sindrome specifica, propongono trattamenti non specifici in quanto non esiste un trattamento valido per tutti. Si prospettano trattamenti multimodali e multifasici che possano prevedere e comprendere aspetti diversi del problema (individuale, familiare, economico, ecc..) e fasi diverse di trattamento a seconda delle evoluzioni cliniche del soggetto43. 4. IL GIOCATORE D’AZZARDO FRA PATOLOGIA E INTERVENTO La La psicoanalisi ha cercato di focalizzare il nucleo della dipendenza da gioco, ricollegandola a tematiche infantili di natura sessuali. Nel gioco si può intravedere un piacere pseudo erotico, si trovano tratti masochistici e pulsioni orali: basti pensare a questo proposito che i giocatori d’azzardo, nella maggior parte dei casi, fumano smodatamente proprio mentre giocano. Emblematico è il contributo di Sigmund Freud (1928) che si era interessato all’analisi di Dostoevskij e aveva tracciato una relazione tra il gioco d’azzardo compulsivo, i comportamenti masturbatori e il desiderio di uccidere il padre. Dall’analisi di questo grande autore, Freud aveva trovato che il perno della sua nevrosi fosse stata l’uccisione del padre. Lo scrittore non si liberò mai del peso di coscienza originaria dell’intenzione parricida; il suo senso di colpa fu sostituito da un carico di debiti, il gioco era l’unico mezzo per auto punirsi, il ridursi sul lastrico era un modo per umiliarsi. La febbre del gioco è un sostituto dell’onanismo: quando i bambini manipolano i loro genitali si dice, appunto, che “giocano” con essi. Martini, Sequi, 1988. Cit. in Gherardi, 1991. 43 Croce, 1998. 41 42 14 Sempre su questo filone si distingue Von Hattingberg (1914) che evidenzia che timore e tensione, prodotti dal gioco, sono in realtà di natura sessuale e rispecchiano tendenze masochistiche originate nell’infanzia per il senso di colpa connesso alla gratificazione anale. Un altro autore, Simmel (1920), aveva messo in correlazione il gioco con il piacere preliminare, il vincere con l’orgasmo, il perdere con la defecazione e la castrazione. Anche secondo Greenson (1947) l’attività ludica, con l’eccitazione dei partecipanti, il ritmo, la scarica della tensione e la quiete finale è associabile all’attività sessuale. Del resto, chi gioca d’azzardo, è risaputo che sperimenta una tensione piacevole ed al termine si sente esausto. L’autore vede l’attività del gioco come attività regressiva derivante da pulsioni parziali infantili. Inoltre, rintraccia nel mondo del gioco d’azzardo, segnali fallici e omosessuali, di pulsioni orali e sadico-anali: ad esempio, l’esclusione delle donne da quest’ambito, l’estrema cura o trasandatezza nel vestire, il mangiare o fumare smodatamente sarebbero comportamenti indicativi. Infine, Greenson propone anche una classificazione di tre tipi di giocatore d’azzardo che rappresentano livelli diversi del continuum normalità- patologia: - la persona normale che gioca per diversivo e che può smettere quando lo desidera; - il giocatore d’azzardo di professione che vede il gioco come strumento per guadagnarsi da vivere; - il giocatore d’azzardo nevrotico che gioca perché spinto da bisogni inconsci e non può cessare di giocare44. Altri autori si discostano da queste dinamiche per accostarsi di più alla relazione madre-bambino e individuano degli elementi materni nel gioco d’azzardo. E così, gli stessi soldi destinati al gioco sono simboli della madre45, mentre per Greenberg (1980) la Fortuna è, simbolicamente, la madre cattiva che il giocatore compulsivo incolpa attraverso la sua sofferenza e cerca di costruire per fornirgli un eterno e beato nutrimento. La prospettiva psicodinamica, nella ricerca dei potenziali fattori di questo comportamento, non esclude nemmeno la forte influenza socioculturale. Valleur (2001) nota come la fine del Novecento vede una crescita preoccupante di nuove forme di patologia, che sembrano essere le tossicomanie, le dipendenze, i comportamenti a rischio che costituiscono, almeno nella maggior parte dei casi, problemi legati ad una mancanza di controllo, alla ricerca del piacere immediato, al ricorso all’azione. “Oggi la nostra società sembra mettere da parte il contegno per lasciare più spazio alla voglia di consumare, di godere pienamente e di prendere dei rischi”46. Con questo assetto, la costruzione narcisistica fa venir meno i valori e i parametri sicuri, e l’unica grande forza a cui nessuno può sfuggire, e che perciò resta unico punto di riferimento, è la morte; solo confrontandosi con essa, solo rischiando in questo gioco pericoloso, si può ricostruire l’identità ci si può sentire “qualcuno”. Ecco il motivo per cui torna il concetto di condotta ordalica, già prima accennato. Solo mettendo in atto ripetutamente comportamenti pericolosi si ha la certezza di saper affrontare e superare la paura del rischio, che è considerato come elemento personale di sfida, di esibizione, un rito di passaggio verso l’adultità. Le condotte a rischio, quindi, sarebbero più diffuse in quelle società che offrono ai propri membri un ambiente anonimo, impersonale, in cui è più facile percepirsi come separati dagli altri anziché membri della stessa comunità; più che una reale ricerca della morte con cui ci si sfida, c’è un tentativo di riconquistarsi, di padroneggiare il proprio destino47. Gli sforzi della psichiatria, si sono rivolti ad una chiara differenziazione dei giocatori sociali e quelli patologici, ma i risultati non sono stati convalidati. Interessante, comunque, sembra il lavoro di Moran (1970), sostenitore del fatto che il gioco patologico potesse essere causato da una “dipendenza di tipo morboso” e che, probabilmente colpito dall’eterogeneità che si riscontra nella popolazione di giocatori, ha condotto una ricerca volta alla distinzione di diverse varietà di gioco. Basandosi sui dati ottenuti dalle interviste fatte a giocatori che si erano già rivolti a psichiatri, Moran ha individuato 5 Op. cit.. Matussek, 1953; Ashton, 1979. 46 Op. cit.. 47 Croce, 2000. 44 45 15 particolari categorie del gioco patologico, scaturite dall’intreccio di fattori ambientali e temperamentali e che non si escludono a vicenda: Varietà Impulsiva: per cui il gioco patologico è spesso provocato dall’incapacità di controllo di un soggetto. Varietà Nevrotica: in quanto il gioco patologico è una reazione alle tensioni emotive. Varietà Sub-culturale: per cui si riconosce nelle pressioni sociali una causa importante del GAP. Varietà Sintomatica: il GAP potrebbe essere un sintomo per una gamma molto ampia dei disturbi, specie affettivi e dell’umore. Varietà Psicopatica: il gioco d’azzardo potrebbe essere un sintomo di questo disturbo. Alcuni studiosi hanno spiegato il fenomeno del gioco d’azzardo come un processo che si sviluppa progressivamente, attraverso una serie di passaggi. Raramente, infatti, una persona diventa giocatore compulsivo al primo incontro con il gioco; è più facile che il percorso sia più insidioso e più lungo. Possono esservi anni di gioco d’azzardo socialmente accettato, seguiti da un esordio brusco che può essere originato da una particolare situazione o un fattore stressante per il soggetto. In quest’ottica, quindi, i tratti patologici della personalità o dell’ambiente sociale passano in secondo piano per lasciare più spazio a concetti come quello di carriera, significato e azione collettiva, che segnano un passaggio da livelli di attività ludica diffusi ad un maggiore coinvolgimento e compulsività. Oldman48, che vede il gioco compulsivo come un problema esclusivamente della sociologia, presenta una precisa sequenza di eventi che accadono al giocatore: 1) la possibilità di ricorrere al casinò; 2) la decisione di diventare un cliente abituale; 3) il rischio di