R eumatologia pratica PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI SETTEMBRE 2011 Numero 3 VOLUME 6 Attualità nel trattamento del dolore: come e quando scegliere il tipo di oppiaceo A. Salvetti................................................... 45 Direttore Scientifico Roberto Marcolongo Direttore Editoriale Bianca Canesi Comitato Scientifico Gerolamo Bianchi Alessandro Bussotti Pierlorenzo Franceschi Bruno Frediani Luigi Gatta Stefano Giovannoni Gianni Leardini Arrigo Lombardi Raffaella Michieli Vittorio Modena Claudio Vitali Alcaptonuria e ocronosi A. Mannoni................................................ 50 Nuove esperienze cliniche: trattamento infusivo con iloprost mediante elastomero L. Sabadini, O. Sacu, F. Rosati, E. Marzo, L. Fusconi, R. Brischetto.................................. 53 Presidente CROI Gianni Leardini La terapia termale nelle malattie reumatiche F. Cozzi...................................................... 58 Presidente LIMAR Roberto Marcolongo Presidente SIMG Claudio Cricelli Presidente FADOI Carlo Nozzoli Direttore Responsabile Patrizia Alma Pacini © Copyright by Pacini Editore S.p.A. - Pisa Edizione Pacini Editore S.p.A. Via Gherardesca 1 • 56121 Ospedaletto (Pisa) Tel. 050 313011 • Fax 050 3130300 [email protected] • www.pacinimedicina.it Marketing Dpt Pacini Editore Medicina Andrea Tognelli - Medical Project - Marketing Director Tel. 050 3130255 - [email protected] Fabio Poponcini - Sales Manager Tel. 050 3130218 - [email protected] Manuela Mori - Customer Relationship Manager Tel. 050 3130217 - [email protected] Ufficio Editoriale Lucia Castelli Tel. 050 3130224 - [email protected] Stampa Industrie Grafiche Pacini • Ospedaletto (Pisa) Collegio reumatologi ospedalieri italiani Lega Italiana Malattie Autoimmuni e reumatiche Con il patrocinio di Società italiana di medicina generale NORME REDAZIONALI Gli articoli dovranno essere accompagnati da una dichiarazione firmata dal primo Autore, nella quale si attesti che i contributi sono inediti, non sottoposti contemporaneamente ad altra rivista ed il loro contenuto conforme alla legislazione vigente in materia di etica della ricerca. 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Le riviste devono essere citate secondo le abbreviazioni riportate su Index Medicus. Esempi di corretta citazione bibliografica per: articoli e riviste Bianchi M, Laurà G, Recalcati D. Il trattamento chirurgico delle rigidità acquisite del ginocchio. Minerva Ortopedica 1985;36:431-8. libri Tajana GF. Il condrone Milano: Edizioni Mediamix 1991. Krmpotic-Nemanic J, Kostovis I, Rudan P. Aging changes of the form and infrastructure of the extemal nose and its importance in rhinoplasty. In. Conly J, Dickinson JT, editors. Plastic and reconstructive surgery of the face and neck. New York: Grune and Stratton 1972, p. 84-8. Ringraziamenti: indicazioni di grant o borse di studio, vanno citati al termine della bibliografia. Le note contraddistinte da asterischi o simboli equivalenti, compariranno nel testo a piè di pagina. Termini matematici, formule, abbreviazioni, unità e misure devono conformarsi agli standard riportati in Science 1954;120:1078. I farmaci vanno indicati con il nome chimico. Solo se inevitabile potranno essere citati con i nome commerciale (scrivendo in maiuscolo la lettera iniziale del prodotto). Norme specifiche per le singole rubriche Editoriali. Sono intesi come considerazioni generali e pratiche sui temi di attualità, in lingua italiana, sollecitati dal Direttore o dai componenti il Comitato di Redazione. Per il testo sono previste circa 15 cartelle da 2000 battute. Sono previste inoltre al massimo 3 figure e 5 tabelle. Bibliografia: massimo 15 voci. Articoli sulle patologie. Non devono superare le 10 pagine dattiloscritte (2000 battute). Sono previste massimo 3 parole chiave, massimo 2 figure e 3 tabelle e non più di 30 voci bibliografiche. Gli articoli dovranno riportare al termine un quadro sinottico per riassumere gli elementi essenziali di utilità pratica. L’articolo se è scritto dallo specialista verrà inviato dalla redazione ad un medico di medicina generale per un commento (massimo una pagina di 2000 battute). Se l’articolo verrà elaborato da un medico di medicina generale il commento sarà a cura di uno specialista. Articoli sui sintomi. Preferibilmente devono partire dalla illustrazione di un caso clinico. Non devono superare le 10 pagine dattiloscritte (2000 battute). Sono previste massimo 3 parole chiave, massimo 2 figure e 3 tabelle e non più di 30 voci bibliografiche. Gli articoli dovranno riportare al termine un quadro sinottico per riassumere gli elementi essenziali di utilità pratica. L’articolo se è scritto dallo specialista verrà inviato dalla redazione ad un medico di medicina generale per un commento (massimo una pagina di 2000 battute). Se l’articolo verrà elaborato da un medico di medicina generale il commento sarà a cura di uno specialista. Casi clinici. Vengono accettati dal Comitato di Redazione solo lavori di interesse didattico e segnalazioni rare. La presentazione comprende l’esposizione del caso ed una discussione diagnostico-differenziale. Il testo (8 cartelle da 2000 battute) deve essere coinciso e corredato, se necessario, di 1-2 figure o tabelle al massimo di 10 riferimenti bibliografici essenziali. Il riassunto è di circa 50 parole. Gli scritti di cui si fa richiesta di pubblicazione vanno indirizzati a: Pacini Editore S.p.A., Ufficio Editoriale, via Gherardesca 1, 56121 Pisa, e-mail: [email protected] Finito di stampare nel mese di Settembre 2011 dalle Industrie Grafiche Pacini Editore S.p.A. L’editore resta a disposizione degli aventi diritto con i quali non è stato possibile comunicare e per le eventuali omissioni. Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633. 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Gherardesca 1- 56121 Ospedaletto (Pisa). settembre 2011 volume 6 pagine 45-49 Attualità nel trattamento del dolore: come e quando scegliere il tipo di oppiaceo Parole chiave Dolore cronico • Pain generator • Dolore neuropatico • Dolore nocicettivo • Ipersensibilità spinale Riassunto Il problema dolore rappresenta una circostanza di frequente riscontro negli accessi all’ambulatorio del medico di medicina generale. La sua giusta collocazione diagnostica, indipendentemente dalla sua precisa eziopatogenesi, deve rappresentare il primum movens per un’adeguata terapia farmacologica che permetta al paziente una buona qualità di vita. Togliere alcuni “falsi miti” e pregiudizi sull’uso degli oppiacei significa controllare il dolore senza la necessità di intraprendere terapie con farmaci che presentano maggiori effetti collaterali. Andrea Salvetti Presidente SIMG Grosseto C.P.N. S.I.M.G. [email protected] che può interferire con la capacità funzionale, lavorativa e sociale degli individui. Secondo indagini ISTAT, il 23% dei pazienti dichiara di aver dovuto cambiare la propria posizione sociale, il 14-17% ha asserito di aver perso il proprio lavoro, il 28% ha avuto un cambio di responsabilità della propria mansione, il 20% ha cambiato lavoro. Da un punto di vista economico, negli ultimi anni, é aumentata la spesa nazionale per le prestazioni e i farmaci riconducibili a patologie dolorose. Si calcola che nel 2007 siano stati spesi oltre 3 milioni di euro. Si calcola che il dolore cronico causa all’economia nazionale una perdita di oltre 3 milioni di ore lavorative. Da un punto di vista psicologico, il 18% dei pazienti che soffrono di dolore cronico dichiarano di vivere un senso di abbandono e la sensazione di perdere il proprio ruolo all’interno della famiglia, al 22% è stata posta diagnosi di depressione, il 50% prova un senso di sfiducia in se stessi e di malessere generalizzato. L’approccio al paziente con dolore impone spesso una correlazione della sindrome algica con la malattia possibile causa del dolore stesso e l’intensità del dolore, ovvero associare una certa patologia a un determinato tipo di dolore. Questo modo di procedere non è ovviamente privo di razionale scientifico e può esporre il medico a grossolani errori 1. Reumatologia pratica Per dolore, secondo l’International Association for the Study of Pain (IASP-1986), s’intende “una sgradevole esperienza sensoriale ed emotiva associata a un danno tessutale attuale o potenziale o descritto come tale”. Per dolore cronico s’intende “un dolore che persiste più a lungo del corso naturale della guarigione che si associa a un particolare tipo di danno o di malattia”. Secondo altri studiosi, il dolore cronico è un dolore che persiste per un periodo di tempo maggiore di 3 mesi. Il dolore cronico rappresenta un vero problema di sanità pubblica, ritenuto prioritario sia dall’Organizzazione mondiale della sanità che dalle istituzioni sanitarie europee e dal Ministero della Salute italiano. In Europa affligge 75 milioni di persone, ovvero il 19% della popolazione adulta, in particolare le donne. In Italia ne soffre fino al 26% della popolazione e causa un deterioramento sia fisico che psicologico, PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI 45 settembre 2011 Numero 3 Difronte a un dolore interpretato come cronico si deve discriminare se si tratta di un dolore neuropatico