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R
eumatologia
pratica
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
SETTEMBRE 2011
Numero 3
VOLUME 6
Attualità nel trattamento del dolore:
come e quando scegliere il tipo
di oppiaceo
A. Salvetti................................................... 45
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Direttore Editoriale
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Comitato Scientifico
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Alessandro Bussotti
Pierlorenzo Franceschi
Bruno Frediani
Luigi Gatta
Stefano Giovannoni
Gianni Leardini
Arrigo Lombardi
Raffaella Michieli
Vittorio Modena
Claudio Vitali
Alcaptonuria e ocronosi
A. Mannoni................................................ 50
Nuove esperienze cliniche:
trattamento infusivo con iloprost
mediante elastomero
L. Sabadini, O. Sacu, F. Rosati, E. Marzo,
L. Fusconi, R. Brischetto.................................. 53
Presidente CROI
Gianni Leardini
La terapia termale
nelle malattie reumatiche
F. Cozzi...................................................... 58
Presidente LIMAR
Roberto Marcolongo
Presidente SIMG
Claudio Cricelli
Presidente FADOI
Carlo Nozzoli
Direttore Responsabile
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Esempi di corretta citazione bibliografica per:
articoli e riviste
Bianchi M, Laurà G, Recalcati D. Il trattamento chirurgico delle rigidità acquisite del ginocchio. Minerva Ortopedica 1985;36:431-8.
libri
Tajana GF. Il condrone Milano: Edizioni Mediamix 1991.
Krmpotic-Nemanic J, Kostovis I, Rudan P. Aging changes of the form and
infrastructure of the extemal nose and its importance in rhinoplasty. In. Conly
J, Dickinson JT, editors. Plastic and reconstructive surgery of the face and
neck. New York: Grune and Stratton 1972, p. 84-8.
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termine della bibliografia.
Le note contraddistinte da asterischi o simboli equivalenti, compariranno
nel testo a piè di pagina.
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Casi clinici. Vengono accettati dal Comitato di Redazione solo lavori di
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riassunto è di circa 50 parole.
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settembre 2011 volume 6 pagine 45-49
Attualità
nel trattamento
del dolore:
come e quando
scegliere il tipo
di oppiaceo
Parole chiave
Dolore cronico • Pain generator • Dolore neuropatico •
Dolore nocicettivo • Ipersensibilità spinale
Riassunto
Il problema dolore rappresenta una circostanza di frequente riscontro negli accessi all’ambulatorio del medico di
medicina generale. La sua giusta collocazione diagnostica, indipendentemente dalla sua precisa eziopatogenesi, deve rappresentare il primum movens per un’adeguata terapia farmacologica che permetta al paziente una
buona qualità di vita. Togliere alcuni “falsi miti” e pregiudizi sull’uso degli oppiacei significa controllare il dolore
senza la necessità di intraprendere terapie con farmaci che presentano maggiori effetti collaterali.
Andrea Salvetti
Presidente SIMG Grosseto
C.P.N. S.I.M.G.
[email protected]
che può interferire con la capacità funzionale, lavorativa e sociale degli individui. Secondo indagini ISTAT,
il 23% dei pazienti dichiara di aver dovuto cambiare
la propria posizione sociale, il 14-17% ha asserito di
aver perso il proprio lavoro, il 28% ha avuto un cambio di responsabilità della propria mansione, il 20%
ha cambiato lavoro.
Da un punto di vista economico, negli ultimi anni, é
aumentata la spesa nazionale per le prestazioni e i
farmaci riconducibili a patologie dolorose. Si calcola
che nel 2007 siano stati spesi oltre 3 milioni di euro.
Si calcola che il dolore cronico causa all’economia
nazionale una perdita di oltre 3 milioni di ore lavorative.
Da un punto di vista psicologico, il 18% dei pazienti
che soffrono di dolore cronico dichiarano di vivere
un senso di abbandono e la sensazione di perdere il
proprio ruolo all’interno della famiglia, al 22% è stata
posta diagnosi di depressione, il 50% prova un senso
di sfiducia in se stessi e di malessere generalizzato.
L’approccio al paziente con dolore impone spesso
una correlazione della sindrome algica con la malattia possibile causa del dolore stesso e l’intensità del
dolore, ovvero associare una certa patologia a un determinato tipo di dolore. Questo modo di procedere
non è ovviamente privo di razionale scientifico e può
esporre il medico a grossolani errori 1.
Reumatologia
pratica
Per dolore, secondo l’International Association for
the Study of Pain (IASP-1986), s’intende “una sgradevole esperienza sensoriale ed emotiva associata
a un danno tessutale attuale o potenziale o descritto
come tale”.
Per dolore cronico s’intende “un dolore che persiste
più a lungo del corso naturale della guarigione che si
associa a un particolare tipo di danno o di malattia”.
Secondo altri studiosi, il dolore cronico è un dolore
che persiste per un periodo di tempo maggiore di 3
mesi.
Il dolore cronico rappresenta un vero problema di
sanità pubblica, ritenuto prioritario sia dall’Organizzazione mondiale della sanità che dalle istituzioni sanitarie europee e dal Ministero della Salute italiano.
In Europa affligge 75 milioni di persone, ovvero il
19% della popolazione adulta, in particolare le donne. In Italia ne soffre fino al 26% della popolazione
e causa un deterioramento sia fisico che psicologico,
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
45
settembre 2011 Numero 3
Difronte a un dolore interpretato come cronico si deve
discriminare se si tratta di un dolore neuropatico o
meno. L’anamnesi e un esame obiettivo ben condotto
permettono di ricercare l’origine del dolore che a sua
volta permette poi di impostare da subito una razionale e appropriata terapia antalgica, senza tuttavia
dimenticare la ricerca della causa del dolore. Definire
la diagnosi algologica permette quindi di impostare
una terapia farmacologica, in attesa del risultato degli
accertamenti richiesti 2. La “diagnosi algologica” ricerca quindi il pain generator ovvero il sito da cui origina
il dolore (che può essere la fibra nervosa nel caso del
dolore neuropatico o il nocicettore periferico nel caso
del dolore nocicettivo). A tal proposito si eseguono tre
semplici test di stimolazione all’interno dell’area che il
paziente riferisce dolorosa. Ogni test permette di verificare l’integrità delle fibre A-beta (tocco con garza),
A-delta (punta di graffetta) e delle fibre C (provetta di
acqua calda) 3. La positività anche di uno solo dei
tre test citati sta a indicare una sofferenza della fibra
nervosa. L’integrità del sistema somato-sensoriale, ossia delle fibre coinvolte nella trasmissione dell’impulso doloroso dalla sede del dolore al midollo spinale,
esclude che il dolore origini dalle fibre nervose (dolore
neuropatico), mentre suggerisce che il dolore origini
dai nocicettori periferici.
In un secondo momento è fondamentale ricercare il
coinvolgimento dei neuroni spinali (chiamata ipersensibilità spinale). In quest’ultimo caso si somministrano
stimoli “allodinici”, ovvero stimoli che “normalmente” non evocano dolore, mentre risultano dolorosi
nell’area del dolore raccontato dal paziente (Fig. 1).
Nei casi di dolore cronico, in cui ad esempio la
guarigione della malattia non è breve, nonostante
l’evidenza clinica indichi che il pain generator (sito
dove origina il dolore) si trovi nei nocicettori periferici
infiammati, è consigliabile ridurre a un periodo minimo la somministrazione di FANS e agire con farmaci
modulatori dell’impulso a livello della sinapsi (paracetamolo e oppiacei) in cui l’impiego per lunghi periodi
si ritiene più sicuro ed efficace. Quindi se l’intensità
del dolore è lieve useremo il paracetamolo, se moderata-forte opteremo per gli oppiacei, da scegliere a
seconda della loro potenza analgesica. È noto infatti
che i FANS hanno una limitata potenza antalgica,
un’azione esclusivamente periferica e, a causa di molteplici effetti avversi, possono essere usati per limitati
periodi di tempo. In generale un incremento del loro
dosaggio oltre quello massimo previsto non produce
un parallelo incremento dell’effetto analgesico. Non
Reumatologia
pratica
46
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
Il dolore
a bassa soglia
Iperalgesia
Allodinia
Dolore fisiologico
100
L’ipersensibilità sposta a sinistra la curva
del dolore evocato e
compare allodinia nel
territorio di lesione
Intensità
del dolore
0
100
Intensità dello stimolo
Dolore spontaneo
Figura 1. C. Bonezzi: Fisiopatologia del dolore.
esistono inoltre prove di efficacia sul dolore neuropatico e alcuni FANS possono anche interferire con l’attività cardio-circolatoria.
