Istituto Superiore Formazione Insegnanti di Yoga

Istituto Superiore
di Formazione Insegnanti Yoga
ISFIY di Milano
corso 2004/2008
Titolo della tesi
Praticare e vivere lo Yoga quale risposta alle
conseguenze derivanti dalle principali forme di stress
Candidato
Valerio Boni
Relatore
Susi Stefanini
- Indice -
Questa tesi è dedicata ad una bellissima
bimbetta
di nome Aurora
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“ Il più grande campo di battaglia
dell’universo
è la vostra mente.
Se scendete in questo campo di
battaglia,
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- Indice -
troverete il vostro guru da qualche
parte
tra le due armate schiere,
proprio al centro del campo di
battaglia.”
( Swami Veda Bharati – Il messaggio degli Yogi dell’Himalaya )
INDICE GENERALE
Pag. 3 – Indice
Pag. 4 - Introduzione
Pag. 6 - Yoga negli aspetti generali quale possibile soluzione alle condizioni stressogene
Pag. 10 - Significato adattivo ed evoluzionistico dello stress
Pag. 13 - La biologia dello stress
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Pag. 18 - Fasi dello stress e patologie correlate
Pag. 19 - Nota sulla depressione
Pag. 20 - Cognizione ed Emozioni secondo la Teoria Cognitiva
Pag. 22 - Filosofia dei Klesa (afflizioni) secondo Patanjali
Pag. 28 - I Guna
Pag. 29 - I nove ostacoli che determinano le distrazioni secondo Patanjali
Pag. 33 - Natura della mente e percorso Yoga
Pag. 39 - Yama e Nyama (una giusta condotta morale) come fondamento di evoluzione
yogica e rimozione dei presupposti alle condizioni stressogene
Pag. 42 - Pratica degli Asana e Pranayama nell’armonizzazione dei cinque strati sottili
dell'uomo
Pag. 60 - Astrazione dei sensi (pratyahara) e Yoga interno (samyama) nell'apprendimento
delle tecniche d’osservazione e controllo dei flussi mentali (citta-vrtti)
Pag. 66 - Il mantra OM
Pag. 70 - Il lavoro sulle tre Cupole
Pag. 75 - I rimedi contro lo stress
Pag. 89 - Ishvara-pranidhana (l’abbandono a Dio)
Pag. 92 - Ringraziamenti
Pag. 93 - Glossario
Pag. 94 - Indice immagini delle positure
Pag. 95 - Riferimenti Bibliografici
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- Introduzione -
INTRODUZIONE
Quando i Docenti dell’Istituto Superiore Formazione Insegnanti Yoga della Federazione
Italiana ci hanno proposto di scrivere una Tesi per il nostro Diploma, ho subito pensato
a quei momenti in cui avrei avuto bisogno di conoscere la disciplina Yoga per evitare di
subire passivamente per lunghi anni gli effetti nocivi dello stress. Mi riferisco a quel
periodo di grande impegno professionale e scolastico dove il mio lavoro era
sistematicamente giudicato. L’ansia da prestazione divenne allora ospite sgradita nella
mia vita e nei miei pensieri. C’era anche qualche piccolo sogno che mi sosteneva nelle
motivazioni, ma la mia mente era orientata al lavoro, alla scuola ed agli impegni
famigliari. Il mio bisogno di spiritualità era messo a tacere e l’esigenza del mio essere di
appagare i suoi naturali bisogni di quiete e riposo era obbligata al silenzio: in quei
lunghi anni io ero soltanto questo.
Avevo poca esperienza. Il mio recinto mentale mi impedì di intuire che il mio somatico
era dotato di una straordinaria ed inconsapevole memoria e che il tempo mi aspettava
pazientemente al varco con i suoi piccoli e grandi insulti sul corpo e nella mente. Ho
incontrato in quel periodo medici capaci o meno bravi ed ho fatto dei miei disturbi e del
mio quadro clinico generale motivo di competente e stancante intrattenimento con molte
persone. Assumevo farmaci nell'attesa di tempi migliori e ricevevo periodicamente
qualche rassicurazione sul mio stato di salute, ma trovavo pace soltanto nel sonno,
quando non era popolato da sogni sgraditi.
Completamente solo nella ricerca dell’origine dei miei problemi, ero anche senza
strumenti per poterli affrontare con distacco ed in modo strutturato. Avevo conosciuto
molti anni prima la pace e la serenità della mia mente libera e silenziosa, ma avevo
smarrito la strada del ritorno e tutto di me si trascinava stancamente in salita. Dovendo
esprimermi con un luogo comune, vivevo un’esistenza di mediocre profilo.
A distanza di anni dal periodo descritto, riconosco che il passaggio dallo stato di salute a
quello di non salute avvenne gradatamente, ma con piccoli segnali e con la subdola ed
incessante azione dello stress.
Fu mia la decisione di rinunciare ai farmaci e cercare la comprensione di ciò che mi
stava accadendo. Ho scommesso sul potere d’autoguarigione del mio corpo, mettendo
me stesso nelle mani dell’ignoto, percorrendo una strada sconosciuta.
Lao Tzu scrisse:
“ Lo spazio occupato da un passo è piccolo,
e così devi percorrere molto spazio per andare lontano;
Ciò che la mente conosce è poco,
e così c’è necessità dell’ignoto per ottenere la comprensione “.
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La posta in gioco era la qualità della mia vita e di chi ha sempre continuato ad amarmi
malgrado tutto. Ho letto in modo approfondito autorevoli testi sull’alimentazione ed ho
incontrato nell’approccio macrobiotico il Dottor Carlo Guglielmo. Ho chiesto il suo
aiuto per capire cosa mi stava succedendo e perchè nonostante tutto riuscivo a
sopravvivere. Volevo anche comprendere perchè ancora, e ribadisco nonostante tutto,
riuscivo a lavorare, a provare amore, a crescere un figlio con l’amorevole presenza di
mia moglie, a gestire le ingiurie del tempo su mia madre anziana e malata. Mi sono
posto la domanda se fosse più importante agire come se tutto dipendesse da me o
pregare come se tutto dipendesse da Dio.
Fu in quei momenti, e con l’aiuto del Dottor Guglielmo, che appresi quanto importante
fosse armonizzare gli opposti, ricreare l’equilibrio, muovere armonicamente le energie,
tornare ad apprezzare il silenzio, il contatto con la terra e col cibo che essa ci può dare.
Sono partito con ciò che meglio pensavo di conoscere, un passo dopo l’altro. Ho cercato
il contatto con la terra ed i sui effluvi, il profumo dell’erba appena tagliata e del fieno
raccolto con le mani e con le braccia. Ho potato le mie piante e vangato il mio orto a
primavera. Ho reimparato a ringraziare il Signore per i momenti di gioia concessi a me
ed alle persone che amavo.
Percorrendo questa nuova strada, ancora tutta in salita, incontrai il mio Insegnante e con
lui la prima educazione allo Yoga. E’ così che ho rivisto la luce della speranza che
disperavo di ritrovare. Ho esperito, con la Meditazione, lo spazio interiore di silenzio e
di pace dove potevo osservare da testimone lo scorrere incessante dei miei pensieri.
Oggi come allora credo che una mente silenziosa e leggera sia il traghetto migliore per
condurre un uomo verso l’armonia con se stesso e con ciò che lo circonda.
Nel mondo del lavoro ancora oggi non mi posso sottrarre allo stress, ma dopo questo
cammino ed in tutta onestà, credo di conoscere i miei limiti ed i miei aspetti migliori. Lo
Yoga mi permette di affrontare la vita nella piena consapevolezza che gioie e disagi sono
onde alterne. Esse esistono in unione con la più possente vibrazione da cui ha avuto
origine lo staordinario Universo che ci circonda e nel quale tutti noi siamo parte
essenziale.
“ Ognuno, dopo aver bevuto il latte e premuto i seni, gode di quella
matrice nella quale, quando fu gravida, è stato generato. Quella che era
madre diventa sposa, la sposa diventa madre, il padre diventa figlio e il
figlio di nuovo padre. Come i secchi legati ad una ruota idraulica, che
girano continuamente, così per il ciclo delle esistenze la creatura
esperimenta i vari mondi dopo essere passata attraverso ogni
condizione di vita “
( Yogatattva Upanishad 1,3-5 )
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- Yoga negli aspetti generali quale possibile soluzione alle condizioni stressogene -
YOGA NEGLI ASPETTI GENERALI QUALE POSSIBILE SOLUZIONE A
CONDIZIONI STRESSOGENE
Così com’è accaduto a me, accade anche in tante persone che nella normale gestione di
un evento stressogeno, di breve o media durata, il cortisolo, l’adrenalina e la
noradrenanila possono essere definiti come “ i cavalli da tiro “ in grado di fornire le
adeguate risposte di difesa contro l’elemento stressogeno. Ad esempio l’adrenalina
prodotta (l’ormone della fuga o della reazione di difesa) a fronte di un improvviso
pericolo, può essere di aiuto se viene scaricata in un tempo breve.
Se l’elemento stressogeno invece permane a lungo o ricorre con eccessiva frequenza, gli
effetti sull’organismo possono essere anche dannosi.
Il sistema maggiormente coinvolto è il neuro-ormonale. Esso è in grado di interagire col
sistema circolatorio, mentre l’intero organismo si predispone a favorire l’afflusso di
sangue verso alcuni organi e distretti corporei a svantaggio di altri definiti organo
bersaglio. E’ ragionevole pensare che se la perturbazione instaurata dura nel tempo, vi è
un rischio di compromissione funzionale.
Lo stress costituisce una reazione fisiologica adattiva indispensabile alla vita, ma se
si protrae per lunghi periodi, può minare l’equilibrio dell’individuo e le sue
capacità di adattarsi all’ambiente e causare patologie psico-somatiche e/o
modificazioni del comportamento.
E’ dimostrato ad esempio che alla presenza di stress prolungato, che porti ad emozioni
profonde, anche soggetti con famigliarità negativa ai disturbi gastrointestinali
manifestino somatizzazioni viscerali quali digestione difficile, diarrea o stipsi, colon
irritabile, dolori addominali, gastroduodeniti. Questi malesseri funzionali possono
sfociare, se l’effetto stressogeno continua ed il soggetto afflitto è privo dei mezzi e delle
autonomie necessarie a governare tali situazioni somatiche, nelle più importanti
patologie organiche quali: ulcere gastriche e duodenali ovvero colite ulcerosa. Esse
costituiscono un quadro clinico importante che degrada la qualità di vita delle persone
coinvolte e necessita di interventi sanitari e clinici adeguati.
Quanto affermato vuole essere un anticipo di ciò che tratterò successivamente ed in
modo più particolareggiato. Ciò spiega come la comparsa di una o più situazioni
stressanti, con particolari caratteristiche d’intensità e durata, possano condurre un buon
numero di persone in situazioni psicofisiche al di fuori della “ confort-zone “ personale.
Quest’ultima è ciò che assicura la qualità di vita e l’equilibrio che ogni essere umano
consapevole aspira a mantenere.
Detto questo, e per rendere giustizia alla verità, è doveroso sottolineare che tutto ciò che
non funziona nella salute dell’uomo non può essere attribuibile allo stress.
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Non possiamo avere il potere di salvaguardare il nostro corpo da ogni malattia,
dominando lo stress e le sue conseguenze o alimentando il pensiero positivo e vivendo
nell’amore.
Tuttavia le numerosissime esperienze raggiunte in particolari pratiche Yoga, che
possiamo definire eccellentemente psicosomatiche e somatopsichiche, intervengono in
modo preventivo e personalizzato sugli effetti negativi scatenati dalle forme di stress che
tratterò in questa Tesi.
Lo Yoga permette di interagire direttamente o indirettamente col microcosmo interiore
dell’uomo che entra in sofferenza, quando per lungo tempo dimorano le sensazioni di
pericolo derivanti dagli eventi interni ovvero esterni che le hanno generate.
Il controllo ipofisario è un esempio di tecnica yogica contro lo stress. Si raggiunge con
la tecnica di Ajna Chakra o fissazione, sul piano mentale, dello sguardo tra le
soppraciglia.
Lo Yoga ci conduce a comprendere che non si possono controllare tutti gli eventi ne
tantomeno le persone. C’insegna però che possiamo ritornare alla nostra Supercoscienza,
per intuire che non siamo soltanto il nostro corpo o quello che pensiamo.
E così anche la pratica ci porterà a meditare su alcune frasi del saggio Ashtavakra al
discepolo Janaka, tradotte dalla Ashtavakra Samhita, un testo classico della Advaita
Vedanta del V-IV secolo a.C:
I,4 - Se non credi di essere il corpo
E riposi nella coscienza
Sei immediatamente felice
Pacifico e libero da ogni schiavitù
I,5 - Tu non appartieni a nessuna casta
Tu non sei percepibile dai sensi
Sei il testimone di tutto
Senza forma e attaccamento, sii felice
I,6 - Virtù e vizio, piacere e dolore
Appartengono alla mente e non a Te, oh Onnipresente!
Non sei tu ad agire e a fruire dell’azione
In verità sei sempre libero
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- Yoga negli aspetti generali quale possibile soluzione alle condizioni stressogene -
La ricerca della strada che porta a guarire le conseguenze dello stress, condurrà ogni
allievo a perfezionare le prime tecniche di controllo col proprio Insegnante. La
sensazione di poter meglio gestire i propri disagi interiori, governando all’occorrenza il
proprio flusso mentale, potrà motivare l’allievo a compiere ulteriori e più sottili
esperienze nelle pratiche di isolamento dai sensi, concentrazione e meditazione.
Yoga è una delle sei Scuole di Pensiero filosofico-religioso Hindù dell’India antica.
Deriva dal Sanscrito yuj, che significa congiungere, aggiogare la personalità istintuale
della natura umana per orientarla verso stati di coscienza elevati e di forte connotazione
spirituale.
“ Yogas citta-vrtti-nirodhah “ - Lo Yoga è la soppressione delle modificazioni della
mente, secondo la corrente di pensiero di Patanjali, che si ipotizza essere vissuto nel
periodo tra il 600 a.C. e il 300 a.C.
E’ la disciplina che può condurre allo stato mentale di trascendenza, dove un praticante
diligente e devoto si propone di incontrare e conoscere il proprio Sè.
Secondo le interpretazioni più elevate di questa corrente Filosofica indiana ortodossa,
tutto lo sforzo necessario per giungere allo stato di Supercoscienza o Samadhi che
ricongiunge l’anima umana o jivatma con la realtà divina o paramatma, s’identificano
appunto col termine Yoga.