o meno. L’anamnesi e un esame obiettivo ben condotto permettono di ricercare l’origine del dolore che a sua volta permette poi di impostare da subito una razionale e appropriata terapia antalgica, senza tuttavia dimenticare la ricerca della causa del dolore. Definire la diagnosi algologica permette quindi di impostare una terapia farmacologica, in attesa del risultato degli accertamenti richiesti 2. La “diagnosi algologica” ricerca quindi il pain generator ovvero il sito da cui origina il dolore (che può essere la fibra nervosa nel caso del dolore neuropatico o il nocicettore periferico nel caso del dolore nocicettivo). A tal proposito si eseguono tre semplici test di stimolazione all’interno dell’area che il paziente riferisce dolorosa. Ogni test permette di verificare l’integrità delle fibre A-beta (tocco con garza), A-delta (punta di graffetta) e delle fibre C (provetta di acqua calda) 3. La positività anche di uno solo dei tre test citati sta a indicare una sofferenza della fibra nervosa. L’integrità del sistema somato-sensoriale, ossia delle fibre coinvolte nella trasmissione dell’impulso doloroso dalla sede del dolore al midollo spinale, esclude che il dolore origini dalle fibre nervose (dolore neuropatico), mentre suggerisce che il dolore origini dai nocicettori periferici. In un secondo momento è fondamentale ricercare il coinvolgimento dei neuroni spinali (chiamata ipersensibilità spinale). In quest’ultimo caso si somministrano stimoli “allodinici”, ovvero stimoli che “normalmente” non evocano dolore, mentre risultano dolorosi nell’area del dolore raccontato dal paziente (Fig. 1). Nei casi di dolore cronico, in cui ad esempio la guarigione della malattia non è breve, nonostante l’evidenza clinica indichi che il pain generator (sito dove origina il dolore) si trovi nei nocicettori periferici infiammati, è consigliabile ridurre a un periodo minimo la somministrazione di FANS e agire con farmaci modulatori dell’impulso a livello della sinapsi (paracetamolo e oppiacei) in cui l’impiego per lunghi periodi si ritiene più sicuro ed efficace. Quindi se l’intensità del dolore è lieve useremo il paracetamolo, se moderata-forte opteremo per gli oppiacei, da scegliere a seconda della loro potenza analgesica. È noto infatti che i FANS hanno una limitata potenza antalgica, un’azione esclusivamente periferica e, a causa di molteplici effetti avversi, possono essere usati per limitati periodi di tempo. In generale un incremento del loro dosaggio oltre quello massimo previsto non produce un parallelo incremento dell’effetto analgesico. Non Reumatologia pratica 46 PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI Il dolore a bassa soglia Iperalgesia Allodinia Dolore fisiologico 100 L’ipersensibilità sposta a sinistra la curva del dolore evocato e compare allodinia nel territorio di lesione Intensità del dolore 0 100 Intensità dello stimolo Dolore spontaneo Figura 1. C. Bonezzi: Fisiopatologia del dolore. esistono inoltre prove di efficacia sul dolore neuropatico e alcuni FANS possono anche interferire con l’attività cardio-circolatoria. Da un punto di vista neurofisiologico non esistono differenze sostanziali tra dolore oncologico e nononcologico, mentre il differente approccio è legato principalmente alla presenza della malattia-cancro nella sua evoluzione progressiva e inguaribile. Nel dolore da cancro il pain generator è costituito dal recettore periferico e/o viscerale “infiammato” dalla malattia-cancro, è sempre presente ipersensibilità spinale, trattandosi di stimoli continui al midollo. Molto spesso è presente il coinvolgimento dei plessi nervosi con invasione e/o lesione delle fibre nervose. Quindi nelle fasi di terminalità il controllo del dolore deve essere guidato dall’intensità del sintomo dolore e dai possibili effetti collaterali della terapia antalgica, ridotti al minimo per garantire una buona qualità di vita e di morte al paziente. Di fronte al dolore cronico quale è quello da “artrosi” (patologia ad alta prevalenza direttamente proporzionale all’età) è necessario prima di tutto definire il sito d’origine del dolore (che nel paziente artrosico sono sempre i nocicettori), ma subito dopo accertare la presenza o meno di ipersensibilità dei recettori stessi. Quindi se non è presente infiammazione non sono appropriati i FANS, ma possono risultare utili e più sicuri i farmaci oppiacei SAO (Short-Acting Opioids): paracetamolo e sue associazioni (con tramadolo, codeina, ossicodone), tramadolo in formulazione pronta (gocce/cpr), morfina solfato in soluzione pronta. In questi casi, essendo il dolore prevedibile, è sufficiente assumere l’oppiaceo in via profilattica 30-40 minuti prima della deambulazione che si preveda possa de- Attualità nel trattamento del dolore settembre 2011 Numero 3 terminare dolore. Se invece l’esame obiettivo dimostra la presenza di flogosi vi è indicazione alla somministrazione di FANS o steroidi, ma sempre per periodi limitati. Vi è anche la possibilità di una terapia multimodale del dolore ovvero l’utilizzo di più farmaci con azione sinergica. Questo permette di ridurre le dosi dei singoli farmaci e/o addirittura di sospendere quei farmaci ritenuti meno sicuri o dannosi nella somministrazione per lunghi periodi. Oggi dobbiamo interpretare la terapia analgesica con oppiacei come una necessità per il controllo del dolore e non soltanto dopo il fallimento con altre strategie terapeutiche che apparentemente possano sembrare più “leggere” e pertanto più innocue. Ricordiamo anche che accanto ai farmaci oppiacei, con cui singolarmente è possibile il controllo della sintomatologia dolorosa nel 70-80% dei casi, si collocano i farmaci adiuvanti che non hanno come prima indicazione il trattamento del dolore, ma che in alcune situazioni si comportano come veri e propri analgesici. Per questi farmaci tuttavia non esiste ancora l’indicazione nella terapia del dolore e questo ne limita la loro prescrizione in maniera lecita (prescrizione off label). Comprendono la carbamazepina, l’amitriptilina, i gabapentinoidi (gabapentin e pregabalin), la duloxetina, la lidocaina topica. La scelta di impiegare un oppiaceo per il controllo del dolore è dettata, secondo le indicazione dell’OMS, dall’intensità del dolore stesso ovvero in presenza di un dolore di intensità moderata-forte (intervallo 7-10 nella scala numerica). Nonostante le numerose evidenze scientifiche internazionali motivino l’indicazione all’uso dei farmaci oppioidi anche nel dolore cronico non-oncologico (DCNO) l’utilizzo di questi farmaci in Italia è ancora molto scarso (Fig. 2). È necessario togliere dalla mente alcuni “falsi miti” che possono rappresentare un ostacolo alla prescrizione di questo tipo di farmaci: i pazienti in trattamento con farmaci oppiacei, se adeguatamente trattati, non sviluppano alcuna dipendenza e gli effetti collaterali tipici di questa classe (stipsi, nausea e sonnolenza) sono scarsamente ricorrenti e diminuiscono progressivamente con il proseguimento della terapia. Per l’utilizzo appropriato dei farmaci oppiacei, anche nella terapia del DCNO, è necessario un corretto processo di titolazione (titration) che consiste in un processo in cinque fasi sequenziali: 1. ricerca della giusta dose giornaliera; 2. ricerca della giusta posologia; 3. ricerca della via ottimale di somministrazione; 4. controllo profilattico degli effetti indesiderati noti; 5. controllo degli effetti collaterali legati a quel paziente (non sempre presenti). 1. Per stabilire la giusta dose con cui iniziare la som- 2,05 1,89 1,63 2,17 1,52 0,73 0,74 0,51 Po na ag ga llo 0,28 rto Ital ia a nd Irla a err a hilt Ing Gr eci ia an Ge rm nci a Fra dia lan lgi o Fin Be Au st ria 0,30 Sp 0,69 Figura 2. Consumo dei farmaci oppiacei in Europa (% sul totale spesa farmaceutica). Fonte: Elaborazione OsMed su dati IMS. Reumatologia pratica a. salvetti PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI 47 settembre 2011 Numero 3 Tabella I. Tabella di equianalgesia dei principali farmaci oppiacei. Farmaco Dose (mg) equianalgesica (pari a 10 mg morfina in msc) Morfina Durata di azione (ore) im sc 10 20-30 2-3,5 3-6 200 2-3 2-4 3-4 2-4 Codeina Ossicodone 15 30 Propossifene - 100 Metadone 10 20 15-120 4-8 Idromorfone 1,5 7,5 2-3 2-4 Ossimorfone 1 10 2-3 3-4 Fentanyl 0,1 - 1-2 1-3 Tramadolo 100 120 6-8 4-6 0,3-0,4 0,8 2-3 6-9 Buprenorfina ministrazione di un oppiaceo è necessario distinguere tra paziente vergine (ovvero che non ha mai fatto uso di farmaci oppiacei) e paziente già in terapia con oppiacei. Nel primo caso, è preferibile utilizzare un oppiaceo a “rapido effetto”, come previsto dalle raccomandazioni dell’European Association for Palliative Care (EAPC). Ad esempio, si inizia con 5 mg di morfina a pronto rilascio ogni 4 ore (4 gocce di morfina a pronto rilascio in soluzione al 20%) con somministrazione serale doppia, al 2° giorno si può modificare la posologia aumentando o diminuendo di 1-2 gocce a somministrazione. In alternativa si possono utilizzare oppiacei per via orale a lento rilascio (morfina, ossicodone, idromorfone) insieme a un oppiaceo a rapido effetto (morfina a pronto rilascio o ossicodone pronto): si somministra il primo alla dose minima ogni 12 ore e in caso di dolore si aggiunge morfina a pronto rilascio (5 mg) o ossicodone pronto (5 mg). Dopo 2-3 giorni la somma delle dosi dei due farmaci oppiacei costituisce la nuova dose giornaliera che va suddivisa in due somministrazioni giornaliere. Nella fase di titolazione non è raccomandabile l’utilizzo degli oppiacei transdermici che andrebbero riservati quando il dolore è stabile e controllato. Nei pazienti che stanno già utilizzando oppiacei, bisogna utilizzare le tabelle di equianalgesia (Tab. I) e, nel caso in cui il dolore non sia ben controllato, il nuovo farmaco andrà incrementato del 30-50% del dosaggio del farmaco usato in precedenza. Reumatologia pratica 48 Emivita (ore) PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI 2-4 2. La posologia ottimale del farmaco oppiaceo utilizzato va personalizzato cercando di ottenere la migliore compliance possibile del paziente, utilizzando anche schemi posologici diversi da quelli consigliati. 