una crisi finanziaria. Solo in quest’ultima fase il giocatore comprende di avere un problema ed è necessario fare qualcosa. La differenza che Oldman vede tra i giocatori abituali e quelli compulsivi è quasi inesistente, e la conclusione a cui il sociologo giunge è che la spinta che porta il giocatore a riconoscere la propria condizione di crisi e lo incita a cercare aiuto, non tanto proviene da un difetto della personalità, quanto da “un rapporto difettoso tra la strategia del gioco da un lato e l’amministrazione delle finanze dall’altro” (op. cit.). Diverse sono le conclusioni a cui perviene Lesieur (1979), secondo cui la causa va rintracciata nella strategia dell’inseguimento. Cioè, “mentre i giocatori normali che hanno già perso i loro soldi, non puntano più denaro il giorno successivo, i giocatori compulsivi considerano questo comportamento come il modo più logico e corretto di scommettere”49. Ed ecco che, mentre i debiti aumentano, le relazioni interpersonali si deteriorano, le normali attività sono compromesse dal gioco, subentra la necessità di giustificarsi, di nascondere le azioni sempre più immorali, magari coprendole con pretesti e razionalizzazioni; insomma, cambia anche il senso del denaro, dei valori e della propria dignità. Più che un fine, il denaro sembra essere il mezzo tramite cui poter giocare; per raggiungere questo scopo, allora, il giocatore si abbassa a compiere azioni sempre più immorali, che Lesieur racchiude nella “spirale delle opzioni”: psicoanalisi ha cercato di focalizzare il nucleo della dipendenza da AZIONI 1) Giocare al Totocalcio, scommettere, ricorrere ai prestasoldi, chiedere un anticipo sullo stipendio, compiere piccoli furti… 48 49 1978; cit. in Dickerson, 1984. Op. cit. GIUDIZIO SULLA MORALITÁ GIUSTIFICAZIONI Del tutto “ognuno deve arrangiarsi” morale “lo fanno tutti” 16 2) Falsificare assegni Parzialmente partecipare ad un furto con immorale scasso 3) Rapinare una banca Immorale Giustificazioni e pretesti Solo pretesti “dovevo pagare l’affitto”, “mi avrebbero ucciso” Anche Custer (1992) ha tracciato un percorso che vale la pena di considerare. Il punto di vista che l’autore propone permette, infatti, di inquadrare il fenomeno secondo una schema processuale: ecco perché si parla di carriera del giocatore d’azzardo, di cui si vogliono sottolineare le fasi principali: la prima, la fase vincente, in cui l’incontro con la fortuna, con il guadagno facile ha un potere destabilizzante sul soggetto anche se il gioco ha ancora una valenza innocua, sociale e ricreativa; la seconda, la fase perdente, che comincia quando il giocatore, abbandonato dalla dea bendata attua il meccanismo di inseguimento e tende a rifarsi di quanto perduto; questa è la fase che dà avvio alla patologia in cui si iniziano anche a rovinare i rapporti interpersonali; a questo punto interviene la famiglia in una disperata “operazione di salvataggio”50. Riconoscente all’aiuto dei suoi cari, il giocatore giura e si ripromette di abbandonare il mondo dell’azzardo ma ormai è vittima di un incessante delirio di onnipotenza che lo condurrà ad una fase della disperazione in cui il soggetto si troverà in una situazione di marginalità, schiacciato dall’angoscia da cui può fuggire solo tramite quattro possibilità: con il suicidio, la delinquenza e la carcerazione, la fuga o la richiesta d’aiuto. L’evoluzione di questa triste carriera può variare solo con l’intervento di un supporto esterno. Il lento cammino verso l’uscita dal mondo dell’azzardo ricomincia da una fase critica, da una sincera voglia d’aiuto, in cui il giocatore si chiarisce le idee, comincia a prendere decisioni, cerca le soluzioni al problema e riprende a lavorare. Segue poi una, più concreta, fase della ricostruzione, in cui si riallacciano e si ricompongono i pezzi delle relazioni interpersonali prima interrotte, e si giunge finalmente alla fase della crescita, in cui il soggetto, ormai guarito dalla febbre del gioco può tornare senza preoccupazioni a comprendere meglio sé stesso e gli altri. Sembra, paradossalmente, che alla base vi sia una visione romantica del mondo; da un lato luoghi sicuri, silenziosi, convenzionali, privi di senso ma anche di passioni come la casa, la famiglia, le attività convenzionali; dall’altro un mondo di rischio, esperienze, avventure, che vale la pena di vivere ed attribuisce un senso d’identità. I percorsi fin qui proposti, comunque, non sono obbligatori: non tutti coloro che giocano diventano compulsivi, molti mantengono ritmi pesanti ma cercano comunque di equilibrarsi, altri smettono e riprendono, altri ancora trovano sostitutivi o frenano i loro impulsi senza ricorrere a terzi, altri, infine, che costituiscono la maggioranza, giocano sporadicamente. L’apprendimento del gioco può anche essere concepito come un addestramento in chiave comportamentista. Skinner51 non propone, a riguardo, nessuna descrizione esplicita; dichiara soltanto che questo comportamento patologico è il risultato di un rapporto variabile (RV) tra una serie di rinforzi (stimoli). Un certo numero di esperimenti condotti su animali in laboratorio ha provato che una risposta regolare e pronta può essere mantenuta anche se la ricompensa è infrequente. Analoghe sembrano le situazioni di gioco, in cui il rinforzo di una vincita relativamente infrequente è sufficiente a sviluppare e mantenere il desiderio di giocare fino a raggiungere il livello patologico, in cui “il profitto è in passivo e il giocatore perde tutto”. I primi studi sperimentali volti ad esaminare il rapporto tra una serie variabile di rinforzi e l’insistenza in fase di perdita sono stati completati da Lewis e Duncan52; questi studi, però, sono risultati abbastanza inattendibili. Più incoraggiante sembra essere quello di Levitz (1971) che considera la convinzione di essere i più abili un fattore che stimola l’insistenza al gioco almeno quanto lo è la vincita di denaro. Se si riporta tutto alla realtà di gioco, allora la fortuna del principiante è meno importante della convinzione di essere vincente sin dall’inizio del gioco. Questo studio illustra anche il fenomeno cognitivo che Langer (1975) ha definito perdita di controllo: cioè, quanto più i soggetti sentono che il gioco è governato dall’abilità, tanto più insistono a giocare in fase di perdita. Le ricerche su questo Cancrini, 1996. 1953; cit. in Dickerson, 1984. 52 1956; cit. in Dickerson, 1984. 50 51 17 versante sono sfociate nella cosiddetta “analisi sperimentale del comportamento” riassumibile nella sequenza: stimolo discriminatorio (Sd), risposta (R) e stimolo di rinforzo (Sr +). Questa analisi dipende dalla definizione immediata della risposta presa in considerazione. Una volta definita la risposta, si osservano le caratteristiche degli stimoli più forti fra quelli che precedono di poco la risposta (Sd) e di quelli che si manifestano subito dopo (Sr +). Lo scopo dell’analisi sperimentale è quello di scoprire tutte le variabili funzionali alla risposta; questo metodo si è mostrato metodologicamente affidabile e flessibile per lo studio del comportamento umano negli ambienti di vita reale. Per cui, applicata al gioco d’azzardo, la risposta può essere interpretata da comportamenti quali posare le fiches sul tavolo, agitare e tirare i dadi, tirare la leva di una poker-machine e così via. Spesso, in questi ambienti, la natura ripetitiva del gioco stesso comporta una sequenza regolare di stimoli che precedono il momento del gioco vero e proprio: puntare, scommettere, tirare la pallina ecc. Inoltre, ipotizzato che la durata degli eventi-stimolo è un rinforzo per i giocatori, si potrebbe considerare la scommessa più vicina allo stimolo come quella più vigorosa, per cui le