Attualmente sono distinguibili diversi tipi di Yoga classico che conducono a pratiche ed
esperienze che in termini occidentali potremmo definire col termine “specializzate”:
- Bhakti Yoga ( lo yoga della devozione )
- Ha-tha Yoga ( sole-luna - Lo yoga sul corpo fisico-psichico)
- Jnana Yoga ( lo yoga della conoscenza )
- Karma Yoga ( lo yoga dell’azione )
- Dhyana Yoga ( lo yoga della meditazione )
- Mantra Yoga ( lo yoga delle fomule recitate o mantra )
- Raja Yoga ( lo yoga reale ) conosciuto anche come Ashtanga Yoga
- Nada Yoga ( lo yoga del suono )
Sarà attraverso la pratica di queste tecniche che, prima nel corpo e poi nella mente, ogni
praticante diligente esperirà sensazioni d’armonia e di silenzio interiore che anticipano la
gioiosa consapevolezza di interdipendenza ed unità con l’Universo che ci ospita.
Accadrà così che le stesse situazioni stressanti troveranno accoglienza in una mente
calma e silenziosa, ormai in grado di qualificare ogni evento e situazione con equanime
discernimento.
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I motivi, che porteranno le persone afflitte dallo stress a migliorare il proprio stato,
saranno, nella fase iniziale, l’amore per se stessi (che nulla ha a che vedere con
l’egocentrismo) e la derivante lucida volontà di riuscire a migliorare il proprio stato
psico-fisico.
Un ulteriore importante progresso porterà il praticante ad eseguire su se stesso un
costante, disciplinato e motivante lavoro di crescita, abbandonando qui ogni
attaccamento ai risultati.
“ Ti compete soltanto l’agire ma mai i suoi frutti
non sia il frutto dell’azione motivo del tuo agire
nè sorga in te adesione al non agire.
Ben saldo nello Yoga compi le tue azioni
lasciando da parte ogni attaccamento
rimanendo equanime nel successo e nell’insuccesso.
Lo yoga è equanimità
( Bhagavadgita – Canto II, 47 )
Ma chi soprattutto, attraverso le esperienze della disciplina, percepirà conferme di
crescita della propria Spiritualità, potrà realizzare che il corpo e la mente sono il tempio
della Supercoscienza che vive da sempre in noi, in unione con l’Eterno che governa
ogni cosa.
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- Significato adattivo ed evoluzionistico dello stress -
SIGNIFICATO ADATTIVO ED EVOLUZIONISTICO DELLO STRESS
Lo stress può essere considerato come una condizione in cui si verifica un turbamento
dell’omeostasi dell’organismo, cioè del suo equilibrio naturale, a seguito di uno stimolo,
o fattore, che può essere interno o esterno.
Per meglio comprendere l’importanza dell’omeostasi negli esseri viventi, occorre
sottolineare che una condizione statica ed immutabile non può essere compatibile con la
sopravvivenza e che la capacità di modificarsi in continuazione è necessariamente
intrinseca a tutte le cose.
Per condurre un’esistenza libera ed indipendente, un organismo vivente deve dunque
necessariamente possedere quei meccanismi che possono garantirgli l’integrità
biologica, a fronte dell’inevitabile succedersi dei cambiamenti esterni ed interni ad esso.
La visione moderna del concetto di stress è oggi rappresentata come il punto di arrivo di
precedenti studi, iniziati già a partire dall’inizio del secolo scorso.
Il fisiologo W. Cannon condusse ad esempio, nel periodo verso la fine degli anni ‘20,
una serie di studi sulla risposta agli stimoli emozionali, come la rabbia e la paura. Questi
avviarono successive ricerche, interessate a scoprire le eventuali manifestazioni
somatiche e comportamentali, correlate alle sollecitazioni emotive in condizioni di
pericolo.
Si scoprirono così importanti differenze di comportamento, come reazione ai diversi
stimoli emozionali, che erano sempre finalizzate al mantenimento dell’integrità fisica dei
soggetti sottoposti all’evento stressogeno.
Negli anni ’30 Hans Selye, definì come stressanti “quegli stimoli capaci di aumentare la
secrezione dell’ormone adrenocorticotropo (ACTH)”, che evidenziavano anche
morfologicamente, come si è scoperto, l’aumento delle dimensioni corticali delle
ghiandole surrenali.
Egli descrisse una sindrome causata dall’esposizione protratta a vari tipi di agenti nocivi,
caratterizzata appunto da “ipertrofia della corticale del surrene, ipertrofia timo-linfatica e
ulcere emorragiche a livello gastrico”.
Questo fenomeno, Selye lo interpretò come una risposta sistemica dell’organismo,
indicandolo come “sindrome di adattamento generale”
Altri studi hanno successivamente dimostrato che alla maggior parte degli eventi
stressogeni, chiamati stressors, corrisponde una risposta “multidimensionale” e quindi
più complessa, che comprende anche l’attivazione di altre funzioni neuroendocrine.
La risposta specifica e personalizzata ad un evento stressogeno, scaturisce dunque da
tutte le componenti di risposta dell’organismo ad una particolare e prolungata
sollecitazione stressogena.
Attualmente, una corretta definizione del termine stress, si può sinteticamente descrivere
come risposta integrata dell’organismo a modificazioni operate su di esso.
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Per far fronte agli stressors, l’organismo deve necessariamente mantenere entro certi
limiti i propri parametri vitali con risposte diverse; queste non rappresentano
necessariamente qualcosa di nocivo, in quanto possono risultare funzionali alla
sopravvivenza di tutte le specie animali e l’assenza dei meccanismi di risposta allo stress
diverrebbe incompatibile con la vita stessa.
Nel linguaggio scientifico si distinguono l’eustress dal distress.
Il primo è una risposta fisiologica, ovvero esclusivamente adattiva, cioè funzionale alla
sopravvivenza dell’individuo.
Il secondo indica una condizione di “discrepanza” tra lo stimolo e la risposta, quando
cioè le richieste ambientali vanno oltre le reali capacità di fronteggiamento
dell’individuo, esaurendo l’organismo e determinando una maggiore vulnerabilità allo
sviluppo delle malattie.
Stress e omeostasi sono dunque concetti strettamente legati tra loro: il primo minaccia la
seconda; quest’ultima fa sì che i parametri vitali fisiologici rimangano entro un
intervallo tale da consentire la sopravvivenza dell’individuo.
Il tipo di risposta che segue ad uno stimolo viene determinato da tre elementi: il tipo di
stressor, l’organismo sul quale lo stressor agisce e l’ambiente in cui interagiscono i
primi due elementi.
1) Lo stressor va considerato nella sua particolare natura, per le caratteristiche di
intensità, frequenza, durata di azione, grado di novità per l’individuo,
prevedibilità ed evitabilità.
Vi sono ad esempio: a) stress fisici come esposizione al freddo, mancanza di cibo
e di sonno, shock elettrico, sfinimento, luce intensa, livello di suono elevati; b)
stress metabolici, come la riduzione dei livelli glicemici; c) stress psicologici,
come una prova d’esame o un calcolo matematico; d) stress psico-sociali, come
per esempio una separazione o la morte di un congiunto.
Ognuno di questi stressors, pur inducendo una generale attivazione dei
meccanismi di risposta, è caratterizzato da una preferenziale attivazione di uno o
più sistemi.
Ad esempio, l’ipoglicemia insulinica attiva in particolar modo la midollare del
surrene, stimolando la produzione di catecolamine come l’adrenalina, la
noradrenalina e la dopamina (che agiscono da neurotrasmettitori nel sistema
nervoso centrale e da ormoni nella circolazione sanguigna), causando un
aumento del battito cardiaco, della pressione cardiaca, dei livelli di glucosio nel
sangue e una reazione generale del sistema nervoso simpatico.
L’intensità, la durata e la frequenza dello stimolo, hanno anch’essi grande
influenza sull’entità della risposta: stressors troppo potenti, frequenti e
prolungati, sono in grado di superare le possibilità di resistenza dell’organismo,
creando distress e originando nel tempo un processo patologico.
Al grado di novità, di prevedibilità e di evitabilità dello stressor, viene assegnato
oggi un ruolo fondamentale nel determinare l’entità della risposta.
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- Significato adattivo ed evoluzionistico dello stress -
Uno stimolo mai fronteggiato in precedenza e/o imprevedibile e/o inevitabile,
induce infatti nel soggetto una risposta (in termini per esempio di ansia o di
rilascio di cortisolo) più ampia di quella indotta da uno stimolo conosciuto o
evitabile.
2) L’individuo influenza e produce invece le risposte di stress con caratteristiche
che sono il risultato del patrimonio genetico di se stesso e di tutte le
modificazioni psicologiche derivanti dall’esposizione, in periodi critici per lo
sviluppo della personalità, a stressors di varia natura. In pratica intervengono in
questa caratterizzazione non solo il sesso e l’età dell’individuo, ma tutte le
attività dei sistemi neuroendocrino, neurovegetativo ed immunitario insieme al
profilo della personalità.
Possiamo dunque affermare, per quanto sopra esposto, che le risposte di stress
sono diverse da soggetto a soggetto, anche se le teorie recenti descrivono
fondamentalmente due modelli di risposta generale degli individui sottoposti a
stress: una attiva e la seconda passiva, che si ricollegano ai meccanismi istintivi
di lotta ovvero di fuga a cui faveva riferimento W. Cannon, nei sui studi condotti
alla fine degli anni ’20.
Gli studi sino ad oggi condotti trovano unanime conferma che gli individui attivi
mostrano in genere una reattività maggiore rispetto ai passivi, con una
predominante attivazione del sistema nervoso simpatico rispetto al parasimpatico
e più elevati livelli di: pressione arteriosa, frequenza cardiaca ed alcuni ormoni
(come le catecolamine, la prolattina, l’ATCH ed il cortisolo) durante la fase di
stress.
3) L’ambiente, quale sorgente degli stimoli stressogeni (sia esso interno o esterno),
costituisce infine la terza componente della risposta di stress.
Quello esterno, in particolare, può introdurre caratteristiche fisiche come la
temperatura, il rumore e l’illuminazione, ma soprattutto tutti gli aspetti legati alla
interazione sociale nei quali il soggetto è coinvolto.
Analizzando con discriminazione questi tre elementi e le modificazioni dei parametri
biochimici, fisici e comportamentali nei soggetti sottoposti a stress, possiamo valutare se
le risposte fornite dall’organismo hanno assunto caratteristiche di normalità o di
patologia.
“ Dal punto di vista comportamentale, la risposta di stress implica l’aumento della
vigilanza, accompagnato nell’uomo dall’aumento dell’ansia e della
preoccupazione che possono interagire con la risposta prettamente fisiologica
allo stress, aggravandola “
( McEwen, 2000 )
Concludendo, l’individualità gioca un ruolo fondamentale nella risposta di stress in
quanto fattori puramente biologici (o appresi dalle esperienze precedenti), possono
modificare radicalmente il tipo di risposta fornita dall’organismo.
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LA BIOLOGIA DELLO STRESS
Secondo gli studi più recenti, i sistemi che vengono coinvolti dalla risposta di stress (sul
piano fisico e del comportamento) sono quello neuroendocrino, quello neurovegetativo e
quello immunitario. La ricerca ha infatti evidenziato che questi sistemi agiscono in
stretta interdipendenza e sono legati fra loro attraverso il controllo del Sistema Nervoso
Centrale (SNC).
Il sistema neuroendocrino garantisce la risposta di stress attraverso l’asse IpotalamoIpofisi-Surrene (HPA); il ruolo centrale che esso svolge nella risposta di stress è legato
all’attivazione di quei processi omeostatici che controllano il metabolismo e la pressione
arteriosa. Essi risultano pertanto essenziali in condizioni di minaccia.
In condizioni di normalità (di non-stress), l’attività dell’asse HPA è caratterizzato da
oscillazioni periodiche che seguono un ritmo biologico giornaliero chiamato anche
circadiano.
In condizioni di stress, si verifica un’ulteriore attivazione del sistema che comincia con
il riconoscimento dello stimolo (fisico, psicosociale o metabolico) nel SNC.
L’interpretazione dello stimolo viene tradotto, a livello di una zona dell’ipotalamo
chiamata medio-basale, in un rilascio neurochimico specifico (Corticotrophing
Releasing Hormon - CRH) che induce la secrezione dell’ormone adrenocorticotropo
(ACTH) dall’ipofisi, la quale stimola a sua volta la produzione di Cortisolo nella sezione
corticale delle ghiandole surrenali.
L’ipotalamo è una formazione di cellule della sostanza grigia, situata nel centro della
base cranica.
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- La biologia dello stress -
Ha connessioni con la corteccia celebrale, i centri del telencefalo, il talamo, l’epitalamo,
il mesencefalo ed il bulbo, dai quali arrivano (o ai quali vanno) impulsi sensoriali vari e
fibre nervose efferenti. Per queste ragioni è considerato il “cervello del cervello”. Esso
assolve a funzione termoregolatrice, centro della fame, sazietà e della sete, regolazione
della diuresi e della pressione ematica e collega il sistema nervoso centrale (SNC) con il
sistema endocrino, sintetizzando e rilasciando ormoni verso l’ipofisi.
Il piu’ importante fra questi segnali è un ormone definito come CRH (Corticotrophin
Releasing Hormone), localizzato in modo diffuso nel Sistema Nervoso Centrale (SNC),
ma in particolare nei neuroni di una porzione specifica dell’ipotalamo chiamata PVN
(porzione parvocellulare del nucleo paraventricolare). Da questo e attraverso i
prolungamenti neuronali il CRH viene rilasciato nel circolo portale ipofisario.
Il CRH (Corticotrophin Releasing Hormone ) viene qui considerato l’organizzatore
esecutivo della risposta di stress.
Altre cellule contenenti CRH, si trovano anche in altre zone dell’ipotalamo da dove
proiettano ad altre areee. Il rilascio di CRH è anche influenzato da diversi tipi di
neuropeptidi con effetti stimolatori o eccitatori.
I neuropeptidi sono sostanze chimiche prodotte e rilasciate da cellule cerebrali o di altro
tipo. Recenti studi ipotizzano che i neuropeptidi permetteranno in futuro, agli studiosi,
come meglio comprendere la chimica delle emozioni del corpo. Sono stati identificati da
50 a 60 neuropeptidi. Dal DNA si sviluppano i loro relativi recettori, composti dalla
stessa sostanza ma di maggiori dimensioni, che sono distribuiti in molti distretti
corporei.
E’ interessante notare che l’ipotalamo e l’amigdala (che sono considerati entrambi come
gli elementi fondamentali del sistema limbico), possiedono una quantità di recettori
molto superiori alle altre regioni del cervello. Oggi sappiamo che il cervello riesce a
trasmettere informazioni in modo molto efficace, ma non solo per lo specializzato
utilizzo delle cellule nervose, bensì grazie alla specificità dei recettori dei neuropeptidi
che possono agire anche a “grande” distanza.