3. La scelta della via di somministrazione è condizionata dalle preferenze del paziente e dalle sue condizioni cliniche che in determinate situazioni ne obbligano alcune vie “non ortodosse” (presenza di disfagia, scarsa sanguificazione cutanea periferica, febbricola, presenza di edemi periferici). 4. Vi sono effetti collaterali legati al meccanismo d’azione noto del farmaco oppiaceo che stiamo impiegando e che si manifesteranno da subito. È necessario informare esaurientemente il paziente e la sua famiglia anche per ottenere la massima aderenza alla terapia. È opportuno: a. idratare opportunamente il paziente; b. prevenire la stipsi; c. prevenire o contrastare nausea e vomito con idonea terapia farmacologica. Ma accanto agli effetti collaterali noti ne esistono altri che in realtà non conosciamo ancora bene, come gli effetti sulla libido nei soggetti giovani, sul sistema immunitario con azione inibitoria sia a livello centrale che periferico, sull’asse ipotalamo-ipofisario, sul metabolismo del calcio e anche un possibile effetto depressivo. Tutto ciò è ancora oggetto di studio e di approfondimento. Attualità nel trattamento del dolore settembre 2011 Numero 3 a. salvetti sostanza a parità di dose utilizzata 8. È chiaro che, per quanto riguarda la somministrazione di oppioidi nel DCNO, non si hanno ancora a disposizione tutte le esperienze che si sono raccolte nella somministrazione cronica di oppioidi nel dolore oncologico. In particolare ci pare corretto segnalare che ulteriori studi si rendono necessari nei seguenti settori: effetti a lungo termine sul sistema immunitario, rapporti tra somministrazione cronica di oppioidi e facilitazione algica, disturbi cognitivi, capacità di guidare l’auto e di prendere decisioni. Oggi la legge “Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e terapia del dolore” del 9 marzo 2010 permette un più facile utilizzo dei farmaci oppiacei e di tutte le altre sostanze stupefacenti a uso terapeutico sia nelle cure palliative che per la cura del dolore in genere. Ci auguriamo che tutto questo, assieme a un adeguato progetto formativo di tutti gli operatori sanitari, permetta un migliore controllo del dolore, oncologico e non, acuto e cronico, che purtroppo affligge ancora la maggior parte dei pazienti nel corso della loro vita. Bibliografia Lora Aprile P. Dossier Terapia del dolore. Rivista SIMG 2011;(2):44-9. 2 Ministero della Salute. Il dolore cronico in Medicina Generale. Roma: Agenzia Nazionale per i Servizi Regionali aprile 2010. 3 Maija LH, Misha-Miroslav B, Bennett M, et al. Assessment of neuropathic pain in primary care. Am J Med 2009;122(Suppl 10):S13-21. 4 Attal N, Cruccu G, Haanpaa M, et al. EFNS guidelines on pharmacological treatment of neuropathic pain. Eur J Neurol 2006; 13, 1153-69. 5 Collett BJ. Chronic opioid therapy for non-cancer pain. Br J Anaesth 2001;87;133-43. 6 Trescott AM, Boswell MV, Atluri SL, et al. Opioid guidelines in the management of chronic non cancer pain. Pain Physician 2006;9:1-39. 7 Stein C, Yassouridis A. Peripheral morphine analgesia. Pain 1997;71;119-21. 8 Badiani A, Stewart J. Enhancement of the prophagic but not of the antidipsogenic effect of U-50, 488H after chronic amphetamine. Pharmacol Biochem Behav 1993;44:77-86. 1 Reumatologia pratica 5. Alcuni pazienti manifestano effetti collaterali quali nausea, vomito, prurito, vertigini, obnubilamento del sensorio e confusione mentale: ciò significa che il farmaco non è stato titolato nel modo adeguato in quel paziente! Questa variabilità individuale rappresenta oggetto di studio della farmacogenetica che ci auguriamo possa spiegare in modo esauriente le differenti risposte “fisiologiche” agli stimoli nocicettivi, sia la predisposizione a una sensibilità “esagerata” al dolore presente in alcuni individui. Oggi la ricerca è principalmente rivolta alla identificazione di nuovi oppiacei, non tanto diversi dagli attuali in commercio per una maggiore potenza analgesica, quanto per una minore possibilità di interazioni. È noto infatti come la morfina sia in grado di interferire con il rilascio di neurormoni come PRL e GH, ma anche su ADH, ormoni tiroidei, LH, FSH e testosterone, ma anche il tramadolo è in grado di innescare interazioni farmacologiche spesso non prevedibili. In assenza di una risposta analgesica efficace il farmaco oppiaceo va sostituito modificando, se necessario, anche la via di somministrazione: questa pratica si chiama “rotazione degli oppiacei”. Oggi, sulla base di una crescente letteratura medica 4-6, si ritiene che la somministrazione protratta di oppioidi, nel caso di soggetti sofferenti per DCNO di tipo nocicettivo, sia efficace e sicura quando la procedura avvenga in un setting clinico controllato, su pazienti adeguatamente selezionati e controllati regolarmente nel tempo. La scelta farmacologica nel DCNO deriva dal piano terapeutico che va concordato col paziente e dall’obiettivo che si vuole raggiungere con questi. I problemi saranno diversi nel caso in cui il paziente stia ancora lavorando, oppure nel caso in cui questi sia stato dichiarato inabile al lavoro. Si dovrà discutere col paziente quali effetti collaterali potranno essere accettati, quali no e quale debba essere la rapidità nel raggiungere il sollievo dal dolore, ma soprattutto abbattere “falsi miti”, quali la dipendenza fisica ovvero “adattamento che si presenta con sindrome classespecifica causata da brusca sospensione, rapida riduzione della dose, riduzione dei livelli ematici e/o somministrazione di un antagonista” 7 e la tolleranza che implica una progressiva perdita di efficacia della PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI 49 settembre 2011 volume 6 pagine 50-52 Alcaptonuria e ocronosi Parole chiave Alcaptonuria • ocronosi Riassunto L’alcaptonuria è una rara malattia metabolica che determina l’escrezione urinaria di acido omogentisinico e l’accumulo dei suoi metaboliti a livello dei tessuti i quali assumono un caratteristico colore brunastro (ocronosi). La principale conseguenza clinica di tale difetto metabolico è un’artropatia particolarmente disabilitante che compare nella III decade e che interessa il rachide e le grosse articolazioni. Ad oggi non esiste una terapia causale di provata efficacia anche se sono in studio diversi composti. L’alcaptonuria è una malattia metabolica rara a trasmissione autosomica recessiva dovuta al deficit dell’enzima omogentisato 1,2 diossigenasi (HGO). I pazienti alcaptonurici eliminano con le urine grandi quantità di acido omogentisico che determina il caratteristico colore scuro delle urine quando vengono lasciate all’aria. Nel corso degli anni un prodotto di ossidazione dell’acido omogentisico si deposita, direttamente o sotto forma di polimeri, nel tessuto connettivo, in particolare a livello della cute, delle sclere e delle cartilagini, causando una pigmentazione, simile a quella generata dalla melanina, detta ocronosi. La maggior parte dei soggetti alcaptonurici sviluppano dopo i 30 anni una artropatia, talvolta particolarmente disabilitante, che coinvolge lo scheletro assiale e le grosse articolazioni. L’alcaptonuria è una malattia estremamente rara con una prevalenza stimata inferiore a 1:250.000 nella maggior parte delle popolazioni, mentre in aree circoscritte della Slovacchia 1 e della repubblica Dominicana 2 la sua frequenza è molto più elevata. Nei mammiferi gran parte della fenilalanina e della tirosina assunte con la dieta vengono metabolizzate da sistemi enzimatici localizzati prevalentemente a livello di fegato e rene. Questi aminoacidi vengono ossidati ad acido fumarico e acetoacetico in una via metabolica che comprende sei reazioni enzimatiche: Reumatologia pratica 50 PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI nella quarta tappa l’acido omogentisinico (HGA), viene ossidato ad acido maleil-acetoacetico da parte dell’enzima HGO 3. Non è completamente chiaro il meccanismo attraverso il quale il deficit enzimatico di HGO conduca all’artropatia ocronotica. È stato dimostrato 4 che la cartilagine e la cute dei mammiferi contengono alcuni enzimi (omogentisico-polifenol-ossidasi) che catalizzano in vitro l’ossidazione di HGA ad acido benzochinone-acetico con la successiva formazione di un pigmento scuro, simile a quello ocronotico. Milch ha ipotizzato 5 che l’acido