puntate dell’ultimo momento sono sempre più intense. In effetti, le testimonianze suggeriscono che i giocatori regolari adottano questo modello di comportamento, ed è in questo che si distinguono dai giocatori più sporadici. I dati confermano, anche, che il momento più eccitante e carico di ebbrezza e tensione sia quello dello stimolo rinforzo. Inoltre, i soldi e l’eccitazione derivante dagli stimoli relativi a quel tipo di gioco, sono stati designati come i fattori principali che agiscono per mantenere la risposta “scommessa”. Infine, all’interno della prospettiva comportamentista, è opportuno inserire anche il concetto di apprendimento sociale di auto-efficacia, proposto da Bandura (1977) per cui i fattori cognitivi, come credere che le proprie scelte siano migliori di quelle degli altri, svolgono un ruolo importante nelle prime fasi del passaggio dal gioco a bassa frequenza fino a quello ad alta frequenza. Un ulteriore aspetto che influisce in modo considerevole sul GAP sembra essere, da quanto emerso da apposite ricerche, il fattore familiare. L’ipotesi è che possa esistere un’origine familiare del GAP in quanto, date per pari le possibilità per giocare, alcuni individui sono più vulnerabili di altri e questa tendenza sembra propagarsi all’interno delle famiglie53. Gli studi dimostrano che i soggetti giocatori patologici hanno una probabilità fino ad otto volte maggiore di avere almeno un genitore con un problema analogo. La probabilità di gioco patologico è fino a tre volte superiore alla norma se il soggetto vede i propri genitori come tali, e la probabilità addirittura aumenta se questa percezione si estende anche alle generazioni precedenti. Correlazioni significative sono state riscontrate anche con gli studi sui gemelli. Il tasso di concordanza, elevato soprattutto tra i gemelli monozigoti, fa capire che per ogni gemello che gioca anche l’altro gemello adotta lo stesso comportamento. Le stesse proporzioni si riscontrano tra le malattie, come schizofrenia e depressione maggiore, in cui si riconosce un elevato carico genetico. Anche la ricerca delle basi o dei correlati cerebrali dei disturbi del comportamento, tra cui il gioco d’azzardo, ha ricevuto un forte input, specie negli ultimi tempi. L’ipotesi della ricerca neurobiologica sul GAP è che il piacere derivante da questa attività sia biologicamente sostenuto e abbia conseguenze sul cervello54. Con tale ricerca è stata evidenziata la presenza di un sistema neuronale complesso, coinvolto nella percezione ed elaborazione delle sensazioni di piacere e nei sistemi di rinforzo considerati alla base della ripetizione dell’esperienza di determinati comportamenti compulsivi a carattere gratificante. Tale sistema neuronale presiede ai meccanismi comuni di rinforzo che sono ritenuti responsabili di uno dei comportamenti caratteristici dell’addiction, l’impulso incontrollabile di assumere la sostanza a cui si è abituati, un fenomeno caratteristico anche del GAP. Tramite numerosi e accurati studi si è pervenuti all’identificazione del sistema mesolimbico, dopaminergico come base anatomica per i meccanismi di ricompensa e di rinforzo. Invece, per quanto riguarda il ruolo dei neurotrasmettitore nel GAP è stata evidenziata l’importanza della noradrenalina, per l’attenzione e la stimolazione connesse con la vulnerabilità cognitiva e fisiologica del gioco d’azzardo; la trasmissione noredrenergica è profondamente coinvolta nella fisiopatologia dell’astinenza da uso di sostanze e gioca un ruolo nelle prestazioni della persona. Anche la serotonina è risultata importante per l’iniziativa e la 53 54 Murry, 1993. cfr. Capitanucci, Marino, 2002. 18 disinibizione comportamentale. La stimolazione dopaminergica, infine, è la via finale comune attraverso la quale l’individuo percepisce la ricompensa psichica. Non di minore entità ed importanza, sono gli studi effettuati sulla comorbidità psichiatrica del GAP perché molti dei disturbi con i quali è più frequentemente associato sono problemi ai quali è correlata una forte componente biologica come per esempio l’alcolismo, la depressione maggiore, il disturbo d’ansia. In uno studio definito come Epidemiological Catchment Area55 è emerso che i gamblers hanno una probabilità tre volte maggiore dei non giocatori di soddisfare i criteri diagnostici per i disturbi già citati anche qui la popolazione dei giocatori è designata come popolazione a rischio per i disturbi psichiatrici più importanti. L’essere in azione, che descrive uno stato di stimolazione dei giocatori è accostabile all’ esperienza “high” che accompagna l’uso di stimolanti ma analogie tra i due disturbi si identificano anche nella tolleranza, l’astinenza, i tentativi di smettere e il progressivo degrado sociale. Anche con il consumo eccessivo di alcolici sembra esservi una certa correlazione: il carattere orale che contraddistingue l’alcolismo, la tendenza ad incorporare l’alcol si manifesta anche nel GAP con la voglia di accumulare denaro. La clinica e i test psicologici hanno suggerito una forte comorbidità con i disturbi affettivi, specie con la depressione perché in fondo l’euforia, l’eccitazione e il coinvolgimento emotivo che regala l’azzardo serve a scacciare e ad allontanare il vuoto esistenziale di un soggetto affetto da una patologia affettiva grave. Infine, uno studio pilota negli USA, condotto dallo psichiatra Hollander (1999), ha mostrato la capacità di un farmaco antidepressivo di ultima generazione, il Fevarin, di modificare i comportamenti dei giocatori d’azzardo che al termine della terapia dalla durata di circa otto settimane, avevano smesso di giocare. Gli esperti spiegano che il meccanismo d’azione della fluvozamina, la sostanza principale del farmaco, è associato alla sua capacità di agire sul sistema serotoninergico che presiede alla iniziazione e all’inibizione dei comportamenti e che regola l’aggressività e la capacità di regolare gli impulsi. Non tutte le persone che amano giocare sono potenziali giocatori patologici. Il passaggio da giocatore sociale a giocatore patologico non è così netto come potrebbe sembrare: nell’ampio spettro di giocatori, infa tti, devono essere riconosciuti i giocatori occasionali, abituali, problematici, patologici con tutte le dovute differenze. Per esempio, il giocatore sociale è spinto e motivato da una sana passione per il divertimento e il passatempo, come dice Dickerson (1984) e, poiché non mette in gioco tutto sé stesso e si lascia coinvolgere emotivamente solo in parte, sia che si tratti di un giocatore occasionale sia di un giocatore abituale, è anche in grado di controllarsi meglio senza avere difficoltà ad abbandonare il gioco e gestire equilibratamente vincite e perdite. Si possono addirittura differenziare tre tipologie di giocatori sociali56 in base alla loro percezione del gioco come dominato più dall’abilità o più dalla fortuna: Il giocatore che crede di poter vincere perché confida esclusivamente sulla propria abilità nell’indovinare un pronostico. È questo il tipico caso dello scommettitore dei cavalli; Il giocatore che tende di più verso la componente aleatoria e si affida totalmente alla dea bendata. Ne ritroviamo gli esempi tra i giocatori del lotto e delle lotterie; Il giocatore che cerca un equilibrio tra abilità e fortuna. Questo atteggiamento è proprio del giocatore di Totocalcio. Se il giocatore sociale, nella maggioranza dei casi, non imbocca la strada della dipendenza patologica, diversa è la situazione del giocatore problematico. Questo tipo di giocatore è identificabile in quei soggetti che hanno bisogno e vanno alla ricerca di quel piacere che il gioco gli assicura, i suoi limiti sono meno netti e rischia di perdere il controllo e di non riuscire più a fermarsi fino a quando non si è perso tutto. Scatta, insomma, quel meccanismo che Mc- Gurrin57 ha definito dell’inseguimento che porta il giocatore a rincorrere le perdite, compromettendo la propria vita lavorativa, affettiva e sociale. Va precisato, comunque, che non è semplice riuscire a definire nettamente i confini del gioco problematico che collocandosi tra la tendenza ad esaltare il gioco sociale e la tendenza, opposta, a demonizzare le forme di gioco patologico, viene scarsamente considerato. È opportuno, allora, mettere da parte una visione monodimensionale del fenomeno, che porterebbe ad una mera descrizione di cfr. Capitanucci, Marino, 2002. Lavanco, Varveri, 2001. 