Anche l’amigdala dunque è coinvolta nell’interpretazione dello stimolo e nella
conseguente risposta dell’organismo.
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Questo nucleo di sostanza grigia è la parte del cervello che controlla le emozioni e la
memoria emotiva. Regola gli istinti necessari per la soppravvivenza. Ha la capacità di
contenere un sistema di comparazione dello stimolo ricevuto con le esperienze passate.
Senza l’amigdala dunque, tutte le informazioni provenienti dall’esterno avrebbero la
stessa importanza.
La sezione PVN (porzione parvocellulare del nucleo paraventricolare) dell’ipotalamo è
dunque un centro complesso di vie nervose afferenti ed efferenti, che dirigono
informazioni e promuovono l’attivazione di altre strutture dell’encefalo in corso di
stress.
L’ipofisi, o ghiandola pituitaria, (vedere anche la figura a pag. 15) è una piccola
ghiandola endocrina ( 1gr. circa) situata alla base del cranio. É formata da due lobi che
presiedono a funzionalità diverse, controllando attraverso la secrezione di numerosi
ormoni, l’attività endocrina e metabolica di tutto l’organismo.
Il lobo anteriore è denominato adenoipofisi, il lato posteriore neuroipofisi.
Figura 3A – Pagina 11
Figura 3B – Pagina 11
Questa ghiandola comunica con l’ipotalamo attraverso due connessioni: una vascolare
ed una seconda nervosa.
L’ormone ACTH (adrenocorticotropo) prodotto dalla adenoipofisi, attiva la secrezione
ormonale della corteccia surrenale che produce il cortisolo.
Enfatizzo che mentre il CRH agisce, in fase di stress, sulla secrezione di ACTH,
quest’ultimo stimola il rilascio di cortisolo.
Il cortisolo è indispensabile alla sopravvivenza, nei casi di stress psico-fisico severo. La
sua principale funzione è quella di indurre un aumento della glicemia, contrastare le
infiammazioni e quindi svolgere un’azione anti-immunitaria. I suoi livelli nel circolo
ematico aumentano con esercizi fisici molto intensi, reazioni di attacco o fuga, digiuni
prolungati ed interventi chirurgici. Inibisce le funzioni corporee non necessarie per
periodi brevi, per garantire la massima funzionalità ad alcuni organi vitali.
Un’eccessiva produzione di cortisolo, se non viene limitato da meccanismi di feedback negativo, può rivelarsi a lungo termine controproducente, favorendo così
l’insorgenza di patologie.
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- La biologia dello stress -
In condizione di stress, inoltre, vengono prodotte endorfine ed encefalite che alleviano
la percezione del dolore, viene inibita la digestione; all’interno delle arterie più
importanti la pressione aumenta, il cuore batte più in fretta e se lo stress diviene cronico
si osserva una rapida usura delle condizioni psico-somatiche e/o modificazioni del
comportamento.
Gli organismi vecchi, non solo hanno problemi di disattivazione della risposta allo stress
dopo il termine dello stimolo che lo ha generato, ma secernono quantità superiori di
ormoni legati allo stress anche nei periodi normali non stressanti. I livelli di adrenalina e
noradrenalina a riposo, infatti, aumentano con l’età sia nei ratti che negli esseri umani. I
gerontologi contemporanei considerano anziane le persone oltre i 70 anni, e gli studi più
recenti hanno dimostrato che in quest’ultimo gruppo di età vi è, a riposo, un aumento dei
glucocorticoidi.
17
IPOFISI
(costituita da Neuro e AdenoIpofisi):
NEUROIPOFISI:
- ADH (antidiuretic hormone – vasopressina)
- OXITOCINA (contrazione muscolatura
dell’utero e dotti lattiferi)
ADENOIPOFISI:
- ACTH (ormone corticotropo)
- FSH (ormone follicolo-stimolante)
- LH (ormone gonadotropina luteinizzante)
- TSH (ormone tireotropo)
- MSH (melanocyte-stimulating hormone)
- GH (ormone somatotropo)
- PRL (prolattina)
IPOFISI e IPOTALAMO sono situati al centro della base
cranica, dietro il chiasma ottico. L’IPOTALAMO è una
parte del diencefalo ed è in rapporto con il compartimento
inferiore del 3° ventricolo. L’IPOFISI è vicina al seno
sfenoidale. 1) EPIFISI; 2) IPOTALAMO; 3) Lobo posteriore
del’ipofisi; 4) Lobo anteriore dell’ipofisi; 5) seno sfenoidale; 6) Peduncolo ipofisario; 7) Chiasma ottico; 8) 3° ventricolo.
Nel lobo posteriore dell’ipofisi gli assoni delle cellule
secernenti dell’ipotalamo immettono neurormoni
direttamente nel sangue. D’altra parte, l’ipotalamo libera
altri ormoni in un sistema portale in corrispondenza del
peduncolo ipofisario. Tali ormoni raggiungono
direttamente le cellule bersaglio nel lobo anteriore della
ipofisi e lo inducono a loro volta a secernere ormoni:
1-Produzione ormoni di rilascio; 2-Produzione di neuroormoni; 3-Ipotalamo; 4-Peduncolo ipofisario;
5-Terminazioni nervose; 6-Arteria; 7-Lobo posteriore
8-Capillari; 9-Vena; 10- Lobo anteriore; 11-Sinusoidi;
12- Cellule secernenti ormoni; 13-Terminazioni fibre
nervose neuroematiche.
Rappresentazione schematica delle differenze del controllo
Ipotalamico sull’Adenoipofisi e sulla Neuroipofisi, RH, ormoni
che stimolano il rilascio degli ormoni dell’adenoipofisi; RIH,
ormoni che inibiscono il rilascio degli ormoni adenoipofisari.
18
- Fasi dello stress e patologie correlate -
FASI DELLO STRESS E PATOLOGIE CORRELATE
Lo STRESS agisce nel nostro organismo in una progressione che determina tre stadi:
-
La REAZIONE D’ALLARME
Lo STADIO DI RESISTENZA O DI ADATTAMENTO
Lo STADIO DI ESAURIMENTO
Le modalità con cui può alterare l’assetto di organi e sistemi sono:
-
Interagendo con altri fattori di rischio ed aumentando le probabilità di insorgenza
della malattia somatica.
Scatenando o precipitando un episodio acuto.
Peggiorando il decorso della malattia o la risposta ai trattamenti.
Elenco delle Patologie e delle Condizioni correlate alla SINDROME STRESSOGENA:
APPARATO CARDIOVASCOLARE:
Patologia coronarica
Ipertensione - Ictus
Alterazioni del ritmo cardiaco
MUSCOLI:
Mal di testa – Mal di schiena
APPARATO RESPIRATORIO:
Asma – Febbre da fieno
SISTEMA IMMUNITARIO:
Deficienza immunitaria
APPARATO DIGERENTE:
Ulcera – Intestino irritabile
Diarrea - Nausea e Vomito
Colite ulcerativa
APPARATO GENITALE-URINARIO: Problemi di diuresi – Impotenza – Frigidità
APPARATO TEGUMENTARIO:
Eczema – Neurodermatite – Acne
SISTEMA SCHELETRICO:
Diminuisce la sintesi della matrice ossea, accelerando
l’osteoporosi
APPARATO ENDOCRINO:
Diabete mellito – Amenorrea
Stanchezza e letargia
SISTEMA NERVOSO CENTRALE:
Eccessiva assunzione di cibo – Insonnia e Depressione
19
NOTA SULLA DEPRESSIONE
I terapisti cognitivisti della University of Pennsylvania come Aaron Beck, ritengono che
la depressione non sia un problema emozionale, bensì un disturbo del pensiero, dove i
soggetti vedono il mondo e le loro situazioni personali in modo distorto, con
atteggiamento marcatamente negativo.
Una delle più comuni caratteristiche di questo stato è il ritardo psicomotorio,
evidenziato da lentezza nei movimenti e nella comunicazione verbale. Qualsiasi cosa si
compia, richiede al soggetto un grande sforzo mentale e fisico.
Usando una espressione semplice, si può anche affermare che la depressione si può
manifestare quando la corteccia cerebrale crea un pensiero astratto negativo e convince
il cervello che si tratta invece di un fatto reale quanto può esserlo uno stress fisico. In
questa prospettiva, nei depressi, la corteccia comunica abitualmente situazioni tristi al
resto del cervello. Partendo dunque da questa ipotesi, si potrebbe affermare che
interrompere quel tipo di connessioni sinapsiche da quella parte della corteccia, il resto
del cervello potrebbe interrompere la condizione di depressione.
Molte persone affette da quella che viene definita depressione maggiore, presentano
anomalie come perdita di interesse per il sesso, alterazioni del ciclo veglia-sonno,
diminuzione dell’appetito ascrivibili nei cosidetti “sintomi vegetativi“. Il paziente
depresso presenta livelli elevati di glucocorticoidi come se fosse un animale inseguito da
un predatore. Nella sua realtà il depresso combatte una battaglia mentale impari, dove
viene avvertita insistentemente la sensazione di un grande pericolo incombente, con
perdite motivazionali molto forti a vivere il presente.
Il depresso tende a rinunciare persino a fare le cose più semplici che potrebbero
migliorargli la vita.
Vi sono inoltre in questi soggetti delle evidenze di chimica cerebrale anomala rispetto a
persone che non presentano tale disturbo. Molti ricercatori ritengono che i problemi
neurochimici nella depressione coinvolgano sia la noradrenalina che la serotonina.
Robert M. Sapolsky sostiene che esistono tuttavia soggetti che cadono in profonda
depressione ciclicamente (ad esempio durante la stagione invernale), e sostiene che:
“Indipendentemente dagli eventi esterni della vita, c’è un orologio biologico che ha
qualcosa a che fare con l’umore e il cui tichettio ha qualcosa che non và”.
20
- Cognizione ed emozioni secondo la teoria cognitiva -
COGNIZIONE ED EMOZIONI SECONDO LA TEORIA COGNITIVA
Lo stress sperimentato nella vita quotidiana, quindi l’esperienza intima degli individui,
è un fenomeno che dipende da diversi fattori. La psicologia cognitiva parla di “diatesistress” proprio per indicare come l’instaurarsi di un disturbo psichico come ad esempio
un disturbo d’ansia o una depressione, dipenda non solo da un evento scatenante
(stressor) ma anche da una predisposizione dell’individuo (diatesi).
Per chiarire quanto pesi la personalità dell’individuo nell’interpretazione degli eventi, è
necessario far riferimento ad alcuni aspetti teorici del pensiero cognitivo, espressi in
sintesi nei seguenti punti citati nel libro di Clark/Beck/Alford - Teorie e Terapie Cognitive
della Depressione :
- La capacità di elaborare informazioni e di costruire rappresentazioni cognitive
dell’ambiente è essenziale per l’adattamento e la sopravvivenza degli esseri umani.
- Il processo di elaborazione delle informazioni da parte degli esseri umani avviene a
vari livelli di coscienza al fine di migliorare la propria efficienza e adattabilità.
- Una delle principali funzioni del processo di elaborazione delle informazioni è la
costruzione personale della realtà.
- Il processo di elaborazione delle informazioni funge da principio guida per le
componenti emozionali, comportamentali e fisiologiche dell’esperienza umana.
- Il funzionamento cognitivo consiste in una continua interazione tra processi di
ordine inferiore guidati dagli stimoli, e processi semantici di ordine superiore.
(quest’ultimo è un processo inferenziale, comprende attività di selezione, elaborazione
e trasformazione dell’esperienza da parte delle strutture cognitive superiori).
- Le costruzioni cognitive sono, nella migliore delle ipotesi, una rappresentazione
approssimativa dell’esperienza.
- Le strutture per l’attribuzione di significato (schemi) si sviluppano attraverso ripetute
interazioni tra ambiente e schemi elementari innati.
- L’organizzazione della rappresentazione di significato è caratterizzata da differenti
livelli di concettualizzazione. I concetti più ampi e generali includono unità strutturali
inferiori e più specifiche.
- Le strutture di costruzione di significato incluse nel sistema di elaborazione delle
informazioni sono caratterizzate da soglie di attivazione diverse.
- Nel sistema di elaborazione delle informazioni sono rappresentati due orientamenti: il
primo mirato agli obiettivi primari dell’organismo ed il secondo ad obiettivi
costruttivi secondari.
- I disturbi psicologici sono caratterizzati da un’attivazione eccessiva e/o deficitaria di
specifiche strutture di attribuzione di significato del sistema di elaborazione delle
informazioni.
- La modificazione delle strutture di attribuzione di significato è essenziale per il
processo di cambiamento degli esseri umani.
21
L’idea centrale che emerge dalla teoria cognitiva è come gli eventi “reali” vengano
interpretati dall’individuo e visti “soggettivamente”.
La lettura che gli individui danno agli eventi è quindi centrale nella gestione delle
proprie emozioni.
Ogni emozione rappresenta un messaggio ben preciso costruito nel tempo dall’individuo
parallelamente ai propri “schemi mentali” e coerente con tematiche specifiche.
Le emozioni dell’ansia o della paura derivano infatti dal senso di minaccia percepito
dall’individuo (ad esempio: “mia moglie potrebbe morire e io senza di lei non potrei
farcela...”).
L’emozione della depressione è legata ad una perdita che è già avvenuta o che è certa
(ad esempio: “sono stato licenziato, non valgo nulla, non c’è rimedio...”).
La rabbia è legata alla convinzione che il soggetto sia vittima di un’ingiustizia (ad
esempio: “non avrebbero dovuto farmi ciò...”, “non è giusto che io sia malato e gli altri
no...”).
La colpa è legata alla percezione di aver commesso qualcosa di ingiusto o in alcuni casi
di essere beneficiari di una situazione ingiusta (come nel caso del senso di colpa del
“sopravvissuto” ad un disastro aereo).
La felicità è infine legata alla percezione di un guadagno, inteso in senso lato,
economico, affettivo, eccetera (ad esempio: “sono felice perchè mi hanno assunto in
un’azienda nella quale speravo tanto di riuscire ad entrare...”).
I precedenti esempi trattano solo le emozioni primarie per spiegare come anche queste
risentano dell’interpretazione anche a livello sub-cosciente dell’individuo.
Le emozioni secondarie, come ad esempio la vergogna, sono influenzate anch’esse dagli
schemi e dalle tematiche della persona che le prova.
Quello che emerge è quindi come le persone costruiscano una propria
rappresentazione del mondo che percepiscono intorno a loro, e in base a questa
provino le proprie emozioni; questo spiega perchè soggetti con stili di vita analoghi,
possano provare emozioni tanto diverse tra loro e diversificare così la propria
risposta a stimoli che presentano identiche caratteristiche.