Da un punto di vista neurofisiologico non esistono
differenze sostanziali tra dolore oncologico e nononcologico, mentre il differente approccio è legato
principalmente alla presenza della malattia-cancro
nella sua evoluzione progressiva e inguaribile. Nel
dolore da cancro il pain generator è costituito dal
recettore periferico e/o viscerale “infiammato” dalla
malattia-cancro, è sempre presente ipersensibilità spinale, trattandosi di stimoli continui al midollo. Molto
spesso è presente il coinvolgimento dei plessi nervosi
con invasione e/o lesione delle fibre nervose. Quindi
nelle fasi di terminalità il controllo del dolore deve
essere guidato dall’intensità del sintomo dolore e dai
possibili effetti collaterali della terapia antalgica, ridotti al minimo per garantire una buona qualità di vita e
di morte al paziente.
Di fronte al dolore cronico quale è quello da “artrosi”
(patologia ad alta prevalenza direttamente proporzionale all’età) è necessario prima di tutto definire il sito
d’origine del dolore (che nel paziente artrosico sono
sempre i nocicettori), ma subito dopo accertare la
presenza o meno di ipersensibilità dei recettori stessi.
Quindi se non è presente infiammazione non sono
appropriati i FANS, ma possono risultare utili e più
sicuri i farmaci oppiacei SAO (Short-Acting Opioids):
paracetamolo e sue associazioni (con tramadolo, codeina, ossicodone), tramadolo in formulazione pronta
(gocce/cpr), morfina solfato in soluzione pronta. In
questi casi, essendo il dolore prevedibile, è sufficiente
assumere l’oppiaceo in via profilattica 30-40 minuti
prima della deambulazione che si preveda possa de-
Attualità nel trattamento del dolore
settembre 2011 Numero 3
terminare dolore. Se invece l’esame obiettivo dimostra
la presenza di flogosi vi è indicazione alla somministrazione di FANS o steroidi, ma sempre per periodi
limitati.
Vi è anche la possibilità di una terapia multimodale
del dolore ovvero l’utilizzo di più farmaci con azione
sinergica. Questo permette di ridurre le dosi dei singoli farmaci e/o addirittura di sospendere quei farmaci
ritenuti meno sicuri o dannosi nella somministrazione
per lunghi periodi.
Oggi dobbiamo interpretare la terapia analgesica con
oppiacei come una necessità per il controllo del dolore e non soltanto dopo il fallimento con altre strategie
terapeutiche che apparentemente possano sembrare
più “leggere” e pertanto più innocue. Ricordiamo anche che accanto ai farmaci oppiacei, con cui singolarmente è possibile il controllo della sintomatologia
dolorosa nel 70-80% dei casi, si collocano i farmaci
adiuvanti che non hanno come prima indicazione il
trattamento del dolore, ma che in alcune situazioni si
comportano come veri e propri analgesici. Per questi
farmaci tuttavia non esiste ancora l’indicazione nella
terapia del dolore e questo ne limita la loro prescrizione in maniera lecita (prescrizione off label). Comprendono la carbamazepina, l’amitriptilina, i gabapentinoidi (gabapentin e pregabalin), la duloxetina,
la lidocaina topica.
La scelta di impiegare un oppiaceo per il controllo del
dolore è dettata, secondo le indicazione dell’OMS,
dall’intensità del dolore stesso ovvero in presenza di
un dolore di intensità moderata-forte (intervallo 7-10
nella scala numerica). Nonostante le numerose evidenze scientifiche internazionali motivino l’indicazione all’uso dei farmaci oppioidi anche nel dolore cronico non-oncologico (DCNO) l’utilizzo di questi farmaci
in Italia è ancora molto scarso (Fig. 2).
È necessario togliere dalla mente alcuni “falsi miti” che
possono rappresentare un ostacolo alla prescrizione
di questo tipo di farmaci: i pazienti in trattamento
con farmaci oppiacei, se adeguatamente trattati, non
sviluppano alcuna dipendenza e gli effetti collaterali
tipici di questa classe (stipsi, nausea e sonnolenza)
sono scarsamente ricorrenti e diminuiscono progressivamente con il proseguimento della terapia.
Per l’utilizzo appropriato dei farmaci oppiacei, anche
nella terapia del DCNO, è necessario un corretto processo di titolazione (titration) che consiste in un processo in cinque fasi sequenziali:
1. ricerca della giusta dose giornaliera;
2. ricerca della giusta posologia;
3. ricerca della via ottimale di somministrazione;
4. controllo profilattico degli effetti indesiderati noti;
5. controllo degli effetti collaterali legati a quel paziente (non sempre presenti).
1. Per stabilire la giusta dose con cui iniziare la som-
2,05
1,89
1,63
2,17
1,52
0,73
0,74
0,51
Po
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0,30
Sp
0,69
Figura 2. Consumo dei farmaci oppiacei in Europa (% sul totale spesa farmaceutica). Fonte: Elaborazione
OsMed su dati IMS.
Reumatologia
pratica
a. salvetti
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
47
settembre 2011 Numero 3
Tabella I. Tabella di equianalgesia dei principali farmaci oppiacei.
Farmaco
Dose (mg) equianalgesica
(pari a 10 mg morfina in msc)
Morfina
Durata
di azione (ore)
im
sc
10
20-30
2-3,5
3-6
200
2-3
2-4
3-4
2-4
Codeina
Ossicodone
15
30
Propossifene
-
100
Metadone
10
20
15-120
4-8
Idromorfone
1,5
7,5
2-3
2-4
Ossimorfone
1
10
2-3
3-4
Fentanyl
0,1
-
1-2
1-3
Tramadolo
100
120
6-8
4-6
0,3-0,4
0,8
2-3
6-9
Buprenorfina
ministrazione di un oppiaceo è necessario distinguere
tra paziente vergine (ovvero che non ha mai fatto uso
di farmaci oppiacei) e paziente già in terapia con
oppiacei.
Nel primo caso, è preferibile utilizzare un oppiaceo a
“rapido effetto”, come previsto dalle raccomandazioni
dell’European Association for Palliative Care (EAPC).
Ad esempio, si inizia con 5 mg di morfina a pronto
rilascio ogni 4 ore (4 gocce di morfina a pronto rilascio in soluzione al 20%) con somministrazione serale
doppia, al 2° giorno si può modificare la posologia
aumentando o diminuendo di 1-2 gocce a somministrazione. In alternativa si possono utilizzare oppiacei
per via orale a lento rilascio (morfina, ossicodone,
idromorfone) insieme a un oppiaceo a rapido effetto (morfina a pronto rilascio o ossicodone pronto): si
somministra il primo alla dose minima ogni 12 ore e
in caso di dolore si aggiunge morfina a pronto rilascio
(5 mg) o ossicodone pronto (5 mg). Dopo 2-3 giorni
la somma delle dosi dei due farmaci oppiacei costituisce la nuova dose giornaliera che va suddivisa in due
somministrazioni giornaliere. Nella fase di titolazione
non è raccomandabile l’utilizzo degli oppiacei transdermici che andrebbero riservati quando il dolore è
stabile e controllato.
Nei pazienti che stanno già utilizzando oppiacei, bisogna utilizzare le tabelle di equianalgesia (Tab. I)
e, nel caso in cui il dolore non sia ben controllato, il
nuovo farmaco andrà incrementato del 30-50% del
dosaggio del farmaco usato in precedenza.
Reumatologia
pratica
48
Emivita
(ore)
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
2-4
2. La posologia ottimale del farmaco oppiaceo utilizzato va personalizzato cercando di ottenere la migliore compliance possibile del paziente, utilizzando
anche schemi posologici diversi da quelli consigliati.
3. La scelta della via di somministrazione è condizionata dalle preferenze del paziente e dalle sue condizioni cliniche che in determinate situazioni ne obbligano alcune vie “non ortodosse” (presenza di disfagia,
scarsa sanguificazione cutanea periferica, febbricola,
presenza di edemi periferici).
4. Vi sono effetti collaterali legati al meccanismo
d’azione noto del farmaco oppiaceo che stiamo impiegando e che si manifesteranno da subito. È necessario informare esaurientemente il paziente e la sua
famiglia anche per ottenere la massima aderenza alla
terapia. È opportuno:
a. idratare opportunamente il paziente;
b. prevenire la stipsi;
c. prevenire o contrastare nausea e vomito con idonea terapia farmacologica.