57 1992; cit. in Lavanco, 2001. 55 56 19 singole caratteristiche del giocatore problematico, per abbracciare un’ottica più eterogenea che consente di capire che l’aspetto problematico di alcuni comportamenti del gioco può essere letto nella modalità di essere del giocatore stesso. Il gioco problematico si distingue dal gioco sociale solo nelle sue forme esagerate e di crisi ma vengono, però, ignorate le sue manifestazioni. Inoltre, come ha affermato Moran58 il gioco problematico diventa una sindrome eterogenea, determinata da una fitta relazione tra fattori costituzionali ed ambientali qualora si considerino le variabili già presenti nel gioco patologico, mediandone, però l’intensità. Questa prospettiva spinge, perciò, a guardare con attenzione i potenziali fattori di rischio sia di natura psicologica, che sociale, che culturale; di conseguenza, la figura del giocatore problematico potrebbe essere principale oggetto degli interventi di informazione e prevenzione. Come si può notare, uscire dalla spirale del gioco non è semplice, scatena una sorta di crisi d’astinenza, e così, credendo più facile cedere all’ennesima puntata, si rischia di diventare giocatore patologico. Questo non deve essere identificato con gli stereotipi che ci vengono offerti dalla letteratura e dalla cinematografia che risultano fuorvianti. Dal momento che qualsiasi gioco d’azzardo, anche la tradizionale tombola, può portare ad una patologia, si deve considerare un campione di giocatori piuttosto ampio, di ambo i sessi, di qualsiasi età, cultura e ceto sociale. Sicuramente, come si è visto, benché svariate sono le cause che spingono una persona a giocare d’azzardo, tutti sono alla ricerca del rischio, della sfida; tutti vogliono mettere in gioco sé stessi. Per Dickerson (1984) il pathological gambler “è quel tipo di giocatore motivato al gioco da soddisfazioni conflittuali libidiche”. Tendenzialmente i giocatori compulsivi sono competitivi, irritabili, suscettibili di noia e con un forte bisogno di eccitazione. Da alcune ricerche emerge che sono i più adatti a prendere decisioni veloci, a trasformare impulsi in azioni e correre rischi non necessari. Spesso tendono ad infrangere le regole, risentirsi delle autorità; una diagnosi comune è di personalità narcisistica anche se spesso, dietro una corazza solida e sicura, si cela un’autostima alquanto bassa. Secondo gli autori Bolen e Boyd (1968) “il pathological gambler è caratterizzato da maggiore senso di colpa per le vincite, dall’incapacità di fermarsi in caso di vittoria e da un desiderio inconscio di perdere per cui è incapace di smettere di giocare anche quando sta perdendo”. Il mondo del gioco d’azzardo è un mondo in cui si dimenticano, specie all’inizio, tutti i problemi, è qualcosa che offre la possibilità di scindersi, di fuggire dalla realtà. Pertanto, anche i comportamenti che il giocatore mette in atto una volta entrato nella vorticosa spirale del gioco, sono molto caratteristici. Infatti, spesso e volentieri gioca in segreto, toglie tempo a lavoro e famiglia a favore del gioco d’azzardo, continuamente promette di smettere di giocare ma invano, gioca fino a quando ha ultimato i soldi, per giocare usa anche il denaro occorrente per le spese di casa, tenta di rifarsi delle perdite subite giocando ancora e arriva a mentire, rubare, vendere oggetti personali e chiedere soldi in prestito pur di continuare a giocare. Come già detto in precedenza, il DSM IV classifica il pathological gambling tra i “Disturbi del controllo degli impulsi non classificati altrove”. In modo più preciso, nel DSM IV sono specificati due criteri particolari: uno di inclusione, per cui la diagnosi di GAP è confermabile se sono presenti nel soggetto i dieci sottocriteri indicati nel manuale; l’altro criterio è di esclusione che porta cioè all’esclusione della diagnosi di GAP se si è in presenza di episodi maniacali. Tra i diversi paradigmi teorici si evidenziano, inoltre, diverse ipotesi. Una di queste, per esempio, connette il GAP allo Spettro Affettivo. In questo senso il gioco patologico va a sostituire una depressione sottesa, negata che compare solo nel momento in cui il giocatore smette di giocare. Altra ipotesi, anche se talvolta criticata per il debole supporto clinico, si riferisce ad una stretta correlazione con il Disturbo ossessivocompulsivo e con gli altri disturbi d’ansia, come l’Agorafobia e il disturbo d’attacco di panico. La correlazione con il disturbo ossessivo- compulsivo ha, inoltre, portato alcuni ricercatori a parlare di un modello di Spettro, all’interno del quale, cioè, si rintracciano caratteristiche comuni a diversi disturbi. Altre ipotesi teoriche hanno enfatizzato l’importanza dei fattori predisponesti nella genesi del disturbo di GAP, ricondotti a un precoce esordio del Deficit del Controllo degli impulsi connesso ai Disturbi dell’Attenzione e dell’Iperattività nell’infanzia. 58 Cit. in Capitanucci, Marino, 2002. 20 L’ultima ipotesi, ma non per importanza, considera lo stretto legame tra lo scarso controllo degli impulsi nel Gap e i disturbi da uso di sostanze. Insomma, anche se non si tratta di una sostanza bensì di un comportamento, alla stessa stregua del tossicodipendente si può parlare di addiction. È stato già accennato, infatti, che molto forte sembra essere la correlazione tra GAP e dipendenza da sostanze, in quanto la progressione costante nelle manifestazioni di gioco fino all’incapacità di fermarsi o i sintomi dell’astinenza sono tra le caratteristiche cliniche più consuete nei giocatori patologici, caratteristiche che li assimilano agli utilizzatori di sostanze. A questo proposito è interessante evidenziare anche le ricerche condotte da Capitanucci e Biganzoli nel 2000 presso i Ser.T59. di diverse città italiane. Dai dati emerge che i tossicodipendenti patologici al gioco sembravano usare in media più sostanze contemporaneamente rispetto ai tossicodipendenti non patologici. Altri elementi interessanti riguardano le cifre spese al gioco in un giorno (circa 500 euro o più) e la frequente pratica del gioco d’azzardo nei periodi di astensione dall’uso dell’eroina, quasi a sostituzione di essa. È pure vero, comunque, che l’abuso di sostanze in contemporanea con il gioco è spiegato dal fatto che gli effetti delle sostanze stupefacenti sono sicuramente un aiuto per il giocatore che deve superare il forte stress delle perdite al gioco, per questo motivo si parla di cross addiction. Le differenze tra i due tipi di dipendenza, comunque, non mancano e, con una meticolosa attenzione ed una capillare analisi dei comportamenti, può delinearsi certamente una diagnosi differenziale. Infatti, mentre le tossicodipendenze da eroina sono un esempio lampante di tutte quelle dipendenze in cui la persona cerca un ottundimento e un ripiegamento su sé stessa, il gioco d’azzardo sembra invece tutto teso all’ottenimento di un nuovo senso di sé più esaltato, vittorioso, potente. Un accenno, infine, va fatto a quelle ricerche che non sottovalutano