22
- Filosofia dei klesa ( afflizioni ) secondo Patanjali -
FILOSOFIA DEI KLESA (AFFLIZIONI) SECONDO PATANJALI
Nella molteplicità delle manifestazioni stressogene, delle loro possibili conseguenze e
soluzioni, la disciplina dello Yoga della tradizione offre un ampio spettro di approfondite
considerazioni. Partendo da un’analisi delle afflizioni che da sempre limitano lo sviluppo
spirituale dell’uomo, esse portano a sottili intuizioni su quelli che potremo considerare
importanti presupposti psicologici. Sono anche questi che creano le condizioni
caratteriali dei singoli individui ai sintomi stressogeni e alle loro conseguenze.
“ Semina un pensiero e raccoglierai un’azione,
semina un’azione e raccoglierai un’abitudine,
semina un’abitudine e raccoglierai un carattere
semina un carattere e raccoglierai un destino “
( Charles Reade - XIX Secolo )
Se prendiamo in esame le problematiche che un individuo normalmente affronta nel
corso dell’esistenza contemporanea, troveremo conferme che l’uomo vive oggi, per sua
natura mentale, situazioni di errata interpretazione delle proprie esperienze. Questo
malinteso era già ampiamente descritto su testi antichi, tramandati dalle principali
culture filosofico-religiose. Di questi conserviamo fortunatamente documenti, traduzioni
ed interpretazioni.
Lo Yogasutra di Patanjali è, insieme alla Bhagavad Gita, alle Upanishad e all’Hatha
Yoga Pradipika, uno dei testi fondamentali dello Yoga che sviluppano questo argomento
in modo magistralmente profondo.
Patanjali è ritenuto uno dei massimi interpreti dell’ashatanga Yoga ( lo Yoga in otto
membra che viene riconosciuto come disciplina elettiva per raggiungere il “ kaivalya”).
E’ vissuto secondo molti esperti intorno al 400 a.C., anche se molti filosofi moderni
hanno postdatato al tardo medioevo la redazione dei suoi Yoga sutra coi celebri
insegnamenti. Il testo illustra in sintesi il cammino del sadhaka (o allievo) volto alla più
elevata realizzazione del sé.
L’opera è composta di 196 aforismi o versi, scritti in lingua sanscrita estremamente
concisa, suddivisi in quattro sezioni:
Sezione I - Samadhi Pada di 51 sutra o aforismi, che trattano inizialmente la natura
generale dello Yoga e l’approccio al samadhi, ovvero lo stato contemplativo che è
lo stadio più elevato di unione con il sé.
Sezione II - Sadhana Pada di 55 sutra, che contiene, nella teoria dei Klesa,
23
un’analisi magistrale della sofferenza che la vita umana comporta e nella seconda
parte, le prime cinque pratiche dello Yoga esteriore o bahiranga. Lo scopo di questa
sezione è quello di formare l’adepto alla pratica dello Yoga superiore. Sadhana
significa letteralmente ciò che conduce alla verità – Il cammino che porta alla
realizzazione spirituale.
Sezione III - Vibhuti Pada di 56 sutra, conduce lo yogin all’approfondita
conoscenza delle tre rimanenti tecniche interiori: antaranga o più precisamente
Samyama e parla dei poteri o siddhi che queste tecniche conferiscono. Vibhuti
significa letteralmente poteri.
Sezione IV - Kaivalya Pada di 34 sutra, dove si commentano gli aspetti filosofici e
le problematiche implicite nello studio e nella pratica yogica. Il termine Kaivalya
indica liberazione: liberazione definitiva dall’esistenza condizionata o samsara, cioè
il ciclo delle rinascite secondo la cultura Hindù.
Tornando alle afflizioni dell’uomo, nella sezione II,3 degli Yogasutra di Patanjali,
vengono trattati le pricipali fonti che divengono inconsapevolmente seme di sofferenza
umana: la prima diventa la causa scatenante delle restanti. Il dolore è qualche cosa che
deriva da un evento, ma l’afflizione o la sofferenza derivano dal dare continuità alla
prima sensazione, con il supporto della memoria e dell’immaginazione.
I klesa o afflizioni sono rispettivamente: Avidya; Asmita; Raga; Dvesa; Abhinivesa e
vengono descritte in relazione tra loro come le radice, il tronco, le foglie ed il frutto in
un albero:
-
Avidya è la forza che si oppone alla conoscenza in modo fraudolento. É uno stato di
ignoranza. E’ “prendere il non-eterno, l’impuro, il male e il non-atman per eterno,
puro, buono, e atman”. E’ la perdita della consapevolezza sulla natura del proprio sè
e della realtà che noi fondamentalmente siamo. E questo stato allontana l’uomo dalla
verità.
-
Asmita individua un senso di individualità (che nasce da avidya). E’ la ricerca delle
esperienze piacevoli ed il rifiuto delle sgradevoli; l’identificazione con il corpo, con
il pensiero, con l’emotività umana.
-
Raga indica l’attrazione che consegue all'esperienza del piacere (anche questo viene
indicato da Pantanjali come sorgente di afflizioni)
-
Dvesa è al contrario l’avversione e la repulsione per gli oggetti che ci ricordano
esperienze negative visitate in passato
-
Abhinivesa identifica invece la volontà di vivere ed un eccessivo attaccamento alla
vita che domina anche il sapiente.
24
- Filosofia dei klesa ( afflizioni ) secondo Patanjali -
“ Proprio come un seme è seminato nel terreno, così l’impronta di ogni esperienza viene
impressa nella mente. Queste impronte di esperienze sono vive. Esse hanno il loro
diretto potere di ricreare l’intera esperienza che le ha prodotte primariamente. Infatti
ogni impressione cerca la ripetizione della corrispondente esperienza originale. Quindi
il desiderio tende sempre a guadagnare forza se esso è soddisfatto. Questa è la vera
natura del desiderio. Così, poichè l’impressione di una particolare esperienza o di un
particolare esaudimento di un desiderio, diventa sempre più profondamente confermato
da ogni successivo esaudimento dello stesso desiderio, quell’impressione comincia a
svilupparsi in una definitiva tendenza della mente. Il desiderio perciò non è mai saziato
dal suo esaudimento. Le predilezioni della mente sono proprio in attesa di essere
stimolate. Non appena il desiderato oggetto è visto ancora una volta all’esterno, o se ne
sente parlare, o anche soltanto se ne pensa, immediatamente il desiderio si ripresenta.
Esso manifesta se stesso e stimola la mente ad andare all’esterno. Quando queste onde
di pensiero fluiscono nella mente, l’immaginazione è chiamata in gioco per mostrare
quanto dolce e desiderabile è l’oggetto e come seducenti sono le sue attrazioni. Nel
momento in cui l’immaginazione viene così impegnata, questi pensieri si manifestano
come una forte bramosia. Tali pensieri, con l’immaginazione che gioca su di essi,
incatenano l’uomo. La sua totale identificazione con i vari stati d’animo della mente lo
rendono schiavo dei desideri che operano dentro di essa. Così, quando è sentito lo
stimolo, voi siete sospinti da esso. Anche l’aspetto della volontà dell’ego è legato al
desiderio naturale della mente. L’uomo è così portato ad avventurarsi sull’intera
materia e l’individuo è spinto all’azione per soddisfare il suo desiderio. Essendo
soddisfatto il desiderio, il circolo vizioso è ancora una volta completato. Ancora una
volta, essendo stata completata quell’esperienza, l’impressione incisa nella mente è
diventata ancora più profonda. Questo è il circolo in cui l’essere umano è catturato.
Egli è come un giocattolo, un fantoccio, un oggetto del gioco della mente che rifiuta
ogni limitazione. La mente vuole essere piena di desideri e agitazioni, e non vuole
essere controllata. A meno che essa non sia osservata e disciplinata giornalmente,
l’uomo vivrà la sua vita come una bambola e terminerà la sua vita in schiavitù. La vasta
maggioranza degli esseri umani sono solo spinti e travolti da ogni piccolo desiderio e
impulso della mente. Essi non hanno alcuna libertà. La libertà individuale è solo un
mito. Possono avere libertà di stampa, di parola, ma fintanto e finchè gli uomini non
hanno avuto il controllo sulle loro menti, sui loro desideri e impulsi, essi vivono
praticamente in schiavitù e la loro libertà è soltanto un nome. Quando l’uomo ha una
comprensione della mente, e scopre come essa agisce, allora sarà capace di afferrarla.
Qui c’è uno degli aspetti più importanti della manifestazione della mente. Poichè il
pensiero “ io“ è totalmente nella presa della mente, l’uomo è incapace di penetrare nel
cuore del suo essere dove giace il centro della sua coscienza. Questa ineffabile
esperienza di libertà viene negata dalla mente all’uomo precisamente nel modo che è
stato detto.
( Swami Chidananda – La misteriosa Mente e il suo controllo )
25
Queste situazioni umane, portano le persone ad accumulare tensioni che spesso sono
inconsapevoli ed agiscono per lunghi periodi della vita, in modo non manifesto,
favorendo il loro dilagare, dapprima nel piano mentale e successivamente sul piano
fisico. Patanjali classifica queste tensioni in quattro tipologie diverse: a) dormienti o in
quiete; b) attenuate o sottili; c) espanse o pienamente attive; d) alternanti o disperse.
Lo stress è a tutti gli effetti, come già trattato, una forma di tensione.
- Un klesa dormiente è soltanto in forma latente, potenziale; non può manifestarsi
perchè mancano gli adeguati presupposti.
- La condizione attenuata è una forma di tensione presente ma lieve, pur non essendo
attiva può manifestarsi nel momento in cui subentra uno stimolo.
- La condizione espansa è invece una condizione manifesta di sofferenza, un vortice
psicologico che coinvolge l’intero essere. La sua manifestazione è totalmente evidente.
- La manifestazione dispersa di un klesa indica invece due tendenze in opposizione tra
loro che si manifestano alternativamente come un’avvicendamento tormentoso di
sentimenti di attrazione e repulsione, che nascono comunque da forme di attaccamento
agli oggetti materiali o immateriali della vita.
L’approfondimento della teoria dei Klesa ci porta a riconoscere in essi le cause di tutti i
dolori e le sofferenze dell’uomo. E’ necessario dunque indagare continuamente per
osservare il grado di presenza di queste tensioni. Questa consapevolezza della nostra
realtà interiore, può permetterci di intraprendere quel cammino verso un luogo di pace,
dove ognuno si sente bene ed è felice di esistere.
E’ interessante anche osservare che l’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce la
salute “uno stato di benessere completo, fisico, mentale e sociale”.
L’osservazione delle nostre tensioni sul piano fisico, psichico ed emozionale, sono
dunque ottimi presupposti per analizzare i diversi aspetti dello stress e definirne i
contorni.
L’adozione di adeguate pratiche yoga, con il supporto iniziale di un insegnante ed uno
stile di vita improntato sull’austerità e sulla costanza, diventeranno il rimedio migliore
per dominare sempre le situazioni stressogene o quanto meno circoscriverne gli effetti
più dannosi.
Accontentarci del raggiungimento di un grado di parziale benessere sul piano fisico e
mentale, ci porta nella zona di conforto dove subiremo l’illusione di uno stato “sattvico”
o di equilibrio, Questo atteggiamento ci avvicina però al rischio di un arresto nel
cammino di crescita spirituale. Dunque l’allievo devoto non perderà mai di vista il
sentiero davanti a sè.
26
- Filosofia dei klesa ( afflizioni ) secondo Patanjali -
Nello Yoga, la pratica per l’attenuazione dei klesa è indicata nel testo della HatayogaPradipika attraverso un insieme di posizioni, gesti o contrazioni atti a trattenere o
dirigere la circolazione del prana, l’energia vitale che fluisce nel corpo.
Queste pratiche vengono definite come Mudra e, secondo il testo, la pratica costante di
queste è in grado di conferire particolari poteri all’adepto. L’Hatayoga-Pradipika ne
menziona 10 ed indica nella Mahamudra l’esercizio elettivo per vincere sull’afflizione
dell’avidya:
III, 10 – Si comprima il perineo col tallone del piede sinistro e dopo aver allungato in
fuori la gamba destra, si afferri saldamente il piede destro con le mani.
III, 11 – Mentre si effettua la contrazione della gola, si porti verso l’alto il prana lungo
la susumna. Allora, come un serpente disturbato con un bastone si risveglia e si
irrigidisce come una bacchetta.
III, 12 – Così la Sakti arrotolata (kundali) si raddrizza subitaneamente: a questo punto
si genera uno stato di morte per le due nadi
III, 13 – Poi si espiri molto lentamente e senza violenza: questa è invero indicata come
mahamudra dai potenti siddha.
III, 14 – Le afflizioni, a cominciare dai grandi klesa e dalla morte, vengono distrutte:
per questo motivo gli ottimi saggi tra i saggi la chiamano mahamudra.
III, 15 – Dopo averla praticata con la parte lunare (cioè sinistra) del corpo, la si
esegua successivamente con la parte destra: quando si raggiunge un numero
uguale di esecuzioni dal lato destro e dal lato sinistro, allora si sospenda la
mudra.
Mahamudra (Figure A e B di pagina 25) non è un semplice esercizio di asana o
positura, come potrebbe apparire, ma è una pratica molto profonda di rotazione della
coscienza in diversi punti del corpo (sambhavi; khecari; mula; e bindu) e implica la
conoscenza di altre tecniche (arohan-avarohan; unmani-mudra; khecari-mudra;
sambhavi-mudra; kumbhaka) che per la loro complessità dovranno essere apprese da un
Insegnante qualificato.
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Figure A – Prima positura parte destra per il Mahamudra (il grande sigillo)
Figura B – Seconda positura parte destra per il Mahamudra (il grande sigillo)
Mahamudra ci affranca dai nostri veleni psichici e ci prepara alla concentrazione.
28
- I guna -
I GUNA
Nel sistema filosofico Samkya (uno dei sei sistemi ortodossi della Filosofia indiana),
i guna identificano le tre qualità che costituiscono la Natura materiale del Creato o
Prakriti, il Principio Cosmico femminile in continuo movimento, costante evoluzione e
manifesta trasformazione.
I tre guna sono le cause di questo movimento, ovvero le modalità di manifestazione
attraverso le quali Prakriti si rivela nell’universo. Nello stato primordiale questa vede i
tre guna in perfetto equilibrio tra loro. Una qualsiasi interruzione di questo equilibrio,
conduce ad un cambiamento della sostanza originale. Questo ha come conseguenza la
manifestazione.
-
Sattva è il primo gradino della manifestazione ed indica la luminosità, l’equilibrio,
la consapevolezza, la saggezza, la salute, la virtù, la pace e la calma.
Rajas rappresenta l’attività, l’eccitazione, la passione, il desiderio, l’egoismo,
l’attaccamento, l’instabilità
Tamas indica indolenza, letargicità, pigrizia, ignoranza, oscurità, inerzia, illusione,
apatia, indifferenza.