Ma accanto agli effetti collaterali noti ne esistono altri che in realtà non conosciamo ancora bene, come
gli effetti sulla libido nei soggetti giovani, sul sistema
immunitario con azione inibitoria sia a livello centrale che periferico, sull’asse ipotalamo-ipofisario, sul
metabolismo del calcio e anche un possibile effetto
depressivo. Tutto ciò è ancora oggetto di studio e di
approfondimento.
Attualità nel trattamento del dolore
settembre 2011 Numero 3
a. salvetti
sostanza a parità di dose utilizzata 8. È chiaro che,
per quanto riguarda la somministrazione di oppioidi
nel DCNO, non si hanno ancora a disposizione tutte le esperienze che si sono raccolte nella somministrazione cronica di oppioidi nel dolore oncologico.
In particolare ci pare corretto segnalare che ulteriori
studi si rendono necessari nei seguenti settori: effetti
a lungo termine sul sistema immunitario, rapporti tra
somministrazione cronica di oppioidi e facilitazione
algica, disturbi cognitivi, capacità di guidare l’auto e
di prendere decisioni.
Oggi la legge “Disposizioni per garantire l’accesso
alle cure palliative e terapia del dolore” del 9 marzo
2010 permette un più facile utilizzo dei farmaci oppiacei e di tutte le altre sostanze stupefacenti a uso
terapeutico sia nelle cure palliative che per la cura
del dolore in genere. Ci auguriamo che tutto questo,
assieme a un adeguato progetto formativo di tutti gli
operatori sanitari, permetta un migliore controllo del
dolore, oncologico e non, acuto e cronico, che purtroppo affligge ancora la maggior parte dei pazienti
nel corso della loro vita.
Bibliografia
Lora Aprile P. Dossier Terapia del dolore. Rivista
SIMG 2011;(2):44-9.
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Ministero della Salute. Il dolore cronico in Medicina
Generale. Roma: Agenzia Nazionale per i Servizi
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Trescott AM, Boswell MV, Atluri SL, et al. Opioid
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but not of the antidipsogenic effect of U-50, 488H after chronic amphetamine. Pharmacol Biochem Behav
1993;44:77-86.
1
Reumatologia
pratica
5. Alcuni pazienti manifestano effetti collaterali quali
nausea, vomito, prurito, vertigini, obnubilamento del
sensorio e confusione mentale: ciò significa che il farmaco non è stato titolato nel modo adeguato in quel
paziente! Questa variabilità individuale rappresenta
oggetto di studio della farmacogenetica che ci auguriamo possa spiegare in modo esauriente le differenti risposte “fisiologiche” agli stimoli nocicettivi, sia la
predisposizione a una sensibilità “esagerata” al dolore presente in alcuni individui.
Oggi la ricerca è principalmente rivolta alla identificazione di nuovi oppiacei, non tanto diversi dagli attuali in commercio per una maggiore potenza
analgesica, quanto per una minore possibilità di interazioni. È noto infatti come la morfina sia in grado
di interferire con il rilascio di neurormoni come PRL
e GH, ma anche su ADH, ormoni tiroidei, LH, FSH
e testosterone, ma anche il tramadolo è in grado
di innescare interazioni farmacologiche spesso non
prevedibili.
In assenza di una risposta analgesica efficace il farmaco oppiaceo va sostituito modificando, se necessario, anche la via di somministrazione: questa pratica
si chiama “rotazione degli oppiacei”.
Oggi, sulla base di una crescente letteratura medica 4-6, si ritiene che la somministrazione protratta di
oppioidi, nel caso di soggetti sofferenti per DCNO
di tipo nocicettivo, sia efficace e sicura quando la
procedura avvenga in un setting clinico controllato, su
pazienti adeguatamente selezionati e controllati regolarmente nel tempo.
La scelta farmacologica nel DCNO deriva dal piano terapeutico che va concordato col paziente e
dall’obiettivo che si vuole raggiungere con questi. I
problemi saranno diversi nel caso in cui il paziente
stia ancora lavorando, oppure nel caso in cui questi
sia stato dichiarato inabile al lavoro. Si dovrà discutere col paziente quali effetti collaterali potranno essere
accettati, quali no e quale debba essere la rapidità
nel raggiungere il sollievo dal dolore, ma soprattutto
abbattere “falsi miti”, quali la dipendenza fisica ovvero “adattamento che si presenta con sindrome classespecifica causata da brusca sospensione, rapida riduzione della dose, riduzione dei livelli ematici e/o
somministrazione di un antagonista” 7 e la tolleranza
che implica una progressiva perdita di efficacia della
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
49
settembre 2011 volume 6 pagine 50-52
Alcaptonuria
e ocronosi
Parole chiave
Alcaptonuria • ocronosi
Riassunto
L’alcaptonuria è una rara malattia metabolica che determina l’escrezione urinaria di acido omogentisinico e l’accumulo dei suoi metaboliti a livello dei tessuti i quali assumono un caratteristico colore brunastro (ocronosi). La principale
conseguenza clinica di tale difetto metabolico è un’artropatia particolarmente disabilitante che compare nella III decade e che interessa il rachide e le grosse articolazioni. Ad oggi non esiste una terapia causale di provata efficacia
anche se sono in studio diversi composti.
L’alcaptonuria è una malattia metabolica rara a trasmissione autosomica recessiva dovuta al deficit
dell’enzima omogentisato 1,2 diossigenasi (HGO). I
pazienti alcaptonurici eliminano con le urine grandi
quantità di acido omogentisico che determina il caratteristico colore scuro delle urine quando vengono
lasciate all’aria. Nel corso degli anni un prodotto di
ossidazione dell’acido omogentisico si deposita, direttamente o sotto forma di polimeri, nel tessuto connettivo, in particolare a livello della cute, delle sclere e
delle cartilagini, causando una pigmentazione, simile
a quella generata dalla melanina, detta ocronosi. La
maggior parte dei soggetti alcaptonurici sviluppano
dopo i 30 anni una artropatia, talvolta particolarmente disabilitante, che coinvolge lo scheletro assiale e le
grosse articolazioni.
L’alcaptonuria è una malattia estremamente rara con
una prevalenza stimata inferiore a 1:250.000 nella
maggior parte delle popolazioni, mentre in aree circoscritte della Slovacchia 1 e della repubblica Dominicana 2 la sua frequenza è molto più elevata.
Nei mammiferi gran parte della fenilalanina e della
tirosina assunte con la dieta vengono metabolizzate
da sistemi enzimatici localizzati prevalentemente a
livello di fegato e rene. Questi aminoacidi vengono
ossidati ad acido fumarico e acetoacetico in una via
metabolica che comprende sei reazioni enzimatiche:
Reumatologia
pratica
50
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
nella quarta tappa l’acido omogentisinico (HGA),
viene ossidato ad acido maleil-acetoacetico da parte
dell’enzima HGO 3.
Non è completamente chiaro il meccanismo attraverso il quale il deficit enzimatico di HGO conduca
all’artropatia ocronotica. È stato dimostrato 4 che la
cartilagine e la cute dei mammiferi contengono alcuni
enzimi (omogentisico-polifenol-ossidasi) che catalizzano in vitro l’ossidazione di HGA ad acido benzochinone-acetico con la successiva formazione di un
pigmento scuro, simile a quello ocronotico. Milch ha
ipotizzato 5 che l’acido benzochinone-acetico si leghi
alle fibre di collagene con conseguente aumento dei
legami intermolecolari, in un processo simile a quello
che avviene nella concia delle pelli. D’altra parte Murray et al. 6, con la dimostrazione dell’effetto inibitorio
dell’HGA sulla lisil-idrossilasi degli embrioni di pollo,
hanno proposto che una minore produzione di idrossilisina possa determinare una ridotta formazione di
Alessandro Mannoni
Servizio di Reumatologia,
Ospedali “S. Maria Nuova e Palagi”
Azienda Sanitaria di Firenze
[email protected]
settembre 2011 Numero 3
legami intermolecolari con conseguente alterazione
biomeccanica del collagene. Tale ipotesi è stata successivamente confermata da Andreotti et al. 7. Studi in
vitro su colture condrocitarie hanno poi dimostrato che
l‘HGA inibisce la crescita cellulare in funzione della
concentrazione del metabolita 8 9. Il gene che codifica l’enzima HGO è stato clonato e caratterizzato nel
1996 10 e sono state identificate le diverse mutazioni
che determinano il difetto enzimatico.