la correlazione tra GAP e Disturbo Ossessivo compulsivo: mentre il primo mostra di essere egosintonicamente organizzato, l’altro ha caratteri più egodistonici. Non mancano nemmeno dati inerenti all’elevata frequenza, tra i giocatori d’azzardo, di ideazione suicidaria e tentativi di suicidio. A questo proposito infatti, Hollander (1999) ha rilevato i tassi più alti di suicidio a Las Vegas, mecca del gioco d’azzardo, ma non passano inosservati nemmeno i tassi rilevati in altre comunità per il gioco, come Atlantic City. A seconda dell’orientamento di base, i trattamenti sono volti a precisi scopi. La letteratura riguardante i trattamenti psicoanalitici riporta, tra i lavori più completi, lo studio condotto da Bergler60 su sessanta giocatori. Purtroppo, però, l’abisso che si crea tra terapeuta e giocatore fin dall’inizio è uno dei motivi principali del drop out. Nel caso in cui, invece, il giocatore persevera nella terapia, tramite l’analisi può riflettere su di sé, sul suo stato d’animo negativo e sull’effetto che questo ha nel gioco. La prospettiva psichiatrica, invece, sottolinea due importanti filoni sia in America che in Inghilterra. Negli Stati Uniti, paese in cui l’attenzione alla spinosa questione del gioco d’azzardo fu incentivata da Bolen e Boyd (1968), la letteratura dei casi riferisce dei trattamenti psichiatrici basati su una combinazione di psicoterapia d’appoggio e un cocktail farmacologico che portarono il paziente ad astenersi dal gioco già dopo i primi sei mesi di trattamento. In Inghilterra spicca la figura di Moran che assume un atteggiamento simile a quello degli psichiatri americani considerando il gioco come un problema sintomatico di qualche altro problema, in genere di uno stato depressivo. Nel corso degli anni, comunque, il trattamento psichiatrico per i giocatori patologici si è evoluto notevolmente. Gli psichiatri, oggi, tendono a ritenere il giocatore innanzitutto una persona per la quale un esteso metodo di valutazione porterà a una solida base per organizzare l’aiuto e la cura. Non c’è più la tendenza ad isolare e confinare nella sua disperazione il giocatore, perché malato, ma si punta ad un reinserimento del paziente nel contesto delle sue relazioni sociali e interpersonali. Per quanto riguarda, invece, i casi di trattamento di tipo comportamentista, i contributi a riguardo risalgono agli studi di Barker e Miller (1966) che applicarono a cinque soggetti, considerati giocatori patologici, il “metodo dell’avversione”. Si è trattato cioè, di associare un processo di punizione al condizionamento classico, cioè punire i giocatori mentre guardavano stimoli associati al gioco. Il trattamento consistette in quattro simili maratone di quattro ore con una macchinetta installata nei locali dell’ospedale (si consideri che due dei giocatori presi in trattamento erano giocatori di poker machine). Le scosse elettriche erano inviate a caso durante le sessioni al ritmo di quasi una scossa al 59 60 Servizio pubblico per le tossicodipendenze. 1957; cit. in Dickerson, 1984. 21 minuto. Un anno dopo si vedevano già i primi risultati. Ma i critici61 tengono a puntualizzare che si tratta di “una terapia che dovrebbe essere offerta solo se gli altri trattamenti sono impraticabili e se il paziente dà il suo permesso dopo aver considerato tutte le informazioni che il suo terapeuta gli può onestamente fornire”. Modelli di trattamento, sicuramente meno ancorati ad una prospettiva teorica ma probabilmente molto più efficaci, si possono evidenziare sia nel nostro Paese che all’estero. In Danimarca, per esempio, negli ultimi dodici anni si è assistito ad un incremento strabiliante del gioco d’azzardo dovuto ad una massiccia legalizzazione di ogni forma di gioco, e il rischio di perdere totalmente il controllo sulla questione ha indotto lo Stato a prendere provvedimenti. Questa frenetica corsa al gioco è chiaramente correlata ad un’alta quantità di richieste di aiuto che sono pervenute al centro Ringgården, specializzato per il trattamento della “ludomania”. Il centro si propone l’obiettivo di aiutare le persone a disimparare e il trattamento è quello della terapia cognitiva. Vengono, perciò, organizzati corsi di trattamento, follow up, corsi per familiari, il cui scopo mira ad armonizzare i rapporti tra il paziente e la famiglia attraverso la presa di coscienza del problema. Il progetto prevede anche gruppi di auto aiuto, una linea telefonica d’aiuto anonima e, parallelamente, viene anche condotta una ricerca della diffusione del fenomeno per avere un quadro più chiaro e completo della situazione di disagio che il gambling provoca. 5. UNA NOTA CONCLUSIVA Anche Custer (1992) ha tracciato un percorso che vale la pena di considerare. Il punto di vista che l’autore propone permette, infatti, di inquadrare il fenomeno secondo una schema processuale: ecco perché si parla di carriera del giocatore d’azzardo, di cui si vogliono sottolineare le fasi principali: la prima, la fase vincente, in cui l’incontro con la fortuna, con il guadagno facile ha un potere destabilizzante sul soggetto anche se il gioco ha ancora una valenza innocua, sociale e ricreativa; la seconda, la fase perdente, che comincia quando il giocatore, abbandonato dalla dea bendata attua il meccanismo di inseguimento e tende a rifarsi di quanto perduto; questa è la fase che dà avvio alla patologia in cui si iniziano anche a rovinare i rapporti interpersonali; a questo punto interviene la famiglia in una disperata “operazione di salvataggio”62. Riconoscente all’aiuto dei suoi cari, il giocatore giura e si ripromette di abbandonare il mondo dell’azzardo ma ormai è vittima di un incessante delirio di onnipotenza che lo condurrà ad una fase della disperazione in cui il soggetto si troverà in una situazione di marginalità, schiacciato dall’angoscia da cui può fuggire solo tramite quattro possibilità: con il suicidio, la delinquenza e la carcerazione, la fuga o la richiesta d’aiuto. L’evoluzione di questa triste carriera può variare solo con l’intervento di un supporto esterno. Il lento cammino verso l’uscita dal mondo dell’azzardo ricomincia da una fase critica, da una sincera voglia d’aiuto, in cui il giocatore si chiarisce le idee, comincia a prendere decisioni, cerca le soluzioni al problema e riprende a lavorare. Segue poi una, più concreta, fase della ricostruzione, in cui si riallacciano e si ricompongono i pezzi delle relazioni interpersonali prima interrotte, e si giunge finalmente alla fase della crescita, in cui il soggetto, ormai guarito dalla febbre del gioco può tornare senza preoccupazioni a comprendere meglio sé stesso e gli altri. Sembra, paradossalmente, che alla base vi sia una visione romantica del mondo; da un lato luoghi sicuri, silenziosi, convenzionali, privi di senso ma anche di passioni come la casa, la famiglia, le attività convenzionali; dall’altro un mondo di rischio, esperienze, avventure, che vale la pena di vivere ed attribuisce un senso d’identità. I percorsi fin qui proposti, comunque, non sono obbligatori: non tutti coloro che giocano diventano compulsivi, molti mantengono ritmi pesanti ma cercano comunque di equilibrarsi, altri smettono e riprendono, altri ancora trovano sostitutivi o frenano i loro impulsi senza ricorrere a terzi, altri, infine, che costituiscono la maggioranza, giocano sporadicamente. L’apprendimento del gioco può anche essere concepito come un addestramento in chiave comportamentista. Skinner63 non propone, a riguardo, nessuna descrizione esplicita; dichiara soltanto che questo comportamento patologico è il risultato di un rapporto variabile (RV) tra una serie di Rachman, Teasdale 1969; 1974. Cancrini, 1996. 63 1953; cit. in Dickerson, 1984. 