I tre guna si manifestano continuamente in ogni aspetto dell’esistenza umana. Così
quando prevale rajas, le persone tendono ad essere superattive, frenetiche, molto
attaccate alla vita, con grandi ambizioni sulle cose e sul mondo esterno.
Se al contrario prevale il tamas, l’individuo mostrerà scarso interesse per la vita, con
coscienza sociale attenuata e diverrà vittima dei suoi sogni irrealizzabili perchè non
supportati da azioni concrete.
Diversamente, nelle persone tendenzialmente sattviche, prevarrà uno stato di equilibrio,
di serenità, di chiarezza mentale, di spiccato senso di giustizia.
La consapevolezza di questi tre aspetti della nostra natura è un grande supporto per
assumere l’atteggiamento del “testimone”. Apprendere l’arte di guardarsi dall’esterno e
dall’interno, e da più punti vista, porta al raggiungimento graduale della condizione di
tapas (l’austerità): controllo della postura, controllo del respiro, controllo dello stato
mentale, controllo del comportamento.
Questo atteggiamento diverrà un’abitudine mentale e produrrà grandi frutti, perchè
avremo smesso di identificarci col nostro corpo e con la nostra mente.
29
I NOVE OSTACOLI CHE DETERMINANO LA DISTRAZIONE SECONDO
PATANJALI
Oltre alle tre diverse nature che caratterizzano, secondo il Sankya, il comportamento
della specie umana nelle particolari situazioni della vita, è necessario sottolineare anche
alcune caratteristiche generali che si possono riscontare nell’uomo medio che vive su
questo pianeta Terra. Una di queste è la mancanza di finalità. Sono poche infatti le
persone dotate di grande forza di volontà, fortemente concentrate nel perseguire un fine.
E tali persone raggiungono generalmente grandi risultati nelle rispettive sfere di lavoro.
La maggior parte della gente passa invece attraverso la vita, trasportata dagli
avvenimenti, senza la capacità di modificarne le circostanze o imprimere ad esse una
direzione.
Chi pratica Yoga non ha tendenzialmente gli atteggiamenti mondani delle persone
socialmente ambiziose. Deve possedere una “concentrazione finalistica” molto forte
perchè ci sono vere difficoltà nell’ottenimento dei risultati. Queste dipendono
normalmente dagli scarsi successi che si evidenziano all’inizio. L’obiettivo finale dello
Yoga è in larga parte sconosciuto; è poco tangibile; tutto il lavoro da compiere si svolge
sulla persona.
La seconda caratteristica che prenderemo in considerazione è che la mente comune
dell’uomo è prevalentemente rivolta verso l’esterno. Anche coloro che vengono
indentificati come introversi, hanno in realtà questa propensione. La loro effettiva
tendenza è quella di occuparsi delle proprie immagini mentali, trascurando gli
avvenimenti esterni, senza orientarsi invece verso il centro, dove si può dimorare con
l’armonia del proprio Sè ed i principi superiori.
Lo sforzo dello yogi durante il cammino attraverso questa disciplina è proprio quello di
sfuggire a quella “forza centrifuga” della mente, una condizione definita col termine
viksepa.
Le condizioni dell’uomo che provocano lo stato di viksepa, vengono definite da Patanjali
come ostacoli e sono citate nel seguente specifico yogasutra:
I, 30 – Vyadhi-styana-samsaya-pramadalasyavirati-bhranti-darsanalabdhabhm
katavanavasthitavani citta-viksepas te ‘ntarayah.
Malattia, apatia, dubbio, negligenza, indolenza, inclinazioni mondane, illusione,
non-attingimento di uno stadio, instabilità, questi (nove elementi) determinano la
distrazione della mente e costituiscono gli ostacoli.
La MALATTIA rappresenta il primo ostacolo per l’allievo, perchè qualsiasi
perturbazione fisica distrae fortemente la mente attraverso i sensi, impedendo allo yogi
un cammino di crescita.
Ci sono molte difficoltà ad orientare la coscienza verso il centro, quando il corpo invia
messaggi di disagio fisico che si sommano ai segnali degli altri sensi ed allo scorrere dei
pensieri nella mente.
30
- I nove ostacoli che determinano la distrazione secondo Patanjali -
L’APATIA è uno stato di diminuita energia nervosa. L’apatico non si sente all’altezza
di sostenere per lungo tempo compiti impegnativi o esercizi prolungati. Nel capitolo
precedente dedicato ai guna, ho indicato questo stato cronico come condizione tamasica.
La sua portante fisiologica potrebbe essere alimentata dall’assenza di energia interiore
necessaria al raggiungimento di una meta nella vita. In gergo occidentale, l’apatia
potrebbe essere interpretata come la “scarsa capacità fisica di automotivarsi”. La scienza
dello Yoga propone la guarigione dall’apatia attraverso il recupero della salute fisica.
Il DUBBIO è diversamente un ostacolo molto subdolo perchè è anch’esso nella natura
umana e può presentarsi in un momento qualsiasi del percorso di crescita. Nello Yoga
possono sorgere dubbi sulla meta finale da raggiungere perchè, come scrivevo poc’anzi,
è un obiettivo intangibile. L’allievo potrebbe dubitare sulla metologia impiegata oppure
sull’adeguatezza delle sue capacità fisiche ed intellettuali nel praticare lo Yoga; potrebbe
dubitare, nei momenti depressivi, anche sulla attendibilità dell’insegnamento che riceve.
In questa disciplina è indispensabile una fede incrollabile o Sraddha ed una grande
motivazione per raggiungere quanto meno uno stato di silenzio mentale e di pace
interiore. Dove esiste la fede il dubbio non trova spazio. Laddove la mente dell’uomo è
focalizzata su di una precisa finalità, potrà affidare alla sua pratica costante l’aiuto
necessario a contenere il dubbio.
Ci sono adepti della vita Yoga che trascinano la loro NEGLIGENZA in questa disciplina.
Questa è una forma di disordine e di trascuratezza che tende a rilassare la nostra
attenzione ed impedisce la concentrazione. Le persone negligenti non hanno imparato
che “nell’economia della vita ogni aspetto merita la sua particolare attenzione“, come
spesso ci ripete il nostro Insegnante nelle sue lezioni. Quindi serve portare in profondità
il concetto di equanimità nel considerare con attenzione le cose che valutiamo importanti
e quelle che riteniamo modeste e meno essenziali. Nello Yoga la negligenza è vista come
un pericolo grave, perchè questa scienza di vita non ci conduce tanto dal facile al
difficile, ma “ dal grossolano al sottile “.
L’ INDOLENZA è un’altra forma di abitudine che conduce ad una forma distratta della
mente. Conduce, come l’apatia, a produrre scarsi risultati nel percorso di crescita. E’ una
forma di svogliatezza che deriva dalla insana abitudine di attaccamento alle cose facili
ed all’agiatezza.
L’indolenza è per definizione il contrario di alacre, attivo, laborioso, operoso, risoluto e
solerte. Una persona indolente, acquisisce la tendenza ad evitare ogni forma di sacrificio,
anche se questo potrebbe condurre ad importanti risultati. L’indolenza si distingue
dall’apatia in quanto, mentre la seconda viene considerata un limite puramente fisico,
questa è considerata una condizione puramente psicologica. Secondo lo Yoga, questo
ostacolo si può superare sottoponendosi disciplinatamente a pratiche costanti e a compiti
impegnativi attraverso una progressione strutturata.
31
Le INCLINAZIONI MONDANE sono indicate da Patanjali come il sesto ostacolo che può
condurre l’adepto in uno stato di viksepa e quindi di distrazione dallo sforzo orientato
all’incontro col proprio Sè. Gli interessi per il mondo esterno oggi sono tantissimi e
anche se dotato di buona volontà, l’uomo moderno incontra difficoltà nel creare intorno
a se stesso le condizioni per poter discriminare, nel suo grande “rumore mentale”, i
problemi reali della vita.
Nello Yoga viveka è invece uno stato mentale dove sono sempre presenti la
consapevolezza dei grandi problemi della vita e le illusioni dell’esistenza umana. Viveka
è dunque discriminazione tra reale ed irreale.
Le propensioni al mondo sono invece un legame che costituiranno una turbativa mentale
nel cammino di ogni allievo. Egli ha dentro di sè l’impulso del passato ed intorno a se
stesso la realtà dove vive. Dovrà dunque resistere alla lotta incessante fra i desideri che
conducono la mente verso le attrazioni del mondo e la volontà di dover dirigere la
coscienza verso l’interno.
L’ILLUSIONE è un errore, un inganno dei sensi, per cui una falsa impressione viene
creduta realtà. E’ un’erronea interpretazione del reale, attribuibile spesso a scarsità di
discriminazione o di intelligenza. Chi si illude ha la sensazione, ribadisco erronea, di
poter realizzare i propri sogni ed attribuisce consistenza alle proprie speranze.
Praticando lo Yoga una persona potrebbe pensare, passando attraverso alcune esperienze
interiori di rilievo, di possedere particolare vocazione per questa disciplina, illudendosi
di aver già raggiunto con facilità particolari stati supremi della coscienza.
Questa non capacità di discernere il reale dal non reale, accompagnata da ingiustificato
entusiasmo, potrebbero derubare l’allievo della necessaria umiltà per approfondire lo
studio delle discipline che portano alla liberazione e distrarlo dalle pratiche. Il grande
rischio è che una volta acquisita consapevolezza delle proprie limitazioni, anche gli
allievi più determinati potrebbero cedere alla tentazione di abbandonare l’esperienza
anzichè far tesoro di questo errore.
Un ulteriore ostacolo che può distrarre la mente dell’allievo, nel progresso attraverso
le fasi dello Yoga superiore, può essere il NON RAGGIUNGIMENTO DI UNO STADIO.
Come ho scritto precedentemente, praticare ashtanga yoga significa procedere con
determinazione e coerenza attraverso gli otto stadi di questa disciplina, affinchè la
mente riesca a penetrare nei livelli più profondi della coscienza, con le tecniche di
dharana, dhyana e samadhi.
In questo cammino ci sono periodi dove, nonostante un disciplinato lavoro su se stessi,
pur mantenedo motivazione e spiritualità, si ha la sensazione di non poter progredire
ulteriormente per attestarsi ad uno stadio di coscienza superiore. In queste situazioni è
importante un atteggiamento equilibrato che ci dia la pazienza di continuare il nostro
lavoro dal luogo di pace raggiunto, dove comunque siamo consapevoli di essere. In
simili situazioni occorre far tesoro degli insegnamenti precedentemente ricevuti ed
integrati:
32
- I nove ostacoli che determinano la distrazione secondo Patanjali -
“ Ti compete soltanto l’agire ma mai i sui frutti
non sia il frutto dell’azione motivo del tuo agire
nè sorga in te adesione al non agire.
Ben saldo nello Yoga compi le tue azioni
lasciando da parte ogni attaccamento
rimanendo equanime nel successo e nell’insuccesso.
Lo yoga è equanimità
( Bhagavadgita – Canto II, 47 )
Dinnanzi a ciò che il nostro ego può interpretare come un insuccesso, io credo che
l’atteggiamento migliore sia la fede, il lavoro e l’abbandono al Signore; per questo
davanti agli ostacoli della vita ho imparato a pregare Dio come se tutto dipendesse da
Lui e continuo il mio lavoro come se tutto dipendesse da me.
L’ultimo ostacolo che Patanjali indica come causa di distrazione o viksepa è
INSTABILITA’, ovvero la non capacità di mantenere nello Yoga lo stadio superiore appena
raggiunto. Succede infatti che nel cammino di apprendimento e di pratiche svolte con
particolare disciplina, si realizzi una condizione mentale superiore ed un successivo
regresso. Questo può accadere per una temporanea incostanza nell’esercizio, oppure
perchè la mente, anche influenzata dai precedenti ostacoli, ha una particolare
propensione all’instabilità. Poichè quest’ultima caratteristica può essere legata al
carattere dell’individuo, sarebbe molto utile integrare ulteriormente i dieci fondamenti di
Yama e Niyama, che tratterò in seguito, per poter progredire nella disciplina.
Quelli sopra descritti sono pertanto le condizioni fondamentali che producono la
condizione distratta della mente e di conseguenza uno stato di mediocrità e di disagio.
I sintomi citati da Patanjali nel sutra I,31 ci riconducono pertanto al problema più esteso
della sofferenza umana ed alla teoria dei Klesa o afflizioni, già tattata precedentemente:
I, 31 – Duhkha-daurmanasyangamejayatva-svasa-prasvasa viksepa-sahabhuvah
Dolore (mentale), disperazione, nervosismo e respiro difficile sono i sintomi
di una condizione distratta della mente.
Lo stress affligge moltissime persone, ma è solo attraverso lo studio attento delle
interdipendenze delle problematiche sopra descritte che si può intuire la soluzione a
queste sofferenze, partendo però dall’interno dell’essere.
Iniziando dunque dall’analisi lucida e spietata dei nostri processi mentali, arriveremo
attraverso le tappe che lo yoga ci propone, alla guarigione dagli effetti nocivi, dovuti a
situazioni esterne, che sono inevitabilmente e comunque fuori dal nostro controllo.
33
NATURA DELLA MENTE E PERCORSO YOGA
Nella nostra civiltà la psicologia è una scienza in crescita, perchè la mente umana è
all’origine di moltissimi problemi. Se ciò che la nostra mente produce spesso ci affligge,
diventa prima di tutto necessario sapere che cos’è e di cosa sia composta. Una risposta
semplice potrebbe essere che è una componente fisica del nostro cervello, ma l’anatomia
ci insegna che i nostri processi intellettivi sono distribuiti in diverse zone dell’encefalo.
Possiamo intuire che la mente ospita i nostri pensieri, i nostri ricordi, i nostri sogni ed i
nostri sentimenti. Ma che cos’è la mente? Di che materiale è composta? E’ un’entità o
un processo? E’ sostanziale o solo apparente? E, domanda tanto ingenua quanto
interessante: è la mente che ospita la nostra Coscienza?
Patanjali scrive della mente al celebre sutra I, 2 definendola col termine sanscrito
maschile più ampio “citta”:
I, 2 - Yogas citta-vrtti-nirodhah.
Lo Yoga è la soppressione delle modificazioni della mente
Lo Yoga è la sospensione delle vrtti in citta, la sospensione delle agitazioni mentali
Lo Yoga è quindi l’immobilità della mente (Citta = Bhuddi+Ahamkara+Manas)
Per Patanjali il termine citta comprende:
- Quella che noi definiamo nella moderna psicologia la mente ordinaria (chiamata manas
secondo il principio filosofico del Sankya).
- Il principio dell’Io individuale (ahamkara).