Le manifestazioni cliniche della malattia sono la
conseguenza della deposizione del pigmento ocronotico a livello del tessuto connettivo. Tipica è la
deposizione del pigmento a livello delle sclere e delle cartilagini auricolari. I primi sintomi compaiono
generalmente nella IV decade con dolore e rigidità
progressiva del rachide lombare e successivamente
del tratto toracico e delle articolazioni costosternali
con possibile riduzione della espansione toracica.
A. Mannoni
Reumatologia
pratica
Figura 1. Immagine radiografica del rachide del paziente affetto da ocronosi: è patognomonica la riduzione di tutti gli spazi intervertebrali e la presenza di
calcificazioni dei dischi intervertebrali.
Tali reperti possono porre problemi di diagnostica
differenziale con la spondilite anchilosante. Il quadro
radiologico della spondilopatia ocronotica comunque è molto tipico, specie nelle fasi avanzate: sono
evidenti infatti calcificazioni “wafer-like” dei dischi
intervertebrali, con riduzione degli spazi vertebrali e
fenomeni di osteocondrosi (Fig. 1). Nelle fasi tardive della malattia è inoltre presente una osteoporosi,
spesso importante. Di solito le articolazioni sacroiliache sono indenni o presentano alterazioni di tipo
degenerativo. È stata comunque descritta anche l’associazione fra spondilopatia ocronotica e spondilite
anchilosante 10.
L’impegno delle grosse articolazioni avviene di solito
più tardivamente rispetto all’interessamento assiale. Le
articolazioni più colpite sono il ginocchio, l’anca e la
spalla mentre è raro l’interessamento delle piccole articolazioni. Il quadro clinico-radiologico è assimilabile
a quello di una comune artrosi anche se è possibile
il riscontro di una franca artropatia infiammatoria. In
questo caso la sinovite sembra sia dovuta a una reazione da corpo estraneo alla fagocitosi del pigmento
ocronotico 11. La deposizione del pigmento ocronotico a livello delle strutture tendinee può causare tendiniti o rotture tendinee spontanee. Fra le manifestazioni
extrarticolari è possibile il riscontro di una calcolosi
renale, vescicale e prostatica. La deposizione del
pigmento a livello delle strutture valvolari cardiache
può essere causa di alterazioni patologiche di rilievo;
sono descritti in letteratura casi di stenosi aortica che
hanno richiesto la sostituzione valvolare 12-15.
Nel sospetto di un’alcaptonuria, la conferma diagnostica si ottiene con un test grossolano ma sensibile:
aggiungendo poche gocce di idrossido di sodio alle
urine del paziente il colorito di queste ultime diviene
brunastro (Fig. 2).
Lo scopo del trattamento dei pazienti alcaptonurici è
quello di prevenire o minimizzare gli effetti dell’artropatia ocronotica. Anche se è stato dimostrato che una
dieta ipoproteica ha ridotto l’escrezione di HGA in
bambini di età inferiore ai 12 anni, negli adolescenti
e negli adulti gli effetti della dieta sono risultati meno
efficaci e diminuiscono con l’aumentare dell’età 16. Da
diversi anni si sostiene che l’acido ascorbico sia la terapia patogenetica per l’alcaptonuria. La vitamina C,
in modelli sperimentali, aumenta l’escrezione urinaria
di HGA e riduce i legami del pigmento ocronotico al
tessuto connettivo attraverso l’inibizione della HGA
polifenol-ossidasi. Nonostante sia stato dimostrato che
questo composto induca la scomparsa di acido benzo-
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
51
settembre 2011 Numero 3
New York: McGraw-Hill 2001, pp. 2109‑23.
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4
Figura 2. Dopo l’aggiunta di poche gocce di idrossido di sodio le urine del paziente alcaptonurico assumono rapidamente un colorito brunastro.
chinone acetico nelle urine di soggetti alcaptonurici 17,
i suoi effetti sulla progressione della artropatia ocronotica sono risultati deludenti 18. Sono attualmente in
studio diversi composti con proprietà antiossidanti che
hanno mostrato in vitro di ridurre la polimerizzazione
dell’HGA 19 20. In un recente trial clinico randomizzato
della durata di 3 anni 21 è stata valutata l’efficacia del
nitisinone, un trichetone che inibisce il secondo enzima
della via catabolica della tirosina, in 40 pazienti affetti da alcaptonuria. Sebbene il farmaco abbia ridotto
drasticamente i livelli plasmatici e urinari di HGA, non
vi sono state sostanziali variazioni degli esiti clinici nei
pazienti trattati, a fronte di una potenziale tossicità a
lungo termine del medicamento.
Bibliografia
Srsen S, Cisarik F, Pasztor L, et al. Alkaptonuria in the Trencin
District of Czechoslovakia. Am J Med Genet 1978;2:159-66.
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1
Reumatologia
pratica
52
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
Alcaptonuria e ocronosi
settembre 2011 volume 6 pagine 53-57
Nuove esperienze
cliniche:
trattamento
infusivo con
iloprost mediante
elastomero:
esperienza clinica
di una nuova modalità
infusionale nel fenomeno
di Raynaud secondario
a sclerosi sistemica
Parole chiave
Iloprost • Elastomero • Terapia infusiva •
Sclerosi sistemica
Riassunto
L’iloprost (Endoprost®) è un farmaco con ruolo fondamentale nel trattamento di molti disturbi vascolari di tipo ischemico. Nella sclerosi sistemica e nel fenomeno di Raynaud l’uso dell’iloprost è molto diffuso e potrebbe anche essere
incentivato, alla luce delle evidenze cliniche di molti studi, anche per un controllo di meccanismi patogenetici della
malattia. Il protocollo terapeutico classico, da scheda tecnica, necessita di ricovero ospedaliero o in regime di day
hospital, con difficoltà organizzative e gestionali che possono portare anche alla riduzione dei trattamenti. Abbiamo
realizzato una alternativa infusionale per i pazienti afferenti al nostro centro utilizzando un dispositivo monouso elastomerico. L’attuazione del nostro progetto si è ispirata a lavori disponibili in letteratura per altre condizioni patologiche
che facevano uso di infusioni alternative per dosi e modalità. I nostri risultati hanno dimostrato che l’infusione di iloprost
mediante elastomero mantenuto a domicilio è sicura e ben tollerata, inoltre risulta preferita dai pazienti.
L. Sabadini, O. Sacu, F. Rosati, E. Marzo,
L. Fusconi, R. Brischetto
Unità Operativa Semplice di Reumatologia,
AUSL 8, Arezzo
R. Brischetto
[email protected]
un potente analogo, chimicamente stabile, della prostaciclina (I2), che deve essere somministrato, dopo
diluizione, per infusione endovenosa secondo scheda
tecnica. Tra gli effetti del farmaco che spiegano la sua
capacità di migliorare il microcircolo, i più noti sono
la vasodilatazione, l’inibizione piastrinica, la riduzione dell’espressione di alcune molecole d’adesione,
la fibrinolisi e la protezione dal danno endoteliale 6-8.
Inoltre, un recente studio italiano ha dimostrato l’effetto specifico antinfiammatorio e immunomodulante
nella sclerosi sistemica 9. Questo dato suggerisce che
probabilmente l’utilizzo dell’iloprost nei pazienti affetti
da sclerosi sistemica dovrebbe essere incentivato, non
soltanto per il suo effetto vasodilatatorio e antifibrotico, ma anche come agente immunomodulante. Molti
studi, inoltre, hanno ormai dimostrato l’efficacia di ilo-
Reumatologia
pratica
Introduzione
L’iloprost (Endoprost®) è un farmaco dal ruolo fondamentale nel trattamento di molti disturbi vascolari di
tipo ischemico, compresi l’arteriopatia periferica occlusiva 1, la tromboangioite obliterante 2, il fenomeno di Raynaud secondario a sclerosi sistemica 3 4 e
l’ipertensione arteriosa polmonare 5. Esso rappresenta
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
53
settembre 2011 Numero 3
prost nella guarigione delle ulcere digitali dal fenomeno di Raynaud – sia primitivo che secondario – a
connettiviti – in particolare sclerosi sistemica. L’impiego di iloprost nel trattamento della sclerosi sistemica è
stato così inserito nelle indicazioni previste in scheda
tecnica. Anche le ultime linee guida EULAR del 2009,
per la gestione della malattia e della terapia nei pazienti con sclerosi sistemica, indicano l’iloprost come
farmaco di elezione per la terapia delle ulcere attive.