benzochinone-acetico si leghi alle fibre di collagene con conseguente aumento dei legami intermolecolari, in un processo simile a quello che avviene nella concia delle pelli. D’altra parte Murray et al. 6, con la dimostrazione dell’effetto inibitorio dell’HGA sulla lisil-idrossilasi degli embrioni di pollo, hanno proposto che una minore produzione di idrossilisina possa determinare una ridotta formazione di Alessandro Mannoni Servizio di Reumatologia, Ospedali “S. Maria Nuova e Palagi” Azienda Sanitaria di Firenze [email protected] settembre 2011 Numero 3 legami intermolecolari con conseguente alterazione biomeccanica del collagene. Tale ipotesi è stata successivamente confermata da Andreotti et al. 7. Studi in vitro su colture condrocitarie hanno poi dimostrato che l‘HGA inibisce la crescita cellulare in funzione della concentrazione del metabolita 8 9. Il gene che codifica l’enzima HGO è stato clonato e caratterizzato nel 1996 10 e sono state identificate le diverse mutazioni che determinano il difetto enzimatico. Le manifestazioni cliniche della malattia sono la conseguenza della deposizione del pigmento ocronotico a livello del tessuto connettivo. Tipica è la deposizione del pigmento a livello delle sclere e delle cartilagini auricolari. I primi sintomi compaiono generalmente nella IV decade con dolore e rigidità progressiva del rachide lombare e successivamente del tratto toracico e delle articolazioni costosternali con possibile riduzione della espansione toracica. A. Mannoni Reumatologia pratica Figura 1. Immagine radiografica del rachide del paziente affetto da ocronosi: è patognomonica la riduzione di tutti gli spazi intervertebrali e la presenza di calcificazioni dei dischi intervertebrali. Tali reperti possono porre problemi di diagnostica differenziale con la spondilite anchilosante. Il quadro radiologico della spondilopatia ocronotica comunque è molto tipico, specie nelle fasi avanzate: sono evidenti infatti calcificazioni “wafer-like” dei dischi intervertebrali, con riduzione degli spazi vertebrali e fenomeni di osteocondrosi (Fig. 1). Nelle fasi tardive della malattia è inoltre presente una osteoporosi, spesso importante. Di solito le articolazioni sacroiliache sono indenni o presentano alterazioni di tipo degenerativo. È stata comunque descritta anche l’associazione fra spondilopatia ocronotica e spondilite anchilosante 10. L’impegno delle grosse articolazioni avviene di solito più tardivamente rispetto all’interessamento assiale. Le articolazioni più colpite sono il ginocchio, l’anca e la spalla mentre è raro l’interessamento delle piccole articolazioni. Il quadro clinico-radiologico è assimilabile a quello di una comune artrosi anche se è possibile il riscontro di una franca artropatia infiammatoria. In questo caso la sinovite sembra sia dovuta a una reazione da corpo estraneo alla fagocitosi del pigmento ocronotico 11. La deposizione del pigmento ocronotico a livello delle strutture tendinee può causare tendiniti o rotture tendinee spontanee. Fra le manifestazioni extrarticolari è possibile il riscontro di una calcolosi renale, vescicale e prostatica. La deposizione del pigmento a livello delle strutture valvolari cardiache può essere causa di alterazioni patologiche di rilievo; sono descritti in letteratura casi di stenosi aortica che hanno richiesto la sostituzione valvolare 12-15. Nel sospetto di un’alcaptonuria, la conferma diagnostica si ottiene con un test grossolano ma sensibile: aggiungendo poche gocce di idrossido di sodio alle urine del paziente il colorito di queste ultime diviene brunastro (Fig. 2). Lo scopo del trattamento dei pazienti alcaptonurici è quello di prevenire o minimizzare gli effetti dell’artropatia ocronotica. Anche se è stato dimostrato che una dieta ipoproteica ha ridotto l’escrezione di HGA in bambini di età inferiore ai 12 anni, negli adolescenti e negli adulti gli effetti della dieta sono risultati meno efficaci e diminuiscono con l’aumentare dell’età 16. Da diversi anni si sostiene che l’acido ascorbico sia la terapia patogenetica per l’alcaptonuria. La vitamina C, in modelli sperimentali, aumenta l’escrezione urinaria di HGA e riduce i legami del pigmento ocronotico al tessuto connettivo attraverso l’inibizione della HGA polifenol-ossidasi. Nonostante sia stato dimostrato che questo composto induca la scomparsa di acido benzo- PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI 51 settembre 2011 Numero 3 New York: McGraw-Hill 2001, pp. 2109‑23. Zannoni VG, Lomtevas N, Goldfinger S. Oxidation of homogentisic acid to ochronotic pigment in connective tissue. Biochem Biophys Acta 1969;177:94-105. 5 Milch RA. Studies on alkaptonuria: binding of homogentisic acid solutions to hide powder collagen. Proc Soc Exp Biol Med 1961;166:69-73. 6 Murray JC, Lindemberg KA, Pinnel SR. In vitro inhibition of chick embryo-lysyl-hidroxylase by homogentisinic acid. A proposed connective tissue defect in alkaptonuria. J Clin Invest 1977;59:1071-9. 7 Andreotti L, Bussotti A, Cammelli D, et al. Alterazioni del collagene nell’alcaptonuria. Reumatismo 1983;35:227-32. 8 Kirkpatrick CJ, Mohr W, Mutschler W. Experimental studies on the pathogenesis of ochronotic arthropathy. The effects of homogentisic acid on adult and fetal articular chondrocyte morphology, proliferative capacity and synthesis of proteoglycans in vitro. Virchows Arch B Cell Pathol Incl Mol Pathol 1984;47:347-60. 9 Angeles AP, Badger R, Gruber HE, et al. Chondrocyte growth inhibition induced by homogentisic acid and its partial prevention with ascorbic acid. J Rheumatol 1989;16:512-7. 10 Fernandez-Canon JM, Granadino B, Beltran-Valero de Bernabe D, et al. The molecular basis of alkaptonuria. Nat Genet 1996;14:19-24. 11 Gemignani G, Olivieri I, Semeria R, et al. Coexistence of ochronosis and ankylosing spondilitis. J Rheumatol 1990;17:1707-9. 12 Selvi E, Manganelli S, Mannoni A, et al. Chronic ochronotic arthritis: clinical, arthroscopic and pathologic findings. J Rheumatol 2000;27:2272-4. 13 Gaines JJ, Ganesh MP. Cardiovascular ochronosis. 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Clin Exp Rheum 2003;21:269. 20 Braconi D, Laschi M, Amato L, et al. Evaluation of anti-oxidant treatments in an in vitro model of alkaptonuric ochronosis. Rheumatology 2010;49:1975-83. 21 Introne WJ, Perry MB, Troendle J, et al. A 3-year randomized therapeutic trial of nitisinone in alkaptonuria. Mol Genet Metab 2011;103:307-14. 4 Figura 2. Dopo l’aggiunta di poche gocce di idrossido di sodio le urine del paziente alcaptonurico assumono rapidamente un colorito brunastro. chinone acetico nelle urine di soggetti alcaptonurici 17, i suoi effetti sulla progressione della artropatia ocronotica sono risultati deludenti 18. Sono attualmente in studio diversi composti con proprietà antiossidanti che hanno mostrato in vitro di ridurre la polimerizzazione dell’HGA 19 20. In un recente trial clinico randomizzato della durata di 3 anni 21 è stata valutata l’efficacia del nitisinone, un trichetone che inibisce il secondo enzima della via catabolica della tirosina, in 40 pazienti affetti da alcaptonuria. Sebbene il farmaco abbia ridotto drasticamente i livelli plasmatici e urinari di HGA, non vi sono state sostanziali variazioni degli esiti clinici nei pazienti trattati, a fronte di una potenziale tossicità a lungo termine del medicamento. Bibliografia Srsen S, Cisarik F, Pasztor L, et al. Alkaptonuria in the Trencin District of Czechoslovakia. Am J Med Genet 1978;2:159-66. 2 Milch RA. Studies of alcaptonuria: inheritance of 47 genes in highly inter-related Dominican kindreds. Am J Hum Genet 1960;12:76-85. 3 La Du BN. Alkaptonuria. In: Scriver CR, et al. eds. The molecular and metabolic bases of inherited disease. 8th edn. 1 Reumatologia pratica 52 PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI Alcaptonuria e ocronosi settembre 2011 volume 6 pagine 53-57 Nuove esperienze cliniche: trattamento infusivo con iloprost mediante elastomero: esperienza clinica di una nuova modalità infusionale nel fenomeno di Raynaud secondario a sclerosi sistemica Parole chiave Iloprost • Elastomero • Terapia infusiva • Sclerosi sistemica Riassunto L’iloprost (Endoprost®) è un farmaco con ruolo fondamentale nel trattamento di molti disturbi vascolari di tipo ischemico. Nella sclerosi sistemica e nel fenomeno di Raynaud l’uso dell’iloprost è molto diffuso e potrebbe anche essere incentivato, alla luce delle evidenze cliniche di molti studi, anche per un controllo di meccanismi patogenetici della malattia. Il protocollo terapeutico classico, da scheda tecnica, necessita di ricovero ospedaliero o in regime di day hospital, con difficoltà organizzative e gestionali che possono portare anche alla riduzione dei trattamenti. Abbiamo realizzato una alternativa infusionale per i pazienti afferenti al nostro centro utilizzando un dispositivo monouso elastomerico. L’attuazione del nostro progetto si è ispirata a lavori disponibili in letteratura per altre condizioni patologiche che facevano uso di infusioni alternative per dosi e modalità. I nostri risultati hanno dimostrato che l’infusione di iloprost mediante elastomero mantenuto a domicilio è sicura e ben tollerata, inoltre risulta preferita dai