- L’intelletto, la coscienza, (definiti col termine bhuddi dalla Filosofia indiana).
Negli Yogasutra la parola citta si riferisce perciò ad un termine più ampio che
comprende anche quella che noi occidentali conosciamo come mente.
La mente è legata alle nostre afflizioni. Quando incontriamo un problema, noi pensiamo
che questo sia davanti a noi e ci adoperiamo per superarlo. Facciamo un duro lavoro, ma
spesso osserviamo che risolto il primo problema, altri prendono il suo posto e restiamo
ingannati da ciò che appare essere alla luce del sole, da ciò che percepiamo in queste
situazioni. E’ una battaglia molto difficile da combattere, perchè in tutto questo lo sforzo
più grande da compiere andrebbe diretto su ciò che non si vede, perchè nascosto in
profondità: la nostra mente. E’ come se tentassimo di abbattere un albero sfrondandolo.
Esso diventerà sempre più forte e nuovi rami (e nuove afflizioni) cresceranno più
vigorosi
dei primi, perchè la radice resta intoccata. A mio avviso occorre
consapevolezza quando si lotta con ciò che è manifesto, perchè il cruccio che
percepiamo non mostra mai le sue radici. Può accadere che spendiamo tutte le nostre
energie in queste battaglie, senza riuscire ad ottenere delle sostanziali trasformazioni
nella nostra vita. Gli stessi problemi continueranno ad affiorare. E’ la nostra mente che
va rivista, che va “rimodellata”, che occorre, oserei dire “dissolvere”.
Molte persone aspirano ad avere una mente serena. Come si può giungere ad una mente
serena?
34
- Natura della mente e percorso Yoga -
Si può avere la sensazione di una mente serena, ma nella realtà io credo che non esista
niente di simile perchè la mente non è mai serena.
La vera pace è non mente; è citta-vrtti-nirodhah. Il silenzio interiore è... Yoga.
La mente non può mai essere limpida, non può avere chiarezza, perchè per sua natura è
concatenamento di pensieri, distrazione, dispersione, confusione. La vera pace è
possibile senza la mente. Il vero silenzio è possibile senza la mente.
Possiamo provare a raggiungere una mente silente, ma la dimensione dove dovremo
muoverci ed agire è qualcosa di sconosciuto per noi. Cerchiamo perciò di indagare sulla
natura di questa entità, cerchiamo di comprenderla; soltanto così potremo aspirare ad
una evoluzione.
La mente non è una cosa, è un processo. Si può in un certo senso equiparare alla folla.
Esistono dei singoli pensieri: alcuni riusciamo a percepirli, ma si agitano così
rapidamente che non riusciamo a cogliere gli intervalli fra l’uno e l’altro. Questi
intervalli non vengono percepiti per mancanza di consapevolezza, di discriminazione,
perchè occorre un’intuizione più profonda.
Se scrutassimo più accuratamente, se fossimo in grado di “ingrandire e rallentare ”
questo flusso, allora potremmo distinguere un pensiero, poi un altro, quindi quello
successivo e ci accorgeremmo così che non esiste alcuna mente. E’ l’insieme delle
migliaia di pensieri che scorrono che creano l’illusione che esista una mente. Proprio
come la folla: migliaia di persone che sono raccolte nello stesso luogo. Possiamo
affermare che esiste la folla al di là di migliaia di individui raccolti insieme? Solo gli
individui esistono. Solo i nostri pensieri sono reali.
“ Un pensiero è più materiale di un sasso”
Così scriveva il saggio e maestro Swami Sivananda.
Questa disquisizione è un elemento importante per comprendere la mente, ma nella vita
potremo vedere veramente i primi cambiamenti se siamo in grado di sederci e compiere
un lavoro interiore, con l’atteggiamento del testimone, di colui che osserva distaccato
quanto accade dentro di sé.
Se siamo disposti a svolgere disciplinatamente questo compito, potremo osservare che i
pensieri galleggiano nella nostra mente, come le nuvole nel cielo. Esistono degli
intervalli fra loro, perchè un pensiero è sempre separato da un altro, e più la nostra
osservazione diverrà silenziosa, più noteremo l’ampiezza di questi spazi.
Chi non è consapevole, non può scorgere questi intervalli. Continuerà a turbinare fra un
pensiero ed un altro. Se saremo invece in grado di raggiungere questa consapevolezza
attraverso il supporto di una pratica adeguata, potremo vedere questi spazi sempre più
ampi e in essi scoprire le verità che ci mancano. E’ l’esperienza meditativa che ci porterà
verso il nostro Sè, a contatto con la nostra Natura Essenziale.
35
Se la consapevolezza diventasse assoluta, esisterebbe un solo grande intervallo di “nulla
eterno”. Conosceremmo ciò che Patanjali indica col termine samadhi o supercoscienza:
lo stadio più elevato dello Yoga.
Accadrà proprio come per le nuvole che inizialmente si muovono sopra di noi ed
oscurano il cielo. Senza consapevolezza è come se fossimo completamente avvolti da
nuvole dense, ma se abbiamo fede ed impariamo ad osservare da bravi testimoni,
vedremo come esse si muovono. Nel tempo scorgeremo uno squarcio di azzurro ed
avremo conferma che il cielo esiste. Tutti possiamo vedere che esitono giorni dove ogni
nuvola è assente ed è in quel cielo che noi potremo riconoscerci e “vestirci” di esso.
Per similitudine, nello Yoga superiore possiamo affermare che l’osservazione di una
nuvola è concentrazione o dharana; scorgere uno squarcio nel cielo è meditazione o
dhyana; diventare il cielo è supercoscienza o samadhi.
La mente non esiste dunque come separata, solo i pensieri esistono. Essi si manifestano
indipendentemente da noi e non necessariamente appartengono alla nostra natura.
La nostra vera natura è come l’eterno cielo azzurro che non viene e non và. Le nuvole
passano nel cielo come i pensieri: aggrappandoci ad essi non potremo trattenerli a
lungo. I pensieri non sono nostri. Sono soltanto semplici visitatori e non devono mai
diventare i padroni di casa.
Questo è un altro aspetto importante: noi siamo i padroni del “palazzo” ed i pensieri i
nostri ospiti. In questo “luogo” dovremo vegliare con grande attenzione. Se ci
aggrapperemo ai pensieri, se ci identificheremo con essi, essi diventeranno i padroni
della nostra vita. Quella che noi chiamiamo mente diviene allora il problema. I pensieri
in essa ospitati sono talmente radicati in noi da farci perdere la consapevolezza della
distanza che dovremo invece mantenere da essi. Allora avremo dimenticato che non ci
appartengono, che sono semplici visitatori che vengono e vanno.
Non fissiamoci dunque sui nostri pensieri, rimaniamo fortemente radicati sulla
consapevolezza che siamo noi i “premurosi padroni di casa”, destinati a prendersi cura
degli ospiti buoni e di quelli cattivi, con la stessa attenzione.
“ ...Lo yoga è equanimità “
Nelle situazioni stressanti, quando ci sentiamo esauriti e privi di energia, abbiamo a
volte l’impressione che il nostro stato di cose non debba mai cambiare. Perdiamo
facilmente la consapevolezza necessaria a discriminare quella che è la nostra natura
essenziale. Tendiamo ad ospitare con più facilità i cattivi pensieri, oppure ci
aggrappiamo con disperazione ai pochi pensieri buoni che ci sono rimasti: l’equanimità
è sempre necessaria. Qualsiasi pensiero che diventi il capo, ci conduce alle difficoltà:
quel pensiero non è la verità. Ci stiamo identificando con qualcosa di transitorio.
Stiamo all’erta dunque e restiamo costantemente rivolti al nostro ruolo di guardiani del
nostro Tempio interiore, dove dimora l’Eterno: Quello che non muta.
36
- Natura della mente e percorso Yoga -
Se da un luogo di pace continueremo ad osservare, scendendo in sottile profondità, ci
accorgeremo che i pensieri sono come degli intrusi nella nostra mente. Essi sono
estranei, entrano ed escono. Non ci appartengono. Se continuiamo ad accanirci
nell’affermare: “questo è il mio pensiero”, ci identificheremo presto o tardi in esso,
restandone intrappolati. Fra milioni di pensieri che hanno attraversato la nostra mente,
veramente pochi ci sono appartenuti: sono stati presi in prestito milioni di volte perchè
sono stati di milioni di persone prima di noi.
E’ il genio che formula un nuovo pensiero. La sua creatività mi affascina, perchè in tutto
questo, è come se ci fosse un mistero divino.
Un altro aspetto che merita attenzione sono le modalità con le quali vengono trattati i
nostri pensieri. Questi possono essere anche “lanciati” in testa a qualcuno come se
fossero sassi. Hanno il potere di colpire una persona, di ferirla o anche peggio. Un
pensiero può essere seminato e può cambiare l’esistenza delle persone:
“ Semina un pensiero e raccoglierai un’azione,
semina un’azione e raccoglierai un’abitudine,
semina un’abitudine e raccoglierai un carattere
semina un carattere e raccoglierai un destino “
( Charles Reade – XIX Secolo )
Arthur Eddington, il grandissimo astrofisico inglese vissuto all’inizio del XX secolo,
che studiò la struttura del nucleo delle stelle, fu colui che scrisse un giorno sul suo
diario: “...ho misurato una macchia che forniva dei risultati in accordo con Einstein”.
Ebbene, egli che è stato scienziato di altissimo valore, affermò:
“ Più la scienza và in profondità nell’analisi della materia,
tanto più fortemente emerge la consapevolezza che
le cose siano pensieri e le cose ed i pensieri si assomigliano
sempre più “
Gli alti esponenti di qualsiasi potere politico moderato, dittatoriale o democratico,
temono moltissimo il pensiero delle persone. Ognuno di essi adotta raffinatissime
strategie di comunicazione, di distrazione e dispersione contro “certi” pensieri delle
persone. Perchè tutto questo?
Perchè seppur muto come un pesce, chi alimenta un pensiero che è contro a quelle
ideologie, non si può mentalmente recintare. Si può uccidere l’uomo come soluzione
estrema, ma fecendone un eroe i sui pensieri resterebbero nel tempo, anche dopo la sua
morte.
37
Dunque, occorre trattare i pensieri con grande cautela, perchè essi hanno un loro potere.
Attenzione a quello che pensiamo, all’intensità ed alla durata del nostro pensiero, perchè
un pensiero può essere catturato da qualcuno intorno a noi, qualcuno più debole di noi.
Così, se pensiamo di uccidere un uomo, potrebbe accadere che prima o poi questo
accada per mano di un altro. A questo punto saremo tutti responsabili, anche
indirettamente, di ciò che accadrà sulla Terra. Solo colui che è in uno stato di non-mente
può non sentirsi addosso tale fardello. Esiste sicuramente una qualità superiore
nell’essere, che nasce da uno stato di silenzio mentale di non pensiero e lo Yoga ci
conduce ad una forma di osservazione consapevole in assenza di pensiero
I, 2 -Yogas citta-vrtti-nirodhah.
Lo Yoga è la soppressione delle modificazioni della mente;
Lo Yoga è sospensione delle vrtti in citta, cioè sospensione delle agitazioni mentali;
Lo Yoga è quindi l’immobilità della mente.
Quando accendiamo una luce in una stanza, il buio non potrà entrare. Se spegneremo
questa sorgente luminosa, l’oscurità subito ci avvolgerà. L’osservazione consapevole
crea uno stato interiore più forte del pensiero ed avremo in questo il potere di vincere il
buio mentale.
“ Patanjali, il commentatore della più completa scienza di controllo mentale, ha detto che se
volete liberarvi di un qualsiasi particolare pensiero allora, non appena si presenta, voi dovreste
istantaneamente concepire un contropensiero di natura opposta. Se per esempio avete un certo
pensiero negativo di paura, introducete subito un pensiero positivo di coraggio; se avete un
pensiero negativo di odio e di ostilità, create immediatamente nella vostra mente un pensiero
positivo di amore, di amicizia, di fratellanza. Riempite voi stessi con un sentimento di cordialità.
Se siete sopraffatti da un pensiero di pregiudizio e intolleranza, create pensieri e sentimenti di
simpatia, di comprensione e unicità. Questo può essere fatto in ogni istante con riferimento ad
ogni specifico evento negativo. Questa pratica può anche essere intrapresa come un completo
corso di autotrasformazione psicologica, praticando questa tecnica sistematicamente giorno
dopo giorno. E’ una disciplina interiore di grande valore per il vostro progresso e sviluppo
etico. Vi può aiutare anche nel vostro risveglio spirituale. Se siete facilmente soggetti a pensieri
di ira, allora deliberatamente riempite la mente con pensieri di amore, pazienza e gentilezza.
Inoltre sedetevi separatamente per qualche tempo ogni giorno e in silenzio riflettete sulla gloria
della gentilezza, della compassione e del perdono. Meditate su ognuna di queste virtù. Riflettete
attentamente allo svantaggio e sulla indesiderabilità dell’ira.
Pensate positivamente sui grandi vantaggi e sulla desiderabilità fisica, mentale, sociale ed etica
di un temperamento dolce ed equilibrato. Meditate sulla sublimità, sulla sublime personalità e
sulla vita di Gesù, del Mahatma Gandhi, San Francesco, Abramo Lincoln.
Dopo una persistente pratica, i pensieri di ira cominceranno a sparire totalmente. Per essi sarà
impossibile rimanere nella vostra mente, poichè la materia mentale è stata completamente
modificata. Se non riempite la mente consciamente con pensieri deliberatamente scelti, allora
essa si riempirà con i suoi naturali capricciosi pensieri e questo permetterà alla mente di
crescere selvaggemente, come essa è nella sua propria incontrollata natura.
38
- Natura della mente e percorso Yoga -
Pensare selettivamente è la chiave per il problema del controllo mentale. Il pensiero
discriminativo è l’essenza del controllo della mente.
Quando iniziate lo sforzo di disciplinare ed educare la mente, diventate selettivi nei vostri
pensieri. Allora riempite la mente con pensieri buoni e puri, pensieri giusti, adatti, positivi e
piacevoli, di vostra propria scelta.
Mantenete certe immagini mentali frequentemente davanti alla visione interiore della mente.
Sarete ispirati. Queste immagini mentali vi eleveranno. Esse costruiranno una nuova
personalità dentro di voi. Queste immagini mentali possono essere scritte e poste di fronte a voi
su una parete, sulla tavola, dentro casa, in ufficio o nel vostro portafoglio. Attraverso i sensi
esterni, come anche attraverso la visione mentale interiore, attraverso l’occhio, come anche
attraverso il pensiero, la mente viene ricostruita e modellata con un nuovo stampo. E’
veramente un processo di ricostruzione mentale . E’ una rinascita psicologica. Questo potrebbe
essere, ed attualmente è, il precursore e il messagero al diventare rinati nello spirito, come
pazientemente spiegato da Gesù al sincero e curioso Nicodemo.