Il dosaggio terapeutico del farmaco deve essere adattato,
per la velocità di infusione, sulla base della tollerabilità
individuale del singolo paziente, nell’ambito di un range
compreso tra 0,5-2 ng di iloprost/kg/min. Il protocollo
terapeutico classico, descritto in scheda tecnica, prevede
la somministrazione per via endovenosa tramite pompa
peristaltica o eventualmente tramite pompa a siringa, ma
la letteratura ci propone anche l’uso di un semplice deflussore, con farmaco diluito in soluzione fisiologica (SF)
(250 ml SF) da somministrare in 6 ore, in ricovero ospedaliero o in regime di day hospital (DH), alla dose massima
tollerata (da 0,5 a 2 ng/kg/min), a cicli di varia durata
in base alle necessità, ogni 30-45 giorni.
Lo scopo di questo lavoro è di presentare la nostra
esperienza nell’utilizzo di una nuova modalità di infusione del farmaco, con un dispositivo il cui uso non
è attualmente approvato per la somministrazione di
iloprost, che permette la terapia a domicilio, evidenziando soprattutto la sicurezza e la compliance dei pazienti. Tale scelta è stata fatta come conseguenza delle
problematiche relative alla scarsa compliance dei vari
pazienti, dovuta alla difficoltà o all’impossibilità per
molti di restare fermi 6 ore consecutive in DH, per pochi che non hanno tollerato il farmaco somministrato
con i metodi classici, per effetti collaterali (cefalea,
nausea, ipotensione, senso di stanchezza e malessere
generale, flushing del volto). Inoltre, la somministrazione del farmaco limitata durante le 6 ore di apertura del
DH, insieme alla bassa velocità di infusione tollerata,
hanno spesso causato una somministrazione terapeutica inadeguata, con riflesso sui risultati clinici. L’attuazione del nostro progetto si è ispirata a lavori reperiti
in letteratura con la descrizione di somministrazioni alternative per dosi e modalità 9-11, e anche grazie alla
disponibilità dell’Unità Operativa di Cure Palliative del
nostro ospedale che ci ha fornito le informazioni pratiche sull’utilizzo degli elastomeri. Le nostre valutazioni,
per gli scopi d’uso specifico, ci hanno fatto orientare
per la scelta di un dispositivo adatto per noi.
Materiali e metodi
Abbiamo analizzato i dati relativi a 46 pazienti
con diagnosi di sclerosi sistemica secondo i criteri
Reumatologia
pratica
54
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
dell’ACR 12, e in terapia con iloprost. I pazienti presentavano frequenti e importanti attacchi di fenomeno
di Raynaud, complicato o meno da ulcere digitali. Di
essi, 42 pazienti, di età compresa tra 31 e 85 anni,
hanno effettuato la terapia tramite l’utilizzo del nuovo
dispositivo, la pompa elastomerica. I soggetti sono
stati sottoposti ad accurati accertamenti strumentali
(incluso un ecocardiogramma), come parte integrante
di un programma di follow-up specifico per i pazienti
con diagnosi di sclerosi sistemica (con controlli almeno
ogni 6 mesi, salvo eccezioni più frequenti). Tutti hanno
firmato un consenso informato, e sono stati ricoverati
in regime di DH presso la nostra struttura.
Lo schema terapeutico prevedeva la somministrazione
endovenosa in 3 giorni (di media) di un dosaggio standard di farmaco, con 3 fl di iloprost diluite in 36 ml di
soluzione glucosata (SG) (1 fl in 12 ml SG) 5% come
dosaggio giornaliero). Il numero di fiale poteva essere
aumentato (mantenendo sempre il rapporto 1 fl in non
meno di 12 ml SG al giorno), in base alle necessità
cliniche del paziente (fino a un massimo di 5 giorni consecutivi). Altre variazioni terapeutiche possibili
erano sia la somministrazione di un numero inferiore
di fiale di iloprost nella stessa quantità di SG (2 fl in
36 ml SG), sia lo stesso numero di fiale in maggior
quantità di liquido (3 fl in 48 ml SG). Il riempimento
della pompa elastomerica (device 0,5 ml/h a velocità fissa) veniva eseguito in ambiente sterile da due
infermiere, con i dosaggi prescritti dal medico. Una
volta effettuata la preparazione e il riempimento del
device, sempre seguendo tutte le regole dell’asepsi,
il paziente veniva fatto accomodare singolarmente in
una stanza predisposta per l’applicazione; veniva inserita un’agocannula controllata per il posizionamento
corretto e successivamente collegata con l’elastomero.
Il paziente veniva poi istruito per quanto riguarda la
gestione e l’eventuale chiusura in caso di necessità.
Il primo giorno della terapia il soggetto veniva tenuto
sotto osservazione per eventuale comparsa di effetti
indesiderati. La rimozione del device avveniva sempre
nel DH alla fine del ciclo di terapia. Il periodo globale
di analisi dei dati è stato all’incirca di 12 mesi (dal
novembre del 2009 al febbraio del 2011).
Somministrazione di iloprost tramite elastomero
Per la somministrazione del farmaco è stato utilizzato
un dispositivo monouso, a basso costo, per l’infusione
continua di farmaci in soluzione, a velocità costante
preimpostata. L’elastomero è costituito da un palloncinoserbatoio in materiale elastico (elastomero) che esercita, sul fluido in esso contenuto, una pressione costante
per un determinato periodo di infusione; Il contenuto è
Infusione facilitata di iloprost con elastomero
nella sclerosi sistemica e fenomeno di Raynaud
settembre 2011 Numero 3
indicatore di volume
filtro
tubicino a sezione stellare,
antinginocchiamento
palloncino elastomerico
riempito di farmaci
regolatore di flusso
Luer-lock
tappo
di protezione
Figura 1. Indicatore di volume.
Sicurezza e tollerabilità
Per la valutazione della sicurezza e la tollerabilità del
nuovo metodo di somministrazione del farmaco utilizzato, abbiamo considerato la comparsa di qualsiasi disturbo riferito, sia in corso di infusione, sia nei giorni successivi a essa. Se tutto risultava nella norma, il paziente
veniva inviato a domicilio, dopo istruzione sulle precauzioni da prendere, su come procedere alla chiusura del
dispositivo in caso di comparsa di disturbi importanti e su
quando ritornare presso il DH per la rimozione. Gli effetti
collaterali sono stati classificati in due gruppi, sistemici e
locali e gli interventi intrapresi sono stati di due tipi: la
sospensione del farmaco o la modifica del dosaggio
(con le due modalità descritte in precedenza).
Gradimento ed efficacia
Il gradimento dei pazienti riguardo alla nuova modalità infusionale dell’iloprost, a confronto con la somministrazione classica, è stato valutato attraverso il
Quesito riportato qui di seguito (Tab. I):
L. Sabadini, O. Sacu, F. Rosati, E. Marzo, L. Fusconi,
R. Brischetto
Tabella I. Quesito.
Come valuta la somministrazione del farmaco a
domicilio utilizzando l’elastomero, rispetto alla
eventuale somministrazione presso il DH o secondo le proprie precedenti esperienze di modalità
standard?
Vantaggioso
r
r
Sì
r
Molto
r
Poco
No
Per quanto riguarda l’efficacia del farmaco nel controllo
del fenomeno di Raynaud, non siamo entrati nel merito perché non era questo lo scopo della nostra analisi
e poiché vari lavori hanno già ampiamente dimostrato
questi benefici 12-14. Abbiamo comunque somministrato
ai pazienti (come parte integrante della nostra attività
clinica abituale) un diario del fenomeno di Raynaud, che
il paziente doveva compilare prima dell’inizio della terapia e successivamente, nel corso dei vari mesi di cura.
Risultati
Il gruppo dei 42 pazienti in terapia con iloprost era
formato da 39 femmine e 3 maschi. L’età media era
di 62 anni (la più giovane di 31 anni e la più anziana di 85 anni). Con l’eccezione di due pazienti che
avevano un accesso venoso centrale (decisione presa
in accordo con i chirurghi vascolari per la difficile gestione in fase molto avanzata di malattia), il resto dei
pazienti ha effettuato la terapia utilizzando un accesso venoso periferico.
Dei 42 pazienti, solo 6 (14,28%) hanno sospeso la
terapia. Dei 6 pazienti, solo 1 (2,3%) ha sospeso per
la comparsa di effetti collaterali sistemici e locali non
Reumatologia
pratica
rilasciato attraverso un filtro che controlla la pressione
e, di conseguenza, la velocità con cui l’elastomero si
svuota. Tale fluido viene spinto lungo una linea d’infusione, costituita da un tubicino flessibile e incomprimibile, fino all’ingresso in vena, tramite l’agocannula. Abbiamo selezionato, per la terapia, un tipo particolare
di agocannula, con applicatore intravenoso più lungo,
per aumentare l’elasticità del dispositivo e permettere
una migliore libertà nei movimenti (Fig. 1).