61 62 22 rinforzi (stimoli). Un certo numero di esperimenti condotti su animali in laboratorio ha provato che una risposta regolare e pronta può essere mantenuta anche se la ricompensa è infrequente. Analoghe sembrano le situazioni di gioco, in cui il rinforzo di una vincita relativamente infrequente è sufficiente a sviluppare e mantenere il desiderio di giocare fino a raggiungere il livello patologico, in cui “il profitto è in passivo e il giocatore perde tutto”. I primi studi sperimentali volti ad esaminare il rapporto tra una serie variabile di rinforzi e l’insistenza in fase di perdita sono stati completati da Lewis e Duncan64; questi studi, però, sono risultati abbastanza inattendibili. Più incoraggiante sembra essere quello di Levitz (1971) che considera la convinzione di essere i più abili un fattore che stimola l’insistenza al gioco almeno quanto lo è la vincita di denaro. Se si riporta tutto alla realtà di gioco, allora la fortuna del principiante è meno importante della convinzione di essere vincente sin dall’inizio del gioco. Questo studio illustra anche il fenomeno cognitivo che Langer (1975) ha definito perdita di controllo: cioè, quanto più i soggetti sentono che il gioco è governato dall’abilità, tanto più insistono a giocare in fase di perdita. Le ricerche su questo versante sono sfociate nella cosiddetta “analisi sperimentale del comportamento” riassumibile nella sequenza: stimolo discriminatorio (Sd), risposta (R) e stimolo di rinforzo (Sr +). Questa analisi dipende dalla definizione immediata della risposta presa in considerazione. Una volta definita la risposta, si osservano le caratteristiche degli stimoli più forti fra quelli che precedono di poco la risposta (Sd) e di quelli che si manifestano subito dopo (Sr +). Lo scopo dell’analisi sperimentale è quello di scoprire tutte le variabili funzionali alla risposta; questo metodo si è mostrato metodologicamente affidabile e flessibile per lo studio del comportamento umano negli ambienti di vita reale. Per cui, applicata al gioco d’azzardo, la risposta può essere interpretata da comportamenti quali posare le fiches sul tavolo, agitare e tirare i dadi, tirare la leva di una poker-machine e così via. Spesso, in questi ambienti, la natura ripetitiva del gioco stesso comporta una sequenza regolare di stimoli che precedono il momento del gioco vero e proprio: puntare, scommettere, tirare la pallina ecc. Inoltre, ipotizzato che la durata degli eventi-stimolo è un rinforzo per i giocatori, si potrebbe considerare la scommessa più vicina allo stimolo come quella più vigorosa, per cui le puntate dell’ultimo momento sono sempre più intense. In effetti, le testimonianze suggeriscono che i giocatori regolari adottano questo modello di comportamento, ed è in questo che si distinguono dai giocatori più sporadici. I dati confermano, anche, che il momento più eccitante e carico di ebbrezza e tensione sia quello dello stimolo rinforzo. Inoltre, i soldi e l’eccitazione derivante dagli stimoli relativi a quel tipo di gioco, sono stati designati come i fattori principali che agiscono per mantenere la risposta “scommessa”. Infine, all’interno della prospettiva comportamentista, è opportuno inserire anche il concetto di apprendimento sociale di auto-efficacia, proposto da Bandura (1977) per cui i fattori cognitivi, come credere che le proprie scelte siano migliori di quelle degli altri, svolgono un ruolo importante nelle prime fasi del passaggio dal gioco a bassa frequenza fino a quello ad alta frequenza. Un ulteriore aspetto che influisce in modo considerevole sul GAP sembra essere, da quanto emerso da apposite ricerche, il fattore familiare. L’ipotesi è che possa esistere un’origine familiare del GAP in quanto, date per pari le possibilità per giocare, alcuni individui sono più vulnerabili di altri e questa tendenza sembra propagarsi all’interno delle famiglie65. Gli studi dimostrano che i soggetti giocatori patologici hanno una probabilità fino ad otto volte maggiore di avere almeno un genitore con un problema analogo. La probabilità di gioco patologico è fino a tre volte superiore alla norma se il soggetto vede i propri genitori come tali, e la probabilità addirittura aumenta se questa percezione si estende anche alle generazioni precedenti. Correlazioni significative sono state riscontrate anche con gli studi sui gemelli. Il tasso di concordanza, elevato soprattutto tra i gemelli monozigoti, fa capire che per ogni gemello che gioca anche l’altro gemello adotta lo stesso comportamento. Le stesse proporzioni si riscontrano tra le malattie, come schizofrenia e depressione maggiore, in cui si riconosce un elevato carico genetico. Anche la ricerca delle basi o dei correlati cerebrali dei disturbi del comportamento, tra cui il gioco d’azzardo, ha ricevuto un forte input, specie negli ultimi tempi. L’ipotesi della ricerca neurobiologica sul GAP è che il piacere derivante da questa attività sia biologicamente sostenuto e 64 65 1956; cit. in Dickerson, 1984. Murry, 1993. 23 abbia conseguenze sul cervello66. Con tale ricerca è stata evidenziata la presenza di un sistema neuronale complesso, coinvolto nella percezione ed elaborazione delle sensazioni di piacere e nei sistemi di rinforzo considerati alla base della ripetizione dell’esperienza di determinati comportamenti compulsivi a carattere gratificante. Tale sistema neuronale presiede ai meccanismi comuni di rinforzo che sono ritenuti responsabili di uno dei comportamenti caratteristici dell’addiction, l’impulso incontrollabile di assumere la sostanza a cui si è abituati, un fenomeno caratteristico anche del GAP. Tramite numerosi e accurati studi si è pervenuti all’identificazione del sistema mesolimbico, dopaminergico come base anatomica per i meccanismi di ricompensa e di rinforzo. Invece, per quanto riguarda il ruolo dei neurotrasmettitore nel GAP è stata evidenziata l’importanza della noradrenalina, per l’attenzione e la stimolazione connesse con la vulnerabilità cognitiva e fisiologica del gioco d’azzardo; la trasmissione noredrenergica è profondamente coinvolta nella fisiopatologia dell’astinenza da uso di sostanze e gioca un ruolo nelle prestazioni della persona. Anche la serotonina è risultata importante per l’iniziativa e la disinibizione comportamentale. La stimolazione dopaminergica, infine, è la via finale comune attraverso la quale l’individuo percepisce la ricompensa psichica. Non di minore entità ed importanza, sono gli studi effettuati sulla comorbidità psichiatrica del GAP perché molti dei disturbi con i quali è più frequentemente associato sono problemi ai quali è correlata una forte componente biologica come per esempio l’alcolismo, la depressione maggiore, il disturbo d’ansia. In uno studio definito come Epidemiological Catchment Area67 è emerso che i gamblers hanno una probabilità tre volte maggiore dei non giocatori di soddisfare i criteri diagnostici per i disturbi già citati anche qui la popolazione dei giocatori è designata come popolazione a rischio per i disturbi psichiatrici più importanti. L’essere in azione, che descrive uno stato di stimolazione dei giocatori è accostabile all’ esperienza “high” che accompagna l’uso di stimolanti ma analogie tra i due disturbi si identificano anche nella tolleranza, l’astinenza, i tentativi di smettere e il progressivo degrado sociale. Anche con il consumo eccessivo di alcolici sembra esservi una certa correlazione: il carattere orale che contraddistingue l’alcolismo, la tendenza ad incorporare l’alcol si manifesta anche nel GAP con la voglia di accumulare denaro. La clinica e i test psicologici hanno suggerito una forte comorbidità con i disturbi affettivi, specie con la depressione perché