Praticate questa selettiva e discriminativa tecnica di pensiero in una maniera sistematica.
Sarete presto capaci di rinnovare totalmente la natura della vostra mente.
Comincerete a vedere che non siete la mente. Realizzerete che siete l’artista interiore che sta
modellando la materia mentale in una bellissima forma di vostra scelta. Dovete lavorare su
questa come uno scultore lavora sul suo materiale, un grande maestro che stà cesellando il
marmo per trarre da esso una bellezza meravigliosa.
Ricordate, fino a quando pensate che siete uno con la mente, il vero potere del pensiero vi è
negato. Quindi affermate la vostra indipendenza. Questa è la chiave del controllo mentale”.
(Swami Chidananda: La misteriosa mente e il suo controllo)
(Brano tratto dalla lezione di Yoga Mentale presso ISFIY del 14 aprile 2007 tenuta da Eros Selvanizza)
Conduciamo dunque questa nostra stressante vita immersi nei pensieri di milioni di
persone, di coloro che ci hanno preceduti, perchè questo è inevitabile. Anche se molte
afflizioni saranno prestabilite, iniziamo a coltivare la consapevolezza e l’osservazione
di quanto ci accade. I pensieri che noi semineremo potranno determinere il nostro e
l’altrui destino; quelli che lasceremo scivolare intorno a noi non produrranno effetto. Io
credo che debba esistere, nella vita di ogni persona, l’instancabile ricerca di un luogo di
pace, di consapevole silenzio, dove ognuno si sente bene e felice di esistere. Questo sarà
il porto di partenza per le destinazioni più importanti.
39
YAMA E NYAMA (UNA GIUSTA CONDOTTA MORALE) COME
FONDAMENTO DI EVOLUZIONE YOGICA E RIMOZIONE DEI
PRESUPPOSTI ALLE CONDIZIONI STRESSOGENE
Ogni esperienza umana ci insegna che qualsiasi grande progetto necessita di essere
realizzato su solide basi. L’uomo moderno vive la sua esistenza convivendo col flusso
mentale dei suoi pensieri, “dolorosi e non dolorosi”. Essi sono sintetizzati da Patanjali
nel yogasutra I, 6: “Pramana-viparyaya-vikalpa-nidra-smrtayah”
(la retta conoscenza, la conoscenza erronea, le fantasie, il sonno e
la memoria).
La retta conoscenza o pramana si riferisce alle nostre esperienze dirette, ai fatti, al
nostro contatto con gli oggetti e agli avvenimenti della vita attraverso i nostri sensi. Sono
le nostre percezioni mentali conseguenti a queste oggettività.
La falsa conoscenza è una forma di pensiero, dove la concezione mentale di un
particolare oggetto conosciuto o esperienza vissuta, non corrisponde alla relativa
oggettività di queste cose. Questa mancata corrispondenza tra il nostro concetto su di
una cosa e la cosa in se stessa, viene chiamata viparyaya ed è una vrtti estremamente
frequente nella nostra mente.
Fantasia o vikalpa è invece un’immagine mentale che non corrisponde ad alcuna
esperienza personale concreta ed è una pura creazione della mente o immaginazione.
Anche il sonno o nidra viene considerato da Patanjali una modificazione mentale.
Questo perchè nel sonno profondo l’attività mentale stessa non si arresta. Infatti
cervello e mente vengono considerati separatamente e nel sonno non esiste fra loro un
collegamento. Dunque nello stato di nidra non vengono tracciate, a livello cosciente, le
attività che però nella citta hanno comunque luogo.
La memoria infine, secondo Patanjali, è un processo mentale che ricorda un’esperienza
vissuta e la trasforma in una immagine mentale. Ogni smrtayah (così viene definito un
ricordo) viene qui trattenuta dopo essere stata “sperimentata”.
Il coinvolgimento emotivo col proprio flusso mentale porta l’uomo ad allontanarsi dal
suo centro. Viene meno la concentrazione sugli “oggetti” che conducono
all’unificazione verso la nostra Coscienza. La mente prima si distrae e poi si disperde ed
il grande rischio si concretizza: senza nessuna virtuosa destinazione, il disastro è in
agguato.
E’ Scritto nell’Esodo, sulle Sacre Sritture, che Mosè lasciò il suo Popolo per quaranta
giorni recandosi sul monte Sinai e là avvenne il suo incontro con Geova:
40
- Yama e Nyama ( una giusta condotta morale) come fondamento di evoluzione yogica - Rimozione dei presupposti alle condizioni stressogene -
Esodo 19:3 - Mosè salì verso Dio e il Signore lo chiamò dal monte, dicendo:
“ Questo dirai alla casa di Giacobbe e annuncerai agli Israeliti...”
Il Vecchio Testamento racconta che egli recasse con sè le “due tavolette della
testimonianza”, le tavole di pietra dove lui scrisse il Decalogo dettato da Dio:
Esodo 32:16 - Le tavole erano opera di Dio, la scrittura era scrittura di Dio,
scolpita sulle tavole...
In sua assenza tuttavia, la fede del suo popolo si disperse ed al suo ritorno si creò il caos:
Esodo 32:25 - Mosè vide che il popolo non aveva più freno, perché Aronne gli
aveva tolto ogni freno, così da farne il ludibrio dei loro
avversari...
Un codice etico e morale era però stato tracciato. Con quelle regole, dapprima infrante e
poi recuperate, Mosè indicò un preciso fondamento sul quale ogni uomo, appartenente al
popolo israelita, doveva costruire una vita di fede e di speranza.
Successivamente ogni religione ha interpretato i Dieci Comandamenti secondo il proprio
indirizzo di fede, ma il fine ultimo di ognuna è indicare una propria via di salvezza
attraverso un comportamento etico, morale e religioso.
Servono “solide basi” per costruire un’esistenza di prim’ordine che si distingua per
l’eccellenza; serve percorrere una Via conosciuta per la crescita interiore che ci avvicini
al nostro Sè, attraverso la disciplina e l’austerità.
Durante la gestione delle situazioni impegnative, questo presupposto è fondamentale.
Infatti abbiamo sottolineato, nel capitolo dedicato alla Fisiologia dello Stress, che
l’interpretazione dello stimolo nel Sistema Nervoso Centrale, determina in un primo
momento la reazione emotiva dalla quale seguono, per cascata, tutti gli effetti
conseguenti alle risposte dell’organismo. La relazione di ognuno col proprio Sè, col
proprio ego e col mondo esterno, è determinante nella costruzione dell’interpretazione
dello stimolo.
Per questo, molto prima della nascita di Gesù, attraverso l’insegnamento dello Yoga,
Patanjali (III-IV Secolo a.C.) espone il proprio pensiero nei Sutra II, 30-31 e II, 32 per la
costruzione di una mente orientata alla Supercoscienza, invitando ogni allievo a crescere
secondo i fondamenti morali di Yama (astensioni) e Niyama (osservanze), presupposti
necessari da integrare sulla via dell’apprendimento.
In questa disciplina, ogni progresso diventerà dunque vano in assenza della moralità e
delle virtù che essa prescrive. Sri Ramakrishna, un grande Maestro Spirituale indiano,
vissuto in un villaggio vicino a Calcutta fra il 1836 e il 1886, così soleva dire delle
persone con scarsi valori etici:
“ Una tale persona è come un vaso incrinato.
Non importa tutto quello che fate per tenerlo pieno, esso si svuoterà. “
41
Questa è la piattaforma etico-religiosa per lo Yoga superiore, lo Yoga esterno o Bahir”
sulla quale sviluppare una personalità orientata verso il centro e verso la luce,
apprendendo poi le successive sei pratiche dell’Ashatanga Yoga
II, 30 – Ahimsa-satyasteya-brahmacaryaparigraha Yamah
I voti di astinenza comprendono l’astenersi dalla violenza, dalla falsità, dal
furto, dall’incontinenza e dall’avidità
II, 31 - Jati-desa-kala-samayanavacchinnah sarvabhauma maha-vratam
Questi (i cinque voti), non condizionati dalla classe, dal luogo, dal tempo o
dall’occasione ed estesi a tutti gli stadi, costituiscono il grande voto
II, 32 – Sauca-samtosa-tapah-svadhyayesvara-pranidhanani niyamah
La purezza, l’appagamento, l’austerità, lo studio di sé e l’abbandono all’Isvara
(attenzione verso Dio) costituiscono le osservanze
Yama indica come indirizzare la propria vita, svolgendo disciplinatamente e
correttamente un lavoro esterno nei confronti degli altri, eticamente corretto verso
l’universo che ci ospita. Comprende:
A-himsha - Non violenza. Il comandamento di non uccidere
Satya – Verita. La sincerità. Imporsi di non mentire
A-steya – Non rubare. Onestà verso gli altri
Brahmacarya – Castità: “vivere come un Dio nel controllo dell’energia sessuale”
A-parigraha – Non avidità. Non essere avari
Niyama parla delle leggi interiori, conduce alle giuste attenzioni e riguardi verso noi
stessi, attraverso l’adozione dei seguenti atteggiamenti:
Sauca – Purezza della mente e del corpo
Samtosa – Appagamento. Vivere la vita secondo natura. Non moltiplicare i bisogni
Tapas – Ascesi. Austerità. Apprendere la sopportazione delle condizioni umane avverse
Svadhyaya – Studio delle scienze relative alla liberazione
Isvara Pranidhana – Devozione. Restare rivolti a Dio nella propria concentrazione
Dopo questa sintesi sui fondamenti morali necessari al tirocinio Yoga, potrebbe apparire
contraddittorio affermare che una moralità di ordine elevato non è sempre richiesta nella
pratica.
Chi entra nella disciplina perchè è alla ricerca di potere ed ambizioni personali, potrebbe
avere l’impressione di raggiungere comunque quello a cui aspira, ma è tuttavia
importante sottolineare che agirà sempre nei limiti del recinto dell’autogratificazione e
per soddisfare la propria presunzione, alimentando l’illusione tipica di una vita inferiore.
E’ coltivando invece la propria spiritualità che si progredisce nella scuola dello Yoga
superiore, si matura la consapevolezza della verità e dell’unione. Solo così scioglieremo
i nostri legami con l’illusione (maya) e tutto ciò che si oppone alla conoscenza (avidya).
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- Indice immagini delle positure -
PRATICA DEGLI ASANA E DEL PRANAYAMA
NELL’ARMONIZZAZIONE DEI CINQUE STRATI SOTTILI DELL’UOMO
Come già affermato nella parte iniziale di questa tesi, lo Yoga è una delle sei Scuole
ortodosse di pensiero filosofico-religioso Hindù dell’India antica. Pur praticato
inizialmente con modalità diverse dalle caste più nobili, esso mise le sue prime radici
nelle culture del periodo vedico, a partire dal 1500 a.C. sino al 700 a.C. e poi
nell’impostazione religiosa e mistica delle scritture Upanishad.
Queste ultime costituiscono la parte conclusiva dei Veda. Sono trattati di diversa
estensione, risalenti al periodo che va dall’ottavo secolo a.C. al quarto secolo a.C. e le
prime precedono l’avvento dell’era buddista.
Le Upanishad appartengono alle diverse Scuole indiane della rivelazione. Circa
duecento sono arrivate alla nostra cultura, benchè per tradizione quelle più considerate
sono 108. E’ interessante notare che il termine Upanishad deriva da “upa-nisad “
(sedersi vicino) che allude alla tradizionale modalità di trasmissione diretta dal Maestro
all’Allievo, qualificato per sederglisi accanto.
La Taittiriya Upanishad fu il primo trattato che esaminò l’essere umano sotto diversi
aspetti. Questa disamina metafisica realizza in sintesi che in un individuo esistono
diversi corpi, diverse stratificazioni tra loro interpenetranti e strettamente correlate. Si
parla di questi “involucri sottili e sovrapposti” definendoli come i cinque respiri, i
cinque atma ovvero i cinque sè.
Nello Yoga questi substrati componenti l’essere umano, che si estendono dal nostro
centro o sè sino allo strato più esterno del nostro corpo fisico, si chiamano kosha o
rivestimenti.
Secondo lo Yoga, il corpo causale (il nostro sè), il corpo mentale superiore, il corpo
mentale inferiore, il corpo energetico ed il corpo fisico, sono interdipendenti fra loro.
Un cambiamento apportato su uno di questi cinque kosha può influenzare anche gli
altri, analogamente ad un macrocosmo coi suoi elementi che coesistono in dinamica
armonia.
Chi è stressato e si arrabbia, ad esempio, coinvolge il corpo mentale inferiore, che è in
grado di influenzare il corpo energetico ed il corpo fisico, mutando in quest’ultimo i
parametri vitali come l’atto respiratorio, la frequenza cardiaca e la pressione arteriosa.
Analogamente, nella cultura occidentale, si sostiene che esista uno stretto legame fra
psichismo, manifestazioni del corpo ed influenza di queste sul nostro stato mentale.
Esplicitando, nella disciplina Yoga questi substrati o corpi assumono precise
denominazioni:
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ANANDAMAYAKOSHA – E’ il corpo più sottile dell’essere umano. Una dimensione di
beatitudine che trascende il piacere, il dolore, l’ego, lo spazio e il tempo.
Anandamayakosha è la sede del Sè, dell’Atman, ciò che impropriamente chiamiamo
“Anima”. Questo è il “luogo” di omogenea consapevolezza verso la quale i grandi
Maestri ci guidano; un’esperienza sulla quale non abbiamo nessun potere, se non
quello di svolgere le nostre pratiche con dedizione e costanza sui restanti quattro corpi
e preparare le condizioni affinchè ananda sorga spontaneamente.
VIJNANAMAYAKOSHA – E’ la dimensione puramente temporale dove l’essere umano
sviluppa la propria discriminazione; è la stratificazione di puro intelletto dove la
Coscienza agisce.
Secondo la cascata evolutiva del Sankya, questo corpo sottile, sede dell’Io riflessivo,
è la cosiddetta bhuddi. Vijnanamayakosha è tanto vicina al Sè da divenirne un suo
strumento; essa si manifesta attraverso la percezione intuitiva, l’immediato
discernimento e l’equanime atteggiamento del testimone interiore di se stessi.
Essa è tuttavia vincolata anche al complesso mentale inferiore e sensoriale e per questo
influenzabile dall’ego, ma se viceversa si svincola da quest’ultimo, può favorire la
conoscenza universale e l’amore.