Il principio di funzionamento di questo dispositivo è
la legge di Hagen-Poiseuille: il flusso che attraversa
un vaso è direttamente proporzionale alla pressione
applicata alla sua origine, alla quarta potenza del
raggio e inversamente proporzionale alla viscosità del
mezzo e alla lunghezza del vaso.
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
55
settembre 2011 Numero 3
Tabella II. Casi di sospensione definitiva della terapia con utilizzo di elastomero.
TOTALE pazienti
SOSPENSIONE
42
6 (14,28%)
CAUSE SOSPENSIONE DELLA TERAPIA
CON ELASTOMERO
Effetti collaterali sistemici e locali non gravi
(ma concomitanti con la lontananza dal centro)
1 (2,3%)
Gravidanza
1 (2,3%)
Scarsa compliance
4 (9,5%)
Tabella III. Eventi avversi (sistemici e locali) e provvedimenti adottati.
Effetti collaterali
Provvedimenti
Locali
Flebite
2 pz (4,76%)
Cambio accesso venoso e del protocollo di infusione
(1 pz -3 fl in 48 cc SG e 1 pz 2 fl in 36 cc SG)
1 pz (2,38%)
Sospensione della terapia (la stessa paziente con vertigini)
Sistemici
Cefalea
Vertigini
1 pz (2,38%)
Sospensione della terapia
Flushing volto
1 pz (2,38%)
Scomparso dopo il primo giorno di terapia
Nessun cambiamento del protocollo di infusione
gravi (però difficilmente gestibili per la lontananza
dal centro), e un problema di accesso venoso periferico difficoltoso. Una paziente (2,3%) ha sospeso
per gravidanza e gli altri 4 (9,5%) per problemi di
compliance (pazienti anziani con problemi di deambulazione e con difficoltà nell’accettare una terapia a
domicilio, fuori dal controllo del personale sanitario).
I dati sono sintetizzati nella Tabella II. Dei pazienti
che avevano sospeso definitivamente la terapia con
elastomero, uno è ritornato alla somministrazione
classica (in DH) e uno alla terapia con prostavasin
(sempre in DH).
Globalmente, gli eventi avversi sono stati osservati in
5 pazienti (11,9%). Quali sono stati questi eventi avversi e quali sono stati i provvedimenti, viene riportato
nella Tabella III. L’elevato numero di pazienti precedentemente in terapia con prostavasin era soprattutto dovuto all’intolleranza per iloprost somministrato
secondo il metodo classico o perché proseguivano
una terapia prescritta in un’altra sede. Con la nostra
tecnica di infusione siamo però riusciti a recuperare
la maggior parte di questi pazienti all’uso di iloprost
secondo scheda tecnica.
Abbiamo consegnato un questionario a quei pazienti
che prima della terapia con l’elastomero avevano già
fatto cure infusive, per valutare il gradimento tra le due
modalità (iloprost e prostavasin in metodo classico/
Reumatologia
pratica
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PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
Tabella IV. Esperienza terapeutica precedente
dei pazienti che hanno iniziato la somministrazione con elastomero.
Numero totale pazienti
42
Precedente terapia con prostavasin
21 (50%)
Precedente terapia ev con iloprost (classica)
Prima volta iloprost direttamente con
elastomero
12 (28,57%)
9 (21,43%)
iloprost in elastomero). Anche i tempi di infusione tra
iloprost e prostavasin sono nettamente diversi (6 ore
circa per iloprost e 2 ore circa per prostavasin); i dati
hanno comunque mostrato una preferenza per la terapia a domicilio. Solo nel caso di 3 soggetti (risultati
poi quelli che hanno sospeso per scarsa compliance)
la risposta è stata negativa. Nei 30 pazienti restanti
che hanno dato una risposta positiva, la maggior parte (28 pazienti) ha risposto con “Molto”.
Discussione
L’obiettivo di questo lavoro è stato di valutare una nuova modalità di infusione endovenosa di iloprost nei pazienti in cura presso il Centro di Arezzo per fenomeno
di Raynaud secondario a connettiviti, tramite l’utilizzo
della pompa elastomerica; questa tecnica ha permesInfusione facilitata di iloprost con elastomero
nella sclerosi sistemica e fenomeno di Raynaud
settembre 2011 Numero 3
Bibliografia
1
Vantaggioso?
Sì
No
Molto
28 pz (84,84%)
Poco
2 pz (6,06%)
2
3 pz (9,09%)
3
so la somministrazione domiciliare. Le importanti capacità vasodilatative di iloprost e la paura del conseguente rischio di eventi avversi, hanno favorito, finora,
una somministrazione prudente consolidata, costituita
dall’infusione endovenosa classica in regime di DH,
con l’aiuto della micro-pompa peristaltica o tramite
l’utilizzo di un deflussore semplice. I disagi del metodo
classico e l’impraticabilità in molti casi, ci hanno indotto a valutare alternative di somministrazione.
I risultati sembrano dimostrare che la terapia con iloprost tramite elastomero è sicura e ben tollerata (migliore tollerabilità con minori effetti collaterali). Infatti,
mediante pompa elastomerica, la sospensione della
terapia è avvenuta soltanto in 6 casi dei 42 totali,
fra cui soltanto uno per comparsa di effetti collaterali
(reazione locale con dolore per fuoriuscita dell’ago,
cefalea e importante spossatezza). Una paziente ha
sospeso per gravidanza e 3 per problemi logistici di
compliance. I vantaggi di questa metodica implicano
una concentrazione plasmatica costante e inalterata
(per tutto il tempo di trattamento) di piccole dosi che
non saturano i recettori del farmaco, rendendoli ancora prontamente disponibili alla sospensione (sicurezza
in caso di comparsa di eventi avversi).
Il maggior vantaggio riferito dai pazienti è stato il minor disagio sociale: meno assenze dal lavoro, una
vita quasi completamente normale – con qualche piccola eccezione riguardante soprattutto il bagno nella
vasca e l’esposizione al sole –, maggior praticità per
il paziente che ha potuto evitare il ricovero di 6 ore
circa presso il day hospital per almeno 3 giorni al
mese. Non di secondaria importanza appare l’alleggerimento dell’impegno infermieristico in day hospital.
In conclusione, possiamo dire che, nella nostra esperienza, la somministrazione di iloprost con elastomero
è risultata ben tollerata, sicura e nettamente preferita dai pazienti. Oltre ai numerosi vantaggi a livello
personale, questa scelta terapeutica può offrire un
concreto risparmio di risorse professionali dedicate,
ampliando l’efficienza della struttura organizzativa
per la capacità di prendere in carico, in sicurezza, un
maggiore numero di pazienti.
L. Sabadini, O. Sacu, F. Rosati, E. Marzo, L. Fusconi,
R. Brischetto
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
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Reumatologia
pratica
Tabella V. Risultati del gradimento (analisi dei
dati del questionario di gradimento).
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
57
settembre 2011 volume 6 pagine 58-62
Parole chiave
Malattie reumatiche • Fangoterapia • Balneoterapia •
Riabilitazione termale
La terapia termale
nelle malattie
reumatiche
Riassunto
I fanghi e i bagni termali sono utilizzati da millenni per la cura delle malattie reumatiche. Le indicazioni primarie alla
terapia termale sono l’osteoartrosi e la fibromialgia. Recenti studi hanno dimostrato che i fanghi e i bagni termali
potenziano l’efficacia della terapia farmacologica nelle spondiloartriti. La chinesiterapia in piscina termale rimane
ottimale per la riabilitazione dei malati reumatici.
Le cure termali
I trattamenti termali sfruttano le proprietà terapeutiche
e riabilitative di mezzi naturali come le acque minerali e i fanghi. Le prime sgorgano dal sottosuolo a
temperatura elevata ricche di sali minerali. Vengono
utilizzate sotto forma di bagni in vasca o in piscina,
di inalazioni, di irrigazioni, e nelle cosiddette grotte
sudatorie. I fanghi sono melme naturali derivanti dalla
mescolanza tra un’acqua termale e materiale solido in
parte inorganico e in parte organico. Vengono applicate sulla superficie corporea sotto forma di impacco
caldo.