in fondo l’euforia, l’eccitazione e il coinvolgimento emotivo che regala l’azzardo serve a scacciare e ad allontanare il vuoto esistenziale di un soggetto affetto da una patologia affettiva grave. Infine, uno studio pilota negli USA, condotto dallo psichiatra Hollander (1999), ha mostrato la capacità di un farmaco antidepressivo di ultima generazione, il Fevarin, di modificare i comportamenti dei giocatori d’azzardo che al termine della terapia dalla durata di circa otto settimane, avevano smesso di giocare. Gli esperti spiegano che il meccanismo d’azione della fluvozamina, la sostanza principale del farmaco, è associato alla sua capacità di agire sul sistema serotoninergico che presiede alla iniziazione e all’inibizione dei comportamenti e che regola l’aggressività e la capacità di regolare gli impulsi. Non tutte le persone che amano giocare sono potenziali giocatori patologici. Il passaggio da giocatore sociale a giocatore patologico non è così netto come potrebbe sembrare: nell’ampio spettro di giocatori, infatti, devono essere riconosciuti i giocatori occasionali, abituali, problematici, patologici con tutte le dovute differenze. Per esempio, il giocatore sociale è spinto e motivato da una sana passione per il divertimento e il passatempo, come dice Dickerson (1984) e, poiché non mette in gioco tutto sé stesso e si lascia coinvolgere emotivamente solo in parte, sia che si tratti di un giocatore occasionale sia di un giocatore abituale, è anche in grado di controllarsi meglio senza avere difficoltà ad abbandonare il gioco e gestire equilibratamente vincite e perdite. Si possono addirittura differenziare tre tipologie di giocatori sociali68 in base alla loro percezione del gioco come dominato più dall’abilità o più dalla fortuna: Il giocatore che crede di poter vincere perché confida esclusivamente sulla propria abilità nell’indovinare un pronostico. È questo il tipico caso dello scommettitore dei cavalli; Il giocatore che tende di più verso la componente aleatoria e si affida totalmente alla dea bendata. Ne ritroviamo gli esempi tra i giocatori del lotto e delle lotterie; cfr. Capitanucci, Marino, 2002. cfr. Capitanucci, Marino, 2002. 68 Lavanco, Varveri, 2001. 66 67 24 Il giocatore che cerca un equilibrio tra abilità e fortuna. Questo atteggiamento è proprio del giocatore di Totocalcio. Se il giocatore sociale, nella maggioranza dei casi, non imbocca la strada della dipendenza patologica, diversa è la situazione del giocatore problematico. Questo tipo di giocatore è identificabile in quei soggetti che hanno bisogno e vanno alla ricerca di quel piacere che il gioco gli assicura, i suoi limiti sono meno netti e rischia di perdere il controllo e di non riuscire più a fermarsi fino a quando non si è perso tutto. Scatta, insomma, quel meccanismo che Mc- Gurrin69 ha definito dell’inseguimento che porta il giocatore a rincorrere le perdite, compromettendo la propria vita lavorativa, affettiva e sociale. Va precisato, comunque, che non è semplice riuscire a definire nettamente i confini del gioco problematico che collocandosi tra la tendenza ad esaltare il gioco sociale e la tendenza, opposta, a demonizzare le forme di gioco patologico, viene scarsamente considerato. È opportuno, allora, mettere da parte una visione monodimensionale del fenomeno, che porterebbe ad una mera descrizione di singole caratteristiche del giocatore problematico, per abbracciare un’ottica più eterogenea che consente di capire che l’aspetto problematico di alcuni comportamenti del gioco può essere letto nella modalità di essere del giocatore stesso. Il gioco problematico si distingue dal gioco sociale solo nelle sue forme esagerate e di crisi ma vengono, però, ignorate le sue manifestazioni. Inoltre, come ha affermato Moran70 il gioco problematico diventa una sindrome eterogenea, determinata da una fitta relazione tra fattori costituzionali ed ambientali qualora si considerino le variabili già presenti nel gioco patologico, mediandone, però l’intensità. Questa prospettiva spinge, perciò, a guardare con attenzione i potenziali fattori di rischio sia di natura psicologica, che sociale, che culturale; di conseguenza, la figura del giocatore problematico potrebbe essere principale oggetto degli interventi di informazione e prevenzione. Come si può notare, uscire dalla spirale del gioco non è semplice, scatena una sorta di crisi d’astinenza, e così, credendo più facile cedere all’ennesima puntata, si rischia di diventare giocatore patologico. Questo non deve essere identificato con gli stereotipi che ci vengono offerti dalla letteratura e dalla cinematografia che risultano fuorvianti. Dal momento che qualsiasi gioco d’azzardo, anche la tradizionale tombola, può portare ad una patologia, si deve considerare un campione di giocatori piuttosto ampio, di ambo i sessi, di qualsiasi età, cultura e ceto sociale. Sicuramente, come si è visto, benché svariate sono le cause che spingono una persona a giocare d’azzardo, tutti sono alla ricerca del rischio, della sfida; tutti vogliono mettere in gioco sé stessi. Per Dickerson (1984) il pathological gambler “è quel tipo di giocatore motivato al gioco da soddisfazioni conflittuali libidiche”. Tendenzialmente i giocatori compulsivi sono competitivi, irritabili, suscettibili di noia e con un forte bisogno di eccitazione. Da alcune ricerche emerge che sono i più adatti a prendere decisioni veloci, a trasformare impulsi in azioni e correre rischi non necessari. Spesso tendono ad infrangere le regole, risentirsi delle autorità; una diagnosi comune è di personalità narcisistica anche se spesso, dietro una corazza solida e sicura, si cela un’autostima alquanto bassa. Secondo gli autori Bolen e Boyd (1968) “il pathological gambler è caratterizzato da maggiore senso di colpa per le vincite, dall’incapacità di fermarsi in caso di vittoria e da un desiderio inconscio di perdere per cui è incapace di smettere di giocare anche quando sta perdendo”. Il mondo del gioco d’azzardo è un mondo in cui si dimenticano, specie all’inizio, tutti i problemi, è qualcosa che offre la possibilità di scindersi, di fuggire dalla realtà. Pertanto, anche i comportamenti che il giocatore mette in atto una volta entrato nella vorticosa spirale del gioco, sono molto caratteristici. Infatti, spesso e volentieri gioca in segreto, toglie tempo a lavoro e famiglia a favore del gioco d’azzardo, continuamente promette di smettere di giocare ma invano, gioca fino a quando ha ultimato i soldi, per giocare usa anche il denaro occorrente per le spese di casa, tenta di rifarsi delle perdite subite giocando ancora e arriva a mentire, rubare, vendere oggetti personali e chiedere soldi in prestito pur di continuare a giocare. Come già detto in precedenza, il DSM IV classifica li pathological gambling tra i “Disturbi del controllo degli impulsi non classificati altrove”. In modo più preciso, nel DSM IV sono specificati due criteri particolari: uno di inclusione, per cui la diagnosi di GAP è confermabile se sono presenti nel 69 70 1992; cit. in Lavanco, 2001. Cit. in Capitanucci, Marino, 2002. 