pazienti. L. Sabadini, O. Sacu, F. Rosati, E. Marzo, L. Fusconi, R. Brischetto Unità Operativa Semplice di Reumatologia, AUSL 8, Arezzo R. Brischetto [email protected] un potente analogo, chimicamente stabile, della prostaciclina (I2), che deve essere somministrato, dopo diluizione, per infusione endovenosa secondo scheda tecnica. Tra gli effetti del farmaco che spiegano la sua capacità di migliorare il microcircolo, i più noti sono la vasodilatazione, l’inibizione piastrinica, la riduzione dell’espressione di alcune molecole d’adesione, la fibrinolisi e la protezione dal danno endoteliale 6-8. Inoltre, un recente studio italiano ha dimostrato l’effetto specifico antinfiammatorio e immunomodulante nella sclerosi sistemica 9. Questo dato suggerisce che probabilmente l’utilizzo dell’iloprost nei pazienti affetti da sclerosi sistemica dovrebbe essere incentivato, non soltanto per il suo effetto vasodilatatorio e antifibrotico, ma anche come agente immunomodulante. Molti studi, inoltre, hanno ormai dimostrato l’efficacia di ilo- Reumatologia pratica Introduzione L’iloprost (Endoprost®) è un farmaco dal ruolo fondamentale nel trattamento di molti disturbi vascolari di tipo ischemico, compresi l’arteriopatia periferica occlusiva 1, la tromboangioite obliterante 2, il fenomeno di Raynaud secondario a sclerosi sistemica 3 4 e l’ipertensione arteriosa polmonare 5. Esso rappresenta PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI 53 settembre 2011 Numero 3 prost nella guarigione delle ulcere digitali dal fenomeno di Raynaud – sia primitivo che secondario – a connettiviti – in particolare sclerosi sistemica. L’impiego di iloprost nel trattamento della sclerosi sistemica è stato così inserito nelle indicazioni previste in scheda tecnica. Anche le ultime linee guida EULAR del 2009, per la gestione della malattia e della terapia nei pazienti con sclerosi sistemica, indicano l’iloprost come farmaco di elezione per la terapia delle ulcere attive. Il dosaggio terapeutico del farmaco deve essere adattato, per la velocità di infusione, sulla base della tollerabilità individuale del singolo paziente, nell’ambito di un range compreso tra 0,5-2 ng di iloprost/kg/min. Il protocollo terapeutico classico, descritto in scheda tecnica, prevede la somministrazione per via endovenosa tramite pompa peristaltica o eventualmente tramite pompa a siringa, ma la letteratura ci propone anche l’uso di un semplice deflussore, con farmaco diluito in soluzione fisiologica (SF) (250 ml SF) da somministrare in 6 ore, in ricovero ospedaliero o in regime di day hospital (DH), alla dose massima tollerata (da 0,5 a 2 ng/kg/min), a cicli di varia durata in base alle necessità, ogni 30-45 giorni. Lo scopo di questo lavoro è di presentare la nostra esperienza nell’utilizzo di una nuova modalità di infusione del farmaco, con un dispositivo il cui uso non è attualmente approvato per la somministrazione di iloprost, che permette la terapia a domicilio, evidenziando soprattutto la sicurezza e la compliance dei pazienti. Tale scelta è stata fatta come conseguenza delle problematiche relative alla scarsa compliance dei vari pazienti, dovuta alla difficoltà o all’impossibilità per molti di restare fermi 6 ore consecutive in DH, per pochi che non hanno tollerato il farmaco somministrato con i metodi classici, per effetti collaterali (cefalea, nausea, ipotensione, senso di stanchezza e malessere generale, flushing del volto). Inoltre, la somministrazione del farmaco limitata durante le 6 ore di apertura del DH, insieme alla bassa velocità di infusione tollerata, hanno spesso causato una somministrazione terapeutica inadeguata, con riflesso sui risultati clinici. L’attuazione del nostro progetto si è ispirata a lavori reperiti in letteratura con la descrizione di somministrazioni alternative per dosi e modalità 9-11, e anche grazie alla disponibilità dell’Unità Operativa di Cure Palliative del nostro ospedale che ci ha fornito le informazioni pratiche sull’utilizzo degli elastomeri. Le nostre valutazioni, per gli scopi d’uso specifico, ci hanno fatto orientare per la scelta di un dispositivo adatto per noi. Materiali e metodi Abbiamo analizzato i dati relativi a 46 pazienti con diagnosi di sclerosi sistemica secondo i criteri Reumatologia pratica 54 PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI dell’ACR 12, e in terapia con iloprost. I pazienti presentavano frequenti e importanti attacchi di fenomeno di Raynaud, complicato o meno da ulcere digitali. Di essi, 42 pazienti, di età compresa tra 31 e 85 anni, hanno effettuato la terapia tramite l’utilizzo del nuovo dispositivo, la pompa elastomerica. I soggetti sono stati sottoposti ad accurati accertamenti strumentali (incluso un ecocardiogramma), come parte integrante di un programma di follow-up specifico per i pazienti con diagnosi di sclerosi sistemica (con controlli almeno ogni 6 mesi, salvo eccezioni più frequenti). Tutti hanno firmato un consenso informato, e sono stati ricoverati in regime di DH presso la nostra struttura. Lo schema terapeutico prevedeva la somministrazione endovenosa in 3 giorni (di media) di un dosaggio standard di farmaco, con 3 fl di iloprost diluite in 36 ml di soluzione glucosata (SG) (1 fl in 12 ml SG) 5% come dosaggio giornaliero). Il numero di fiale poteva essere aumentato (mantenendo sempre il rapporto 1 fl in non meno di 12 ml SG al giorno), in base alle necessità cliniche del paziente (fino a un massimo di 5 giorni consecutivi). Altre variazioni terapeutiche possibili erano sia la somministrazione di un numero inferiore di fiale di iloprost nella stessa quantità di SG (2 fl in 36 ml SG), sia lo stesso numero di fiale in maggior quantità di liquido (3 fl in 48 ml SG). Il riempimento della pompa elastomerica (device 0,5 ml/h a velocità fissa) veniva eseguito in ambiente sterile da due infermiere, con i dosaggi prescritti dal medico. Una volta effettuata la preparazione e il riempimento del device, sempre seguendo tutte le regole dell’asepsi, il paziente veniva fatto accomodare singolarmente in una stanza predisposta per l’applicazione; veniva inserita un’agocannula controllata per il posizionamento corretto e successivamente collegata con l’elastomero. Il paziente veniva poi istruito per quanto riguarda la gestione e l’eventuale chiusura in caso di necessità. Il primo giorno della terapia il soggetto veniva tenuto sotto osservazione per eventuale comparsa di effetti indesiderati. La rimozione del device avveniva sempre nel DH alla fine del ciclo di terapia. Il periodo globale di analisi dei dati è stato all’incirca di 12 mesi (dal novembre del 2009 al febbraio del 2011). Somministrazione di iloprost tramite elastomero Per la somministrazione del farmaco è stato utilizzato un dispositivo monouso, a basso costo, per l’infusione continua di farmaci in soluzione, a velocità costante preimpostata. L’elastomero è costituito da un palloncinoserbatoio in materiale elastico (elastomero) che esercita, sul fluido in esso contenuto, una pressione costante per un determinato periodo di infusione; Il contenuto è Infusione facilitata di iloprost con elastomero nella sclerosi sistemica e fenomeno di Raynaud settembre 2011 Numero 3 indicatore di volume filtro tubicino a sezione stellare, antinginocchiamento palloncino elastomerico riempito di farmaci regolatore di flusso Luer-lock tappo di protezione Figura 1. Indicatore di volume. Sicurezza e tollerabilità Per la valutazione della sicurezza e la tollerabilità del nuovo metodo di somministrazione del farmaco utilizzato, abbiamo considerato la comparsa di qualsiasi disturbo riferito, sia in corso di infusione, sia nei giorni successivi a essa. Se tutto risultava nella norma, il paziente veniva inviato a domicilio, dopo istruzione sulle precauzioni da prendere, su come procedere alla chiusura del dispositivo in caso di comparsa di disturbi importanti e su quando ritornare presso il DH per la rimozione. Gli effetti collaterali sono stati classificati in due gruppi, sistemici e locali e gli interventi intrapresi sono stati di due tipi: la sospensione del farmaco o la modifica del dosaggio (con le due modalità descritte in precedenza). Gradimento ed efficacia Il gradimento dei pazienti riguardo alla nuova modalità infusionale dell’iloprost, a confronto con la somministrazione classica, è stato valutato attraverso il Quesito riportato qui di seguito (Tab. I): L. Sabadini, O. Sacu, F. Rosati, E. Marzo, L. Fusconi, R. Brischetto Tabella I. Quesito. Come valuta la somministrazione del farmaco a domicilio utilizzando l’elastomero, rispetto alla eventuale somministrazione presso il DH o secondo le proprie precedenti esperienze di modalità standard? Vantaggioso r r Sì r Molto r Poco No Per quanto riguarda l’efficacia del farmaco nel controllo del fenomeno di Raynaud, non siamo entrati nel merito perché non era questo lo scopo della nostra analisi e poiché vari lavori hanno già ampiamente dimostrato questi benefici 12-14. Abbiamo comunque somministrato ai pazienti (come parte integrante della nostra attività clinica abituale) un diario del fenomeno di Raynaud, che il paziente doveva compilare prima dell’inizio della terapia e successivamente, nel corso dei vari mesi di cura. Risultati Il gruppo dei 42 pazienti