MANOMAYAKOSHA – E’ il terzo involucro, quantificabile in una dimensione solo
temporale, dove agisce il corpo mentale inferiore. E’ la sede del pensiero, dove anche
si esprime l’ego attraverso le nozioni del “mio” e dell’ ”io”. Tutto il mondo di nomi, di
forme, di suoni e colori che noi chiamiamo reale, non è altro che il prodotto di questo
corpo sottile che è in contatto e si identifica con la realtà grossolana, attraverso le
percezioni sensoriali del corpo umano. Ogni pensiero presente in questa stratificazione,
come abbiamo scritto nel capitolo dedicato alla natura della mente, ha il potere di
concretizzarsi in un’azione e, nella lunga succesione di eventi, mutarsi in un destino.
PRANAMAYAKOSHA – E’ il corpo energetico dove circola il prana o soffio vitale
dell’uomo. Esso trova una sua collocazione nello spazio e nel tempo. Infatti, le nadi
cioè i canali energetici preferenziali, sono situate all’interno della nostra forma
corporea, mentre l’energia che ci anima circola con bioritmi ed intensità periodiche
prestabilite, interessando tutti i nostri organi. Secondo il testo antico della Shiva
Samhita, ci sono tre nadi principali e undici nadi secondarie.
Le prime tre ( Ida, Pingala e Sushumna) corrispondono approssimativamente al
nostro sistema nervoso autonomo ortosimpatico, parasimpatico e centrale con origine
nel kanda, la base della colonna vertebrale.
Analogamente a quanto ci insegna la moderna anatomia, che assegna ad alcuni
apparati una propria specializzazione, così il prana che il nostro corpo capta e veicola
nelle nadi, ha nello Yoga cinque principali specializzazioni chiamate vaju:
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- Indice immagini delle positure -
1) Prana vaju: la captazione, localizzato simbolicamente nell’area tra il cuore ed il
diaframma.
2) Apana vaju: l’eliminazione, identificato nell’addome e diretto verso il basso
3) Samana vaju: assimilazione, collocato nel plesso solare e diretto dalla periferia al
centro.
4) Vyana vaju: la distribuzione del prana in tutto il corpo, circolante dal centro alla
periferia.
5) Udana vaju: l’utilizzo dell’energia captata e che si manifesta come un flusso di
prana verso l’alto.
Questi concetti hanno molte analogie con la medicina cinese che è in grado di trattare
molte patologie, alcune anche di origine batterica, con l’utilizzo dell’agopuntura.
Nello Yoga si utilizza la tecnica di Pranayama per perfezionare pranayamakosha.
ANNAMAYAKOSHA – E’ il corpo fisico che si è formato per mezzo degli alimenti,
della caratteristica dei nostri cromosomi, delle patologie, dei traumi e delle condizioni
ambientali come la temperatura, l’aria respirata, la luce, l’umidità.
Dei cinque menzionati, nello Yoga , annamayakosha rappresenta lo strato più
grossolano del corpo che esiste nello spazio e nel tempo, ed in quanto tale ci permette
di svolgere su di esso una grande varietà di azioni.
Nello Yoga la cura del corpo è vista attentamente come il presupposto fondamentale
per accedere al benessere fisico e psichico totale. La disciplina insegna tecniche molto
raffinate per migliorare, sotto molti aspetti, le condizioni del proprio corpo ed
accedere così a stati di coscienza superiori. Queste tecniche sono chiamate Asana o
positure.
Patanjali nei suoi Yogasutra parla degli asana nella Sezione II, sutra 46-48:
II, 46 – stira-sukham asanam
La positura (dovrebbe essere) stabile e comoda.
II, 47 – Prayatna-saithilyananta-samapattibhyam
Mediante il rilassamento dello sforzo e la meditazione sul “senza fine”
(si domina una positura)
II, 48 – Tato dvamdvanabhighatah.
Da ciò, la mancanza di attacchi da parte delle coppie di opposti
Coloro che praticano lo Yoga della tradizione, hanno sicuramente familiarizzato con
molti esercizi di asana, ma la maggior parte delle persone che non conoscono la
disciplina, li confondono con la pratica fisica della ginnastica, che è semplicemente
finalizzata a rinvigorire il corpo. Le specializzazioni di Hatha Yoga ( lo yoga fisico ) e
Raja Yoga ( lo yoga reale ), pur mantenendo lo stesso approccio agli asana, assumono
ruoli e finalità diverse. Questa distinzione è necessaria in quanto chi si avvicinerà a
questa disciplina in conseguenza di un disturbo da stress, dovrà essere guidato
dall’insegnante a privilegiare una delle due specializzazioni.
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Nell’Hata Yoga infatti gli asana vengono trattati in modo molto ampio e la vasta
letteratura delle tecniche esistenti tratta in dettaglio almeno 84 positure fra le centinaia
esistenti. Sul piano fisico un asana ha le seguenti caratteristiche:
STABILITA’, IMMOBILITA’, DURATA e RILASSAMENTO.
Sul piano respiratorio e mentale si distingue per gli attributi di:
CONSAPEVOLEZZA DEL RESPIRO e CONSAPEVOLEZZA DELLA MENTE.
Le posizioni che il corpo può assumere durante le pratiche possono essere sintetizzate in:
POSIZIONI IN PIEDI, SEDUTE E DERIVATE DA ESSE, SUPINE, PRONE, IN GINOCCHIO, IN
APPOGGIO SULLE BRACCIA, IN EQUILIBRIO, IN ESTENSIONE e RILASSAMENTO.
Alcuni asana interessano anche la FASCIA ADDOMINALE e GLI ORGANI VISCERALI.
Tutte queste elencate sono in grado, se praticate con dovizia tecnica, di determinare
mutamenti molto positivi nel corpo, migliorando l’elasticità, il portamento, il
funzionamento di alcune ghiandole endocrine e la salute in generale.
Una tra le sequenze di asana più efficaci è la serie Rishikesh con le sequenti positure:
1 minuto in Sarvangasana (positura della candela – Figura 1 di pagina 44 );
2 minuti in Halasana (positura dell’aratro – Figura 2 di pagina 44);
1 minuto in Matsyasana (positura del pesce – Figura 3 di pagina 45);
2 minuti in Paschimottanasana (positura della pinza – Figura 4 di pagina 45);
1 minuto in Bhujangasana (positura del cobra – Figura 5 di pagina 46);
1 minuto in Shalabasana (positura della locusta – Figura 6 di pagina 46);
½ minuto in Dhanurasana (positura dell’arco – Figura 7 di pagina 47);
1 minuto in Ardha-Matsyendrasana (torsione in positura seduta – Figura 8 di pagina 47)
da 1 a 10 minuti in Shirshasana (positura capovolta) solo per yogin esperti: per gli
allievi è indicata Viparita Karani (Figura 9 di pagina 48) che determina effetti similari;
da 1 a 2 minuti di nadi shuddi (purificazione dei canali energetici – Pagine 54; 55);
3 minuti di respirazione completa;
3 minuti di rilassamento in Shavasana (positura del cadavere – Figura 10 di pagina 48).
Gli asana così praticati sono anche in grado di influenzare positivamente il corpo
energetico, perchè attivano le strade del prana chiamate nadi, anticipando i benefici del
pranayama.
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- Indice immagini delle positure -
Figura 1 – Sarvangasana
Figura 2 – Halasana
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Figura 3 - Matsyasana
Figura 4 - Paschimottanasana
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- Indice immagini delle positure -
Figura 5 – Bhujangasana
Figura 6 - Shalabasana
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Figura 7 – Dhanurasana
Figura 8 - Ardha-Matsyendrasana
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- Indice immagini delle positure -
Figura 9 - Viparita Karani
Figura 10 – Shavasana
La pratica Hata Yoga ha come risultato la FERMEZZA POSTURALE, LA SCOMPARSA
DELLE MALATTIE e LA LEGGEREZZA FISICA.
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Il Raja Yoga si differenzia dal precedente perchè è più orientato a determinare dei
mutamenti della coscienza attraverso il controllo volontario sulla mente, per una
soppressione graduale dei turbini mentali (citta-vrtti nirodhah ). Questa tecnica è
finalizzata ad agire sul corpo fisico, affinchè realizzi la completa immobilità su alcune
positure: quelle che favoriscono il silenzio mentale necessario alla pratica meditativa,
prolungata nel tempo e senza sforzo.
Fra questi asana vanno menzionati: Vajrasana (la positura del diamante – Figura 11);
sukhasana (la positura semplice – Figura 12 a pagina 50 ); padmasana (la positura del
loto) parificabile a siddhasana (la positura perfetta – Figura 13 a pagina 50).
Figura 11 – Vajrasana
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- Indice immagini delle positure -
Figura 12 – sukhasana
Figura 13 – siddhasana
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In alternativa agli asana elencati, si può ripiegare anche su maitryasana (positura seduta
su un supporto – Figura 14) sopratutto per privilegiare sempre, in caso di difficoltà, il
mantenimento del confort nell’immobilità:
II, 46 “stira-sukham asanam” - La positura ( dovrebbe essere ) stabile e comoda.
Figura 14 – maitryasana
In conclusione, nel Raja Yoga l’allievo che pratica la meditazione deve ottenere,
attraverso gli asana, il pieno dominio di una “stabile e comoda” immobilità per
dimenticare completamente il corpo e concentrare la propria attenzione all’osservazione
della mente.
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- Indice immagini delle positure -
“ Quando eseguiamo un asana o compiamo un’azione, possiamo distinguere
due coscienze: periferica e centrale.
Una coscienza che rimane impegnata su ciò che facciamo, la coscienza
periferica che resta sugli eventi.
Una seconda coscienza centrale che rimane focalizzata con la stessa
attitudine della calma che regna nell’occhio di un ciclone.
Nell’esecuzione dell’asana dobbiamo prendere coscienza del movimento del
corpo, ma vi è una coscienza centrale che dovrebbe sempre accompagnarci
e che riguarda il senso di ciò che facciamo. Una parte di noi, la coscienza
centrale, dev’essere orientata in modo da permetterci di comprendere meglio
la realtà della coscienza periferica.
Lo yogi è presente a tutto e assente a tutto; ha in sè questo costante eterno
riferimento intorno al quale danza la vita e si esprime la dualità, intorno a
questa unità dell’essere.
Questa unità dell’essere, questa coscienza centrale, è immobilità “
(Pratica degli Asana: tratto dalla lezione di Eros Selvanizza in data 8 aprile 2006)
Per apprendere il dominio totale di un asana Patanjali enfatizza due necessità nel sutra
II,47.
La prima è il rilassamento dallo sforzo necessario al mantenimento dell’immobilità,
perchè quest’ultimo sarebbe una fonte di grande distrazione della mente conscia che
dovrà invece essere totalmente libera e svincolata dal corpo. Questo è un automatismo
impegnativo da raggiungere, che richiede uno sforzo iniziale graduale che rompa il
legame fra mente conscia e corpo e trasferisca il controllo di quest’ultimo sulla mente
inconscia.
La seconda necessità per integrare la stabilità durante l’asana, è la “meditazione sul
senza fine”, ovvero sull’ananta, il grande serpente che secondo la mitologia hindù, cinge
la terra. Questa rappresentazione simbolica è in pratica l’invito rivolto all’allievo, che
esegue un asana, a concentrarsi sulla forza cosmica che permette alla terra di mantenere
un’orbita costante intorno al sole. Attraverso questo atteggiamento mentale molto
specifico, chi pratica un asana deve ricercare ed integrare gli automatismi che lo
mantengono in posizione stabile.
Il risultato importante che deriverà dalla disciplinata applicazione delle pratiche di
asana, spiegate nei sutra II, 46 e 47, viene rivelato da Patanjali nel sutra II, 48 con “la
mancanza di attacchi da parte delle coppie di opposti” con l’affermazione sanscrita
“Tato dvamdvanabhighatah”.
Queste “dvamdva” sono tutte le condizioni contrarie, esterne ed interne a noi, immersi
nelle quali noi cerchiamo di condurre la nostra vita, come ad esempio la luce ed il buio,
il caldo ed il freddo, la felicità e la tristezza, la salute e la malattia. Condizioni riferite al
corpo ed alla mente che impediscono alla nostra Coscienza di orientarci nella nostra
profonda interiorità.
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La Coscienza, che si esprime attraverso la mente stessa, non può entrare in contatto con
la materia e procedere verso la realizzazione del Sè, senza l’intervento del prana, il
soffio vitale. Il prana che fluisce all’interno di pranamayakosha (il corpo energetico) è il
catalizzatore delle connessioni fra la materia e l’energia sui corpi più grossolani, nonchè
della mente e della coscienza sugli strati più sottili dell’essere umano, secondo la visione
dello Yoga.
Con questo possiamo affermare che il prana è attivo e necessario su tutti i corpi sottili.
Nell’Hata Yoga il controllo delle correnti praniche viene utilizzato per il controllo dei
mutamenti della coscienza e del flusso dei pensieri (citta-vrtti).
Nel Raja Yoga il controllo delle citta-vrtti avviene attraverso la forza della volontà con
l’ausilio del prana da parte della Coscienza.
Nell’una e nell’altra specifica disciplina, il controllo e l’armonizzazione del prana,
captato dal corpo sino al suo utilizzo ottimale, si ottiene attraverso le tecniche di
Pranayama.
Patanjali parla del pranayama negli Yogasutra dalla sezione II,49 sino alla sezione II,53.
II, 49 – Tasmin sati svasa-prasvasayor gativicchedah pranayamah
Ciò essendo stato (compiuto) (segue il) pranayama, che è la cessazione della
inspirazione e della espirazione.
II, 50 – Bahyabhyantara-stambha-vrttir desakalasamkhyabhih paridrsto
dirghasuksmah
(Esso si trova in) modificazione esterna, interna o soppressa; è regolata
dal luogo, dal tempo e dal numero, (e progressivamente diviene) prolungato e
sottile.
II, 51 – Bahyabhyantara-visayaksepi caturthah
Quel pranayama, che oltrepassa la sfera dell’interno e dell’esterno, costituisce
la quarta Varietà.
II, 52 – Tatah ksiyate prakasavaranam
Grazie a lui si dissolve lo schermo della luce.
II, 53 – Dharanasu ca yogyata manasah
E (si ha) la capacità della mente di concentrarsi.
Prana-yama significa letteralmente “controllo del prana” e diversamente da quanto si
pensi, il prana ed il respiro non sono la stessa cosa. Questo significa che la morte di un
individuo non avviene quando cessa il respiro, ma bensì quando il prana abbandona il
suo corpo. E pur restando soltanto una delle manifestazioni grossolane del prana nel
nostro corpo fisico, la regolazione del respiro viene utilizzata in moltissime tecniche di
pranayama per manipolare il prana stesso nei corpi sottili.
Chi utilizza i metodi di controllo del prana, deve essere consapevole che essi agiscono
su sistemi complessi del corpo che sono reali, benchè non pienamente riconosciuti dalla
scienza moderna.
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