25 soggetto i dieci sottocriteri indicati nel manuale; l’altro criterio è di esclusione che porta cioè all’esclusione della diagnosi di GAP se si è in presenza di episodi maniacali. Tra i diversi paradigmi teorici si evidenziano, inoltre, diverse ipotesi. Una di queste, per esempio, connette il GAP allo Spettro Affettivo. In questo senso il gioco patologico va a sostituire una depressione sottesa, negata che compare solo nel momento in cui il giocatore smette di giocare. Altra ipotesi, anche se talvolta criticata per il debole supporto clinico, si riferisce ad una stretta correlazione con il Disturbo ossessivocompulsivo e con gli altri disturbi d’ansia, come l’Agorafobia e il disturbo d’attacco di panico. La correlazione con il disturbo ossessivo- compulsivo ha, inoltre, portato alcuni ricercatori a parlare di un modello di Spettro, all’interno del quale, cioè, si rintracciano caratteristiche comuni a diversi disturbi. Altre ipotesi teoriche hanno enfatizzato l’importanza dei fattori predisponesti nella genesi del disturbo di GAP, ricondotti a un precoce esordio del Deficit del Controllo degli impulsi connesso ai Disturbi dell’Attenzione e dell’Iperattività nell’infanzia. L’ultima ipotesi, ma non per importanza, considera lo stretto legame tra lo scarso controllo degli impulsi nel Gap e i disturbi da uso di sostanze. Insomma, anche se non si tratta di una sostanza bensì di un comportamento, alla stessa stregua del tossicodipendente si può parlare di addiction. È stato già accennato, infatti, che molto forte sembra essere la correlazione tra GAP e dipendenza da sostanze, in quanto la progressione costante nelle manifestazioni di gioco fino all’incapacità di fermarsi o i sintomi dell’astinenza sono tra le caratteristiche cliniche più consuete nei giocatori patologici, caratteristiche che li assimilano agli utilizzatori di sostanze. A questo proposito è interessante evidenziare anche le ricerche condotte da Capitanucci e Biganzoli nel 2000 presso i Ser.T71. di diverse città italiane. Dai dati emerge che i tossicodipendenti patologici al gioco sembravano usare in media più sostanze contemporaneamente rispetto ai tossicodipendenti non patologici. Altri elementi interessanti riguardano le cifre spese al gioco in un giorno (circa 500 euro o più) e la frequente pratica del gioco d’azzardo nei periodi di astensione dall’uso dell’eroina, quasi a sostituzione di essa. È pure vero, comunque, che l’abuso di sostanze in contemporanea con il gioco è spiegato dal fatto che gli effetti delle sostanze stupefacenti sono sicuramente un aiuto per il giocatore che deve superare il forte stress delle perdite al gioco, per questo motivo si parla di cross addiction. Le differenze tra i due tipi di dipendenza, comunque, non mancano e, con una meticolosa attenzione ed una capillare analisi dei comportamenti, può delinearsi certamente una diagnosi differenziale. Infatti, mentre le tossicodipendenze da eroina sono un esempio lampante di tutte quelle dipendenze in cui la persona cerca un ottundimento e un ripiegamento su sé stessa, il gioco d’azzardo sembra invece tutto teso all’ottenimento di un nuovo senso di sé più esaltato, vittorioso, potente. Un accenno, infine, va fatto a quelle ricerche che non sottovalutano la correlazione tra GAP e Disturbo Ossessivo compulsivo: mentre il primo mostra di essere egosintonicamente organizzato, l’altro ha caratteri più egodistonici. Non mancano nemmeno dati inerenti all’elevata frequenza, tra i giocatori d’azzardo, di ideazione suicidaria e tentativi di suicidio. A questo proposito infatti, Hollander (1999) ha rilevato i tassi più alti di suicidio a Las Vegas, mecca del gioco d’azzardo, ma non passano inosservati nemmeno i tassi rilevati in altre comunità per il gioco, come Atlantic City. A seconda dell’orientamento di base, i trattamenti sono volti a precisi scopi. La letteratura riguardante i trattamenti psicoanalitici riporta, tra i lavori più completi, lo studio condotto da Bergler72 su sessanta giocatori. Purtroppo, però, l’abisso che si crea tra terapeuta e giocatore fin dall’inizio è uno dei motivi principali del drop out. Nel caso in cui, invece, il giocatore persevera nella terapia, tramite l’analisi può riflettere su di sé, sul suo stato d’animo negativo e sull’effetto che questo ha nel gioco. La prospettiva psichiatrica, invece, sottolinea due importanti filoni sia in America che in Inghilterra. Negli Stati Uniti, paese in cui l’attenzione alla spinosa questione del gioco d’azzardo fu incentivata da Bolen e Boyd (1968), la letteratura dei casi riferisce dei trattamenti psichiatrici basati su una combinazione di psicoterapia d’appoggio e un cocktail farmacologico che portarono il paziente ad astenersi dal gioco già dopo i primi sei mesi di trattamento. In Inghilterra spicca la figura di Moran che assume un atteggiamento simile a quello degli psichiatri americani considerando il gioco come un problema sintomatico di qualche altro problema, in genere di uno stato depressivo. Nel corso degli 71 72 Servizio pubblico per le tossicodipendenze. 1957; cit. in Dickerson, 1984. 26 anni, comunque, il trattamento psichiatrico per i giocatori patologici si è evoluto notevolmente. Gli psichiatri, oggi, tendono a ritenere il giocatore innanzitutto una persona per la quale un esteso metodo di valutazione porterà a una solida base per organizzare l’aiuto e la cura. Non c’è più la tendenza ad isolare e confinare nella sua disperazione il giocatore, perché malato, ma si punta ad un reinserimento del paziente nel contesto delle sue relazioni sociali e interpersonali. Per quanto riguarda, invece, i casi di trattamento di tipo comportamentista, i contributi a riguardo risalgono agli studi di Barker e Miller (1966) che applicarono a cinque soggetti, considerati giocatori patologici, il “metodo dell’avversione”. Si è trattato cioè, di associare un processo di punizione al condizionamento classico, cioè punire i giocatori mentre guardavano stimoli associati al gioco. Il trattamento consistette in quattro simili maratone di quattro ore con una macchinetta installata nei locali dell’ospedale (si consideri che due dei giocatori presi in trattamento erano giocatori di poker machine). Le scosse elettriche erano inviate a caso durante le sessioni al ritmo di quasi una scossa al minuto. Un anno dopo si vedevano già i primi risultati. Ma i critici73 tengono a puntualizzare che si tratta di “una terapia che dovrebbe essere offerta solo se gli altri trattamenti sono impraticabili e se il paziente dà il suo permesso dopo aver considerato tutte le informazioni che il suo terapeuta gli può onestamente fornire”. Modelli di trattamento, sicuramente meno ancorati ad una prospettiva teorica ma probabilmente molto più efficaci, si possono evidenziare sia nel nostro Paese che all’estero. In Danimarca, per esempio, negli ultimi dodici anni si è assistito ad un incremento strabiliante del gioco d’azzardo dovuto ad una massiccia legalizzazione di ogni forma di gioco, e il rischio di perdere totalmente il controllo sulla questione ha indotto lo Stato a prendere provvedimenti. Questa frenetica corsa al gioco è chiaramente correlata ad un’alta quantità di richieste di aiuto che sono pervenute al centro Ringgården, specializzato per il trattamento della “ludomania”. Il centro si propone l’obiettivo di aiutare le persone a disimparare e il trattamento è quello della terapia cognitiva. Vengono, perciò, organizzati corsi di trattamento, follow up, corsi per familiari, il cui scopo mira ad armonizzare i rapporti tra il paziente e la famiglia attraverso la presa di coscienza del problema. Il progetto prevede anche gruppi di auto aiuto, una linea telefonica d’aiuto anonima e, parallelamente, viene anche condotta una ricerca della diffusione del fenomeno per avere un quadro più chiaro e completo della situazione di disagio che il gambling provoca. Gioacchino Lavanco professore ordinario di psicologia di comunità, Università degli Studi di Palermo BIBLIOGRAFIA American Psychiatric Association (1994), Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders Fourth Edition (DSM IV). Washington DC: American Psychiatric Association (trad.it DSM –IV, Manuale Diagnostico e statistico dei disturbi mentali, Masson, Milano 1996). Arcidiacono C. 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