in terapia con iloprost era formato da 39 femmine e 3 maschi. L’età media era di 62 anni (la più giovane di 31 anni e la più anziana di 85 anni). Con l’eccezione di due pazienti che avevano un accesso venoso centrale (decisione presa in accordo con i chirurghi vascolari per la difficile gestione in fase molto avanzata di malattia), il resto dei pazienti ha effettuato la terapia utilizzando un accesso venoso periferico. Dei 42 pazienti, solo 6 (14,28%) hanno sospeso la terapia. Dei 6 pazienti, solo 1 (2,3%) ha sospeso per la comparsa di effetti collaterali sistemici e locali non Reumatologia pratica rilasciato attraverso un filtro che controlla la pressione e, di conseguenza, la velocità con cui l’elastomero si svuota. Tale fluido viene spinto lungo una linea d’infusione, costituita da un tubicino flessibile e incomprimibile, fino all’ingresso in vena, tramite l’agocannula. Abbiamo selezionato, per la terapia, un tipo particolare di agocannula, con applicatore intravenoso più lungo, per aumentare l’elasticità del dispositivo e permettere una migliore libertà nei movimenti (Fig. 1). Il principio di funzionamento di questo dispositivo è la legge di Hagen-Poiseuille: il flusso che attraversa un vaso è direttamente proporzionale alla pressione applicata alla sua origine, alla quarta potenza del raggio e inversamente proporzionale alla viscosità del mezzo e alla lunghezza del vaso. PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI 55 settembre 2011 Numero 3 Tabella II. Casi di sospensione definitiva della terapia con utilizzo di elastomero. TOTALE pazienti SOSPENSIONE 42 6 (14,28%) CAUSE SOSPENSIONE DELLA TERAPIA CON ELASTOMERO Effetti collaterali sistemici e locali non gravi (ma concomitanti con la lontananza dal centro) 1 (2,3%) Gravidanza 1 (2,3%) Scarsa compliance 4 (9,5%) Tabella III. Eventi avversi (sistemici e locali) e provvedimenti adottati. Effetti collaterali Provvedimenti Locali Flebite 2 pz (4,76%) Cambio accesso venoso e del protocollo di infusione (1 pz -3 fl in 48 cc SG e 1 pz 2 fl in 36 cc SG) 1 pz (2,38%) Sospensione della terapia (la stessa paziente con vertigini) Sistemici Cefalea Vertigini 1 pz (2,38%) Sospensione della terapia Flushing volto 1 pz (2,38%) Scomparso dopo il primo giorno di terapia Nessun cambiamento del protocollo di infusione gravi (però difficilmente gestibili per la lontananza dal centro), e un problema di accesso venoso periferico difficoltoso. Una paziente (2,3%) ha sospeso per gravidanza e gli altri 4 (9,5%) per problemi di compliance (pazienti anziani con problemi di deambulazione e con difficoltà nell’accettare una terapia a domicilio, fuori dal controllo del personale sanitario). I dati sono sintetizzati nella Tabella II. Dei pazienti che avevano sospeso definitivamente la terapia con elastomero, uno è ritornato alla somministrazione classica (in DH) e uno alla terapia con prostavasin (sempre in DH). Globalmente, gli eventi avversi sono stati osservati in 5 pazienti (11,9%). Quali sono stati questi eventi avversi e quali sono stati i provvedimenti, viene riportato nella Tabella III. L’elevato numero di pazienti precedentemente in terapia con prostavasin era soprattutto dovuto all’intolleranza per iloprost somministrato secondo il metodo classico o perché proseguivano una terapia prescritta in un’altra sede. Con la nostra tecnica di infusione siamo però riusciti a recuperare la maggior parte di questi pazienti all’uso di iloprost secondo scheda tecnica. Abbiamo consegnato un questionario a quei pazienti che prima della terapia con l’elastomero avevano già fatto cure infusive, per valutare il gradimento tra le due modalità (iloprost e prostavasin in metodo classico/ Reumatologia pratica 56 PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI Tabella IV. Esperienza terapeutica precedente dei pazienti che hanno iniziato la somministrazione con elastomero. Numero totale pazienti 42 Precedente terapia con prostavasin 21 (50%) Precedente terapia ev con iloprost (classica) Prima volta iloprost direttamente con elastomero 12 (28,57%) 9 (21,43%) iloprost in elastomero). Anche i tempi di infusione tra iloprost e prostavasin sono nettamente diversi (6 ore circa per iloprost e 2 ore circa per prostavasin); i dati hanno comunque mostrato una preferenza per la terapia a domicilio. Solo nel caso di 3 soggetti (risultati poi quelli che hanno sospeso per scarsa compliance) la risposta è stata negativa. Nei 30 pazienti restanti che hanno dato una risposta positiva, la maggior parte (28 pazienti) ha risposto con “Molto”. Discussione L’obiettivo di questo lavoro è stato di valutare una nuova modalità di infusione endovenosa di iloprost nei pazienti in cura presso il Centro di Arezzo per fenomeno di Raynaud secondario a connettiviti, tramite l’utilizzo della pompa elastomerica; questa tecnica ha permesInfusione facilitata di iloprost con elastomero nella sclerosi sistemica e fenomeno di Raynaud settembre 2011 Numero 3 Bibliografia 1 Vantaggioso? Sì No Molto 28 pz (84,84%) Poco 2 pz (6,06%) 2 3 pz (9,09%) 3 so la somministrazione domiciliare. Le importanti capacità vasodilatative di iloprost e la paura del conseguente rischio di eventi avversi, hanno favorito, finora, una somministrazione prudente consolidata, costituita dall’infusione endovenosa classica in regime di DH, con l’aiuto della micro-pompa peristaltica o tramite l’utilizzo di un deflussore semplice. I disagi del metodo classico e l’impraticabilità in molti casi, ci hanno indotto a valutare alternative di somministrazione. I risultati sembrano dimostrare che la terapia con iloprost tramite elastomero è sicura e ben tollerata (migliore tollerabilità con minori effetti collaterali). Infatti, mediante pompa elastomerica, la sospensione della terapia è avvenuta soltanto in 6 casi dei 42 totali, fra cui soltanto uno per comparsa di effetti collaterali (reazione locale con dolore per fuoriuscita dell’ago, cefalea e importante spossatezza). Una paziente ha sospeso per gravidanza e 3 per problemi logistici di compliance. I vantaggi di questa metodica implicano una concentrazione plasmatica costante e inalterata (per tutto il tempo di trattamento) di piccole dosi che non saturano i recettori del farmaco, rendendoli ancora prontamente disponibili alla sospensione (sicurezza in caso di comparsa di eventi avversi). Il maggior vantaggio riferito dai pazienti è stato il minor disagio sociale: meno assenze dal lavoro, una vita quasi completamente normale – con qualche piccola eccezione riguardante soprattutto il bagno nella vasca e l’esposizione al sole –, maggior praticità per il paziente che ha potuto evitare il ricovero di 6 ore circa presso il day hospital per almeno 3 giorni al mese. Non di secondaria importanza appare l’alleggerimento dell’impegno infermieristico in day hospital. In conclusione, possiamo dire che, nella nostra esperienza, la somministrazione di iloprost con elastomero è risultata ben tollerata, sicura e nettamente preferita dai pazienti. Oltre ai numerosi vantaggi a livello personale, questa scelta terapeutica può offrire un concreto risparmio di risorse professionali dedicate, ampliando l’efficienza della struttura organizzativa per la capacità di prendere in carico, in sicurezza, un maggiore numero di pazienti. L. Sabadini, O. Sacu, F. Rosati, E. Marzo, L. Fusconi, R. Brischetto 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 Staben P, Albring M. Treatment of patients with peripheral arterial occlusive disease Fontaine stage III and IV with intravenous iloprost: an open study in 900 patients. Prostaglandins Leukot Essent Fatty Acids 1995;54:327-33. Hildebrand M. Pharmacokinetics and tolerability of oral iloprost in thromboangiitis obliterans patients. Eur J Clin Pharmacol 1997;53:51-6. Kyle MV, Belcher G, Hazleman BL. Placebo controlled study showing therapeutic benefit of iloprost in thetreatment of Raynaud’s phenomenon. J Rheumathol 1992;19:1403-6. Wigley FM, Wise RA, Seibold JR, et al. Intravenous Iloprost infusion in patients with Raynaud phenomenon secondary to systemic sclerosis. A multicenter, placebo-controlled, double-blind study. Ann Intern Med 1994;120:199-206. De La Mata J, Gomez-Sanchez MA, Aranzana M, et al. Long-term iloprost infusion therapy for severe pulmonary hypertension in patients with connective tissue diseases. Arthritis Rheum 1994;37:1528-33. 