I fanghi e i bagni termali sono utilizzati da millenni per
la cura delle malattie reumatiche e in generale delle
affezioni dell’apparato locomotore 1. I loro effetti terapeutici si esplicano attraverso una serie di meccanismi
combinati di tipo fisico, chimico e meccanico. Tra essi
prioritario è il ruolo del calore, che determinando un
aumento della temperatura corporea, eleva la soglia
del dolore ed esplica un effetto miorilassante; provoca inoltre vasodilatazione locale e generale, con miglioramento delle condizioni di nutrizione dei tessuti
e con eliminazione di mediatori coinvolti nei processi
patologici. Importanti poi sono i sali minerali che caratterizzano l’acqua termale, sia perché alcuni di essi
esplicano effetti particolari sull’organismo, sia perché
la loro concentrazione elevata consente l’esecuzione
di movimenti controllati contro resistenza durante il bagno termale.
Quando l’applicazione calorica è particolarmente
intensa, come durante una seduta completa di fangoterapia, si verifica nell’organismo un’attivazione
Reumatologia
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PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
neuro-ormonale che si sostanzia tra l’altro nella liberazione in circolo di peptidi oppioidi quali le endorfine, sostanze dotate di un notevole effetto antalgico 2.
Questa reazione spiega la riduzione della sintomatologia dolorosa che si manifesta durante il ciclo di
cura fangoterapica e che diviene più spiccata nelle
settimane successive, mantenendosi per un periodo di
tre-cinque mesi. All’azione antalgica contribuisce anche il rilasciamento muscolare indotto dal calore, che
riduce o elimina le contratture muscolari. Questi effetti
consentono di interrompere il circolo vizioso “dolore
articolare-contrattura muscolare-alterata meccanicadolore articolare” che caratterizza le malattie reumatiche croniche, e consente per un lungo tempo un
utilizzo più corretto delle articolazioni e della colonna
vertebrale, con conseguente persistente miglioramento
della sintomatologia e minore assunzione di farmaci
analgesici e anti-infiammatori.
Complessi e ancora non del tutto chiariti sono gli
effetti delle applicazioni termali sui fenomeni infiammatori. Assodato che l’azione proflogistica del calore peggiora l’infiammazione acuta, recenti ricerche
di base hanno invece evidenziato risultati favorevoli
delle applicazioni di fango su modelli sperimentali di
flogosi cronica. La nostra scuola di Padova ha effet-
Franco Cozzi
Cattedra e U.O.C. di Reumatologia,
Università di Padova
[email protected]
settembre 2011 Numero 3
le indicazioni ai trattamenti termali
Dalle evidenze sui meccanismi d’azione dei fanghi
e dei bagni scaturiscono le indicazioni alla terapia
termale in reumatologia.
Gli effetti antalgico e miorilassante della fangoterapia
e della balneoterapia trovano la loro applicazione
terapeutica innanzitutto nell’osteoartrosi e nella fibromialgia, ma numerosi lavori della letteratura scientifica
pubblicati negli ultimi anni hanno dimostrato la loro
utilità anche in alcuni reumatismi infiammatori cronici,
in particolare nelle spondiloartriti.
Osteoartrosi
Costituisce la malattia reumatica più frequente nella
popolazione e la sua prevalenza sta aumentando negli ultimi anni con l’incremento dell’aspettativa di vita.
Il suo trattamento prevede l’associazione di farmaci
(condroprotettori, analgesici, antinfiammatori) e di terapie non farmacologiche, fra le quali le cure termali
sono state molto utilizzate, soprattutto in Europa. Sono
state pubblicate di recente alcune metanalisi che hanno ribadito l’efficacia dei fanghi e dei bagni termali
nell’osteoartrosi: è stato dimostrato un miglioramento,
che permane per mesi dopo la cura termale, del dolore e della mobilità articolare e della colonna vertebrale, con ripercussioni favorevoli sulla qualità della
f. cozzi
vita e sul consumo dei farmaci analgesici e antinfiammatori 4 5.
I meccanismi con cui le applicazioni termali migliorano la sintomatologia dei pazienti artrosici sono
complessi e comprendono l’effetto miorilassante del
calore, l’innalzamento della soglia del dolore per la
liberazione in circolo e nei tessuti di peptidi oppioidi, la riduzione di citochine condrolesive, oltre che
le condizioni ambientali favorevoli che caratterizzano
gli stabilimenti termali.
I medici di medicina generale e gli specialisti di patologie dell’apparato locomotore dovrebbero tenere in
grande considerazione i fanghi e i bagni termali fra le
opzioni terapeutiche da proporre ai loro pazienti artrosici. Il ciclo di cura termale può essere programmato in qualsiasi periodo dell’anno, anche se preferibile
sarebbe la sua effettuazione nel periodo autunnale, in
maniera da ottenere il maggiore beneficio nei mesi invernali, quando solitamente i pazienti vanno incontro
a una riacutizzazione della sintomatologia artrosica.
I trial clinici pubblicati non sono stati tuttavia sufficienti
perché i trattamenti termali vengano inseriti nelle linee
guida dell’EULAR sulla terapia delle principali localizzazioni della malattia artrosica, l’anca, il ginocchio e
la mano (Tab. I).
Fibromialgia
È la forma generalizzata di reumatismo extra-articolare, molto diffusa nella popolazione femminile. La sintomatologia dolorosa muscolo-scheletrica che la caratterizza è legata verosimilmente a un alterato controllo
della soglia del dolore a livello del sistema nervoso
centrale. Il trattamento della fibromialgia rimane uno
scoglio molto ostico per il reumatologo e per gli altri
specialisti che si occupano di questa forma morbosa.
Le linee guida dell’EULAR per il suo trattamento raccomandano un approccio multidisciplinare che prevede
l’associazione tra farmaci e terapie non farmacologiche; tra queste viene espressamente menzionata la
balneoterapia (Tab. I). In effetti una recente metanalisi
sui principali studi pubblicati nell’ultimo decennio ha
concluso per una chiara evidenza della sua efficacia
a breve-medio termine sul dolore muscolo-scheletrico
e di conseguenza sulla qualità della vita 6. Uno studio
recente ha mostrato l’efficacia anche della fangoterapia 7. Per quanto concerne i meccanismi d’azione, si
ritiene che i principali siano l’effetto decontratturante
del calore e quello di innalzamento della soglia del
dolore dovuto alla liberazione di peptidi oppiodi.
Reumatologia
pratica
tuato uno studio sul modello della flogosi indotta nel
ratto dall’iniezione nella zampa di adiuvante di Freund, largamente impiegato per le sue analogie con
l’infiammazione cronica dell’artrite reumatoide. Negli
animali sottoposti a un ciclo di sedute che comprendevano applicazioni di fango naturale delle terme Euganee seguite da immersione in acqua termale, è stata
osservata una riduzione significativa del volume della
zampa infiammata rispetto ai ratti di controllo e una
notevole diminuzione dei livelli circolanti delle citochine proinfiammatorie IL-1 e TNFα 3. È stato dunque
evidenziato un effetto anti-infiammatorio delle applicazioni termali su un modello sperimentale di artrite cronica. Questi dati sono stati confermati da un analogo
studio sperimentale che ha utilizzato fango termale del
Brasile. Per quanto concerne l’interpretazione di questi
risultati, l’azione antiedemigena dovuta all’ipertonia
del fango e la rimozione di mediatori della flogosi a
seguito della vasodilatazione indotta dal calore certamente vi contribuiscono, ma è stato anche ipotizzato
che i peptidi oppioidi liberati in circolo come reazione allo stress termico possano interferire con alcune
funzioni cellulari coinvolte nel processo infiammatorio.
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
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settembre 2011 Numero 3
Artrite psoriasica
La psoriasi è la malattia cutanea più frequente nella
popolazione e in circa un terzo dei casi si complica con un’artrite. Questa si può manifestare in varie
forme (oligoartritica, classica, simil-reumatoide, spondilitica). Nonostante gli effetti favorevoli di alcune acque termali sulle lesioni psoriasiche, pochi lavori sono
stati pubblicati sull’argomento. Essi hanno comunque
dimostrato un notevole beneficio sulle lesioni cutanee
(quantificato con la riduzione del PASI) e sull’artrite,
documentato dalla riduzione della rigidità mattutina,
della conta delle articolazioni infiammate, del test di
Schober per la colonna 8. L’efficacia dei fanghi e dei
bagni sulle lesioni cutanee psoriasiche appare legata
all’azione cheratolitica, antinfiammatoria e antisettica di alcune acque termali. I buoni risultati osservati
nell’artrite psoriasica sono riconducibili ai meccanismi
d’azione dei fanghi e dei bagni termali già citati a
proposito dei modelli sperimentali di artrite cronica.