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Risultati del gradimento (analisi dei dati del questionario di gradimento). PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI 57 settembre 2011 volume 6 pagine 58-62 Parole chiave Malattie reumatiche • Fangoterapia • Balneoterapia • Riabilitazione termale La terapia termale nelle malattie reumatiche Riassunto I fanghi e i bagni termali sono utilizzati da millenni per la cura delle malattie reumatiche. Le indicazioni primarie alla terapia termale sono l’osteoartrosi e la fibromialgia. Recenti studi hanno dimostrato che i fanghi e i bagni termali potenziano l’efficacia della terapia farmacologica nelle spondiloartriti. La chinesiterapia in piscina termale rimane ottimale per la riabilitazione dei malati reumatici. Le cure termali I trattamenti termali sfruttano le proprietà terapeutiche e riabilitative di mezzi naturali come le acque minerali e i fanghi. Le prime sgorgano dal sottosuolo a temperatura elevata ricche di sali minerali. Vengono utilizzate sotto forma di bagni in vasca o in piscina, di inalazioni, di irrigazioni, e nelle cosiddette grotte sudatorie. I fanghi sono melme naturali derivanti dalla mescolanza tra un’acqua termale e materiale solido in parte inorganico e in parte organico. Vengono applicate sulla superficie corporea sotto forma di impacco caldo. I fanghi e i bagni termali sono utilizzati da millenni per la cura delle malattie reumatiche e in generale delle affezioni dell’apparato locomotore 1. I loro effetti terapeutici si esplicano attraverso una serie di meccanismi combinati di tipo fisico, chimico e meccanico. Tra essi prioritario è il ruolo del calore, che determinando un aumento della temperatura corporea, eleva la soglia del dolore ed esplica un effetto miorilassante; provoca inoltre vasodilatazione locale e generale, con miglioramento delle condizioni di nutrizione dei tessuti e con eliminazione di mediatori coinvolti nei processi patologici. Importanti poi sono i sali minerali che caratterizzano l’acqua termale, sia perché alcuni di essi esplicano effetti particolari sull’organismo, sia perché la loro concentrazione elevata consente l’esecuzione di movimenti controllati contro resistenza durante il bagno termale. Quando l’applicazione calorica è particolarmente intensa, come durante una seduta completa di fangoterapia, si verifica nell’organismo un’attivazione Reumatologia pratica 58 PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI neuro-ormonale che si sostanzia tra l’altro nella liberazione in circolo di peptidi oppioidi quali le endorfine, sostanze dotate di un notevole effetto antalgico 2. Questa reazione spiega la riduzione della sintomatologia dolorosa che si manifesta durante il ciclo di cura fangoterapica e che diviene più spiccata nelle settimane successive, mantenendosi per un periodo di tre-cinque mesi. All’azione antalgica contribuisce anche il rilasciamento muscolare indotto dal calore, che riduce o elimina le contratture muscolari. Questi effetti consentono di interrompere il circolo vizioso “dolore articolare-contrattura muscolare-alterata meccanicadolore articolare” che caratterizza le malattie reumatiche croniche, e consente per un lungo tempo un utilizzo più corretto delle articolazioni e della colonna vertebrale, con conseguente persistente miglioramento della sintomatologia e minore assunzione di farmaci analgesici e anti-infiammatori. Complessi e ancora non del tutto chiariti sono gli effetti delle applicazioni termali sui fenomeni infiammatori. Assodato che l’azione proflogistica del calore peggiora l’infiammazione acuta, recenti ricerche di base hanno invece evidenziato risultati favorevoli delle applicazioni di fango su modelli sperimentali di flogosi cronica. La nostra scuola di Padova ha effet- Franco Cozzi Cattedra e U.O.C. di Reumatologia, Università di Padova [email protected] settembre 2011 Numero 3 le indicazioni ai trattamenti termali Dalle evidenze sui meccanismi d’azione dei fanghi e dei bagni scaturiscono le indicazioni alla terapia termale in reumatologia. Gli effetti antalgico e miorilassante della fangoterapia e della balneoterapia trovano la loro applicazione terapeutica innanzitutto nell’osteoartrosi e nella fibromialgia, ma numerosi lavori della letteratura scientifica pubblicati negli ultimi anni hanno dimostrato la loro utilità anche in alcuni reumatismi infiammatori cronici, in particolare nelle spondiloartriti. Osteoartrosi Costituisce la malattia reumatica più frequente nella popolazione e la sua prevalenza sta aumentando negli ultimi anni con l’incremento dell’aspettativa di vita. Il suo trattamento prevede l’associazione di farmaci (condroprotettori, analgesici, antinfiammatori) e di terapie non farmacologiche, fra le quali le cure termali sono state molto utilizzate, soprattutto in Europa. Sono state pubblicate di recente alcune metanalisi che hanno ribadito l’efficacia dei fanghi e dei bagni termali nell’osteoartrosi: è stato dimostrato un miglioramento, che permane per mesi dopo la cura termale, del dolore e della mobilità articolare e della colonna vertebrale, con ripercussioni favorevoli sulla qualità della f. cozzi vita e sul consumo dei farmaci analgesici e antinfiammatori 4 5. I meccanismi con cui le applicazioni termali migliorano la sintomatologia dei pazienti artrosici sono complessi e comprendono l’effetto miorilassante del calore, l’innalzamento della soglia del dolore per la liberazione in circolo e nei tessuti di peptidi oppioidi, la riduzione di citochine condrolesive, oltre che le condizioni ambientali favorevoli che caratterizzano gli stabilimenti termali. I medici di medicina generale e gli specialisti di patologie dell’apparato locomotore dovrebbero tenere in grande considerazione i fanghi e i bagni termali fra le opzioni terapeutiche da proporre ai loro pazienti artrosici. Il ciclo di cura termale può essere programmato in qualsiasi periodo dell’anno, anche se preferibile sarebbe la sua effettuazione nel periodo autunnale, in maniera da ottenere il maggiore beneficio nei mesi invernali, quando solitamente i pazienti vanno incontro a una riacutizzazione della sintomatologia artrosica. I trial clinici pubblicati non sono stati tuttavia sufficienti perché i trattamenti termali vengano inseriti nelle linee guida dell’EULAR sulla terapia delle principali localizzazioni della malattia artrosica, l’anca, il ginocchio e la mano (Tab. I). Fibromialgia È la forma generalizzata di reumatismo extra-articolare, molto diffusa nella popolazione femminile. La sintomatologia dolorosa muscolo-scheletrica che la caratterizza è legata verosimilmente a un alterato controllo della soglia del dolore a livello del sistema nervoso centrale. Il trattamento della fibromialgia rimane uno scoglio molto ostico per il reumatologo e per gli altri specialisti che si occupano di questa forma morbosa. Le linee guida dell’EULAR per il suo trattamento raccomandano un approccio multidisciplinare che prevede l’associazione tra farmaci e terapie non farmacologiche; tra queste viene espressamente menzionata la balneoterapia (Tab. I). In effetti una recente metanalisi sui principali studi pubblicati nell’ultimo decennio ha concluso per una chiara evidenza della sua efficacia a breve-medio termine sul dolore muscolo-scheletrico e di conseguenza sulla qualità della vita 6. Uno studio recente ha mostrato l’efficacia anche della fangoterapia 7. Per quanto concerne i meccanismi d’azione, si ritiene che i principali siano l’effetto decontratturante del calore e quello di innalzamento della soglia del dolore dovuto alla liberazione di peptidi oppiodi. Reumatologia pratica tuato uno studio sul modello della flogosi indotta nel ratto dall’iniezione nella zampa di adiuvante di Freund, largamente impiegato per le sue analogie con l’infiammazione cronica dell’artrite reumatoide. Negli animali sottoposti a un ciclo di sedute che comprendevano applicazioni di fango naturale delle terme Euganee seguite da immersione in acqua termale, è stata osservata una riduzione significativa del volume della zampa infiammata rispetto ai ratti di controllo e una notevole diminuzione dei livelli circolanti delle citochine proinfiammatorie IL-1 e TNFα 3. È stato dunque evidenziato un effetto anti-infiammatorio delle applicazioni termali su un modello sperimentale di artrite cronica. Questi dati sono stati confermati da un analogo studio sperimentale che ha utilizzato fango termale del Brasile. Per quanto concerne l’interpretazione di questi risultati, l’azione antiedemigena dovuta all’ipertonia del fango e la rimozione di mediatori della flogosi a seguito della vasodilatazione indotta dal calore certamente vi contribuiscono, ma è stato anche ipotizzato che i peptidi oppioidi liberati in circolo come reazione allo stress termico possano interferire con alcune funzioni cellulari coinvolte nel processo infiammatorio. PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI 59 settembre 2011 Numero 3 Artrite psoriasica La psoriasi è la malattia cutanea più frequente nella popolazione e in circa un terzo dei casi si complica con un’artrite. Questa si può manifestare in varie forme (oligoartritica, classica, simil-reumatoide, spondilitica). Nonostante gli effetti favorevoli di alcune acque termali sulle lesioni psoriasiche, pochi lavori sono stati pubblicati sull’argomento. Essi hanno comunque dimostrato un notevole beneficio sulle lesioni cutanee (quantificato con la riduzione del PASI) e sull’artrite, documentato dalla riduzione della rigidità mattutina, della conta delle articolazioni infiammate, del test di Schober per la colonna 8. L’efficacia dei fanghi e dei bagni sulle lesioni cutanee psoriasiche appare legata all’azione cheratolitica, antinfiammatoria e antisettica di alcune acque termali. I buoni risultati osservati nell’artrite psoriasica sono riconducibili ai meccanismi d’azione dei fanghi e dei bagni termali già citati a proposito dei modelli sperimentali di artrite cronica. Spondiloartriti Comprendono un gruppo di reumoartropatie infiammatorie croniche: la spondilite anchilosante, le artriti reattive, le artriti enteropatiche, la già citata artrite psoriasica e le spondiloartriti indifferenziate. Numerosi trial clinici pubblicati nell’ultimo decennio hanno dimostrato i benefici effetti della fangoterapia e della balneoterapia in queste malattie. Lo studio più ampio è stato effettuato su una casistica molto numerosa di 120 pazienti olandesi affetti da spondilite anchilosante, che hanno ricavato un notevole beneficio da un ciclo di trattamenti termali, mantenendolo a lungo termine, come dimostrato dalle valutazioni effettuate a 40 settimane di distanza 9. Uno studio recente condotto alle Terme Euganee ha dimostrato un miglioramento clinico significativo, perdurante anche a distanza di sei mesi da un ciclo di fanghi e bagni, in un gruppo di pazienti affetti da una forma particolare di spondilite, quella associata alle malattie infiammatorie croniche dell’intestino (morbo di Crohn e colite ulcerosa), senza che essi andassero incontro a riaccensioni della flogosi a livello intestinale o della colonna vertebrale 10. In questi studi i parametri di valutazione considerati erano l’entità del dolore alla colonna vertebrale, la durata della rigidità mattutina e la mobilità dei diversi segmenti del rachide. Venivano inoltre utilizzati questionari compilati dai pazienti, che consentivano una valutazione dell’attività di malattia, delle capacità funzionali e della qualità della vita. I pazienti sottoposti a trattamenti termali mantenevano invariata durante il periodo di studio la terapia farmacologica in atto e venivano confrontati con gruppi di pazienti di controllo trattati nello stesso arco di tempo solo con farmaci. In effetti le linee guida dell’EULAR per la terapia della spondilite anchilosante sottolineano che il trattamento ottimale richiede una combinazione tra farmaci e terapie non farmacologiche; tra queste vengono menzionate le cure termali (Tab. I). Altre indicazioni Nell’artrite reumatoide la fango-balneoterapia risulta poco indicata, soprattutto in tempi in cui i farmaci “biologici” hanno profondamente migliorato la storia naturale di questa che rimane la più severa reumoartropatia infiammatoria cronica. In effetti pochissimi sono gli studi pubblicati sull’argomento. Le artropatie da microcristalli non vanno trattate con le applicazioni termali che prevedono l’utilizzo del calore, quando si manifestano in forma di artrite acuta (attacco di gotta o di pseudogotta). Diverso potrebbe essere l’atteggiamento terapeutico quando la condrocalcinosi si presenta sotto forma di artropatia cronica, ma mancano trial clinici sugli effetti dei fanghi e dei bagni termali in questa patologia. Per quanto concer- Tabella I. Raccomandazioni dell’EULAR sul trattamento delle più frequenti malattie reumatiche. Punzi L, et al. Consensus italiana sulle raccomandazioni dell’EULAR 2003 per il trattamento dell’artrosi del ginocchio. Reumatismo 2004;56:190-201. Punzi L, et al. Consensus italiana sulle raccomandazioni dell’EULAR 2005 per il trattamento dell’artrosi dell’anca. Reumatismo 2006;58:301-9. Zhang W, et al. EULAR evidence-based recommendations for the management of hand osteoarthritis. Ann Rheum Dis 2007;66:377-88. Carville SF, et al. EULAR evidence-based recommendations for the management of fibromyalgia syndrome. Ann Rheum Dis 2008;67:536-41. Zochling J, et al. ASAS/EULAR recommendations for the management of ankylosing spondylitis. Ann Rheum Dis 2006;65:442-52. Reumatologia pratica 60 PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI La terapia termale nelle malattie reumatiche settembre 2011 Numero 3 La riabilitazione termale nelle malattie reumatiche Gli ambienti termali offrono la possibilità di mettere in atto in maniera ottimale metodiche riabilitative quali la chinesiterapia, utilizzando le piscine di acqua a temperatura elevata e ricca di sali minerali. In tal modo gli interventi riabilitativi vengono potenziati, consentendo di ottenere per il paziente un risultato superiore a quello ricavato in altri ambienti. La chinesiterapia tende a ovviare alle conseguenze negative sull’apparato locomotore dell’assenza o della riduzione del movimento, dovute alla immobilizzazione a seguito di traumi oppure a manifestazioni antalgiche articolari o muscolari provocate dalle malattie reumatiche croniche. La mancanza o la riduzione del movimento comportano alterazioni qualitative e quantitative del tessuto muscolare e dei tessuti connettivi articolari e periarticolari; determinano inoltre una graduale perdita dei corretti schemi motori e l’instaurarsi di meccanismi adattativi di compenso. Per questo uno dei compiti fondamentali della chinesiterapia è il ripristino del tono-trofismo muscolare e della coordinazione, nonché della mobilità articolare e della estensibilità dei tessuti periarticolari. Ciò vale sia per i reumatismi degenerativi che per quelli infiammatori, sia per le articolazioni periferiche che per la colonna vertebrale 11. Ad esempio nell’artrite reumatoide la chinesiterapia in acqua si è dimostrata capace di ridurre il dolore e di ottenere una migliore capacità di compiere movimenti, con conseguente miglioramento nella esecuzione delle attività della vita quotidiana e dei test che indagano la salute fisica e mentale dei pazienti. Nella spondilite anchilosante la chinesiterapia ha lo scopo di prevenire o ritardare l’evoluzione verso l’anchilosi, conservando la mobilità dei diversi segmenti della colonna vertebrale, correggendo le posture antalgiche e rafforzando la muscolatura ipo- f. cozzi trofica. Contribuisce inoltre a mantenere una buona funzionalità respiratoria. La chinesiterapia trova nella piscina termale il suo ambiente ottimale, grazie alle proprietà fisico-chimiche dell’acqua. L’azione antigravitaria dovuta al principio di Archimede determina un alleggerimento del corpo immerso, che favorisce l’esecuzione dei movimenti anche in condizioni di ridotto tono-trofismo e di difficoltà di carico. Altrettanto importante è l’effetto analgesico del calore, che innalza la soglia di sensibilità al dolore e determina rilassamento muscolare. La ricchezza in sali minerali dell’acqua termale comporta inoltre il vantaggio di permettere l’esecuzione di movimenti controllati contro resistenza. La chinesiterapia va naturalmente inserita in un programma riabilitativo globale, comprendente anche la rieducazione posturale. Considerazioni conclusive Già nel 1969 un illustre reumatologo italiano recentemente scomparso, il professor Claudio Cervini, affermava che “è la mancanza di un’ineccepibile documentazione dell’efficacia delle cure termali a render perplessi, più che l’ignoranza del loro preciso modus agendi”. Numerosi studi clinici condotti negli ultimi anni hanno parzialmente ovviato a tale lacuna, fornendo dimostrazioni scientifiche sugli effetti benefici di fanghi e bagni termali, ma molta strada rimane ancora da percorrere. Sono stati infatti condotti molti trial clinici nella fibromialgia, per cui questa patologia rimane un’indicazione primaria alla fango-balneoterapia. Numerosi studi hanno dimostrato che i trattamenti termali costituiscono il completamento ideale della terapia farmacologica nel trattamento dei pazienti affetti da varie forme di spondiloartrite, in quanto, nonostante l’introduzione dei farmaci “biologici” abbia costituito una vera svolta nella terapia di queste malattie, i fanghi e i bagni si sono dimostrati capaci di potenziare la loro efficacia. Paradossalmente invece l’osteoartrosi, nonostante sia stata sempre inserita nell’elenco ministeriale delle patologie che possono trovare reale beneficio dalle cure termali, necessita ancora di studi controllati, che consentano di inserire i fanghi e i bagni termali nelle linee guida europee per il suo trattamento. Altrettanto carente è ancora la produzione scientifica sul trattamento termale della psoriasi cutanea e dell’artrite psoriasica. Va infine sottolineata l’importanza della chinesiterapia in piscina termale per la riabilitazione dei malati reumatici affetti da patologie sia degenerative che infiammatorie. Reumatologia pratica ne il potenziale effetto ipouricemizzante dei trattamenti termali, la terapia farmacologica che si avvale di sostanze quali l’allopurinolo e il febuxostat lo ha ampiamente soppiantato. Nelle connettivi sistemiche, l’ipotesi di trattare con i mezzi termali l’artrite oppure la miosite che spesso fanno parte del loro quadro clinico, cade di fronte alla considerazione che spesso sono malattie caratterizzate da una intensa flogosi innescata da alterazioni del sistema immunitario, nonché da coinvolgimenti viscerali che controindicano la prescrizione di fanghi e di bagni termali. PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI 61 settembre 2011 Numero 3 Bibliografia Van Tubergen A, Van der Linden S. A brief history of spa therapy. Ann Rheum Dis 2002;61:273-5. 2 Giusti P, Cima L, Tinello A, et al. Stresshormone, freigesetzt durch Fangotherapie. ACTH- und Beta-Endorphin-Konzentrationen unter Wärmestress. Fortsch Med 1990;108:6014. 3 Cozzi F, Carrara M, Sfriso P, et al. Anti-inflammatory effect of mud-bath applications on adjuvant arthritis in rats. Clin Exp Rheumatol 2004;22:763-6. 4 Verhagen AP, Bierma-Zeinstra SM, Boers M, et al. Balneotherapy for osteoarthritis. 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