Spondiloartriti
Comprendono un gruppo di reumoartropatie infiammatorie croniche: la spondilite anchilosante, le artriti reattive, le artriti enteropatiche, la già citata artrite
psoriasica e le spondiloartriti indifferenziate. Numerosi trial clinici pubblicati nell’ultimo decennio hanno
dimostrato i benefici effetti della fangoterapia e della
balneoterapia in queste malattie. Lo studio più ampio
è stato effettuato su una casistica molto numerosa di
120 pazienti olandesi affetti da spondilite anchilosante, che hanno ricavato un notevole beneficio da
un ciclo di trattamenti termali, mantenendolo a lungo
termine, come dimostrato dalle valutazioni effettuate a
40 settimane di distanza 9. Uno studio recente condotto alle Terme Euganee ha dimostrato un miglioramento
clinico significativo, perdurante anche a distanza di
sei mesi da un ciclo di fanghi e bagni, in un gruppo di
pazienti affetti da una forma particolare di spondilite,
quella associata alle malattie infiammatorie croniche
dell’intestino (morbo di Crohn e colite ulcerosa), senza
che essi andassero incontro a riaccensioni della flogosi a livello intestinale o della colonna vertebrale 10.
In questi studi i parametri di valutazione considerati
erano l’entità del dolore alla colonna vertebrale, la
durata della rigidità mattutina e la mobilità dei diversi
segmenti del rachide. Venivano inoltre utilizzati questionari compilati dai pazienti, che consentivano una
valutazione dell’attività di malattia, delle capacità funzionali e della qualità della vita. I pazienti sottoposti
a trattamenti termali mantenevano invariata durante il
periodo di studio la terapia farmacologica in atto e
venivano confrontati con gruppi di pazienti di controllo trattati nello stesso arco di tempo solo con farmaci.
In effetti le linee guida dell’EULAR per la terapia della
spondilite anchilosante sottolineano che il trattamento
ottimale richiede una combinazione tra farmaci e terapie non farmacologiche; tra queste vengono menzionate le cure termali (Tab. I).
Altre indicazioni
Nell’artrite reumatoide la fango-balneoterapia risulta
poco indicata, soprattutto in tempi in cui i farmaci
“biologici” hanno profondamente migliorato la storia
naturale di questa che rimane la più severa reumoartropatia infiammatoria cronica. In effetti pochissimi
sono gli studi pubblicati sull’argomento.
Le artropatie da microcristalli non vanno trattate con
le applicazioni termali che prevedono l’utilizzo del calore, quando si manifestano in forma di artrite acuta
(attacco di gotta o di pseudogotta). Diverso potrebbe
essere l’atteggiamento terapeutico quando la condrocalcinosi si presenta sotto forma di artropatia cronica,
ma mancano trial clinici sugli effetti dei fanghi e dei
bagni termali in questa patologia. Per quanto concer-
Tabella I. Raccomandazioni dell’EULAR sul trattamento delle più frequenti malattie reumatiche.
Punzi L, et al. Consensus italiana sulle raccomandazioni dell’EULAR 2003 per il trattamento dell’artrosi del ginocchio. Reumatismo
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Reumatologia
pratica
60
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
La terapia termale nelle malattie reumatiche
settembre 2011 Numero 3
La riabilitazione termale nelle malattie
reumatiche
Gli ambienti termali offrono la possibilità di mettere in
atto in maniera ottimale metodiche riabilitative quali la
chinesiterapia, utilizzando le piscine di acqua a temperatura elevata e ricca di sali minerali. In tal modo
gli interventi riabilitativi vengono potenziati, consentendo di ottenere per il paziente un risultato superiore
a quello ricavato in altri ambienti.
La chinesiterapia tende a ovviare alle conseguenze
negative sull’apparato locomotore dell’assenza o della riduzione del movimento, dovute alla immobilizzazione a seguito di traumi oppure a manifestazioni antalgiche articolari o muscolari provocate dalle malattie
reumatiche croniche. La mancanza o la riduzione del
movimento comportano alterazioni qualitative e quantitative del tessuto muscolare e dei tessuti connettivi
articolari e periarticolari; determinano inoltre una graduale perdita dei corretti schemi motori e l’instaurarsi di meccanismi adattativi di compenso. Per questo
uno dei compiti fondamentali della chinesiterapia è
il ripristino del tono-trofismo muscolare e della coordinazione, nonché della mobilità articolare e della
estensibilità dei tessuti periarticolari. Ciò vale sia per
i reumatismi degenerativi che per quelli infiammatori,
sia per le articolazioni periferiche che per la colonna vertebrale 11. Ad esempio nell’artrite reumatoide
la chinesiterapia in acqua si è dimostrata capace di
ridurre il dolore e di ottenere una migliore capacità di
compiere movimenti, con conseguente miglioramento
nella esecuzione delle attività della vita quotidiana e
dei test che indagano la salute fisica e mentale dei
pazienti. Nella spondilite anchilosante la chinesiterapia ha lo scopo di prevenire o ritardare l’evoluzione
verso l’anchilosi, conservando la mobilità dei diversi
segmenti della colonna vertebrale, correggendo le
posture antalgiche e rafforzando la muscolatura ipo-
f. cozzi
trofica. Contribuisce inoltre a mantenere una buona
funzionalità respiratoria.
La chinesiterapia trova nella piscina termale il suo ambiente ottimale, grazie alle proprietà fisico-chimiche
dell’acqua. L’azione antigravitaria dovuta al principio
di Archimede determina un alleggerimento del corpo
immerso, che favorisce l’esecuzione dei movimenti anche in condizioni di ridotto tono-trofismo e di difficoltà
di carico. Altrettanto importante è l’effetto analgesico
del calore, che innalza la soglia di sensibilità al dolore e determina rilassamento muscolare. La ricchezza
in sali minerali dell’acqua termale comporta inoltre
il vantaggio di permettere l’esecuzione di movimenti
controllati contro resistenza. La chinesiterapia va naturalmente inserita in un programma riabilitativo globale, comprendente anche la rieducazione posturale.
Considerazioni conclusive
Già nel 1969 un illustre reumatologo italiano recentemente scomparso, il professor Claudio Cervini, affermava che “è la mancanza di un’ineccepibile documentazione dell’efficacia delle cure termali a render
perplessi, più che l’ignoranza del loro preciso modus
agendi”. Numerosi studi clinici condotti negli ultimi
anni hanno parzialmente ovviato a tale lacuna, fornendo dimostrazioni scientifiche sugli effetti benefici
di fanghi e bagni termali, ma molta strada rimane
ancora da percorrere.
Sono stati infatti condotti molti trial clinici nella fibromialgia, per cui questa patologia rimane un’indicazione primaria alla fango-balneoterapia. Numerosi studi
hanno dimostrato che i trattamenti termali costituiscono
il completamento ideale della terapia farmacologica
nel trattamento dei pazienti affetti da varie forme di
spondiloartrite, in quanto, nonostante l’introduzione
dei farmaci “biologici” abbia costituito una vera svolta
nella terapia di queste malattie, i fanghi e i bagni si
sono dimostrati capaci di potenziare la loro efficacia.
Paradossalmente invece l’osteoartrosi, nonostante sia
stata sempre inserita nell’elenco ministeriale delle patologie che possono trovare reale beneficio dalle cure
termali, necessita ancora di studi controllati, che consentano di inserire i fanghi e i bagni termali nelle linee
guida europee per il suo trattamento. Altrettanto carente è ancora la produzione scientifica sul trattamento
termale della psoriasi cutanea e dell’artrite psoriasica.
Va infine sottolineata l’importanza della chinesiterapia in piscina termale per la riabilitazione dei malati
reumatici affetti da patologie sia degenerative che infiammatorie.
Reumatologia
pratica
ne il potenziale effetto ipouricemizzante dei trattamenti termali, la terapia farmacologica che si avvale di
sostanze quali l’allopurinolo e il febuxostat lo ha ampiamente soppiantato.
Nelle connettivi sistemiche, l’ipotesi di trattare con i
mezzi termali l’artrite oppure la miosite che spesso
fanno parte del loro quadro clinico, cade di fronte
alla considerazione che spesso sono malattie caratterizzate da una intensa flogosi innescata da alterazioni del sistema immunitario, nonché da coinvolgimenti
viscerali che controindicano la prescrizione di fanghi
e di bagni termali.
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